Questioni filosoficheAnonimoConsiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Opera del Vocabolario Italiano«Questioni filosofiche» in volgare mediano dei primi del Trecento, edizione critica con commento linguistico a cura di Francesca Geymonat, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2000.^Questioni filosoficheAnonimo1298P-10900tosc.tosc. sud-or.fil. 1298
ProemioDice el phylosopho nel primo libro Dell'anima «L'anima innel prencipio della sua creatione è come taula rasa, innella quale nulla cosa ène dipento: àne potentia a potersi dipegnare». Receve essa anima in processo de tempo stando col corpo perfectione de scientia e di vertude, e queste rendono perfecta l'anima in diverso modo: inperciò ke la scientia fa perfecta l'anima superficialmente, acciò ke intenda e conosca el vero de quella cosa k'è considerata per lo intellecto e essa verità conosciuta debbia speculare e in sé usare, ma la vertude fa l'anima perfecta secondo la sua profundità, cioè ke volglia e desideri cose bone e honeste (et) essi honesti desiderii reduca a conpimento d'operatione, k'è secondo ke dice sancto Gregorio «La prima dilectione è ll'operatione». De queste decte doe cose ke àno a ornare e perficere l'anima, la prima, cioè la scientia, ène ordenata a la seconda, cioè a ben volere e bene operare, inperciò ke l'omo non pò volere (et) desiderare (et) operare cosa bona se d'essa cosa non à inprima conoscimento, secondo ke 'l maestro non puote escolpire innella pietra la ymagine se inprimeramente el segno d'essa ymagine non fa innella superficie de sopra. Et inperciò ki conoscimento de la cosa ke fa non àne non gli è inputata né a vertude né a vitii, (et) né à mercé né a peccata essa cosa da lui operata, se la ignorantia nonn è malitiosa, secondo k'è manifesto en li paççi, de li quali nulla rascione è tenuta de' mali k'ei facciano per la privatione del senno. E per queste decte cose è manifesto ke la scientia ène ordenata a la vertude, la quale se extende a l'operatione. E ciò è ke dice el phylosopho innel secondo de l'Ecthica, ke l'omo ke vole alcuna cosa fare tre cose li abisogna: prima, ke sappia; seconda, ke voglia; e terça, ke adoperando remova quelle cose ke inpedimentiscono l'opera ke fae. Et per queste tre cose sono date a l'anima tre potentie: la prima ène la potentia rationale, per la quale l'anima conosce quello ke debbia operare; la seconda è la potença concupiscibile, cioè desiderabile, per la quale àne inclinatione ad operare la cosa conosciuta se li pare utile; la terça potença se chiama irascibile, per la quale l'anima fugie le cose contrarie e remove da l'operatione ke fa quel k'à ' inpedimentire essa operatione. Queste due ultime potentie, a le quali la prima è ordinata perfectamente secondo ke la fragilità de la humana natura innel presente tempo richiede, cognosco in voi, cioè la volontade di fare el bene, k'è potentia concupiscibile, e fugire el male, k'è potentia irascibile. Acciò ke queste due cose, molto a gran signori e spetialmente a coloro k'àno a regiare e corregiare populi peramabili, potiate più cautamente e con prudentia usare, de la prima potentia, cioè rationale, de la quale aver più perfecto conoscimento usando con voi avete grande volontà acciò ke siate sufficiente più pienamente a servire a le due seguitante potentie, pregasteme, spetialmente quanto ad alcune alte questioni (et) dubitationi trovate per sutilità di vostro ingengno (et) d'alcuni savi in forte dectato scripte e conposte, k'io alcuna informatione in vulgare dectato a voi ne devesse dare. Io volendo de ciò el vostro animo quetare, avengna ke 'l grande desiderio, e se nno constrenga neccessariamente l'omo a l'operatione, inchinalo sença dubio ad ardire di fare cose ke sua potentia a la fiada passa, (et) inperciò essendo constrecto de desiderio de servirve avegna k'io non sia sufficiente a ciò, uno breve tractato e utile innel nome de Dio incomençarò dividendo e distinguendo el libro per parti et capituli aciò ke più utile e facile sia questa doctrina. Et inperciò ke 'l senario numero è decto perfecto, ké le sue parti uguali, dividenti el tutto, insieme prese non rendono né più né meno ke 'l suo tutto, questo tractato acciò ke perfectione demostri in esso numero sì divido; inella prima parte demostrando de le cose sopracelestiali, inella seconda de le celestiali, inella tertia de le elementali, inella quarta de le elementate, inella quinta de certi vitii, inella vj.a de certe vertute.
L. IInnella prima parte del tractato vediamo de le cose sopracelestiali, de le quali tre cose la vostra nobelità me dimandò: inprima, de Dio; secondo, de li angeli; tertio, de li corpora beati.
L. I, pt. 1Quanto a la prima cosa, cioè de Dio, xij ademandascioni faceste: prima, ke è Dio; seconda, come in lui in una essentia se intende el Figliolo e lo Spirto Sancto; tertia, due stava Dio innançe ke 'l mondo fosse da lui fabricato; quarta, ke mosse Dio a fare el mondo; quinta, perké non fece l'omo in tale stato ke non potesse peccare; sexta, perk'ei fa l'omo el quale conosce dampnare; septima, perké non riconparò l'omo per l'angelo ma esso se volse incarnare; octava, del peccato originale; nona, perké venne el Figliolo (et) no 'l Padre overo lo Spirto Sancto; decima, perké patio morte (et) tutto 'l suo sangue sparse: no 'l potia reconparare sença morire e sença tanto sangue spargere? undecima, come resuscitò el terço die; duodecima, perké 'l Padre è decto potença, el Figliolo sapientia e lo Spirto Sancto benivolença. De questi xij capitoli brevemente respondarò prendendo grosse rascioni acciò ke non confondano l'animo de l'uditore se magiurmente lo hedifichi.
L. I, pt. 1, cap. 1Primeramente la vostra benigna prudença adomandòne, con ciò sia cosa ke ongne natione cole (et) adora Dio, ke chosa è Dio. Respondo: Dio ène, secondo ke dice sancto Augustino, potentia innestimabile, infinita, innenarrabile, dal quale, innel quale (et) per lo quale ène ongni cosa bona, perfecta e optima. Ieronimo dice ke Dio è potentia inmensurabile (et) sapientia innenarrabile (et) è lume incircunscriptibile, (id est) inconprehensibile. Augustino (etiam) dice «Dio ène prima causa omnium emptium», (id est) 'de tutte le cose'. E se questo te ofusca l'animo intendilo per rascione: ongne cosa creata e facta è mestieri k'abbia principio factore e motore e se questo non fusse non ve saria movimento, cum ciò sia cosa ke ongni cosa ke se move per alcuno se mova, e maximamente se vede in acto di generatione; e cosìe dê venire ad uno primo principio ke mova e d'altrui non sia mosso: e questo ène Dio. E però ène manifesto ke Dio ène prima causa.
L. I, pt. 1, cap. 2Propose innella seconda parte la vostra sapiença un'alta e nobile questione: con ciò sia cosa che 'l padre è inançi al figliolo (et) è divisa essentia, come questo falle in Dio, che non è inançi el Padre che 'l Figliolo quanto a la divinitade e non diversifica el Filiolo essentia dal Padre? Respondo: a queste chose, li quali trapassano lo intellecto humano, magiuremente fede devemo cercare ke rasgione trovare; ma inperciò che lo intellecto humano sempre forte cose (et) sopra de sie desidera de trovare, e 'l vostro altissimo intellecto non sa posare se alcuna rasgione de queste cose non ode apertamente, et inperciò quanto el vostro intellecto puote conportare me sforçarò de mostrarlo; in voi tutta fiada quel ke rasgione non prende fede soiunga. Devete ynmaginare ke Dio sopra ke si possa extimare è sinplicissimo sença alcuna conpositione. La cosa ch'ène simplicissima, qualunque cosa ène overo in essa se pò considerare ène una essentia perfecta con quella innella quale ène, ké se questo non fusse neccessariamente opereria a confessare ke quella cosa fusse conposta: la quale conpositione al postutto negamo in Dio; onde el Figliolo non procedette dal Padre per creatione, ke se questo fusse seria mestieri ke fusse diversa essentia dal Padre, ma procedette per conceptione in sé medesmo: da principio ke fo el Padre fo la conceptione in lui, la quale conceptione è apellata rasgionevolemente Filiolo. E puotesi considerare e così demostrare: come decto ène, ogni cosa k'ène in Dio essentialmente procede da lui, è una cosa con lui per la sua simplicitade; ma non è da dire che alcuna cosa proceda da Dio Padre, e quello sia Dio, ke non sia figliolo de Dio, como non è verisimile ke alcuna cosa proceda da l'uomo, e sia homo, ke quella cosa non sia figliolo de l'omo. E per questo ke decto ène è manifesto come dal principio fo el Figliolo col Padre, e como non è differentia infra essentia del Figliolo e del Padre inperciò k'è secondo conceptione e non creatione, secondo che decto è. E ciò è ke dice sancto Iohanni evangelista: «In principio», (id est) 'inel Padre', «erat Verbum», (id est) 'Figliolo'. In tre modi si prende el verbo: ymaginato, (id est) la conceptione ke l'omo fa infra sé medesmo, prolato e scripto, e 'l primo è più dericto inperò ke 'l secondo è segnio del primo e 'l tertio del secondo, come dice el phylosefo innel primo libro del Periermini; e inperciò che 'l Filiolo de Dio è la conceptione del Padre, inperò disse «In principio erat Verbum». Como sia una cosa e una essentia col Padre demostra in ciò ke seguita: «et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum», (id est) 'el Figliolo erat in principio appo Dio e esso Filiolo era Dio'. E così ène manifesto ke una essentia ène quella del Padre e del Figlio avegna che diversità si puote inmaginare, la quale cosa è deversità de persona.
L. I, pt. 1, cap. 3Di queste due questione formaste la terça questione non sença grande deliberatione, e dite: "Tu dici che quello ke procede da Dio essentialmente è Dio, e s'elli è Dio si è el Figliuolo de Dio: domqua lo Spirto Sancto sirà Figliolo de Dio, con ciò sia cosa k'ei proceda da Dio e sia Dio". Respondo e dico ke lo Spirto Sancto è Dio ma non Figliuolo de Dio inperciò che non procede per modo di conceptione ma per modo d'amore, e amore non puote essare in meno ch'enfra doi, e 'l filiolo non puote essare secondo, e qualitade è per uno modo e per uno respecto de doi, e per questo modo lo Spirto Sancto non è figliolo. A l'argomento respondo che vero ène ki procede dal Padre tanto per modo di conceptione che elli è Dio e Figliuolo de Dio, ma lo Spirto Sancto non procede tanto dal Padre ma dal Figliolo e dal Padre, e chosì el Figliolo in quanto figliolo non è padre, e per ciò lo Spirto Sancto non puote essere figliolo, ma ène tanto Dio; in quanto è amore essentialmente procede dal Padre e dal Figliolo simplicissimo in essentia.
L. I, pt. 1, cap. 4Non sença casgione dubitaste, più per altrui ke per voi, con ciò sia cosa ke ora se dica Dio stare in paradiso e ogne cosa se dica in suo loco posare, due stava Dio innançi che facesse el mondo. Respondo ke, secondo che decto ène inella diffinitione d'esso, Dio ène essentia perfectissima sença el quale nulla cosa permane in essentia, (et) ello di fuore de sé nulla cosa abisognia: (et) el luoco è di fuore dal locato in essentia però che 'l luoco e 'l locato non sono una cosa, e se Dio abisognasse loco abisognaria cosa di fore de sé e così non siria perfecto in sé. Unde dico ke Dio era in sé medesmo. E non poteremo dire per verità ke Dio sia in paradiso come alcuno corpo locato ène i· lluoco, ma magiuremente el paradiso ène in lui (et) ello de verità contene ogni loco; e de ciò dice el propheta «Si ascendero in celum tu illic es, si descendero in infernum ades», (id est) 'Se io salirò in cielo tu Dio sè ine, se io descendarò in inferno tu se' ine'. E così è manifesto che Dio ène in ogni luoco.
L. I, pt. 1, cap. 5A la quinta questione, in la quale demandaste "Con ciò sia cosa ke Dio sia perfecto e di fuore nulla cosa abisogni, che 'l mosse a fare li angeli e 'l mondo e le cose ke sono in esso, non acrescendosi a lui utilità?", respondo secondo ke dice sancto Dionisio: Dio ène fontana e principio d'ogne cortesia e bontà, (et) è essa bontà astracta, e 'l bene per sé medesmo si comunica e spargesi, (et) inperò Dio essendo prima bontà, secondo che decto ène, volse la sua gratia demostrare e comunicare a le cose create, (et) però le creò ke a loro sua gratia potesse largire.
L. I, pt. 1, cap. 6Non sença casgione a demandare ve moveste dicendo: "El perfecto maiestro dia perfecta opera fare: perké Dio facendo l'omo non fece di natura non inchinevole a peccato, essendo a lui uguale facilitade?". Respondo per due rasgioni: acciò ke per merito d'astinença de' vitii s'avesse corona de vita, la quale per merito se dia avere, la quale perdette el diavolo per vitio; la seconda rasgione ène ke a Dio ène loda salvando per misericordia (et) per gratia e dannando per iustitia, (et) ognie cosa per la quale Dio se congnosce misericordioso, gratioso e iusto è bona: dumqua fo convenevole cosa ke in tal natura facesse l'omo, per lo quale in vertù se cognoscesse.
L. I, pt. 1, cap. 7A la questione adimandata da voi, perché Dio fa nascere l'omo el quale cognosce dampnare, essendo a colui che nascie dannaggio più ke utilità, respondo ke per alcuno defecto particulare non se dia inpedimentire lo bene universale, (et) però se confà al principe de permettere alcuna cosa nocevole || ad alchuno partichulare a chonservare la giente universale; onde che ll'omo che ssi dia dannare non nasciesse inpedimenteria la libertà della universale natura umana, la quale à libertà nello nascimento, e chosì perderia grande perfetione e plenitudine; dunque per questo si celeria la giustitia di Dio in punire, sechondo ch'è detto di sopra. Avegna che altre si possono ragioni assegniare, ma per più brevità bastino al presente quelle che ssono dette.
L. I, pt. 1, cap. 8Un'altra nobile quistione piena di grande amiratione mosse la sottilità del vostro ingiegnio, e disse: "Chon ciò sia cosa che ogni chreatura sechondo il suo stato debba ricevere gratia e ghuidardone, perché Dio la redentione non fecie per alchuna chreatura di fuori di sé, cioè per alchuno angelo, ma essa divinità venne a tanta umilità di volersi incharnare?". Rispondo sechondo che dicie il profeta: in Dio sono due propiatadi potentissime infra l'altre, cioè miserichordia e giustitia, onde dicie il salmista «Miserichordiam et iudicium cantabo tibi domine», (id est) 'io chanterò di te, domine, miserichordia e iustitia'. Manifesto è che lla hoffensione la quale ad alchuna persona si fa à tanta graveza in see di colpa quant'è la dingnità della persona a ccui s'ofende: onde chi desse una gotata ad uno villano e dessela a uno re non richiederia ughuale vendetta inperò che lla colpa non è eguale per lo grado di choloro a chui è offeso, che sechondo l'offensione del primo basteria se ricievesse innella gota come à dato e sechondo l'ofenssione del re non basteria la morte, se più fusse possibile di ricevere, guarda che 'l datore in dignità non fusse uguale al ricievitore, in tanto basteria simile vendetta; e sse uno re uccide ingiustamente uno huomo di poco affare gran danno è a choloro che rimanghono, se tanto dicie "Sonne chruccioso e no 'l vorria avere fatto"; dunque la graveza della offensione si prende dall'offeso e dallo offendente sechondo il grado di ciascheduno. Chon ciò sia chosa che ll'uomo offendente fosse vilissimo, quia terra, e ll'offeso fosse infinito nobilissimo, perciò che ffu Iddio, e ogni chreatura, angelo o qual vuogli altra, abia finita potentia e perfettione, non si potia per veruna finita creatura sodisfare allo infinito, e inperò fu mestieri che venisse persona della Trinitade ch'essendo Dio sodisfaciesse a Dio e ricievesse charne umana acciò che ssodisfaciesse per l'omo. Volendo usare la propiatà della miserichordia e lla ragione della giustitia venne ricievendo la nostra carne, e questo dicie Davit profeta: «Veritas de terra orta est et iustitia de celo prospessit», cioè 'la miserichordia è nata della Vergine e lla giustitia esguardò di sopra'.
L. I, pt. 1, cap. 9E detta la risponsione fatta di sopra forse dubitate come il pecchato de' primi parenti discienda in noi, per lo quale fusse mestieri che Dio venisse in questo mondo. E moveste vostra quistione in questo modo: "I' ò udito che Dio disse per lo profeta: "Non voglio che abbia loco il proverbio anticho, fermato e osservato in passato tempo, il quale dicie «Patres comederunt uvas acerbas et dentes filiorum ostupescient»", cioè 'i padri mangiaro l'uva acierba e i denti de' figliuoli s'alegarono', cioè i padri feciono male e i figliuoli ne saranno puniti; però dicie Dio: «Ogni anima è mia, come l'anima del padre così e l'anima del figliuolo», onde truova «Anima que pecchaverit ipsa morietur», cioè 'quell'anima che peccherà quella solo sarà morta'. E se questo ène non pare verisimile che 'l pecchato de' primi parenti disciendesse in noi, nel quale non avemo colpa che noi esso non comettemmo però che noi nonn eravamo. Onde delle due cose è mestieri che chonfessiamo l'una: overo che quello non è 'l pecchato orriginale, lo quale conmissero i primi nostri parenti, per lo quale non avavamo salute, overo che Dio non è giusto a punire del pecchato non conmesso per noi; ma questo è falso che Dio non sia giusto, dunque il primo è vero, che non sia esso pecchato del mangiare del pome contra la obedienza, el quale si chiama il pecchato orriginale. E inperò vi domando di sei cose: la prima, che è il pecchato orriginale; sechonda, in che modo è inputato ai citolini, che non per volontade ma per nicistà nascono, e inputato a pena; terza, per qual giustitia à ragione di pecchato; quarta, chome la charne corrotta, ch'è chorporale, à a corronpere l'anima che è chosa spirituale; quinta, in che modo questo pecchato si lava per lo battesimo; sesta, chom'è convenevole chosa a Dio di permettere l'anima, chreata da llui sì pura, machulare dal chorpo".
L. I, pt. 1, cap. 9aQuanto al primo dimandamento, che è il pecchato orriginale, rispondo che il pecchato orriginale è privatione della orriginale giustitia a salute neciessaria ad averlla. Dovemo inmaginare che Dio fecie l'omo dritto, che in lui era la charne cholle sue potentie suggietta all'anima, che nullo movimento, nulla infermità si poteva levare nel chorpo che contradiciesse all'anima: le virtù di sotto de l'anima, chome virtù chonchupiscibile, (id est) desiderabile, e irascibile, si erano sì suggiette alle virtù di sopra dell'anima, cioè alla mente e alla ragione, che nulla cosa né movimento si poteva levare inel corpo che chontradiciesse all'anima se non ragionevole. Questo ordine di giustitia si poteva dire e diciesi, questo ordine, "giustitia orriginale", overo che Adam lo ricievette nella sua orrigine da Dio incontanente che fu nato, overo che per orrigine ne' suoi figliuoli questa giustitia si dovia derivare sechondo la istituta natura: questo era in l'ordine di salute, che ciaschuno avesse la orriginale giustitia. Adam pecchando e al suo signiore non obediendo perdé questa giustitia e inchontanente la virtù di sotto del chorpo incominciò a ribellarsi chontro all'anima; onde Adam innanzi che pechasse e contro al suo signiore si levasse poteva non morire e non pecchare, ebbe poscia neciessità di morire e di pechare. E per questo ài che il pecchato orriginale è privatione e charenza della orriginale giustitia con debito d'averla.
L. I, pt. 1, cap. 9bAlla sechonda interrogatione, in che modo ai citoli è inputato questo peccato a ppena per diritto giudicio di Dio, rispondo che lla giustitia di Dio adimanda che sechondo ch'è doppio pecchato chosì è doppia pena rispondente ad esso: è pecchato orriginale e attuale, e così è pena di danno e pena di senso e di cociore; la pena del danno, cioè la privatione di vita etterna, è per lo pecchato orriginale, risponde a llui; la pena del senso è per lo pecchato attuale. Alchuno sono solo puniti di pena di danno, che non ànno altra pena di senso se non che sono privati della gloria di Dio; alchuni si ànno pena di danno e pena di senso, choloro che sopra l'orriginale pecchato altre pecchata attuali ànno conmesse. Queste due pene sono diverse, ché qualunque pena di senso à pena di danno, che inpossibile è che alchuna persona veggia la faccia di Dio nella quale è ogni dilettatione e possa ricievere alchuna pena di senso, ma lla pena di danno puote essere sanza pena di senso, e puossi chosì dimostrare: dannifichare alchuna persona è di privarlo d'alchuno bene; quello bene ond'è privato o è naturale overo sopranaturale: se noi avemo pena di danno inperciò che semo privati d'alchuno naturale bene, manifesto è che colla pena del danno seghuita la pena del senso, cioè trestitia e dolore; ma sse nnoi semo privati d'alchuno sopranaturale bene mai a ttale danno non seghuita la pena del senso, inperciò che fatua chosa è tristarsi l'uomo della privatione d'alchuno bene il quale dalla sua natura non puote avere: manifesto è che sechondo la nostra natura non si confà a nnoi di volere se non chonvenevole cosa, e se ci atristiamo se volare non potemo; e così quella orriginale giustitia la quale necciessariamente si domandava alla nostra salute era gratia sopranaturale, e inperciò i citoli che passano choll'orriginale pecchato ànno solo la pena del danno e non quella del senso inperò che vegono quella gratia essere sopranaturale. Veduto chome la pena del danno è separata da quella del senso, leggiermente si puote vedere come giusto giudicio l'orriginale pecchato ai citolini è inputato a pena di danno e non di senso, che quanto alla pena di senso il figliuolo non porta la inniquità del padre, sechondo che detto è, ma quanto alla pena del danno sì, massimamente se 'l danno è privatione del bene sopranaturale. E vedemo per essempro: se voi conciedeste un podere a uno vostro fedele, el quale per succiessione ereditaria e ' figliuoli debbano possedere, se questo fedele venisse inchontro ad voi manifesto è che giusta cosa saria che lli tolleste il podere, el quale essendogli tolto e ' figliuoli ne sono privati; nulla ingiustitia si fa a' figliuoli, inperò che 'l podere non fu dato a lloro ma al padre, il quale pecchando giustamente i figliuoli di ciò inchorrono in danno di perdere il podere. Così a simile la giustitia orriginale liberamente fu concieduta a Adam, lo quale dovia possedere, e i figliuoli disciendenti da esso; e inperò noi figliuoli d'Adam, per la prevaricatione e pecchato del padre|| nostro levandosi contra Dio, semo privati d'essa iustitia: nulla iniuria nui si face, ke non fo data a noi ma al nostro primo padre; e così Dio non ce fa iniuria ke non ce tolle bene naturale ma sopranaturale, lo quale per sua gratia dide al primo parente.
L. I, pt. 1, cap. 9cInella terça parte seguita una amirabile questione: con ciò sia cosa ke ognie peccato, secondo k'è rasgione di colpa, ène volontario, ke se volontario non ène secondo ke dice sancto Agustino non àne rasgione di peccato né dia seguitare ad esso punitione, come questa originale colpa, con ciò sia cosa ke non per volontate ma per neccessità si conmette e permette, quanto a' citoli àne rasgione de peccato e de punitione? Respondo: a questa questione vale lo exemplo dato di sopra del vostro fedele ke, s'elli fa contra voi, iusto iudicio è punito del podere, lo quale tolto a lui sonne privati e i figlioli. Ki ademanda in che modo sono privati e i figlioli d'esso podere, respondo: questi figlioli in doi modi se possono considerare; primo, in quanto sono persone spetiali per sé e in questo modo non sono puniti né confàllise a loro la heredità; secondo, in quanto sono figlioli e membra del vostro fedele et inperò non se considera la voluntà del peccato di costoro ma la volontà del padre per ke ne sono puniti. Così a simile Dio, secondo k'è decto, ad Adam concedette in gratia la originale iustitia, (et) facendo incontra al Signore folli tolta, e così fo tolta ai figlioli, non in quanto sono persone in sé ma in quanto sono figlioli (et) membra d'esso Adam; onde qui non s'adimanda la volontà de li figlioli ma la volontà del padre, innel quale tutti semo peccatori in quanto semo sue membra. E questo dice l'apostolo sancto Paulo: «Per uno homo el peccato entrò in ogne homo, (et) per lo peccato morte».
L. I, pt. 1, cap. 9dA la quarta questione proposta, come (et) in che modo la carne maculata soçça l'anima innel nascimento, (et) dite: "Dio manda l'anima pura (et) necta, sì ke da Dio né da l'anima non vene; dai primi parenti non pare ke venga, ké inpossibile cosa ène ogne homo che nascie fusse innello primo homo; dai proximi parenti non pare che venga, cioè dal padre e da la madre, inperò ke manifesta cosa ène ke veruna persona non pò dare quello ke non àne, e alcuno padre e madre sono baptiçati e così non àno peccato originale e se no· ll'àno no 'l possono dare ai filioli; dumqua in ke modo intra loro (et) innell'anima el peccato originale?", respondo ke in questa questione sono molte questioni. (Et) acciò ke ogni dubitatione se tolla devete sapere, secondo ke decto è, el peccato originale è privatione de la originale iustitia con debito d'averla, unde se Adam fusse stato dericto al suo signore e i figlioli nati de lui sirieno nati innocenti sença libidine, ma esso peccato perdeo quella iustitia e così e i figlioli naquero e nascono in peccato, cioè in ardore e desiderio inmoderato (et) libidinoso inperò ke non à in sé la originale iustitia, la quale avia a scaciare ognie ardore e movimento libidinoso. Se me dite "Io non veggio como venga e como sia palese el peccato originale per li parenti baptiçati", respondo ke a l'omo se confà due generationi, l'una naturale, per la quale riceve la essentia de la natura, e l'altra baptisimale, per la quale receve dono e la essentia di gratia; unde el padre generando genera secondo k'è carnalmente nato, non secondo k'è per baptesmo renato, secondo ke l'omo circuncisio genera el figliuolo non circhunciso, e sechondo che 'l grano della lolla purghato gienera il grano vestito, chosì il padre battezato e dall'orriginale pecchato mondato gienera il figliuolo da l'originale peccato non mondato, inperò ke la generatione dal padre al figliolo ène naturale, non spirituale. E questo dice l'apostolo: «Omnes nascimur filii ire», cioè 'tutti nascemo filiuoli de l'ira', cioè el peccato. E così l'anima congiunta con la carne libidinosa conceputa in ardore inmoderato de luxuria ène in peccato originale, ke se vi fosse la originale iustitia, secondo ke decto ène, non vi sirea el movimento inmoderato e ardente a libidine. Quanto a quello ke s'adimandava, come la carne soçça l'anima, con ciò sia cosa ke quella sia corporale e questa spirituale (et) cosa spirituale toccare non se puote da la corporale, respondo ke alcuna cosa se puote laidire e soççare in doi modi, o per appositione d'alcuna soççura overo per remotione d'alcuna belleçça, sì che manifesto ène in alcuna dipentura ke se puote laidire se si soçça de loto overo se lli se moçça el naso o altro membro; e così questa infectione nonn è per appositione d'alcuna turpitudine ma ène per subtractione d'alcuna belleçça, cioè la originale iustitia ke sirea ornamento e belleça de l'anima se l'avesse. Dumqua non è mistieri ke la nostra carne fusse in Adam, overo ke la sua sia in noi: assai basta solo ke 'l nascimento sia conceptione libidinosa acciò ke sia el peccato originale, (et) ène per subtractione e non per apositione, secondo ke decto ène.
L. I, pt. 1, cap. 9eDecto come el peccato originale macula l'anima, è da vedere innella quinta parte come se demecte e perdona innel baptesmo, innella quale se move una altissima questione; ène questa: se 'l peccato originale se perdona (et) demecte innel baptesmo, (et) per lo peccato originale avemo abilità (et) inchinatione a peccato, ke in altro nome se chiama concupiscentia, per ke modo, essendo demesso et lavato innel baptesmo, avemo abilità a peccare? Dumqua non pare ke per lo baptesmo se parta el peccato orriginale. Respondo ke, secondo ke decto ène, el peccato originale ène carentia (et) privatione de la originale iustitia con debito d'averla: Dio kosì ordinò, ogni persona ke salvare se dovesse neccessariamente dovesse avere la originale iustitia; sì ke l'omo peccando questa iustitia neccessaria a salute perdeo (et) essa perduta non la poteo dare a noi. E vedendo Dio ke noi eravamo dampnati per sua misericordia venne (et) trovò un altro modo di salvare ke non fu originale iustitia, e questo fu el baptesmo: innel quale non se demecte l'originale peccato, lo quale ène privatione de la originale iustitia con debito d'averlla, che se questo fusse se sirea neccessariamente restituto a noi la originale iustitia, e così nullo avaria abilità né inchinatione mai a peccato; ma è demesso a noi ello baptesmo el debito e la neccessità d'aver la originale iustitia, ke ora per altro modo ke per la original iustitia potemo avere salute, ke inançe che 'l baptesmo fusse da Cristo ordinato non se potiva. E così avete ke non si perdona che non aviamo la originale iustitia, ma solo el debito d'averla: non semo tenuti più d'averla.
L. I, pt. 1, cap. 9fLa sexta questione ke si move, come se confà a Dio l'anima sì nobile lasarla maculare dal corpo, respondo ke questo non ène altro a dire se non che null'omo nascesse, ke secondo k'ène demostrato ke se nascesse neccessariamente nascie con peccato. Come a lui se confacea ke così sia potemo provare per tre rasgione, secondo ke in tre modi l'omo se puote considerare. Primo, si considera l'omo in quanto è padre de tutto l'oniverso mondo, (et) così considerato ène alcuno bene universale, unde se l'omo non nascesse a l'università si tolliarea grande bene e perfectione: (et) inperò k'è molto grande el dolore de l'università confàssi al principe de permectare alcuno particulare male acciò ke non se inpedementissca lo universale bene, (et), inperò ke grande sirea el dolore de l'universo de l'umana natura se non fosse, ke non si confà a la divina bontà inpedimentire la generatione humana, quanto vole no si possa fare ke l'anima non si metta nel corpo maculato. Secondo, se puote considerare l'omo in quanto spetie per sé, e così è bene spetiale; li homini nascono peccatori: Dio mosso da pietade ordenò de mandare el suo Figliolo sanctissimo in natura humana, per lo quale la natura humana recevette grande honore e grande hornamento ke Dio come homo è Dio, e però semo apellati "filiuoli de Dio" ke inprima eravamo apellati "filioli de ira", secondo che dice l'apostolo; domqua puoi ke Dio in tale modo provedette di salvare confàsse a lui di creare. Tertio, puotesi considerare l'omo secondo k'è spetiale persona in sé, e così è bene personale (et) particulare; unde essi homini particulari recevono molte gratie dal nostro redemptore e molti doni, maximamente paradiso k'è bene infinito, e se alcuno non receve el decto bene questo ène per sua propria malitia, (et) perciò non se dia inpedimentire la gieneratione humana k'ella non si faccia secondo ogne gente per alcuno ke sia rio, come non sirea convenevole empendementire la pluvia, k'è facta a fare nascere universalmente el seme ke sono in terra, per alcuna massa de grano ke sia in alcuna aia. E cusì sono manifeste le vj questioni facte del peccato originale.
L. I, pt. 1, cap. 10Declarato a voi el peccato originale, innel quale tractato odendo voi ke Dio mandò el Figliolo a salvarci subsequentemente moveste un'altra non piccola questione e diceste: "Perké venne più el Filiolo ke 'l Padre overo de lo Spirtu Sancto?". Respondo per tre rasgioni: la prima se prende considerando la materia e la forma la quale dovia prenndere, la seconda considerando incontra cui dovia venire, la terça considerando el respecto da cui ebbe a venire. La prima via se prende considerando la forma e lla materia che dovia prendere a venire, cioè la materia e forma humana: diase considerare ke non potia prendere drictamente carne humana ke non fosse filiolo de femena, unde se fusse venuto altra persona de la Trinità ke 'l Figliolo sierieno stati inella Trinità diversi figlioli, ke sirea stato sconvenevole. La seconda via se puote vedere considerando incontra cui venia: sapete ke venia incontra el diavolo, ke per sapientia ingannò ei primi nostri parenti, e così fo degna cosa ke venisse el Filiolo de Dio, k'è decta sapientia, in forma d'omo ke ingannasse el diavolo. E questo dice sancto Gregorio in lo Ymno de la passione, in lo verso ke dice «Hoc opus nostre salutis ordo depoposcerat», (et) innel Prefatio de la croce ke dice «Et qui in ligno vincebat». La terça ène considerando el respecto c'àne el Filiolo al Padre e a lo Spirto Sancto; al Padre ène apropriata potença, a lo Spirto Sancto benignità, al Filiolo sapiença: la potença vorrea tutta iustitia, la benignità tutta misericordia, la sapientia tene el meçço refrenando la iustitia e la misericordia, e quello che mette pace infra doi dia essare meçço, però fo convenevole ke venisse el Figliolo a mectare pace infra l'omo (et) Dio. E questo dice l'apostolo: «Infra Dio e l'omo s'è mediatore», (id est) el meçço homo Cristo (Iesù).
L. I, pt. 1, cap. 11Manifesto a voi come fu degna cosa che 'l Figliolo venisse (et) no 'l Padre né lo Spirto Sancto, formaste sopra de Cristo un sotile argomento e diceste: "El Figliolo de Dio prese carne humana e presela in magiure unitate che non ène infra l'anima e 'l corpo", e provastelo in questo modo: quanto ke l'anima coniunga el corpo non sono però sì una cosa ke l'uno se chiami per l'altro, però ke non se puote dire el corpo "anima" né anima "corpo"; ma la congiuntione del Figliolo de Dio fue tanta colla humanitade ke Dio ène decto "homo" (et) homo "Dio": non si puote domqua trovare magiure coniuntione. Domqua, se l'omo peccò per una inobediença, Dio (et) homo pothia satisfare per una obedientia, ke in Cristo era Dio ke satisfacesse a Dio (et) era homo ke satisfaccìa per l'omo. (Et) diceste: "Se tu me dice ke al peccato seguita pena, (et) così fo mestieri ke alcuna pena patisse, non bastava el sangue e 'l dolore de la circoncisione, overo patire un poco altra pena, per satisfacimento de quello peccato?" Respondo ke alcuni dicono ke Cristo avendo vera carne humana era mestieri k'ei morisse per la sententia ke Dio dede al primo homo, la quale gionse (et) observòsse a tutti li homini, quando disse «Qualunke ora ne mangiarai tu morrai». Questa consideratione non pare a me ch'abia loco in Cristo per due rasgione: l'una si è ch'elli non ebbe in sé peccato originale, (et) però avea in sé la originale iustitia per la quale potiva non morire e non peccare, secondo ke decto è de sopra innel primo capitolo del peccato originale; (et) l'altra, de quella sententia non se intendia in lui, essendo Dio (et) non essendo de la corruptione de la massa del primo parente. (Et) inperò credo ke non fusse neccessità ma volontà tanta pena (et) sì crudele morte, e spragere tutto el suo sangue per noi. (Et) potemo dire ch'elli el facesse per tre rasgioni. La prima ène a demostrare el grande amore ch'ebbe a noi acciò ke noi l'aviamo a lui, ke ce amò più che 'l suo corpo, lo quale pose a tormento per noi, e più ke la sua anima, la quale mise fore del corpo per noi, (et) inperò dice sancto Iohanni innel Vangelio «Nulla persona à magiure amore e caritade di colui ke pone el corpo a la morte per lo suo amico»; amònne più che la madre sua, la quale lassò dolorosa: per noi tutto 'l fece acciò ke noi molto amiamo lui. La seconda rasgione fue che volse morire per noi acciò ke noi non dubitassemo de morire e de spragere el nostro sangue se fosse mestieri per lui: sappìa bene ke doviano venire molti tiranni (et) perseguitatori de la fede a dare morte e tormento ai sancti, e questo dice sancto Agustino innel sermone ke se leggie a li sancti martiri doppo la Pascua, e dice «Ei martiri non temettaro di morire però k'esso Cristo inançi morio per loro». La terça rasgione fue più efficace: ène la reconperatione de la pena de le nostre peccata, ke sono facte e che se farano; ki è quello homo ke potesse fare dengna penitentia de le sue peccata in questo mondo e in purgatorio se non se demettesse per la passione di Cristo? El sangue di Cristo ène el tesoro lassato a la ecclesia de Dio per lo quale avemo le indulgentie e le misericordie, ke non semo puniti secondo ei peccati; unde secondo ke dice sancto Gregorio «qui mortem nostram moriendo destruxit», cioè 'esso morendo destruxe la morte nostra' del peccato. E però è manifesto perch'ei volse morire e spargiare el suo sangue per noi.
L. I, pt. 1, cap. 12Non sença grande casgione sadisfacto a voi de la morte di Cristo adomandaste de la resurrectione dicendo: "Com'è vero ke Cristo stesse tre dì morto, con ciò sia cosa ch'elli non stesse se non xl hore, ke sono un die naturale e le doi parti de l'altro, e tre dì ànno lxxij ore?". Respondo: la Scriptura non dice k'elli stesse tre die ma dice «el terço die resuscitò», e prendese parte per tutto: elli morio el venardì innella nona, dumqua venardì uno, sabbato doi (et) dominica tre, conpiuta la prima hora resuscitò; e così è vero ke innel terço die resuscitò. A questo faite vostre allecascioni (et) dite così: "Io te provo ke Cristo devia stare morto tre die e tre nocti e così non sirà vera la tua solutione, la quale ài decta di sopra". E dite in questo modo: "Dio dice innel Guangnelo «Secondo ke Iona propheta stecte inel ventre del pescie ceto tre die e tre nocti, così el Filgliuolo de l'omo», cioè de la Vergene Maria, «starà enel core de la terra»; dumqua vi stette tre dì e tre nocti, overo ch'elli non disse vero: falso è de dire ch'elli non disse vero, con ciò sia cosa ch'elli sia somma verità, domqua stette tre die. Io questi tre die e tre nocti non veggio per quello k'è dicto, e se altro' rascione non veggio". Respondo: voi sete sì articolosi e sotili ke altra sapientia se vorria ke la mia a sadisfarve; tutta fiada ò inpreso a respondarvi, secondo ch'io so vi responderò. Adomandate ove sono questi tre die e tre nocti ke disse Dio ke staria innel core de la terra come Iona innel corpo del pescie, e dite "Dei tre die alcuna cosa veggio, ke se prende parte per tutto; ma de le tre nocti non veggio". A cciò respondo: se noi consideramo ke è la nocte e che è el dì voi trovarete vera ciascuna cosa ke dicta ène. La nocte è privatione overo absentia de la naturale luce, cioè del sole, (et) el die ène la presentia d'essa luce; unde Cristo quando fue morto e 'l sole obscurò, e stette obscurato per tre hore, (et) in tanto fue nocte k'erano tenebre sopra la terra: e così ài una nocte; reluminòsse innella nona e fue die: ài una nocte e uno die; e la nocte e 'l die del sabbato e la nocte de la dominica: e così avete tre nocti; innel terço die resuscitò, (id est) in la dominica.
L. I, pt. 1, cap. 13In ultimo loco de Dio adimandaste, con ciò sia cosa ke l'opere de la Trinità siano indivise, perké dumqua al Padre è apropriato potentia, al Filgliuolo sapientia e a lo Spirtu Sancto benivolentia. Respondo: in Dio ène ongne cosa perfectissima e a demostrare questa perfectione sono poste queste propietade; el padre a le fiade per vecchieçça sole essere debele e 'l filgliuolo forte: a removare questo defecto da Dio atribuimo al Padre la potença; el filgliuolo sole essere semplice per la non experiença e stolto per la calideçça del sangue e d'altri homori: a removare questo defecto in Dio atribuimo al Filgliuolo sapiença; alcuna fiada suole essere infra el padre e 'l filgliuolo diverse voluntade e malavolença: a removare questo defecto in Dio apropriamo a lo Spirto Sancto benivolença, tutte tre persone volliono una cosa. E queste cose de Dio decte bastino.
L. I, pt. 2Decto innella prima parte del libro de Dio, k'è secondo k'è di primo principio, tractaremo in questa parte de li angioli. E inprima, demandaste ke ène l'angelo in sua natura; secondo, adomandaste se ello è conposto di materia e di forma; tertio, se ello como dicono alcun phylosofo ène rationale; quarto, se ello se move secondo loco continuo; quinto, se infra essi ène differentia individuale o spetiale; sexto, a ke li angioli fuoro fatti.
L. I, pt. 2, cap. 1Adimandaste inprima ke è angelo secondo sua natura. Respondo e dico ke ène spirto (et) è creatura intellectuale: in quanto ke dice "spirto" manifesta la sinplicitade secondo k'è l'essere ke àne, inperò ke in sé non àne conpositione di materia e di forma come l'omo k'è conposto d'anima e de corpo; in quanto ke dice "intellectuale" demostra la sapientia innata in loro ke sença meçço di tempo ongne cosa intendono (et) cognoscono.
L. I, pt. 2, cap. 2Per quello k'io abbo dicto de sopra moveste vostra questione e diceste ke pare, secondo el decto d'alcuni savi, ke li angioli siano conposti di materia e di forma, e allegaste el decto de Boetio lo quale dice, secondo c'avete inteso dai savi, ke Aristotile lassando l'estremitade, cioè materia e forma per sé prendendosi, tractò del meçço, cioè del conposto di questi due, tractando de la sustantia; domqua e ll'angelo, lo quale ène in predicamento di sustantia, inperciò ke ène substantia è conposto di materia e forma. Respondo ke l'angelo non è conposto di materia e forma, e questo si puote provare sì per la intellectualitade sì per la incorporalitade: nullo intellectuale e incorporale ène materiale, e questa ène la comune oppinione dei phylosofi, li quali pongono le sustantie sopracelestiale separate da ongne materia. A quello ke dice Boetio respondo ke Boetio non pone ke ongne substantia sia conposta di materia e forma, ma dice ke de queste tre, cioè materia e forma e (con)positio: conposito di questi due, di materia (et) forma, ène spetie di substantia; non nega perciò ke alcuna essentia ke non abbia tal conpositione di materia e forma non possa essere substantia: bene abisongna ke abbia alcuna conpositione, secondo k'ène innelli angioli de essentia (et) essere, overo de potença (et) d'atto, ké ongne cosa ke trae suo principio da altri, quanto vole sia corpo spirituale, àne tale conpositione; (et) inperciò Dio non se inchiude in predicamento di substantia, ke nulla conpositione in lui si truova, k'elli ène victualissimo.
L. I, pt. 2, cap. 3Moveste subsequentemente una grande questione, se l'angelo ène rationale, (et) argomentando diciavate ke sì (et) provavate per auctoritade de phylosofi (et) per rascione. Per auctoritade in questo modo, ke Plato, secondo c'avete inteso, dice ke li demonia sono secondo la mente rationali, dunque e li angeli similmente sono rationali; (et) Porphyrio dice ke noi e li angioli semo rationali, posta in noi questa differentia, la quale ène mortale: separa noi da loro ke noi semo mortali (et) essi inmortali. Dumqua li angioli sono rationali. Per rasgione è manifesto, ke s'elli non sono rationali dumqua sono inrationali: se è falso, stolta cosa ène a dire ke essi siano inrationali, domqua sono rationali. Respondo ke l'angelo non ène rationale, e ke non sia rationale potemo mostrare per tre vie. La prima via ène considerando l'anemale, lo quale se divide per rationale (et) inrationale: inperciò ke ongne cosa k'è rationale ène anemale e ongne anemale è corporale, e così se fosse rationale necessariamente siria corporale e materiale; ma questo è falso, domqua non ène rationale. La seconda via per la quale se demostra ke non è rationale ène considerando ke cosa ène rationale in sé, ke non è altro ke virtude intellectiva discursiva d'alcuni principii ad alcuna conclusione vera descendente d'alcuni principii veri: la virtude rationale non conoscie overo intende incontenente quello ke vole intendare, con ciò sia cosa ke sia mestieri de trovarlo per principii sì che intenda l'una cosa per l'altra, e così è mestiere ke vi sia alcun discorso, e così viene alcun tempo in meçço; l'angelo quando vole alcuna cosa conosciare non la va investigando e cercando per principii ma incontenente sença alcun discorso conoscie e i principii e quello ke seguita dai principii, cioè la conclusione, e sença meçço di tempo. E così non possono essere rationali propriamente. La terça via ke non sieno rationali se prende considerando l'angelo in sé. L'angelo è substantia separata da ongne materia, non abisongna corpo per lo quale se sostenti, non abisongna corpo né fantasie al suo intendare acciò ke intenda secondo la sua scientia, come abisongna a lo intellecto humano lo quale ène rationale: essi angeli insieme intendono ongni cosa quasi come Dio, (et) inperciò iustamente sono vocati intellectuali, ke ongne cosa sença discurso o altro adiutorio de fantasie intendono; questo non àne chi ène rationale, dumqua l'angelo non è rationale. A l'argomento respondo che i sopradecti phylosofi errano se propriamente posaro "rationale". Al secondo dico ke non seguita ke, se non è rationale, ke sia inrationale, ke puote essere né rationale né inrationale inperciò ke è intellectuale, ke non è rationale né inrationale; non è vero ke ongne cosa ke non vede sia ceca, ké la petra non vede né non è perciò ceca, che quella cosa è cieca k'à natura a vedere e non vede: l'angelo non à natura d'essere rationale ma intellectuale, et inperciò non ène inrationale, ke ène contrario a rationale, ké non è actu a natura rationale.
L. I, pt. 2, cap. 4Dimandò la vostra prudentia se l'angelo se move secondo loco continuo, (et) provavate ke sì in questo modo: ongne cosa ke ène in alcuno loco, se si move, localmente se move, e secondo la continuitade e la grandeçça e la longheçça del loco serà la continuitade e la grandeçça e la longheçça del movimento, come se vede manifestamente ad occhi. Dumqua l'angelo stando in loco et movendosi del loco movaràsse secondo loco continuo, o per aere o per terra continua. Respondo ke l'angelo non se move secondo loco continuo inperciò k'ène innel loco secondo contacto di vertude, sì che 'l movimento de l'angelo d'alcun loco non è altro ke diversi toccamenti de diversi locora successivi, (et) non è insieme inperciò ke non puote insieme essere in diversi locora; nonn è mestieri ke questi contacti siano continui, unde à potentia l'angelo per sua vertude ora essere in Roma (et) incontenente essere in Parisgi, e 'l movimento non serà continuo secondo loco. A l'argomento k'è detto di sopra respondo ke l'angelo ène innel loco non secondo k'è cosa materiata e mensurata del loco ma magiurmente ke esso contene el loco, (et) inperciò movimento de l'angelo innel loco non è mestieri ke se mensuri dal loco ma ène movimento non continuo; quello ke fo decto di sopra se intende d'alcuna cosa corporale mensurata e mantenuta dal loco.
L. I, pt. 2, cap. 5Voleste anco la vostra mente exercitare a magiur sotilitade volendo sapere se l'uno angelo è diviso da l'altro secondo individuale substantia, come ène uno homo da l'altro ke sono una cosa in spetie, ke tutti semo homo, overo ke uno angelo sia diviso da l'altro secondo specificata divisione, come l'omo dal leone ke sono diverse spetie. Respondo ke de veritade ène diviso l'uno angelo da l'altro secondo spetie como l'omo è diviso dal leone (et) secondo k'è divisa l'una spetie da l'altra. E questa cosa a demostrare ène assai legiera, chi lla vole sotilmente vedere, sì per la inmaterialitade, ké elli non ànno materia, sì per la incorporalitade, ké non ànno corpo con ciò sia cosa ch'ei sieno inmateriali: e nulla natura se multiplica in loro secondo numero se nnon ène secondo la diversitade de la materia, che veruno homo è diviso da l'altro se non è secondo la diversitade de la materia, overo de la carne. È mestieri ke quella natura la quale ène per ongne modo semplice, cioè sença alcuna materiale conpositione non receputa in alcuna materia, sia tanto una, unde qualunque cosa ène fuore de lei ène diversa natura da essa inperciò k'ène diversitate formale e non materiale, e questa diversitate ène diversitate de spetie. Ancora, la diversitate de li individui, cioè ke uno homo è diverso da l'altro e uno lione da l'altro, ène a conservare la spetie, unde innelle corpora incorruptibili no è se no uno individuo de una spetie, come se mostra innel sole (et) in la luna: (et) li angioli sono incorporali (et) incorruptibili, domqua non sono diversi angeli d'una spetie ma ciascuno ène spetie per sé.
L. I, pt. 2, cap. 6Nella ultima parte del tractato de li angioli ademandaste perké fuoro facti li angeli. Respondo: a contemplare e laudare el Signore, e di ciò dice sancto Gregorio «Incessabili voce proclamant: "Sanctus, sanctus, sanctus dominus Deus sabaoth. Pleni sunt celi et terra gloria tua. Osanna in excelsis"»; (et) in tanto sono decti tutti spiriti. Secondo, fuoro facti ad anuntiare e noi guardare e demostrare la voluntà de Dio, secondo ke se truova scripto per li sancti doctori (et) per Daniel propheta (et) per altri sancti; e però sono decti "angeli", cioè 'messaggi', unde "angelo" ène nome d'offitio e non de natura, come dice sancto Gregorio. E così sono manifeste quelle vj cose ke de l'angelo s'ademandavano, avengna ke alcune cose magiurmente sono da lassare ke de cercare per la loro sotilità, k'è molto dura cosa a manifestare sì brevemente in vulgare de sì alte cose le quali trapassano la nostra capacità.
L. I, pt. 3Decto de sopra de Dio (et) de li angioli è da dire de le corpora (et) anime beate. Et avengna ke molte cose de loro se possano dire a vostra utilità e acrescimento de desiderio el quale avete de venire a quella somma nobilità e beatitudine, solo diremo de viij dote de le quali sono dotati li sancti e li omini iusti in vita eterna. Per la qual cosa dovete sapere ke quatro sono le dote de l'anima e quatro sono quelle del corpo.
L. I, pt. 3, cap. 1La prima dota de l'anima ène la visione essentiale de Dio, inperciò ke l'anime beate vegono Dio essentialmente como ène. E a questo diceste ke paria a voi ke non fosse opo, per quello ke fo decto de sopra innel tractato de Dio: decto fue ke Dio era inconprehensibile (et) infinito, la cosa k'è inconprehensibile non se può conprendare secondo tutto el suo essere, e così non pare ke si possa conprendare de l'anima; ancora, quello k'ène infinito non si puote conprendare da cosa finita, Dio ène infinito e l'anima finita, non pare ke sia vero ke si possa conprendare de l'anima secondo k'è decto di sopra. Respondo k'a Dio nulla cosa ène inpossibile: avengna ke sia inpossibile questo a l'anima per sua natura, non è inpossibile a Dio de farlo per gratia, (et) inperciò se chiama dota, ke non l'à per natura ançi per gratia. E questo dice sancto Iohanni: «Vedaremo Dio secondo k'elli ène», e l'apostolo dice «acciò ke voi possiate conprendare con tutti ei sancti la longitudine, la letitudine e la profundità de Dio», cioè quanto a la divinità. E così ène a l'argomento resposto ke voi faceste, ke veiro ène ke Dio per nostra natura né potentia non se puote perfectamente vedere, ma per sua potentia, vertude e gratia sì. Overo secondo alcuni ke si puote respondare ke l'anime el vegono quanto è la lor natura in potença di poterlo vedere. Ma da tenere ène per fermo ke natura non siria sufficiente sença gratia.
L. I, pt. 3, cap. 2La seconda dota de l'anima ène recepimento de Dio per nostra mercede: questo ène el denaio dato ai lavoratori ke lavorano ella vingna de la penitença, ke a ciascuno se dà uno denaio. Unde questo è diviso da quella dota decta de sopra inperciò ke altra cosa ène vedere e altra cosa è avere, unde l'anime non solamente el vegono ma vegolo e ànnolo per loro mercede. E questo dice l'apostolo: «Sì corriate ke lo prendiate». Sopra questa auctorità de l'apostolo faceste una questione e diceste: "L'apostolo dice «de coloro ke corrono al palio tutti corrono ma uno è quelli ke prende: sì corriate ke 'l prendiate»; domqua solo uno ène ke si salva e non più, como ène uno quelli ke prende el palio, overo questa ène mala similitudine; ma essendo decto da l'apostolo è bona similitudine, domqua uno tanto se salva: questo ancora è falso, domqua come stane?". Respondo ke ongne fede corre al palio inperciò ke ongne fede se crede salvare e prendare Dio, ma una sola, cioè la fede cristiana prende el palio. Et inperciò dice, con ciò sia cosa k'è la nostra fede k'è una somma fede, «sì corriate» per essa «ke 'l prendiate» questo palio, cioè Dio, ke ène nostra mercede. Una è la fede cristiana e molti sono in essa fede, e così è vera la similitudine de l'apostolo.
L. I, pt. 3, cap. 3La terça dota ène usare Dio, cioè ke in lui ne delectaremo secondo ke in cosa sopra ke dire se possa delectevole. E questa è diversa da l'altre, ké l'uomo pote vedere (et) tenere alcuna cosa e in essa non si delecta, ma in esso avaremo somma e sempiterna delectatione. Ciò è ke dice sancto Iob: «In tanto tu serai ripieno tutto d'allegreçça (et) de delitie sopra l'onnipotente Dio».
L. I, pt. 3, cap. 4La quarta dota de l'anima ène el perfecto conoscimento, ke vedendo Dio, avendolo e delectandone in lui averemo perfecto conoscimento d'ongne cosa; unde Dio ène come lo specchio innel quale ongne cosa se vede: secondo ke l'omo vede in lo specchio ongne cosa k'è innançi a lo specchio, così l'anima sguardando a Dio ongne cosa conoscie. E questo dice sancto Augustino: «Ke cosa ène ke non vegha quelli lo quale stane innançi a colui c'ongne cosa vede?», cioè nulla, però c'ongne cosa vede e conosce. E sancto Gregorio dice «L'anima ch'àne la clarità de Dio in sé nulla cosa si fane de la quale non abbia conoscimento». Decto de le quattro dote de l'anima, k'è più nobile che 'l corpo, dirò de le quattro dote del corpo.
L. I, pt. 3, cap. 5La prima dota del corpo glorificato ène la inpassibilità (et) incorruptione (et) inmortalità: mai non sostiene nulla passione né corruptione né morte. Unde dice sancto Iohanni inelle Apocalipsi ke «Dio da li occhi dei sancti à tolto ongne lacrima (et) non sirà più a loro né pianto né lamento né veruno dolore». De li altri dice l'apostolo: «È mestieri questo corpo corruptibile ke si vesta de incorruptione, (et) questo corpo mortale se vesta de inmortalità». E così è manifesto de la prima dota.
L. I, pt. 3, cap. 6La seconda dota ène la clarità, ké le corpora de tutti li iusti sono chiari como el sole. E questo dice Cristo in lo Vangelio di sancto Matheo: «Li iusti siranno chiari e splendidi come el sole in lo regno del mio padre». E così è manifesto de la seconda dota.
L. I, pt. 3, cap. 7La terça dota ène la legiereçça, per la quale porrano essere due vorrano. E questo se truova inello libro de la Sapiença: «Secondo ke le lute, overo scintille del fuoco, vano discurrendo per loro legiereçça, cusì li iusti sirano legieri». De li quali se maravilglia la Scriptura e dice «Ki sono questi ke volano como nuvoli per l'aire?», quasi dica "Questo ène de mirabile legiereçça".
L. I, pt. 3, cap. 8La quarta dota del corpo serà la sotilità, per la quale porrano passare ongne cosa ke vorrano. Ciò è ke dice l'apostolo: «Semenase el corpo anemale e resuscitarà corpo spirituale», cioè come el seme così el corpo nostro se mette sotto terra (et) enfracida e resurgerà sotilissimo.
L. I, pt. 3, capp. 5-8Tutte quattro queste dote se possono provare per lo decto de l'apostolo, el quale dice «Noi aspectamo el salvatore domino (Iesù) Cristo, lo quale reformarà el corpo de la nostra humelità configurato (et) assimelgliato al corpo de la sua clarità», cioè ch'a la resurrectione trasformarà li corpora beati a la similitudine del suo: ma al suo corpo trovamo queste quattro cose, dumqua le corpora beati l'avarano. De la prima, cioè de la incorruptione (et) inmortalità, dice sancto Pietro «Cristo resuscitante de la morte già non morrà più e non lo signoreggiarà più morte». Del secondo fue manifesto in la sua trasfiguratione in monte Thabor, ke la sua faccia era splendida e lucente como el sole, como se leggie in lo Vangelio de sancto Matheo. De la terça dota si è manifesto quando andava sopra el mare sença nave, (et) quando per sé andò in cielo inell'ascensione, come se leggie enelli Atti de li Apostoli. De la quarta è manifesto quando intrava doppo la resurrectione ai desciepoli inella casa loro essendo l'uscia chiuse, como se leggie in lo Evangelio; e quando uscio del monimento sugellato. Unde se Cristo reformarà le corpora beate a similitudine del suo, domqua avarano queste quattro predecte dote. E così sono manifeste brevemente le quattro dote del corpo, lassando le rasgioni e provando per auctorità de santi temendo k'a voi non desse tedio a udire. (Et) in questo se finiscie el primo tractato del libro.
L. IIDetto innella prima parte del libro de le tre cose principali ke s'ademandavano, ora seguita de dire in questo secondo tractato de li corpora celestiali. (Et) sì se divide in tre parti: in la prima parte se manifesta del cielo; in la seconda parte de certe planete celestiali; in la terça parte d'alcune inpressioni generate in questo nostro aere.
L. II, pt. 1De la prima parte s'adimanda se 'l cielo è animato, inperciò ke alcuni savi phylosofi questo dissaro in grande questione, (et) pare ke sì. E questo pongono molti phylosofi dei quali fue Anaxagora e tutti ei platonici, cioè coloro ke seguitaro la doctrina de Plato; (et) a questo credere el condussaro el continuo movimento ke àne. E de questa opinione fue el maestro ke fece el libro el quale presi ad esponere in vulgare, lo quale pone la nobilità de la forma, la sotilità de la materia, l'ornamento de la figura e 'l continuo movimento per lo quale se manifesta la sua continua vita: con ciò sia cosa che 'l corpo anemato è più nobile ke 'l non anemato, domqua el cielo per la sua nobilità e per tanta perfectione k'è decta de sopra (et) per lo continuo movimento ke àne ène animato; (et) s'è animato dumqu'è animale, però ke nulla cosa àne anima e movesi secondo loco ke non sia animale. Respondo e dico ke no è vero ke 'l cielo sia animato, e questo se puote provare per auctorità (et) per rascione. Per auctorità secondo ke pone manifestamente Damasceno k'ei non è animato. Per rascione se manifesta così: l'unione de l'anima e del corpo non è per casgione del corpo ma per l'anima; non è la forma per la materia ma la materia è per la forma, (et) el meno nobele ène per lo più nobile: la vertù de l'anima se conoscie per la sua operatione, e 'l corpo alcuna fiata se truova neccessario ad alcuna operatione de l'anima, secondo k'è manifesto innella operatione de l'anima sensitiva (et) nutritiva, unde è mestieri ke cotale anime siano unite al corpo a potere usare le loro operatione; alcuna operatione d'anima ène ke non s'aopera mediante el corpo avengna ke alcuno aiutorio ve dia a tale operatione, secondo ke per lo corpo a l'anima humana si dia le fantasie, le quale fantasie abisongna ad intendare, unde tale anima abisongna onire collo corpo a tale operatione de intendare usare. Unde manifesta cosa ène ke se 'l cielo avesse anima, tale anima non puote avere l'operatione de l'anima nutritiva, le quali sono nutrire, generare, acresciare: queste operationi non se convengono a corpo incorruptibile ma corruptibile. Semelgliantemente l'operatione de l'anima sensitiva a tale anima del cielo non si convengono inperciò ke, secondo ke dicie el filosofo, tutti ei sensi àno fondamento sopra el senso del tacto, lo quale ène aprehensivo de le qualitati elementali, e al minore organo sensitivo è mestieri ke abbia determinata proportione secondo alcuna conmistione d'elementi, da la quale natura de li elementi el cielo ène partito. Dumqua de l'operatione de l'anima non li si possono adactare se non doe, cioè el movare e lo intelligere. Lo apprehendare adomanda el senso e lo intellecto, qualunque di questi doi non àne non puote essere questa operatione; e 'l senso, secondo k'è decto, non àne, domqua non puote apprehendare; ancora, con ciò sia cosa ke la operatione intellectuale non se usi per corporale istrumento, non abisongna corpo se non in quanto per senso receve fantasia, e così per tale operatione al corpo celestiale anima non se uniria. Dumqua questo sirà per lo solo movimento. Ma alcuna cosa acciò ke se mova, non è necessario ke quello ke face movare se coniunga con essa secondo ke forma con materia, cioè come anima con corpo, ma per toccamento di vertude, secondo ke quello ke move a la cosa k'è mossa. E questo dice el phylosofo inel octavo libro de la Fisica, el quale dice ke, quando alcuna parte se congiunge coll'altra, ke la mova l'altra, ke ène per contacto di vertude; (et) in questo modo intendivano li filosofi platonici ke questa unione d'alcuna spirituale substantia con lo cielo fosse per contacto di vertude, e così non abisongna ke tale spirituale substantia sia unita con lo cielo como forma cum materia (et) anima colo nostro corpo, ke questi doi facciano uno tutto como de l'anima e del corpo se fa uno homo, como se dicia de sopra. (Et) così è manifesto che 'l cielo non è animato, co se ponia.
L. II, pt. 2Decto del cielo è da dire d'alcune planete, e prima, del sole; secondo, de la luna; terço, de le pianete universalmente.
L. II, pt. 2, cap. 1Del sole s'adimanda perké la via sua ène torta, ke per tempora muta corso secondo la tortuosità de la linea e strata unde passa. Responde maiestro Alardo ke se fusse la via del sole dricta sempre avaremmo una stagione, sempre siria o state o verno: e se fusse state nullo seme per la siccità nasciaria, con ciò sia cosa ke sia mestieri ke prima el seme mora ançi ke de lui nasca rampollo, se sempre fusse verno non se maturaria veruna cosa ke nascesse; dumqua, se fosse possibile a vivare, sopra ke dire se possa la vita de ciascheduno homo saria tediosa.
L. II, pt. 2, cap. 2Decto del sole è da dire de la luna, de la quale due cose s'adimandano.
L. II, pt. 2, cap. 2aPrima, perké la luna receve varietà, ke alcuna fiata è tonda, alcuna fiada è meçça, alcuna fiada viene a tanta soptilità ke a pena se vede: perké riceve altra passione ke l'altre stelle? È questo per natura de sua materia o ène per nostra utilità, o perké ène? A nostra utilità non pare ke sia, ke magiure delectatione avemo quando è lucida e tonda ke quando ène meçça. Responde maiestro Alardo e dice ke unde ke questa cosa sia, overo da materia overo per altra casgione, dovemo guardare al factore sommo, cioè Dio, lo quale, secondo ke dice el filosofo, a ciascuna sua opera dae fortuna (et) dispositione secondo ke se convene a quel fine a ke è facta; unde la luna essendo facta per noi in quello stato ke a noi ène più utile dia essere (et) variare: se ella fusse tonda averia proprio lume, se avesse el proprio lume averia el proprio foco, e se avesse el proprio foco averea nocevole ardore, (et) così ei fructi ke nascono sopra la terra arderieno tutte e seccarienosi tutte le fonti (et) la terra in polvare tornaria. Se 'l sole essendo in Cancro non adopera picciola seccità sopra la terra ma grande, ke faria la luna ke ongne mese lo corre questo sengno? Ongne mese seria ardore, e così grandissima destructione seguitaria a le cose create. Salva la reverença de questo maestro non à declarata la questione ke s'adimanda di sopra, ke la luna alcuna fiada vedemo quanto a la superficie k'ène inverso noi tutta alluminata e non dà callideçça ma frigideçça, secondo k'è propria e manifesta experientia; (et) intendo ke è di tanta frigideçça, maximamente in effecto, ke essendo el cavallo in la stalla calda, per balestriera venuto a lui el lume de la luna l'àe morto. (Et) trovase ke se la luna non temperasse per sua frigideçça el caldo del sole ongne cosa se consumaria per lo caldo, e se 'l sole non temperasse la sua frigideçça tutte le cose se constipariano. A la vostra domandasgione respondo ke la luna de sé non àne lume ma ène corpo ke puote recevare in sé lume, (et) ène corpo grande quasi como la terra, retondo como palla (et) solido, sì ke essendo sotto del sole e sguardata da lui da una parte non puote passare da l'altra per la grandeçça e solideçça d'essa luna, sì ke sempre una parte de lei ène illuminata e l'altra ène tenebrosa e oscura; e la luna non è in uno corso col sole ma movesi in contrario al suo movimento naturale (et) corre xij.ci tanti più de lui. E 'l filosofo pone questo defecto per la interpositione de la terra, sì che per lo corso ke non è uguale lo sguardamento non è uguale e così e 'l lume non è uguale, e vene perdendo el lume (et) oscurandosi da la parte nostra a poco a poco: secondo ke più se remove el lume del sole da la superficie ch'ène inverso de noi più illumina de sopra e oscura de sotto, (et) inperciò per lo movimento veloce ke àne la luna adivene ke tutta la opposita parte illumina e così tutta la superficie de la parte nostra oscura. Sì che la casgione de questo defecto ène el movimento più tardo in lo sole e più veloce ella luna, (et) questo defecto ène per la interpositione de la terra infra el sole e la luna, qual ke si sia el motu e casgione. E questa ène vera oppinione. La responsione ke fece maestro Alardo ène magiurmente perké la luna non àne lume da sé, come 'l sole; (et) ancora in sua responsione secondo questa domandasgione ebbe defecto, lo quale non dico però k'ène manifesto.
L. II, pt. 2, cap. 2bD'essa luna se puote ancora dimandare unde ène quella ombra e merigia la quale vedemo ella luna, (et) maravilglia ke 'l sole, quando illumina la luna, k'ei non à potença de illuminarla. Responde maestro Alardo ke 'l corpo lunare infra tutte l'altre stelle (et) pianete è più de sotto verso l'aire (et) àne più materia terrea, acquea (et) aerea ke ingnea; (et) essentia terrea, acquea (et) airea ène generativa de ombra (et) de merigia, e così el corpo lunare à necessità d'avere in sé ombra; (et) se questa ombra fossi sparsa per tutto 'l corpo de la luna non recevaria lume: naturale cosa ène ke la grosseçça vane al meçço, e però la macola e l'ombra se vede in lo meçço. Alcuni altri dicono che ène la merigia della terra e dell'aqua la quale resulta in esso chome la meriggia alcuna fiata d'alcuno arbore o de hedifitio se rescierne innella terra illustrata dal sole, ma questo non me pare, ké alcuna fiada se vederia più (et) meno secondo diverso esguardo del sole, como innella terra se vede tale merigia minore et tale magiure secondo diverso aspecto del sole.
L. II, pt. 2, cap. 3Decto del sole e de la luna è da dire de le stelle, (et) dividese el tractato loro in quattro parti, e prima, se le stelle sono anemate et anemali; secondo, se sono anemali ke cibo usano acciò ke vivano; terço, quale ène la casgione ke le pianete vano contra el corso naturale del fermamento; quarto, se le stelle caggiono da cielo como mostrano de cadere.
L. II, pt. 2, cap. 3aPrimeramente dicemo se le corpora celestiali sono anemate, cioè le stelle e le pianete. Orígine pose tutte le corpora celestiali anemate, al quale Ieronimo pare ke consenta exponendo l'Eclesiastico de Salamone, (et) dice ke Dio illustra ongne cosa per Spirto Sancto. Augustino pare ke prenda questo dubioso, e dice Sopra el Genesi ke, se sono anemate, ke la loro anima s'apartene a la conpagnia de li angioli. E 'l maestro Alardo manifestamente pone ke sono anemate, e dice ke coloro ke dicono ke le pianete e le stelle non abbiano anima de verità se possono dire ke sono sença anima. E questo manifesta per tre rascioni: la prima considerando el loco, la seconda considerando la conpositione, la terça considerando la operatione. Considerando el loco dice così: se questa parte de sotto tenebrosa, fecciosa, tempestosa se reggie per anima rationale, tanto magiurmente quella machina (et) regione pura ène convenevole ke per essa se regga. E se ongne simele ama simile, quanto ène sconvenevole cosa a credare ke l'anima sì nobile non sia in quel nobele loco essendo in questo el quale ène a loro dissimile. Per conpositione prova così: essendo le stelle facte de quattro elementa, manifesto ène ke 'l foco in loro più signoreggia, e per lo loco e per lo colore se vede ke è vero. Questo foco o ène perentorio, cioè consumptivo (et) destructivo come 'l fuoco nostro de fore, overo è conservativo (et) a vita retentivo como el nostro ch'avemo innel nostro corpo. El primo foco non è in loro materia ké, con ciò sia cosa ke continuamente adoperi a convertere a sé, de necessità consumaria el suo subiecto, el conposto, e dissolvariano; dumqua seguita k'è conservativo come quello k'è in noi. Ma in quella materia dove signoreggia in questo modo tale elemento è ordinata a vita, e la vita è per l'anima: dumqua (et) le stelle, in le quali maximamente signoregia tale elemento, sono anemate. Per l'operatione ène anco manifesto. Dice el filosofo: «Qualunque cosa se move overo se move per natura overo per força overo per voluntà. Per natura non si movo inperciò che ki se move per natura sempre va ad un loco, o in suso come 'l fuoco o in giuso como la pietra; tale movimento non àno le stelle, è manifesto ke per natura non si movono. Per força non ène, inperciò ke nonn è magiure forza che quella del cielo maggiore e le pianete se movo incontra lui in contrario movimento. Donqua seguita ke si movano per voluntà, e due ène voluntà? Si gli ène anima dumqua sono animate». E questa ène la sua ferma credulità, la quale ène falsa secondo ch'io provai de sopra; (et) errano credendo ke là due fosse tal movimento fosse mestieri e neccessità l'unione del motore, cioè d'alcuna creatura spirituale, como ène di materia e forma, o corpo (et) anima, ma assai basta ke questa unione ène per contacto de vertude. (Et) non se nega ke non sia voluntaroso questo movimento, ma negasi ke non è anima. E questo dice sancto Agustino innel libro De la Trinitade, ke tucte li cielestiali corpora sono serviti per spirto de vita. (Et) questo fo lo intendimento dei sancti decti de sopra, (et) la prova de ciò ène in la questione del cielo.
L. II, pt. 2, cap. 3bDemostrato se li cielestiali corpora sono animati, e decto ke secondo alcuna oppinione sono animate, (et) secondo alcuna oppinione, (et) è milgliore, non sono anemate, adimandase più innançi: "Se sono animate, sono animali, e sse sono animali alcuno elemento adomandano a loro conservatione; adomando ora ke cibo usano questi celestiali corpora acciò ke se conservino in esse (et) a vita". Responde maestro Alardo ke secondo ke quelli animali àno più nobile materia e forma de questi ke sono infra noi, così el loro cibo ène più nobile e soptile ke 'l nostro. E 'l cibo loro pone ke è vapori terrestri e acquosi, suptili e purificati, ké sença grande suptilità (et) purificatione non porriano salire a sublimità di tanta alteçça; e de quello cibo vivo. Salva la sua gratia questo non puote essere, inprima perch'elli non sono anemati ma per vertute d'angelo se movono, el quale non abisongna cibo; seconda, ke se fossero anemali, con ciò sia cosa ke in principio non abbia tutta similitudine el cibo cum l'anemale, e avengna ke in alcuno modo prenda similitudine ricevuto innell'animale, non recevendo tutta similitudine in alcuno modo ène mestieri ke se alteri in processo de tempo l'anemali e trasmuti; ma con ciò sia cosa ke in loro nulla tale alteratione possamo conprendare, non prendono tale cibo. Ancora, la cosa k'è incorruptibile a che abisongna cibo, con ciò sia cosa che 'l cibo overo augmenta (et) acrescie, overo ène a conservare l'anemale? A loro non abisongnaria cibo per cresciare, ké non crescono, né a conservare, avendo natura incorruptibile innella quale è privata potentia corruptiva essendo fermate da Dio in somma stabilità. Domqua non abisongnano cibo.
L. II, pt. 2, cap. 3cQuale casgione, quale necessità ke le pianete se movano contra el suo fermamento? Non siria più convenevole e più naturale ke se movessaro e corrissaro col fermamento ke andare contra de lui? Alcuni dicono ke questo ène a retardare la velocità del corso del fermamento, ke volgendosi incontra de lui in alcun modo inpedimentescie l'empetu forte del suo curso. Ma avengna ke questa opinione sia de molti savi phylosofi, el maestro Alardo asengna un'altra rasgione assai apparevoli bona ke le corpora celestiali sono in continuo movimento, (et) pone, secondo k'è decto avengna ke male, ke sono anemali, e così noi a lloro similitudine, avengna ke alcuna fiada siamo inpedimentiti per graveçça del corpo in natural desiderio, essere in continuo movimento: se quello del cielo e de le pianete fusse en corso, tutto ell'aire subitamente movendosi (et) inpetuosamente nostro reposo turbaria, seguitando el continuo movimento de verità, e la nostra natura recevaria grande alteratione, né non posso considerare ke la forteçça e la vertude del nostro cerebro potesse soferire sì tostano movimento.
L. II, pt. 2, cap. 3dConsequentemente de le stelle se puote fare un'altra demandasgione, se sono stelle quelle ke paiono a le fiate de nocte cadere, como paiono; (et) se non sono stelle ke sono. Responde maiestro Alardo e dice ke ène aere percosso e per la percossione aceso, o per percussione di ventora o per inpetuosa fractione de ghiaccio congelato innell'aire, inella quale fractione se genera foco come serà manifesto innella sequente parte. (Et) dice ke non è sconvenevole a credere ke possa avenire quella accensione da veloce moto del fermamento. E ciò non mi pare, ke con ciò sia cosa ke quel movimento continuo sia in uno modo continuamente siria questa accensione, (et) questo non ène: seguita ke non viene da esso. Credo magiurmente ke sia vapore acceso e levato per vertude solare.
L. II, pt. 3Decto del cielo e de li cielestiali corpora, cioè de le pianete, ora in questa terça parte diremo d'alcune inpressione generate in questo nostro aere; e prima, de li tonitrua; secondo, de le flumina che percotono; terço, de le ventora.
L. II, pt. 3, cap. 1Innella prima parte diremo unde procedono le tronora, sì orribili (et) paurosa cosa a udire ke li ucelli a le loro fogliore e le bestie a le tane e li homini a le case ritornano: unde ène tanto inpeto di sono? A questa demandasgione responde el maestro Alardo (et) dice ke, secondo ke ad ochi vedemo, le nebule salgono de l'acqua (et) de la humiditade de la terra, (et) alcune sono rade (et) alcune sono spesse (et) alcune spessissime in tanto ke si convertono in nuvoli (et) per fredeçça de ventora si congelano innell'are, (et) per la largheçça del ghiaccio, ke àne molto aere de sopto, se sostene; o per caldo de sole o per inpeto de vento contrario se speçça, innella quale speççatura per la grandeçça de la quantità (et) la graveçça e l'alteçça sì se genera quello terribile suono; (et) inperò seguita grandine ghiacciosa, se per caldeçça d'aere non se liqueface o dimonge: alcuna fiata è sì grande ke àne morto l'omo (et) la bestia. Bartolomeo: salvo el milglior iudicio non è vero, ké alcuna fiata si caderia in sì grande largheçça (et) quantità, maximamente in tempo di verno quando el sole non tanto scalda, ke terria grande quantità de la terra et insieme molti homini ocidaria. Ma secondo ke dice 'l filosofo el tronitruo ène inpressioni generata de substantia d'acqua de nubili per movimenti de vapori caldi e secchi là (et) là fugiendo ei suoi contrarii (et) de ciò inflammati (et) constrecti da ongne parte: da le nubile aquose per violença speççano, (et) in quella scissura ène el suono. (Et) quello vapore caldo e secco per la percussione forte inell'aire ke face, è gittato da esso aere percosso la saetta. (Et) a tutto questo k'è decto vale lo exemplo de la castangna messa nel fuoco, ke 'l caldo dentro vigorato volendo fugire la umidità de la castangna (et) venire al suo simile, cioè al fuoco, et l'umore vigorandose, infine non potendo sostenere vedete sono (et) furia ke face (et) percussione, ke se truova k'à speççata la tavola del tecto (et) alcuna fiata è andata de tanta potença ke non se n'è veduta nulla cosa.
L. II, pt. 3, cap. 2Tractato de li tonitrua seguita de dire de le fulmina e baleni, e de le saiette volgarmente, o de quello ke percote. Dei quali ademandaste quattro cose: prima, unde vengono; seconda, ke è ciò ke non segono ad ongne tuono; terça, per la qual força hedificia, (et) qualunque cosa percote, aterra; quarta, ke è ciò ke non insieme udimo el suono e vedemo el fuoco.
L. II, pt. 3, cap. 2aLa prima interrogatione ène unde vengono ei baleni. Responde el maiestro Alardo ke d'ongne violentia (et) sforçata percussione (et) fractione quella cosa k'è più leve più vaccio se desolve (et) escie de la cosa fracta: sopra ongne cosa sensibile el fuoco ène più leve (et) inperciò de quella inpetuosa fractione, de la quale magiore non se truova, frangendose el ghiaccio o per vento como di verno o per sole como di state essciene 'l foco, (et) quello è el baleno. Bartolomeo dice magiurmente: «El baleno se genera per percussione de nuvoli insieme per operatione de venti contrarii, de la quale violenta percussione esscie fuoco». (Et) in questo modo puote essere baleno sença tono, quando non è per vapore caldo (et) secco, como decto ène; ma tono non puote essere sença baleno, inperciò ke sempre, quando se genera el tuono, si vene violentissimo movimento e percussione, como decto ène, unde esscie fuoco.
L. II, pt. 3, cap. 2bLa seconda interrogatione: ke è ciò ke d'ongne tuono non escie baleno? Alcuna fiata udimo tonare, avengna ke rado, (et) non balenare, (et) alcuna fiata balenare (et) non ferire. Responde maestro Alardo (et) dice ke rade fiate questo potemo vedere; quando vene, quello è la necessità, (et) non pone solutione. Io dico: se io recevo questa sua oppinione, ke ène falsa, de due cose puote essare: l'una, overo per più tepida fractione de ghiaccio, secondo ke decto ène; overo ke, con ciò sia cosa ke passi el baleno per nuvoli acquosi, ke si aspengono in loro (et) così non puono pervenire al nostro aspecto. A la seconda questione responde (et) dice: «Alcuna fiata e' fende, alcuna fiata speçça (et) intona, alcuna fiata tanto arde. Quando vene solo foco arde alcuna fiata ell'aire solo, secondo picciolo inpeto, (et) secondo grande quel ke tona». (Et) secondo questo modo non pare ke fera, ma sempre fere, o in aere overo in terra.
L. II, pt. 3, cap. 2cSaputo de le generatione de le fulmina, o aere o pietra overo fuoco ke sia, con ciò sia cosa ke sia ||piccholino, come puote dare così gran perchossa che fende li alberi e speza edifici e niuna cosa è che non passi e stroni? Risponde maestro Alardo: «Per lo movimento velocie ch'è per sua natura; onde provata cosa è che sottile e debole lancietta ferrata spesso forte e grosso schudo à passato s'ella va bene velocie, onde e la perchossa delle tronora tutte l'altre velocità passa: per tale velocità dà sì gran perchosse».
L. II, pt. 3, cap. 2dNella quarta interrogatione, perché non si ode il sono e lla chiareza del baleno insieme, che sempre vede l'uomo il lume inprima e poi per alcuna ora ode il suono, rispondo che questo è dalla parte de' sensi nostri, che 'l viso è più velocie che ll'udito, e per la spessitudine de' nuvoli el suono non puote sì avaccio venire all'odito come il fuoco al viso. E di questo avemo essemplo che, sse l'uomo istesse nel monte e nella valle fusse uno che tagliasse lengne, inprima vedi dare la sechonda perchossa che oda la prima. E chosì sono manifeste le quattro chose che ssi adomandavano di sopra. Anchora è manifesto quando suona la chanpana e ll'uomo è dalla lunga, che inanzi vede dare la sechonda perchossa che oda la prima.
L. II, pt. 3, cap. 3E detto de' troni e baleni e delle saette, delle folgore, seghuita di dire delle ventora, delle quali cinque chose s'adimandano: la prima, onde naschono; la sechonda, se ll'aire si puote muovere secondo parte essendo tutto in quiete; la terza, se ll'una parte dell'aire mossa tutto si muova sanza fine e così sia infinito il movimento; la quarta, perché apresso alla terra e non inn alto si muove il vento; la quinta cosa, ond'elli vene tanto inpeto e furore.
L. II, pt. 3, cap. 3aNel primo chapitolo s'adimanda onde nascie il vento. Risponde maestro Alardo e dicie che alchuna volta prociede dalla terra e alchuna volta dalla planeta dell'acqua: parte dell'aire spesso sale inn alto chon umiditade d'acqua, il quale risolvendosi cade innel naturale loco, nella terra o nell'aqua, nella quale vi nascie alchuno movimento d'aire onde si gienera vento. Vento è aire spesso visibilmente mosso: dicie "aire" ch'è propia materia di vento, dicie "spesso" a differentia dall'aire puro del quale non si fa vento, dicie "mosso" ché se non si move in velocie moto non è vento, dicie "visibile" a differenza dell'altro aire, che in alcuno modo si muove ma nonn è che ssi senta.
L. II, pt. 3, cap. 3bAdimandasi in questo sechondo chapitolo: "Con ciò sia chosa che nonn è vento se non aere mosso, eccho che tutto l'aire è quieto: adomando se alchuna parte puote avere movimento, inperciò che qualunque cosa è mossa d'alchun'altra è mossa; quella da chui è mossa o ella è in quiete o in movimento: qualunque cosa è tutta in quiete pare inpossibile che possa muovere altra, dunque il movimento sarà di quello nel quale è movimento; e in cholui in chui è il movimento è mestieri che d'altrui sia mosso, dunque il movimento sarà infinito, inperciò che lle parti dell'aire saranno infinite, e chosìe delle due cose saria l'una, overo che chotale vento non porria essere overo che sse cominciasse non averia mai fine, e ciaschuno è inpossibile". Risponde il maestro Alardo e dicie che lla cagione overo il prencipio del moto è la quiete. Qualunque cosa mossa prendendosi propiamente è mosso d'alchun altro; quello da cchui è mosso puote essere in quiete e in movimento: in quiete, che nonn è mosso d'altrui, in movimento, che movendo altri si move almeno sechondo virtute, onde quanto a passione è in quiete, che non sostene, quanto ad azione è in moto. E Dio trovamo che muove e non è mosso, dunque falle che ogni cosa che move sia mossa; anco vedemo inel focho che lla natura e lla leveza il muove secondo substantia, essa posante; così si puote muovere alchuna parte dell'aire non movendosi tutto, potendo avere principio in quiete.
L. II, pt. 3, cap. 3cNel terzo chapitolo si fa delle ventora tale quistione provando che cominciato il vento non dê mai finire, e così è vento sempre in questo mondo. Questo non si puote negare, che qualunque chosa è mossa sechondo loco sì muove quella el quale loco ochupa, e quella muove l'altra, e l'altra l'altra, e così infinito sempre è vento: questo vedemo che falle, qual è la cagione? Risponde maestro Alardo che 'l movimento del vento è simile al movimento dell'acqua e orbiculare, tornando alle volte alle parti ove chomincia; alchuna volta el'altro fiere, el quale movimento inpedimentiscie e ritarda; e così à il movimento da una parte dell'aire e non si muove tutta, né un vento è continuo: sì cche il movimento è circhulare e ttorna al loco alle volte onde comincia, sì cche ancora ricieve inpedimento da altro vento, sì alle volte debiliscie per l'aire, che à in lui alcuna sostengna, che a ppocho a ppocho perde potenzia.
L. II, pt. 3, cap. 3dNel quarto capitolo si domanda perché apresso la terra sono le ventora che suso nell'aire, ch'è tal monte sopra la terra che per l'alteza nullo vento vi fiata: maggior vento doverria essere nell'aire che nella terra, massimamente per lo molto inpeto. Risponde maestro Alardo che questo è per la speseza dell'aire che, dove è 'l vento, overo che ssia vento vaporoso, umoroso, overo che ssia seccho, è mestieri che ssia aiere spesso e grave, e per la graveza fiere lungo la terra e non molto ad alto.
L. II, pt. 3, cap. 3eNella quinta parte si domanda onde vene al vento tanta furia e inpito che atterra edifizia e sradica alberi e fa grandi pericoli. Risponde mestro Alardo e dicie che lla terra è cavernosa, inella quale è molto vento, onde recherendo bocca e uscita per venire al suo simile va cierchando per le chaverne: quando truova uscita e l'uno aire spinge l'altro, onde nascie questo enpito. Questo vedi sotto Montefiaschone, che 'l chomune vi spese molto a chavare ché paria che fusse un gran fiume d'acqua in sono, e era vento, e fatto un picciolo forame uscio parte con tanto enpito che l'omo cchacciò in terra. E così sono manifeste le cinque cose che del vento s'adimandavano.
L. IIIDetto d'alchune inpressioni fatte dall'aire seguita di dire del terzo trattato principale del libro, cioè delli elimenti, delli quali la vostra sapienza dischretamente e saviamente in questo modo adimandò: "Noi udimo che ogni cosa che ssi vede e toccha è chonposta di quattro elimenti; adimando chome queste elimenta sieno in questo corpo conposte, e non mi pare che vvi possano essere, che inpossibile chosa è che cose contrarie possano insieme essere inn un loco, come e caldo e freddo e umido e seccho, e sechondo più e meno che siemo conposti di quattro elimenti in ongni parte di noi averia in sé questa contrariatà, la quale è inpossibile. E Aristotile dicie nel libro delle Predicamenta che lla sustanzia nonn à contrariatà. Dunque pare che lle elementa non sieno nel chorpo conposto". Rispondo che lle qualità delle elementa sono insieme chontrarie e ricievono più e meno dalle qualitate chontrarie: si nne puote formare meza qualitate, cioè che tiene il mezo, come tiepido infra caldo e freddo e chome palido infra 'l biancho e 'l nero, che tiene natura di ciaschuno estremo; sicché lasciate le qualità ecciellenti delle elementa formasi d'esse una qualità tenente il mezo, la quale si fa e è propria qualità del corpo misto (et) conposto sechondo che ll'estremitadi si truovano nel mezo. E non è per ciò in noi il mezo se non sechondo virtute: chome chaldo e freddo sono inel tiepido, così le forme sustantiali delle elementa nel conposto si salvano; sono in le chorpora chonposte le forme e lle qualità delle prime elementa non sechondo atto a propia essenzia ma sechondo virtute, e questo dicie Aristotile nello primo libro De generatione, che l'elementa non sono inel corpo chonposto attualmente ma inn esso sta la virtù d'esse elementa. E chosì è soluta la quistione.
L. IVIn questo quarto trattato del libro si tratta delle cose elementate disciendendo di grado in grado: primo, dell'acqua; sechondo, della terra; terzo, delli huomini; quarto, delle fenmine; quinto, delle fenmine e bruti animali distinguendo ciascheduna parte in diversi chapitoli.
L. IV, pt. 1Nella prima parte di questo trattato si tratta dell'aqua, della quale otto cose s'adimanda: primo, perché l'acqua del mare è salsa; secondo, perché il mare trae e mette inanzi, overo che à corso e recorso; terzo, perché l'entrata di tanti fiumi non chrescie il mare; quarto, perché l'acqua del fiume non è salsa, che escie del mare; quinto, come il chorso de' fiumi puote essere perpetuo; sesto, per che natura e chagione l'acqua nascha inn alto loco; settimo, se alchuno sono propi e veraci fonti; ottavo, per che natura il vaso tutto forato di sotto, pieno d'acqua, se è ben turato di sopra non escie goccia.
L. IV, pt. 1, cap. 1Il primo chapitolo adimanda perché l'acqua del mare è salsa, e spezialmente più quella del mare Occieano che l'altra. Risponde il maestro Alardo che questo è per lo chaldo del sole e de l'altre pianete; di tutto il mare e più dell'Occieano perciò che 'l sole va più diritto sopra esso, e questo è manifesto ché presa l'acqua d'esso mare e posta al sole si fa forte sale, inn altro mare è mestieri in alchuna parte che ssi riponga al fuocho; e questo dunque fa il chaldo, ch'è provato che alchuna acqua dolcie stando molto al fuoco si facie sale.
L. IV, pt. 1, cap. 2Nel sechondo chapitolo s'adomanda che è chagione dell'acciesso e regresso del mare. Dichono alchuni che sono cierti schontrazi di bracci di mare chon inpito chorrenti. Maestro Alardo dicie: «Bene concedo che questi schontrazi molto adoperano a cciò ma non a soficienza e a bastanza perciò che, sse questo fusse, il primo saria forte, il sechondo meno perciò che inpedimentito dal primo, e 'l terzo più che meno: in tanto verria che non ne saria punto». Ma dicie che la potissima causa è ll'ostachulo della terra e lla renverberazione de' monti, che non potendo l'acqua mossa dal vento o da alchuno schontrazo andare inanzi per la terra torna adietro e dietro truova simigliante l'altro ostachulo, et così è chontinovamente perchossa.
L. IV, pt. 1, cap. 3Lo terzo chapitolo adimanda che, sechondo che 'l volghare dicie che "ogni fiume entra in mare", che è ciò che di ciò il mare non chrescie. Risponde maestro Alardo che quelli che questo dicie e' songnia, ché nonn è vero: bene ve n'entrano maggior parte, e sechondo che v'entrano così per subterranei forami per altre parte n'escie altretanto, e perciò non chrescie.
L. IV, pt. 1, cap. 4Nel quarto capitolo si dichiara perché l'acqua del fiume, il quale escie del mare salso, nnonn è salsa. Risponde maestro Alardo: «La salseza del mare perde correndo sotto terra per vertute della terra dolcerante essa».
L. IV, pt. 1, cap. 5Nel quinto chapitolo si manifesta ond'è tanta imfluenzia e abondanza d'acqua che chontinovo chorre il fiume e non viene l'acqua meno: è questa acqua infinita? Chon ciò sie chosa che ogni chosa chreata sia finita, com'ène? Risponde maestro Alardo che quelli che ssì pensa ingniora et non sa la influenzia dell'acque circhulare che entrasse da una parte e riuscisse da l'altra inn essa medesima, e chosì e 'l fiume essendo da una parte del mare e entrando dall'altra.
L. IV, pt. 1, cap. 6Nel sesto chapitolo si muove una quistione e dicie: "Vero è dell'acque del piano che puote essere quello ch'è detto di sopra, ma del fiume disciendente del monte, e intorno à il piano senza acqua, e escie continuo, onde vene?". Risponde maestro Alardo che puote essere che 'l fiume andando sotterra vanno pre meati: adiviene che per lo monte è el meato aperto e intorno nel piano è lla terra non chonversa, sicché l'acqua chostretta e sospetta dalla graveza della terra seghuita, sale per la chaverna del monte; e questo vedemo artificialmente operare.
L. IV, pt. 1, cap. 7El settimo chapitolo chontiene "Chon ciò sie cosa, chosa che si è detto, che l'acque fiuminale per via circhulare escie del mare e ritorna inn esso, adimando se è alchuno naturale fonte da ssé". Rispondo che ssì, che chome noi vedemo che 'l chorpo dell'uomo suda chosì la terra inn alchuno locho, chresciente e abundante l'umore inn essa, umenta e goccia, le quali goccie multiplichano da diverse parti, e ' locora multiplicano in fonte; questo è sengnio che a tempo di state, che lla terra non à tanta 'midità, in alchuna parte à neciessità di secchare.
L. IV, pt. 1, cap. 8Nell'ultimo chapitolo s'adimanda che è cciò che, sse ll'acqua si mette inn uno vaso tutto di sotto forato e di sopra uno pertuso, che, sse 'l pertuso di sopra si chiude e tura bene, che per li forami di sotto nonn escie punto d'acqua. Rispondo che, con ciò sia cosa che tutto questo sensibile mondo sia chomposto di quattro elementa, essi sono in tanto naturale amore poste che ll'uno sanza l'altro stare non vuole, nullo luogo puote stare voto per essi, e inperciò chosì avaccio che ll'uno si parte e ll'altro inchontanente subciede, e non si puote partire l'uno, per naturale amore, se l'altro non vvi puote entrare; dunque chiusa e turata l'entrata del succiedente, cioè dell'aire, non puote essére il recedente, cioè l'acqua, chon ciò sie cosa che 'l loco che llasciasse l'acqua non si puote riempiere d'aire, che nonn à donde entri: che di sotto no, per l'acqua ch'è di sotto è otturato. E questo è manifesto innel vaso chol quale si adacqua il bassilicho. E così sono manifeste le otto cose che ss'adomandavano dell'acqua.
L. IV, pt. 2Detto dell'acqua diremo della terra, della quale tre chose principalmente si possono adimandare: la prima, per qual natura la terra si sostene in mezo dell'aire; la seconda, se lla terra fusse tutta di sopra infin sotto forata, quanto andria giuso la pietra inn esso foro gittata; la terza, onde nascono nella terra e tremuoti.
L. IV, pt. 2, cap. 1Nel primo chapitolo s'adimanda, con ciò sie chosa che intorno da ogni parte della terra sia l'aire e lla terra sia sì grave e ponderosa e sonvi suso tante edificia, che mantiene la terra esendo di sotto, di sopra e da llato l'aire? E l'aire non, che noi vedemo che non puote tenere cosa grave, né ll'acqua: che dunque è che tiene la terra? Rispondo che manifesta chosa è che lla machina di questo mondo è ritonda. Ogni cosa adimanda locho simile alla sua natura conveniente, le cose leve in suso e lle gravi in giuso e in fondo, e quanto è più in fondo tanto la cosa grave più si conserva e più è in suo loco convenevole, sechondo la quantità della graveza. Nel corpo ritondo el più profondo locho è il punto in mezo: come il più profondo locho dell'uuovo è il tuorllo, e nel tuorllo è il punto chonsiderato nel mezo del tuorllo, il qual punto si considera indivisibile per lo intelletto, così in tutto questo mondo è da chonsiderare il punto in mezo, al quale ciaschuna parte della terra per disiderio naturale, sechondo ch'è chosa grave, volendo disciendere al suo loco conveniente sì si sforza di venire, e inperò intorno a quello punto ciaschuna parte premendosi el mondo rimane fermo. Ancora, ciaschuna parte ama suo simile, e ll'aire tira a ssé l'aire suo simile e ll'acqua tira a ssé l'acqua e lla terra tira la terra, sicché per natura naturale ciaschuna chosa tira a ssé suo simile e cchaccia da ssé il suo chontrario, cioè quello che nonn è di sua natura; ond'è la terra cacciata dall'aire e dall'acqua per natura, secondo che con suo simile ciaschuna parte si stringnie insieme.
L. IV, pt. 2, cap. 2El sechondo capitolo adomanda se fusse possibile che lla terra fusse forata dall'una parte all'altra e gittassevisi una macina di pionbo o di pietra, quanto andria giuso. Rispondo che fino entro al mezo inperciò che, secondo che ogni natura ama e seghuita il suo simile, chosì fuggie il suo contrario: a qualunque parte andasse fore del mezo andria verso il contrario della sua natura, la quale è d'andare in giuso. Nel mezo sta il punto del cientro del mondo, il quale è il più profondo: se esso è il più profondo, dunque va fuore d'esso e va in suso, sechondo ch'è manifesto nell'uovo che passando il mezo vai verso la coccia o garavoccio; chosì passando il mezo della terra vai inverso il cielo, e il cielo sempre sta sopra della terra, chosì se lla pietra passasse il mezo anderia in suso contra della sua natura che è d'andare in giuso; e chosì non passeria il mezo.
L. IV, pt. 2, cap. 3Nel terzo capitolo s'adomanda onde procciedono e naschono i tremuoti: essendo la terra sì grave a muoverlla e atterrare li edificii, ond'è tanta|| violença sì inpetuosa? Respondo che, con ciò sia cosa ke l'aere ène vicino de la terra (et) la terra sia concavernosa (et) nullo loco sia voito, sotto a la terra permane grande quantità d'aere, el quale per naturale desiderio desiderando de venire a questo de fuore, venendo in pelle de la terra (et) adunandosi in grande quantità, per força inpetuosa volendo uscire (et) trovando obstaculo move la terra; (et) tanto più quanto el loco è più concavernoso l'aere è più en pelle.
L. IV, pt. 3Decto de sopra de la terra ora seguita de dire d'alcune nature e conponitione de l'omo e de la femena comune; de li quali xxviiij interrogationi se fanno: primo, perké l'omo non à corna come alcuni animali; seconda, come stano li nerbora e le vene innel corpo de l'uomo; terça, perké coloro c'àno buono ingengno àno mala retentiva; quarto, per ke modo la fantasia, la rasgione (et) la memoria sia innel cerebro; quinto, perké stae 'l naso sopra la bocca; sexta, perké l'omo incalvescie denançe; septima, per qual natura udimo la voce d'alcun homo; octava, per qual natura la voce passa ongne chiudenda quando va a l'udito; nona, del viso; decima, de lo spirto visivo, s'elgli è substantia o accidente; undecima, come uno spirto in sì breve tempo vane infine a le stelle; duodecima, come quando l'occhio è chiuso lo spirto visivo non remane de fuore; xiij.a, come esso spirto mentre va et torna non se inpedimentescie; xiiij.a, in ke rasgione l'anima riceve le forme da lo spirto visivo; xv.a, perké lo spirto visivo non receve similitudine de la reverberatione del vetro biancho como da lo specchio; xvj.a, perké dal lume non se vede innello scuro come da lo scuro se vede cosa k'è innel lume; xvij.a, per qual natura odoramo, gustamo (et) toccamo; xviij.a, per qual natura l'alegreçça ène casgione de pianto; xviiij.a, per qual natura d'una bocca esscie fiato freddo (et) caldo; xx.a, perké 'l movimento del ventilabra genera calore; xxj.a, per qual natura la cosa calda, la qual non si puote sofferire in bocca, (et) puoi k'è golata se soferiscie; xxij.a, perké la palma e i deta de le mani non sono uguali; xxiij.a, perké incontenente ke l'omo è nato non anda come alcuno anemale; xxiiij.a, perké più tempo se nutriscie l'omo de lacte ke le bestie; xxv.a, perké 'l lacte non si convene ai vecchi come ai citoli; xxvj.a, perké la proportione de le elementa se descorda innell'omo; xxvij.a, perké l'omo se ciba sì spesso (et) li altri animali, (et) quale ène la casgione ke a l'omo abisongna cibo; xxviij.a, perké avemo paura de li homini morti; xxviiij.a, perké l'omo vivo vane a fondo ell'acqua e 'l morto nota.
L. IV, pt. 3, cap. 1In lo primo capitolo s'adomanda, con ciò sia cosa ke l'uomo ène el più nobile animale ke veruno altro, perké a sua defensione non à el naturale istrumento, cioè le corna come alcune bestie, colle quali se defenda, overo la legiereçça come alcune altre a le quali la natura à negato ke non l'abbiano, a la quale defensione àno ke possano fugire. Responde Alardo: «Credo ke l'omo sia più caro a Dio (et) del quale la natura più se cura ke veruno altro anemale: àe in loco de naturale arme, cioè di corna (et) di feroci denti (et) di grandi onghioni, la ratione (et) lo intellecto, per lo quale doma (et) signoreggia ongne animale et da tutte se defende. (Et) se questi naturali instrumenta avessaro li homini, più spesse fiate fra loro mortalmente se offendariano k'ei non fanno».
L. IV, pt. 3, cap. 2In lo secondo s'adomanda in ke modo stanno ei nerbi (et) le vene in lo corpo de l'uomo. Respondo ke secondo ei savi fisici, (et) experientia prova, ke stano in tutto 'l corpo como rete sì ke veruna parte se porria dividere ke non se recidessaro; (et) sono più durevoli innell'animali, und'è provato, secondo in carta sia, ke uno prese un corpo d'omo morto (et) posto in uno fiume tanto vi stette ke tutta la carne (et) la pelle se consumò (et) remasaro solo le nerbora (et) le vene.
L. IV, pt. 3, cap. 3In lo terço s'adomanda, con ciò sia cosa ke la memoria sia d'alcuna cosa inprima emparata (et) recevuta da lo intellecto, perké coloro ke vaccio inparano male retengono (et) chi tardi empara retene bene. Responde Alardo ke l'anima receve el corpo a sua operatione e manifesta per diverse membra, como ène manifesto; (et) perfectione riceve mediante alcune membra le quali sono collocate in diverse parti del corpo, come ingengno (et) fantasico moto (et) memoriale recordatione innel cerebro, (et) lo intellecto nel core. Onde l'omo prima intende, secondo iudica de quello ke intende, (et) terço se ne fa memoria, overo comenda a la memoria. Ma lo ingengno (et) la memoria sono in potentia forte per diverse qualità, lo ingengno per humidità ma la memoria per siccità, secondo ke per exemplo vedemo ke la cosa molle legiermente la ymagine del sugello ve si forma (et) per la grande humidità legiermente se struge, quello k'è secco (et) duro difficilmente se guasta; così chi àne humido el cerebro àne buono ingengno ma in memoria s'afatiga, ma ki l'àne secco àne bona memoria e malo ingengno.
L. IV, pt. 3, cap. 4In lo iiij.o capitolo se demostra dove stane la memoria, la fantasia e la rasgione overo el giudicio, el quale se chiama el senso comune inperciò ke iudica de tutti le sensora. Respondo ke Aristotile pone innel cerebro tre celle: in quella dinançi ène la fantasia, in quella de meçço ène la rascione overo el iudicio, in quella derietro stane la memoria; e questo ène provato per diversi lesione (et) percussione receute in quelli locora (et) perdute queste potentie secondo el loco percosso.
L. IV, pt. 3, cap. 5In lo v.o capitolo s'adimanda, con ciò sia cosa ke Dio sia perfectissimo artefico (et) maestro ello quale ène somma potentia, al quale se convene de operare non solo cosa utile, veramente honesta (et) cortese, perké el naso, del quale escie tanto fastidio, ène posto sopra la bocca, la quale ène schifa: parria forse ad alcuno più convenevole se la bocca fosse sopra 'l naso. Respondo ke ongne cosa naturale è convenevole (et) decevole (et) quello k'è contra natura, avengna ke a li occhi alcuna fiada paia decevole, considerata la rasgione molto se trova sconvenevole. La bocca e 'l naso non sono principali membra del corpo, sono forami necessarii a servire le due membra principali: la bocca serve a lo stomaco e 'l naso al cerebro; con ciò sia cosa che 'l cerebro ène humido per lo naso getta la superfluitate superhabundante in esso, (et) lo stomaco purga per lo canale de la bocca superfluità leve spumosa exurgente per la decotione dei cibi: ma lo stomaco ène sotto al cerebro, così la bocca ène sotto al naso serventi a quelli così ordenati.
L. IV, pt. 3, cap. 6In lo vj.o capitolo se dimanda perké l'omo diventa calbo denançi (et) non derietro: con ciò sia cosa ke l'omo sia più nobile denançi, k'è manifesto perké la natura l'àne più ornato che gli à posto tutte le sensora, dumqua ène sconvenevole cosa ke riceva discinore del perdimento dei capelli non potendose sì ben coprire come derietro; (et) perké canescie in vechieçça. Respondo ke questo ène naturale (et) necessario ké lo stomaco, recevuto el cibo, cocelo (et) la fumosità calda manda a la bocca, (et) per alcuno meato se ne va parte al cerebro da la parte denançi k'è più presso al canale de la bocca, sì ke per lo caldo ei pori de la carne (et) de la coccia del capo denançi sono più aperti che derietro, (et) questo se puote vedere a la coccia del capo de l'uomo morto; sì ke in processo de tempo è cascioni per l'apertione dei pori (et) de l'arçente caldo de deradare (et) cadere ei capelli (et) incalvare el capo. Bartolomeo dice ke l'omo diventa canuto in vechieçça per la grande humidità del cerebro, la quale rafredandose in lo vechio el calore naturale non puote essa humidità superflua consumare, adevene ke inputrescie enfra la codenna e 'l coccio, la quale putrefactione resulta innei capelli (et) in la barba; (et) però adevene più nel capo ke altro' però ke in esso habunda più humidità per casgione del cerebro ke in altra parte del corpo.
L. IV, pt. 3, cap. 7In lo vij.o capitolo s'adimanda per qual natura udimo la voce: con ciò sia cosa ke la voce sia aere, (et) l'aere è corpo, e 'l corpo indiviso, inpossibile ène ke possa essere in diversi locora, dumqua come una voce resona in diverse urecchie, ke sono diverse locora? Ke se questo ène segueta questo inpossibile, ke un corpo indiviso sia in diversi locora. Responde el phylosofo ke l'aere percosso de la lingua formato in voce infra i labri e i denti percote el proximo aere fore de la bocca (et) dàlli la sua forma, (et) quello percote l'altro, (et) così tutto l'aere intorno, secondo la potença de la inpulsione del primo aere formato in voce, se ne rempie, (et) così ène una voce quanto a la forma ma molte voci quanto a la materia, et così non è un corpo ma molti corpora. (Et) fa l'una voce formando l'altra come la petra gettata in una fonte, ke innell'acqua genera un cierchio (et) quello genera l'altro (et) così molti se ne generano secondo la percussione grande (et) picciola, (et) avengna ke tutti abbiano una forma de cerchio nonn è però un cerchio ma molti; (et) così ène innella voce.
L. IV, pt. 3, cap. 8In questo viij.o capitolo se puote formare una forte questione, (et) dice: "Decto ène de sopra ke la voce ène aere percosso cum ymaginatione formato de naturali istrumenti, (et) alora ode l'omo la voce quando l'aere percosso così formato vene a l'orecchie de l'uditore. Adimando in ke modo quelli ke stesse serrato in una botte de ferro o de metallo odiria, se l'aere del parladore non puote andare a lui". Respondo ke ongne corpo metallico ène alcuno modo poroso, per li quali pori la sottile parte de l'aere puote passare (et) per questo puote udire, ke se non potesse passare inpossibile cosa saria a odire con ciò sia cosa ke ongne cosa ke se percepe ène perceputa per inmediata congiontione de la cosa perceputa a quella ke àne a percipere.
L. IV, pt. 3, cap. 9Decto de l'audito è da dire in questo viiij.o capitolo del viso, del quale sono tre oppinioni.
L. IV, pt. 3, cap. 9aL'una oppinione si ène ke dissaro alcuni phylosofi ke innell'organo del viso ène uno spirto visivo vitale, e questo spirto esscie fore ad informarse de la cosa visiva e vae infine a la cosa colorata, e recievuta la spetie e la similitudine retorna e questa similitudine recevuta ministra a l'altre vertute. A questo decto contrastae maestro Alardo (et) dice ke se questo fosse avaria alcuna fiata ' essere informato de contrarii colori insieme, ke prendaria colore bianco (et) neiro insieme secondo ke lo trovasse al termene duve vae, (et) cose contrarie in una cosa insieme essere non possono.
L. IV, pt. 3, cap. 9bLa seconda opinione ène ke questo spirto decto vane infine a meçça via, (et) la spetie de la cosa colorata per vertù de l'aere illuminato sì li se fane incontra, (et) recevuta questa spetie retorna esso spirto visivo a l'organo de l'occhio (et) representa quella spetie a lo intellecto, informata prima innell'occhio. (Et) questa opinione tene esso per fermo, la quale per mio iudicio la reputo falsissima, (et) questo se mostra inpossibile per tre cose: inprima considerando l'organo de l'occhio ke remane, secondo considerando lo spirto visivo k'è messo a prendare la cosa visiva, (et) terço considerando la cosa appresa per quello spirto. Primo, considerando l'organo remanente (et) mettente lo spirto a prendare la cosa visiva ke, se questo fosse vero, infra quello meçço, mentre vae (et) vene, remarria non informato (et) non ve demorria nulla cosa infine ke non fosse tornato; ma questo vedemo ad occhi k'è falso. Secondo, se consideramo lo spirto mandato a recevare la forma ke, con ciò sia cosa ke sia bisongno k'elli sia sottilissimo essendo invisibile, se ponemo ke sia vero, essendo falso, (et) la cosa semplice in acto in un ponto d'una cosa sola se informa (et) così non potemo vedere se non solo quella cosa ond'ène informata (et) più prossimana; ma visibilmente appare el contrario, ke insieme vedemo el biancho e 'l nero. Terço, considerando la cosa appresa ke, se la spetie biancha se fa incontra a esso spirto, (et) così li altri colori, (et) così molti contrarii colori se inpremarieno in una cosa semplice, secondo k'elli medesmo pose per inpossibile de sopra. (Et) inperò per queste tre cose decte, (et) molte altre de le quali toccaremo derietro, salva la sua reverentia e 'l milgliore iudicio non veggo ke possa stare.
L. IV, pt. 3, cap. 9cLa terça oppinione, la quale pare ke se confermi per Aristotile, ène ke la cosa colorata ke se vede multiplica la spetie sua per lo corpo diafano, cioè per l'aere k'è rado (et) trasparente, per vertute del lume infine a l'occhio. Innell'occhio ène uno homore cristallino sença veruno colore, (et) reluce como specchio, ke se non è inpedimentito per alcuno grosso homore ongne forma colorata receve; dico ke quello homore è sença colore in sé, ke se fosse colorato in sé non recevaria ongne varietà de colore se non quello del quale fosse naturalmente informato: unde adivene come el vetro ke, se fosse nero o vermelglio, ongne cosa ke ve mettesse parria nera o vermelglia. Così ène l'occhio come lo specchio, ke ongne cosa ke gli è presente essendo illuminata se reluce in esso, (et) questo se vede manifestamente se guardi la pupilla d'alcuno, o de homo o de bestia, ke ve vedaria entro la tua faccia come in lo specchio. Onde nota ke quatro cose se convengono a vedere: primo, cosa colorata; secondo, l'aere per lo quale multiplica (et) passa la spetie; terço, el lume per vertute del quale se conduce quella spetie; quarto, l'organo de l'occhio pulito (et) expedito.
L. IV, pt. 3, cap. 10In lo x.o capitolo s'adimanda se quello spirto visivo ke vane al colore secondo la erronica oppinione del predecto maestro ène substantia overo accidente, (et) provo k'ène substantia ponendo la sua oppinione. (Et) questo potemo provare per due rasgioni: la prima ène considerando el movimento, la seconda ène considerando la sua essentia. Quanto a la prima parte se pruova in questo modo: ongne cosa la quale in propria potentia se move ène sustantia, quello spirto in propria potentia vane e torna, domqua ène substantia. Secondo se prova in questo modo: ongne cosa ke stae per sé ène substantia, quello spirito mentacie va e viene e sta per sé, dunque è substanzia. Tuttora queste sono false oppinioni secondo ke decto ène: non è in questo modo spirto ke esca fore (et) così non se move per sé, secondo la prima rascione, (et) così non stae per sé, secondo la seconda probatione. Et devete notare ke se noi prendemo lo spirto visivo per la vertude visiva, la quale ène in quello homore cristallino incolorato, potemo veramente respondare k'ène accidente, cum ciò sia cosa ke riceva alteratione (et) varietate variato l'organo e 'l fondamento là due stane, (et) per sé non possa essere; unde dice 'l phylosofo nel libro De l'anima ke se 'l vechio overo l'uomo antico avesse l'occhio del giovane vedaria come el giovane. (Et) inperò questa vertù vesiva ène accidente come l'altre vertude ke sono in lo corpo (et) in l'anema.
L. IV, pt. 3, cap. 11In lo xj.o capitolo se domanda, posto lo spirto visivo k'è spirto, come in sì breve tempo vane infino a le stelle. La responsione verace se fosse spirto, ma ène falso, si ène in lo tractato de li angioli, ke 'l movimento de li spiriti ène per contacto di vertude sì ke in ponto sono duve volgliono sença spatio quasi de tempo. Ma la verità ène in lo capitolo del viso ke, come ello specchio sença spatio di tempo sì se representa (et) reluce ongne cosa ke lli è denançi, così in lo viso come in lo specchio reluce ongne cosa presente.
L. IV, pt. 3, cap. 12In lo xij.o capitolo se demanda, quando l'occhio ène chiuso, ke è ciò ke lo spirto non remane de fuore. Respondo ke ongne cosa spirituale passa ongne obstaculo, onde se l'anima fosse in una fondata sì ne uscirea se non fosse constrecta da Dio; onde così v'entra essendo chiuso come aperto. (Et) io dico ke questo ène sengno ke non è spirto, ke se questo fusse vedaria così a chiusi occhi come aperti essendo informato lo spirto visivo da la cosa visibile.
L. IV, pt. 3, cap. 13In lo xiij.o capitolo se dimanda come esso spirto, mentre ke vae (et) vene, non riceve inpedimento nella via. Respondo: essendo cosa spirituale, per la quale lo spirto non se puote inpedimentire da corporale, ongne cosa ke puote trovare mentre ke vae (et) vene ène corporale, (et) così non puote recevare inpedimento.
L. IV, pt. 3, cap. 14In lo xiiij.o capitolo se dimanda in ke modo l'anima receve le forme prese da lo spirto de le cose visive, (et) dice ke lo spirto così informato representa le forme al senso comune, e 'l senso comune a la fantasia, (et) la fantasia a lo intellecto, (et) lo intellecto a l'anima. (Et) questo è vero, remosso lo spirto predecto, ke la vertute visiva enformata de la cosa visibile enforma el senso comune, ke però è decto "comune" ke iudica infra tutte le sensora; (et) discerne el senso comune (et) informa la memoria e llì conserva; la memoria informata informa la fantasia o l'estimativa, la quale sì dipurga la forma appresa da ongne condictione materiale (et) in questo modo informa lo intellecto possibile per vertù de lo intellecto agente, (et) questo intellecto informato informa l'anima.
L. IV, pt. 3, cap. 15In lo xv.o capitolo s'adimanda perké non se vede la figura innel vetro come nello specchio. Respondo: el vetro è corpo trasparente, non ce puote essere reverberatione però ke passa la forma k'è dinançi, lo specchio àne obstaculo del piombo sì ke non passa la forma ke dinançi li è posta (et) però reverbera; en l'acqua simelmente se fondo non avesse non se vedaria forma veruna, però k'è cosa trasparente non se porria fare reverberatione.
L. IV, pt. 3, cap. 16In lo xvj.o capitolo s'adimanda perké stando al lume non se vede cosa ke sia nello scuro, come de lo scuro se vede la cosa k'è al lume. Dicendo el maestro Alardo molte parole, la somma verità è questo, ke secondo ke decto ène la forma de la cosa visibile è mestieri ke sia illuminata, (et) per vertute del lume la spetie de la cosa visibile se multiplica (et) se conduce per l'aere in meçço existente infine a l'occhio: sì ke la cosa non essendo illuminata non se puote vedere, (et) così la cosa k'è al lume se puote vedere da lo scuro però k'è illuminata, la cosa k'è a lo scuro non se puote vedere dal lume però ke non è illuminata.
L. IV, pt. 3, cap. 17In lo xvij.o capitolo s'adimanda per qual natura toccamo, gustamo (et) odoramo.
L. IV, pt. 3, cap. 17aQuanto a la prima cosa, cioè al tacto, è da sapere ke secondo ke decto fo de sopra innell'omo sono le nervora come rete, (et) per vertude d'esse avemo questo senso del tacto, ké per esso toccamo per meçço naturale, cioè la carne, (et) avemo questo senso per tutto el corpo; tutti li altri àno parte determinata. (Et) àne in sé questo senso forme (et) qualitate temperate (et) non prende se no quello ke passi sua qualità in frigideçça, calideçça, dureçça, molleçça, aspreçça, pianeçça, graveçça, leveçça, secheçça, humedeçça. (Et) inperò ke l'omo à più temperata conplexione ke veruno animale à milgliore tacto, (et) in esso la palma da la parte derietro, (et) d'essa la sumità de le deta, (et) d'essi deta el deto anulare in sumitate; (et) inperò i periti medici usano de toccare ei malori con esso. (Et) queste cose decte de sopra dice Aristotile in lo secondo libro De l'anima
L. IV, pt. 3, cap. 17bEl gusto ène in sumitate de la lingua (et) ène nerbo coperto de carne spongiosa, e 'l sapore el quale prende ène vapore saporito overo odorifero: qualunque fiata esso vapore se congiunge con la saliva, o humiditate salivare, entra per quella spongiosa carne la quale ène in sommità de la lengua, rende sapore a lo spirto k'è innel nervo dentro, (et) inperò se la humidità salivare ène infecta d'amaritudine di colera el gusto iudica la cosa dolce amara, però ke se inmuta el vapore saporito et adunase cum la saliva, come ène manifesto in lo infermo. Onde questo senso quasi àne doi meççi, cioè la carne spongiosa (et) la humidità salivare.
L. IV, pt. 3, cap. 17cL'odorato stane sopra el naso infra ambedue le celglia, (et) sono due carnicole, (et) sono simile a doe capita de mamille overo pocciole, (et) pendono dal cerebro. (Et) l'odore, lo quale receve lo spirto odorabile, innella cosa nella quale ène se chiama odore, innel meçço, quando vene a l'odorato, ène fumo overo vapore resoluto (et) tracto de la cosa odorifera dal caldo; (et) questa ène la casgione ke la cosa hodorifera, come el pomo, molto spesse fiade odorato diventa puçulente, inperò ke li homori conservativi de la cosa (et) de l'odore per l'odoratione si traggono; (et) de state rendono le cose magiure odore ke di verno a casgione ke 'l caldo più trae. (Et) inperò ke 'l cerebro è frigido, quanto l'anemale n'à più secondo sé (et) quelle carnicole sono più apresso d'esso tanto peggio odora, (et) inperò ke l'uomo àne molto cerebro secondo la grandeçça (et) la sua quantità, (et) le decte carnicole li sono apresso, come dice 'l phylosofo peggio odora ke altro animale; el cane, perk'elli le àne ello naso bene da la longa dal cerebro àne mirabile odorato, come prova la experientia.
L. IV, pt. 3, cap. 17dDecto de le .v. sensora, adimandase perké sono tanto .v. (et) non più né meno. Respondo ke questo puote essere per .v. elementi ei quali sono meçço di questi sensora, ke non sono più de .v.. El viso se semilglia al fuoco inperò ke 'l meçço del viso per ke vedemo ène el lume, ké sença splendore (et) lume vedere non potemo; l'udito se prende per l'aere el quale ène suo meçço, ké mediante l'aere udemo; el gusto per l'acqua ké, como decto ène, per la umiditate salivare gustiamo; el tacto apartene a la terra inperò ke 'l meçço perké toccamo è la carne, ch'è terra, (et) ongne cosa ke noi toccamo àne propetà terrea, cioè solidità e fermeçça; (et) de ciò dice Plato mangnio filosofo ke mediante el fuoco, cioè splendore, vedemo, secondo ke mediante la terra, cioè solidità (et) fermeçça, toccamo; l'odorato apartene al quinto elemento, cioè al vapore, ké avengna ke l'odore per inmutatione de l'aere se possa prendare sença dissolutione (et) venire a l'odorato secondo ke 'l colore al viso, ma per tanto più spesse fiade se resolve. (Et) è decto el vapore quinto elemento però ke da esso molte cose se creano (et) conservano (et) ène principio de molte cose, ké 'l vapore ke se leva sopra la terra ène principio de venti, de corruscatione, de troni, de le petre fulmine, de nubili (et) de molte altre cose innell'aere, come sono stelle comate ke pare ke cagiano: quelli sono vapori; quelli vapori ke stano sotto terra rescaldano le fonti de verno, sono principio de terremoti (et) d'essi se generano le corpora mineria, cioè quelle cose ke se cavano, come solfo, ke scaldano le bagnora, pietre (et) argento vivo, (et) tutti li altri metalli, le plante, l'erbe (et) molte altre cose. Questo vapore è decto meçço elemento però ke tene meçço infra l'acqua (et) l'aere (et) nasce da essi, (et) ène questo quinto elemento più sottile de l'acqua (et) più grosso de l'aere. (Et) inperò ke non sono più elementa ke possano servire a più sensora non sono più sensi.
L. IV, pt. 3, cap. 18In lo xviij.o capitolo s'adimanda per qual natura l'alegreçça è casgione de pianto, cioè ke quando l'uomo àne una grande alegreçça, come del filgliuolo o del fratello ke longo tempo non l'à veduto, ke quando el vede si piange; (et) questo più ène innel vechi ke innel giovani. Responde maestro Alardo ke questo ène per dissolutione (et) resolutione de li omori, ké l'alegreçça sciampia el core (et) manda li ardori del desiderio per tutti li spiriti (et) membra, sì ke per questa fiamma si fa (et) genera grande resolutione de li omori. (Et) trovase innelle Storie scolastice ke quando el filgliuolo de Tito udio ke 'l padre avia venta Ierusalem volendo diventicare la morte del nostro signore, per la grande alegreçça fo tanta la resolutione de li omori (et) dissolutione membrali ke deventoe paralitico; (et) per grande tristitia, k'ène el suo contrario, se resanò.
L. IV, pt. 3, cap. 19In lo xviiij.o capitolo se dimanda per qual natura d'una bocca esscie fiato freddo (et) caldo. Respondo ke 'l core ène receptaculo (et) principio del calore naturale, però ke, secondo ke dice Aristotile, el core ène principio (et) vena del sangue; sì ke, essendo membro nobilissimo et morbido, la natura a refrenatione del caldo àne ordenato el polmone, che come mantacho e chontinovamente si sbattono due alie ch'à il polmone intorno al core recevente l'aire fresco, e 'l core se apre (et) manda da sé l'aire inprima recevuto e reprende el fresco; sì ke venendo a la bocca s'ei se manda sença obstaculo, ke non se chiuda, vene caldo, ma se se intercide infra le labra remane debile (et) sottile (et) prende temperamento (et) refrigerio in questo aere; (et) essendo aspento fae vento, ké vento non è altro se non voce, aere inpulso, (et) ongne vento ène freddo (et) così esso ène freddo.
L. IV, pt. 3, cap. 20In lo xx.o capitolo s'ademanda perké ventillandose o rostandosi alcuna persona, in lui se genera magiur calore reposato de ventillare. Respondo ke ongne contrario si vigorescie incontra del suo contrario per iscacciarlo (et) fugarlo da sé sì ke, essendo il vento freddo el quale face la rosta overo el ventilabro, el calore dentro si invigorescie per non perire (et) così s'ingenera magiur caldo, com'ène exemplo in la fucina del fabro ke l'acqua gittata in essa moderatamente non solo resparamia ei carboni ma invigorescie (et) rescalda più la fucina.
L. IV, pt. 3, cap. 21In lo xxj.o capitolo se dimanda per qual natura la cosa calda ke non se puote soferire in bocca (et) gollata si soferiscie. Respondo per tre rasgioni: l'una si ène ke la bocca ène termino de l'aere caldo usciente dal core, sì ke ongne simile desidera quanto più de vaccio puote de pervenire al suo simile, sì ke alcuno reposamento se fa d'esso caldo più ella bocca ke altroe in uscire. La seconda rasgione si è ke in la bocca ène el senso del gusto el quale, secondo ke decto ène, stane nel nerbo sotto carne spongiosa, sì che 'l caldo più vaccio passa verso del palato: ène per la nudità de la carne ke 'l caldo de vaccio gionge al nerbo innel quale ène el senso del tacto. La terça rasgione ène per meno humidità k'è in bocca (et) per la più k'è da la bocca in giuso, sì che 'l cibo receve temperamento, el quale recevuto perde del caldo.
L. IV, pt. 3, cap. 22In lo xxij.o capitolo se dimanda perké le deta de la mano non sono uguali, ke l'uno è longo (et) l'altro è corto, (et) la palma nonn è uguale né piana. Respondo: la natura sagace sempre adopera quello ke più ène sua utilità in conservatione d'essa, unde se le deta de la mano fossaro uguali (et) la palma piana la mano non se actuaria, (et) così non porria l'omo con essa bere quando gionge ad alcuna fonte sença extraneo istrumento; (et) a molte altre cose è utile la atteçça d'essa mano secondo k'è manifesto pensandove.
L. IV, pt. 3, cap. 23In lo xxiij.o capitolo se dimanda perké l'omo non anda incontenente k'ei nasce, como alcuno animale, avendo le membra (et) le istrumenta a cciò conpiute come li altri animali. Respondo ke questo adivene per la morbedeçça (et) tenereçça de la materia, ke l'omo sopra tutti li animali àne più morbida (et) più nobile materia (et) carne secondo sé. (Et) questo se puote provare per lo decto de Plato grande filosofo, el quale dice «El datore de le forme», cioè de l'anime, «a ciascuno dae la forma secondo la dispositione de la materia, (et) quanto ène più nobile la forma tanto ène più nobile la materia». Se manifesta cosa ène ke l'anima humana ène più nobile forma ke sia infra tutte le creature, inperò k'àne tutte le perfectioni como l'altre anime (et) sopra d'esse àne lo intellecto rationale, ke non l'àe veruno animale, (et) però àe più nobile (et) morbida conplexione (et) natura, (et) per la tenereçça le membra sono private de l'uso de la propria operatione infino a tempo determinato ke ricevono solidità (et) fermeçça.
L. IV, pt. 3, cap. 24In lo xxiiij.o capitolo s'adimanda per qual natura l'omo più tempo se nutrisce de lacte ke altro animale. Respondo ke, secondo ke decto ène de sopra inmediate, sopra tutti li animali l'omo àne più nobile materia (et) più morbide istrumenta, onde l'omo pungna più a mettare ei denti (et) a formarli ke nullo animale, (et) così la nobilità (et) la tenereçça de la materia ène casgione de più tempo suggere.
L. IV, pt. 3, cap. 25In lo xxv.o capitolo se dimanda perché el lacte non se dae così ai vechi come ai giovani, con ciò sia cosa ke pare che i vecchi tornino en senno citolino per lo defecto materiale, sença l'aiutorio del quale l'anima non puote usare sua vertute. Respondo che 'l lacte non solo se dae a sostentare la natura ma àne per un modo fervente a nutricare (et) augmentare (et) acresciare, ké ello ène convertibile sença modo. (Et) essendo el lacte humido e i vechi humidi, in essi s'acresciaria nociva humidità, non avendo calore acto a digerere essa humidità, (et) così cadaria in nocevoli homori. Innei citoli ène calideçça k'àe a paidire e consumare la humidità (et) la superfluità de li homori habundanti in essi, (et) con tutto ciò sì li viene el lactime, k'ène soprahabundantia d'omori; ma el vechio ène frigido (et) humido, non è acto in natura di potere paidire la humidità non solo accidentale ma la naturale, (et) inperò incanutiscie e inmarciscie.
L. IV, pt. 3, cap. 26In lo xxvj.o capitolo s'adimanda perké la proportione de elementa se discorda in l'omo. Respondo k'ène da notare ke in ciascuno homo sono quatro homori, in li quali sono dispositioni relicte da iiij.o elementa (et) tengono la loro proprietà (et) passione, (et) àno convenença con quatro tempi de l'anno (et) cum quatro etate, cioè sangue, colera, flemma (et) melenconia. E 'l sangue ène homore ke àne qualità (et) convenientia cum l'aere, k'ène elemento, cum la primavera, k'ène tempo, (et) cum la infantia, k'ène etate. Tutte quatro queste cose sono callide (et) humide. Colera ène humore c'àne qualità conveniente col foco, k'ène elemento, con la state, k'è tempo, con la pueritia, k'è etate. Tutte quatro queste cose sono callide (et) secche. Flemma ène humore k'àne qualità (et) convenientia con l'acqua, k'è elemento, con lo verno, k'è tempo, con la vechieçça, k'è etate. Tutte quatro queste cose sono frigide (et) humide. Malanconia ène humore c'àne qualità conveniente a la terra, k'è elemento, a l'autunno, k'è tempo, a la iuventute, k'è etate. Ciascuna de queste quatro è frigida (et) secca. Unde, secondo ke queste quatro elementa sono contrarie, come 'l fuoco k'è caldo (et) secco, l'acqua k'è frigida (et) humida, l'aere k'è calda (et) humida, la terra k'è frigida e secca, così le qualitate de l'uno homore c'à convenientia cum l'uno elemento sono contrarie a le qualità de l'altro humore k'àne convenientia con l'altro elemento contrario a quello; e 'l contrario sempre conbatte inverso del suo contrario volendolo cacciare da sé, (et) in questo modo ène continua pugna naturale. Enterviene a le fiate ke, per alcuno cibo preso, ke l'omore innel quale se converte più el cibo receve tanto vigore (et) alteratione ke soprastae a li altri (et) discordase da essi; overo per freddo o per accendimento de caldo, o per varietate de etade, secondo le similitudine decte de sopra. (Et) in questo modo naturale (et) accidentale seguita corruptione (et) dissolutione innell'animale, per pugna naturale (et) agiongimento accidentale.
L. IV, pt. 3, cap. 27In lo xxvij.o capitolo s'adimanda perké l'omo (et) li altri animali se cibano continuamente. Respondo ke 'l caldo naturale continuamente conbatte innel umido radicale, onde, secondo ke lo elemento del fuoco passa in sua qualità (et) operatione tutte l'altre elementa inperò ke tutti esso trasmuta de qualità remanente esse, com'è manifesto de l'acqua k'è in proprietà frigida e 'l fuoco la rescalda remanenta acqua, ma el foco mai de propria qualità non se puote mutare remanente foco, così el calore naturale ène più forte in ongne operatione ke verun'altra qualità; onde, secondo ke 'l foco ardendo rescalda, (et) rescaldando desecca, deseccando arde, ardendo converte, convertendo consuma, così el caldo naturale adopera inverso de l'umido radicale; (et) inperò ke l'actione (et) operatione d'esso calore naturale àne repente operatione sopra de l'umido, a la quale operatione non essendo sufficiente a contrastare l'umido radicale abisongna l'umido accidentale, cioè el cibo e 'l poto. (Et) questo ène quando l'omo è cresciuto tanto k'è bastevole, ma infin'entre a quell'ora abisongna ancho a cresciare ke faccia la terça digestione (et) decoctione: se converte parte in simile.
L. IV, pt. 3, cap. 28In lo xxviij.o capitolo se dimanda perké ongne animale àe paura se alcuno de sua spetie truova morto, (et) non d'altra spetie, come l'omo se trova morto l'omo, cavallo el cavallo, (et) così de li altri. Respondo ke la cosa ke più s'ama più se teme de perdare: sopra tutte le cose del mondo ke più s'ami naturalmente da ongne animale si è la vita, ke ongne cosa ke l'omo adopera fa per bene vivare, mutatione de cibi in diversi tempora (et) de vestimenta, (et) aquisti; dumqua el suo apposito e contrario perk'ei tolglie (et) priva la vita più se teme, (et) questo ène la morte k'è privatione de vita, (et) de ciò dice Aristotile ke la morte ène fine de tutte le terribili cose; ke vedendo l'omo, overo altro animale, alcuno de sua spetie morto pensa de la privatione de la vita sua, cioè de la sua morte, (et) così molto teme però ke la vita molto ama, se vede d'altra spetie per la grande diversità ke ène infra l'una spetie (et) l'altra non se recorda de sé né de la morte sua, (et) così non à paura.
L. IV, pt. 3, cap. 29In lo xxviiij.o capitolo s'adimanda per qual natura l'omo vivo vae a fondo e 'l morto nota con ciò sia cosa ke deveria essere el contrario ké per carença de li spiriti naturali k'àe sempre a traere in alto più ène grave el morto ke 'l vivo, (et) così deveria andare più vaccio a fondo. Respondo ke questo ène per casgione del fele k'ène humore malencolico (et) in vertù (et) in effecto gravissimo; unde, secondo ke la vertute unita (et) congregata insieme ène magiure ke sparsa, como se vede ad occhi, ké magiur caldo el foco innel forno dae ke non fa s'elli ène spaso innella piaçça, e così mentre ke 'l fele ène intero, etiamdio poi k'ène morto l'omo, però k'è humore gravissimo l'omo stae a fondo, ke se l'omo non avesse fele non porria afondare, ma però ke 'l fele se rompe (et) spargese per lo corpo (et) per l'acqua l'omo morto nota, inperò ke 'l fele àne perduta la vertute (et) la proprietà sua.
L. IV, pt. 3, cap. 30Per qual natura, se 'l lupo sguarda inançi a l'omo ke l'omo ad esso, gridando l'omo incontenente afioca overo arouca. Respondo: infra li altri animali ke sieno innei quali habundi humidità in lo lupo habunda più, (et) però vedete ke veruno animale incanutiscie se non el lupo, avengna ke non sia ben propria canuteçça; (et) maximamente in lui habunda humidità in la testa in tanta quantità ke 'l priva d'un senso, cioè de l'odorato, ke non sente ponto per odorato; (et) questa ène la casgione perké urla, acciò ke i cani sentendo lui urlare abaino, (et) per lo abaiare el lupo sente in qual parte stano le pecore per l'odito. Sì ke l'omo sguardando al lupo, inbattonsi li occhi de l'omo con quelli del lupo ke sono humidissimi: incontenente la natura trae a simile (et) per paura repente el calore naturale fugendo al core l'estremitate remangono fredde, sì ke la humiditate ène in sua potissima vertute confortata de fuore (et) dentro. Questa rasgione si ène naturale. Puoteve essere un'altra rasgione, ke puote avenire per grande sforçamento angustioso (et) paurevole sì ke la voce de ciò acatarra. Ma quando l'omo vede prima el lupo prende più scigurtà, ke forse el puote fugire se vole, ynmagina innançi ke gridi.
L. IV, pt. 4Decto de sopra de le proprietati (et) nature comuni a l'omo (et) a la femena, seguita ora de le propietati proprie (et) spetiali. (Et) de ciò se fano viiij.e ademandasgioni: la prima, perké la femena àne più grosse le fondamenta, cioè le gambe (et) le coscie, ke l'omo; el secondo, perké li omini sono pelosi (et) le femene sença peli; terço, perké la femena àne la casgione così en pronto (et) l'omo no; quarto, perké 'l primo conselglio de la femena è melglio de li altri; quinto, perké sença mesura la femena ama (et) inodia, àe crudeltà (et) misericordia, (et) l'omo no; sexto, perké non puote tenere le secrete a liei decte, (et) l'omo sìe; septimo, perké àne sì grande voluntà de sapere alcuna cosa secreta; octavo, perké la vechia quando comença a luxuriare fa peggio (et) più se delecta de la giovane; nono, perké la femena giace con lo leproso o malacto, a lei non offende e 'l primo homo ke usa con lei deventa leproso; decimo, perké la femena non permane in stabilitate.
L. IV, pt. 4, cap. 1In lo primo capitolo s'ademanda perké la femena à più grosse le gambe (et) le coscie ke l'omo. Respondo: per la frigideçça (et) humiditate ke habunda più in lei ke in l'omo; onde vedete ke l'arbore àne el pedone, el tronco, grosso però ke abonda più in humidità (et) frigidità però ke stae longo la terra, (et) le ramora, ke sono remosse da la terra (et) stano in aere verso el caldo (et) non habundano sì in humiditate, sono sottili.
L. IV, pt. 4, cap. 2In lo ij.o capitolo se demanda perké li homini sono pelosi (et) le femene sença peli. Respondo ke questa ène una rasgione con quella de sopra, per callideçça de l'uomo (et) frigideçça de la femena: ei peli, se noi consideramo bene, sono per superfluitate di sangue surgente e nascente per resolutione d'umori per callida conplexione, onde l'omo quanto più ène virile (et) callido più ène peloso, però ke 'l caldo più resolve, (et) àe più le pori aperti, la femena per la frigideçça àne li pori chiusi sì ke non se puote fare resolutione sì vigorosa como a l'omo.
L. IV, pt. 4, cap. 3In lo iij.o capitolo s'ademanda perké la femena àe la casgione così in pronto più ke l'omo. Respondo ke, secondo ke dice Aristotile, la femena ène homo inperfecto: però ke ongne cosa ke genera secondo natura studia de generare suo simile, sì ke la vertute rationale existente in essa non à molte perfectioni a cercare, sì ke de vaccio trova quello ke puote avere. La seconda rasgione si ène ke ella ène naturalmente timida (et) paurosa per la modicitate del calore, però k'è frigida, sì ke la natura sagace acciò ke non peresca convertese tutta a quello ke bisongna a lei; quella de l'omo ène più secura natura ké abonda più in lui el calore, non à la rasgione sì in pronto. La terça rasgione si ène ke la femena per la paura sì de vaccio ke si dispone a fare alcuna cosa inlicita comença a trovare la casgione la quale 'ro manifesta acciò ke la inlicita operatione non se inpedimentesca essendo a lei dilecto. Et dirònne una cosa ke io trovai scripta. In Ferrara era un nobile cavallieri ke avia una sua molto bella (et) nobile donna, la quale era amata da uno nobele donçello d'essa terra. Lo quale non potendo parlare a la donna per veruna casgione ebbe un savio homo bello parladore (et) promiseli grande quantità de denari s'ei potiva concordare questo facto; (et) dede casgione ke un suo destrieri non potea stare nella sua stalla ke la facia aconciare: pregò el cavallieri ke loi tenesse in la sua, (et) quello bello parladore era scudieri. Lo quale essendo d'altre contradie non essendo conosciuto se mostrava molto semplice; quando fo ben asecurato innella casa del cavallieri, k'era tenuto sì semplice ke potiva andare in ongne loco (et) colla donna poteva stare sença suspecto, quando vidde el tempo (et) elli començò a parlare savio (et) disponere lo facto, (et) tanto disse in diversi tempora ke concordò el facto perk'elli stava. (Et) usando la donna per grande tempo con lo donçello per lo bello parlare del fante fu inamorata simelmente del fante sì ke avendolo un dì ella camera, manifestòlli el suo intendimento. (Et) stando insieme in dilecto, el donçello vedendo el cavallieri andare per la terra andoe a la donna (et) percosse l'uscio de la camera; la donna quando l'udio nascose el fante deppo la cortina, (et) stava col donçello. (Et) stando così, (et) ecco tornare el cavallieri (et) fue a la camera (et) percosse a l'usscio; la donna in istante disse al donçello: "Trae fore el coltello (et) apri forte la camera, (et) non parlare a persona (et) mostrate adirato (et) minaccia dicendo 'Se io non l'ucido morto sia io'". Como disse el donçello così fece (et) usciendo de la camera el cavallieri tutto enterrio e 'l donçello minacciando si andò per li facti suoi non respondendo a nulla parola al cavallieri. Entrando el cavalieri nella camera la donna chiamoe el fante, ch'era doppo la cortina, (et) disse al cavalieri ke perké el donçello trovoe el destrieri empastoiato sì 'l volea ucidare, sì ch'elli recovaroe innella camora (et) a peina l'avia potuto defendare. (Et) così scusò sé del donçello (et) del fante; non mandoe el dolçello deppo la cortina però ke non volia k'ei trovasse el fante, sì ke 'l donçello non seppe niente del fante, (et) esso fante fusse scusa del donçello.
L. IV, pt. 4, cap. 4In lo iiij.o capitolo s'ademanda perké el primo conselglio de la femena è melglio de li altri, (et) non adivene così nell'omo. Respondo ke se noi ben consideramo questo capitolo se solve per alcune cose decte de sopra innel proximo capitolo, ke la femena non avendo in sé perfectione come àne l'omo quella ke àne incontenente la trova (et) sempre ène la milgliore, però ke, secondo ke dice Aristotile, a ke se converte tutta se converte; sì ke ongne consilglio k'ène doppo el primo ène pegiore d'esso. L'omo ène perfecto, àne molte cose rasgionevole per le quali la potença rationale puote avere descorso (et) vedere la cosa perké è bona (et) l'altra perké è milgliore (et) pegio. La seconda rasgione puote essere innella femena per poca experientia, ké non s'à ad inpacciare se non in masaritie de casa, (et) l'omo àne udite (et) vedute molte cose, sì ke per longa (et) molta experientia iudica melglio quanto più pensa.
L. IV, pt. 4, cap. 5In lo v.o capitolo se dimanda perké la femena ama (et) inodia, à misericordia (et) crudeltà sença mesura, ma l'omo con mesura. Respondo ke, secondo k'è decto de sopra inmediate, la femena per la inperfectione ène molto convertibile, (et) a ke se converte, secondo ke dice Aristotile, tutta si chonverte; però dicie Aristotile ke la femena àne la natura del citolo, ke ongne cosa fano sança mesura, unde dice «Pueri et mulieres omnia faciunt valde», cioè sença modo (et) mesura: se tutto el mondo pendesse per un filo quando ène adirata sì lo romparia.
L. IV, pt. 4, cap. 6In lo vj.o capitolo s'adimanda perké la femena non puote tenere le cose secrete a loro decte. Respondo ke la femena àe ymaginatione ferventissima sença modo (et), secondo k'è decto de sopra, tutta se converte sì che ymaginando la cosa ke gli è decta, inmaginala sì in una parte ke non la ymagina in altra, cioè in pericolo ke ne possa essire; ben alcuna fiata questo ymagina (et) quando esso pericolo ymagina no 'l dice, ma quando ymagina el secreto tanta ène l'abundantia ke àe d'essa cosa decta a lei ke non la puote sofferrire. La seconda rasgione ène ke la femena ama molto honore naturalmente e libertà, sì ke pare ke alcuna signoria li s'aquisti sopra quando li se dice "Non dire cotal cosa", sì ke in tanto quanto l'omo più li veta magiur voluntà e içç'à de dirlo; unde sopra d'una fiata non li se vorria dire, ma ke se converria fare di sponerli li pericoli de la cosa secreta se venisse a manifesto, (et) spesse fiate redurli a memoria, sença vetamento.
L. IV, pt. 4, cap. 7In lo vij.o capitolo s'adimanda perké la femena, quando el marito o altra persona dice ke sae alcuna cosa secreta, àe sì grande volontà de saperla quando leva prova de non dirla. Respondo ke per tre rasgioni adivene. La prima ène la conversione forte (et) repente sopra la cosa ymaginata da lei, com'ène decto de sopra. La seconda rasgione ène ke per questo vole provare se 'l marito o amico li vole bene per manifestarli le sue secrete (et) però sempre, se lli odono dire, quando si tengono, de non manifestare: "Veggio ke tu non m'ami". La terça rasgione ke pensano ke in quel secreto non sia alcuna cosa ke abatta da l'amore infra 'l marito o amico (et) lei, o alcun'altra cosa incontra de lei.
L. IV, pt. 4, cap. 8In lo viij.o capitolo s'adimanda perké la vechia, quando comença a luxuriare, face peggio de la giovane (et) più se delecta, quando non comença non se ne cura (et) la giovane sìe. Respondo ke la giovane ène calida (et) seccha sì ke per la calideçça continuamente appete, la vecchia ène frigida (et) humida sì ke se non comença per la frigideçça non appete, ma quando comença comença a discurrere li omori luxuriosi, per la humidità grande k'àe in sé no 'l puote tenere, (et) però ke in quello acto ène grande dilecto (et) in essa humidità più habunda de la giovane più se delecta. Altre rasgioni lasso stare però ke non è materia molto honesta.
L. IV, pt. 4, cap. 9In lo viiij.o capitolo se dimanda perché se 'l leproso giace cum alcuna femena ad essa femena non offenda, (et) el primo homo ke usa co· llei carnalmente deventa leproso; (et) questa è doctrina ke l'omo se dia molto guardare da le peccatrici. Respondo ke la femena, secondo k'è decto de sopra, ène frigida (et) humida (et) per la frigideçça àe li pori chiusi (et) strecti, (et) questa è la casgione perké conporta el verno a lavare ei panni sença offensione nell'acqua fredda (et) l'omo ne morria, però ke 'l freddo trovando ei pori chiusi non pote passare dentro, a l'omo li trova per la calideçça aperti, incontinente passa dentro; sì ke 'l seme infecto (et) corropto dissimile a la natura de la femena per la molta humidità (et) chiudeçça dei pori non puote passare a luogoro ke abbia o possa a lei ofendare, e l'omo in quello acto ène callido (et) secco, tutti ei pori li se aprono (et) maximamente del membro naturale per la confricatione actuale, truova el seme infecto a sé simile, recevelo per li pori, (et) così, secondo ke 'l fermento overo levame tutta la massa corrumpe, così quello seme infecto corrompe tutto l'omo.
L. IV, pt. 4, cap. 10In lo x.o capitolo se dimanda perké la femena ène così mobile ke non permane in stabilità, unde sole dire el savio «Mulier in mora septies mutatur in hora». Respondo ke, secondo ke decto ène de sopra, la femena ène molto convertibile et à natura in ciò, secondo ke dice Aristotile, del citolo, ke ongne cosa crede: sì ke credendo (et) essendo mobile ène convertibile, non permane in odio né in amore, como coloro ke ripentemente (et) de vaccio s'adirano et de vaccio ritornano così de vaccio s'achina (et) de vaccio se parte; unde homo strainero mostrandoli amore crede ke sia così como li dice (et) demostra, (et) ella àne natura inchinevole: se altra vergongna o paura non la tene non sae servare fede.
L. IV, pt. 5Decto d'alcune spetiali nature de li homini (et) de le femene in ke sono differenti seguita de dire d'alcune nature d'animali inrationali. (Et) de ciò se fano v ademandasgioni: prima, se demanda perché alcuna bestia ruguma (et) alcuna no; secondo, perché i cavalli non rugumano, ke pare k'ei debbiano rugumare; terço, perké alcuno homo non ruguma, ke pare k'ei debbia rugumare; quarto, perké 'l bove se colca denançi (et) levase derietro; quinto, perké li ucelli bevendo come li animali non urinano.
L. IV, pt. 5, cap. 1In lo primo capitolo se dimanda perké alcune bestie rugumano (et) alcune no, come 'l bove, pecore (et) molte altre. Respondo ke questo è per defecto del calore naturale ke non è sì potente in loro ke per la prima infragnitura del cibo potesse paidire, sì ke infranto el cibo (et) stando a macero (et) mastecando la seconda fiata la natura non è sì afatigata a paidirlo.
L. IV, pt. 5, cap. 2In lo ij.o capitolo se dimanda perké el cavallo, e alcun altro animale, essendo de frigida natura come quelli ke rugumano non ruguma. Respondo ke puote essere cascione ei denti, ke puote melglio mastecare de la pecora (et) d'alcuni altri ke se chiamano bidenti: (et) se lli ànno no· lli ànno così acti a masticare.
L. IV, pt. 5, cap. 3In lo iij.o capitolo s'adimanda perké alcuno homo essendo molto frigido non ruguma. Respondo k'è per doe rascioni. L'una si è ke, avengna ke alcuno homo sia frigido per respecto agli altri homini, nullo è ke non sia callido per respecto a le bestie ke rugumano. La seconda rascione ke, secondo ke decto ène, àe li denti acti a masticare bene el cibo, sì ke 'l calore naturale non àe tanta fatiga a paidire.
L. IV, pt. 5, cap. 4In lo iiij.o capitolo se demanda perké 'l bove se colca denançe (et) levase derietro, con ciò sia cosa ke 'l più debele deveria innançe cadere e 'l più forte innançe levare. Respondo ke 'l bove ène molto debele derietro (et) denançi molto forte, secondo ke prova la experientia; denançi ène quasi tutto 'l peso e la forteçça, sì ke s'elli se colcasse derietro tutto 'l peso del bove verria sopra le gambe (et) le coscie derietro, sì ke no seria sença grande sua lesione; denançi ène forte, sì ke essendo inginocchiato dinançi non àe peso derietro. El levare fa derietro per doe rascioni: l'una, ke dinançi ène afatigato però ke giace sopra le ginochia (et) la spalla (et) derietro ène posato, sì ke àe recevuto força (et) vigore, come el vangatore quando ène posato ke prende magiur vangata. La seconda perké denançi àe troppo grande peso (et) derietro no, sì ke sença difficultate se puote levare derietro, (et) levata la parte derietro dae adiutorio a levare quella denançi.
L. IV, pt. 5, cap. 5In lo v.o capitolo s'ademanda perké li ucelli bevendo como l'anemali non orinano come essi animali. Respondo ke questo è per grande callideçça ke àne a consumare quella cotale humiditate, sì che non abisongna a loro come a li altri animali quadrupedi.
L. VConpiuto el quarto libro ora diremo del quinto libro, lo quale tracta de' vitii, acciò ke fugano, (et) de le vertute, acciò ke se adempiano. Unde secondo ke dice Boetio inprima ène da sterpare le vitia (et) poi ène da piantare le vertute, al modo del savio lavoratore ke inprima sterpa le rie erbe (et) nocevoli de l'orto (et) poi pianta l'erbe utile (et) bone; così questo modo tenendo inprima diremo d'alcuni vitii (et) poi soventemente diremo d'alcune bone vertute. Et questi sono li capitoli de li vitia de le quali intendemo di tractare, li quali sono capitoli xxvj: primo, como se pecca; secondo, de la superbia; terço, de ira; quarto, de invidia; v.o, de luxuria; vj.o, de avaritia; vij.o, de furto; viij.o, de usura; viiij.o, de simonia; x.o, de fornicatione; xj.o, de adulterio; xij.o, de homicidio; xiij.o, de' seminatori de discordia; xiiij.o, dei concettuosi; xv.o, de la dolositate; xvj.o, de la malignitate; xvij.o, de li ingannamenti; xviij.o, dei gridatori; xviiij.o, del molto parlare; xx.o, dei mormoratori; xxj.o, de li schirnitori; xxij.o, dei falsi losenghieri; xxiij.o, de la pigritia; xxiiij.o, de la ingnorantia; xxv.o, de la gola; xxvj.o, de la vanagloria. De tutti diremo, (et) prima come nasce el peccato.
L. V, pt. 1Il primo capitolo tracta in qual modo nasce el peccato; (et) trovamo ke in tre modi (et) da tre radici àne nascimento.
L. V, pt. 1, cap. 1Inprima àne nascimento dal diavolo per sugestione come fo manifesto innel primo homo, (et) secondo che apparve alora visibile sub dissimulata spetie de fuore, così ora appare invisibile innella mente aportando continuamente spetie dei peccati per ymaginationi. Del quale dice sancto Pietro: «Fratres sobrii estote et vigilate in orationibus quia adversarius vester dyabolus tamquam leo rugiens circuit querens quem devoret, cui resistite fortes in fide», cioè 'Frati siate sobrii (et) solleciti (et) veghiate innell'orationi ké l'aversario vostro, el demonio, secondo ke 'l lione va attorno sença posa cercando ke possa devorare'. Et sancto Gregorio dice «In assidua tentatione el diavolo tenta acciò ke per tedio (et) increscimento almeno vencha». Unde sancto Bernardo volendo manifestare le sue malitie pone le similitudine como appare, non ke visibilmente così appaia ma ke in tentare prende loro natura, (et) dice: «Versuto ène lo nostro nemico (et) tortuoso, (et) le vie sue et tentationi non facilmente se possono congnoscere, né le spetie sue se possono sapere: ké ora è qui ora è là», ora è in questo loco ora in quello, «ora agnello ora lupo, ora tenebra ora luce se demostra; secondo diverse conplexioni et mutationi de tempi diverse dae temptationi». Et sancti Grisosto dice ke se acosta a' dolci suoni d'istromenta, ai sapori de' cibi (et) de' vini, dàsse a li odori, congiongese con li colori a noi. Domqua se reserva d'essere sempre de lui in paura (et) in ongne cosa temerlo (et) considerarlo.
L. V, pt. 1, cap. 2Secondo, el peccato àe nascimento da la delectatione la quale procede da la sensualità, unde poi ke 'l diavolo porge la tentatione del peccato la sensualità in primo aspecto parli suave, delecta: questo ène el pingnatto ardente el quale vidde Ieremia, ke incontenente doppo la tentatione la sensualità inchina (et) incende.
L. V, pt. 1, cap. 3Terço, el peccato àe nascimento dal consentimento el quale procede da la rasgione, onde el diabolo tempta, la sensualità delecta, la rascione consente e così el peccato è conpiuto: queste sono le tre lancie per le quali more l'anima.
L. V, pt. 1, cap. 4Et nota ke in tre modi se pecca: per ignorantia, quando l'omo non conosce sé peccare né non remane da lui ke no 'l conosca ma per defecto de natura o carença de senno, overo ke non ène ki l'amaestri, overo ke quello ke fae ne crede piacere a Dio (et) fare bene, come fu sancto Paulo. Peccase per infermitate, per tentatione grandissima ke la natura non è potente sença grande pena a resistere, o per paura come fue in meser sancto Pietro ke negoe Dio, ké sì grande fue la paura k'ebbe de la morte ke non si recordò del suo signore. Questi doi modi di peccare facilemente se perdona. Peccase per malitia, quando in propria sciença sença grande tentationi altri conmette grave peccato, come fue Iuda che 'l suo signore, dal quale avia recievuto tanto guidardone ke l'avia facto signore de li apostoli e corporalmente de sé medesmo, k'era spenditore, aviali perdonata tanta nequitia c'avia conmessa d'occidare el padre (et) de giacere carnalmente con la madre, (et) tradarlo per xxx.ta denari, ke se de ciò avesse avuto grande avere seria potuta forse iudicare d'alcuna infirmità, ma fo per sì poco preçço ke mostrò ke fosse per propria malitia (et) per magiur viltà del Signore. (Et) questo tene superlativo grado de graveçça de peccato.
L. V, pt. 1, cap. 5Ite(m) nota quod triplex e(st) peccatu(m): criminale, mo(r)tale (et) ve(n)iale. Criminale peccato ène quello ke per la leggie se punisce, come furto, homicidio, falso testimonio, periurio e molti altri, innei quali ki ve pecca ène punito. Mortale ène ke perké altri el conmetta non è punito temporalmente, come adirarse l'omo infra sé, biastimare (et) inodiare altrui. Unde ongne criminale è mortale, ma ongne mortale non è criminale. Peccato veniale ène ke facilemente àe venia (et) perdonança, come sono ei primi movimenti del peccato innançi ke la rasgione o rationale potentia consenta, ma alcuno illicito delecto receve; ke, secondo ke dice sancto Augustino, questi primi moti non sono in nostra podestà, ke nullo è sì sancto ke d'essi se possa guardare se non quelli ke sanctificati fuoro in corpo de la matre. (Et) de ciò dice sancto Iohanni: «Se noi dicemo ke noi non aviamo peccato, noi ne 'ngannamo (et) veritade non è in noi». Questi peccati, quando l'omo se reduce a rasgione (et) conosce k'àe mal pensato, s'ei dice sua colpa o per espersione d'acqua sancta, per visione del corpo di Cristo, per basciare la mano al vescovo sì se perdona. Vero ène ke alcuno àe più rascione de peccato (et) de graveçça ke l'altro, secondo ke l'omo medesmo puote considerare; (et) de ciò dice sancto Paulo ke alcuni passano con fieno ke incontenente s'arde, (et) passa el purgatorio con un caldo, alcuni cum stoppioni, ke dura alcuna cosa la pena loro in purgatorio, alcuni con lengna, (et) quella de costoro è più forte pena; (et) intendi pena ke se dà per peccata veniali, però ke dice ke de vaccio passano.
L. V, pt. 2Decto in ke modo vene (et) nasce el peccato (et) como se pecca (et) quanti sono li peccati in genere, seguita de dire de la superbia, k'è principio d'ongne peccato. (Et) k'è in ongne peccato sì se intende: però ke in qualunque peccato l'omo pecca fae contra del suo signore, (et) fare l'omo contra del suo signore è grande superbia, dumqua vedete ke la superbia ène principio d'ongne male, ké sì vaccio ke l'omo pensa de fare male contra del suo signore conmette superbia. Superbia ène elatione de la mente in Dio overo innel proximo in qualità ke non li se convenga, unde dice sancto Augustino «Grande vitio ène la superbia». La quale non solo li angeli volse a Dio coequare ma li homini volse deificare, quando Adam credette essere como Dio s'ei mangiava el pomo vetato. Et àe in sé malo e contrario effecto, ke quanto la creatura più se inalça in superbia per voluntà più se depreme (et) avilescie (et) abassa in operatione (et) in effecto. Unde fae tre mali: perverte lo stato naturale, tolle la belleçça vertuale (et) caccia del loco formale. Queste tre cose el dimonio perdeo: lo stato naturale, ke d'angelo se fece demonio; perdeo l'ornamento vertuale, ke de vertuoso se fece malitioso (et) de bello se fece laido; perdeo loco formale, che 'l cielo era loco ke se convenia a la sua forma (et) natura (et) elli cadde in inferno. Ène manifesto del demonio magiure, del quale dice Ysaia propheta: «Perché cadesti del cielo, Lucifero, lo quale splendiva la matina? ke diciva nel tuo core "Salirò in cielo (et) sopra de li astri del cielo porrò la sedia mia (et) sarò simile a l'Altissimo"; dove cadde, perk'elli volse salire sì in alto, in infimo loco de l'inferno». Se noi volemo dire de la belleçça, sença numero era bello in tanto k'era appellato "Lucifero", cioè 'aporta luce', ké la stella Diana ène chiamata Lucifero; se noi volemo dire de li vestimenta odi ke dice Ysaia: «Ongne petra pretiosa el vestimento tuo: sardius, topatius, jaspis, berillus, grisolitus, onix, saphyrus, carbunculus, smagraldus»; ora com'ène bello odilo innella Storia de sancto Bartolomeo, quando el demostroe al populo k'era come gheçço grandissimo, la sua faccia più nera de fuligine (et) acuta, li occhi como ferro di fornace stillante faville de fuoco, de la bocca uscia flamma solphuria e le spinose come istrico avia. Odi ke fece la superbia a Nabuchodonosor rex perk'elli disse "Questa ène Babillonia k'eo hedificai innel vigore de la mia forteçça (et) innella gloria de la mia belleçça". (Et) non avendo ancora conpiuto de dire (et) una voce venne da cielo (et) disse "A te se dice, Nabuchodonosor: rengname ài perduto (et) da li homini sarai cacciato (et) starai colle bestie (et) pasciarai fieno come bove, infine ke septe tempi se mutarano sopra de te (et) connosciarrai ke l'Altissimo rengna innel rengno del cielo (et) a cui vorrà sì 'l darà"; (et) tutte queste cose fuoro adempiute in lui. Onde la superbia la grande torre de Babillonia destruxe, la lengua divise, occise Golia, sospese (et) inpiccoe Aman, occise Nicanore (et) Antiocum (et) Senacherib, Faraone somerse in mare, (et) fae infiniti mali. D'essa superbia dice Iob «Se la superbia salirà infine al cielo e 'l suo capo toccarà le nuvola, infino de l'abisso lo cacciaròne»; Davit propheta dice «Viddi lo inpio superbo sopraexaltato (et) elevato sopra li cedri del Libano: quando passai non v'era, cercai (et) non si trovò el loco suo». Onde el superbo ama el primo loco innel parlamento, stare in capo di mensa, essere salutato innelle piaççe (et) essere chiamato da ongne persona "Mesere", come dice el Vangelio. Trovase de uno phylosofo ke volendo l'arrogantia d'un re reprehendere, ke se faciva adorare, andoe innançi da lui (et) longo steso l'adoroe, onde el re non dicendo "Leva suso" sença licentia se levoe (et) asedettesi a lato el re. El re maravilgliandosi sapendo k'era filosofo demandoe perké avea facte queste cose. Respose el filosofo: "Overo tu se' Dio overo homo: se se' Dio debbote adorare, se tu se' homo potei a lato tuo sedere". In tanto el re saviamente respose: "Se so homo non me dovesti adorare, se non so Dio dovesti a lato mio sedere". (Et) così prudentemente el filosopho schiernio la superbia del re. Onde dice Salamone nei Proverbii «L'omo inpio (et) superbo come la tempestate passa e non se trova, li iusti sono secondo k'è fondamento sempiternale». Considera ke dice Davit: «Ongne carne (è) fieno (et) omne sua gloria come el fiore del campo».
L. V, pt. 3Decto de la superbia seguita de la ira, la quale è divisa da essa avengna ke ad alcuni paia una cosa: la superbia ène exaltamento (et) aprendemento d'ardire di fare o di volere alcuna cosa la quale a suo stato in tanto per verun modo si convene; ira è accensione de offendare altrui. (Et) devete sapere ke doe ire se trovano, licita (et) inlicita, bona (et) ria. Licita ène quando homo s'adira d'alcun male ke vede o sente fare (et) d'alcun bene ke se deveria fare ke vede o sente obmettere, ke non se fae. (Et) questa ira se convene ad ongni rectore spirituale (et) temporale (et) a ciascuno padre de famelglia, (et) questa ira ène comandata ke se debbia avere, onde dice David propheta «Irascimini et nolite peccare», 'adiratevi (et) non peccate'; in questo modo non se pecca quando s'adira per modo di correctione. Ène un'altra ira pericolosa (et) ria la quale è, secondo ke dice el filosofo nel primo libro De l'anema, «Ira ène accensione de sangue intorno al core in offensione del proximo», onde dice ke «ira ène appetito (et) desiderio de vendecta». (Et) questa ène ria (et) pericolosa per tre rasgioni: inprima per l'ofuscatione de la veritate, secondo per l'ofensione de la maiestate, terço per lo chiudimento de la pietade. Primo, ène pericolosa l'ira per offuscamento de la veritate, ke quando homo ène in ira non discerne el vero dal falso, come dice Cato: «Ira inpedit animum ne possit cernere verum», cioè 'l'ira inpedisce l'animo acciò ke non possa conosciare la verità'; ke per l'ira infamarà colui a cui porta ira de falso: esconne falsi testimonii, periurii (et) rixe, onde dice Salamone nei Proverbii «Como la brasgia (et) le lengna al foco, così la irosa suscita le brighe»; però dice sancto Iacobo «L'ira de l'omo mai non adopera iustitia». (Et) così è manifesto ke l'ira ofusca la verità. Secondo, offende la maiestate, ke derittamente l'ira ène contra di lui inperò ke Dio ène tutta caritade (et) concordia (et) l'ira propriamente genera hodio (et) discordia, como dice Cato: «Ira hodium generat, concordia nutrit amorem», cioè 'l'ira genera hodio (et) la concordia nutrica amore'. Dumqua come l'odio è contra l'amore così l'ira (et) l'iracondo ène contra Dio, k'ène caritate (et) amore. Terço, l'ira chiude le porte de la misericordia (et) de la pietade, unde dice Cristo innel Vangelio «Se voi non perdonarete al proximo la iniuria ke ve face, né 'l Padre celestiale perdonarà a voi». Unde dice sancto Paulo «se 'l tuo nemico à fame pascilo, se à sete dalli bere», (et) Cristo dice innel Vangelio «Amate li vostri nemici (et) benfacite a cui v'àne in odio acciò ke siate filgliuoli del Padre vostro ke stae in cielo», unde ki non ama el nemico non puote essere filgliuolo de Dio, dumqua ène filgliuolo del demonio. (Et) però dice sancto Agustino ke «Quelli ke se vole venticare da la iniuria ke lli è facta, non solo ke da Dio trovi misericordia dei peccati ke farae, ma quelli k'àe facti, ond'è presa (et) facta penitentia, tornarano a vendecta». (Et) così chiude la via de la misericordia ke, secondo ke dice Salamone in li Proverbii: «Ira non habet misericordiam», cioè 'l'ira non àne misericordia', (et) inperò dice in esso loco «grave ène el sasso (et) l'arena, così l'ira de lo stolto è più grave de questi».
L. V, pt. 4Decto de l'ira ène da dire de la invidia, la qual è dolore de la felicità (et) bene del proximo sença utilità de lo invidiante. Questo vitio ène molto rio (et) pericoloso per quatro rasgioni: prima, per carença d'utilitate; secondo, per l'ofensione principale; terço, per li mali ke derietro s'à a menare; quarto, ke da Dio àne a separare. Primo, la invidia è ria k'ène sença utilità: ongne altro peccato àe in sé alcuna utilità in apparentia, overo delectatione, da fuore la invidia, como superbia, vanagloria àne appetito d'onore, furto (et) avaritia àne appetito d'avere, luxuria (et) gola à appetito de delectare, ira à appetito de diventicare, ma la invidia nulla utilità, nullo bene né apparente né existente raporta, né utile né delectevole né honesto. Secondo, la invidia è pericolosa per la offensione principale, ke lo invidioso inprima offende sé ch'altrui (et) en più se offende, sé (et) non lo invidiato, ké quante fiate vede lo invidioso li beni de lo invidiato tante fiade se tormenta innel core a le fiate nulla cosa sapendone lo invidiato, sença el tormento ke a le fiade Dio li dae in questo mondo (et) innell'altro. (Et) de ciò dice Salamone in li Proverbii «L'omo ke festina arichire (et) invidia altrui non sae ke appresso li ène la povertade». Terço, arecha doppo sé la invidia grandi nocimenti, ke la invidia fo casgione del primo homicidio, ke Caym vedendo ke lo holocausto k'ei facia a Dio Dio non l'acettava (et) quello del fratello sìe, e 'l fratello Abel multiplicava in richeççe (et) elli inpovaria, mosso in invidia (et) ira (et) occise Abel suo fratello. Leggese d'un re ke volse sapere quale era più pericoloso peccato, o quello de la invidia o quello de l'avaritia. (Et) ebbe el più avaro homo (et) un altro lo più invidioso ke potesse trovare in lo suo rengname (et) rachiuseli in una camera, (et) promise a loro per fede ke infine a doi dì qualunque cosa adimandassero daria a loro in questo modo, ke ki adimandava derietro avaria el doppio più de qualunque cosa adimandasse el primo. Conpiuti doi dì lo re mandò per costoro, (et) nullo era ke innançi volesse chiedere; e 'l re dede a loro termine un altro die. Innell'altro die vedendo lo invidioso ke l'avaro non volia dire innançi (et) tormentandosi se l'avaro avia più de lui adomandoe inprima ke a lui fosse tracto uno occhio acciò ke a l'avaro fossaro tracti amendoi. (Et) così fo facto. Unde vedete ke la invidia è pericolosa a lo invidioso (et) a colui a cui s'àe invidia, ké per invidia molti mali se mette a fare lo invidioso. Quarto, la invidia s'areca Dio in odio ke àe a separare da lui lo invidioso, però ke la invidia ène contra la caritade ke comanda d'amare el proximo quanto sé medesmo, Dio ène caritate (et) ki stae in caritate stae in Dio (et) Dio stae in lui, ki àe invidia ène separato da la caritate dumqua ène separato da Dio. (Et) a questo demostrare Dio maledixe Caym (et) disse "Maledecto sia sopra de la terra": chi ène maledecto da Dio ène separato da esso. Dumqua la invidia ène pericoloso peccato.
L. V, pt. 5Decto de la invidia seguita de la luxuria, la qual ène acto illicito (et) inmoderato carnale: però ke dice "illicito" se intende cum persona (et) in modo ke non se convenga, però che dicie "inmoderato" intendesi più che non si convenga, dumqua cum persona licita com'ène molglie. La graveçça de questo peccato se puote vedere per lo suo effecto, lo quale se trova molto pericoloso; unde da questo peccato infra li altri infiniti mali ke face tre mali ne rescono: primo ène la privatione del senno (et) de lo intellecto, secondo la corruptione de l'affecto, terço la provocatione de l'ira de Dio innel subiecto. Lo primo pericolo (et) male ke face la luxuria ène la privatione del senno (et) de lo intellecto ké, secondo ke dice 'l filosofo, in acti venerei, cioè luxuriosi, non v'è intendimento. Unde dice un poeta: «Considera Virçilio, Merlino cum Sansone, | l'alto re Davit col filgliuol Salamone: | ciascuno per la femena perdeo stato (et) honore», ke David ve perdeo sì el senno ke sopra l'adulterio perpetrò tradimento e homicidio, Salamone in tanto venne per la filgliuola de Faraone ke abandonò el suo Dio, ke li avea data tanta sapiença (et) avialo posto in tanta sublimità (et) excellentia ke l'avia facto sì grande re, (et) adorò l'idoli sì deventoe stolto, Sansone ne fue cieco (et) occiso, Merlino fue vivo sepellito, Verçilio obprobriosamente schiernito, a Salamone regname diviso. Et inperciò David propheta considerando ke quel peccato tolle sìe el senno (et) lo intellecto dice (et) grida innel Salterio: «Nolite fieri sicut equus et mulus in quibus non est intellectus», cioè 'non voliate essere facti secondo che 'l cavallo e 'l mulo ne' quali non è intendimento'; il mulo in volontà non à modo, el cavallo quando puote in quel acto non à refrenamento, però ke non àno intendimento: in tanto l'omo è mulo quando in luxuria pecca in voluntà e cavallo quando non se refrena in operatione. El secondo pericolo ène la corruptione de l'affecto, ké quasi ongne peccato stancha l'omo se non questo ke sempre renfresca, (et) quando non è in opera né puote essere si ène in voluntà, (et) veruno peccato ène dal quale l'omo quando comença non se possa più vaccio partire ke da questo. Unde se legge de Salamone ke, puoi k'avia avute trecento regine (et) lxx concubine, essendo vecchio s'ennamorò de la filgliuola de Faraone per la quale se partio da Dio. Leggiese innella Ystoria de sancto Andrea ke uno k'avea nome Nicolao era visso in luxuria lxx anni: venendo a sancto Andrea, per verun modo l'orationi de sancto Andrea non li giovavano ke si potesse guardare da questo peccato infine ke sancto Andrea non degiunò per lui .v. die. Sì ke questo peccato corrumpe molto l'affecto ke facendo tanto male quanto dice 'l poeta: «Femina corpus, opes, animam, vim lumina voces | destruit, anichilat, necat, arripit, orbat, acerbat», cioè 'la femena' (et) la luxuria 'destrugge le richeççe, anichila el corpo, occide l'anima, tolglie la força, menema el vedere (et) tolle (et) guasta la buona fama', non se remane per tutti questi mali ke face ke non la seguiti; dumqua questo vitio è molto pericoloso. Terço, ène molto gravoso però ke per questo peccato de la luxuria se provoca più l'ira di Dio ke per veruno altro, ké nonn è veruno per quale troviamo facto tanto male quanto per questo; ke al tempo de Noè quelli k'erano del populo de Dio vedendo le filgliuole de quelli k'erano del populo gentile, k'erano belle, acesi de luxuria presarle per molglie: a questo fue adirato Dio (et) disse questa parola: "Pentomi k'io fece l'omo", (et) per questo peccato in tanto fenio el mondo; per questo peccato periero le due grande citade Sodoma (et) Gomorra; per questo peccato per una femena di Naçareth periero del populo de Dio, k'erano adoste, sopra quel tribo c'aviano conmesso el peccato più de lxx miliaia, (et) questo permise Dio acciò ke fussaro bene adiçati a destruggiare quel tribo k'avia conmesso el peccato luxurioso con quella femena; anco per la filgliuola de Iacob tutti li homini d'una cità ne fuoro morti. Per veruno peccato troviamo Dio avere facte tante vendecte in ira sua quante per questo. Per queste tre cose dice Salamone in li Proverbii: «Filliolo mio, prende la sapiença nel tuo core (et) abbia prudentia innella bocca. Guardate da la ria femena k'àe dolce le parole più ke 'l mele, la gola splendente più k'oleo, la fine sua amara più ke senço (et) acuta come coltello c'àne doi talgli», e dicie "due tagli" però ke occide l'anima e 'l corpo, onde seguita «ei piedi suoi descendono a la morte e i suoi passi tendono a lo inferno». (Et) così è manifesto el pericolo de questo peccato.
L. V, pt. 6Decto de la luxuria seguita de l'avaritia, la quale ène continuo desiderio inmoderato d'avere (et) tenacità più ke se convenga de tenere. De la quale avaritia dice sancto Agustino «L'avaro è pronto a dimandare, tardo a dare (et) frontoso a negare; (et) se alcuna cosa spende, tutto li pare perdare. Ène tristo, lamentevole, clamoso, sollecito, sospecto, dubio, de l'altrui largo, del proprio scarso. Voita la gola per acresciare l'arca, asotilglia el corpo per acresciare lucro. La mano à ratracta a dare, destesa a recevare, a dare chiusa, a recevare aperta»; onde dice Salamone «L'inferno e l'avaro sono insatiabili». Questo peccato de l'avaritia è grande per tre rascioni: primo per cascione de renovatione, secondo per perversa reclinatione, terço per cascione de inmiseratione. Prima, per cascione de renovatione: ongne vitio a meno per inpotentia se invecchia, sola l'avaritia sempre ingiovenescie (et) in voluntà (et) in operatione, ke vedete se l'omo è largo in gioventute in vecchieçça deventa avaro, tanto magiurmente se ène avaro in gioventute; (et) inperciò dice la Scriptura «Cum cetera vitia senescant sola avaritia iuvenescit», cioè 'cum ciò sia cosa ke tutti ei vitii invechino sola l'avaritia ingiovenescie'. (Et) questa è cosa molto pericolosa, ke l'omo non s'amenda del vitio ma sempre v'è più giovane. La seconda rasgione perké ène pericoloso ène per perversa reclinatione, ké l'omo ène facto ricto de fuore de la natura de li altri anemali per esguardare el cielo secondo ke dice el poeta: «os homini sublime dedit celumque tueri», ène facto rationale per considerare de Dio (et) de le cose celestiali, (et) elli sguarda a le cose terrene (et) esse considera cum tutto core. Ciò è ke dice David propheta: «oculos suos statuerunt declinare in terram»; sancto Gregorio dice «Trahit enim cor ad infima et per consequens retrahitur a supernis, quia tanto quis a supernorum amore subiungitur quanto inferius delectatur», 'l'avaritia trahe el core a le cose terrene (et) retrahelo da le celestiali, ke tanto l'omo se parte da le cose supernali quanto in questo mondo nelle cose terrene se delecta'. Ène facto perk'ei servia (et) adori Dio (et) quelli serve (et) adora la pecunia k'è di terra, ond'è l'anema rationale k'à similitudine de la terra, e questa ène perversa declinatione; onde l'avaro è chiamato ydolatra k'è servo de l'ydole de metallo, (et) ciò è ke dice sancto Paulo: «Omnis avarus quod est ydolorum servitus non habet partem in regno Cristi et Dei», cioè 'ongne avaro perké l'avaritia è servituti de l'ydoli non à parte in lo rengno de Dio'. Per la terça rasgione ène gravissimo questo peccato però ke descaccia la misericordia (et) conmette inpietade. Da questo peccato vengono furti, symonia, inganni, usura, tradimenti (et) deceptioni, deventa l'omo crudele a Dio (et) al proximo. Questo peccato conmosse Iuda a tanta nequitia (et) inpietà, a tradere el suo signore (et) maestro, como dice sancto Ieronimo: «O infelix Iudas! Dampnum ex fusione unguenti magistri pretio reconpensare voluisti», cioè 'O sciagurato Iuda, ke 'l danno dei xxx denari c'avesti de lo spargimento de l'unguento', quando la sancta femena unxe el capo a Cristo, 'volesti reconpensare in preçço del tuo maestro'. Questo peccato facia fare el tempio, ch'era casa de Dio, casa de mercatanti e spelunca de latroni. Questo fu el peccato ke a Gieci, desciepolo d'Elyseo, condusse la lepra k'avia Namam principe de' re de Syria. (Et) infiniti mali (et) pericoli (et) pene sono avenute per questo vitio, ma per magiur brevitate basti quello k'è decto.
L. V, pt. 7Decto de l'avaritia seguita del furto, el quale ène tollimento de la cosa altrui contra voluntà del vero possessore. La graveçça del quale vitio se puote vedere per tre rascioni: prima, per l'ofesa de la maiestà, seconda, k'è contraria a la carità, terça, k'è turbatione de l'università. Primo, per l'ofensa de la maiestà: Dio comandò a l'omo quando elli peccò «In sudore vultus tui vescieris pane tuo», cioè 'In sudore', cum fatiga, 'de la tua faccia mangiarai el tuo pane'. Anco spetialmente questo peccato Dio el veta innel Vecchio Testamento, (et) è uno dei comandamenti scripti in taula col deto proprio de Dio: «Non furtum facies»,(et) confermato per la bocca de Cristo innel Nuovo, ke disse «Non furaberis». Domqua ki conmette 'l furto offende a la divina maiestà. Secondo, è contraria a la carità (et) pietà, ke la carità dice "Ama el proximo como te medesmo (et) non fare quello ke non volessi recevare", la pietà dice ke "Sovenga al proximo (et) abbi misericordia de lui", onde l'omo ke fura fae contra a ciascheduna; ke se a lo extremo iudicio, come dice el Vangelio de sancto Matheo, serà remproverato «Vedestime nudo (et) non me vestisti», magiurmente, come dice sancto Agustino, serà remprovarato «Vedestime vestito (et) spolgliastime». Terço: questo vitio è gravoso per la turbatione de la università, ke quando alcuna persona è robbata ène turbatione e paura infra ongne gente de la contrada, (et) però tutto 'l mondo, ongne natione (et) gente àne leggie ke ki conmette questo peccato sença reconparamento vituperosamente sia morto (et) apiccato; (et) alcuno statuto a questa sentença non è incontra. (Et) questo ène per la universale turbatione, la quale àe in sé grande graveçça: ke al prencipe se confà de permettere alcum male se de quello ne rescie alcun bene comune (et) per cessare scandalo comune, magiurmente domqua offende (et) rationevolemente merita grande pena ki offende (et) perturba la università, (et) questo fa l'ascarano e 'l ladrone. Domqua el furto àne rasgione de grande pericolo ké perde l'avere (et) la persona, unde dice Salamone innei Proverbii «Furatur enim ut exurientem inpleat animam, deprehensus quoque reddet septuplum (et) omnem substantiam domus sue tradet», cioè 'l'omo fura acciò ke satii l'animo affamato (et) cupido, essendo preso rende septe cotanto più (et) tutta la substantia de la sua ||chasa dà', e questo è sanza il pericholo dell'anima, ché mai il pecchato del furto non si perdona se non si ristituiscie la cosa tolta, e chosì sta e va a rischio della persona, e fassi chonservatore di quello che non è suo se vuole avere salvatione.
L. V, pt. 8Detto del furto seguita dell'usura, ch'è altra spezie e ramo d'avarizia: usura è doloso lucro e involuntaria largizione per mutua promessione, neciessitate interciedente, dal prossimo fatta. Questo vizio è gravissimo per molte ragioni, ma diremo solo delle tre: primo, che fa chontra il chomandamento della maiestà, sechondo ch'elli non guarda sollennità, terzo che 'l prossimo denuda in chrudeltà. Primo, è grave però che ffa chontro al chomandamento della maiestà, e inperò che questo è uno de' chomandamenti della leggie schritta cholla mano di Dio: «Non usuraberis prossimo tuo», e Cristo confermò questo chomandamento, e dicie «Date mutuum nicchil inde sperantes», cioè 'Prestate e nullo merito sperate d'avere del prestato'. Anche è contro all'altro chomandamento che dicie «Loquimini veritatem unusquisque ad prossimum suum», cioè 'Parlate e dite verità ciascheduno al suo prossimo', e l'usura fa mentire tutte le charte, e 'l notaio che lle schrive e esso che presta, che sempre pone il dubbio di quello che presta. Onde il profeta adimandando Dio e diciendo «Domine, quis abitabit in tabernaculo tuo, quis requiescit in monte santo tuo?», intra l'altre cose rispuose «Qui pecuniam suam non dedit ad usuram et munera super inocentem non acciepit», 'Messere, chi abiterà nella tua casa e si riposerà nel tuo santo monte?', risponde Iddio 'A cholui che lla sua pecunia non dà ad usura e non toglie guidardone dallo innociente'. Dunque choloro che sono usurai perché fanno chontra il chomandamento di Dio non possono avere gloria: grave peccato è questo che priva il possessore di tanto bene, felicitate e gloria. Secondo, è grave questo pecchato che non à posa né guarda solennità. Ongni pecchato a tempo posa, il venerdì santo, il dì della Donna, le pasque; ma questo peccato dì e notte, fiere e pasque mai non posa né à requie, e chosì la loro pena sarà sanza riposo veruno che, secondo che si leggie nel Zaccheria: «Iniquitas sedet super talentum plumbi», cioè 'la inniquità siede sopra il danaio di pionbo', che lla graverrà nello inferno, che non si porrano regere se non come dicie santo Iob: «Transibunt ab aquuis nivium ad calorem nimium», cioè 'passerano dall'acqua di neve al calore grandissimo' del fuoco penacie. Terzo, è gravissimo per la nudità e crudeltà c'à inverso del prossimo, che dì e notte chonsidera mettendo ragione e contando il tempo, considerando le possisioni e ' beni del prossimo, in che modo el possa depauperare e ssé arichire e lle rede del prossimo inmendicare: non vale miserichordia chiamare né indugio adimandare, ma chon sue charte istudia il prossimo di distruggiere e amattare, e inperò è gravissimo e merita grande pena. La quale gravitate e pena dimostra Davit profeta nell'ultimo salmo de' mattini che dicie «Deus laudem meam ne tachueris», nel quale dicie «Cierchi lo usuraio tutta la sua sustanza e li stranieri li tolghino tutto il suo guadangno, non abbia aiutatore veruno e non sia persona ch'abbia miserichordia de' suoi figliuoli, sieno li figliuoli condotti a morte e in giuna gieneratione il suo nome vituperoso s'aspenga, i· memoria torni il pecchato suo a Dio e 'l pecchato della sua madre non s'aspenga, sia sempre Iddio contra lloro e disperdali et chacci della terra la loro memoria, però che non si sono richordati di fare miserichordia, ch'elli ànno perseguitato l'uomo povero e mendicho e cierchato di mortificharlo, e inperò sieno fatti i suoi figliuoli orfani e lla sua mogle vedova. E sopra di lui sia il pecchatore, il diavolo dalla sua diritta parte stia, quando sarà il giudicio sia condannato e lla sua oratione sia convertita in peccato». E molti altri pericholi narra. E nullo pecchato né vizio truovo del quale dicha tanto Davit profeta quanto di questo, e però è manifesto la sua gran graveza.
L. V, pt. 9Detto dell'usura, ch'è spezie dell'avarizia, diremo della simonia, che similemente è spezie d'essa: simonia è illicito lucro dato o ricievuto per alchuna cosa spirituale con cierta scienza da parte del dante e del ricievente, che io che per quello dono intendo di ricevere la spirituale cosa e io che ricievo intendo di darlla per lo dono ricievuto. E questo pecchato è grave e pericholoso per tre cose: primo, è pericholoso da parte del signore onde questa cosa spirituale prende nome e forza e virtute; sechondo, da parte della cosa spirituale, la quale venale si dispone; terza, da parte del servo che dà e ricieve per esso guidardone. Primo, è gravoso chonsiderando el singniore onde queste spirituali chose ànno forza e valore, onde esso Iddio onipotente una volta fu venduto e tutto il suo sanghue diede in prezo per noi e se medesimo, sechondo che dicie l'appostolo: «Non sete reconperati del churruttibile oro e argiento ma del prezioso sangue di (Iesù) Cristo». Onde essendosi dato esso in prezo per richonperarci e darci salvazione, grande ingiuria li si fa quando le chose dove sta la nostra salute essendo sì altamente chonperate, chon tanto amore e charità aquistate, che ssi vendono a modo di Simone mago, per lo quale fu chiamata "simonia", a cchui fu detto da san Piero «Pechunia tua sia techo in perdizione». E inperò dicie Dio nel Vangelio «Gratis acepistis gratis date», cioè 'Gratiosamente avete ricievute queste chose spirituali e così graziosamente', cioè sanza prezo, 'l'elargite ad altrui'. Sechondo, è gravoso chonsiderando la spirituale cosa che venale si dispone. Manifesto è che ogni cosa à tanto di nobiltà e di dengnità quanto à di vertù e di perfettione: le chose spirituali ànno virtute e potenzia infinita, chome sono le sagramenta, dunque esse sono infinite nobili; le benifitia sono pociessioni di Dio essenti da ogni signioria secholare, sì cche Dio è infinito chosì le sue chose nobilitate ricievono infinitate; la chosa infinita non si dea chomperare per chosa vile e finita ma graziosamente sanza dono elargire, dunque, se fa il contrario, grande ingiuria e abassamento d'onore si fa ad esse chose spirituali. Terzo, è gravoso chonsiderando il servo che dà o ricieve d'essa ghuidardone, che cholui che 'l dà in questo modo per simonia no· llo può dare e è per sempre privato, dunque dà quello che nonn è suo e fura, quelli che llo ricieve similmente è privato d'esso senza speranza d'averllo. E l'uno e l'altro se sono cherici è inregulare, onde il rettore della chiesa è prochuratore e servidore e governatore de' beni d'essa chiesa, e 'l prochuratore e 'l servo non debba dare prezo ma maggiormente ricievere, che ss'elli dà prezo acciò che ssia prochuratore, servo e ghovernatore delle chose del singniore è sengnio che à volontà di furare e di fraudare le chose che à a governare. E inperò è schritto «Nec quisquam asumat sibi onorem sed qui vocatur a Deo tanquam Aron», 'veruna persona questi onori per sé debba prendere se non cholui ch'è vocato da Dio Aron'; medesimamente cholui che 'l dà no 'l debba vendere per le chagioni dette di sopra, onde Gezi volendo vendere la grazia di Dio quando fu risanato Namann forte fu perchosso di libbra. E però ghuardisi ongni prete di non dire messa per patto né a speme d'averne prezo: se gli si dà puollo torre, se non no· llo debba adimandare, né di veruno sagramento; onde sonlgliono dire alchune fenmine ingnioranti "Per quanto mi dirai chotante messe?", e alchuno prete vi risponde stoltamente, sicché leggiermente chade l'uomo in questo pecchato: per veruno modo, né inn orazione né in sagramento alchuno né in sepultura né in chosa ispirituale patto vi dia avenire; tuttavia i parrocchiani sono da amonire di tenere la buona e laudabile usanza, inperò che dengnio è l'operario della sua merciede e elli offendono nelle decime e inn altre chose onde il prete doverria onoratamente vivere: debbono sodisfare in altre limosine.
L. V, pt. 10Detto della simonia seguita della fornichatione, la quale è spezie di lussuria. E è doppia fornichatione, spirituale e charnale. Spirituale in questo modo: tutti noi siamo sposati a Cristo e Cristo è sposo di tutti li cristiani, onde dicie nella Cantica «Sponsabo te micchi in fide», 'Io ti sposerò in fede'; e questo sposare è nel battesimo, quando renuntia alle ponpe del dimonio e dàssi a Cristo, onde vedete che, sechondo che nel matrimonio acciò che ssia vero s'adomanda il mutuo consentimento dello sposo e della sposa, chosì nel battesimo, onde adimanda il prochuratore di Cristo, cioè il prete che prende la sposa per Cristo, che adomanda fede, cioè di tenere e avere fede a Cristo: "Vuoti battezare?", "Voglio", chome dicie "Vuo' chostui per tuo marito?", e in tanto chonsente il prete per Cristo quando risponde "E io ti batezo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo", cioè 'Io ti prendo per sposa non per me ma in nome del Padre' e cetera, e mettegli l'anello dell'untione dell'olio santo, ché sechondo che l'anello è sengnio e sanza esso no è matrimonio, chosì quelle untioni sono in sollennitate e in sengnio di purità del matrimonio spirituale. Di questo matrimonio dicie l'apostolo «Dispondi enim vos uni viro virginem castam esibere Cristo», 'Io ò disposto voi in verginità e in castità di darvi per isposa a Cristo'. In tanto questa sposa chonmette fornichatione quando per lo pecchato fa fallimento a Cristo suo sposo e chon tanti amadori fornica quante sono le vizia che chonmette, onde dicie Isaia «tu autem fornicata es cum amatoribus multis», 'chon molte vizia tu sse' fornicata'; dicie Dio per Isaia "con molti amatori", ma diversa è la conditione del mondo e di Dio, ché quel del mondo raro perdona ma Dio sempre, e però seghuita «tamen revertere ad me et ego recipiam te», 'ma torna a me e io ti ricieverò'. E secondo che lla fenmina che fornica ronpe fede al marito così la sposa di Cristo rompe fede a llui quando pecca, ch'ell'à rifiutato nel battesimo al dimonio e a tutte le sue ponpe: le ponpe del dimonio sono le peccata, dunque chi peccha rompe fede a Dio, ch'è il suo sposo, e chosì chonmette fornichatione spirituale. La sechonda è fornicazione charnale, la quale si conmette qualunque volta l'uomo usa chon altra donna che cholla sua mogle legittima. E questo si divide in fornichatione semplicie, in adulterio, in mechia, in incesto e in defloratione. Semplicie fornichazione è quando peccha soluto, sanza mogle, chon suluta, cioè che non à marito. Adultero è quando peccha soluto cholla maritata, overo amogliato con suluta, e questo è più grave che lla semplicie fornichatione perché qui è frangimento di fede spirituale e coniungale. Mecchia è fornichazione ch'è fra congiugato e congiugata, e questo è ancho più grave pecchato però che qui è tre fornichazioni, di fede spirituale e congiugale da due parti. Inciesto è pecchato o fornicazione che ssi chonmette infra parenti, e questo è gravissimo pecchato di turpare la charne e 'l sangue suo: questo è che dicie il profeta Davit «Conputruerunt iumenta in stercore suo», 'Elli sono inpuzolenti e sozati nella sozura loro', cioè nel sangue loro; inperò che doppio è parentado, spirituale e carnale, così è doppio inciesto, carnale come detto è di sopra, e spirituale è come comare (et) chonpare, e chome lo spirito è meglio della carne chosì questo tengho più pericholoso di quello; è ancho quella fornicatione che ssi chonmette chon religiose, e questo è gravissimo pecchato perché per voto e saramento solenne sono maritate a Dio, sicché grande ingiuria si fa al Singniore quando chon chotali si peccha che ssono diritte sue sposate. Defloratione è fornichazione che ssi chonmette chon alchuna vergine, e questo è molto gravissimo pecchato a togliere fiore di tanta purità e excellenzia, che la virginità è sorella de li angeli, chonpagnia di Dio, onore della nostra Donna, odore di gloria, colore di virtuti e adornamento de' giusti: toglere tanta chorona è gravissimo pecchato. Onde vedete come si distingue la fornichazione, che è da ffare fuggire il chonsorzio e lla conpagnia delle fenmine che, come dicie Salamone: «Conloquium mulieris quasi ingnis exardescit», 'El parlare delle fenmine così come il fuocho infianma'; onde dicie santo Aghostino «Cum aliis nempe viziis potest expettari conflictus sed hanc fugite ne procsimetis», 'Con ciò sia chosa ch'agli altri vitii si possa aspettare battaglia, tamen la fornicazione fuggiate e ad essa non vi aprossimate'; onde Salamone in Eclesiastico «si accieseris ad illam suscipient te dentes leonis», 'Se ad essa t'apressimerai prenderatti i denti del leone'. Onde troviamo d'uno santo prete che essendo in transito, e una donna li chiudeva li occhi, incontanente invigorò la natura e gridò "Cessa la paglia che ancho vive il fuoco". Delli suoi pericholi bastino quelli che furono detti della lussuria.
L. V, pt. 11Detto della fornichazione e delle sue spezie seghuita dello omicidio, il quale avendo ragione di pecchato è volontario e malizioso astengnimento d'animale razionale. Dico "volontario e malizioso" ché quelli che per sentenzia sono morti choloro che lli uccide non chonmettono tale 'micidio che alchuna ragione abbia di peccato; se volontariamente no· llo fanno, chi per difendere sé, o per caso o fortuna che gittasse pietre di vingnia o d'orto in luogo non usato per huomo e per caso chogliesse a uno ed uccidesselo, o per cavallo restio il quale non potesse ritenere alchuna persona uccidesse, avengnia che ssia omicidio non à ramo, graveza e ragione d'omicidio perché non è volontario. L'omicidio che à ragione di pecchato in cinque modi si truova distinto. Primo è per volontà, onde dicie santo Agostino «Deus non respicit quantum sed ex quanto», 'Dio non guarda quel fai ma di che volontà tu 'l fai'; onde nel Sesto Libro de' Dechretali è regola di ragione che dicie «Ratihabitionem retrotrahi, et mandato non est dubium conparari», che 'se alchuna chosa si fa in tuo nome e tu l'ài in piacere' non avendone tu saputo nulla chosa 'chosì è come se ttu l'avessi fatto fare'; onde dicie santo Giovanni «Qui odit fratem suum omicida est», 'Chi à inn odio il suo fratello è micidiale'. Sechondo è per chomandamento, onde assai è micidiale il singniore che chomanda che occida; inperò Pilato fu iudicato omicidiale che disse «Accipite eum vos et crucifigite», 'Prendetelo e ssì llo chrocifiggiete'. Terzo è omicidiale per aiutorio overo favore, che non pone mano a uccidere ma sta che non sia offeso cholui che uccide achonpangniando l'ucciditore, overo dandoli baldanza a cchi uccide inanzi che uccida di ricoverarlo s'egli è mestieri, overo che insengni maliziosamente cholui che debba essere morto, come fu Giuda. Di tutte queste chose dette dicie Regula iuris «Qui causam dat damni damnum dedisse videtur», 'Qualunque è chagione d'alchuno danno, o d'alchuno male, per simile debbasi iudicare ch'elli abbia fatto quel danno e male'. Quarto è quello che ssi conmette per consiglio, quando alchuna persona chonsiglia l'altro che uccida. E in questa spezie d'omicida fu micidiale Chaifas che chonsigliò che Cristo fusse morto quando disse «Expedit unus moriatur pro populo ne tota gens pereat», 'E bisognia che uno muoia pel popolo acciò che tutta la gente non perischa'. Questi chotali che danno sì fatto consiglio sono micidiali se non si fa in oservazione e in vigore di giustizia, e questa tale persona che chonsiglia debba avere scienza e ofitio di ciò potere fare, che debba essere giudicie; onde quanto vuole abbia scienza e sappia che per la leggie sia dengnio di morire e' sia signiore a poterllo fare, se llo fa sanza chonsiglio di giudicie omicidiale e giudicato. Di ciò dicie Davit «Sede sopra il trono», ch'è sedia propia di giudicie, «quelli che giudicha la giustizia»: però che dicie "trono" pone che dia necciessariamente avere ofitio giudicale. Il quinto omicidio è permanevole operazione chon iscienza e volontà d'uccidere, e questo tiene il potissimo grado d'omicida. E questo vizio è gravissimo per tre cose principali: primo, chonsiderando la nobiltà della chreatura uccisa, sechondo, chonsiderando la similitudine in lei inpresa, terzo, chonsiderando la pena che di ciò seghuita. Primo, è gravissimo chonsiderando la nobiltà della chreatura uccisa, la quale nobiltà si puote vedere e conprendere dalla parte della sua perfezione e dallo ofizio a llei dato. Primo, da parte di perfettione in questo modo: quella chosa è più nobile nella quale maggiore e più perfetione si truova, e questo è l'uomo, dunque l'uomo è più nobile chreatura che verun'altra, e questo si pruova in questo modo: l'uomo participa propiamente e nature sechondo nobiltà di tutte le chreature, ch'elli à ad essere colle pietre e chon quelle chreature che sono solo corporee, a vivere cholle piante e chon tutte quelle che sono vegitabile, a sentire chon tutti li animali e a ratiocinare cogl'angieli, sechondo che dicie santo Greghorio, sicché participando propietà e natura di tutte le chreature e d'altra non essendo participato dimostra sua nobiltà sopra tutte le chreature; e questo dimostrò Cristo nel Vangielio quando disse a' disciepoli «Predichate il Vangielo a ogni chreatura»: dispone santo Gregorio «cioè all'uomo, che participa d'ongni chreatura»; onde chi uccide l'uomo fa grandissimo male quando sì nobile e tanta chriatura uccide. Sechondo, la sua nobiltà si prende dalla parte dello ufizio, ché Dio à posto l'uomo signiore e rettore di tutte le chose chreate, sechondo che dicie Davit profeta: «Omnia subiecisti sub pedibus eius, oves et boves universas, insuper et pecora campi, volucres celi et piscis maris, qui peranbulant per semitas maris»; onde l'uomo essendo signiore di tutte le chreature, chi uccide lui offende ad ogni chreatura, e 'l numero d'ongni chreatura è infinito, chosì questo male è infinito. Secondo, è gravissimo per la similitudine in lei inpresa, che Dio à ffatto l'uomo alla sua inmagine e similitudine, e di ciò dicie Davit profeta «Singnatum est super nos lumen vultus tui, domine»; e avengnia che alchuni dicano che questa similitudine sia nelle potenzie dell'anima, tuttasora esse potentie non ànno operatione el'anima sanza il chorpo, e però non disse Dio "Facciamo l'anima dell'uomo" ma disse «l'uomo», e l'anima nonn è huomo ma l'anima rationale insieme chol chorpo è huomo; dunque chi uccide l'uomo distruggie e ghuasta la similitudine e inmagine di Dio, e questa è gravissima niquità, sechondo ch'è manifesto. Terzo, è gravissimo considerando la grande pena che nne seghuita, che sechondo la leggie di Dio e del mondo, se non si tempera per istatuto, «Qui occidit reus est mortis», 'Chi uccide dee essere morto'. Onde questo pecchato è infinito per la parte dello infinito signiore a chui s'offende la sua propia e principale opera, la quale cholle sue mani formoe a dimostrare la dengnità d'essa chriatura come dicie santo Iob: «Manus tue, domine, fecerunt me et plasmaverunt me», uccidendo e la sua inmagine e similitudine distrugendo e infinite creature sechondo che detto è, ingiuriando la miserichordia di Dio che udendo ch'elli morio per dare all'uomo vita ciello uccide; e inperò che infinitamente offende merita pena infinita. E molte altre ragioni si potrieno assengniare, ma per brevitate queste bastino.
L. V, pt. 12Detto dello omicidio seguita della discordia, il quale è vizio gravissimo. La gravità del quale si manifesta in tre modi: el primo, che chiude e dischaccia la charità, sechondo, che similitudine prende di somma malingnità, terzo, si pruova per salamonicha autorità. Primo, la discordia divide e discaccia la charità, ch'è somma virtute; onde dicie santo Gregorio che sechondo che lla charità congiungnie le persone che sono assenti e dalla lunga così la discordia disparte li congiunti e presenti, onde la charità à a chongiungniere inn amore e lla discordia ' disgiungniere per odio, onde, sechondo che lla carità per quella propietà è sovrana virtute, così la discordia per contraria propietà è pessimo vizio. Secondo, è gravoso per la similitudine diabolicha la quale prende, onde Cristo dà similitudine nel Vangielio dell'uomo che seminò buono seme nella sua terra, venne il suo nimicho e sopra seminò la zenzania: questo nimico è il dimonio, al quale è propio di seminare discordia e zenzania, onde il seminatore della discordia e zenzania è simile al dimonio. Terzo, la sua graveza si pruova per salamonicha autorità: dicie Salamone che «sette sono quelle cose che à inn odio Iddio, e lla settima tiene il sonmo grado dell'odio: il primo è nelli occhi alteri, la lingua mendacie, le mani che sparghono il sanghue innociente, el core pensante le pessime chogitazioni, ei veloci piedi a correre al male, el testimonio fallacie e 'l settimo, che ttiene sonmo grado d'odio, è colui che semina infra ' prossimi discordia». E così è manifesto la sua graveza.
L. V, pt. 13Detto della discordia seguita della contenzione, la quale è suo esempro e ramo. La contentione per li santi chosì si difiniscie: «Contentio est inpugnatio veritatis per chonfidentiam clamoris», 'La contenzione è inpungniazione della verità per confidenza di gridare'. La graveza del quale vizio si chonprende per tre parti poste nella sua diffinizione: primo, ch'è atto e operazione di sonma niquità; secondo, che questo vizio dirittamente contasta alla sonma maestà; terzo, per chonsideratione elata di propia malvagità. Primo, sua graveza manifesta perch'è atto e operatione di sonma niquità, cioè di demonio, e questo è manifesto però che dicie "è inpungniatione", cioè chonbattimento e chontastamento, e questa è propia operatione di dimonio fare contro alla pacie e al riposo della mente. In questo vitio, come si leggie nel Vita patrum, volse il dimonio fare cadere due frati ch'erano in grandissima pacie e concordia diciendo a lloro che lla loro vita nonn era buona sanza esercitio di parole, e 'nsengnòlli che della schodella nella quale mangiavano amendue com'una l'uno diciessi "Questa è mia" e l'altro "In contrario, anzi è mia". E così feciono diciendo chosì per una ora; e l'uno fu adirato, e l'altro incontanente disse "E tua sia": incontanente il dimonio visibilmente con grande bocieria lassando grande fiatore disparve da lloro; sicché vedemo che lla chontentione è propia operatione del dimonio. Sechondo, questo vizio contrasta dirittamente alla sonma maestà, e questo si manifesta in ciò che dicie che lla contenzione è contraditione della verità, ma Dio è verità secondo che dicie «Ego sum via veritas et vita», 'Io sono via e verità e vita', dunque la chontenzione essendo chontro alla verità è chontro a dDio. Questo è quello che dicie Moisè a' figliuoli d'Isdrael: «Vidi cervicem vestram et contentionem vestram, quia semper inique egitis contra dominum deum vestrum», 'I' ò veduto la superbia vostra e la vostra contentione, ché sempre avete inniquamente operato chontro a dDio vostro signiore'. Terzo, questo vizio è grave per chonsiderazione della malvagità, onde il chontenzioso per romore e grido adimanda e disidera vettoria della falsità e di ciò seghuita elazione della mente, superbia e vanagloria del core, e confusione al prossimo; e queste sono gravissime peccata. Dunque questo pecchato è gravissimo et da fuggire.
L. V, pt. 14Detto della chontentione seguita della dolosità, che sechondo li santi chosì è difinita: «Dolus est cum aliud agitur et aliud simulatur», 'La dolosità è quando uno dicie e dimostra di fare una cosa e fanne una altra', in demerito del prossimo. Questo vizio è molto grave per tre ragioni. Prima, per inprovisa offensione, la quale è molto pericolosa che, come dicie santo Gregorio: «Minus enim iacula feriunt que previdentur», 'El pericholo proveduto non sì forte offende chome quello che viene inproviso'; onde il pericholo della dolosità venendo inproviso, però che mmi mostra di fare una chosa e fai un'altra, è molto pericholoso, e di ciò dicie Salamone ne' Proverbi «Sicut nosius qui mittit lanceas et sagittas in mortem, sic vir qui fraudulenter nocet amico suo», 'Sechondo come il nocievole che manda la lancia e lla saetta a uccidere, così l'uomo che fraudolentemente nuocie all'amico e 'l prossimo suo'. Sechondo, questo vizio è grave per acumulatione e adunatione di molti vizi, che questo vizio non si puote operare sanza chonchorso di molti altri vizii, cioè sanza mendacii, vanagloria, fraudolenzia, odio e molti altri vizi, onde dicie Salamone ne' Proverbii «Labis suis intelligitur inimicus cum in corde trattaverit dolum: quando sumiserit vocem suam ne chredideris ei quia settem nequizie sunt in corde illius», 'Allo parlare de' labri s'intende il nimico quando nel quore pensa la dolosità: quando parla no gli chredere inperò che sette nequizie sono nel suo quore'. Terzo, questo vizio è grave però che è ispezie di tradimento e di proditione, il quale è pessimo vizio e abominevole a Dio, del quale dicie Davit profeta «Sepulcrum patens est guttur eorum lenguis suis dolose agebant: iudica illos Deus», 'La gola di coloro che parlano dolosamente è chome sepultura puzolente, e inperò Dio giudica cotali persone'. E così è manifesto la graveza di questo vizio.
L. V, pt. 15Detto della dolosità seguita della malingnità, la quale avengnia che ssia in apparenza quasi vizio gienerale, ma sechondo che troviamo disposto per li santi è vizio speziale: malingnità è mala volontà quando l'uomo non puote più; alchuni dicono che lla malingnità è non rendere grazie de' benificii ricievuti, e in questo modo è una cosa colla ingratitudine; altri dichono che malingnità è quando non solo non si rende bene per bene ma quando si rende male per bene. E in queste tre acciezioni si pruova questo vizio pericholoso per la volontà corrotta, secondo, per la mutua carità remossa, terzo, per la pravità a la quale el possessore di questo vizio s'accosta. Primo, è pericholoso per la volontà corrotta però che dicie che lla malingnità è mala volontà: quando non puote più male adoperare adopera cholla volontà, che nonn è dolente del male ch'à fatto ma è dolente che non puote più fare male. E questa è pericolosa condizione, che quello che ss'adomanda principalmente in salute per questo vizio si chorronpe, cioè il quore e lla buona volontà. E però dicie «Filii da michi cor tuum». Onde troviamo che santo Bernardo adomanda il dimonio "Che potavamo fare a Dio che più li piaciesse?", rispuose che l'uomo li dia il mezo della luna, tutto el sole e 'l capo della rota: el mezo della luna è el c, tutto il sole è nel o, e 'l capo della rota è le r: cor, e questo è 'l core; onde per la malingnità è chorrotto il core di non amare Iddio né ssé né 'l prossimo, e «Qui non diligit manet in morte», 'Chi non ama' dicie santo Giovanni, 'è in morte', onde grande è questo vizio per lo quale s'acquista morte. Sechondo, questo vizio è grave per la mutua charità rimossa, e questo è secondo la sechonda acciezione, cioè che non rende gratie de' benifici ricievuti; e in questo modo à ragione d'ingratitudine, la quale secondo santo Bernardo è vento ardente e diseccante la vena della misserichordia di Dio; onde la mutua carità adimanda che ssi renda bene per bene, se non chiude la via della misericordia, sechondo che detto è. La terza ragione perché questo vizio è grave è la grande malingnità alla quale il possessore di questo vizio s'achosta sechondo la terza eccietione, in quanto rende male per bene. Questi tali veramente sono simili a lLucifero magiore dimonio, al quale Dio facciendo tanta gratia ch'era infra li angeli come la stella Diana infra lle stelle e pieno di scienza e di virtute, e elli non conosciendo tanto benificio si volse fare non solo simile a Dio ma magiore di lui quando disse «Sopra l'astra del cielo», cioè della Trinità, «exalterò la mia sedia»; e per questo vizio chadde nel fondo dello inferno. E però è manifesto la graveza di questo vizio.
L. V, pt. 16Detto della malingnità seghuita dello ingannamento: inghannamento è dolosa e fraudolente decetione sotto l'orazione di parole fatta e studiosa scienza dello inghannante e in semplicie dello inghannato. Lo inghannamento si divide in due spezie: è ingannamento reale e personale; inghannamento personale veste spezial nome di tradimento, reale puote alchuna volta essere sanza tradimento; onde diremo inprima del reale e poi spetiale chapitolo diremo del personale.
L. V, pt. 16, cap. 1Decezione reale è là dove nonn è né s'intende pericolo personale, fatta in propia utilità e in detrimento dello ingannato su ornati e cholorati sermoni dimostranti utilità dello ingannato; e questo dicie Salamone: «Inretevit eum sermonibus et circhunvenit pauperem in ascondito», 'Elli il prese nelle reti delle parole e ingannò il povero nell'oschuro'; in quanto che dicie "iretio di parole" dimostra la coloratione delle parole colle quali si piglia lo ingannato, in quanto che dicie "povero" dimostra la utilità temporale dello inghannante e lla depauperazione dello ingannato. La gravezza di questo vitio si dimostra in tre cose: in expresione del mendacio, nella dolosità del prossimo, nella pena del suplicio. Primo, in espressione del mendacio, ché raro questo vizio si chonmette sanza esso, e secondo la Schrittura «Os quod mentitur uccidit animam», 'La boccha di cholui che mente uccide l'anima', onde greve è il vizio onde l'anima muore. Sechondo, è greve per dolosità che ssi mostra inverso il prossimo, il quale sechondo la leggie è tenuto d'amare come se medesimo e elli studia d'inghannarllo molte volte in parole choperte o per modo di schusa ponendo comuni vizii, e quelli che à chon quelli che nonn à, proferendo in modo per lo quale al prossimo nonn è però palese il vizio, come nelli cavallivendoli o nelli chozoni li quali con loro dicieria comune e usata mentovano tutti e malori infra ' quali mettono alchuno vizio il quale sentono la bestia avere non esperando più esso vizio il quale à che quello che nonn à. Tutte queste sono spezie di decietione né non si schusano per tale dicieria comune, onde brievemente nota che in tutte vendite e conpere o canbi nelle quali o per menzongne o per colorate parole il prossimo s'inchina a conperare o canbiare, in tutto in che se dannaggia esso prossimo sedutto per tali inghannamenti è tenuto a sodisfare quanto ad anima, però che Dio chomanda che ttu puramente ami il tuo prossimo chome tte. Terzo, questo pecchato è grave per la pena la quale chotale avere aquistato chon questi inghanni aducie dopo sé, onde dicie l'appostolo «Divizie vestre putrefatte sunt et vestimenta vestra a tineis comesta sunt, aurum et argentum vestrum eruginavit et erugo eorum erit vobis in testimonium et manducabit carnes vestras sichut ignis», 'Le vostre richeze sono fracide, le vostre vestimenta dalle tingniuole mangiate, l'oro e l'argiento vostro è inrugginito: essa ruggine sarà infine in loro testimonio e mangierà la vostra charne come foco ardente'; onde adimandò il profeta a dDio "Chi andrà in gloria e salirà nel monte santo?", rispuose "Chi non va chon dolosità inverso del prossimo né no· llo inghanna", onde per contrario chi fa queste chose, che llo inghanni e dolosamente e fraudolentemente vada chontra llui, non vvi puote salire. E però è manifesto la sua graveza.
L. V, pt. 16, cap. 2Detto dello ingannamento reale seguita del personale, lo quale ricieve nome di tradimento e, sechondo la resonanzia del nome, pericholosa traditione per mentire fatta, ché cchi trade mente d'amare. È gravissimo questo vizio per tre ragioni: prima, per la malizia del tradente, sechondo, per la innocienzia e inprovedenza del patiente, terzo, per la pena seghuente. Primo, per la malizia del tradente: è nel mondo più abominevole nequizia che sotto spezie d'amore occidere e sotto spetie di maggiore virtute forare mortalmente il core? Di questi dicie Salamone ne' Proverbii «Meliora sunt vulnera diligientis quam fraudulenta oscula odientis», 'Migliori sono le ferite dell'amico che ' fraudolenti baci del nimicho', cioè del traditore, che ll'amicho s'elli fere prochura di risanare e 'l traditore s'elli bacia procchura d'uccidere e d'amazare. Di questo dicie il profeta Davit «Etenim omo pacis mee in quo speravi, qui edebat panes meos, magnificavit super me suplantationem», 'E l'uomo della mia pacie', cioè il quale mostrava essere tutta mia pacie, 'nel quale mi chonfidava, mangiando il mio pane ordinò la mia distrutione e morte'. Onde questi chotali mentendo d'amare offendono. Sechondo, è grave questo pecchato per la innocienzia e inprovisione del traduto: non è grande niquità quella che ll'uomo amando sia odiato, fidandosi sia sfidato, chontra ogni natura e ogni animale? Che nullo animale è che sse congnioscie d'essere amato che non ami se nonn è il traditore, che fermamente vede ch'è amato e quelli inodia. È grave per la inprovisa offensione, che l'uomo non la puote prevedere facciendosi sotto spezie d'amore; li pericholi che ssi proveghono meno offendono, come dicie santo Gregorio: «Minus enim iacula feriunt que previdentur», onde quelli che non si proveghono molto offendono; è ciò che dicie Davit profeta: «Si inimichus meus maledississet micchi sustinuisem utique, et si is qui oderat me super me magna locutus fuiset ascondissem me forsitam ab eo; tu vero unanimis, dus meus et notus meus, qui dulces capiebas cibos, in domo domini anbulavimus cum consensu», 'Se llo mio nimicho avesse detto male di me averielo sostenuto, e se cholui che me innodiava avesse mostrato in parole lo 'nganno forse mi saria naschoso da llui; ma ttu eri una anima chon mecho, e era mio rettore e amicho, e mangiavi il mio pane'; onde in quanto che dicie «da questi cotali l'uomo non si puote naschondere» questo è vizio pericholoso, del quale non si puote avere difesa. Terzo, è grave questo vizio per la grave pena che seghuita questo vizio, corporale e spirituale: chorporale ché choloro che cchagiono in questo pecchato qual pena maggiore si puote pensare è dengnio di ricievere, e lli loro figliuoli di redare, e questo dicie Davit profeta in «Deus laudem meam ne tacueris»; onde Giuda in questo pecchato crepò per mezo il core, però che per pravità contranaturale si comette in chore merita gravissima pena; spirituale ché, come dicie il predetto profeta: «Stia chontra di lui il pecchatore e 'l diavolo sia dalla sua dritta parte», «Vengha la morte sopra di loro e viventi essi disciendano allo inferno». E però è manifesta la graveza di questo vizio.
L. V, pt. 17Detto dello ingannamento reale e personale seguita del gridare e garrire, lo quale vitio prociede da inpito d'animo per gloria aquistare a ssé e ad altri depriemere. Questo vizio è grave per tre cose: primo, per l'ira inpetuosa, sechondo, per gloria viziosa, terzo, per offensione niquitosa. Primo, è grave per ira inpetuosa: el garrire non prociede se non da animo furioso, inordinato, acieso in vendetta, e però questi tali sono asimigliati a cani latranti ché per ira di vendetta latrano, e di questi dicie Davit profeta «Circhundederunt me canes multi», 'E mi circhundarono molti cani', cioè gridatori maldicienti; e inperò essendo inn esso il vizio dell'ira tutti li pericholi e lle graveze che sono nel chapitolo dell'ira si possono qui redurre e intendere. E non solo tali pecchano in sé ma pecchano in altrui, i quali per loro gridare conmuovono a simile ira e gharrire. Sechondo, è grave per gloria viziosa la quale intende d'aquistare il gridatore e 'l gharritore, che per suo gridare chrede avere vittoria e però exalta la sua vocie che lla sua sia udita e quella del prossimo deprensa e abatuta, e però suole dire l'uno all'altro "Non m'abatterai di parole", e sse l'uno grida e l'altro grida; sicché questo vizio nonn è sanza vanagloria, la quale secondo che ssi dirà è gravissimo vitio. Questi tali sono assomigliati al lione che chollo mugito intende abattere ogni fiera, e di ciò dicie santo Agostino «Leo est propter inpetu, draco propter insidias: leo aperte irascitur, draco occulte insidiatur»; parla del diavolo principalmente, il quale si puote dire de' gridatori e de' traditori: il gridatore è leone per inpito, che apertamente s'adira, e 'l traditore è draco, che occhultamente offende, e chosì questi tali simigliandosi a queste bestie per queste propiatà, e al dimonio similmente, manifesta cosa è che questi tali sono simili al dimonio. Terzo, per offensione niquitosa, che 'l gridatore e garritore per potere depremere il prossimo e ridurllo a niente e per la acciensione del sangue e dell'ira e rischaldamento del gridare à per niente di dire la falsità e lle menzognie e infamare inniquamente il prossimo e depremiarlo e abatterlo. E dicie il profeta «Exarserunt sicut ingnis in spinis», 'Elli mi vennono adosso ardenti come il fuoco infra lle spine', che ogni cosa arde. E massimamente questo vizio rengna nelle fenmine, che avaccio colghono furiosa ira e clamosa per tostana inclinatione e per la inperfezione della ragione, chome fu detto nel trattato della natura delle fenmine. E d'esse dicie Salamone ne' Proverbii «Mulier clamosa et stulta plenaque ilecebris et nichil omnino sciens sedet in foribus domus sue super sellam in excelso urbis loco ut vocaret transeuntes per viam, et vecordi locuta est», cioè 'La fenmina clamosa', gharritricie, 'e stolta, piena di male dilettazioni e al postutto semplicie', sanza sapienza, 'sede inanzi la sua casa inn alto loco gridando, chiamando choloro che passano e malvagità di core parlando'. E così è manifesto la graveza di questo vitio.
L. V, pt. 18Detto del gridare e garrire seghuita del moltoloquio overo molto parlare, lo quale è grave vizio per tre ragioni: primo, è grave questo vizio per la offesa del chreatore, sechondo, per lo tedio dello uditore, terzo, per lo inchontento del sermone. Primo, dicho ch'è grave questo vizio per l'offesa del chreatore inperò che nel molto parlare rade volte vi vengono meno menzongnie; inperò dicie Salamone ne' Proverbi «In multiloquiis non deest peccatum, qui autem moderatur labia sua prudentissimus est», cioè 'in molto parlare non viene meno pecchato, chi tempera le sue labra è prudentissimo'; e inperò si suole dire volgharemente «Chi molto parla spesso falla», in mentire spesse volte parlando del prossimo e in molti modi onde si cogle la offensione del chreatore. Sechondo, è rio vizio per lo tedio dello uditore, al quale gienera inchrescimento d'udire tanto parlare e consequentemente fuga l'amore inverso del parlatore. Achresciesi per questo vizio infamia e schifamento di soziale chonpagnia per inchrescimento del molto parlare, ed è chiamato parlatore e menzoniere però che sanza menzognie rade volte puote essere. Terzo, è grave questo vizio per lo inchontento del sermone overo della chosa che si parla, che s'ella è buona la facie diventare inchontenta, vile e schifata dalli uditori. Onde santo Geronimo amuniscie li predichatori e tutti i prenutiatori della parola di Dio che brievemente debbano dire aciò che 'l cibo spirituale che debba confortare e nutrichare l'anima non si converta in inchontento e in tedio dello uditore, e così onde debba uscire merito e premio ne riescha demerito (et) tormento. Onde se questo chomanda delle parole di Dio, che sono cibo chonfortativo dell'anima, quanto maggiormente dell'altre chose mondane, che overo sono ad essa contrarie overo non utile? Onde inn ogni chosa che ll'uomo à a parlare debba avere regola e modo, e inn esso molto si chonoscie la persona inperò che 'l parlare procciede dalla meditazione del quore, onde è proverbio romano «Parla, mo te conoscho».
L. V, pt. 19Detto del moltoloquio è da dire della mormoratione, la quale è tedio e inchrescimento d'alchuna filicità del prossimo chon mormorità di vocie manifestato con iscusa di zelo chomune overo spetiale. La graveza del quale vizio si manifesta per tre ragioni: primo, perché è spezie e menbro d'invidia, secondo, che non care e abrama livore e discordia, terzo, per autorità salamonica. Primo, però ch'è spezie e parte d'invidia, però che ogni mormoratione prociede da invidia e dolore che à il mormoratore d'alchuna filicità che vede al prossimo di chui mormora, sechondo ch'è manifesto nella sua difinitione; onde la graveza che ssi tratta della invidia puote essere similmente di questo vizio, come è manifesto a cchi bene lo considera, però che ongni cosa ch'apartiene al genere è alla spezie in quanto non discrepa da essa. Sechondo, è grave però che non care e abrama discordia e zinzania, che mestieri è che dove è la mormoratione e 'l mormoratore lì sia livore, zinzania e discordia; onde tutta la graveza del vizio della zinzania e dischordia si puote induciere a questo vizio, chome manifestamente appare. Terzo, per grave offensione e schandolo che alle volte inducie al prossimo, chom'è manifesto per salamonicha autorità, onde dicie ne' Proverbi «Verba susurronis quasi sinplicia et ipsa pervertunt intima ventris», cioè 'Le parole del mormoratore paiono quasi semplici: esse alle volte trapassono il core'; e però dicie Salamone inn esso libro «Parti da tte la boccha malvagia e ' labri mormoratrici dilunga e dischaccia da tte».
L. V, pt. 20Detto della mormoratione seghuita delli schernitori. Lo schernire non è altro se non el prossimo con elazione e inchontento per atto o per parlare dispregiare. La graveza di questo vizio si dimostra in tre chose: primo, nella pericholosa maladizione, sechondo, per poco frutto e grande pena che inducie allo schernitore, terzo, per autorità di Salamone. Primo, mostrasi questo vizio pravo e grave nella pericholosa maladizione, ché per questo vizio si ricievé la prima maladitione data da uomo che induciesse pericholo: trovamo che nNoè giusto plantando la prima vingnia ed esso inprima ch'altra persona innebriando e dischoprendosi, della sua vergognia palese dimostrando, il suo figliuolo Cham sì llo schernio e rise, e l'altro figliuolo, Seth, lo choperse e vergogniòne; il padre, cioè Noè, tornando inn istato e richordandosi di quello ch'era stato maladisse il suo figliuolo Cam e disse «Maledittus Cam qui non operruit verenda patris sui», cioè 'Maladetto sia Cam ché non coperse la verghognia de suo padre', e poi benedisse Seth; e di questo seghuitò che d'esso Cam naquono figliuoli per li quali fu la fine del mondo, e naquorne gioganti cananei, pessima generatione. Sechondo è grave questo pecchato per poca utilità e grave pena che inducie allo schernitore, sechondo ch'è palese nel ladrone schernente Cristo quando era nella chrocie che nn'aquistò pena etternale, e l'altro per divozione (et) pietà e fede aquistò gloria senpiternale. Terzo, è manifesta la sua graveza per detti di Salamone, lo quale dicie ne' Proverbii «Abominatio domini omnis illusor et illusores ipse deludit», 'L'abominatione di Dio è ogni schernitore, e esso Iddio scherniscie li schernitori'.
L. V, pt. 21Detto delli schernitori seghuita de' falsi lusingatori e de' lusingamenti, el quale vizio è pericholoso per tre ragioni: primo, considerato il falso lusinghatore, sechondo, chonsiderato della falsa lusinga ricievitore, terzo, chonsiderato il pericholoso fine e condutione. Primo, è pericholoso chonsiderato il falso lusingatore che falsamente lusingando chonmette adulatione, tradimento e 'nghanno, onde tutti e pericholi che ssono detti nelli chapitoli di questi tre vizi si possono redurre a questo vizio, onde se lli vuogli sapere ciercha inn essi di sopra. Sechondo, chonsiderato il lusinghato il quale è pieno di fe' e di speranza ed è innociente quanto in questa parte, il quale si chonducie quasi in desperatione trovandosi essere inghannato, come fu manifesto ne li amici di Giob. Terzo, per lo pericholoso fine al quale conducie il lusingato, come fu manifesto in Sansone che fu ciecho per le lusinghe di Dalida, Iudit a Eloferne taglò la testa, e diversi mali n'eschono; e di ciò dicie Salamone ne' Proverbii «Labia meritricis favul distillans et nitidius oleo guttur eius, novissima autem eius amara quasi asintium et aguta quasi gladius biceps», cioè 'E labri della puttana', cioè del lusingatore che non à fronte chome la puttana, 'sono come il fiadone del mele e lla sua gola lucida come oleo, la sua fine è più amara ch'asenzio e aghuta come coltello da due tagli, ei suoi piedi chorrono a morte e lle sue vestigie ell'inferno'; onde molte altre parole diciendo seguita «Acchappialo in rete di molte parole e chon molte lusinghe il trae a ssé: inchontanente lo inghannato seghuita lo 'ngannatore sechondo che 'l bue si mena a uccidere, e chome l'angniello è ingniorante che a' leghacci delle lusinghe sia tratto, per fine a tanto che lla saetta della lusinga non passa il suo fegato», cioè per infino a tanto che 'l dannaggio della lusinga non passa il quore poi che 'l sente; onde Salamone molto di ciò parla. Però si puote questo vizio chonprendere grava.
L. V, pt. 22Detto delle false lusinghe e lusinghatori seguita della pigritia. Questo vizio è pericholoso per tre ragioni infra l'altre: primo, che chonducie il possesore a otiosità, secondo, sì 'l conducie a povertà, terzo, sì 'l conducie a pericholoso termine finale. Primo, la pigrizia conducie l'uomo ad otiosità, che l'uomo ch'è pigro d'exercitare la sua persona diventa ozioso e per l'oziosità chade in molti vizii di pericholose cogitazioni carnali e mondane e in tanto il diavolo prende arme e potenzia sopra dell'uomo, onde dicie santo Bernardo «Fuge otium et senper aliquid boni facito ut te diabolus inveniat occupatum», cioè 'Fuggi l'otiosità e sempre fa alcuna chosa di bene, acciò che 'l diavolo ti truovi occhupato'. Sechondo, la pigritia conducie l'uomo a non volontaria povertà, onde dicie Salamone ne' Proverbii «Usquequo pigher dormis? Quando consurges ex sopno tuo? Paululum dormies, paululum dormitabis, paululum conseres manibus pettus, et veniet tibi quasi viator egestas et pauperies quasi vir armatus», adomanda Salamone e dicie al pigro 'Rispondi, pigro: quanto dormirai? Quando ti leverai del tuo sonno? Poco dormi, poco dormirai, poco ti liscierai il tuo petto, e sechondo che uno corrieri la carestia verrà contro a tte, e lla povertà come huomo armato' dal quale non potrai champare né difenderti; e inperò dà buono consiglio e dicie «Vade ad formicam, o pigher, et disce sapientiam que, cum non habeat ducem nec precettorem nec principem, parat estate cibum sibi et congregat in mense quod comedat; si vero inpigher fueris veniet ut fons messis tua et egestas longe fugiet a tte», 'O pigro, va alla formicha e prendi da essa sapienza che, chon ciò sia chosa che non abbia signore né prencipe né rettore, nella state aduna tanta biada che per tutto l'anno basta a mangiare; se ttu non sarai pigro la biada tua e lle vittuali risurgeranno come fonte e lla povertà dalla lungha fuggirà'. Terzo, la pigritia chonducie a pericolosi e obrobiosi fini, a furti, a tradimenti per povertà, overo che lli fa stento; e per questo è pericholosa e molto da fuggire||.
Da I.1.7.5 a I.1.9.b il testo è trasmesso dal solo ms. S. - Si cita come: Questioni filosofiche, p. 1298 (tosc.) Testo tra [ ] trasmesso dal solo ms. S. Si cita come: Questioni filosofiche, p. 1298 (tosc.) Da II.3.2.c a IV.2.3.2 il testo è trasmesso dal solo ms. S. - Si cita come: Questioni filosofiche, p. 1298 (tosc.) Da V.7.34 alla fine il testo è trasmesso dal solo ms. S. - Si cita come: Questioni filosofiche, p. 1298 (tosc.)