Titolo
Queste sono le leggende
di Santi ordinate
da messere
frate Iacopo,
arcivescovo
di
Genova,
de'
Frati
Predicatori.
Prologo
Tutto il tempo
de la vita presente si
divide in
quattro:
cioè nel tempo
de lo sviamento, nel tempo
del
rinnovellamento,
nel tempo
del
riconciliamento, nel tempo
de la
pellegrinazione. Il tempo
de lo sviamento
fue
da Adamo,
poi
ch'
egli si sviò
da Dio,
e
durò insino
a
Moises;
e
questo tempo rappresenta la
Chiesa
da la
Settuagesima
insino a la
Pasqua. Onde allotta si legge il
libro
del
Genesi, nel quale si pone lo sviamento
che
fecero
da
Dio lo primo nostro padre
e la prima nostra madre. Il
tempo
del
rinnovellamento, ovvero richiamamento,
cominciò
da
Moises
e
durò insino a la natività
di Cristo. Nel
qual tempo
furono gli uomini, per li profeti, richiamati
a la
fede
e
rinnovati.
E questo tempo rappresenta la
Chiesa
da la prima
domenica
de l'
Avvento insino a la
nativitade
di Cristo. Onde
allora si legge lo Isaia, nel
quale
apertamente si tratta
di questo
rinnovellamento.
Il tempo
del
riconciliamento
è il tempo nel quale noi
siamo riconciliati per Cristo;
e questo tempo rappresenta
la
Chiesa
da la
Pasqua insino a la Pentecoste. Onde
allora si legge l'
Apocalissi, ove pienamente si tratta del
misterio
di questo
riconciliamento.
Il tempo
de la pellegrinazione
è il tempo
de la presente
vita, nel quale noi siamo pellegrini
e in
battaglia
continua.
E questo tempo rappresenta la
Chiesa
da
l'ottava
de la Pentecoste insino a la prima
domenica
de l'Avvento. Onde si leggono
allora i libri
de' Re
e
de' Maccabei, ne' quali si tratta
di molte
battaglie per
le quali sono significate le nostre spirituali
battaglie.
Ma quello tempo
ch'
è
da la nativitade insino a la
Settuagesima, parte si contiene sotto il tempo
de la
riconciliazione,
il quale
è tempo
di letizia,
cioè da la
nativitade insino a l'ottava
de la
Befania,
e parte se
ne contiene sotto 'l tempo
de la pellegrinazione,
cioè
da l'ottava
di Befania insino a la
Settuagesima.
E puotesi imprimieramente qui prendere la variazione
di questi
quattro tempi secondo i
quattro tempi
de
l'
anno, sì
che il verno si rechi
al primo, la primavera
al secondo, la state
al terzo,
e l'
autonno
al quarto.
E la ragione
di questa
appropiazione
è
assai manifesta.
Secondamente si puote prendere questa variazione
de' tempi secondo la
distinzione
de'
quattro tempi del
die, sì che la notte si rechi
al primo, la mattina al secondo,
il meriggio al terzo, il vespro al quarto.
E
avvegna
che prima
fosse lo sviamento
che
rinnovellamento,
tuttavia la
Chiesa più
anzi
comincia tutti i suoi ufficii
nel tempo
de lo
rinnovellamento,
che nel tempo
de lo
sviamento,
cioè più anzi ne l'Avvento
che ne la
Settuagesima.
E questo
fa per
doppia ragione. La prima
è
acciò
che
non
paia
ch'
ella si
cominci da
errore;
e
così tiene
e
pone la
cosa non seguitando l'ordine del tempo, secondamente
che
fanno i
Vangelisti, spesse volte, nel
Vangelo. La seconda ragione
è però
che per lo
avvenimento
di Cristo tutte le
cose sono rinnovate; per la
qual
cosa questo tempo
è
detto tempo
di
rinnovellamento,
sì com'
è scritto ne l'
Apocalissi: "Ecco io
fo nuovo
tutte le
cose".
Convenevolemente
adunque, in questo tempo del
rinnovellamento,
la
Chiesa
rinnovella tutti i suoi uffici.
E
acciò
che l'ordine del tempo
distinto da la
Chiesa
s'osservi, prima tratteremo
de le
feste le quali
corrono
infra 'l tempo del
rinnovellamento: il quale tempo
rappresenta la
Chiesa da lo Avvento insino a
Natale.
Nel secondo luogo tratteremo
di quelle
che
corrono infra
'l tempo che, parte si contiene sotto 'l tempo de
la
riconciliazione,
e, parte, sotto 'l tempo de la pellegrinazione:
il qual tempo rappresenta la
Chiesa, da la
nativitade insino a la
Settuagesima. Nel terzo luogo
tratteremo
di quelle
che
corrono infra 'l tempo de lo
sviamento, il quale si rappresenta da la
Settuagesima
insino a la
Pasqua. Nel quarto luogo tratteremo
di quelle
che
corrono infra 'l tempo de la
riconciliazione, il quale
rappresenta la
Chiesa da la
Pasqua insino a l'ottava di
Pentecoste. Nel quinto luogo tratteremo di quelle
che
corrono infra 'l tempo de la pellegrinazione, il quale
è da l'ottava di Pentecoste insino a l'Avvento.
cap. 1, L'Avvento
L'
avvenimento del Signore si
fa per
quattro settimane
a significare che
quattro sono li suoi
avvenimenti,
cioè in
carne, in mente, a la
morte e al giudicio. Ma
la sezzaia settimana
appena si
compie; imperò
che la
gloria
dei santi, che si
darà nel sezzaio
avvenimento,
giammai non
avrà
fine. E quinci
è che 'l primo
risponso de la prima
Domenica
dell'Avvento,
compitando
il Gloria Patri, hae
quattro versi, acciò
ch'
elli
significhi questi
quattro
avvenimenti. Ma a qual di questi
maggiormente si
convegna, il savio leggitore sì 'l ponga
mente. E
avvegna
che
quattro sono gli
avvenimenti, la
Chiesa spezialmente
de'
due
pare che
faccia memoria,
cioè de lo
avvenimento in
carne e de lo
avvenimento al
giudicio, sì come si manifesta ne l'ufficio di quel tempo.
Quinci
è
ancora che 'l
digiuno de l'Avvento
è parte
d'
allegrezza e parte di pianto; per
cagione de lo
avvenimento
in
carne
è
detto
digiuno di letizia; per
cagione
de lo
avvenimento al giudicio,
è
detto
digiuno di pianto.
E a
ciò
dimostrare
canta allora la
Chiesa
certi
canti
di letizia; e questo
fa per l'
avvenimento de la misericordia
e de l'
allegrezza, e
alquanti
canti lascia per
l'
avvenimento de l'
aspra giustizia e pianto.
Quanto a l'
avvenimento in
carne
due
cose si possono
vedere, cioè la
convenevolezza de l'
avvenimento e
l'
utilitade.
La
convenevolezza de l'
avvenimento si mostra prima
da la parte de l'uomo, il quale, ne la legge de la natura,
fue
convinto che per se medesimo non potea
conoscere
Iddio; onde allora
cadde in pessimi
errori
d'
idolatria,
e però
fu
costretto di gridare,
dicendo: "
Allumina,
Signore, gli occhi miei acciò
ch'io non
dorma ne la
morte". Poscia venne la legge comandata, ne la
quale
fue
convinto del non potere,
con ciò
fosse
cosa
ch'
egli imprima gridasse,
dicendo: "
Ben
ci
è
chi
farebbe,
ma non
è
chi
comandi". Quivi solamente
fu
l'uomo
ammaestrato, ma non
fue liberato del peccato,
né
fue
atato, per
alcuna grazia, a operare lo
bene;
e imperò
fue
costretto di
mutare, e di
dire: "
Ben
è
ch'io
comandi, ma non
è
chi
adoperi".
Convenevolmente
adunque venne il
figliuolo di Dio, quando l'uomo
era già
convinto del non
conoscere e del non potere;
ché, se imprima
fosse venuto,
avrebbe l'uomo
creduto
essere salvato per li suoi
meriti medesimi, e così non
sarebbe grato e
conoscente al medico.
Secondariamente si mostra la
convenevolezza de l'
avvenimento
da la parte del tempo, imperò che venne
quando
fu
adempiuto il tempo, del quale
avevano
detto
le Scritture, sì come
dice san Paolo
apostolo ne la Pistola
che mandò a quegli di
Galata: "Quando
venne l'
adempimento del tempo, mandòe Iddio il suo
figliuolo". E santo Agostino
dice che molti
dicono:
"Perché non venne Cristo più tosto? imperò che ancora
non
era venuto l'
adempimento del tempo, modificando
colui per lo quale son
fatti i tempi". E quando venne
l'
adempimento, venne quelli che noi liberò
dal tempo,
e, liberati
dal tempo, verremo a l'
eternitade là ove non
è tempo.
Nel terzo luogo si mostra la
convenevolezza de l'
avvenimento
da parte de la
fedita e infermità universale.
Imperò che la infermitade
era universale,
convenia
che si
desse medicina universale. Onde
dice santo Agostino:
"Che allora venne il gran medico quando per
tutto 'l
mondo giaceva il grande infermo". Onde la
Chiesa, in
sette
antefane, che si
cantono
anzi
Natale,
dimostra le molte infermitadi e di
catuna
domanda
il rimedio del medico. Innanzi a l'
avvenimento del
figliuolo
di Dio in
carne
eravamo come
ciechi, sanza
conoscimento, obbligati a le pene
eternali, servi del
diavolo, vinti di
mala
consuetudine di peccare,
adombrati
di tenebre, sbanditi e
discacciati da la
patria. E
però
abbisognavamo
d'
ammaestratore, di ricomperatore,
di liberatore, di guidatore,
d'
alluminatore e di
salvatore.
Adunque, però
ch'
eravamo sanza
conoscimento,
abbisognava
d'
essere
ammaestrati da lui. E però ne la
prima
antefana
gridiamo: "O sapienza che de l'
Altissimo
uscisti, vieni
ad
ammaestrare noi parole di saviezza".
Ma poco gioverebbe se
fossimo
ammaestrati
e non ricomperati, e però
domandiamo
d'
essere ricomperati
da lui, quando noi
gridiamo ne la seconda
antefana:
"O
Adonai e guidatore de la
casa
d'Israel,
vienci
a ricomperare nel
braccio
disteso".
Ma che gioverebbe
essere
ammaestrati e ricomperati,
se
ancora
fossimo imprigionati? E però
domandiamo
d'
essere liberati, quando ne la terza
antefana
gridiamo:
"O radice di Gesse, vieni a liberare, e non
tardare".
Ma che gioverebbe
a' pregioni
essere ricomperati e
liberati, se non
fossero da ogni
legame sciolti, e
fossero
in loro podestade, o liberamente
andassero là
dove
volessero?
Certo poco
prode ci sarebbe suto se
ci
avesse
ricomperati e liberati, s'ancora
ci tenesse legati. E però
da ogni
legame di peccato
domandiamo
d'
essere sciolti,
quando ne la quarta
antefana
gridiamo: "O
chiave
di
David, che
chiude e neuno
apre,
apri, e neuno
chiude,
vieni, e trai
coloro che sono legati de la
casa de la
carcere". E però che quelli che lungo tempo sono stati
in
carcere hanno gli occhi
ottenebrati e non possono
vedere
chiaro, poi che siamo de la
carcere liberati,
domandiamo
d'
essere
alluminati, quando ne la quinta
antefana
gridiamo: "Oriente,
splendore de la luce
eternale,
vieni, e
allumina
coloro che
seggiono ne le tenebre
e ne l'ombra de la
morte".
Ma se
fossimo
ammaestrati, e al tutto da e' nemici
liberati, che varrebbe se noi non
ci
dovessimo salvare?
E però ne le
due sezzaie
antefane
domandiamo d'
essere
salvati, quando
gridiamo: "Vieni, salva l'uomo lo quale
tu
formasti del
limo"; e
anche "
Emmanuel, vieni a
salvarci, Signore Iddio nostro".
Ma ne la prima
domandiamo la salute
de' pagani,
che non
erano del popolo di Dio, onde
diciamo: "O
Re de le genti". Ne la seconda
domandiamo la salute
de' giuderi, a' quali Dio
diede la legge, onde
diciamo:
"O
Emmanuel,
duca e
dottore nostro de la legge!".
Nel secondo luogo si puote vedere l'
utilitade de l'
avvenimento.
L'
utilitade de l'
avvenimento del
figliuolo di
Dio
è da
diversi santi in
diversi modi
assegnata,
ché
nel Vangelo di santo Luca Cristo nostro
afferma
sé
essere venuto per molte utilitadi, e
dice
così:
"Lo spirito del Signore
è sopra me"; e
aggiugne sé
essere mandato a predicare a li poveri e
dare loro
consolazione,
a sanare i percossi nel
cuore, a
deliberare i
pregioni,
ad
alluminare i
ciechi, a perdonare li peccati,
a ricomperare tutta l'umana generazione, e a guiderdonare
i
buoni.
Santo Agostino n'
assegna
tre utilitadi, e
dice: "In
questo secolo maligno che
abbonda, se non nascere,
affaticare
e morire? Queste sono le
mercatantie del nostro
paiese, e a
cotali
mercatantie
discese quello mercatante.
E imperò ch'ogni mercatante
dà e toglie,
dàe
quello che hae, e toglie quello che non hae, Cristo in
questa
mercatantia
diede e tolse: tolse quello che qui
abbonda, cioè nascere,
affaticare e morire;
diede rinascere,
risucitare e
eternalmente regnare.
Esso medesimo,
mercatante
celestiale, venne a torre da noi vergogna e
dare onore,
sostenere
morte e
dare vita,
ad
avere
disonore
e
dare gloria".
San Gregorio pone
quattro utilitadi, e
dice così: "Studiavano
li superbi ingenerati de la schiatta d'Adamo
a
disiderare le
cose
dilettose di questa presente vita, e
a schifare le
cose
aspre, a
fuggire le
vergogne, a seguitare
gloria. Venne intra noi il Signore incarnato volendo
l'
aspre cose, e le
dilettose
sprezzando,
abbracciando
le
vergogne, e
fuggendo la gloria".
Anche
dice
"Cristo,
aspettato, venne; vegnendo,
nuove
cose
ammaestrò;
ammaestrando,
adoperòe
cose maravigliose;
faccendo opere maravigliose,
sostenne
cose malvage".
San Bernardo pone
altre
cagioni, e
dice: "Di tre infermitadi
miseramente
eravamo
affaticati, e,
affaticati,
siamo
agevoli
ad ingannare,
debili
ad operare,
fragili a
contrastare; se vogliamo scernere tra 'l
bene e 'l male
siamo ingannati. Se
ci proviamo di
fare il
bene, vegnamo
meno; se
ci sforziamo di
contrastare al male, siamo soperchiati.
Adunque
fue necessario l'
avvenimento del Signore
acciò
ch'
abitando in noi per
fede,
allumini la
nostra
ciechitade, e, permagnendo
con noi,
aiuti la nostra
infermitade, e stando per noi
difenda la nostra
fragilitade, e per noi
combatta".
Quanto al secondo
avvenimento, al giudicio,
due
cose
si vogliono vedere: cioè le
cose
ch'
andranno innanzi al
dì del giudicio, e le
cose che, insieme quasi, verranno
col giudicio. Le
cose che
andranno innanzi sono
due,
cioè i segni terribili, e l'
avvenimento di Cristo. I segni
terribili ch'
avverranno sono
cinque. Secondo il Vangelo
di Luca saranno,
ciò
dice, segni nel sole, ne
la luna, ne le stelle, e, in terra,
pressura di genti per
la
confusione del suono del
mare e de le
tempestose
onde.
I tre primi segni si
diterminano ne lo Apocalissi.
"Il sole,
ciò
dice,
è
fatto nero sì come
sacco di
cilicio,
e la luna
è
fatta sangue, e
caddero le stelle del
cielo". Il sole
è
detto oscurare quando
è privato del
suo lume, sì che il padre de la
famiglia di tutte le
criature, cioè l'uomo, morendo,
paia quasi il sole piagnere;
ovvero
è
detto d'oscurare per
sopravvenimento
di maggiore luce, cioè sopravvegnendo la grandissima
chiarezza di Cristo; ovvero quanto a simiglianza di modo
di parlare, quasi
dica: "Sì sarà
crudele la vendetta
di Dio, che 'l sole non
ardirà di guatarla". Il
cielo
del quale
dice che
cadranno le stelle,
è questo
aere; e
le stelle che hae,
cadranno. Son
vapori
accesi
ed
alti in
questo
aere, e son
chiamati Assub; i quali
vapori
accesi
hanno, quanto al nostro vedere, somiglianza di stelle.
E
dicono
volgarmente le genti rozze che le stelle
caggiono
di
cielo quando quello
cotale
vapore
acceso,
c'ha
nome Assub, scende giuso; onde la Scrittura si
conforma
al
comune modo di parlare de le genti. E, allora,
spezialmente sarà quella impressione ne l'
aere e
accendimento di
vapori, che parrà che molte stelle vadano
caggendo e movendosi per l'
aere. E questo
farà
Iddio a
spaventamento
de' peccatori. Ovvero saranno
dette
cadere le stelle del
cielo, imperò che
catuna parrà
ch'
abbia un viluppo di
fuoco
ch'
esca di lei; ovvero che
molti, che parevano stelle ne la
Chiesa per
isplendore
di
dottrina e di
belli
costumi,
cadranno; ovvero che le
vere stelle
fisse nel
cielo
ritrarranno a sé il loro lume,
e non si vedranno.
Del quarto
segno, che sarà
pressura ne le terre, si legge
nel Vangelo di san
Matteo che sarà
allotta tribulazione
tale
chente mai non
fu
dal cominciamento del
mondo.
Il quinto
segno, cioè la
confusione del
mare,
alcuni
stimano che sia che 'l
mare
con gran
fragore si muterà
da la sua qualitade di prima, secondo quella parola
de l'
Apocalissi, che
dice: "Il
mare già non
è"; ovvero,
secondo che
dicono
altri: "Quel gran suono
sarà nel
mare, quando
elli si leverà sopra se medesimo,
alto quaranta
braccia sopra tutt'i monti, e poscia
diverrà più piccolo che non
era prima". Ovvero, secondo
il
detto di san Gregorio: "Sarà allora una e
giammai non udita
perturbazione de le
tempest
ose
onde del
mare".
San Gregorio trovòe in uno
libro, che si
chiama
Annale, che sono
certi libri de li Giudei,
XV segni
ch'
andranno innanzi al giudicio. Ma s'elli
debbiano essere
continuvi l'uno a lato a l'
altro, ovvero mettendo
tempo in mezzo,
nol
dice.
Il primo
die si leverà il
mare in
alto quaranta
braccia
sopra tutte l'
altezze
de' monti, stando nel luogo
suo come
mura. Il secondo
die scenderà tanto che appena
si potrà vedere. Il terzo
die li pesci del
mare
appariranno
disopra, e metteranno
sì grandi mugghi ch'
andranno insino al
cielo, e i loro
mugghi solo Iddio intenderà. Il quarto
die
arderàe il
mare e l'
acqua. Il quinto
die gli
alberi e l'
erbe
daranno
gocciole di sangue, e, secondo che alcuni
dicono,
tutti gli uccelli si raguneranno ne'
campi,
catuna schiatta
per sé, nel suo ordine, non mangiando, né
beendo,
ma spaventosi
aspettando l'
avvenimento del giudice.
Il
sesto
die rovineranno tutti i
difici, e, secondo che si
dice,
fummi di
fuoco si leveranno
dal ponente,
contra
la
faccia del
fermamento,
correnti infino al levante. Il
settimo
die le pietre si percoteranno insieme, e
fenderannosi
insieme in
quattro parti, e
catuna parte, si
dice, che percoterà l'
altra, e quel suono non saprà
altri
che Dio. L'ottavo
die saràe generale terremoto, cioè
che, per tutto quanto il
mondo,
tremerrà la terra di
sì gran maniera, che nullo uomo, né
animale potrà
stare ritto, ma tutti
cadranno a terra. Il nono
die si
ragguaglieranno tutti i monti e la terra, e torneranno
in
polvere. Il
decimo
die usciranno gli uomini de
le
caverne, e
andranno come smemorati e non si potranno
insieme parlare. L'undecimo
die si leveranno
tutte l'ossa
de' morti e staranno sopra i loro sepolcri,
e, tutt'i sepolcri,
dal levante insino al ponente, s'
apriranno,
perché i morti ne possano uscire
fuori. Il
duodecimo
die
caderanno tutte le stelle e tutte le pianete,
e le stelle
fisse spargeranno
fiamme di
fuoco, e
dicesi
che ogni
animale verranno a i
campi e non mangeranno,
né
berranno. Il tredecimo
die morranno tutti gli uomini,
acciò che risuscitino poscia insieme
con i morti. Il
quattrodecimo
die
arderàe il
cielo e la terra. Il quindecimo
die
fia
cielo
nuovo e terra
nuova, e tutti
risuciteremo.
La seconda
cosa ch'
andrà innanzi al giudicio,
andrà e sarà la
faccia d'Anticristo, il quale, secondamente
che si
dice, trarrà a sé tutta quanta gente;
imperò che in
quattro modi si sforzerà d'ingannare
ogni persona.
Prima, per maliziosa
lusinga e
falsa
sposizione de la
Scrittura, sforzerassi di mostrare e
conformare per la
Scrittura com'
egli sia Messia, promesso ne la legge
di Cristo, secondo che
dice il salmo: "Ordina Signore
Iddio,
datore di legge". Sopra loro la
Chiosa
spone e
dice: "
Ciò
è Anticristo
apportatore di
mala legge".
E
Daniel
dice: "E
darà
abbominazione e
distruzione
nel tempio". Ove
dice la Chiosa: "Anticristo sedrà
nel tempio di Dio sì come Iddio, acciò che tolga la
legge di Dio". Secondariamente, per operazione
de' miracoli,
sì come
dice san Paolo di lui ne la Pistola che
mandò a Timoteo: "Il cui
avvenimento
fia secondo
l'operazione di
Satenasso in ogni vertude e maraviglie,
e
alte operazioni
bugiarde". E ne l'
Apocalissi si
scrive di lui:
fece maraviglie, sì che
eziandio
facesse
scendere il
fuoco di
cielo in terra. Ove
dice la Chiosa:
"Secondamente ch'
è a gli
apostoli
dato lo Spirito Santo
in ispezie di
fuoco, così
egli
darà lo spirito maligno in
ispezie di
fuoco". Nel terzo luogo per largimento di
doni, onde
dice
Daniel. "
Darà a lui podestà in molte
cose, e partirà la terra graziosamente".
Dice qui la
Chiosa: "Anticristo
donerà molte
cose a
coloro a
cui
li
averà ingannati, e partirà la terra al suo
esercito. E
coloro che per paura non potrà sottomettersi,
sottometteralli
per
avarizia". Nel quarto luogo per
crudeli
tormenti, onde
dice
Daniel: "
Egli guasterà le
cose
assai
più che noi non possiamo pensare". E san Gregorio
dice
così d'Anticristo: "
Egli ucciderà i
forti
quando
coloro, che ne la
mente non possono essere vinti,
vincerà nel
corpo".
La terza
cosa ch'
andrà innanzi al giudicio, sarà il
grandissimo
fuoco ch'
andrà innanzi a la
faccia del
giudice. E quel
fuoco manderà il Signore primieramente
per
rinnovellare il
mondo. Egli purgherà e
rinnovellerà
gli
elementi onde, secondamente che l'
acqua del
diluvio
fue
XV braccia sopra tutte l'
altezze
dei monti, così quel
fuoco
andrà
alto, imperò che l'opere de l'uomo poterono
cotanto salire. Secondamente per purgare gli uomini,
imperò che a quelli che
vivi si troverranno, sarà quel
fuoco in luogo di
purgatorio. Nel terzo luogo per maggiore
tormento
de'
dannati. Nel quarto per maggiore
lume
de' santi, imperò che, secondo che
dice san
Basilio:
"
Fatta la purgazione del
mondo, Dio
dividerà il
caldo da lo
splendore di quel
fuoco, e tutto il
caldo
manderà di sotto al paese
de'
dannati, acciò ch'
eglino
abbiano più tormento; e tutto lo
splendore manderà al
paese
de'
beati, acciò ch'
abbiano più
allegrezza".
Le
cose che, quasi insiememente verranno
col giudicio,
saranno molte. La prima
fia l'
esaminamento del
giudice. Il giudice scenderà ne la valle di
Giosafat e
allogherà i
buoni dal suo lato
diritto, e i rei dal manco.
E
dovemo
credere che sarà il luogo sì
alto, che ogni
uomo il potrà vedere. E non si
dee intendere che tutti
si rinchiudano in quella vallicella,
ché questo sarebbe
detto di
fanciulli, secondo che san
Geronimo
dice, ma
che saranno quivi e ne' luoghi d'intorno. In piccola terra
si possono
allogare migliaia d'uomini sanza novero,
spezialmente quando si stringono, e, se sia
bisogno, gli
eletti saranno in
aria per la leggerezza de' loro
corpi.
E
anche vi potranno essere i
dannati per la virtù di
Dio che li leverà in
alto. E allotta il giudice
disaminerà
li rei, e riprenderalli de l'opera de la misericordia che
non
ebbero in loro, per lui.
E allora piagneranno tutti sopra se medesimi, come
dice san Giovanni Grisostomo: "Piangeranno sopra
se medesimi li Giuderi, veggendo
vivere e vivificare
gli
altri,
colui lo quale, sì come uomo, stimavano morto.
E
convincendo se medesimi, riconoscendo il
corpo di
Cristo
fedito, il loro peccato non potranno
celare".
Piangeranno li pagani, i quali, ingannati per le vane
disputazioni de'
filosofi,
pensarsi che
fosse grande stoltizia
adorare Iddio
crocifisso.
Piagneranno li
cristiani peccatori, i quali
maggiormente
amarono lo
mondo che Cristo.
Piagneranno li
eretici che pensarono lo
Crocifisso ch'
è
puro uomo, acciò che veggano
colui essere giudice nel
quale punsero gli giuderi.
Piangeranno sé tutte le schiatte de la terra, imperò
che non ci
è vertude di
contrastare
contra di lui, né
possibile
fia di
fuggire
dinanzi a la
faccia sua, né
luogo di penitenza, né tempo di soddisfare. E per l'
angoscia
di tutte le
cose, non rimarrà loro altro che
pianto.
La seconda
è la
differenza de l'ordine, che, come
dice san Gregorio: "Nel giudicio saranno
quattro ordini:
due da la parte de'
dannati, e
due da la parte
de li
eletti". Però che alcuni saranno giudicati e periranno,
sì come a
colui a cui
fia
detto: "Io
ebbi
fame,
e non mi
desti da mangiare".
Altri non sono giudicati
e periscono, sì come
coloro a i quali si
dice nel Vangelo
di san Giovanni: "
Chi non
crede, già
è giudicato";
imperò che non ricevono le parole del giudice
coloro,
che le parole de la sua
fede non vollero servare. Altri
sono giudicati e regnano, sì come sono
coloro a i quali
sarà
detto: "
Ebbi
fame, e
destimi mangiare".
Altri non sono giudicati e regnano, sì come gli
apostoli
e gli uomini perfetti, che giudicheranno gli altri,
non
dando la sentenzia - che ciò solamente s'
appartiene
al giudice - ma stando presenti al giudice. Il quale stato
sarà a grande onore de' santi. Grande onore sarà a
sedere
col giudice, sì come egli
promisse loro, quando
disse: "Voi sederete sopra
dodici sedie, giudicando le
XII tribù d'Israel".
Secondariamente sarà il loro sedere a
conformazione
de la sentenzia; imperò che
approveranno la sentenzia
del giudice, secondamente che quelli che stanno presenti
ad
alcuno giudice,
appruovano e scrivono la sua sentenzia.
Onde il salmo
dice: "Acciò che
faccia il loro giudicio
insieme scritto, e questo
è gloria a tutt'i santi
suoi".
Nel terzo luogo a
condannamento de' rei, i quali
ellino
condanneranno mostrando la sua migliore vita a
loro. La terza
cosa
è i segnali de la passione, cioè la
croce, i
chiavelli e le margine de le
fedite. E queste
cose saranno primieramente in
dimostranza de la sua
gloriosa vettoria; e però
appariranno in
eccellenzia di
gloria. Onde
dice san Giovanni
Grisostimo sopra 'l vangelo
di san
Matteo: che la
croce e le margini saranno
più lucenti che 'l razzo del sole. E
dice: "Guarda quanta
è la virtù de la
Croce! Il sole
oscurerà e la luna
non
darà il suo lume, acciò che tu
appari a sapere
come la Croce
è più lucente che la luna e più
chiara
che 'l sole".
Secondariamente saranno in
dimostramento de la sua
misericordia, acciò che quinci si dimostri come i
buoni
misericordevolmente sono salvati.
Nel terzo luogo saranno in
dimostramento de la sua
giustizia, acciò che
appaia come giustamente i rei sono
dannati, imperò che tanto prezzo del suo sangue
sprezzarono.
Onde
dice san Giovanni
Grisostimo sopra 'l vangelo
di san
Matteo, ch'egli rimproverrà loro in queste
parole: "Io per voi
fatto uomo, legato, schernito,
battuto
e
crocifisso;
dov'
è il
frutto di tante mie ingiurie?
Ecco il prezzo del sangue mio, lo quale io
diedi in ricomperamento
de l'
anime vostre; ov'
è il
servigio vostro
che m'
avete
dato per prezzo del sangue mio? Io
v'
ebbi sopra la gloria mia più
cari,
con
ciò sia
cosa
ch'io
fossi Iddio
apparente uomo, e
facestemi più vile
che tutte le vostre
cose.
Certo ogni
cosa vilissima de
la terra
amaste più che la mia giustizia, e che la mia
fede". Queste
cose
dice san Giovanni
Grisostimo.
La quarta
cosa si
è la speranza del giudice che non
si piegherà per paura, imperò ch'
è potentissimo. E
dice san Giovanni
Grisostimo che non
è vertude di
contrastare a lui, né per
donamenti si piegherà, imperò
ch'egli
è giustissimo. Onde
dice san Bernardo:
"Verrà quel
die nel quale più varranno i puri
cuori
che l'
astute parole, e più la
coscienza
buona che la
borsa piena. Elli non si lascerà ingannare per parole,
né non si piegherà per
doni gli
fossono promessi". E
santo Agostino
dice: "
È
aspettato quel
die del giudicio,
ove sarà quel giustissimo giudice che non riguarderà
persona di veruno potente; il palazzo del quale,
con
ariento e
con oro, nullo vescovo, nullo
abate, nullo
conte
potrà
corrompere, né
con
errore, imperò ch'egli
è
savissimo. Onde
dice Leon Papa: "Questa
è la scienza
del gran giudice e sovrano, questo
è il suo spaventoso
aspetto, al quale
è trasparente ogne
cosa soda, e
aperta
ogne
cosa secreta, al quale le
cose
oscure sono
chiare,
le
mutole li rispondono, il silenzio li si manifesta, e,
sanza
boce, gli parla la
mente. E
con
ciò sia
cosa che
la sua sapienza sia tale e tanta, contra
essa non varranno
l'
allegagioni de li
avvocati, né le
fallaci de'
filosofi,
né 'l
bello parlare de li
ambasciadori, né le malìe
de li
incantatori".
E di queste
quattro
cose
dice così san Gregorio:
"Quanti sanza lingua e mutoli saranno quivi più
inventurati
che que' che sono parlanti, quanto a la prima;
quanti pastori più
inventurati che
filosofi, quanto
a la seconda; quanti
villani più che gli
ambasciadori,
quanto a la terza; quanti rozzi saranno innanzi a li
argomenti di
Cicerone, quanto al quarto.
La quinta
cosa
è l'
accusatore orribile.
Tre
accusatori
staranno
contro a' peccatori: il primo
è il
diavolo,
onde
dice santo Agostino: "Il
diavolo sia presente,
allora racconteranno le parole de la nostra promessa
e
opporanci ciò che
avemo
fatto, e in che luogo,
e in che ora peccammo, e che
bene
avremo potuto
fare e
dovuto. E queste
cose
dirà quello
avversario: "O giustissimo
giudice, giudica che questi sia mio e da
dannare
a me, per la sua
colpa, il quale non volle essere tuo
per grazia. Egli
è tuo per natura, e mio per miseria;
tuo perché il
creasti,
mio perché lo
'ngannai; a te
disubbidente,
a me ubbidente; da te ricevette la stola di
potere non morire, da me ricevette questa gonnella
cencialosa,
de la quale egli
è vestito. La tua vesta ha lasciato,
e qua
è venuto
con la mia. Giustissimo giudice,
giudicalo
che sia mio e sia
dannato a me. Guai, guai! potrà
quel
cotale la
bocca sua
aprire, il quale sarà trovato tale
che, giustamente,
col
diavolo
debba essere
diputato?".
Il secondo
accusatore sia il proprio peccato; imperò
che i proprii peccati
accuseranno
catuno; onde scritto
è
nel
libro de la Sapienza: "Verranno temorosi nel pensiero
del lor peccato e
menerannogli a lo incontro le loro
iniquitadi". E san Bernardo
dice: "Allotta
diranno le
parole e l'opere insieme a l'uomo: tu
ci hai
fatto,
tua opera siamo, non ti lasciamo, ma sempre saremo
teco al giudicio, e al giudicio teco verremo". E così di
tutt'i suoi peccati l'
accuseranno.
Il terzo
accusatore sarà tutto il
mondo; onde
dice
san Gregorio: "Se
domandi
chi ti
accuserà,
dico tutto
'l
mondo, imperò che, offeso il
Criatore,
è offesa tutta la
criatura". E san Giovanni Grisostomo
dice: "In quello
die non potremo rispondere nulla là ove il
cielo, la terra,
l'
acqua, il sole e la luna, il
die e la notte, e tutto il
mondo
staranno
contra di noi,
accuseranci
fortemente".
La sesta
cosa sarà il testimonio infallibile. Il primo
testimonio
fia sopra sé, cioè Dio, lo quale sarà giudice
e testimonio, come
dice
Ieremia profeta: "Io sono
giudice e testimonio,
dice il Signore". Il secondo
fia
dentro a sé, cioè la
coscienzia; onde
dice santo Agostino:
"Qualunque tu
se' che temi il giudice che
dee
venire,
correggi la presente tua
coscienzia; la parola
del tuo piato
è il testimonio de la tua
coscienzia".
E san Paolo
dice ne la Pistola a' Romani: "
Rendete
testimonio loro la loro
coscienzia, e
fra se medesimi
accusando i pensieri, ovvero
difendendo nel
die, quando giudicherà Dio le secrete
cose de li uomini,
secondo il Vangelo mio, per
Jesù Cristo, signore
nostro".
Il terzo
fia a sé, cioè l'
angelo che li
fue
dato in
sua guardia, il quale renderà testimonio di tutte le
cose che, presente lui,
fece. Onde
dice
Job: "
Reveleranno
i
cieli, cioè gli
Angeli, la sua iniquitade".
La settima
cosa sarà lo
strignimento del peccatore;
del quale
dice san Gregorio: "Oi, come saranno
strette
le vie a i peccatori là ove il giudice sarà
disopra
adirato,
disotto lo inferno
aperto, da la parte
diritta li
peccati
accusanti, da la manca li
demoni sanza novero
che ti tireranno al tormento,
dentro la
coscienzia
rimordente, di
fuori il
mondo
ardente! Adunque il misero
peccatore
dove
fuggirà? Il
nascondere
fia impossibile,
l'
apparire
fia da non potere
comportare".
L'ottava
cosa
è la sentenzia irrevocabile, a la quale
non si potrà
appellare. Per tre
cagioni non si riceve
appellagioni
ne le sentenzie de' giudici. La prima si
è
per la
eccellenzia del giudice; onde quando il re
dà
la sentenzia nel suo reame, non vi si puote
appellare,
imperò che non v'ha suo maggiore; e così da lo imperadore
e 'l
papa non si puote
appellare. La seconda
è
per lo
manifestamento del peccato, onde, quando la
colpa
è notoria e manifesta, non
è licito l'
appellare da la
pena, s'
ella già non si trasandasse troppo la ragione.
La terza
è per la
cosa che non
è da indugiare, sì come
quando la
cosa non riceve indugio. E per queste tre
ragioni non si potrà da quella sentenzia
appellare. Imperò
che quel giudice
è
eccellentissimo sopra tutti e
travalica tutti gli altri da
eternitade, da
dignitade e da
potenzia. Dal
papa in alcuno modo si puote
appellare
a Dio; ma di Dio a nullo altro si puote
appellare.
Anche
per lo
manifestamento del peccato, tutti quanti i mali
de' peccatori saranno manifesti ad ogni gente. Onde
dice santo
Geronimo: "Verrà quel
die nel quale i
fatti nostri, come in una tavola
dipinti, si mosterranno".
Anche per la
cosa da non indugiare, però che
quello che quivi si
fa non riceve indugio; ma tutte le
cose in un punto e in uno
battere d'occhio vi si
faranno.
cap. 2, Sant'Andrea apostolo
Fue
bello ne la vita, risplendente ne la
dottrina de la
sapienzia,
forte ne la
battaglia e "
antropos" ne la gloria;
la
cui passione scrissero li petri d'
Accaia, cioè
di
Grecia, secondamente che videro
coloro
con gli loro
occhi.
Andrea, e
alquanti altri
discepoli, tre volte
furono
chiamati da Dio. Imprima gli
chiamò il Signore a
farsi
conoscere quando, stando Andrea un
die
con Giovanni
Batista, suo maestro, e anche
con un
altro
discepolo
di san Giovanni medesimo, udìe
dire di
Jesù a
san Giovanni: "Ecco l'
agnello di Dio, ecco colui che
toglie i peccati del
mondo"; e incontanente
con quell'
altro
discepolo venne a vedere
dove stava
Jesù, e stettero
appo lui quello
dì.
Ed allora Andrea menò Piero, suo
fratello, a
Jesù, e poi l'
altro
die si tornarono a pescare.
La seconda volta gli
chiamò a sua
famigliaritade
quando un
die le turbe, grande
calca a
Jesù
essendo
lungo il lago di
Genesaret, lo quale
è
detto mare
di Galilea,
esso
Jesù salìo ne la
nave di Piero e Andrea,
suo
fratello, e, presa grande
moltitudine di pesci,
e
chiamati a loro san Iacopo e san Giovanni ch'
erano
ne l'
altra
nave, seguitarono
allora
Jesù. E poi
anche sì si ritornarono a
casa loro.
La terza volta gli
chiamò ad essere suoi
discepoli,
quando,
andando
elli lungo quel medesimo mare,
disse
a loro: "Venite
dopo me,
farovi essere pescatori d'uomini";
e
ellino lasciarono tutte le
cose e
seguitarollo,
e sempre poi
furono
con lui, e non ritornarono poi più
a
casa loro.
Dopo l'
ascensione del Signore,
divisi gli
apostoli in
diverse provincie, Andrea n'
andò a predicare in Siria,
e
Matteo in Borgogna; e non ritenendo gli uomini
di Borgogna la predicazione di
Matteo,
cavarogli gli
occhi e
legari il misero in
carcere e, dopo pochi
dì,
ordinarono d'
ucciderlo.
Apparve
infrattanto l'
angelo di
Dio a santo Andrea e
comandolli ch'
andasse a san
Matteo
in Borgogna. E
dicendo Andrea che non sapeva la via,
comandolli l'
angelo ch'
andasse a la riva del mare
ed
entrasse ne la prima
nave che trovasse. Quelli,
adempiendo
il
comandamento, a guida de l'
angelo venne a la
detta
cittade là dov'
era santo
Matteo,
abbiendo il vento
prosperevole. E trovando
aperta la
carcere, vegnendo
lui, san
Matteo pianse
dirottamente e
fece orazione a
Dio. E Dio rendeo gli occhi a san
Matteo; il quale
alluminato
si partìo quindi e venne in Antioccia; e Andrea
rimase in Borgogna. E sappiendo
coloro sì come
Matteo
era scampato,
furonne molto adirati, sì che
presoro
Andrea e
legarongli le mani
e' piedi e,
così legato,
lo
straziarono per la piazza; e spargendosi il sangue
suo, pregò
Domenedio per loro e
convertilli a Cristo per
la sua orazione.
Ma questo miracolo non
pare
degno di
fede, però che
in sì grande
Vangelista non si
dee porre
bassanza veruna,
sì com'
elli non potesse
accattare per sé quello
che santo Andrea poteo così
agevolmente; ma non
fue per non potere, ma
fue però che la persona non
prega così
agevolemente per sé come per
altrui, in
cotale
articolo.
Un nobile giovane contra volere del padre e de
la madre
accostandosi a lo
apostolo, il padre e la madre
missero
fuoco ne la
casa là ove questo giovane
insieme
con lo
apostolo
abitava. E
crescendo la
fiamma
già molto in
alto, il garzone tolse una
ampolla d'
acqua
e
versolla in su la
fiamma, e incontanente il
fuoco si
spense. E
dicendo
coloro: "Il
figliuolo nostro
è
diventato
incantatore", e saliendo
eglino su per la scala,
furono in tal modo
accecati da Dio che, in veruno modo,
potevano vedere la scala. Allora gridò uno, e
disse:
"Perché di stolta
fatica vi
consumate?
certo Iddio
combatte per loro, e voi non ve ne
accorgete.
Rimanetevene,
acciò che l'
ira di Dio già non incrudelisca
contro a voi". E molti, veggendo allora questo miracolo,
credettoro in Dio, e 'l padre e la madre di
costui
poi dopo
cinquanta
dì si moriro, e
amendue
furono soppelliti
in uno
avello.
Una
femmina, moglie d'un micidiale, non potendo
partorire,
disse a una sua
sirocchia: "Va' e
priega
per me la nostra
dea
Diana". A la quale
pregato rispuose
il
diavolo, e
disse: "Perché mi
chiami tu,
con
ciò sia
cosa ch'io non ti
posso
aiutare la tua
sirocchia?".
Questa se ne venne a l'
apostolo, e
menollo
a la
sirocchia che parìa.
Disse a lei l'
apostolo:
"A grande ragione hai questo male, imperò che male
ti maritasti,
maliziosamente
concepesti, e
chiamasti in
aiuto le
dimonia; ma tuttavia pentiti, e
credi in Cristo,
e gitta via il parto che
farai". La quale,
credendo e
stipandosi, gittò
fuori, e
cessò il
dolore.
Uno vecchio ch'
avea nome
Niccolaio,
andòe a l'
apostolo
e
disse: "
Ecco che già
settanta
anni sono
scorsi ne la vita mia, nel qual tempo sempre ho servito
a la lussuria, e alcuna volta ho tolto il Vangelo
di san
Matteo, pregando Iddio che oggimai mi
donasse
continenza; ma io sono sì inviluppato in questo peccato
e
allettato da la
mala
concupiscenzia, che incontanente
ritorno a le usate opere. E una volta intervenne che,
non
ricordandomi io del Vangelo lo quale io portava
sopra, infiammato di
concupiscenzia
andai al luogo de
le rie
femmine
con
esso; e incontanente mi
disse la
meritrice: "
Esci
fuori, vecchio, imperò che l'
angelo
di Dio
è teco; non mi toccare, né sia ardito di venire
qua: io veggio sopra te maraviglie". E spaventato io
a le parole de la meritrice,
ricordommi ch'io
avea meco
il Vangelo.
Priegoti adunque, santo di Dio, che tu
prieghi
per la mia salute".
Udendo questo l'
apostolo
cominciò a piangere, e da
l'ora de la terza infino a la nona stette in orazione;
e levandosene non volle mangiare, anzi
disse: "Non
mangerò, né
berrò infino a tanto ch'io non sappia se
'l Signore mio ha
avuto misericordia di questo vecchio".
E
con ciò
fosse
cosa che
digiunasse
cinque
dì, venne una
boce a Andrea, e
disse: "Andrea, tu hai
accattato
grazia al vecchio; ma come tu t'hai
afflitto per
digiuni,
così egli s'
affligga
con
digiuni, acciò che sia
salvo". E così
fece che
sei mesi
digiunò in pane e in
acqua e poscia, ripieno di
buone opere, si
riposòe in
pace. Venne
ancora la
boce per l'
angelo, e
disse: "Per
la tua orazione,
Niccolaio, lo quale io
aveva perduto,
sì l'ho
racquistato".
Uno giovane
cristiano segretamente
disse a santo
Andrea: "La mia madre veggendomi
bello m'ha richiesto
d'operazione non licita; a la quale io non
consentendo per veruno modo,
andossene
ella al giudice
in me
ritorcere il peccato di
cotanta
inquitade.
Priega
dunque Iddio per me, acciò ch'io non muoia
di tanta
inquitade ingiustamente; imperò ch'io, richiesto
a la
Corte, al postutto
tacerabbo, volendo
anzi
perdere la vita che
infamare la mia madre così sozzamente".
Il giovane
fue richiesto a la
Corte, e santo Andrea
andò
con lui. La madre
accusa
costantemente il
figliuolo
com'elli la volle
corrompere.
Domandato il giovane per
più volte dal giudice se ciò
fosse vero: "In verun
modo" rispuose. Allora Andrea
disse a la madre: "O
crudelissima sopra tutte le
femmine, che per tua lussuria
vuogli che 'l tuo unico
figliuolo perisca! "Allora
quella
disse al giudice: "Messere, il mio
figliolo s'
accostò
a questo uomo da poi che questa
mala operazione
giammai
fare non poteo secondamente com'elli volle".
Allora il giudice
adirato
comandò che 'l giovane
fosse
messo in uno
sacco
impeciato e
imbitumato, e
fosse
gittato così nel
fiume; e
comandòe che Andrea
fosse
riserbato in
carcere infino a tanto ch'
e' pensasse che
morte gli
dovesse
fare patire.
Ma, orando l'
apostolo,
fue
fatto un grande terremuoto,
il quale
ispaventò ogni uomo, e
fecegli
cadere
a terra; e la
femmina percosse de la saetta
folgore e,
inarsicciata,
cadde
morta, sì che tutti gli altri pregarono
l'
apostolo che non perissono. Quelli pregò Iddio per
loro, e tutti questi
pericoli
cessarono; e
credette in Dio
il giudice, e tutti quelli di
casa sua.
Essendo l'
Apostolo ne la
città di Nocea,
dissero
a lui i
cittadini che
fuor de la
cittade, lungo
la via, s'
avea
sette
demoni, i quali uccidevano tutti
gli uomini che vi passavano. I quali
dimoni, per
comandamento
de lo
apostolo, vennero
dinanzi a l'
apostolo
in
figura di
cani. E l'
apostolo
comandò loro ch'
andassero
in luogo là ove mai a veruno non potessoro
nuocere. E quelli incontanente si partirono.
Coloro, veduto
questo,
credettoro, e ricevettoro la
fede di Cristo.
Vegnendo l'
apostolo a la porta d'un'
altra
cittade, portavasi
di fuori un giovane morto.
Dimandando l'
apostolo
che li
fosse intervenuto,
fugli risposto che
sette
cani vennero e ucciserlo nel letto. E lagrimando l'
apostolo
disse: "Sappo, Signore, che questi
furono i
cani
ch'io
cacciai de la
città di
Nicea". E
disse al padre
del morto: "Che mi
darai s'io lo
risucitarò il tuo
figliuolo? "E 'l padre
disse: "Nulla
cosa
posseggio
più
cara che lui, lui ti
darò". E
fatta l'orazione, il
risucitò; e
aggiunsesi a l'
apostolo.
Vegnendo
XL uomini per
nave a l'
apostolo per
ricevere da lui
ammaestramento de la
fede, venne il
diavolo e turbò il mare sì che tutti
affogarono.
Essendo
i loro
corpi
andati a la riva del mare,
furono portati
dinanzi a l'
apostolo e incontanente
furono
resucitati
da lui; i quali gli
narrarono ciò che a loro
era intervenuto.
Onde in uno inno di santo Andrea si
canta:
"Quaranta giovani,
affogati per le
tempeste del mare,
rendeo a gli usi de la vita".
Stando santo Andrea in
Accaia, tutta la
riempiette
di
chiese, e il popolo
convertìo a la
fede di Cristo. La
moglie di
Egea,
preconsolo,
ammaestrò ne la fede
e
battezzolla. Udendo ciò
Egea,
andossene ne la
città
di
Patras a
costrignere li
cristiani di
fare sacrificio a
l'idole. Al quale si
fece incontro santo Andrea, e
disse:
"
Convenia che tu, che
se' giudice de li uomini,
conoscessi
il giudice tuo del
cielo, e
conoscendo il
coltivassi,
e
coltivando lui, il quale
è vero Iddio, levassi
l'
animo tuo da quelli che non sono
Dei". Al quale
disse
Egea: "Tu
se' Andrea il quale
distruggi i templi de li
dei, e predichi la malvagia
setta, la quale i principi
romani
comandaro che
fosse sterminata". Al quale rispose
Andrea: "I principi romani non hanno ancora
conosciuta
la veritade, come il
figliuolo di Dio, vegnendo,
ammaestròe come l'idoli
erano
dimoni e come, per
adoralli,
è offeso Iddio, e come, offeso, si parte da quelli
che l'offendono, e come, spartito da loro, non li
esaudisce
e, non
esaudendo, siano presi dal
diavolo, e,
presi, siano tanto trastullati, mentre che
gnudi
escono
de le
corpora non
portandone seco altro che peccato".
Al quale
disse
Egea: "Queste sono
cose vane a predicare
il vostro
Jesù, il quale
fu
confitto ne la
croce".
Rispuose Andrea: "Per lo nostro ristoramento, non per
sua
colpa, ricevette elli
volontierosamente il tormento de
la
croce". Al quale
disse
Egea: "
Con ciò sia
cosa che
fosse tradito dal suo
discepolo e tenuto preso da li giuderi
e
crocifisso da li
cavalieri de' Romani, come
di' tu
che spontaneamente ricevette il tormento de la
croce?"
Allora Andrea
cominciò a mostrare, per
cinque
ragioni,
come Cristo ricevette passione di sua libera
volontade.
La prima si è in ciò che la sua passione
previde
dinanzi,
e
disse a li
discepoli com'ella
dovea essere, per
queste parole: "
Ecco che noi saliamo in Gerusalem,
e 'l
figliuolo de la Vergine sarà
dato a i prencipi de' sacerdoti
e
condannerannolo a
morte". La seconda si è
in ciò che incontro a Piero, il quale lo volea ritrattare
da la passione, s'indegnòe
duramente
dicendo: "Va'
dopo me, Satanas, tu
se'
scandalo a me, imperò che tu
non sai quelle
cose che sono di Dio". La terza è in ciò
che si mostrò d'
avere podestà di patire
morte e di
risucitare,
quando
disse: "Io
abbo podestà di porre l'
anima
mia e di
ripigliarla". La quarta è in ciò ch'
e'
conobbe
dinanzi il suo traditore, quando gli porse lo pane intinto, e
però
nol volse vietare. La quinta è ciò che l'
aspettòe in
quel luogo là ove
e' sapeva che
doveva venire. E a tutte
queste
cose
affermòe Andrea sé essere stato presente.
Ancora
disse Andrea che grandissimo è il misterio
de la Croce. Al quale
disse
Egea: Non si può
dire misterio,
ma tormento; ma tuttavia, se tu a i
detti miei
non
assenti,
farotti provare quello
cotale misterio".
Al quale rispuose Andrea: "S'io mi
spaventassi del
tormento de la
croce, non
predicherei la gloria de la
croce; e voglio che tu oda il misterio de la
croce se
per la ventura tu
credessi e
fossi salvo".
Allora gli
cominciò a predicare il misterio de la
croce;
e come
fosse
convenevole e ragionevole, gli mostrò per
cinque
ragioni. La prima si è che 'l primo uomo, per
lo legno,
ci
apportò la
morte, travalicando il
comandamento
di Dio;
convonevole
fue adunque che 'l secondo
uomo, per lo legno,
scacciasse la
morte,
sostegnendo pena.
La seconda
fue imperòe che de la terra non
maculata
era stato
fatto il
travalicatore;
convonevole
fu che de
la Vergine non
maculata nascesse il
racconciatore. La
terza è imperò che Adamo, al
cibo vietato non
astegnendosi,
stese le mani;
convonevole
fue adunque che 'l secondo
Adamo le mani sanza
macula
stendesse a la
Croce.
La quarta è imperò che Adamo
assaggiando soavemente
il
cibo
divietato,
convonevole
cosa
fue, acciò che 'l
contrario si
cacciasse per lo suo
contrario, che Cristo
fosse pasciuto d'
esca di
fiele. La quinta è che, acciò
ch'elli
desse a noi la sua
immortalitade,
convonevole
fu che prendesse in sé la nostra mortalitade. Se Dio
non
fosse
fatto mortale, non
diventerebbe l'uomo immortale.
Allora parlò
Egea e
disse: "Queste
cose vane
narrale
a i tuoi, e
acconsenti a me, e
adora li Iddei onnipotenti".
Al quale rispuose Andrea: "A lo onnipotente Iddio
offero io
cotidianamente uno
agnello sanza
macula, lo
quale, poi che da tutto il popolo è
mangiato, vivo in
eterno
persevera".
Dimandando
Egea come questo
fosse,
disse Andrea: "Se tu il vuogli sapere, piglia
forma di
discepolo". Al quale rispuose
Egea: "Io
apprenderò
queste
cose da te
con tormenti". E, adirato,
comandò
che
fosse
rinchiuso in
carcere.
E la mattina vegnente venne
Egea, e sedea in su la
sedia sua, e mandò per Andrea
costrignendolo di
fare sacrificio
a l'idole. E
disse
Egea: "Se tu non mi
acconsentirai,
io ti
farò
conficcare in quella
croce che tu hai
tanto lodata". E
minacciandolo di molti tormenti,
anche
disse Andrea: "Ciò che ti
pare maggiore infra ' tormenti,
pensalti; tanto sarò io più grazioso al mio re, quanto per
lo suo
amore io
permarrò più
costante
nei tormenti".
E minacciando
Egea di molte
cose,
disse Andrea:
"Io mi
doglio del tuo
perdimento, non mi
conturbo de la
mia passione. Ogne pena o ella è leggiere e puossi patire,
o ella è grave e tosto
caccia l'
anima del
corpo;
la mia pena sarà un
die o
due, o
forse tre; ma la tua
pena è la tua
morte, e, per mille migliaia d'
anni non potrà
venire a
fine. Adunque se pena veruna è da temere, si
è da temere quella che non ha
fine; se da temere sono
i
dolori, questi sono da
spaventarsene ch'
essi
cominciano.
Adunque ti pensa ciò che maggiore ti
pare ne'
tormenti.
Allora
Egea
comandò che Andrea
fosse
battuto da
XXI uomini e, così
battuto, gli
fece legare le mani
e'
piedi in su la
croce, acciò che per più tempo
avesse
tormento, penando a morire. E quand'elli
era
menato
a la
croce, trasse làe la
moltitudine del popolo
dicendo
così: "Il sangue innocente è
dannato sanza
cagione".
L'
apostolo li pregò che non
impedissono il suo martirio.
Veggendo Andrea la
croce da lunga, sì la salutò,
e
disse: "Dio ti salvi, Croce, la quale
se'
consecrata
nel
corpo di Cristo e da le sue
membra, sì come da
margherite
se' ornata. Innanzi che 'l Signore
fosse posto
in te,
avevi in te
spaventamento e paura terrena;
ma
aguale hai in te
amore
celestiale, e per grande
desiderio
se' ricevuta. Adunque sicuro e
allegro vegno a
te, acciò che tu
chetamente riceva me,
discepolo
di colui il quale pendette in te, Cristo, maestro
mio; imperò ch'io
fui sempre
amatore di te e sempre
desiderai d'
abbracciare te. O
buona Croce, la quale ricevesti
onore e
bellezza de le
membra del Signore, lungamente
desiderata e
sollicitamente
amata,
continuamente
cercata e già a l'
animo
desideroso
apparecchiata,
toglimi da gli uomini, e rendimi a Cristo, maestro mio,
sì che elli mi riceva per te, il quale mi ricomperò per
te". E
dicendo queste
cose si spogliò, e
diede le vestimenta
a gli giustizieri, i quali, sì come
era loro
comandato,
il
sospesero in su la
croce, ne la quale, vivendo
otto
dì, predicava a
XX migliaia d'uomini
che 'ntorno gli stavano.
Allora il popolo minacciando
Egea, e sì gli
diceano
che non
dovea
sostenere che l'uomo santo, mansueto,
e puro,
sostenesse queste
cose; e
volevallo sciogliere.
Veggendo l'
apostolo
Egea, sì li
disse: "Perché se tu
venuto qua,
Egea? se tu vieni per penitenzia, troverralla;
se tu vieni per
levarmici, sappi ch'io son vivo, non scenderò
de la
croce. Io veggo già il re mio, che m'
aspetta".
E quando
eglino il vollero sciogliere,
nol poteano
in veruno modo toccare, però che le
braccia loro
stupidieno
immantanente. E veggendo Andrea che il popolo
il volea
sporre de la
croce,
fece questa orazione ne la
croce, secondamente che
dice santo Agostino nel
libro
de la Penitenzia: "Non permettere, Signore, me
vivo scendere di quinci, imperò ch'egli è tempo che tu
accomandi il
corpo mio a la terra. Io l'
abbo tanto portato,
e sopra la greggia che mi
raccomandasti ho tanto
vegghiato, e tanto mi sono in esso
affaticato ch'io vorrei
essere liberato da questa obbidienza. Ricordomi quanto
io mi sono
affaticato in
comportare
coloro di che
danno
molto peso in
domare li superbi, in
consolare l'infermi,
in
costrignere
coloro che troppo s'
allegrano. Tu sai, Signore,
quante volte si sono sforzati di ritrarmi de la purità,
de la
contemplazione, e
ingegnatisi di
svegliami dal
sonno del tuo
riposo
dolcissimo, e quante e quante volte
elli mi
domandava
dolere. E però che così lungo
tempo,
benignissimo padre, io hoe
contrastato al
combattente,
e
col tuo
aiuto l'
abbo vinto. A te, giusto
e pietoso guiderdonatore,
adomando che tue
nol mi
raccomandi più; ma io, tenendo il
deposito,
raccomandalo
ad
altrui che 'l guardi tanto ch'elli risuciti, e renderallo,
acciò che d'elli medesimo riceva, allotta,
merito de
la sua
fatica, e me di lui, oggimai, non me ne
dare
più
briga.
Raccomandalo questo mio
corpo a la terra,
sì che oggimai non mi
convenga più vegghiare, ma liberamente
pervenire a te,
fontana d'
allegrezza che mai
non viene meno;
fa me, la quale io
desidero, né, da
quinci innanzi, mi ritraggo o impedimentisca da te".
Insino qui
dice Agostino.
Quando santo Andrea
ebbe
detto queste
cose, venne
un grandissimo
splendore da
cielo e
intorneollo per una
mezza ora, sì che neuno il potea vedere; e, partendosi
il lume, rendette lo spirito a Dio insieme
con quel
lume. E
Massimilla, la moglie di
Egea, si tolse il
corpo
de lo
Apostolo e
seppellillo onorevolmente. E
Egea,
innanzi che tornasse a
casa,
fu preso e
dibattuto dal
dimonio e,
entro la via,
dinanzi a tutta la gente,
cadde
morto.
Dicono alcuni che del sepolcro di santo Andrea
si
esce manna a simiglianza di
farina e olio di soavissimo
odore; ne le quali
cose si
conosce l'
anno vegnente
se
dee essere
abbondanza o no. Imperò che, se n'
esce
poca manna e poco olio, saranno l'
anno vegnente pochi
frutti; e se
abbondevolemente n'
esce, la terra menerà
abbondanza di
frutti. E forse che ciò
fu
anticamente
vero, ma
aguale il
corpo è traslatato in Constantinopoli.
Uno vescovo d'onesta e religiosa vita
avea in
grande reverenza santo Andrea, sopra tutti gli altri
santi; intanto che in ogni sua operazione poneva questo
titolo
dinanzi: "Ad onore di Dio e di messere santo
Andrea".
Abbiendogli invidia il nimico
antico,
con tutta
sua sottilezza si misse ad ingannarlo, e trasformossi in
figura d'una
bellissima
femmina, e venne al palagio
del vescovo
dicendo che si voleva
confessare da lui.
E 'l vescovo
comanda ch'
ella si vada a
confessare dal
suo penitenziere, al quale egli ha
commessa tutta la sua
autoritade. E quella rinunzia, e
dice che a veruno uomo
non
rivelerebbe li secreti de la sua
coscienzia se non al
vescovo. E così,
convinto il vescovo,
comandò ch'ella
andasse a lui. E quella li
disse: "
Priegoti, signor mio,
che tu
abbi misericordia di me. Io, secondo che voi mi
vedete, sono molto
fanciulla del tempo, e dal
cominciamento
de la mia
fantilitade sono
delicatamente nodrita,
e, nata di schiatta di re, sono venuta qua, sola, in
abito
di pellegrina. Il padre mio, re potentissimo, mi volea
maritare ad un grande
barone; al quale io rispuosi che
da
sposarmi a uomo
carnale al tutto m'
era
abbominevole,
però ch'io
aveva perpetualmente
consacrata la mia
verginitade
a Cristo Signore, e però non potea
consentire
in
congiugnimento
carnale.
Finalmente
costretta che mi
convenia o
consentire al suo volere o sostenere
diversi
tormenti, vo
fuggendo
nascostamente, volendo
anzi
andare
per lo
mondo che rompere
fede a Cristo, mio sposo.
Sì che io, udendo la
fama de la vostra sanitade, sotto
l'
alie de la vostra
santitade sono venuta,
sperandomi
di tenere
appo voi luogo di
riposo, sì ch'io possa prendere
secreti silenzi di
contemplagione, e schifare i
pericoli
del
mondo de la vita presente, e
fuggire le turbazioni
del
mondo".
Sì che il vescovo,
mirando in
costei la gentilezza
del
nascimento, la
bellezza del
corpo, e 'l grandissimo
fervore, il piacevole e
bello parlare, con
benigna
voce
rispuose; "Sta sicura,
figliuola, e non
dubitare; imperò
che colui, per lo cui
amore tu hai
sprezzato te
e i tuoi e le tue
cose, così vertudiosamente te ne
renderà, in questa presente vita,
accrescimento di grazia
e, ne l'altra, ti
donerà plenitudine di gloria.
Ed
io sono servo; me e le mie
cose proffero, e
eleggi quale
luogo più ti piace per
abitare; e voglio che ti piaccia
di stare oggi a
desinare con esso meco". E quella
disse: "Non volere, padre, non volere
pregarmi di questo,
acciò che sospeccione neuna non potesse nascere di
questa
cosa e lo
splendore de la vostra
fama non potesse
in alcuno modo
annerire". E il vescovo rispuose:
"Noi saremo più e non saremo soli; laonde non si
potrà veruno scrupolo d'infamia generare".
E vegnendo
ambedue a la mensa, il vescovo e ella
sedettero a dirimpetto l'uno a l'altro, seggendo gli altri
di qua e di là. Ragguarda il vescovo spesse volte in lei,
e non
cessava di guatare la sua
faccia e di maravigliarsi
de la sua
bellezza. E così, mentre che l'occhio in
lei s'
affigge, l'
animo si
fiede e sozza, e, mentre che
non si rimane di sguardare la sua
faccia, l'
antico nemico
trapassa il
cuore suo di
crudeli
fedite. E quando s'
avvide
d'essere guatato, la sua
bellezza
crebbe
maravigliosamente.
Ed
essendo già il vescovo presso al
consentire
di
richiederla d'operazione illicita quando
avesse l'
agio,
venne subitamente allora uno pellegrino a l'uscio e, con
grandi
boci e spesso picchiando,
domanda che gli sia
aperto.
Quegli con molto
bussare e con grandi
boci
diventando
impronto, il vescovo
domandò la
donzella se le
piacesse che quello pellegrino venisse
dentro. E quella
disse: "Siali proposta una grave questione, e se egli
la saprà sciogliere, sia ricevuto; e, se non, sia
cacciato
come uomo grosso, indegno de la presenza del vescovo".
Piacque a tutti il
detto di
costei, e,
domandandosi tra
loro
chi
fosse sofficiente a proporre la quistione e non
trovandosi veruno sofficiente,
disse il vescovo: "Quale
di noi puote essere sofficiente come voi, madonna, la
quale tutti noi
trasandate di sapere e di
bello parlare?
Proponete adunque voi questa questione". Allora
disse
quella: "Sia
domandato il pellegrino qual è il maggiore
miracolo che Dio
facesse mai in piccola
cosa". E
dimandato
di ciò il pellegrino, per lo messaggio rispuose
così: "La
diversitade de le
facce.
Fra tutti gli uomini
che
furono mai dal
cominciamento del
mondo e saranno
insino a la fine, non si possono trovare
due le
facce de'
quali al tutto si somiglino; e in quella così piccola
faccia
ha
Domenedio posti tutti e
cinque li sensi del
corpo".
Udendo
coloro la risponsione di
costui e maravigliandosi
di ciò,
dissero: "Verace e ottima è l'
assoluzione
di questa quistione". Allora rispuose la
donna: "Siagli
proposta la seconda quistione più
forte che la prima;
ne la quale potremo meglio
conoscere la sua sapienzia.
Sia
domandato in quale luogo la terra è
alta sopra tutti i
cieli". E
domandato di ciò, il pellegrino sì rispuose: "Nel
cielo
empireo, là ove risiede il
corpo di Cristo, lo quale,
avvegna che sia di terra, più è
alto ch'ogni
cielo".
Rapportata il messo la risposta del pellegrino, e
appruovano
tutti il
detto suo e grandemente lodano la sua
sapienzia. Allora
disse anche la
donna: "Siagli
fatta la
terza gravissima quistione, e nascosta e malagevole e
oscura a solverla; e così,
ancora la terza volta, si provi
la sua sapienzia, e
magnificamente sia ricevuto a la
mensa del vescovo. Sia
domandato quanto
spazio sia da
la terra infino al
cielo". E
domandato di ciò, il pellegrino
risponde in questo modo: "Va' a colui che ti manda a
me, e di questa
cosa
domanda lui
diligentemente, ch'egli
il sa meglio di me; e però egli te ne risponderà meglio,
però ch'egli misurò quello
spazio quando di
cielo
cadde
in
abisso; ma io non
caddi di
cielo, né non misurai
quello
spazio
caggendo. Egli non è
femmina, anzi è
diavolo che s'è posto in
figura di
femmina".
Udendo ciò il messo
fu spaventato sopra misura, e
quelle
cose che udìo raccontò dinanzi a tutti, e, maravigliandosi
tutti e
spaventandosi, il
diavolo sparve in
mezzo di loro. E il vescovo, ritornando a se medesimo,
e del peccato ch'
avea
commesso
domandava perdonanza
con grandi lamenti, e rimandò il messo a
fare menare
dentro il pellegrino; ma elli non
fu più ritrovato.
Allora il vescovo ragunò il popolo, e
apertamente
spianòe tutte queste
cose per ordine, e
comandòe a
tutti che stessero in orazione e in
digiuni, acciò che
Dio
degnasse di rivelare ad alcuno
chi
fosse
essuto il
pellegrino, lo quale l'
avea
campato di tanto
pericolo. E
fue rivelato quella notte al vescovo che quello pellegrino
era stato santo Andrea, il quale per lui liberare
si puose in
abito di pellegrino. E così il vescovo
ebbe
da indi innanzi maggiore
divozione in santo Andrea.
Con ciò
fosse
cosa ch'uno signore preposto d'una
città
avesse tolto un
campo a la
chiesa di santo Andrea,
e per questa
cagione orando il vescovo, il
detto
preposto
fosse preso da grande
febbre,
fu
pregato il
vescovo che
facesse orazione a Dio che 'l guarisse, e
elli
promettea di rendere il
campo. Sì che, orando il
vescovo, quelli ricevette sanitade, ma il
campo
fu ritolto
e
risurpato. Allora il vescovo si
diede ad orazione e
tutte le lampane de la
chiesa ruppe, così
dicendo: "Qui
non si
accenderà mai lume infino a tanto che Andrea
non si
vendicherà del suo
avversario e la
chiesa riabbia
quello che l'è tolto".
Ed
eccoti il preposto
rinfermato di
febbri gravissime,
e mandò al vescovo che orasse per lui e
renderebbeli
il
campo suo, e anche ne gli
accrescerebbe un altro
simigliante. Al quale il vescovo rispuose: "Io
feci a
l'altra volta orazione a Dio per te, e
fui
esaudito dal
Signore". Allora il preposto si
fece portare a lui e
fecelo
constrignere ch'
entrasse ne la
chiesa ad orare.
Ma
entrando il vescovo ne la
chiesa, il preposto morìo
di subito, e 'l
campo
fu renduto a la
chiesa.
cap. 3, S. Niccolò
La sua leggenda scrissero li preti d'una
città di
Grecia, la quale, secondo che
dice
Isidoro, è
chiamata
Argos, onde i greci si
chiamano
argolici. E 'n altro
luogo si legge che
Metodio patriarca la scrisse in greco,
e poscia la traslatò in
latino Giovanni
diacono, e più
cose v'
aggiunse.
Niccolaio
fue
cittadino d'una
città la quale si
chiamava
Patera, e 'l suo
nascimento trasse da ricchi e
da sante persone, come
fu il suo padre e la sua madre;
ed
ebbe nome il padre suo
Epifanio, e la madre
ebbe
nome
Giovanna. I quali,
abbiendo ingenerato nel
fiore
de la loro
gioventudine questo
figliuolo
Niccolaio, da
indi innanzi vissono in
continenza e
castitade,
faccendo
vita onesta.
Questo
Niccolaio, il primo
die che
fue
bagnato, stette
per se medesimo ritto nel
bacino, e
due
dì de la settimana,
cioè il
mercoledì e 'l venerdì, solamente una
volta per
die prendea il latte. E,
fatto giovane, schifava
le
dissoluzioni e le vanità de gli altri giovani, e usava
la
chiesa
maggiormente, e quivi, ciò che potea intendere
de la Scrittura santa, tutto il si riponea ne l'
arca
de la
mente. Sì che, morto il suo padre e la sua madre,
cominciò questi a pensare in che maniera potesse tante
ricchezze
dispensare, non a lauda umana, ma a gloria
di Dio.
In quel temporale
era un suo vicino,
assai gentile
uomo, pervenuto a grandissima
povertà, intanto che
tre sue
figliuole vergini
ordinò di mettere al peccato,
acciò che di quella vituperosa
mercatantia potesse nutricare
sé e le sue
figliuole.
Per la qual
cosa sentendo il santo di Dio
Niccolaio così
scellerata intenzione,
vennegliene sopra un grande spavento,
e, mosso da zelo di pietate, tolse una
massa
d'oro e così, legata in uno panno, di notte tempo
venne e gittolla segretamente per la
finestra di questo
gentile uomo, e partissi di
celato.
La mattina, quando l'uomo si levòe, trovata questa
massa de l'oro, rendette grazia a Dio, e tolselo e
maritonne
la prima di queste tre
figliuole.
E non stette grande tempo che
Niccolaio simigliante
operazione
fece inverso il
detto uomo;
ed elli,
trovando così la seconda
massa de l'oro, gittossi a
fare grandissima laude a
Domenedio e
maritonne la
seconda
figliuola. E puosesi in
cuore di vegghiare
sollicitamente ogni notte per sapere
chi
fosse colui,
che così
misericordievolemente sovvenìa a la sua povertade.
E da indi a pochi
dì
Niccolaio tolse una
massa d'oro
raddoppiata da l'altre e gittolla in
casa di quello uomo.
Ed elli al suono di quella si svegliò e
corse
dietro a
Niccolaio il quale
fuggìa tostamente, e
cominciolli a parlare:
"
Rattienti un poco, non ti
nascondere da me!"
E così,
correndo più
forte,
cognobbe ch'egli
era
Niccolaio.
Sì che gli si gittò a' piedi incontanente in terra,
e volevali
basciare i piedi.
Niccolaio non
sostenne ciò,
ma
fecesi promettere a colui che mai non
manifesterebbe
a uomo vivente, mentre che
fosse vivo in questo
mondo.
Dopo questo intervenne che, morto il vescovo de
la
cittade di
Mirea, ragunaronsi tutti i vescovi d'intorno
per provvedere di vescovo a quella terra.
Era tra loro un
vescovo di grande
autorità, sì che, cui elli
avesse
eletto,
la sentenzia di tutti gli altri pendea in lui. E con ciò
fosse
cosa che questi
ammonisse tutti gli altri stessero
in
digiuni e in orazioni, in quella notte udì una
boce
dicente a sé che, a l'ora del mattutino, stesse a le porti
de la
chiesa e
ponessevi
cura, e, quelli che vedesse
venire imprima a la
chiesa, il quale ha nome
Niccolaio,
lui
eleggesse e
consegrasse vescovo. E revelando questo
a gli altri vescovi
ammonigli, che stessero tutti in orazione,
e elli starebbe a guardare a le porti de la
chiesa.
Maravigliosa
cosa! ne l'ora del
mattotino, innanzi a
tutti, sì come mandato da
Domenedio, venìa
Niccolaio a
la
chiesa, com'
era sua usanza di venire. Il vescovo che
stava a la guardia a le reggi de la
chiesa, sì 'l prese
e
domandollo qual
era il nome suo. E quelli, sì come
s'era usato, pieno di
colombina semplicitade, col
capo
inclinato,
disse: "
Niccolaio, servo de la vostra
santitade".
Allora il vescovo lo menòe
dentro ne la
chiesa e
mostrollo a gli altri vescovi; e così tutti insieme,
avvegna
che molto
contradicesse, sì 'l puosero in su la
sedia vescovile. E
Niccolaio, così sublimato, tutta quella
umilitade ch'
avea da prima, e tutta quella gravezza
di
costumi osservava in tutte
cose, vegghiando molto
in orazioni,
macerando il proprio
corpo,
fuggendo la
dimestichezza de le
femmine. Era umile a ricevere ogni
persona e vertudioso parladore.
Dicesi che santo
Niccolaio
fue nel
concilio di
Nicea,
secondamente che si truova in una
Cronica. Uno
die
alquanti marinari
pericolavano nel mare;
feciono questa
orazione con
lagrime: "
Niccolaio, servo di Dio, se
vere
sono le
cose le quali udiamo di te,
piacciati che noi le
proviamo ora in noi medesimi". Incontanente
apparve
uno in sua
similitudine e
disse: "
Ecco, io sono presente!
certa
cosa è che voi mi
chiamaste". E
cominciò
ad
atarli ne l'
antenne e ne'
canapi e ne l'altre
cose.
E incontanente
cessò la
tempesta.
E poi che
furono liberati da la
tempesta, venendo
a la sua
chiesa, sanza essere loro mostrato,
cognobbero
santo
Niccolaio, lo quale giammai più non
avevano veduto.
Allora renderono grazie a Dio e a lui de la loro
liberazione. Santo
Niccolaio gli
ammaestrò che la
riconoscessero
da la misericordia di Dio e non
da' suoi
meriti.
Avvenne un tempo una grande
carestia e
fame,
la quale percosse tutta la provincia di santo
Niccolaio
in tal modo, che
a ogni persona
erano venute meno le
cose da
vivere. Sì che, udendo santo
Niccolaio ch'al
porto de la sua
cittade
erano
arrivate
navi
cariche di
grano, vassene là incontanente, e
priega i marinai ch'
almeno
in
cento moggia di grano per
catuna
nave piacesse
loro di sovvenire a la sua provincia, la quale moriva
di
fame. E gli marinari gli rispuosero: "Non saremo
arditi, padre, di
farlo, imperò che noi lo ricevemmo
in Alessandria; il grano è tutto misurato, e a quella
medesima misura il
ci
conviene porre ne li granai de
lo imperadore". E 'l santo
disse: "
Fate
aguale quello
ch'io vi
dico;
ed io vi
prometto, in virtù di Dio, che voi
non troverete scemato il grano
appo l'
esattore del re".
Coloro
fecero come san
Niccolaio
avea
detto loro, e
ritrovando
appo gli ufficiali de lo imperadore il grano
interamente a quella misura ch'
ellino
avea
no ricevuta,
manifestarno il miracolo, e lodano
Domenedio nel suo
servo
Niccolaio.
E santo
Niccolaio
distribuìe lo
detto grano secondo
il
bisogno di
catuno, sì
saviamente come
maravigliosamente,
e non tanto per
vivere ma per
seminare
bastò
loro
due
anni
abbondevolmente.
Con ciò
fosse
cosa che quella provincia infra
l'altre più
adorasse gl'idoli, il popolo
adoravasi
ferventemente
l'idolo de la
pessima
Diana, che, infino al
tempo di santo
Niccolaio, gli uomini rozzi servivano a lei
di religione grande ma
dannevole e sotto uno
albore,
consecrato
a quello idolo,
facevano
certi sacrifici al modo de'
pagani. I quali modi e sacrificii san
Niccolaio spense
di tutta la provincia, e quello
albore
fece tagliare.
De la qualcosa adirato
contro di lui, l'
antico nemico
confettò uno olio che
arde ne l'
acqua e ne le pietre,
contro
a natura, il quale olio ha nome
Mediacon, e,
trasfigurandosi
in
forma d'una religiosa
femmina,
fecesi
incontro a
certi che
andavano per
nave a san
Niccolaio,
e parlò loro in questa maniera: "
Deh! ch'io vorrei
con voi insieme venire a l'uomo di Dio santo
Niccolaio;
ma io non
posso.
Priegovi adunque che portiate questo
olio a la sua
chiesa, e
ugnatene a mio nome le pareti
della
chiesa". E,
detto ciò, incontanente
sparette.
Ed
ecco che veggiono venire un'altra navicella
carica
di persone, tra ' quali n'
avea una somigliante a san
Niccolaio,
il quale
disse così a loro: "Oimè, or che vi
disse
ora quella
femmina, e che vi recò?" E
coloro raccontarono
ogni
cosa per ordine. A i quali questi rispuose, e
disse: "Quella
fue la svergognata
Diana, e, acciò che
voi
conosciate com'io
dico la verità, gittate
cotesto olio
in mare". E
coloro gittarono l'olio in mare, e grandissimo
fuoco vi s'
accese
entro, e
vedealo
ardere
contro
a natura ne l'
acqua per grande ora. E vegnendo loro
al servo di Dio, sì li
dicevano: "
Veramente tu
se'
quelli che
ci
apparisti nel mare, e
diliberastici da li
agguati del
diavolo.
In quel tempo
erasi ribellata una gente da lo imperio
di Roma,
contro a la qual gente lo 'mperadore mandò
tre
baroni: Nepoziano,
Urso e
Apilione; i quali,
avendo
il vento
contrario,
arrivarono al porto
Adriatico. E santo
Niccolaio gl'invitò che
dovessero venire a mangiare con
lui, volendo ch'elli
constrignessero la gente loro da le
forze e da le
rapine, le quali
facevano ne le
fiere de'
mercati.
Infrattanto,
essendo santo
Niccolaio in altre parti,
il
consolo che signoreggiava in una terra,
corrotto per
pecunia,
comandò che a
tre
cavalieri, innocenti e sanza
colpa,
fossero tagliate le teste. La qualcosa san
Niccolaio
udendo, pregò que' tre prencipi ch'
andassero con
lui insino là; e, vegnendo a quel luogo,
andarono là
dove
dovevano essere
smozzicati, e trovarono che già
erano inchinati con gli occhi
fasciati, e 'l giustiziere
avea già levato il
colpo de la spada per
fedire.
Allora
Niccolaio, acceso di
buono
zelo,
arditamente si
gittò
addosso al giustiziere, e levolli la spada di mano,
e ritolse
coloro che non
erano
colpevoli, e
menonnegli seco
sani e salvi. E incontanente se n'
andò san
Niccolaio
a la
casa del
consolo,
ed
entrò
dentro, stando le porte
serrate. E 'l
consolo gli si
fece incontro e
salutollo; la
qual salute san
Niccolaio
sprezzando, sì li
disse: "O nimico
di Dio, trapassatore de la legge, come
fosti
ardito,
cognoscendo in te tanta iniquitade, di guardare ne la
mia
faccia?" E quando l'
ebbe
duramente ripreso, a
priego di que' tre principi, lo ricevette a penitenzia. E
questi
messi de lo 'mperadore, ricevuta la
benedizione
dal santo,
andarono in loro
viaggio, e sanza spargimento
di sangue
riconquistarono i nemici, e
sottomiserli a lo
'mperio di Roma. Laonde lo imperadore di Roma gli
ricevette
magnificamente a la loro
reddita.
Sì che alcuni portarono invidia al grazioso stato che
costoro
avevano ne la
corte de lo 'mperadore. Indussero,
tra per
prieghi e per prezzo, il prefetto de lo 'mperatore
che
dovesse
accusare
costoro
appo lo 'mperadore
di
tradimento. E mettendo ciò in orecchie a lo imperadore
il prefetto, lo imperadore, ripieno di grande
furore,
sì li
fece incarcerare, e, sanza veruna
disaminazione,
comandò che in quella notte
fossero morti. Quando
costoro
ebbero
spiato il
fatto da le guardie, sì si stracciarono
tutti i panni indosso, e
cominciarono a piagnere
dirottamente. Allora
uno di
coloro, e questi
fu Nepoziano,
si ricordò come san
Niccolaio
aveva liberati quelli
tre
cavalieri innocenti, e
confortòe i
compagni che si
raccomandassero a lui
divotamente,
adomandando il
suo
aiuto.
Orando costoro, in quella notte
apparve
Niccolaio a
Costanzio imperadore, e
disse: "Perché hai
presi così
ingiustamente quelli principi e, sanza
colpa, gli hai
condannati ad essere morti? Levati incontanente, e
comanda
tosto che sieno lasciati, e se non, io
priego Iddio
che ti
susciti
battaglia ne la quale tu
caggi, e
diventi
cibo a le
bestie". Al quale rispuose lo 'mperadore:
"Chi
se' tu, che
se'
intrato
stanotte nel mio palagio
e
se'
ardito di
dire
cotali parole?" Rispuose
Niccolaio:
"Io sono
Niccolaio, vescovo di
Mirea". E per somigliante
visione spaventò il prefetto, e
disse: "Perduto de
la
mente e del senno, perché
consentisti ne la
morte
di
coloro che non hanno
colpa? Or va' tosto, e studiati
di
camparli, e se non, il
corpo tuo menerà vermini, e la
casa tua tostamente fia
distrutta". E il prefetto rispuose:
"Chi
se' tu, che
fai tale minacce?" E quelli rispuose:
"Sappi ch'i' sono
Niccolaio, vescovo di
Mirea".
Svegliati
amendue,
disse insieme l'uno a l'altro la
visione; e,
incontamente, mandano per quelli pregioni.
A' quali
disse lo 'mperadore: "Che
arti d'incantesimi
fate voi, che tutta notte
ci schernite con sogni?" E
quelli rispuosero che
incantatori non
erano, né non
aveano
meritato la sentenzia de la
morte. Allora rispuose
lo 'mperadore: "
Conoscete voi uno uomo che ha nome
Niccolaio? "Udendo
coloro ricordare questo nome,
levarono le mani a
cielo e pregarono Iddio che per li
meriti di santo
Niccolaio gli liberasse di quello
pericolo.
E udendo lo 'mperadore da
coloro de la vita e
de' miracoli del santo,
disse a loro: "Ora
andate, e
rendete grazie a Dio, che v'ha per li suoi
meriti liberati,
e portategli de le nostre gioie,
pregandolo che da
quinci innanzi non
ci minacci più, ma
faccia orazione
a Dio per me e per lo mio regname". Da indi a pochi
dì i
detti principi vennero al servo di Dio e incontanente
si gittarono a' piedi suoi, così
dicendo: "
Veramente
se' servo di Dio, vero
coltivatore e
amatore di Cristo.
E poi che
ebbero
detto ogni
cosa, come era stata inverso
di loro, egli levò le mani a
cielo rendendo grandissime
laude a messere
Domenedio e,
bene
ammaestrati, i
detti
principi rimandò a le loro magioni.
Quando il Signore lo volle
chiamare a sé, sì 'l
pregò che li
dovesse mandare li suoi
angeli. E inchinato
il
capo vidde venire a sé gli
angeli, e
detto ch'
ebbe
il salmo:
"In te domine speravi" insino
"in manus
tuas, domine, commendo spiritum meum"; allora rendeo
lo spirito a Dio ne li
anni
domini
CCCXLIII. E poi
che
fu seppellito in una tomba di marmo, da
capo
uscìa una
fontana d'olio, da piede una
fontana d'
acqua.
E insino al
dì d'oggi de le sue
membra
esce olio
sagrato, il quale è valevole a molte infermitadi.
Dopo
costui
fu vescovo un
buono uomo, il quale da
certi invidiosi sì
fu
scacciato de la sua sedia; il quale,
essendo scacciato, incontanente ristette l'olio d'uscire.
Ma poi che
fu richiamato e rimesso ne la sua sedia,
l'olio ricominciò ad uscire come di prima.
Dopo molto tempo vennero gli
turchi, e,
distruggendo
la
cittade di
Mirea,
apersero la tomba di santo
Niccolaio
e, l'ossa sue notando ne l'olio,
reverentemente,
ne portarono ne la
cittade di
Bari, ne gli
anni
Domini
MLXXXVII.
Uno uomo
accattò in prestanza da uno giudeo
una quantità di moneta giurando di rendere per santo
Niccolaio, però che non potea trovare altro
mallevadore
che tanto piacesse al giudeo. Sì che, tenendo
costui lungo
tempo la pecunia, il giudeo gliele
raddomandava; e
quelli
affermava come gliel'
avea renduta.
Il giudeo il
fece menare a la
Corte, e il giudice
fa
giurare il
debitore. Quando il
debitore sentì che
dovea
andare a la
Corte, pensòe malizia, e tolse in mano un
bastone
cavato (e
votollo
dentro ovvero una
canna)
e missevi dentro oro
trito di più
valuta che non
dovea
rendere, e portavalo quasi come s'
andasse
appoggiando
con esso. Sì che, quando
andò a
fare il saramento dinanzi
al giudice,
diede quel
bastone intanto a serbare
al giudeo, e
giurò che gli
avea renduto più che 'l giudeo
non gli
avea prestato. E quando
ebbe giurato, si
fece rendere il
bastone; e 'l giudeo, non
conoscendo la
malizia, sì glielo rendeo.
Tornando a
casa questi ch'
avea
commessa la
frode,
addormentossi in uno
crocicchio di via, e un
carro, tratto
con grande
empeto, lo
scalpitò,
ed ebbelo morto. E l'oro
ch'era nel
bastone si sparse. La qualcosa udendo il
giudeo,
corse tosto làe, e
fue veduta la malizia di
costui.
Allora
dicendo al giudeo molti ch'
erano tratti là a vedere
che si togliesse tutto quello oro,
disse che non lo
torrebbe, se, per li
meriti di santo
Niccolaio, quel morto
non
fosse prima recato a vita;
affermando, se questo
fia, egli riceverà il
battesimo e
farassi
cristiano. Incontanente
il morto si levò suso sano e salvo. E 'l
giudeo fu
battezzato nel nome di Cristo.
Allora veggendo uno giudeo che messere santo
Niccolaio
avea grandissima virtude in
fare miracoli,
fecesi
dipignere la sua imagine e
allogollasi in
casa.
E partendosi questo di
casa, tuttavia
accomandava la
casa e le
cose sue a questa imagine, in questo modo
dicendo: "Ecco,
Niccolaio, ch'io ti raccomando e
commettoti
a guardia tutte le mie
cose; le quali, se voi
non guarderete
bene, io
farò la vendetta sopra voi, con
battiture e con tormenti".
Intervenne una volta che questo giudeo non
c'era,
vennero i ladroni e tutta la
casa rubarono, non
lasciandovi
nulla se non solamente la imagine. Sì che, tornando
il giudeo e trovandosi così spogliato,
cominciò
a parlare a la imagine, e a
dire a questo modo: "Messer
Niccolaio, non vi
avea io posto in
casa mia per
guardia di tutt'i miei
beni, acciò che voi guardaste
tutte le mie
cose
da' ladroni? Che è questo che voi
faceste? perché non
cacciaste voi via i ladroni?
Dicovi
che
duri tormenti riceverete e piagnerete il peccato
de' ladroni, e così
ricompenseraggio il mio
danno
ne' vostri tormenti e 'l mio
furore
raffredderabbo ne
le vostre
battiture". E,
dette queste parole, tolse il
giudeo la imagine e
duramente la
percuoté e
battella.
Maravigliosa
cosa e
soprammodo pensosa: partendo i
ladroni la ruberia tra loro medesimi, il santo di Dio, sì
come
avesse in sua persona ricevute le
battiture,
apparve
a loro, e
disse: "Per qual
cagione son io così
duramente
battuto per voi? perché così
crudelmente
fragellato? perché ho io ricevuto
cotanti tormenti? vedete
il
corpo mio com'elli è livido! vedete come
rossicca
per lo
'nsanguinare de le
battiture!
Andate tosto,
e tutte le
cose
rendete, e
riportatele
colà
dove voi le
trovaste, e, se
nol
farete, l'
ira di Dio onnipotente s'
incrudelirà
contro a voi in tal modo che la vostra
fellonia
sarà pubblicata e
palesata innanzi a tutta gente,
e
catuno di voi sarà impiccato.
Allora rispuosero
coloro, e
dissero: "E chi
se' tu
che ci
di'
cotali
cose"? E quelli rispuose: "Io sono
Niccolaio, servo di Cristo, il quale, per le
cose ch'
avete
tolte, m'ha così
crudelmente governato il giudeo".
Ispaventati costoro vengono al giudeo e raccontano
il miracolo, e da lui udirono ciò che
avea
fatto a la
imagine, e ogni
cosa li vennero rendendo. E in questo
modo i ladroni tornarono a la
diritta via di
ben
fare;
e 'l giudeo
abbracciòe la
fede del
salvatore
Jesù Cristo.
Uno, per
amore d'uno suo
figliuolo il quale
studiava,
faceva ogni
anno la
festa di santo
Niccolaio.
Venne una volta per la
festa, che 'l padre del
fanciullo
fece un grande
convito, e invitò molti
cherici,
sì che, mangiando tutta questa gente, venne il
diavolo
in
abito di pellegrino, e
domandava
limosina. Il padre
comandò immantanente al
figliuolo che gliela portasse.
Va il
fanciullo e, non trovando il pellegrino,
andogli
dietro.
E quando l'
ebbe per
darli la
limosina, il pellegrino
prese il
fanciullo e ebbelo
strangolato. Udendo
ciò il padre,
vennegli grande
dolore e
maravigliosamente
fu turbato con
lacrime, sì che tolse il
corpo del
fanciullo
e
puoselo in
sala, e
cominciò per lo grande
dolore
a gridare, e a
dire: "
Figliuolo mio
dolcissimo,
or come
stai? Santo
Niccolaio, è questo il
merito che
tu mi rendi de l'onore che già lungamente t'ho
fatto?"
E
dicendo lui queste e simiglianti parole, incontanente
il garzone, come si svegliasse dal sonno, e
aperse gli
occhi e risuscitò.
Un gentile uomo pregò san
Niccolaio che gli
accattasse grazia da
Domenedio d'
avere uno
figliuolo,
promettendo che quello
cotale
figliuolo elli
menerebbe
lui a la
casa, e
offerebbegli una
coppa d'oro. Sì che
nacque il
fanciullo, e pervenne a
etade, e la
coppa fu
fatta. La quale piaccendo molto al padre,
tolsela per sé e
operavalasi, e
fecene
fare un'altra di somigliante pregio.
Navicando
ellino verso la
chiesa di santo
Niccolaio,
dice il padre al
figliuolo che, in quella
coppa
bella
di prima, gli vada a porgere de l'
acqua. E 'l
fanciullo
quando volle
attignere de l'
acqua,
cadde in mare,
e già più non
apparve. Il padre piagnendo
amaramente
non lasciò però il
boto suo di
compiere. Sì che venendo
lui a l'
altare di santo
Niccolaio, e offerendo la seconda
coppa,
cadde la
detta
coppa come
fosse gittata via d'in
su l'
altare, e, così
ricogliendola e
ripognendola in su l'
altare,
vieppiù a lunga ne fu
cacciata a terra.
Maravigliandosi tutti a così grande
vedimento,
eccoti
il
fanciullo venire sano
ed
allegro, e portare in mano la
prima
coppa, e
narrò
davanti a tutti come,
caggendo
lui in mare, incontanente santo
Niccolaio fu presente
e
mantennelo sano e salvo. E
rallegrandosi di ciò il padre,
offerse l'una
coppa e l'altra.
Uno ricco uomo
ebbe per li
meriti di santo
Niccolaio
un
figliuolo, al quale e' puose nome d'
Adiodato.
E
fece questi in
casa sua una
cappella ad onore di
santo
Niccolaio, e ogni
anno
faceva la
festa solennemente.
Ed era la
contrada di
costui a lato a la terra
de' saracini, sì che fu una volta preso questo garzone
da un saracino e
fue
diputato al servizio del
re loro.
Sì che l'
anno vegnente,
faccendo il padre suo
divotamente
la
festa di santo
Niccolaio e 'l garzone
tegnendo in mano la
coppa e servendo il re,
raccordossi
com'egli era allora pregione e quanto potea essere
allora il
dolore del padre e de la madre e quanta era
l'
allegrezza che in
cotale
die si
facea ad onore di santo
Niccolaio, e
cominciò
forte a
sospirare. Allora il
domandò
il re qual
fosse la
cagione di tanti sospiri, e 'l
garzone
dicendogliele, il re
disse: "Che si faccia il tuo
Niccolaio, tu pure sarai con esso noi". E subitamente
venne un vento, il quale
commosse tutta la
casa, e 'l
fanciullo con la
coppa in mano subitamente
fue rapito
e posto dinanzi a le porti de la
chiesa, là
dove il padre
e la madre sua
facevano la
festa. E così fu
fatta
l'
allegrezza grande al padre e a la madre sua, e a
tutta la gente.
cap. 4, S. LuciaLucia, vergine de la
città di
Saragozza, nobile di
sua generazione, udendo che la
fama e la
nominanza
di santa
Agata si
divolgava per tutta Cicilia, mossesi
insieme con
Eutizia, sua madre, la quale
aveva
continuamente,
sanza rimedio di medicina, perduto il sangue
per
quattro
anni; e
andarono a visitare il sepolcro
di santa
Agata. Sì che
essendo queste ne la
chiesa di
santa
Agata, allora si
cantava il Vangelo che
narra
come il Signore guarie una
donna da simigliante infermitade.
Allora
disse santa Lucia a la madre: "Se tu
credi quello che si legge, e che
Agata
abbia sempre
avuto presente colui per lo
cui nome
sostenne passione,
tocca il sepolcro suo e riceverai perfetta sanitade". E,
partendosi la gente, rimasero.
E Lucia s'
addormentò, e vide santa
Agata stare in
mezzo de gli
angeli, ornata di
gemme, e
diceva a lei:
"
Serocchia mia
Lucia, vergine a Dio
devota, perché
domandi tu a me quello che tu potrai incontanente prestare
a la madre tua?
Ecco che, per la
fede tua, ella
è sanata".
E svegliata
Lucia
disse a la madre: "Madre mia,
or
ecco che tu
se' guerita; ora io ti
priego, per
amore
di
colei che t'ha guerita con le sue orazioni, che tu
non mi ricordi giammai
marito; ma quello che tu
mi
dovevi
dare per
dote,
dallo a' poveri". Rispuose
la madre: "
Chiudimi prima gli occhi, e poscia
farai
de le possessioni mie ciò che tu vorrai".
Disse
Lucia:
"Quello che tu
dai a la
morte, tu lo
dai perché tu
non lo ne puoi portare con teco;
dallo
dunque mentre
che tu
vivi, e
averane
merito da Dio".
Ed
essendo
tornate a
casa, ogne
die traevano le
cose di
casa fuori,
e
davalle a' poveri.
E
distribuendosi così il
patrimonio, venne questo
fatto
a gli orecchi de lo sposo. E lo sposo
domanda la
balia di
queste
cose, e ella
disse che la sposa sua
aveva trovata
una più nobile possessione, la quale s'avea posto
in
cuore di
comperare, e però ha
distratte
certe
cose
e vendute.
Credettelosi quelli, e
cominciò ad essere egli
medesimo
facitore de le vendite, e, vendute tutte le
cose e
date a' poveri, lo sposo la
fece menare dinanzi
a
Pasquasio
consulare, e
disse che
ell'era
cristiana e
facea contra le
leggi de l'imperadori.
Invitandola
dunque
Pasquasio a sacrificare a l'idoli,
quella
disse: "Il sacrificio che piace a
Domenedio si è
vicitare li poveri e sovvenire loro. E però ch'io non ho
più che offerire, io medesima mi
do a essere offerta".
A la quale rispuose
Pasquasio: "Queste parole potrai
raccontare a uomo simigliante a te; ma a me che osservo
le
leggi de' principi, tu le
di' invano".
Disse
Lucia: "Tu osservi le
leggi de' tuoi prencipi, e io
osserveròe
la legge del mio Iddio; tu temi i prencipi, io
temo Iddio; tu non vuogli offendere loro, e io mi guardo
d'offendere lo mio Iddio; tu
disideri di piacere a loro, e
io
desidero di piacere a Cristo;
fa
dunque quello che tu
conosci che ti sia utile; io
farò quel ch'io
guaterò che
sia utile a me". A la quale
disse
Pasquasio: "Tu
hai speso il
patrimonio tuo
co'
cor
rompitori, e però
parli come meretrice". E quella
disse: "Lo mio
patrimonio
abbo
riposto in
buono luogo; ma
corrompitori,
né di
mente né di
corpo, non seppi giammai che si
fossero".
Disse
Pasquasio: "Quali sono i
corrompitori
de la
mente e del
corpo?" Rispuose
Lucia: "
Corrompitori
de la
mente siete voi, che
confortate l'
anime
di lasciare il loro
Creatore; ma
corrompitori del
corpo
sono
coloro che 'l
diletto temporale dinanzi pongono a'
diletti
eternali".
Disse
Pasquasio: "Le parole rimarranno
quando saremo venuti a le
battiture". E quella
disse: "Le parole di Dio non possono venire meno".
Disse quelli: "dunque
se' tu Iddio?" Rispuose
Lucia:
"Io sono
ancilla di Dio, il quale
disse: Quando voi
starete
davanti al re e a' signori non pensate come (ovvero
come) voi
dobbiate parlare, imperciò che vi sia
dato in quell'ora quello che parliate;
ché voi non siete
quelli che parlate, ma lo spirito del Padre vostro è quelli
che parla in voi".
Disse
Pasquasio: "Dunque lo Spirito
Santo è in te?" Rispuose
Lucia: "
Coloro che
vivono
castamente sono tempio de lo Spirito Santo".
E quelli
disse: "Io ti
farò menare al mal luogo, acciò
che, quando tu sarai vituperata, làe
fugga da te lo Spirito
Santo".
Disse
Lucia: "Non si sozza il
corpo se
non
consente la
mente. Ché se tu mi
farai
corrompere,
non volonterosa, la
castità mi fia raddoppiata a la
corona.
Ma tu non potrai mai la mia
volontà recare a
consentimento
di peccato. Ecco il
corpo mio
apparecchiato ad
ogni tormento. Perché
dimori?
Comincia,
figliuolo del
diavolo, ad operare in me li
desideri de le tue pene".
Allora
Pasquasio
fece venire roffiani, e
disse loro:
"Invitate tutto il popolo che vada a lei, e tanto sia
schernita ch'ella sia
annunziata per morta".
Volendola
coloro tirare al mal luogo, di tanto peso la
fermòe lo
Spirito Santo, che al postutto muovere non la potessero.
E
fece
Pasquasio venire altri uomini, e
fecele legare
le mani e i piedi, ma pertanto
coloro non la poterono
muovere. Allora con mille uomini
furono
aggiunti molte
paia di
buoi, ma ella stette
ferma com'uno monte.
Furono
chiamati magi per
incantarla ch'ella si movesse;
ma ella stette sempre
ferma. Allora
disse
Pasquasio:
"Che malefici sono questi, che una
fanciulla tirata da
cotanti in veruno modo non sia mossa?" E quella
disse:
"Non sono malefici questi, anzi sono
benefici di Dio;
ché se tu n'
arrogessi
diecimilia, sì mi vedrai
ferma
come prima". E pensando
Pasquasio, secondo che
compuosero
alcuni, che
contano li malefici si
cacciassero
per
lavatura,
comandò che fosse
bagnata di
lavatura.
E, non potendo per tutto questo essere mossa,
Pasquasio,
pieno d'
angoscia,
comandò che un gran
fuoco le fosse
acceso d'intorno, e
fossevi messo
entro pece e regina
con olio
bogliente.
Disse
Lucia: "Io
abbo interpetrato da
Domenedio
indugio del mio martirio, acciò che a
coloro che
credono
tolga paura d'essere passionati, sì che i non
credenti non possano levare
coda a
coloro che
credono.
Ma veggendo gli
amici di
Pasquasio lui
angosciare,
dierle d'uno
coltello per la
gola, entro la quale,
neente perdendo la
favella, sì
disse: "Io
annunzio a
voi la pace renduta a la
Chiesa per
Massimiano, oggi
morto, e per
Diocliziano scacciato del reame; e sì come
la mia
serocchia
Agata è
data per
difenditrice a la
città di Catania, così sono io
conceduta da Dio per
pregatrice
a la
città di
Saragozza. E
dicendo lei queste
cose, ecco li ministri de' Romani
dinanzi da lei vegnono,
e
Pasquasio, legato, ne
menano a lo 'mperadore. Lo
'mperadore avea udito di lui che tutta quella provincia
avea turbato; venendo dunque a Roma
accusato
al sanato di Roma, e
convenuto, sì gli fu tagliato il
capo. E la vergine
Lucia di quello luogo
dov'ella fu
percossa non si movette, né non rendette lo spirito a
Dio infino a tanto che non vennero li preti, e
diederle
il
corpo di Cristo; e tutti quelli ch'
erano presenti rispuosero:
"Amen, domine". E in quel luogo medesimo
fu seppellita e
fatta ivi la
chiesa, e ricevette passione
al tempo di
Costantino e di
Massenzio, d'intorno a gli
anni
Domini
CCCX.
cap. 5, S. Tommaso ap.
Tommaso
apostolo,
essendo a Cesaria, sì gli
apparve
il Segnore, e
disse: "Il re d'
India, che ha nome
Gundofero, sì ha mandato un suo proposto, che vada
cercando uno uomo che sia
bene
ammaestrato de l'
arte
di lavorìo di
palagi; vieni adunque e manderotti a lui".
Al quale
disse
Tommaso: "Messere,
dovunque ti piace
mi manda,
fuori che a quelli d'
India".
Disse il Signore:
"Va'
sicuramente, ch'io sono guardia di te. E quando
tu
arai
convertiti quelli d'
India a me, sì ne verrai a
me con vittoria di martirio". Al quale
disse
Tommaso:
"Tu
se' mio Signore, e io sono tuo servo: sia
fatta
la
volontà tua".
E con ciò sia
cosa che 'l preposto
andasse per lo
mercato, il signore Cristo sì li
disse: "Che vuo' tu
comperare, giovane? "E quelli
disse: "Il Signore mio
sì m'ha mandato, acciò ch'io gli meni uomini
bene
ammaestrati ne l'
arte di
fare
palagi, e che li sia
fatto
un palagio al modo romano". Allora Cristo sì li
disse:
"Tolli
Tommaso",
affermando ch'elli era molto savio
di quella
arte.
Navicando dunque costoro, giunsero ad una
città, là
dove il re di quel luogo
faceva le nozze de la
figliuola.
E
aveva
fatto mettere
bando che tutti
fossero a le nozze,
altrimenti si terrebbe offeso il re. Sì che intervenne
che
Abbanes e l'
apostolo si
furono a quelle nozze.
Or
avvenne che ci
ebbe una
giullaressa, la quale a
ciascuno
dava la sua loda, con una sua sampognetta
ch'ella tenea in mano. Vedendo
costei l'
apostolo, intese
che questi era
ebreo in ciò che non mangiava,
ma tenea
fissi gli occhi in
cielo.
Ed
essendo la
garzonetta
dinanzi da lui
cominciò a
cantare, e
diceva:
"Uno è lo Dio de gli
ebrei, il quale
fece il
cielo e la
terra". E l'
apostolo la
confortava ch'ella ripetesse
quelle medesime parole. Sì che veggendo il siniscalco
del re che quelli non mangiava né
beeva, ma ragguardava
solamente in
cielo, si percosse l'
apostolo
entro
la guancia. Al quale
disse l'
apostolo: "Non mi
leverò quinci infino a tanto che la mano che m'ha
dato,
mi sia recata qui da i
cani".
Costui
andando ad
attignere l'
acqua, venne il leone
e uccise lui, e si
bevve il sangue, e,
lacerando li
cani
il
corpo suo, venne uno
cane nero e tolse la mano
ritta e portolla nel mezzo del
convito. Vedendo ciò tutta
la gente
stupidìo, e la
giullaresca, raccontando le parole
de l'
apostolo, gittò via la
sampogna, e
gittosi a'
piedi de lo
apostolo.
Questa cotale vendetta
fatta ripruova Agostino nel
libro che
fece
contro a
Fausto, e
afferma che questo
ci
fue
mischiato da
falso uomo. E però questa leggenda,
quanto a più
cose, è
avuta per sospetta. Ma potrebbesi
ben
dire che l'
apostolo l'
avesse
detto non per
animo di
bestemmiare, ma per modo di
predicerlo
dinanzi.
Allora l'
apostolo, a la
domandagione del re, sì
benedisse
la sposa e lo sposo, così
dicendo: "Signore
Iddio
da' a questi
giovencelli la
benedizione de la tua
mano
diritta, e ne le loro
menti sembra seme di vita".
E, partendosi l'
apostolo, fu trovato in mano de lo sposo
un ramo di palma pieno di
datteri; e, mangiando lo sposo
e la sposa di questi
datteri,
amendue videro uno sogno, e
parea loro ch'uno re, pieno di
gemme, gli
abbracciasse,
e
dicesse: "L'
apostolo mio sì v'ha
benedetti, acciò che
voi siate
benedetti e partecipi de la vita
eterna.
E svegliati costoro e rapportando il sogno l'uno a
l'altro,
entròe l'
apostolo a loro, e
disse: "Così il re
mio sì vi
apparve ora, e me, con le porte serrate, sì
m' ha
menato qua
drento, acciò che la mia
benedizione
faccia
frutto sopra voi, e
abbiate la
verginità de
la
carne, la quale è reina di tutte le virtudi e
frutto
di salute perpetuale. La
verginitade si è
sirocchia de li
angeli e possessione di tutti
beni, vittoria de le
carnalitadi,
trionfo de la
fede,
scacciamento de le
demonia
e
sicurtà de l'
eternali
allegrezze. De la lussuria s'ingenera
corruzione, de la
corruzione nasce
sozzamento,
del
sozzamento nasce peccato, del peccato si genera vergognamento".
Dicendo l'
apostolo queste
cose
due
angeli
apparvero
e
dissero: "Noi siamo gli
angeli che siamo
diputati a
vostra guardia; se voi osserverete
beni gli
ammonimenti
de l'
apostolo, noi
offeremo dinanzi a Dio tutti i
vostri
desiderii".
Sì che l'
apostolo gli
battezzò e
ammaestrogli
diligentemente
ne la
fede. E, dopo molto tempo, la sposa
ch'avea nome
Pellagia,
fue
consegrata a Dio col santo
velo, e poi
martirizzata; e lo sposo che avea nome
Dionigio, fu
fatto vescovo di quella
cittade.
Dopo tutto questo l'
apostolo e
Abbanes vennero al
re d'
India, sì che l'
apostolo gli
disegnò uno
meraviglioso
palagio, e, ricevuto dal re molto
tesoro per
farlo
fare, il re si partì per
andare in altra provincia. E
l'
apostolo
diede tutto il
tesoro a' poveri di Dio, sì che,
tutto quel tempo che 'l re non fu presente, l'
apostolo
soprastette a la predicazione e
convertì popolo sanza
numero a la
fede.
Tornando il re e sappiendo quello che
Tommaso avea
fatto, sì lo
rinchiuse nel
fondaccio de la prigione, lui
e
Abbanes, acciò che poscia li
facesse scorticare
vivi
e poi
arderli.
Infrattanto morìo Gad,
fratello
carnale del
re, e
cominciollisi ad
apparecchiare uno sepolcro con
grande
boria.
Sì che il quarto
die, quelli ch'era morto sì risuscitò
e,
stupidita tutta la gente e
fuggendo qua e là, sì
disse al suo
fratello: "
Fratello mio, questo uomo che
tu ti ponevi in
cuore di scorticare e d'
ardere, si è
amico
di Dio, e tutti gli
angeli gli servono, i quali mi menarono
in Paradiso e mostrarmi uno palazzo
maravigliosamente
fatto d'oro e d'
argento e di pietre preziose.
E
maravigliandomi de la sua
bellezza, sì mi
dissero:
"Il tuo
fratello se n'è renduto indegno; se tu vi
vuogli stare
dentro
pregherremo il Signore che ti
degni
risuscitare, acciò che tu 'l possa
comperare dal tuo
fratello,
rendendoline la pecunia che si pensa
avere perduta".
E,
dette queste
cose,
corse a la
carcere
domandando
che fosse perdonato al suo
fratello; e, rotti ch'
ebbe
i
ferri,
cominciò a
pregare l'
apostolo che
degnasse di
torre uno vestimento prezioso. Al quale
disse l'
apostolo:
"Non sai tu che
coloro, che vogliono
avere parte in
cielo, non
disiderano veruna
cosa
carnale, né terrena?"
E uscendo l'
apostolo de la
carcere, il re gli si
fece incontro
e gittollisi a' piedi
chiedendoli perdonanza. Allora
disse l'
apostolo: "Molta grazia v'ha Dio
fatta di
mostrarvi li suoi segreti.
Credete dunque in Cristo e
battezzatevi, acciò che siate partefici de lo
eternale
regno".
Disse a lui il
fratello del re: "Io vidi il palagio
che tu
facesti al mio
fratello, e ho
meritato di
comperarlo". Al quale
disse l'
apostolo: "Questo è
ne la podestà del tuo
fratello".
Disse il re: "Esso sarà
mio; e l'
apostolo te ne
faccia un altro, e, se non potesse
farlo, questo uno sarà a
comune tra me e te".
Disse l'
Apostolo: "In
cielo ha
palagi sanza
numero,
apparecchiati dal principio del
mondo, i quali si
comprano
col prezzo de la
fede, con le
limosine. Le vostre
ricchezze vi possono
andare innanzi ad
avere de gli altri,
ma venire
dietro non vi possono".
E, dopo un mese,
fece raunare l'
apostolo tutti gli
uomini di quella provincia, e,
fatto ciò,
fece stare spartiti
i
deboli e l'infermi e
fece orazione sopra loro. E
abbiendo
detto:
Amen, coloro che v'
erano
ammaestrati,
venne uno
splendore da
cielo, e
abbattéo sì l'
apostolo
come gli altri, e
bene per una mezza ora, in tal maniera
che tutti si pensavano essere
caduti di percossa
de la saetta
folgore. E rizzandosi l'
apostolo
disse così:
"Levatevi su che 'l Signore mio venne come
folgore,
e havvi tutti sanati". E levandosi tutti sani, lodarono
Iddio e l'
apostolo.
Allora l'
apostolo gli
cominciò ad
ammaestrare, e insegnò
loro i
XII gradi di vertudi.
Il primo
fue che
credessero in Dio, il quale è uno
in
essenzia e sono tre persone; e
diedene loro tre
essempri
sensibili, come in una
essenzia sono tre persone.
Lo primo
essemplo si è che la sapienza ne l'uomo si è
una, e di quell'una prende intendimento, memoria
ed
ingegno. Lo
'ngegno si è che quello che tu non hai
appreso, tu l'
apprendi; la memoria è quello che tu hai
appreso non
dimentichi; intendimento si è che tu
pigli
quelle
cose che si possono mostrare, ovvero
insegnare.
Il secondo
essemplo si è che in uno
albore hae legno,
foglie e
frutti. Il terzo
essemplo si è che un
corpo hae
quattro sentimenti, ché, in un
capo, sarà vedere, udire,
odorare e gustare, e impertanto queste sono più
cose,
ed è un
capo.
Il secondo grado si è che
ed
eglino ricevessino il
battesimo.
Il terzo si è che s'
astenessino da la
fornicazione.
Il quarto che si
temperassono de l'
avarizia.
Il quinto si è che si
ristrignessero de la
gola.
Il
sesto è che e' tenessono la penitenzia.
Il settimo è che e'
perseverassono in queste
cose.
L'ottavo che e' tenessoro
albergheria di poveri e
amasserla.
Il nono che in quelle
cose ch'e'
avessero a
fare
cercassero
il volere di Dio, e quello
compiessero per opera.
Il
decimo quello medesimo volere di Dio
cercassero ne
le
cose, che non
fossero da
fare, e quello schifassero.
L'
undicimo che a gli
amici e a' nimici
avessero
amore.
Il
duodecimo che a guardare queste
cose
avessero
buona rangola.
Dopo la predica
furono
battezzati
IX migliaia d'uomini,
trattini i
fanciulli e le
femmine.
Dopo questo sì se n'
andò ne l'
India
disopra, ne
la quale
risplendette d'infiniti miracoli. E
alluminovvi
l'
apostolo una ch'avea nome
Sinticen,
amica di
Midonia,
moglie di
Carisio,
cognato del re.
Disse
Midonia a
Sinticen: "
Credi tu ch'io il potessi
vedere?"
Allotta
Midonia, per
consiglio di
colei, si
mutò in altro
abito, e tra le povere
femminelle se ne
venne
colà
dove l'
apostolo predicava.
Cominciò a predicare l'
apostolo de la miseria di questa
vita,
dicendo
fra l'altre parole come questa vita
è misera, sottoposta a molte
cadute
ed è tanto
fuggitiva,
che, quando altri la
crede tenere, si
fugge che
non se ne guarda altri. Poi
cominciò a
confortargli
per
quattro
ragioni che la parola di Dio udissero volentieri,
assimigliando la parola di Dio a
quattro generazioni
di
cose: primieramente a l'
acqua da occhi, in
ciò ch'ella
allumina l'occhio del nostro intendimento;
anche al
beveraggio, in ciò che purga e
monda il nostro
affetto da ogni
amore rio; anche a lo impiastro, in ciò
che sana le piaghe de' nostri peccati; anche al
cibo, in
ciò che ci sazia e
diletta de l'
amore de le
cose
celestiali.
E
disse: sì come queste
cose non vagliono a lo 'nfermo
sed egli non le riceve in se medesimo, così a l'
anima
inferma non
fa
prode la parola di Dio, s'ella non l'udirà
divotamente.
E, predicando l'
apostolo,
credette
Midonia, e non volle
da quindi innanzi giacere col
marito. Allora
Carisio
impetrò dal re che l'
apostolo fosse messo in
carcere.
Vegnendo a lui
Midonia sì 'l pregò che li perdonasse
ciò che per lei era messo in
carcere. E l'
apostolo,
consolandola
benignamente,
affermòe che tutte queste
cose sofferiva volentieri. Ma
Carisio pregò il re che
mandasse la reina,
sirocchia de la sua moglie, a lei
per
poterla rivocare da questo stato. Mandata, la reina
è
convertita da colei la quale ella volea
supervertire.
Ché veduto ella tanti miracoli che l'
apostolo
faceva,
sì
disse: "
Ben son maladetti da Dio
coloro che non
credono a tante operazioni". Allora l'
apostolo tutti
coloro
ch'
erano presenti,
ammaestrò di tre
cose,
brievemente;
cioè che
amassero la Chiesa,
onorassero li preti
e
cotidianamente si raunassero a udire la parola di Dio.
E tornando la reina, sì le
disse il re: "O perché
se' tu tanto stata?" E quella
disse: "Io pensava che
Midonia fosse stolta, ma ella mi
pare savissima, ch'ella
m'ha
menata a l'
apostolo, e
hammi
fatto
conoscere la
via de la verità, e sono troppo matti
coloro che non
credono ne lo Iddio Cristo".
E non volle la reina da indi innanzi più giacere
col re. Sì che
stupidito il re
disse al
cognato suo: "Volendo
me ricoverare la moglie tua sì ho perduta la mia,
ed
èmmi
diventata peggiore a me la mia che a te la
tua". Allora il re
comandò che l'
apostolo gli fosse
mandato dinanzi con le mani legate,
comandando a
lui che egli rivocasse le
mogli a i loro mariti.
Ma l'
apostolo gli mostrò per tre
essempli che quanto
tempo
eglino stessono in
errore,
elle non
dovessono ciò
fare. E prima per lo
essemplo del re, per l'
essemplo de
la torre, e per l'
essemplo de la
fontana. Onde
disse
così: "Con ciò sia
cosa che tu sia re, non vuogli
avere
i
servigi maculati, ma tu vai
cercando i
servigi
mondi
e netti, e così medesimamente le
fancelle; quanto
maggiormente
dei tu
credere che Dio
ama i
casti e netti
servigi! perché dunque sono io incolpato, s'io predico
che Dio
ama ne' servi suoi quello che tu
ami ne' tuoi?
I' ho
fatta una torre
alta, e tu mi
di' ch'io la
disfaccia;
i' ho
cavata la terra profonda e tratto una
fonte di
nabisso, e tu mi
di' ch'io la turi?"
Allora il re
comandò
adiratamente che
fossero recate
piastre di
ferro
calde e
roventi, e
fece stare l'
apostolo
sopra
esse
co' piedi ignudi; ma immantanente
per
volontà di Dio uscì di quel luogo una
fontana, e sì
le spense. Allora il re, per
consiglio del suo
cognato,
sì 'l
fece mettere
dentro a una
fornace
ardente; il
quale vi stette con tanto rifrigero là
entro che, l'altro
die, n'uscì fuori sano e salvo.
Disse dunque
Carisio
al re: "
Fa ch'egli
faccia sacrificio a lo Dio del sole,
sì che e'
caggia ne l'
ira del suo Iddio, il quale lo libera
da queste pene".
Ed
essendo
costretto a ciò,
disse
al re: "Se tu più
se'
buono che la tua
fattura, come
dunque
annighittisci Dio, e
adori la
dipintura? Tu pensi,
come
dice
Carisio, che lo Dio mio s'
adiri con meco poi
ch'io
avrò
adorato lo Dio tuo; ma lo Dio mio s'
adirerà
col tuo, e
minuzzerallo.
Andiamo dunque ad
adorare, e
se,
adorando me, lo Dio mio non tramezzerà il tuo, io
sagrif
icherò a lo Dio tuo; ma s'egli il
farà tramazzare,
tu
crederai a lo Dio mio".
Al quale
disse il re: "Ancora
contendi tu meco di pari".
L'
apostolo dunque
comandò in
ebreo al
demonio,
ch'era ne l'idolo, che sì tosto, come s'inginocchiasse,
attritasse l'idolo. Inginocchiandosi l'
apostolo
disse:
"
Ecco ch'io
adoro, ma non l'idolo, né
metallo, non la
statua; ma lo Dio mio,
Jesù Cristo, nel
cui nome io ti
comando,
dimonio, che tu
attriti
cotesto idolo". Incontanente
si strusse come
cera.
Allora tutt' i pontefici e sacerdoti del tempio missero
una grande
mugghiata come tori. Ma il pontefice maggiore
trasse fuori il
coltello e trapassòe l'
apostolo, così
dicendo: "Io vendicherò la 'ngiuria de lo Iddio mio".
Ma il re a
Casirio
fuggirono, veggendo che 'l popolo voleva
vendicare l'
apostolo e
ardere lo pontefice.
Ma li
cristiani tolsero il
corpo de lo
apostolo e
seppellirollo
con onore. E dopo lungo tempo intorno a gli
anni
Domini
CCXXX, il
corpo de l'
apostolo fu traslatato
ne la sua
cittade ch'avea nome
Edessa, a
comandamento
d'
Alessandro,
faccendo ciò per li
prieghi de' Soriani.
In quella
città non può
vivere neuno
eretico, né
giudeo, né pagano, né tiranno veruno le puote nuocere.
E
massimamente
da poi che 'l re
Abagaro, il quale ne
fu signore,
meritò d'
avere la Pistola scritta per mano
dal
Salvatore. Ché se alcuna volta è venuta gente veruna
contra quella
cittade, uno
fanciullo
battezzato,
stando sopra la porta, legge quella Pistola, e quel
die,
sì per la scrittura del
Salvatore come per li
meriti de
l'
apostolo, li nemici
fuggono o vegnono a pace insieme.
Di questo
apostolo parla in questo modo
Isidoro
nel
libro che
fece de la Vita e de la
Morte de' Santi,
e
dice così: "
Tommaso,
apostolo di Cristo e simigliante
al
Salvatore, udendo
fue incredulo, e veggendo
credette. Questi predicòe il Vangelo a i Parti e a i
Medi e a quelli di Persida e a gli
Ircani e a'
Brattiani,
ed
entrando ne la orientale piaga e trapassando
le
'nteriori
contrade de' pagani, ivi
condusse la sua
predicazione infino a la
morte. Questi
morette per
trafitture
di
lance". Queste
cose
dice
Isidoro in questo
libro, come
detto è. Ma Giovanni Grisostomo sì
dice che,
essendo venuto
Tommaso a la
contrada di quelli Magi
che vennero ad
adorare Cristo, sì li
battezzò, e
fur
fatti
aiutatori de la
fede
cristiana.
Abbiendo
detto
delle
feste che
corrono infra 'l tempo
del
rinnovellamento, il quale
cominciò da
Moisé e
da'
Profeti, e
duròe insino a l'
avvenimento di Cristo in
carne, lo quale tempo rappresenta la Chiesa de la prima
domenica de l'Avvento insino al
Natale; seguita ora a
vedere de le
feste che
corrono
fra 'l tempo che parte
contiene del tempo del
racconciliamento, e parte del tempo
del pellegrinaggio, lo quale tempo rappresenta la Chiesa
dal
Natale infino a la
Settuagesima, sì come
detto è
disopra, nel prolago dinanzi.
cap. 6, Natività G. Cristo
Il
nascimento del nostro Signore
Jesù Cristo, secondo
la
carne, sì
avvenne, come alcuni
dicono,
compiuti dal
tempo d'Adamo
cinque milia
ducento ventinove
anni;
ma, come
dicono altri,
furono semilia
anni. Ma secondo
che
dice
Estochio
Sebio ne le
Croniche sue
furono
V.m.CCLXXXXVIIII anni, ma si
fue al tempo
d'
Ottaviano imperadore; il
cominciamento di
VI.m. anni
sì fu trovato da
Merodio
maggiormente per
figura che
per
cronica.
A quel tempo che il
figliuolo di Dio venne in
carne
tanta pace era ne l'universale
mondo, che uno solo
imperadore de' romani signoreggiava
pacificamente tutto
il
mondo. Ché, sì come elli volse nascere per
darci
la pace del tempo e la pace de l'
eternitade, così
eziandio volse che neente di meno la pace del tempo
alluminasse il suo
nascimento.
Adunque lo 'mperadore, signoreggiante a tutto il
mondo, volse sapere quante provincie e quante
cittade
e quante
castella e quante ville e quanti uomini
fossero
nel
mondo.
Comandò adunque, come si
dice ne le
Storie
Scolastiche, che tutti gli uomini
andassero a la
cittade
donde
erano nati; e
catuno offerisse al signore
de la provincia uno
danaio d'
argento che valesse
diece
danari de la usuale moneta; per lo quale
danaio
confessasse
sé sottoposto a lo 'mperio di Roma. E
faceane
professione, però che quello
cotale
danaio portava
la imagine de lo imperadore e la soprascritta del nome.
Ed era
detta
professione in ciò che quando
catuno uomo
rendea al signore de la provincia il
capocenso, cioè
quel
danaio (che così si
chiamava) sì 'l poneva in sul
capo suo e con la sua
bocca
confessava sé sottoposto
a lo imperio di Roma. Onde era
detta
professione, cioè
a
dire quasi con la propria
bocca
confessione; e
faceasi
ciò dinanzi a tutto il popolo.
Descrizione era
detta, per ciò che 'l numero di
coloro che portavano
il
capocenso, si era
determinato per
certo numero,
ed
era recato in iscritte. Questa
discrizione fu
fatta primieramente
dal signore de la Sorìa ch'avea nome
Cirino.
Ed è
detta la prima, imperciò che, come si trova in
quelle Storie
Scolastiche, prima la
fece
Cirino per ciò
che vide
la provincia nel
miluogo de la terra che
s'
abita; sì che fu provveduto che in quella si cominciò
di prima e poi per l'altre
contrade d'intorno. Ovvero
ch'è
detta la provincia la prima, cioè la prima universale,
per
ciò che l'altre particulare
andarono innanzi.
Ovvero, per la ventura, la prima de li
capi ne la
città
era
fatta dal signore, la seconda de le
cittadi era
fatta
ne la provincia dal legato de lo 'mperadore, ma la terza
de le provincie era
fatta in Roma dinanzi a lo 'mperadore.
Essendo dunque
Gioseppo de la schiatta di
David,
sì se n'andò da
Nazzarette, là dov'egli
abitava, in
Betleem. E con ciò fosse
cosa che si
approssimasse il
tempo del partorire de la vergine Maria e elli non sapesse
de la sua tornata, sì la prese e
menonnela seco
in Betleem, non volendo il
tesauro
commesso a lui da
Dio lasciarlo in mano
altrui, ma elli stesso trattarlo
con le sue mani e guardarlo con grande solennitade e
sollecitudine.
E
appresso n'
andossi a Betleem (come racconta
frate
Bartolomeo, in uno
libro che e'
compuose),
dove
dice che la Vergine vidde parte del popolo rallegrare
e parte piangere. La qualcosa
sponendogli l'
angelo,
sì
disse: "La parte del popolo che s'
allegra, si è il
popolo pagano, il quale nel seme d'
Abraam
ricoverrà
l'
eternale
benedizione; la parte che piange si è il popolo
de' giuderi, riprovata da Dio, per li suoi mali
meriti".
Ed
essendo giunti
ambedue in Betleem, non poterono
avere
albergo, e sì perché
erano poveri e sì perché
gli
alberghi
erano già tutti presi da gli altri.
Cansaronsi
dunque ad una
coperta la quale è
detto
Diversorio, sotto
la quale i
cittadini ne'
dì da non lavorare si ragunavano
a sedere e a ragionare insieme, e anche per lo
tempo rio e' non potevano stare fuori.
Gioseppo
apparecchiò iveritto una mangiatoia al
bue e a l'
asino; ovvero, secondo che vogliono
dire altri,
ivi era
fatta la mangiatoia per
ciò che quando i
foresi
venivano al mercato, legavano in quel luogo i loro
animali. Sì che entro la mezzanotte de la
Domenica
la Vergine santissima
partorette il suo
figliuolo e sopra
lo
fieno lo
richinòe ne la mangiatoia; lo quale
fieno,
come si truova ne le Storie
Scolastiche, santa
Elena
portò poi a Roma.
Da notare è adunque che 'l
nascimento di Cristo fu
fatto
maravigliosamente, fu mostrato per molte guise
e fu
donato utilmente. Imprima
dico che fu
maravigliosamente
fatto sì da la parte de la
ingenerante, sì
da la parte de lo 'ngenerato e sì da parte del modo
de lo
'ngenerare. Imprima da parte de la
'ngenerante,
imperciò ch'ella fu vergine innanzi al parto e dopo il
parto.
Ched ella partorisse stando vergine, per
cinque modi
fu mostrato. Imprima per la
profezia di Isaia profeta,
nel settimo
capitolo: "Ecco,
dice, una vergine
conceperà
e partorirà". Il secondo modo per la
figura,
imperciò
che fu ciò figurato per la verga d'
Aron, la
quale
fiorìo sanza ogni
studio umano, e per la porta
d'
Ezechiel, la quale stette sempre
chiusa. Il terzo modo
per la guardia, ché
Gioseppo sì la guardò e fu testimone
de la sua
verginitade. Il quarto modo per
sperienzia
per ciò che (sì come si truova ne la
compilazione
di
Bartolomeo e
pare che fosse tolto del
libro
De
Infantia Salvatoris) con ciò fosse
cosa che 'l tempo
del partorire fosse presso,
Gioseppo,
avvegna che non
dubitasse che Dio
dovea nascere di Vergine, ma volendo
tenere l'usanza del paese, sì
chiamò
due
balie;
le quali
ebbe l'una nome
Zebel e l'altra
Salomè. Sì che
Zebel
considerando e
cercando e vedendo ch'ella era
vergine, sì gridò che ella avea partorito stando vergine;
ma
Salomè non
credendo, ma volendo provare ciò,
altressì
ponendo la mano là, incontanente
diventò
arida. Ma
per
comandamento de l'
angelo che l'
apparette, sì toccò
il
fanciullo e tosto
fue sanata. Il quinto modo per lo
manifestamento del miracolo: ché a Roma, sì come testimona
Innocenzio
papa terzo,
fue pace
XII anni. Onde
li romani ordinaro uno tempio di pace
bellissimo e
puoservi la statua di
Romolo. Ma
chiedendo
consiglio a
lo Dio
Apolline quanto tempo quel tempio
durerebbe,
ed
ellino
ebbero risposta che tanto
durerebbe ch'una vergine
parturisse. Udendo ciò
dissero: "Dunque
durerà
eternalmente";
però che vergine partorire giammai non sarà
possibile; sì che ne le reggi del tempio scrissero questo
titolo: "Tempio di pace
eternalmente
durabit". E in
quella notte che la vergine
partorette,
rovinòe il tempio
infino dal
fondamento; e ivi è ora la chiesa di santa
Maria Nuova.
Secondariamente fu
maravigliosamente
fatto il
nascimento
da la parte de lo ingenerato. Onde
dice san
Bernardo: "In una medesima persona si raunarono
maravigliosamente
cosa
eternale e
cosa vecchia e
cosa
nuova. L'
eternale ciò fu la
divinità; l'
antica ciò è
la
carne tratta d'Adamo; la nuova ciò
è l'
anima
tratta di nuovo". Ancora, come
dice elli medesimo:
"Oggi
fece Iddio tre
mischiature, ovvero tre opere sì
maravigliosamente
singulari che tali non
furono mai
fatte
né mai sono da
fare più; ché sono
congiunte insieme Dio
e uomo, madre e vergine,
fede e
cuore umano. La prima
è molto maravigliosa, ché sono
congiunti insieme il
fango
e Dio, la maestade e la infermitade,
cotanta viltade e
cotanta
altezza, che neuna
cosa è più
alta che Dio e
neuna è più vile che 'l
fango. La seconda neente di
meno fu
anche maravigliosa, ché dal secolo non fu giammai
udito che vergine veruna fosse che
concepesse e
partorisse e, dopo il parto, fosse vergine. La terza è più
bassa che la prima e che la seconda, ma non meno
forte; ché grande maraviglia
fue come il
cuore umano
diede
fede a queste
due
cose, e come si
poté
credere
che Dio fosse uomo e che stesse vergine quella ch'
avesse
partorito". Queste
cose
disse san Bernardo.
Il terzo modo fu
maravigliosamente
fatto da parte
del modo de lo
ingenerare, però che 'l suo parto fu
sopra natura, in ciò che vergine
concepette; fu sopra
ragione, in ciò che ingenerò Dio; fu sopra
condizione
umana, in ciò che
partorette sanza
dolore; fu sopra
usanza, in ciò che
concepette di Spirito Santo, però che
non ingenerò la Vergine di seme d'uomo, ma di Spirito
Santo. Ché lo Spirito Santo scelse del
castissimo e purissimo
sangue de la Vergine e
formonne il
corpo di
Cristo. E così mostrò Dio il quarto modo maraviglioso
di
fare l'uomo; però che in
quattro modi mostrò Dio
padre l'uomo, sì come
dice Anselmo: "Il primo si è
sanza uomo e sanza
femmina, come
fece Adamo; il secondo
si è d'uomo sanza
femmina, e così
fece
Eva; il
terzo si è d'uomo e di
femmina, come si
fa tutto
die;
il quarto rimaneva a
fare di
femmina sanza uomo, e
questo è
fatto oggi".
Secondariamente il suo
nascimento
fue in cotale
die
per molte guise mostrato, per la ragione ch'
avemo
presa di ciò ch'ella ingenerò Dio sopra
condizione umana,
e di ciò ch'ella
partorette Dio sopra usanza, e di
ciò ch'ella
concepette di Spirito Santo. Però che mostrato
fu, per tutt'i gradi de le
criature, ch'elli è
criatura
la quale ha solamente essere, sì come quella ch'è
pura
corporale,
come le pietre; altra è
c'ha essere e
vivere, come le piante; altra è c'ha essere e
vivere e
sentire, come gli
animali; altra è c'ha essere e
vivere
e sentire e
discernere, come l'uomo; altra è c'ha essere
e
vivere e sentire e
discernere e intendere, come l'
angelo.
Per tutte queste
creature
fue mostrato
oggi il
nascimento
di Cristo. La prima
criatura, cioè pura
corporale,
si è in tre guise, cioè
oscura, trasparente e
chiara. Imprima dunque fu mostrato per quella che è
pura
corporale oscura, sì come per la
destruzione del
tempio de' Romani, come
detto è, e per lo
cadimento de
la statua di quello
Romolo, la quale
cadde allora
e
stritolossi; e,
brievemente, tutti gli altri idoli e le
statue che in altri luoghi n'
aveva più, tutti
caddero.
Leggesi che
Ieremia profeta,
discendendo ne lo
Egitto
dopo la
morte di
Godolia, sì
diede
segnale a i re ovvero
a' sacerdoti de l'
Egitto che i loro idoli
cadrebbero quando
la vergine partorisse
figliuolo. Per la qualcosa i sacerdoti
de gli idoli, in uno segreto luogo del tempio, ordinarono
una imagine di vergine portante uno garzone in
grembo, e ivi sì l'
adoravano. Ma richiesti poscia dal
re
Tolomeo,
dissero che questo era misterio di
paternale ordinamento, che i loro maggiori
aveano
avuto
da santo profeta; e così
credeano che
dovesse
avvenire
infatti.
Secondariamente per la pura
corporale transparente,
ché in quella notte l'
oscurità de l'
aiere si mutò in
chiaritate di
dì
chiaro. Anche, sì come testimonia
Orosio
e Innocenzio
papa terzo, a Roma una
fontana d'
acqua
si mutò in licore d'olio, e, uscente fuori, e'
corse
insino al Tevere. E la sibilla avea
profetato che quando
rampollasse
fontana d'olio, allora nascerebbe il
Salvatore.
La terza per la pura
corporale
chiaritade, sì come per
li
corpi
sopracelestiali; però che in quello
dì di
Natale,
secondo che alcuni vogliono
dire, come
dice Grisostomo,
adorando i Magi sopra un monte, una
stella
apparve
appresso
di loro, la quale avea
forma di
bellissimo garzone
e nel suo
capo
risplendea la
croce; la quale, parlando a'
Magi, sì
disse loro: "
Andatene in Giudea e ivi
adorate
il garzone nato". Anche in quello
die
apparetteno in
oriente tre soli, i quali, a poco insieme, tornarono in
uno
corpo solare. In ciò significava che a tutto il
mondo
soprastava il
conoscimento di Dio in tre persone e in
una
essenzia; ovvero che quelli era nato nel quale
erano
tre
cose in una persona, cioè
divinità,
carne a
anima.
Ma ne le Storie
Scolastiche si
dice che questi tre soli
apparvero non il
dì di
Natale, ma per alcuno tempo
dinanzi, cioè dopo la
morte di
Giulio Cesare; le quali
cose
eziandio
afferma
Eusebio ne le sue
Croniche.
Anche
Ottaviano imperadore, come
dice
Innocenzio
terzo,
abbiendo sottomesso tutto 'l
mondo a lo 'mperio
romano, intanto piacque a' sanatori di Roma ch'elli il
voleano
coltivare per
Domenedio loro. Ma il savio imperadore,
sappiendo ch'elli era mortale, non si volse
prendere nome de lo immortale Iddio; ma a loro importuno
preghiero
fece venire la Sibilla
profetessa, volendo
sapere per li suoi
detti, se maggiore di lui
dovesse nascere
nel
mondo. E con ciò fosse
cosa che il
die di
Natale
di Cristo richiedesse
consiglio sopra ciò e la Sibilla
stesse in orazione ne la
camera de lo imperadore, entro
il mezzodì
apparve uno
cerchio d'oro intorno dal sole, e
nel mezzo del
cerchio era una vergine
bellissima portante
uno garzone nel suo grembo. Allora la Sibilla
mostròe queste
cose a lo 'mperadore e, maravigliandosi
molto lo 'mperadore per la
detta visione, udì una
boce
che li
disse: "Questo è l'
altare del
cielo". E
disse a
lui la Sibilla: "Questo
fanciullo è maggiore di te, per
ciò sì l'
adora". Sì che quella
camera è
consegrata in
onore de la Vergine Maria; onde infino al
dì d'oggi è
chiamata santa Maria d'
Ara Celi. Intendendo dunque
lo 'mperadore che questo
fanciullo era maggiore di sé,
sì li offerette oncenso, e rifiutò da indi innanzi essere
chiamato Iddio. Di questo parla
Orosio: "In questo
modo al tempo d'
Ottaviano ne l'ora intorno a la terza,
subitamente,
essendo il tempo
chiaro,
apertamente
apparve
un
cerchio a modo de l'
arco
celestiale, e
attorneòe
la
ricondita del sole, come se
dovesse venire colui il
quale sole avea
fatto, e reggea il sole e tutto quanto
il
mondo". Di questo
dice
Orosio e, quello medesimo
dice
Eutropio.
Secondariamente il
nascimento fu mostrato e
manifestato
per le
creature che hanno essere e
vivere, come
sono le piante e gli
albori. Ché in questa notte (come
testimonia
Bartolomeo ne la sua
compilazione) le vigne
d'
Engaddo, le quale
menavano
balsamo,
fiorirono e
feciono
frutto e
diedero licore.
Nel terzo luogo fu mostrato per le
criature che hanno
essere,
vivere e sentire, come sono gli
animali, ché
andando
Joseppo in Betleem con Maria, sua moglie,
gravida, menò seco il
bue e l'
asino. Il
bue
forse per
venderlo e pagare il trebuto per sé e per la Vergine,
e de lo rimanente vivessero; l'
asino forse per portarvi
suso la Vergine. Sì che il
bue e l'
asino, per miracolo
cognoscendo Iddio, con le ginocchia piegate sì lo
adorarono.
E innanzi al
nascimento di Cristo per
alquanti
dì,
dice
Eusebio, ne la
Cronica sua, che
arando alcuni
i
buoi, sì
dissero a li
aratori: "Li uomini verranno
meno e le
biade
faranno
prode per se stesse".
Nel quarto luogo fu mostrato per la
creatura che ha
essere,
vivere e sentire e
discernere, come per li pastori.
E in quella ora vegghiarono i pastori sopra la
greggia loro, sì come usavano di
fare l'
anno
due volte,
cioè ne le più lunghe e ne le più
corti notte de l'
anno.
Per ciò che
costumanza fu
anticamente de' pagani che,
in
catuno solitazio, cioè quello di state, per la
festa di
san Giovanni Batista, e quello de verno per la
festa
del
Natale, guardavano le vigilie de la notte per riverenza
del sole. Il quale
costume già era molto
cresciuto
appo i giuderi per l'uso di
coloro che
abitano tra loro.
Sì che l'
angelo di Dio
apparve a' pastori e
annunziò
loro il
Salvatore nato, e
diede loro
segnale com'eglino
il troverebbero. E immantanente con quello
angelo fu
fatta la
moltitudine de li
angeli, che
diceano: "Gloria
sia a Dio ne le
alte
cose, e in terra sia pace a gli uomini
di
buona
volontà". Sì che i pastori vegnendo e
trovando tutto come l'
angelo avea
detto, sì il
narrarono
poi a gli altri. Così anche fu
manifestato per lo 'mperadore,
il quale
diede allora
comandamento che veruno
nol
chiamasse Signore, sì come testimonia
Orosio,
forse
perché vide quella visione d'intorno al sole; e
ricordandosi
de la rovina del tempio, e de la
fontana de l'olio,
intendendo ancora che nel
mondo si era nato uno maggiore
di lui, non volse essere
chiamato né Iddio, né
Signore.
Anche fu manifesto per li soddomiti, i quali
furono
tutti spenti in quella notte, come
dice santo
Geronimo
sopra quella parola: "Luce è nata a loro", ché nata
fu quella luce che spense tutti
coloro ch'
erano maculati
di quello vizio; e ciò
fece Cristo per
levarli di terra,
acciò che ne la natura ch'elli avea presa non si
trovasse da quinci innanzi tanta sozzura. Però che
dice
santo Agostino che, veggendo questo vizio ne l'umana
natura, poco meno che non rimase d'
incarnare.
Nel quinto luogo per la
criatura che ha essere,
vivere,
sentire,
discernere e intendere, come l'
angelo. Per ciò
che sì come
detto è: "Gli
angeli sì
annunziarono a'
pastori il
nascimento di Cristo fatto".
Nel terzo luogo il
nascimento di Cristo fu
dato a noi
utilmente, però che 'l
diavolo non ha tanta
potenzia sopra
noi che elli
aveva prima. Onde si legge che l'
abate Ugo
Clunacense ne la vigilia del
Natale di Cristo vidde la
beata Vergine Maria tenere il
figliuolo in
braccio, e
dicea: "Ora è il
die che le scritture de' profeti sono
rinnovellate. Ov'è dunque il nemico che innanzi a questo
die avea
potenzia sopra la generazione umana?"
A questa
voce uscì il
diavolo de la terra per
contrastare
a le parole de la nostra
Donna, ma il peccato
gli
mentìo, per ciò che quando elli
cerca le luogora de'
frati, la
devozione lo
caccia de l'oratorio, la lezione de
la
Messa lo
caccia del
refettorio, li
vili letticelli dal
dormentorio, la
pazienzia dal
Capitolo.
De l'
utilitade del
nascimento di Cristo parla san Bernardo:
"
Tre mali
aveva la generazione umana nel
principio e nel mezzo e ne la
fine; cioè nel nascere e
nel
vivere e nel morire. Il nascere era immondo, il
vivere
perverso, il morire
pericoloso. Venne Cristo e contro
a questi tre mali recòe tre remedii, però che nacque e
visse e morìo. Il suo
nascimento purgòe il nostro; la
sua vita
ammaestròe la nostra, la sua
morte
distrusse
la nostra". Queste
cose
disse san Bernardo.
Ancora de l'
utilitade di quello
nascimento di Cristo
dice Agostino nel
libro de la
Trinitade, ne l'ottavo
capitolo: che l'umiltà del
figliuolo di Dio, la quale
mostrò a noi ne la sua incarnazione,
fue a noi in
essemplo
convenevole,
in sacramento e in medicamento.
In essemplo convenevole il quale l'uomo tenesse in
sacramento
alto, per lo quale fosse sciolto lo
legame
del peccato nostro; e in sommo
medicamento, per lo
quale l'
enfiatura de la nostra superbia fosse sanata".
Queste
cose
dice Agostino. Ché: "la superbia del primo
uomo fu sanata per l'umiltà di Cristo".
Ed è da notare che l'umiltà del
Salvatore risponde
convenevolmente a la superbia del traditore. Ché la superbia
del primo uomo fu contro a Dio, per ciò che
fue
contro al suo
comandamento ch'egli avea
dato, che
non mangiasse del
frutto del legno de la scienza del
bene e del male;
fue anche infino a Dio, però che
appetìo
la
divinitade,
credendo quello che 'l
diavolo gli
avea
detto, cioè: "Sarete come
dii";
fue anche sopra
Dio volendo quello che Iddio non volea che volesse, come
dice Anselmo, ché allora
soprappuose la sua
volontade
a quella di Dio.
Così per
contrario, il
Figliolo di Dio, come
dice Giovanni
Damasceno, s'umiliò per li uomini,
non contra
li uomini, infino a li uomini e sopra li uomini. Per li
uomini per ciò che per la loro
utilitade e salute, infino
a gli uomini per lo modo similiante del nascere, sopra
gli uomini per lo modo del nascere
dissimiliante. Però
che il suo
nascimento, secondo alcuna
cosa fu simigliante
a noi, cioè perché nacque di
femmina e per una
medesima porta di schiatta; e secondo alcuna
cosa
fue
dissimigliante, per ciò che nacque di Spirito Santo e
di Maria Vergine.
cap. 7, S. Anastasia
Anastasia, tra ' Romani nobilissima
figliola, di
pretassato
gentile molto ma pagana, e la madre sua
Fausta,
cristiana, dal
beato
Grisogono pienamente
fue
ammaestrata
de la
fede di Cristo. E fu
data per moglie a
Publio; ed ella infignendosi d'essere inferma, sempre
s'
asteneva d'
accompagnarsi con lui.
Il quale, udendo che con una sola
ancella in vile
abito
andava
cercando la
carcere de'
cristiani e servìa de le
loro necessitadi, sì la
fece guardare
strettissimamente
in tale maniera che eziandio gli
alimenti le
sottraea, e
voleala sì per questo modo uccidere, acciò che potesse
ne le grandi possessioni di lei
diventare
lassivo. Sì che
ella pensando morire, mandava a
Grisogono le
dolorose
lettere, e quelli le rimandava
consolative.
Infrattanto morì il
marito, e ella fu tratta di
carcere.
Costei avea
tre
cameriere
bellissime, le quali
erano
sirocchie
carnali; l'una de le quali era
chiamata
Agapete,
e l'altra
Tionia, e l'altra
Irenen. Le quali,
essendo
cristiane e non volendo per niuna guisa ubbidire
a li
ammonimenti del prefetto, sì le
rinchiuse
entr'una
cameretta, là
dove si riponevano la
masserizie de la
cucina. Sì che il prefetto invaghito troppo di loro,
andòe
a loro per
compiere la sua
mala
volontade con
esse.
Quegli impazzato, pensavasi di
malmenarle le vergini,
sì
abbracciava e
basciava i
paiuoli e le
caldaie e le
pentole e le padelle e simiglianti
cose. Ed
essendo saziato
di ciò, uscì fuori tutto nero e
disformato. I servi
suoi che l'
aspettavano a la porta, veggendo costui così
concio, pensavano che fosse
fatto uno
demonio, si 'l
batterono molto bene, e,
fuggendo, si 'l lasciarono solanato.
Quegli
andando a lo 'mperadore per porre richiamo
di ciò, altri il
batterono con le verghe, altri gli
sputarono nel volto, altri gli gittavano il
loto e la
polvere
perché tutti
sospiciavano che fosse
fatto pazzo.
Ma gli occhi suoi il teneano che non si vedesse così
sozzo; per la qualcosa si
maravigliava molto ch'egli
era così schernito da tutti, il quale soleva essere onorato
da tutti. E parea a lui ch'egli e tutti gli altri
fossono vestiti di vestimenti
bianchi.
Ma quando
ebbe saputo da gli altri ch'elli era così
sozzo, pensossi che quelle garzonette gliel'
avessano
fatto per
arte
magica.
Comandò adunque che
fossono
spogliate dinanzi da lui per
vederle
almeno ignude; ma
i loro vestimenti s'
appiccicarono sì a le loro
carni che
per veruno modo potevano essere spogliate. Ma il prefetto,
per la maraviglia, s'
addormentò sì
fortemente
russando, e, picchiando gli altri, non si potea
destare.
A la perfine le
vergini
furono
coronate per martirio,
e
Anastasia fu
data da lo imperadore ad uno prefetto,
che, se la potesse
fare sacrificare, poi la si togliesse
per moglie. Sì che quelli
menandola ne la
camera e
volendola
abbracciare, immantanente
divenne
cieco. Allora
se n'andò a li
Dei per
domandarli se potesse
campare.
E que'
dissero: "Imperò che tu hai
contristata santa
Anastasia, tu
se'
dato a noi; e oggimai sarai sempre
con esso noi tormentato nel ninferno". Ed
essendo
rimenato
a
casa,
fra le mani de' suoi servi
finìo la
vita sua. Allora
Anastasia fu
data a un altro perfetto
che la tenesse in guardia. Ma udendo quelli ch'ella
avea infinite possessioni, sì le
disse segretamente: "Se
vuogli essere
cristiana, or
fa quello che
comandò lo
Dio tuo: E' sì
comandò che chi non rinunzierà a tutto
ciò che possiede non può essere suo
discepolo. Dunque
mi da ciò che tu hai, e va dove ti piace". E quella
rispuose: "Lo mio Dio
comandò che si vendesse ogni
cosa, e
dessesi a' poveri e non a' ricchi. Onde, con ciò
sia
cosa che tu sia ricco, io
farei contro al suo
comandamento
se io ti
dessi alcuna
cosa". Allora
Anastasia
fu messa in
crudele pregione per essere poi tormentata,
ma ella
fue nutricata da
cibo
celestiale da santa
Teodora
per
due mesi; la qual santa era già
coronata per
martirio. A la perfine
fue
menata a l'
isole
Palmarie
con
dugento
vergini, là
dove molti, per lo nome di Cristo,
erano stati mandati. E dopo
alquanti
dì il prefetto le si
fece tutte venire, e sì
fece legare
Anastasia ad uno palo,
e
fecela
ardere, e l'altre uccidere per
diversi tormenti.
Tra ' quali n'avea uno il quale,
essendo più volte spogliato
di molte ricchezze, sempre
dicea: "
Almeno Cristo
non mi torrete voi". E Apollonia tolse il
corpo di
santa
Anastasia e solennemente il
seppellìo nel
giardino
suo, e
fatta ivi la chiesa. Passionata fu intorno a gli
anni
Domini
CCLXXXVII.
cap. 8, S. StefanoStefano fu l'uno de'
setti
diacani ordinati da gli
apostoli
a servire, però che
crescendo il numero de'
discepoli,
quelli ch'
erano
convertiti de' pagani
cominciarono
a mormorare contro a
coloro ch'
erano
convertiti de'
giuderi, di ciò che le loro vedove
erano
spregiate nel
ministerio
cotidiano, ovvero perch'
ell'
erano gravate più
che l'altre nel
detto ministerio, cioè
amministragione.
Ché li
apostoli, acciò che più speditamente
soprastessono
a predicare,
aveano
commesso l'
amministragioni a le
vedove. Vogliendo dunque gli
apostoli
acquetare il
mormorio
ch'era nato, ragunata tutta la
moltitudine sì
dissero: "Non è
egual
cosa che noi lasciamo la parola
di Dio per servire a le mense".
Dice la Chiosa: "Per
ciò che migliori sono i mangiari de la
mente che del
corpo". "Dunque
considerate, voi
fratelli, alcuni uomini
di
buona testimonianza, in
sette, che siano pieni di Spirito
Santo, e di sapienzia, i quali ordiniamo sopra questa
opera". Di ciò la Chiosa
dice: "Che
amministrano,
ovvero che sieno sopra gli
amministratori". E noi
soprastaremo
a l'orazione e a la predicazione". E piacque
il
detto a tutti, e
scelsorne
sette, de' quali, santo
Stefano fu il primo, e principale. E
menarolli dinanzi
a li
apostoli, e elli puosero le mani sopra loro. Sì che
Stefano, pieno di grazia e di
fortezza,
facea maraviglie
e segnali grandi nel popolo.
Abbiendone
astio gli giuderi,
disideravano di soperchiarlo
e di
convincerlo; e in tre modi l'
assalirono,
cioè con
disputazione, con producimento di testimoni,
e con tormenti. Ma elli sì li soperchiò ne la
disputazione,
e
convinse i testimoni ch'
erano
falsi, e de' suoi
tormenti
ebbe vittoria. E in
ciascuna
battaglia gli fu
dato
aiuto da
cielo. Ché ne la prima gli fu
dato lo Spirito
Santo che gli
apparecchiò il
bello parlare; ne la seconda
gli fu
dato il volto
angelico, il quale spaventòe i
falsi
testimoni; e ne la terza fu veduto Cristo
apparecchiato
ad
atarlo, il quale
confortòe lo martire. Ed in
ciascuna
battaglia pone tre
cose, cioè
assalimento di
battaglia,
aiuto
dato e trionfo
acquistato; sì che, scorrendo
brievemente
la storia, potremo vedere tutte queste
cose.
Faccendo santo Stefano molte maraviglie e predicando
spesso al popolo, li giuderi l'
assalirono prima
per la
disputazione. Ché si levarono
alquanti da la
sinagoga de' libertini, ch'
erano così
chiamati da la
contrada, ovvero libertini, cioè
figliuoli di liberti (ciò
sono
coloro che sono tratti di
servitudine e
fatti liberi,
cioè
franchi). E così
furono di schiatta di servi
quelli che prima
contrastettero a la
fede, e di
Cirenensi,
cioè de la
città di Cirene, e d'Alessandria, e di
quelli ch'
erano da Cilicia e d'Asia, e vennero a
disputare
con
Istefano. Ecco la prima
battaglia; ma odi la
vittoria: "e' non poteano, ciò
dice,
contrastare a la
sapienza"; poi pone l'
aiuto: "e a lo Spirito Santo,
il quale parlava".
Veggendo dunque che per
disputazione
nol poteano
soperchiare,
brigarsi di
convincerlo con
falsi testimoni
e
sommissero
due
falsi testimoni, che l'
accusassero di
quattro maniere di
bestemmia, cioè contro a Dio, e contro
a
Moises, e contro a la legge, e contro al
Tabernacolo,
ovvero tempio. Ecco la
battaglia; ma odi l'
aiuto:
e isguardando in lui, ciò
dice la storia,
coloro che sedevano
nel
concilio viddero il volto suo come volto d'
angelo.
E seguita la vittoria: i
falsi testimoni di tutte
queste
cose furono
confusi, imperò che 'l prencipe de'
sacerdoti il
domandò se queste
cose
fossono così. Allora
santo Stefano si
scusò di quelle
quattro
cose che gli
era
no apposte. E prima si
scusò de la
bestemmia contra
Dio,
dicendo che Dio il quale parlò a'
Patriarchi e
a' Profeti si fu Iddio di gloria.
Laddove loda
Domenedio
in tre modi, secondo che questa parola in tre modi si
puote
sporre. Ched e' sia Iddio di gloria, cioè
datore di
gloria, come
dice nel primo
libro de' Re secondo
capitolo:
"
Chiunque mi
farà onore, io il glorificherò".
Ancora Iddio di gloria, come
dice nel
libro de' Proverbi
ottavo
capitolo: "Meco sono le ricchezze e la gloria".
Anche Dio di gloria, cioè al quale si
dee
dare da
la
criatura gloria, come
dice san Paolo a Timoteo, la
prima Pistola nel primo
capitolo: "Al re de' secoli
non mortale e invisibile, solo Iddio, sia onore e gloria".
Lodato dunque che sia pieno di gloria e glorificativo
e da essere glorificato.
Nel secondo luogo si
scusa de la
bestemmia
contro
Moises lodandolo per molte guise. Ch'egli il loda
massimamente
da tre
cose, cioè da
fervore di
zelo, per ciò
ch'elli uccise quelli d'
Egitto percotente; anche da operazioni
di miracoli, i quali e'
fece ne l'
Egitto e nel
deserto; anche da
consolazione di Dio, ovvero
familiaritade,
per ciò che più volte parlava con Dio
familiarmente.
Nel terzo luogo si
scusa de la
bestemmia che
doveva
avere
detta contro la legge
commendandola per tre modi,
cioè per ragione di colui che la
diede, cioè Iddio; e per
cagione di colui che la
amministròe, ciò
fue
Moises, così
grande e cotale uomo; e per ragione del fine, cioè perché
dà vita.
Ne l'ultimo luogo si
scusa de la quarta e ultima
bestemmia che
doveva
avere
detta contro al
Tabernacolo,
ovvero tempio,
commendandolo di
quattro
cose, cioè che
fu
comandamento di
fare da Dio, anche
fue mostrato
per visione, anche fu
compiuto da
Moises, e perché
contenea in sé l'
arca. E 'l tempio
disse che succedesse
al
Tabernacolo.
E così il
beato Stefano del peccato a lui posto si
scusò
ragionevolmente.
Veggendo dunque gli giuderi che in questo modo
nol
potevano soperchiare, a la terza
battaglia mettono mano,
cioè di soperchiarlo
almeno non tormenti. De la qual
cosa
accorgendosi il santo, volendo servare il
comandamento
del Signore de la
correzione
fraternale, in tre
modi si sforzò di
correggerli e di
ritrarli da tanta malizia,
cioè per vergogna, per paura e per
amore. Per
vergogna, rimproverando loro la
durezza del
cuore loro
e la
morte de' santi,
dicendo così: "O voi col
capo
duro e che non siete
circumcisi de'
cuori e de l'orecchie,
voi sempre
avete
contrastato a lo Spirito Santo,
sì come
fecero li padri vostri.
Or quale de' profeti non perseguitarono i padri vostri
e
ucciserseli, i quali
annunziavano l'
avvenimento del
giusto Iddio?" Là
dove pone la Chiosa
tre gradi de la
loro malizia, cioè che
contrastettono a lo Spirito Santo,
e che perseguitarono li profeti, e che
crescendo la malizia
loro sì li uccisero. Ma udendo loro queste
cose
sì si
squarciavano li
cuori loro e
stridìano
co'
denti
contro di lui.
Poi gli
corresse con paura per quello che
disse che
vedea
Jesù a la
diritta parte de la virtù di Dio stare
ritto quasi
apparecchiato ad
atarlo ed a
condannare gli
avversari. Che, con ciò sia
cosa che fosse pieno di Spirito
Santo, guardando in
cielo vidde la gloria di Dio e
disse: "
Ecco che veggio il
cielo
aperto e 'l
figliuolo
de la Vergine stare a la
diritta parte de la virtù di
Dio". E
avvegna ch'elli gli
avesse
corretti per vergogna
e per paura, non ristettero per ciò ancora, ma
diventarono
peggiori che prima: ché gridavano a grande
boce
e
turavansi gli orecchi.
Dice la Chiosa: "Per non udire
il
biastemmiare". E tutti d'uno
animo
fecero
assalto
contro a lui, e
cacciandolo
fuori de la
città sì 'l lapidarono,
credendo in ciò
fare secondo la legge, la quale
aveva
comandato che 'l
biastemmia
tore fosse lapidato
fuori de le
mura.
E quei
due
falsi testimoni che la prima pietra gli
doveano gittare, secondo la legge che
dicea: "La prima
mano de' testimoni lapiderà lui", sì puosero le vestimenta
loro, acciò che al suo
toccamento non si
macchiassero
e per essere più spediti a lapidare, a' piedi
del giovane ch'era
chiamato
Saolo e poi fu
chiamato
Paolo; il quale, guardando le vestimenta di
coloro che
lapidavano, in ciò ch'egli li
fece più spediti a lapidare,
sì 'l lapidò quasi con la mano di tutti.
Ma non
potendoli
rimuovere di tanta malizia né per
vergogna né per paura,
aggiunse un altro modo di
ritrarli,
almeno per
amore. Or non fu elli grande
amore,
quand'elli pregò per sé e per loro così
divotamente?
Ché per sé pregò Iddio che la sua passione non si prolungasse
e
coloro non
avessero maggiore peccato. Lapidavano,
ciò
dice, Stefano
chiamante e
dicente: "Messere
Jesù Cristo ricevi lo spirito mio". E poste che
ebbe
le ginocchia in terra, gridò con grande
voce e
disse:
"Messere non ordinare loro questo peccato". Vedi
caritade
mirabile che, per sé pregando, stette ritto; ma
pregando per loro s'inginocchiò, quasi
desiderando d'essere
più
esaudito de la orazione che
facea per
coloro,
che di quella che
facea per sé. E
ben
fece che, sì come
dice la Chiosa, in quel tempo la
'niquitade di
coloro,
ch'era maggiore, sì richiedeva maggiore rimedio di
pregare.
In ciò seguitò questo martire Cristo, il quale ne
la Sua passione pregò
per sé
dicendo: "Padre ne le
tue mani raccomando lo spirito mio". E per
coloro che
'l
crocifiggevano
disse: "Padre, perdona loro, ché non
sanno che si fare". Ed abbiendo
detto questo,
dormìo
nel Signore.
Dice la Chiosa: "
Bel detto
fue
dormìo e
non morìo, che però ch'egli
sofferette sacrificio d'
amore,
dormìo ne la speranza de la resurressione.
Fatto
fue il
lapidamento di Stefano ne l'
anno che Cristo
montò in
cielo, nel prossimo mese d'
Agosto,
tre
dì
entrante.
E santo
Gamaliel e
Niccodemo, i quali
erano per li
cristiani in tutti i
concilii de' giuderi, sì lo seppellirono
nel
campo d'esso
Gamaliel e
fecero il pianto grande
sopra di lui. Allora fu
fatta grande persecuzione a li
cristiani ch'
erano in Gerusalem. Morto che fu santo
Stefano, il quale era uno de' grandi prencipi, si
cominciarono
a perseguitare
gravemente gli altri, intanto che
tutti
fuggirono; ché gli
apostoli, i quali
erano più
forti,
s'
andarono spandendo per tutta la provincia de' giuderi,
secondo che 'l Signore Cristo avea loro
comandato:
"Se vi perseguiteranno ne l'una
città,
fuggite ne
l'altra".
Racconta Agostino, nobile
dottore, che santo Stefano
fece miracoli sanza novero e sucitò
sei morti
per li suoi
meriti e molti infermi
curòe da
diverse infermitadi.
E fuori di questi racconta altri miracoli
degnamente
da ricordare. Ché
dice che
fiori erano posti in
su l'
altare del
beato santo Stefano e, tolti
dond'erano,
posti sopra gl'infermi, e immantanente erano sanati.
Ancora i panni presi del suo
altare e posti sopra gl'infermi
erano a gli 'nfermi medicina che, sì come egli
dice nel
XXII capitolo nel
libro de la
Città di Dio: "I
fiori tolti d'in su lo
altare suo e posti sopra gli occhi
d'una
femmina
cieca, incontanente riebbe il vedere".
Dice anche in quello
libro che uno uomo de' maggiorenti
de la
città, il quale avea nome Marziale,
essendo
infedele e non potendo essere
convertito a la
fede con
ciò fosse
cosa che fosse infermo, il
genero suo molto
fedele se n'andò a la chiesa di santo Stefano e tolse
de'
fiori ch'elli trovò in su l'
altare di santo Stefano,
e
puoseli al
capo del letto del suocero,
nascosamente.
Quando quelli v'
ebbe
dormito su, immantanente innanzi
che fosse la mattina, gridò che fosse mandato al vescovo.
Non
essendovi il vescovo, venne un prete a lui e,
dicendo che
credeva, sì 'l
battezzòe. Costui mentre che
visse sempre
ebbe in
bocca questa parola: "Cristo ricevi
lo spirito mio"; non sappiendo egli che queste
furono le sezzaie parole che
disse santo Stefano.
Anche racconta simigliantemente un altro miracolo
d'una
donna ch'avea nome
Petronia, la quale,
essendo
tormentata lungo tempo di gravissima infermità e
aggiugnendo
molti rimedii, non sentìa via veruna d'essere
liberata. A la perfine
ebbe
consiglio con uno giudeo,
il quale le
diede uno
anello con una pietra e
appiccogliele
al
collo, acciò che per vertù de la pietra ricevesse
beneficio di santade. Ma veggendo che non le valea
nulla,
andonne ratto a la chiesa del primo martire e
pregòe
perseverantemente santo Stefano per la sua sanitade.
Subitamente, non
essendo sciolta la
cordella e
rimagnendo senza
danno l'
anello, sì le saltò dal
collo,
e immantanente si trovò sanata
perfettamente.
Anche racconta un altro
miracolo non meno da
maravigliare. Ché a Cesaria di
Capodoccia avea una
gentile
donna
abbandonata dal
sollazzo di
marito, ma
attorniata di nobile
moltitudine di
figliuoli, che
dieci
figliuoli si
dice che
ebbe, i
sette maschi e le tre
femmine.
Sì che una volta
essendo offesa da loro, sì
diede
loro la sua maladizione, e subito dopo la maladizione
venne la vendetta di Dio; e tutti
furono percossi d'una
simigliante e orribile pena: ché a tutti tremavano orribilmente
tutte le
membra. Per la qualcosa troppo
dolorosi
e non patendo d'essere veduti da i loro
cittadini,
per tutto il
mondo
cominciarono ad
andare scorrendo, e
dovunque
andavano ogni persona gli guatava per maraviglia.
Li
due di
costoro,
fratello e
sirocchia, ciò fu
Paulo e
Paladia,
venoro ad
Ippone, a quella
città
dove
Agostino era vescovo, e
contarolli quelle
cose che erano
loro intervenute.
Sì che usando la chiesa di santo Stefano bene quindici
dì anzi la
Pasqua, abbiendo con molti
prieghi
domandato
santade al
detto martire, in quello
die de la
Pasqua
essendo il popolo spesso ne la chiesa, Paolo
subitamente
entrò nel
cancello de l'
altare e, con molta
fede e reverenza, si gittò in orazione dinanzi a l'
altare;
e con ciò sia
cosa che
coloro ch'erano presenti
aspettassono la
fine del
fatto, subitamente si levò sano
e lieto, che mai poscia non
ebbe triemito veruno nel
suo
corpo.
Essendo
menato ad Agostino, elli l'
appresentò
al popolo, e 'l seguente
die
promisse di
dare al
popolo un libello del raccontamento di lui. E parlando
Agostino in questa maniera al popolo, la
serocchia di
colui era presente,
entròe ne'
cancelli di santo Stefano,
incontanente, sì come ella si levasse da
dormire, si levò
subitamente sana. Ella
essendo
simigliantamente
menata
nel mezzo dinanzi al popolo così liberata, grandi
grazie
furono rendute e al suo martire santo Stefano.
Orosio tornando da
Gironimo ad Agostino, sì li portò
alcune reliquie di santo Stefano, a le quali i predetti
miracoli e molti altri
furono
fatti.
E nota che in questo
die non fu passionato santo
Stefano, ma in quello
die, ciò si
dice, che si
fa
festa
de la invenzione del
corpo suo; la
cagione perch'ella
fu
mutata, sì
diràe quando noi parleremo de la invenzione.
Basti al presente quello che
detto è, che la Chiesa
per
due
ragioni volle ordinare queste tre
feste che
vegnono dopo il
Natale. La prima
cagione si fu per
aggiungere a Cristo, il quale è sposo e
capo, tutti i
suoi
compagni; ché nato Cristo, sposo de la Chiesa, in
questo
mondo tre
compagni s'
aggiunse, de' quali
compagni
dice la
Cantica: "Il
diletto mio e
candido e
vermiglio,
scelto tra migliaia". Candido quanto ad
Joanni
vangelista, prezioso
confessore;
vermiglio quanto a Stefano
primo martire; scelto tra mille quanto a la turba
verginale de li
Innocenti che
furono morti dal re
Erode.
La seconda
cagione si è, acciò che la Chiesa
adunasse
così le generazioni di tutti i martiri insieme secondo
il grado de la
dignità, de' quali martiri la nativitade
di Cristo
fue
cagione. Ch'elli è martirio in tre modi:
il primo si è di
volontade e opera; il secondo si è
di
volontade e non d'opera; il terzo è d'opera, ma
non di
volontade. Il primo
fue del
beato santo Stefano,
il secondo fue del
beato santo Giovanni, il terzo fue
ne' santi
Innocenti.
cap. 9, S. Giovanni ap.La vita sua scrisse
Mileto, vescovo di
Laudicea,
e
Isidoro l'
abbreviò nel
libro che
fece de la vita e de
la
morte de' santi Padri.
Giovanni,
apostolo e
vangelista,
amato dal Signore,
ed
eletto vergine dopo la Pentecoste,
essendo partiti gli
apostoli se n'andò in Asia, là
dove molte
chiese
fondòe.
Sì che
Domiziano imperadore, udendo la sua
fama, sì
mandò per lui e
comandò che fosse messo in una
caldaia d'olio
bogliente dinanzi a la porta
latina. Ma
esso n'uscì fuori senza veruno male, sì come egli era
straniero da
corruzione di
carne. Veggendo dunque lo
'mperatore che per questo non si rimanesse di predicare,
sì 'l mandò a'
confini ne l'
isola di
Patmos; nel
quale luogo stando solo scrisse l'
Apocalissi.
In quello medesimo
anno lo 'mperadore per la troppa
crudeltà ch'era in lui, sì fu morto, e ciò ch'elli avea
fatto
sì fu
cassato e
reso vano dal sanato di Roma. E così
avvenne che 'l
beato Giovanni, il quale con ingiuria era
trasportato in quell'
isola, si ritornò in
Efeso con grande
onore. E
feceglisi incontro tutta la
moltitudine d'uomini
e di
femmine
dicendo: "
Benedetto sia que' che viene
nel nome del Signore". Ed
entrando ne la
cittade,
Drusiana, la quale sempre l'avea seguitato, si era portata
morta di fuori. Sì che elli li si
fecero incontro
da presso le vedove e li
orfani
dicendo: "O santo
Giovanni, ecco
Drusiana morta, che la portiamo a sotterrare,
che sai ch'ella obbediva a li tuoi
comandamenti,
e tutti noi nutricava, e sempre
desiderava che
tu tornassi, e
dicea: Or s'io vedrò l'
apostolo di Dio
innanzi ch'io muoia!
Ecco che
se' venuto, e non t'ha
potuto vedere". Allotta
fece portare giù il
cataletto e
isciogliere lo
corpo, e dinanzi a tutti
disse con
chiara
voce: "Il Signore mio
Jesù Cristo sì ti
desta,
Drusiana,
leva su, e
vattene a
casa tua e
apparecchiami da
mangiare". Quella si levò incontanente e
cominciò ad
andare sollicita del
comandamento de l'
apostolo; e pareale
ch'ella fosse
destata anzi dal sonno che da la
morte. Allora fu
fatto un grido di popolo bene per
tre ore, e
dicevano: "Uno è lo Dio lo quale predica
Giovanni, uno è il Signore
Jesù Cristo".
L'altro
die
Craton,
filosofo, nel mercato
chiamòe
il popolo per mostrare come il
mondo era da sp
rezzare;
e avea già a
due ricchissimi
fratelli giovani
fatto
barattare
tutto 'l
patrimonio loro e
comperarne
gemme
preziose; e quelle avea
comandato che
fossero
spezzate
dinanzi a tutto il popolo. Sì che
avvenne che
l'
apostolo passava indi, onde
chiamò a sé il
filosofo e
dannòe questo
sp
rezzamento di
mondo che non fosse
buono per tre
ragioni: Primieramente perché è lodato
per
bocca d'uomini e
condannato per giudicio di Dio; secondariamente
perché di cotale
spregio non sono purgati
li vizii, e però si è vano, come la medicina è
detta
vana quando la 'nfermità non è
curata; nel terzo luogo
perché cotale
spregio non è
meritorio quando l'uomo
non
dà il suo a li poveri, come
disse il Signore a quello
giovane: "Se tu vuogli essere perfetto va e
vendi
ciò che tu hai, e
dà a' poveri, e vieni
dopo a me".
Disse
Craton
filosofo: "S'elli è veracemente Iddio il
maestro tuo, e vuole che il prezzo di queste
gemme si
dea a' poveri,
fa sì ch'
elle
diventino intere, acciò che
quello ch'io
feci a laude de li uomini, tu il
faccia a
gloria di colui lo quale tu ricordi che fu tuo maestro".
Allora santo Giovanni
raccogliendo i
minuzzoli de le
gemme,
fece orazione e
disse: "Signore
Jesù Cristo,
il quale per la
croce
riparasti lo
mondo, che rendesti
lume a colui ch'era nato
cieco e che
richiamasti
Lazzaro
a vita, che tutte le
'mfermitadi
curasti, per la
tua virtude, or ricovera queste pietre per le mani di
santi
angeli, le quali sono
spezzate a loda de gli uomini
dico loro che non sanno che sia il
frutto de la
limosina".
E rispondendo i
fedeli "
Amen",
rassaldate
sono le rotture de le
gemme, e
diventarono intere com'erano
imprima. Incontanente il
filosofo, con quelli
due giovani e con tutti gli altri
discepoli,
credette, e
vendendo le
gemme, tutto
diedero a' poveri e seguitarono
l'
apostolo.
Anche
due altri giovani orrevoli, che l'uno avea
nome
Azzio e l'altro
Cugio, ad
essemplo di costoro,
venduto ogni
cosa e
dato a' poveri, seguitarono l'
apostolo,
il quale per la
divina vertude
facea molti miracoli.
Sì che un
die costoro veggendo i servi loro splendenti
di preziose vestimenta e sé vestiti d'un mantello misero
e
bisognosi, sì si
cominciarono a
contristare. L'
apostolo,
veggendo ch'elli erano tristi ne la
faccia, si
fece
recare verghe e pietre
minute da la riva del mare e
convertille in oro e in
gemme preziose; e per
comandamento
de l'
apostolo
andarono
cercando e
mostrandole
per
sette
dì a tutti gli orafi e gemmieri; e poi
tornarono e
dissero che
coloro non
aveano mai veduto
così puro oro, né così preziose
gemme.
Disse a loro
l'
apostolo: "Or
andate e
ricomperatevi le terre che
voi vendeste, però che voi
avete perduto i guiderdoni
del
cielo. Siate
fioriti, acciò che
infracidiate; siate
ricchi temporalmente, acciò che
mendichiate perpetualmente".
Allora l'
apostolo
cominciò a
disputare lungamente
contra le ricchezze, mostrando che
sei
cose sono quelle
che ci
debbono ritrarre dal
distemperato
appetito de le
ricchezze. La prima
cosa si è la Scrittura, onde raccontòe
la storia del ricco
ghiotto, lo quale il Signore
riprovòe,
e di
Lazzero povero, lo quale
elesse. La seconda
cosa
sì è la natura, però che l'uomo nasce
ignudo, sanza
ricchezze, e così si muore. La terza si è la
criatura,
per ciò che 'l sole, la luna, e le stelle, e l'
aere, e la
pioggia a tutti
comunemente
danno li loro
benefici; e
così
fra gli uomini
dovrebbono essere tutte le
cose a
comune. La quarta si è la ventura; ché
dice che il ricco
diventa servo del
danaio
e del diavolo; del danaio,
ché non possiede le ricchezze, ma è posseduto da
esse
ricchezze
maggiormente;
del diavolo, ché l'amatore
del danaio, secondo il Vangelio, è servo di Mammona.
La quinta è la
sollecitudine, però che molta
sollecitudine
hanno di
die e di notte, ora in
acquistare, ora
in
conservare, ché le ricchezze s'
acquistano con
fatica
e
conservansi con paura. La sesta si è il
danno;
e mostra che le ricchezze sono
cagione di
due
danni,
l'uno in
acquistamento di
doppio male, cioè del male
nel tempo presente, lo qual è superbia, e del male nel
tempo che
deve venire, lo quale è l'
eternale
dannazione;
e l'altro si è il
perdimento di
doppio bene, cioè
del
bene nel tempo presente, lo quale è la grazia, e
del
bene nel tempo che
dee venire, lo quale è l'
eternale
gloria.
Dicendo dunque santo Giovanni queste
cose contro
a le ricchezze, ecco venire uno giovane morto che si
portava a sotterrare, il quale era stato pure
XXX dì
con la moglie ch'egli avea tolta e
menata. Venendo
dunque la madre vedova e tutti
coloro che 'l piangevano
con
lagrime, si gittarono a' piedi de l'
apostolo,
pregando ch'elli
suscitasse il giovane com'elli avea
fatto
Drusiana. Sì che piangendo l'
apostolo per colui
lungamente e stando in orazione, il giovane ch'avea
nome
Stattes si levò suso immantanente; e,
fatta
l'orazione,
comandò che fosse isciolto il
corpo, e
disseli:
"O giovane, il quale tratto per l'
amore
carnale
tosto perdesti l'
anima, i' ho
fatto
priego al Signore
per la ignoranza tua che ti risusciti, sciolto del
legame de
la
morte". E
comandolli che
dicesse a quelli
due
discepoli in quanta pena
fossero
caduti e quanta gloria
avessero perduta.
Allora il giovane
cominciò a narrare molte
cose
ch'elli avea vedute de la gloria di Paradiso e de
le pene de lo inferno, e
disse: "O voi miseri, io
vidi gli
angeli vostri piangere e li
demoni ridere; voi
avete perduti li
eternali
palagi li quali sono splendienti,
di
gemme
fabbricati, e
contengono
chiarezza maravigliosa,
e ripieni di
copiosi mangiari e pieni di
delicatezza
e gloriosi d'
allegrezze e che perpetualmente
debbono
permanere". Anche
disse
otto pene ch'erano in
ninferno, le quali si
contengono in questi versi:
Vermini e tenebre, tormento, freddo e fuoco,
Aguardamento di demoni, confusione de' peccati e pianto.
Allora quelli ch'era suscitato e quelli
due
discepoli,
Azzio e
Cugio, gittandosi a' piedi de l'
apostolo, lo pregarono
di misericordia. A i quali
disse l'
apostolo: "
Fate
penitenzia
XXX dì e infra questi
dì
pregate che le
verghe e le pietre ritornino ne la loro prima natura".
E
fatta la penitenzia,
disse loro: "
Andate, e sì le riponete
colà
donde voi le recaste". E
fatto ciò, e tornate
le verghe e le pietre ne la loro natura, ricevettoro
tutta la grazia de le virtudi, la quale eglino
aveano
avuta di prima.
E predicando santo Giovanni per tutta l'Asia, li
coltiva
tori de li idoli
commovendo il popolo a romore,
traevano l'
apostolo al tempio di
Diana per
costrignerlo
di
farle sacrificio. A' quali l'
apostolo
diede cotale partito
che od elli al
chiamamento di
Diana
facessero rovinare
lo tempio di Cristo, ed elli
adorerebbe gl'idoli;
o esso al
chiamamento di Cristo
facesse rovinare il
tempio di
Diana, ed
ellino
credessimo in Cristo. E
consentito
a questa sentenzia da la maggiore parte del
popolo, uscendo tutti del tempio, l'
apostolo
fece orazione
e il tempio
cadde e la imagine di
Diana si
minuzzò
tutta quanta. Allora si
convertirono in quel
die
dodicimila di pagani, trattone i
fanciulli e le
femmine,
e
furono tutti
battezzati.
Sì che
Aristodemo, prencipe ovvero pontefice de
gl'idoli,
commosse un grande romore nel popolo, sì che
l'una parte s'
apparecchiava a
combattere con l'altra.
Al quale
disse l'
apostolo: "Che vuogli tu ch'io
faccia
acciò che tu sia placato?" E quelli
disse: "Se
tu vuogli ch'io
creda ne lo Iddio tuo io ti
darò a
bere
veleno e, se non ti
farà male veruno, si mostrerà che 'l
tuo Iddio sia verace signore".
Disse l'
apostolo: "Or
fa come tu hai
detto". E quelli
disse: "Io voglio che
tu ne veggia morire
altrui acciò che tu n'
abbia maggiore
paura".
Andonne dunque
Aristodemo al proconsolo
de la terra, e fecesi
dare
due uomini da essere giustificati
a la
morte e d'essere
smozzicati, e
diede loro
bere il veleno dinanzi a tutta la gente. Sì tosto come
l'
ebbero
bevuto, si morirono quelli
due uomini. Allora
l'
apostolo tolse il
calice e,
armandosi col
segno de la
santa Croce,
bevette tutto il veleno e non gli
fece male
veruno; per la qualcosa tutti
cominciarono a lodare Iddio.
Allora
disse
Aristodemo: "Ancora sono rimaso in
dubbio; ma se tu
risuciterai questi che sono morti
del veleno, sanza
dubbio
crederò
veramente". Allora
l'
apostolo gli
diede la tonica sua. E quelli
disse: "Perché
m'hai tu
dato la tonica tua?"
Disse l'
apostolo:
"
Hollati
data perché tu così vituperato ti parta da la
tua infedelità". E quelli
disse: "E
farammi
credere
la tonica tua?"
Disse l'
apostolo: "Va e polla sopra
i
corpi de' morti, e
di' così: l'
apostolo di Cristo m'ha
mandato a voi, ché voi vi leviate nel nome di Cristo".
E
fatto ciò, tanto tosto si levarono
vivi ritti. Allora il
pontefice e il proconsolo
credette
ro con tutto il loro
parentado. L'
apostolo gli
battezzo nel nome di Cristo. E
spezzando l'idole loro, e' sì
fecero una chiesa ad onore
de l'
apostolo.
Racconta santo Clemente, come si truova nel
terzo
libro de la Storia
Ecclesiastica, che ad un
tempo
avvenne che l'
apostolo
convertìo un
bellissimo
giovane e
forte a la
fede, e
raccomandollo a uno vescovo
sotto nome di
diposito. Ma dopo alcuno tempo
il giovane
abbandonòe il vescovo e
diventòe
capitano di
ladroni. Allora l'
apostolo se ne venne al vescovo e
raddomandògli
il suo
diposito. E il vescovo intendendo d'alcuna
quantità di pecunia e di ciò maravigliandosi
fortemente,
l'
apostolo gli
disse: "Io ti
raddomando quello
giovane ch'io ti raccomandai con
cotanto
studio". E
quelli
disse: "Padre santo, elli è morto ne l'
anima,
e sta nel cotale monte con li ladroni, ed è loro
capitano".
Quelli, udendo ciò,
istracciò il vestimento suo
e,
battendosi il
capo con le palme, sì
disse: "
Buono
guardiano ti lasciai de l'
anime del prossimo!".
Incontanente si
fece
apparecchiare uno
cavallo, e
montovvi suso, e
corse a quel monte sanza nessuna
paura. E 'l giovane
veggendolo, per la grande vergogna
incominciò a
fuggire. L'
apostolo, ch'era smontato del
cavallo, vi risalì suso, e quegli
fugge più ratto. Allora
l'
apostolo,
dimenticata l'
etade,
punse
fortemente il
cavallo
con li sproni, e grida
forte
dietro a colui che
fuggìa, e
dice: "Perché,
figliuolo
dolcissimo,
fuggi tu'
padre? perché hai paura l'
armato del
disarmato? non
temere,
figliuolo mio, che per te renderò ragione a Cristo,
e per te
saddisfarò. E
certamente per te morrò volentieri
come Cristo morì per noi. Ritorna,
dolce
figliuolo,
ritorna al Padre tuo, però che Cristo mi manda a te".
Quegli, udendo ogni
cosa,
ebbe
contrizione nel
cuore,
ritornòe e pianse
amarissimamente. E l'
apostolo gli si
gittò a' piedi, e
cominciogli a
basciare la mano come
fosse già purgato per la penitenzia. Sì che
digiunando
e pregando l'
apostolo per colui, sì li
accattò perdonanza,
e poi lo
fece vescovo.
E
leggesi in quella medesima Storia
Ecclesiastica,
e truovasi ne la Chiosa sopra la seconda Pistola
canonica
di santo Giovanni, che
essendo egli ad
Efeso
entrato in uno
bagno per lavarsi,
trovovvi entro uno
eretico
ch'avea nome
Cerinto. Sì che immantanente n'uscì
fuori così
dicendo: "
Fuggiamo quinci acciò che non
ci rovinino le
bagnora addosso, ne' quali è lavato
Cerinto,
nemico de la
fede"
. E
dicono alcuni che sì tosto
come ne
furono usciti, le
bagnora rovinarono.
Anche
essendo a san Giovanni offerto un uccello
vivo, ch'è
chiamato starna, e elli il toccasse quasi
dileticando con la mano, uno giovane, udendo ciò, sì
rise e
disse a'
compagni suoi: "Vedete come quello
vecchio si trastulla con l'uccello com' uno
fanciullo!"
La qualcosa
conoscendo l'
apostolo per spirito,
chiamò
a sé il giovane e
disseli: "Che tieni tu in mano?"
E quelli
disse: "Tengo l'
arco con che io
saetto a le
bestie e a li uccelli".
Disse l'
apostolo: "Tendi l'
arco".
Quando quelli l'
ebbe teso e tenevalo così teso
in mano e l'
apostolo non gli
diceva più nulla, sì
distese
l'
arco.
Disse l'
apostolo: "Perché
stendesti l'
arco?"
E que'
disse: "Però che se fosse tenuto teso
lungo tempo, e' sarebbe più
debole a li strali che si gittano".
Disse l'
apostolo: "Così è,
figliuolo mio, l'umana
fragilitade, che
diventerebbe meno
forte a la
contemplazione
se sempre stesse ne la sua
fortezza e se
l'uomo rifiutasse d'inchinarsi alcuna volta a la sua
fragilità. Ché l'
aquila, la quale vola più
alto di tutti
gli uccelli e vede il sole più
chiaramente, impertanto
sì scende a
basso per la nicistà de la natura. Così è
l'
animo de l'uomo, quando egli si ritrae un poco de
la
contemplazione; per ispesso
rinnovamento si va più
ardentemente a le
cose
celestiali!" La sua predica
confermava con molti miracoli in tale maniera che per
lo
toccamento de la sua vesta erano sanati l'infermi
e
scacciate le
demonia e
mondati i lebbrosi.
Ma con ciò fosse
cosa che 'l
beato Giovanni fosse
venuto infino a l'ultima vecchiezza
e dimorasse in
Efeso,
come
dice
Jeronimo, in tal modo che appena era portato
a la chiesa
fra le mani de'
discepoli, non potendo
dire molte
cose, ad ogni
riposata
dicea queste parole:
"
Figliuoli,
amatevi insieme". A la perfine
coloro che
con lui erano, maravigliandosi che elli
dicea spesso
quelle medesime parole, sì li
dissero: "Maestro perché
parli tu sempre quelle medesime parole?" E quelli
disse: "Perché gli è
comandamento del Signore, e se
questo solo è
fatto, sì
basta ed è
amato Cristo.
Anche racconta ch'elli n'andò che,
dovendo
Giovanni
vangelista scrivere il Vangelo, imprima impuose
il
digiuno acciò che pregassero Iddio che gli
desse
a scrivere
degne
cose. E
dicesi ch'egli oròe per quel
luogo segretissimo, nel quale era
cansatosi a scrivere
le
divine
cose,
ched elli non vi
patisse ingiuria veruna
di vento né di
piova mentre che
soprastesse a quella
opera. E questa reverenza
fanno gli
elementi a quello
luogo infino al dì d'oggi.
Con ciò fosse dunque
cosa ch'elli
avesse
LXXXXVIII
anni da la passione di Cristo, secondo che
dice
Isidoro,
ne gli
anni
LXVII sì li
apparve il Signore con li
discepoli
suoi, e
disse: "Vieni,
amato mio, a me, ch'egli è
tempo che tu mangi
co' tuoi
fratelli ne la mensa mia".
Sì che levandosi, l'
apostolo
cominciò ad
andare. E
disse
lo Signore: "
Domenica, il
die de la mia resurressione,
che sarà da oggi a
cinque
die, ne verrai a me".
Vegnente la
Domenica, tutto il popolo si ragunò ne
la chiesa ch'era
fatta al suo nome. E elli dal primo
canto
dov'elli predicòe loro,
confortandogli,
dice che
stessono
fermi ne la
fede e
ferventi ne li
comandamenti
di Dio. Poscia
fece
fare una
fossa quadrata
lungo l'
altare e gittare la terra fuori de la chiesa; e
scendendo ne la
fossa con le mani levate al
cielo,
e' sì
disse: "Io invitato al tuo
convito, Signore
Jesù,
ecco che vegno e
fotti grazie che mi
degnasti invitare
a' tuoi mangiari sappiendo, Signore mio, ch'è con
tutto il
cuore". E,
fatta l'orazione, tanta luce e
splendore
sopra lui
risplendette che nessuno lo poteva vedere.
E, partendosi il lume, la
fossa fu trovata piena di
manna, e infino al
die d'oggi vi si genera in quel luogo
in tal modo che nel
fondo de la
fossa
pare che
rampolli
al modo di
rena
minuta, come suole
avvenire ne le
fontane. Nel quale luogo sono liberati tutti da tutte
infermitadi e
pericoli, e sono
esauditi de' loro
prieghi.
San
Eadsmondo, re d'Inghilterra, non negava mai
nulla a chi
domandasse nel nome di santo Giovanni
evangelista, onde
avvenne che un pellegrino
domandava
al re
limosina molto
improntamente nel nome
de l'
apostolo, non
essendovi il
camarlingo. Al quale il
re, non abbiendo che
dare di presente, il prezioso
anello
che teneva in mano sì li porse. E dopo molti
dì un
cavaliere d'Inghilterra,
essendo oltremare, ricevette il
detto
anello da quello pellegrino che 'l
dovesse rimandare
al re con queste parole: "Quelli a
cui e per lo
cui
amore tu
desti questo
anello, sì 'l ti rimanda".
La qualcosa udendo il re molto ne fue lieto. Onde
apertamente
si manifesta che santo Giovanni gli fosse
apparito
in
forma di pellegrino.
Dice
Isidoro nel
libro de la Vita e de la
Morte
de' Santi Padri: "Santo Giovanni mutòe in oro le
verghe
frondute de la selva, e le pietre de la riva del
mare in
gemme, e le rotture de le
gemme ne la loro
natura. Al suo
comandamento risucitò la vedova, e il
corpo morto del giovane; rimagnente l'
anima, sì
riparòe;
bevendo
beveraggio mortale,
campòe il
pericolo, e
gli
abbattuti del veleno, sì li recò a stato di vita".
cap. 10, SS. InnocentiInnocenti son
detti per tre
ragioni, cioè per ragione
de la vita, per ragione de la pena e per ragione de
la innocenzia
acquistata. Per ragione de la vita, però
che non
nocquero a nessuno, né a Dio per
disubbidienza,
né al prossimo per ingiustizia, né a loro medesimi, per
alcuna
macola di peccato, come
disse il Salmo: "Li
innocenti e
diritti s'
accostarono a me". L'innocenti
de la vita, e
diritti ne la
fede. Anche per ragione de
la pena, però che innocentemente e sanza
colpa
furono
morti, come
dice il Salmo: "Sparsero lo sangue innocente".
Anche per ragione de l'innocenzia acquistata,
per ciò che in esso martirio
furono
battezzati nel sangue
loro, ed
acquistarono la innocenzia
battismale e
furono
mondati dal peccato originale.
Dice il Salmo:
"Guarda la innocenzia, e vedi l'
aguaglianza", cioè a
dire, guarda la innocenzia del
battesimo, e poi vedi
l'
aguaglianza de la
buona operazione.
Li innocenti
furono morti da
Erode
Ascalonita.
Tre
Erodi
furono molto infamati di
crudeltade. Il primo
fu
detto
Ascalonita, sotto il quale nacque il Signore, e
che uccise l'innocenti
fanciulli per uccidere
Jesù. Il
secondo fu
detto
Antipas, il quale
dicollò Giovanni Batista.
Il terzo fu
detto
Agrippa, il quale uccise Jacopo
Maggiore e incarcerò san Piero. Onde ne sono
fatti
versi:
Lo Strilonita uccise i fanciulli, e Antipas Giovanni Batista:
Agrippa santo Jacopo, rinchiuse in carcere san Pietro.
Veggiamo prima la storia del primo
Erode
brievemente.
Antipater
Idumeo, come si legge ne le Storie
Scolastiche,
ebbe per moglie la nipote del re de li
Arabi
de la quale
ebbe uno
figliuolo ch'
ebbe nome
Erode, il
quale poi fu
detto
Ascalonita. Questi
ebbe da lo imperadore
il reame di Giudea, e allora di prima fu tolta
la verga reale da la schiatta de' giudei. A costui nacquero
sei
figliuoli:
Antipater,
Alessandro,
Aristobolo,
Arcolaeo,
Erode
Antipas e
Filippo. Li
due, cioè
Alessandro e
Aristobalo, nati d'una medesima madre
la quale fu giudea, sì li mandò a Roma a studiare ne
l'
arti liberali, e poscia li richiama da lo
studio. Ed era
Alessandro
grammatico e Aristobolo agrissimo
contenditore,
sì che già licitamente tencionavano col padre
di
subcedere al reame.
De la qualcosa offeso, il padre si sforzava di porre
Antipater innanzi a loro. Sì che trattando questi
due
de la
morte del padre e per questo
essendo
cacciati
dal padre, sì se n'
andarono a lo 'mperatore a porre
richiamo de la ingiuria del padre.
Infra questo tempo vegnono i Magi in Gerusalem a
domandare
diligentemente del
nascimento del
novello re.
Erode, udendo ciò, sì si turbòe temendo che de la schiatta
di
coloro che
dovevano essere
veraci re, non fosse nato
alcuno il quale il
cacciasse come persona ch'
avesse
assalito
il reame; sì che pregòe li Magi che,
comunque
l'
avessero trovato, sì glielo
dovessero
annunziare, infignendosi
di
volerlo
adorare, lo quale egli voleva uccidere.
Ma i Magi tornarono per un'altra via ne la
contrada
loro. Ma veggendo
Erode che non tornarono da
lui,
credette che
fossono ingannati per la veduta de la
stella, e così per vergogna non
fossono tornati da lui;
e però avea
ritrattato l'
animo da
fare inquisizione del
fanciullo. Ma udendo quello che i pastori
aveano
detto e
quello che
aveva
profetato
Simeone e
Anna,
ebbe grande
paura e
credettesi essere
beffato
da' Magi. Allora
Erode
cominciò a trattare de la
morte de'
fanciulli ch'erano
in Betleem, acciò che,
uccidendoli, uccidesse colui lo
quale per se medesimo non sapea quale fosse esso.
Ma a l'
ammonizione de l'
angelo,
Gioseppo col
fanciullo
e con la madre
fuggìe in
Egitto ne la
città di
Ermopoli,
e stettervi
sette
anni, insino a la
morte di
Erode.
E
intrando dunque il Signore ne lo
Egitto, secondo la
profezia d'Isaia, tutte l'idole
cadranno. E sì come ne
l'uscita de'
figliuoli d'Israel de l'
Egitto non rimase
casa in
Egitto dove non giacesse morto il primogenito,
così ora non fu tempio dove non
rovinasse l'idoli.
Dice ancora
Cassiodoro ne la Storia Tripartita che in
Ermopoli di Tebaida hae un
albore, ch'è
detta
perside,
valevole a molte infermitadi; se lo
frutto o la
foglia o
parte de la
corteccia sia legata al
collo de l'infermi, li
sana. Sì che
fuggendo la
beata Vergine Maria col suo
figliuolo, questo
albore s'inchinòe insino a terra e
adoròe
umilemente il
fanciullo. Infino a qui
dice
Cassiodoro.
Sì che ordinando
Erode la
morte de'
fanciulli, fue
richiesto per lettere da lo 'mperatore che
andasse a rispondere
a le
accuse de'
figliuoli. Il quale,
faccendo passamento
per la
città di Tarso, intese come le
navi di
Tarso
aveano trasportato li Magi. E per ciò, in ispirito,
forte
comandò che
fossero
arse le
navi, sì come
predetto era per lo profeta: "Ne lo spirito
forte
abbatterrà
le
navi di Tarso". Sì che litigando il padre
co'
figlioli dinanzi a lo 'mperadore, fue sentenziato che
i
figliuoli in tutto ubbidissono al padre, ed elli lascerebbe
lo reame a cui volesse. Tornando dunque
Erode,
e per la sua
confermagione
fatto più
ardito, mandòe e
fece uccidere tutti i
fanciulli ch'erano in Betleem e in
tutti i suoi
confini, da
due
anni in giuso, secondo il
tempo ch'egli avea
spiato
da' Magi.
Ma questo si puote intendere in
due modi: l'uno modo
che
dica così l'ordine del tempo, e sarà a
dire da
due
anni, e da indi in giù, cioè de'
fanciulli di
due
anni
infino a'
fanciulli d'una notte. Ché
Erode avea
apparato
da' Magi il
die che la
stella era
apparita di prima
a loro, e però che già era scorso uno
anno in ciò ch'era
andato a Roma e tornato. Onde
credeva che 'l Signore
fosse d'uno
anno e ancora d'
alquanti
dì. E però sopra
la natura sua infino a quelli di
due
anni e, da indi
in giù, infino a quelli d'una notte, in tutt'i
fanciulli
incrudelìo, temendo che 'l
fanciullo, al quale servivano
le stelle, non si
trasformasse ne la
faccia più su che
la sua
etade, ovvero da indi in giù.
E questa sentenzia è più
comunale ed è tenuta più
verace. Ma Grisostomo
dice che in giù,
dica l'ordine
del novero, e sarà a
dire di
due
anni in giù, cioè da
fanciulli di
due
anni infino a
fanciulli di
cinque
anni.
Però che
dice
la stella apparì a li Magi uno
anno
prima che Cristo nascesse. Ed
Erode, poi ch'
ebbe saputo
da' Magi queste
cose,
andando a Roma indugiò
anche uno
anno, ché
credea che 'l Signore fosse nato
allora quando la
stella
apparve a' Magi. E però
credea
che 'l
fanciullo
avesse
due
anni. Onde
fece uccidere i
fanciulli di
due
anni, cioè quelli
c'
avessono
due
anni e,
da indi innanzi, infino a quelli c'
avessono
cinque
anni,
ma non toccòe di meno di
due
anni. E uccisegli sopra
l'
etade, e da indi in giù, per la ragione di sopra.
Al quale
detto
pare che si
debba
dar
fede, ché si
truovano alcune ossa de li innocenti sì grandi, che non
possono essere di
fanciulli di
due
anni. Ma puossi rispondere
che allora erano
assai di maggiore grandezza
gli uomini che non sono oggi. Ma esso
Erode immantinente
in quel
fatto fue punito che, come
dice
Macrobio
e truovasi in una
Cronica, uno
figliuolo
piccolino
di
Erode per
avventura v'era stato
dato a nutricare,
il quale con esso gli altri fu morto
da' giustizieri. Allora
fu
compiuto quello ch'era stato
detto per lo profeta:
"
Voce di pianto e d'
urlato de le pietose
madri fu
udito in
alto".
Ma Iddio, il quale è giudice giustissimo (come si
legge in quelle Storie
Scolastiche), non
patette che tanta
malvagità d'
Erode rimanesse non punita. Ché per giudicio
di Dio
avvenne che colui il quale n'avea molti
padri spogliati de' loro
figliuoli, egli miserabilemente fue
spogliato de li suoi; però che
Alessandro e
Aristobolo
furono un'altra volta
fatti sospetti al padre loro, ché
uno de' loro
compagni
confessò che
Alessandro gli avea
promesso di
fare molti
donamenti, s'elli
desse a
bere
veleno al padre suo;
confessòe
altressìe il
barbiere di
molti
doni promessi a lui s'elli, mentre che radesse la
barba del padre, egli l'uccidesse immantinente; anche
aggiunse che
Alessandro
doveva
avere
detto che non
era da porre la speranza in vecchio, che si
tignesse
i
capelli
bianchi per parere giovane. Per la qualcosa
il padre, adirato, il
fece uccidere e ordinòe che
Antipater
fosse re dopo sé e, dopo
Antipater, succedesse
nel reame
Erode
Antipas. Soprattutto questo
Agrippa
e
Erodia i quali
Erode avea ricevuti d'
Aristobolo
sì li nutricava con
paternale
amore. E per queste
due
cagioni
Antipater
concepette
mirabile odio contro al
padre, intanto che prese d'
ucciderlo con veleno; la qualcosa
sentendo
Erode, sì 'l misse in prigione. Onde si
dice che lo 'mperatore, poi ch'
ebbe udito che
Erode avea
ucciso i
figliuoli,
dovette
dire: "Io vorrei anzi essere
porco d'
Erode che suo
figliuolo; però che con ciò sia
cosa che sia straniero, perdona a' porci e uccide i
figliuoli".
Ma esso
Erode,
avendo già
LXX anni,
cadde in una
grandissima infermitade, ché con la
febbre
forte era
tormentato di
pizzicore di
corpo, di
continuvi tormenti
di
collo, d'
enfiature di piedi,
inverminati gli erano
i
coglioni. Onde
da' medici fu messo in uno
bagno
d'olio e
funne tratto fuori quasi come morto. E udendo
che li giuderi con grande
allegrezza
aspettassero la sua
morte, sì misse in pregione li più nobili giovani raccolti
di tutta la provincia di Giudea, e
disse a
Salomè
sua
sirocchia: "Io so che li giuderi si
rallegrano de
la
morte mia; ma io potrò
avere piagnitori e gentile
mortorio, se tu vorrai ubbidire a li miei
comandamenti,
cioè che quando io
avrò mandato fuori lo spirito, che
tu uccida
coloro tutti quanti i quali io abbo ne la prigione,
acciò che tutta la Giudea mi piagna
benché
contro voglia.
Ora avea egli in
costume, ogni volta dopo mangiare,
di mondare una
pesca e
mangiarla, sì che tenendo il
coltello in mano, venuto a lui una grande tossa, ponendosi
mente intorno ch'altri non lo
impedimentesse, levòe la
mano
diritta per
fedirsi, ma un suo
cugino gli tenne la
mano e impedillo di ciò
fare. In quell'ora si levòe uno
grande romore di pianto ne la
casa del re quasi com'elli
fosse morto, la qualcosa udendo
Antipater sì si
rallegra e
promette di
dare molte cose a le guardie s'egli è lasciato.
La qualcosa sappiendo il padre
Erode, più
ebbe a
grave l'
allegrezza del suo
figliuolo che la sua propia
morte, e mandando là i
berrevieri, sì lo
fece uccidere.
E puose che
Arcolaio regnasse dopo sé. E così dopo
cinque
dì morìo quelli il quale fue tra li stranieri molto
avventuroso. E la sua
serocchia
Salomè prosciolse tutti
i pregioni, i quali il re avea
comandato che
fossero
morti. Ma
dice
Remigio, ne l'originale sopra Matteo, che
elli s'uccise col
coltello col quale elli avea
mondata la
pesca e che
Salomè uccise tutti quelli nobili, sì come
ella avea ordinato col
fratello.
cap. 11, S. Tommaso Cont.
Tommaso di Conturbia
essendo ne la
corte del re
d'Inghilterra e veggendovi
fare cose
contrarie ad onestade,
sì la lasciòe e missesi ne le mani de l'
arcivescovo
di Conturbia, dal quale fu
fatto
arcidiacano. Ma
a'
prieghi de l'
arcivescovo ricevette la
cancelleria del
re acciò che con la prudenzia, de la quale egli era ornato,
vietasse gli
assalti de gli uomini maligni ne la
Chiesa di Dio. Lo quale il re
amò tanto che, dopo la
morte de l'
arcivescovo, procacciò ch'elli fosse levato
in su la sedia
cattedrale. Il quale,
avvegna che molto
contastasse a la
elezione, ma a la perfine sottopuose
gli omeri a portare. Ma subitamente si
cambiò
in altro uomo, e
cominciò a
macerare la
carne sua con
grandi
digiuni e con
cilici. E non solamente portava
cilicio per la
camisa, ma i panni di gamba, cioè le
brache e
calze portava di
cilicio lunghe infino al ginocchio.
La sua
santitade
occultava sì sottilmente che
sempre, salva l'
asprezza d'onestade, sotto
convegnenza
di vestimenti e
adornamento di
masserizie, s'
accordava
con lui li
costumi di
ciascuno. A
dodici poveri
lavava ogni
dì li piedi, inginocchiandosi, e poi che
gli avea pasciuti,
dava a
catuno
quattro
danari d'
argento
e poi gli rimandava.
E 'l re si sforzava d'
inchinarlo a la sua
volontade
in
danno de la Chiesa, volendo che l'usanze, le quali e'
suoi
antecessori
avevano
avute contra la libertà de la
Chiesa,
fossero
confermate da lui simigliantemente. Il
quale non volendo al postutto
consentire, si
commosse
contro di sé ad
ira il re e li
baroni.
Ma una volta egli con gli altri vescovi fue sì
costretto
dal re ch'elli il minacciò di sentenzia di
morte; e
elli, ingannato dal
consiglio de' grandi uomini, con parole
diede
assentimento al
valore del re. Ma veggendo
per questo il
pericolo de l'
anime
sopravvenire, se medesimo
poi
tormentòe ne la penitenzia più
gravemente,
e
sospesesi da l'ufficio de l'
altare infino a tanto ch'elli
meritasse d'
esservi
restituito dal Sommo Pontefice. A
la perfine lo richiese il re che quello ch'elli avea
detto con parola,
fermasse con iscrittura. E elli il
contradisse
valentremente, e partissi da la
corte immantanente
portando a sé la
croce ritta, gridando i rei
uomini contra di lui: "Pigliate il ladro,
impiccate il
traditore!"
Ed eccoti venire
due grandi
baroni e
fedeli a lui,
tutti lagrimosi; e
affermavano con
giuramento che molti
baroni hanno e
fanno
congiurazione d'
ucciderlo. Sì che
l'uomo di Dio temette più il
danno de la Chiesa che
de la sua persona, e
cominciò a
fuggire; ed
essendo
ricevuto ne la
città di
Sennon, da
Papa
Alessandro fue
raccomandato a uno monasterio de l'ordine di Cestella,
poi se ne venne in Francia e infino in
Fiandra.
E lo re, abbiendo mandato a Roma perché venisse uno
legato, il quale fosse
cognoscitore di queste cose, al
tutto gli fu
dinegato; e per questo fue
maggiormente
infiammato d'
ira contro a l'
arcivescovo, e
tutto ciò
che era de l'arcivescovo e di sua gente venne occupando,
e tutta la sua schiatta
condannò a
bando perpetuale,
non riguardando né stato, né generazione di
maschi e di
femmine, né ordine, né
etade.
Ma il sanato
continuamente pregava per lo re e
per lo reame d'Inghilterra.
Infrattanto fu relevato a
l'
arcivescovo che
dovea ritornare a la sua chiesa e
andare a Cristo con vittoria di martirio. Sì che nel
settimo
anno del suo
sbandigiamento li fue
conceduto
di ritornare in Inghilterra, e da tutti fue ricevuto con
onore.
Per
alquanti
dì dinanzi dal suo martirio, un giovane,
uscito l'
anima del
corpo e poi miracolosamente
ritornato a vita,
diceva ch'era stato
menato infino al
sovrano ordine de' santi; e tra gli
apostoli vide una
sedia ch'era vota e
domandando elli di cui fosse, udì
da l'
angelo che la
detta sedia era serbata dal Signore
a un grande sacerdote de l'Inghilesi.
Uno prete era che non
dicea altra
Messa che di santa
Maria, e ogni
dì la
diceva. Il quale,
essendo
accusato
al vescovo e richiesto da lui,
confessòe che così era;
onde, come uno idiota e
ignorante sì 'l sospese de lo
ufficio, sì che
dovendo santo
Tommaso
cuscire il suo
cilicio, e
abbiendolo
nascoso sotto il letto per pigliare
tempo di
poterlo
cuscire, la Vergine Maria sì
apparve
al prete, e
disseli: "
Vattene a l'
Arcivescovo, e
dilli
che colei per lo cui
amore tu
dicevi la
Messa, ha
cuscito
il suo
cilicio che è in cotale luogo, e
avvi lasciato
la
seta
vermiglia de la quale ella il
cuscìo. Ella
adunque vi
priega che lo 'nterdetto che voi mi
faceste
sì 'l mi lasciate". Quelli udendo ciò e trovando che
così era la veritade,
maravigliossi; e però sciolselo de lo
interdetto e
comandogli ch'elli tenesse
celato il
fatto
del
cilicio.
Difese dunque come prima le
ragioni de la Chiesa,
né non
poté essere smosso dal re per
forza, né per
priego. Sì che non potendo per veruno modo essere
piegato,
ecco che vengono i
cavalieri del re
armati,
e vengono gridando: "
Dov'è l'
arcivescovo?" Quelli
andò loro incontro e
disse: "Ecco me; che volete?"
E quelli
dissono: "Noi siamo venuti per ucciderti,
e non puo' più
vivere". A i quali esso medesimo
disse: "E io sono
apparecchiato a morire per Dio, e
per
difendere la ragione e per la libertade de la Chiesa.
Se voi dunque
cercate me, io vi
comando da la parte
di Dio onnipotente e sotto pena di maladizione che voi
non
facciate male a veruno di costoro. Ed io raccomando
la ragione de la Chiesa e me medesimo a Dio
e a la
beata Vergine Maria e a messere santo Dionisio
e a tutti li santi".
Detto questo il
capo di reverenza
è percosso con le
coltella de li
empii, e la
santa
corona del
capo gli è tagliata e 'l
celabro si
spande per lo
spazzo de la chiesa. E così il martire è
consegrato al Signore ne gli
anni de la Incarnazione
di Cristo
MCLXXIIII anni.
E
cominciando i
cherici a
dire:
"Requiem eterna"
a la
Messa, vogliendo
dire per lui la
Messa
de' morti, subitamente, come
dicono,
fuoro presenti i
cori
de gli
angeli e
interruppero le
voci de'
cantatori e
cominciarono
essi a
cantare la
Messa d'uno martire cioè:
"Laetabitur iustus [in Domino]"; e gli altri che l'udirono
andarono innanzi con l'ufficio d'uno martire. Questo
mutamento
fece la
diritta mano de l'
alto Dio quando il
canto di pianto si
convertìo in
canto di loda, quando
colui al quale
aveano
cominciato l'ufficio che si
fa
per li morti, lodarono poi con laude di martiri.
E
certamente fue
approvato per
adorno d'
altissima
santitade il glorioso martire di Dio, al quale gli
angeli
sopravvennero con
cotanto onore, e
scrisselo tra gli altri
martiri. Sopra tutto questo operòe il Signore molti
miracoli per lo santo suo; ché per li
meriti suoi è renduto
a'
ciechi il vedere, a'
sordi l'udire, a'
zoppi l'
andare e
a' morti la vita. E l'
acqua ne la quale si lavarono i panni
del martire
insanguinati a molti è stata medicina.
Uno uccello che sapeva parlare,
essendo perseguitato
da lo sparviere, com'elli avea
apparato a
dire,
sì
cominciò a gridare: "San
Tommaso,
aiutami!"
Immantanente lo sparviere
cadde morto, e l'uccello
scampòe.
Uno, il quale il santo avea molto
amato,
essendo
gravemente infermato, sì andò al sepolcro suo
e
pregollo che li rendesse santade; ed
ebbela al suo
volere. Ma tornando a
casa sano, e'
cominciò a pensare
che quella santade non sarebbe forse utile a l'
anima
sua. Onde ritornò un'altra volta al sepolcro e pregò
che la santade, s'ella non fosse utile a l'
anima sua,
sì tornasse la 'nfermità. Immantanente egli
rivenne
come prima. A
coloro che
furono micidiali di lui in
tale modo
fece Iddio vendetta di
coloro, che altri si
manicarono le
dita con li
denti, altri
diventarono tutti
tignosi, altri
diventarono in
parlasia, e altri
diventarono
fuori del senno, sì che in molta miseria
finirono la
loro vita.
Una
donna d'Inghilterra, che
disiderava d'
avere
gli occhi vaghi per vanitade e per più
bellezza,
fece
boto d'
andare a piedi
scalzi al sepolcro di santo
Tommaso
per
avere lo 'ntendimento suo. La quale venuta
e gittata in orazione in terra, levossi poi e trovossi
al tutto
acciecata e, immantenente pentuta,
cominciò
a
pregare lo santo che già non le rendesse gli occhi
vaghi, ma pure gli suoi primi; la qualcosa con molta
malagevolezza a la perfine
poté
acquistare.
Uno
boffadore presentò, in uno
bossolo,
acqua
comunale per l'
acqua di san
Tommaso ad uno suo signore
stando in
convito. Al quale
disse il signore:
"Se tu non mi
imbolasti mai nulla, san
Tommaso ti
lasci recare qua l'
acqua sua; ma se tu hai
commesso
furto, qui a l'
acqua al postutto impazzisca". A questo
detto
consentette quelli, sappiendo ch'egli avea
novellamente
pieno il
bossolo d'
acqua. Ma udite maraviglia:
aprono lo
bossolo immantanente, e'
trovarolo voto. E
così il
servidore fu
compreso ne la
bugia e fu
convinto
apertamente d'
avere
fatto
furto.
cap. 12, S. SilvestroLa sua leggenda
compuose
Eusebio di Cesarea; la
quale il
beato
Gelasio nel
concilio di
LXX Vescovi rammenta
che sia da
leggere da
cattolici uomini, sì come si
dice nel
dicreto.
Silvestro, ingenerato da la madre
chiamata Giusta,
per nome e per
fatto, e
ammaestrato da
Cirino prete,
l'
albergheria de li
amici di Dio sommamente
adoperava.
Uno ch'avea nome Timoteo,
cristianissimo uomo, fue
ricevuto in ospizio da lui, il quale per la grande persecuzione
era ischifato. Costui dopo l'
anno ricevette la
corona del martirio predicando
fermissimamente la
fede
di Cristo. Ma pensando
Tarquino, prefetto di Roma, che
Timoteo
abbondasse di molte ricchezze,
dimandollo a
Silvestro,
minacciandolo de la
morte.
Ma da che
ebbe saputo che Timoteo non avea
avute
queste ricchezze,
comandò a
Silvestro che sacrificasse
a l'idole; e se non volesse, riceverebbe l'altro
dìe svariate
generazioni di tormenti. Al quale
disse
Silvestro:
"Stolto e matto, tu morrai in questa notte e riceverai
tormenti sanza
fine; e, o vogli tu o no,
conoscerai che
è verace Iddio quello che noi
adoriamo". E per queste
parole fu messo
Silvestro in prigione. E
Tarquino fu
invitato a uno
desinare; e mangiando elli, ne la
gola
gli si
attraversòe sìe uno osso di pesce, che per niuno
modo il poteva gittare fuori ovvero inghiottire.
E così ne la mezzanotte morìo; e fu portato a l'
avello
con pianto. E
Silvestro con
allegrezza fu tratto de la
carcere; il quale non solamente da
cristiani, ma eziandio
da pagani era
amato con maraviglioso
affetto, per
ciò ch'egli era nel suo
aspetto uomo
angelico, e
splendente
nel parlare, intero nel
corpo, santo ne l'opera,
grande in
consiglio,
cattolico ne la
fede,
pazientissimo
ne la speranza, sparto ne la
caritade. Sì che morto
Melchiades, vescovo de la
città di Roma,
Silvestro da
tutto il popolo,
avvegna che molto
contradicesse. Sommo
Pontefice fu
eletto. Questi
aveva in una matricola scritte
le nomora di tutti gli
orfani e de le vedove e de' poveri,
e tutti provvedeva ne le loro
nicistadi.
Questi
ordinò che fosse da
digiunare lo
mercoledì
e 'l venerdì e 'l sabato; ma il
giovedì fosse da guardare
come la
Domenica. A'
cristiani greci, i quali
dicevano
che 'l sabato era anzi da guardare che 'l
giovedì,
rispuose che ciò non sì
dovea
fare, e sì perché questo
è
dato da l'
apostolo, e sì perché allotta si
dee avere
compassione a la
sepoltura del Signore. Ma li greci
dicevano:
"Uno è il sabato de la
sepoltura, nel quale
una volta l'
anno è da
digiunare". A' quali
Silvestro:
"Secondamente che ogni
Domenica è
abbellita da la
gloria de la resurrezione, così è ogni sabato de la
sepoltura
del Signore". Adunque del sabato
assentiscono e
del
giovedì
fortemente
contendono,
affermando che non
si
debba
accompagnare a le solennitadi de'
cristiani.
Ma
Silvestro mostra la sua
dignitade essere spezialmente
in tre cose: l'una è per ciò che in questo
die
il Signore n'andò in
cielo; la seconda è perché in questo
die
ordinò il sacramento del
corpo e del sangue suo;
la terza si è perché in questo
dìe è
fatta la santa
cresma de la Chiesa. E
dette queste cose tutta la
moltitudine
acconsentìo.
Ma perseguitando
Costantino imperatore li
cristiani,
Silvestro uscì di Roma e
rinchiusesi
co' suoi
cherici
in un monte. Ma esso
Costantino, per la persecuzione
che
faceva come tiranno,
degnamente
cadde in infermitade
incurabile di
lebbra. A la perfine, al
consiglio
del pontefice de l'idoli,
furono
menati tremilia
fanciulli
per
fargli uccidere, acciò che si
bagnasse nel sangue
loro ricente e
caldo. Ed uscendo lui del palagio per
andare
al luogo dove s'
apparecchiava il
bagno, le
madri
de'
fanciulli le si
fanno incontro, tutte scapegliate,
faccendo
miserabile pianto. Veggendo ciò
Costantino
cominciò
a lagrimare, e
comandò che stesse
fermo il
carro,
e rizzandosi in piede
disse: "Uditemi
conti e
baroni e
tutti i popoli che siete qui presenti! la
dignitade de
lo 'mperio di Roma nasce de la
fontana de la pietade
per la qualcosa ella ha
fatta questa legge che
chiunque
uccide veruno
fanciullo in
battaglia, fosse sottoposto a
la sentenzia del
capo".
"Adunque quanta
crudeltà sarà che noi
facciamo a li
nostri
figliuoli quello che noi
abbiamo vietato e
dinegato
di
fare a li stranieri? Che giova d'avere vinti i
barbari,
se noi siamo vinti da la
crudeltade? Che avere vinte le
genti straniere per
forza è de' popoli
guerrieri, ma li
peccati è vertù de'
costumi. Dunque in quelle
battaglie
noi siamo stati più
forti di loro, ma in queste siamo
più
forti di noi medesimi. Ché chi in questa
battaglia
è soperchiato, il vino ha la vittoria, però che il vincitore
dopo la vittoria è vinto, se la pietade è soperchiata
da la
impietade. Vinca dunque noi la pietade in questo
passo, imperò che bene potremo essere vincitori de gli
avversari, se non saremo vinti da la pietade. Che quegli
si pruova d'essere signore di tutti, il quale si mosterrà
d'essere servo de la pietade".
"Meglio è dunque me morire, salva la vita de gli innocenti,
che per la
morte loro ricoverare la vita
crudele,
la quale ricoverare è incerta
cosa, e
certo e
certa
cosa è che così ricoverata sia più
crudele".
Comandò adunque che i
fanciulli
fossero renduti a le
madri loro, e che
fossono
fatti loro molti
donamenti e
carrette
sanza
fine, acciò che lieti ritornassero a le loro
magioni quelle che triste erano venute a l'
altrui paiese.
E lo 'mperadore si ritornò al suo palazzo. La seguente
notte gli
apparve san Piero e san Paolo, e
dissergli: "Imperò
che tu
avesti in
abbominio lo
spandimento del sangue
innocente,
àcci Cristo mandati per
dare a te
consiglio
di ricoverare santade. Adunque
fa
chiamare
Silvestro
vescovo, il quale sta nascosto nel monte
Siratte, ed
egli ti mosterrà un
bagno nel quale, quando tu vi sarai
messo tre volte, sarai
curato da ogni infermitade di
lebbra. E tu renderai a Cristo questo
cambio: che tu
disfacci tutti i templi de l'idoli e
racconci le
chiese di
Cristo, e, da quinci innanzi, sia
fatto suo
coltivatore".
Ed isvegliandosi
Costantino immantanente mandò
cavalieri
a
Silvestro; e elli veggendoli, tosto
credette essere
chiamato al martirio, sì che raccomandandosi a Dio e
confortando seco i suoi
compagni a la passione, sanza
paura se ne venne a lo 'mperadore. Al quale
disse
Costantino: "D'essere te
benvenuto ci
rallegriamo".
E quelli
disse: "Pace a te e vittoria ti sia
amministrata
da
cielo".
Allora
Costantino gli spianò e
disse tutta la visione,
e
dimandollo chi
fossono quelli
dei che gli erano
appariti.
Disse
Silvestro: "Non sono Iddei, ma sono
apostoli
di Cristo". Allora a
domandagione de lo 'mperadore
Silvestro
fece recare la immagine loro. Quando
lo 'mperadore la vidde, incontanente
disse che
cotali
erano suti
coloro ch'erano
appariti a lui. Sì che
Silvestro
l'
ammaestròe de la
fede e impuoseli il
digiuno
d'una settimana e
ammonillo che
fossero
aperte tutte
le
carceri. Ed
essendo
entrato nell'
acqua del
battesimo,
maraviglioso
splendore di luce vi
risplendette; e
cosìe
n'
uscìe
mondo ed
affermòe che
aveva veduto Cristo.
Il primo
die del suo
battesimo
diede questa legge: "Che
Cristo fosse
adorato come verace Iddio da tutta la
città
di Roma". Il secondo
dìe
diede questa: "Che se alcuno
biastemmiasse Cristo fosse punito". Il terzo
dìe: "Che
chiunque
facesse ingiuria a veruno
cristiano fosse privato
de la metà di tutt'i suoi
beni". Nel quarto
dì:
"Che sì come lo 'mperadore di Roma, così il pontefice
romano fosse tenuto per
capo da tutti quanti i vescovi".
Il quinto
dì: "Che
chiunque
fuggisse a le
chiese fosse
conservato sanza
danno da tutti". Il
sesto
dì: "Che
niuno
debba
edificare chiesa dentro a le
mura de la
città, se non con licenza del suo vescovo". Il settimo
dì: "Che de le reali possessioni si
debbano
dare le
decima ad
edificare le
chiese". L'ottavo
dì se ne
venne lo 'mperadore a la chiesa di san Piero e
accusossi
de le sue
colpe
lamentevolemente; e poscia tolse
la marra per
andare a
fondare una chiesa, e fu egli il
primo che
aperse la terra, e
XII cuofani di terra ne
gittò fuori in su la sua spalla.
Ma poi che
Elena, madre di
Costantino imperadore,
la quale era in
Betania,
ebbe udite queste
novelle, per
sue lettere mandò lodando il
figliuolo di ciò ch'elli avea
rinunziato a l'idolo, ma
duramente lo riprende c'ha
lasciato lo Dio de' giuderi, ed
adori uno uomo
crocifisso
per
Domenedio.
Riscrivette
Costantino a la madre ch'ella
meni seco maestri de' giuderi ed elli
darebbe
dottori de'
cristiani, acciò che in questo modo per la vicen
devole
disputazione
apparisca la
fede verace. Sì che
Elena
menò seco
centoquarantuno uomini molto savissimi de'
giudei, tra li quali n'avea
XII i quali erano risplendenti
di sapienzia e di
bello parlare sopra tutti gli altri.
Essendo raunato
Silvestro
co' suoi
cherici e li giuderi
detti a
disputare insieme dinanzi a lo imperadore, di
comune
consentimento ordinarono
due giudici pagani
savissimi
e provati uomini, ciò
furono
Craton e
Zenofilo,
a' quali s'
appartenesse di
difinire tutto quello che si
dovesse
dire; e cotale sentenzia fue
fermata tra loro
che parlando l'uno non parli l'altro.
Cominciando dunque l'uno di
coloro il primo, che ha
nome
Abiatar, sì
disse: "Con ciò sia
cosa che costoro
dicano tre
dei, cioè Padre e
Figliuolo e Spirito Santo,
manifesto è che
fanno contro a la legge che
dice: "Vedete
ch'io sono solo, e non è altro Iddio fuori di me.
Ancora s'elli
dicono che Cristo è
Domenedio per ch'egli
fece molti miracoli, molti
furono altri,
eziandio ne la
nostra legge, i quali
fecero miracoli e molti segni; e
pertanto non
furono
arditi di pigliare il nome de la
deitade come questo
Jesù, lo quale costoro
adorano".
A queste cose rispuose
Silvestro: "Noi
coltiviamo uno
Iddio, ma non
diciamo che sia in tanta
solitudine
ched egli non
avesse gaudio del
figliuolo. E per li vostri
libri vi potemo mostrare la trinità de le persone. Ché
noi
diciamo Padre colui del quale
dice il profeta: "Egli
chiamerà me: padre mio
se' tu";
figliuolo
diciamo colui
del quale
dice quel medesimo Profeta: "
Figliuolo mio
se'
tu, innanzi a la legge t'ingenerai"; "Spirito Santo
diciamo,
del quale
dice anche quel medesimo: Per lo spirito
de la sua
bocca è ogni loro virtù". Ancora in ciò che
disse: "
Facciamo l'uomo a la imagine e a la simiglianza
nostra,
manifestamente mostra la
pluralità de le persone
e l'unità de la
divinitade; ché
avvegnadio che
sieno tre persone, elli è pertanto uno Dio; la qualcosa
in alcuno modo possiamo mostrare per
essemplo visibile.
E togliendo la porpore de lo 'mperadore, sì ne
fece
tre pieghe e
disse: "Ecco vedete che nel panno sono
tre pieghe, e pure è uno il panno;
cosìe nel suo modo
le tre persone sono uno Iddio. Ma di ciò che tu
di' che
Cristo non
dee essere
detto Dio, con ciò sia
cosa che
molti altri
fecero miracoli e non si
chiamarono
dei,
ora intendi: manifesta
cosa è avere Iddio sempre puniti
li superbi di
crudele pena, come
appare in
Datan e in
Abiron e in
Isaul e in molti altri. Come dunque
Cristo non era Iddio? il quale
dicea ch'era Dio, né per
questo il punìa Iddio. Ma quello che
dicea
affermava
per li miracoli che così era".
Allora
dissero li giuderi: "Manifesta
cosa è che
Abiatar
è vinto da
Silvestro, per ciò che questo
ammaestra
la ragione che se Cristo non fosse Iddio e elli
dicesse
che fosse,
essendo di ciò
bugiardo, non potrebbe
dare vita a li morti".
Allora fu
rimosso colui e venne il secondo a la
battaglia,
il quale era
detto
Jona e
disse: "
Abraam, ricevendo
la
circuncisione da Dio, fu giustificato e tutti
i
figliuoli d'
Abraam per la
circuncisione sono giustificati;
adunque chi non è
circunciso, non è giustificato".
A questo rispuose
Silvestro: "Manifesta
cosa è che
Abraam fu prima giusto e prima piacque a Dio ched e'
fosse
circunciso; non lo
fece dunque santo la
circuncisione,
ma la
fede e la giustizia lo
fece piacere a Dio;
non
ebbe dunque la
circuncisione in santificamento, ma
in
discernimento de l'altre genti".
Sì che vinto costui, venne il terzo ch'era
chiamato
Godolias e
disse così: "Come può
esser Dio questo vostro
Cristo, con ciò sia
cosa che voi
affermate che fosse
nato, tentato, preso, spogliato e
abbeverato di
fiele, legato,
morto e sotterrato? Ché tutte queste cose non possono
essere in Dio".
A questo rispuose
Silvestro: "Per li vostri libri si
prova che tutte queste cose
furono presenti in Cristo
e di Cristo, ché del suo
nascimento
disse Isaia: "
Ecco
che la vergine
concepirà e parturirà
figliuolo". Del
tentamento
disse
Zaccheria: "Io vidi
Jesù, sacerdote
grande, stare dinanzi a l'
angelo, e Satanas stava per
essere suo
avversario".
Del
tradimento
dice il
Salmo: "Colui che mangiava i pani miei
agrandìo sopra
me lo
'ngannamento". De lo spogliamento suo, simigliantemente
dice il Salmo: "
Divisero a sé le vestimenta
mie e sopra le vestimenta mie missero le sorte".
De
l'
abbeverato del
fiele
dice quel medesimo: "E' mi
diedero a mangiare
fiele e ne la
sete mia m'
abbeverarono
d'
aceto". Del suo legamento
disse
Esdras: "Voi
mi legaste non come padre lo quale vi
deliberai de la
terra d'
Egitto, e che
gridavate dinanzi a la sedia del
giudice". Del suo
crucifiggimento
dice quel medesimo:
"Voi umiliaste me e
impiegandomi in sul legno,
mi
tradiste". De la sua
sepoltura
dice
Jeremia: "Ne
la
sepoltura sua riviviscono li morti".
Non abbiendo dunque
Godolias che rispondere,
data
la sentenzia, fu
rimosso. Venne dunque
Anna, il
quarto, e
disse: "Quelle cose che
furono
dette d'
altrui,
questo
Silvestro
dice che
furono
dette del suo Cristo,
onde rimane a provare ch'
elle
fossero
dette del suo
Cristo".
E
Silvestro
disse: "
Daramene tu un altro che vergine
il
concepesse, che fosse pasciuto di
fiele, incoronato
di spine, preso e
crucifisso, morto e sotterrato, che sia
risuscitato al terzo
die e montato poi in
cielo?"
Allora
disse
Costantino: "Vinto è se non
dà un altro".
E non potendo colui ciò fare fu
rimosso.
E venne il quinto, ciò fu
Docchi, e
disse: "Se
del seme di
David questo Cristo è così nato e nascendo
è
fatto
figliuolo di Dio per ciò che nacque santificato,
dunque per essere un'altra volta santificato, non
debba
e' essere
battezzato?"
A questo rispuose
Silvestro: "Sì come la
circuncisione
ebbe
fine ne la
circuncisione di Cristo, così il
battesimo nostro
ebbe
cominciamento di santificazione
nel
battesimo di Cristo; non fue dunque
battezzato per
essere santificato, ma per santificare gli altri".
Tacendo costui,
disse
Costantino: "Non tacerebbe
Doeth s'elli
avesse che
dire
contra".
Allora si levò il
sesto, ciò fue Cusi, e
disse: "Noi
vorremmo che questo
Silvestro ci
rispianasse le
cagioni
di questo parto
verginale".
Disse
Silvestro: "La terra de la quale Adamo fu
formato era non
corrotta, era vergine, però che non
s'era
aperta a
bere sangue d'uomo, né non avea ricevuta
la maladizione
delle spine, né non avea
sepoltura
di morto, né non era ancora
data a mangiare al serpente.
Convenne dunque che de la Vergine
femmina
fosse
fatto un
novello Adamo, acciò che come il serpente
avea vinto colui ch'era nato de la terra vergine,
così fosse vinto da colui ch'era nato de la
femmina
vergine; e quelli che fue vincitore d'Adamo nel Paradiso
fu
fatto tentatore nel
diserto, acciò che quelli
ch'avea vinto Adamo
mangiante, sì fosse vinto da Cristo
digiunante".
Vinto costui, venne il settimo, ciò fu
Begnamino, e
disse: "Come puote il vostro Cristo essere
figliuolo di
Dio, il quale potesse essere tentato dal
diavolo, che era
ora
costretto da la
fame di fare pane de le pietre, ora
era levato ne l'
altezza del tempio acciò che fosse indotto
ad
adorare lo
diavolo?"
Disse
Silvestro: "Se il
diavolo fue però vincitore,
perché fue udito da Adamo
mangiante, manifesta
cosa è
che fu vinto perché fue
spregiato da Cristo
digiunante;
ma noi
confessiamo che Cristo fue tentato non quanto
Iddio, ma in quanto era uomo. E però fu tentato tre
volte per levare da noi tutte le tentazioni e per
darci
la
forma di vincere. Ché spesse volte ne l'uomo
dopo la vittoria de l'
astinenzia seguisce la tentazione
de la vanagloria, e dopo la tentazione de l'umana gloria
seguisce l'
appetito di signoria ed
eccellenzia; però
dunque di queste cose è vinto da Cristo, acciò che sia
dato a noi la
forma del vincere". Di che fu vinto questo
savio.
Venne l'ottavo, ciò fue
Aroel, e
disse: "Manifesta
cosa è che Dio è sommamente perfetto, e non ha
bisogno
di niente; perché dunque fu mestieri che nascesse
in Cristo? e come
appelli tu Cristo,
figliuolo di Dio? Ma
questo è ancora manifesto che Dio innanzi ch'
avesse
figliuolo non
poté essere
detto padre, dunque se poi è
fatto padre di Cristo, mostra che sia mutevole".
A questo rispuose
Silvestro: "Il
figliuolo di Dio è
ingenerato innanzi a li secoli, acciò che
facesse quelle
cose che non erano; e nacque nel tempo, acciò che
riparasse quelle cose ch'erano perite; le quali, avvegna
che con la sua sola parola l'
avesse potute
racconciare,
se uomo non fosse
fatto, non le potea ricomperare per
la passione, però che non era
atto a patire ne la sua
divinitade; né questo era d'imperfezione, ma di perfezione
ched e' non fosse passibile ne la sua
divinitade.
Da l'altra parte che 'l
Figliuolo fosse parola di Dio,
ciò si mostra dal profeta che 'l
dice: "Ha mandato
fuori il
cuore mio la parola
buona". Dio dunque sempre
fu padre e sempre fu
figliuolo suo, adunque il
figliuolo
sua parola è e sua sapienzia e sua vertude;
adunque nel padre sempre fu la parola, come
dice lo
Salmo: "Ha mandato fuori il
cuor mio la parola
buona".
Sempre fu la sapienzia, però
dice: "Io
procedetti de la
bocca de l'
altissimo prima generata innanzi ad ogne
creatura". Sempre fu la virtù, come
dice la Scrittura:
"Io era parturita prima da tutti i
colli non erano ancora
uscite fuori le
fontane". Con ciò dunque sia
cosa
che 'l padre non sia mai
essuto sanza parola e sapienzia
e vertude come pensi tu che dal tempo li fosse
venuto questo nome?"
Rimosso costui venne il nono, ciò fu
Jubal, e
disse:
"Manifesta
cosa è che Dio non
danna li matrimoni,
né non li maladisse mai, dunque perché
negate voi che
Cristo nascesse di matrimonio, lo quale Cristo voi
adorate?
se non perché
pare che voi vogliate
intenebrare
li matrimoni. Ancora come può essere tentato quelli
ch'è potente? e come patire quelli ch'ha vertude? e
come quelli morire che
aiuta? A la perfine
se'
costretto
di
dire che siano
due
figliuoli, l'uno che 'l padre ingeneròe,
e l'altro che la madre ingeneròe. Ancora come
puote essere che
patisca l'uomo, il quale procedette
sanza
danno di quella persona da la quale e' procedette?"
A questo rispuose
Silvestro: "Noi non
diciamo che
Cristo sia nato di Vergine per
dannare li matrimoni,
ma
accettiamo
ragionevolemente le
cagioni del parto
verginale, né non
intenebriamo noi li matrimoni per
questo
dire, ma
adornialli, imperciò che questa vergine
de la quale nacque Cristo fu nata di matrimonio.
E tentato Cristo per vincere tutte le tentazioni del
diavolo,
patisce per sottomettere tutte le passioni, muore
per
distruggere lo 'mperio de la
morte. E il
figliuolo di
Dio si è uno il quale sì come
veramente è
figliuolo di
Dio invisibile, così è visibile Cristo. E dunque invisibile
in ciò ch'egli è Iddio, ed è visibile in ciò ch'egli è
uomo. Ma che possa patire l'uomo
assunto sanza la sua
mente, si può mostrare per
essemplo. E potremo usare
l'
assemplo de la presente porpora reale la quale manifesto
è ch'ella fue lana; e questa lana tinta di sangue
ingenerò
colore di porpora; e quand'ella è tenuta ne le
dita e torta nel
filo, che è quello ch'era torto? Era
elli il
colore de la reale
dignitade, o era la lana innanzi
ch'ella fosse porpore? A la lana dunque è
assimigliato
l'uomo, al
colore de la porpora è
assimigliato Iddio:
la quale
cosa fu insieme ne la passione patendo ne la
croce; ma in neuna
cosa si sottomisse a la passione".
Poi si levò il
decimo, ciò fue
Cara, e
disse:
"Non mi piace questo
essemplo, però che 'l
colore è
insieme torto con la lana".
Al quale,
contradicendo tutti,
Silvestro
disse: "Togli
dunque un altro
essemplo: l'
albore c'ha in sé lo
splendore
del sole, quando è tagliato bene, riceve la percossa,
ma lo
splendore non ha
danno del taglio. In questo
modo patendo l'umanitade, la
divinitade non fu sottoposta
a veruna passione".
Allora si levò l'undecimo, ciò fu
Sileon: "Se li profeti
profetarono queste cose del tuo Cristo, noi vorremmo sapere
le
ragioni di tanto schernimento e passione e
morte".
Disse
Silvestro: "Cristo
ebbe
fame per noi
satollare,
ebbe
sete per
darci
beveraggi di vita a la nostra
seccaggine, fue tentato per
campare noi da le tentazioni,
fu preso per liberare noi da la
pressura del
diavolo, fu schernito per torre da noi le scherne de le
demonia, fu legato per
iscioglierne del
legame de la
maladizione, fu umiliato per noi
esaltare, fu spogliato
per ricoprire la
nudezza del primo valicamento, tolse la
corona de le spine per
ridonarci li
fiori del Paradiso
perduti, fu impiccato in su legno per
condannare la
concupiscenzia
ingenerata, e nel legno fue
abbeverato di
fiele
e d'
aceto per menare l'uomo a la terra ch'
abbonda di
latte e di
mele e per
aprire le
fontane
melate, ricevette
mortalitade per
donarci la sua
immortalitade, fu
seppellito per
benedicere le
sepolture de' santi, risucitò
per rendere la vita a' morti, salì in
cielo per
aprire la
porta del
cielo, siede a la
diritta parte di Dio per
esaudire
i
prieghi de' suoi
fedeli".
Dicendo
Silvestro queste
cose tutta quella gente, sì lo 'mperadore come i giudici
e li giuderi ad uno
animo
diedero loda a
Silvestro.
Allora il
duodecimo, ciò fu
Zambri, molto indegnato
disse: "Io mi
maraviglio di voi giudici
sapientissimi
che voi
crediate a le parole
dubbiose e pensiate che la
onnipotenzia di Dio si possa manifestare per ragione umana.
Lasciamo dunque le parole e vegnamo a'
fatti. Molto
sono matti
coloro che
adorano lo
Crocifisso, con ciò sia
cosa ch'io sappia il nome de lo onnipotente Iddio, la
cui virtude non sofferano i sassi, né
nol può udire neuna
creatura. E acciò che voi proviate come io
dico vero,
fatemi venire uno toro
ferocissimo e vedrete come, mentre
che questo nome
risonerà nel suo orecchio, il toro
morrà immantanente".
Disse
Silvestro: "E tu come
apparasti questo nome
sanza udire, ovvero come il puoi
dire sanza morire?"
E quelli
disse: "Non si
appartiene a te di sapere
questo mestiere ché
se'
avversario de li giuderi".
Sì che fu
menato uno toro molto
feroce, tratto da
cento
uomini
fortissimi, e poi che
Zambri
ebbe
detta la parola
ne l'orecchie del toro, immantenente
mise un grande
mugghio e,
schizzati gli occhi de la testa,
cadde
morto. Allora tutti i giuderi gridarono
fortemente e
fecero
assalto contro al servo di Dio
Silvestro.
A i quali
disse
Silvestro: "Elli non
disse il nome di
Dio, ma nominòe il nome del
dimonio pessimo; la qualcosa
si mosterrà che
Jesù Cristo non solamente
fa morti
li
vivi, ma ancora risucita li morti. Però che potere uccidere
e non fare vivo, è
cosa vana, con ciò sia
cosa che
questo possano fare i leoni e serpenti; onde di lui è scritto:
"Io ucciderò e io
farò
vivere". Se dunque vuole
ch'io
creda che non
dicesse nome di
demonio, ma quello
di Dio,
dicalo un'altra volta e
faccia vivo quello ch'è
caduto. Ché s'elli il può uccidere, ma non rendere la
vita, sanza
dubbio non nominò il nome di Dio, ma il
nome del
demonio".
Allora
dissero li giuderi, ovvero gli giudici: "Se di
Dio è scritto che egli
fa morto e vivo, se
Zambri il
quale uccise per lo nome di Dio suo non potrà rendere
vita,
certa
cosa è che non
chiamò il nome di Dio, ma
quello del
dimonio, al quale s'appartiene d'uccidere e
non di
dare vita".
E con ciò fosse
cosa che
Zambri fosse costretto
da'
giudici a
risuscitare lo toro, sì
disse: "Io non
posso, ma
se
Silvestro il risucita nel nome di
Jesù Galileo, tutti noi
crederemo in lui; ché se potesse volare con penne non lo
potrebbe fare". Sì che tutti i giuderi promissero di
credere
se
Silvestro potrà
risucitare lo toro nel nome di
Jesù.
Allora
Silvestro,
fatta l'orazione, se n'andò a l'orecchie
del toro e con
chiara
boce sì
disse: "O nome di
maladizione e di
morte,
esci fuori per
comandamento
del Signore
Jesù Cristo; nel cui nome è
detto a te toro:
Leva su e
vattene con tutta mansuetudine a la greggia
tua". Incontanente si levò il toro, e con tutta mansuetudine
si partìo. Allora la reina e li giudici e li
giuderi e tutti gli altri si
convertirono a la
fede.
Ma dopo
alquanti
dì vennero li pontefici de l'idoli a lo
'mperadore, e
dissero: "
Sagratissimo imperadore, quello
dragone che è ne la
fossa, d'allora in qua che tu ricevesti
la
fede, ha morti ogni
dì più di
CCC uomini
col
fiato suo". E
chiedendone
consiglio
Costantino a
Silvestro, sì rispuose: "Io, per la virtù di Cristo, il
farò rimanere da ogni
danneggiamento. E li pontefici
promettino di
credere ne la
fede di
Jesù Cristo se ciò
faròe". Sì che stando in orazione
Silvestro
apparveli
santo Pietro, e
disse: "
Scenderai sicuro al
dragone,
tu e
due preti, che sono teco; e quando tu
se' giunto
a lui, parlagli in questo modo: "Il Signore nostro
Jesù Cristo, nato di vergine,
crocifisso e morto e seppellito,
il quale
resurressio e siede a la
diritta parte
di Dio padre, là onde verrà a giudicare li
vivi e li
morti, sì mi manda a te,
comandando a te che tu,
Satanas, l'
aspetti qui in questo luogo infino a tanto
che verrà". E la
bocca sua legherai con uno
filo, e con
uno
anello ch'
abbia il
segno de la Croce il
suggellerai;
poscia ne verrete fuori e verrete, sani e salvi, a
la mensa, e mangerete il pane ch'io v'
arò
apparecchiato".
Discese dunque
Silvestro
con i due preti ne la
fossa
per
CL gradi portando seco
due
lanterne. Allora
disse
al
dragone le predette parole, e la sua
bocca, che
stridiva
e
sufolava, sì legòe come
comandato gli era, e
montò su e trovò
due magi ch'erano tenuti loro
dietro
per vedere s'elli scendessero infino al
dragone, ed
erano poco meno che morti del
fiato del
dragone. Ma
nel nome di Cristo gli
rimenò sani e salvi
Silvestro;
li quali si
convertirono immantenente con infinita
moltitudine;
sì che i Romani
furono liberati da
due morti,
cioè dal
coltivamento de l'idoli e dal veleno del
dragone.
E
Silvestro,
appressandosi a la
morte, di tre cose
ammonette
il
chericato: l'una ch'ellino
avessero
amore
insieme, l'altra che governassero le
chiese
diligentemente,
la terza che guardassero la greggia da morsi
de' lupi. E poscia si riposò in pace ne gli
anni de la
incarnazione di Cristo
CCCXX.
cap. 13, Circonc. G. Cristo
Quattro cose
fanno di grande
celebrazione lo
dìe de
la
circoncisione, e molto
solenne. La prima è l'ottava
del
Natale, la seconda lo
'mponimento del
novello e salutevole
nome, la terza è lo
spandimento del sangue,
la quarta è il
segnale de la
circuncisione. È dunque la
prima l'ottava del
Natale. S'è l'ottava de gli altri
santi, quanto
maggiormente sarà
solenne l'ottava di colui
ch'è santo de' santi e
fa avere ottava a tutti!
Ma non
pare che il
Natale
dovesse avere ottava, per ciò
che 'l suo
nascimento
andava a la
morte.
Ma le morti de' santi hanno
ottave, però che allora
nascono di quello
nascimento il quale è a vita
eterna.
Onde per quella medesima ragione non
pare che la
nativitade de la vergine Maria e quella di san Giovanni
Batista
dovesse avere ottava, né simigliantemente
il
resurressio; però che già era
fatta la resurressione
la quale,
diremo, è significata ne l'ottava. Ma
noi
diremo, come
dice
Prepositivo, che sono alcune
ottave di
compimento, di reverenza, di
divozione e di
figuramento. Di
compimento, come l'ottava del
Natale,
ne la quale si
fa il
compimento di quello che non si
puote fare ne la
festa, cioè l'ufficio de la partorente
vergine e sì del partorito. Onde eziandio ne la
Messa
s'usò, e di qua
adietro,
cantare a lo Introito: "Il volto
tuo, messere, pregheranno". Ancora sono
ottave di
reverenza, come è de la
Pasqua di Pentecoste, del
Nascimento
de la Vergine e di santo Giovanni Batista.
Ancora sono
ottave di
devozione, come quelle di
ciascuno
santo. E sono
ottave di
figuramento, come sono
l'
ottave ordinate di santi, le quali significano l'
ottave
de la resurressione nostra.
La seconda
cosa sì è lo
'mponimento del nome
novello
e salutevole; ché oggi è imposto a lui il nome
nuovo lo quale nominò la
bocca del Signore. Nome
fuor
del quale non è altro nome sotto al
cielo, nel quale ci
convegna essere
fatti salvi. Nome lo quale, come
dice
san Bernardo, è
mele ne la
bocca,
melodia ne l'orecchie
e giubilo nel
cuore. Nome lo quale, come
dice quel
medesimo, unge a simiglianza d'olio, pasce quando è
predicato,
allenisce quando è ripensato, sovviene quando
è
chiamato. Nome lo quale è sopra ogni nome.
Egli
ebbe tre nomi, come si prende nel Vangelio, però
ch'egli è
chiamato figliuolo di Dio,
Cristo e Jesù. Figliuolo
di Dio è
detto in quanto è Dio da Dio; Cristo
è
detto in quanto è uomo da la persona
divina, quanto
a l'umana natura
compreso;
Jesù è
detto in quanto è
Iddio unito a la umanitade.
Di questi tre nomi
dice san Bernardo: "Voi che
state in
polvere,
destatevi e lodate. Ecco il Signore che
viene con salute, viene con unguento, viene con gloria,
ché non viene senza salute
Jesù, né sanza unzione Cristo,
né sanza gloria il Figliuolo di Dio, però ch'esso è salute,
esso è unzione, esso è gloria".
Quanto a queste tre cose innanzi a la passione non
era
conosciuto
perfettamente. Ché quanto al primo, da
alcuni era
conosciuto per simiglianza, sì come da le
dimonia,
le quali gridavano che esso era figliuolo di Dio;
quanto al secondo, era
cognosciuto
particolarmente da
alcuni
e da pochi, ch'elli era Cristo; quanto
al terzo, era saputo e
cognosciuto a la
boce ch'elli era
Jesù, ma non quanto a la ragione del nome che è
Salvatore.
Ma dopo la resurressione questi tre nomi
furono
clarificati: lo primo nome quanto a la
contezza,
lo secondo quanto al
divolgamento, lo terzo quanto a
la ragione del nome. Che 'l primo nome, cioè figliuolo
di Dio, si
convegna a lui, sì 'l
dice
Ilario nel
libro de
la Trinitade: "
Veramente essere figliuolo di Dio lo
nostro Signore
Jesù Cristo, in molti modi è saputo; e
sì perché il padre testimonia di lui, e sì perch'elli
confessa di se medesimo, e sì perché gli
apostoli lo
predicarono, e sì perché i religiosi il
credono, e sì perché
li
demoni il
confessano, e sì perché gli giuderi il
negano,
e sì perché gli pagani il
cognoscono ne la passione".
Lo stesso: "E sì perché il Signore Dio nostro, messere
Jesù Cristo, per questi modi
cognosciamo per lo
nome, per lo
nascimento, per natura, per la
potenzia,
per la perfezione".
Lo secondo nome è Cristo, che è interpretato unto
d'olio di letizia sopra tutti i suoi
parçonabili. Per
questo ch'egli è
detto unto, sì si mostra che fu profeta
e
campione e sacerdote e re, però che queste
quattro
persone si
costumarono e usarono d'ungere d'olio.
Elli fue profeta ne l'
ammaestramento de la
dottrina;
fu
campione ne la vittoria ch'egli
ebbe sopra il
diavolo
ché lo sconfisse; fue sacerdote nel
racconciamento tra
noi e 'l Padre e fu re nel
distribuire i
doni. Da questo
secondo nome, il qual è Cristo, siamo
detti
cristiani.
Del quale
dice Agostino: "
Cristiano è il nome di giustizia
e di
bontade, di
pazienzia, di saldezza, di
castità
d'occhi, di
castità di
corpo, d'innocenzia, d'umanitade e
di pietade. Adunque tu come lo
difendi, come lo t'
acquisti,
il quale di tante cose non hai pure
alquante?
Cristiano è quegli il quale non è solamente
cristiano per
nome, ma per operazione". Infino a qui
dice Agostino.
Il terzo nome è
Jesù. Questo nome
Jesù, come
dice
san Bernardo, è
detto
cibo,
fontana, medicina e luce. E
questo
cibo ha molti
effetti, per ciò ch'egli è
confortativo,
ingrassativo,
rinforzativo e
commotivo. Onde
dice san Bernardo: "Egli è
cibo questo nome
Jesù: or
non ci
pare essere
confortato tante volte quante tu te
ne
raccordi? Quale è quella
cosa che così
ripari li
sentimenti
esercitati? quale è quella
cosa che così rinforzi
le virtudi e che
commuova li
buoni
costumi e
che onesti e che notrichi i
casti
desideri?"
Nel secondo luogo è
detto
Jesù,
fontana, come
dice
san Bernardo: "
Jesù è
fontana di vita segnata, la quale
si spande in
quattro rii, cioè ne le piazze; onde, secondo
che
dice l'
apostolo, egli è
fatto una sapienza e giustizia,
santificazione e ricomperamento. Sapienzia ne la
predicazione,
iustizia nel lavamento de' peccati, santificazione
nel
conversare, ricomperamento ne la passione".
E in altro luogo
dice Bernardo: "
Tre rivi uscirono
da
Jesù, ciò fu la parola di
dolore ne la quale è la
confessione, il sangue de lo spargimento, nel quale è
la
satisfazione, l'
acqua del purgamento nel quale
è la
contrizione".
Nel terzo luogo è questo nome medicina; onde
dice
così Bernardo: "Neuna
cosa è che così
costringa
l'
impeto de l'
ira e così
stringa l'
enfiatura de la superbia,
così sani la piaga del lividore, così
ristringa
lo scorrimento de la lussuria, così spenga la
fiamma
de la
concupiscenzia, così temperi la
sete de l'
avarizia,
così
scacci il
pizzicore de la sozzura come
fa
questo nome di
Jesù".
Nel quarto luogo è
detto lo nome di
Jesù, luce.
Dice
Bernardo: "Onde pensi tu che sia venuta in tutto
'l
mondo
cotanta e così suggetta luce di
fede, se non
da la predicazione o dal predicato
Jesù? Questo è il
nome che Paulo portava innanzi a' pagani e a' re e
a'
figliuoli d'Israel come lucerna in sul
candeliere".
Ancora è questo nome di molta soavitade.
Dice Bernardo:
"Se tu
leggi, se tu scrivi, non mi sa di buono
s'io non leggerò
Jesù; se tu
disputerai, ovvero ragionerai,
non mi sa buono se non vi risuona
Jesù".
Ancora
dice Riccardo di san Vittore: "
Jesù, nome
dolce,
nome
dilettevole, nome che
conforta il peccatore, nome
di
beata speranza, adunque
Jesù sìe a me
Jesù". Nel
secondo luogo è nome di molta
virtuositade, onde
dice
Pietro
Nave: "Tu
chiamerai il nome suo
Jesù,
ché questo è quello che
diede a'
ciechi il vedere, a'
sordi l'udire, a'
zoppi l'andare, a'
mutoli il parlare, a
li morti vita e tutta la
potenzia del
diavolo la virtù
di questo nome
scacciò da le
corpora
ingombrate". Nel
terzo luogo è nome di molta
eccellenzia e
altezza, onde
dice Bernardo: "Il nome del Salvatore mio, del
fratello
de la
carne mia e del sangue mio, nome nascosto
al
mondo, ma rivelato ne la
fine del
mondo, nome maraviglioso,
nome da non potere
dire, nome da non potere stimare".
Ma questo nome
Jesù gli fu posto ab
eterno da l'
angelo
e dal padre
pensativo, cioè
Joseppo. Anzi quale
nome
è più maraviglioso, quale è più da non potere stimare,
quale è più a grado, quale più
accettevole però
che
Jesù è interpretato
Salvatore? E ciò è in tre
modi: ovvero de la
potenzia di salvare, e così li si
convenne
ab
eterno; ovvero de l'
abito
di salvare, e così
gli fue imposto da l'
angelo, e
conviensi da poi che fue
conceputo dal principio de la
concezione; ovvero de l'
atto
di salvare, e così fue imposto da
Joseppo per ragione
de la passione che
dovea essere. Onde sopra quella parola:
"
Chiamerai il nome suo
Jesù"
dice la Chiosa:
"Nome gl'imporrai tu cioè
Joseppo, quello che gli è imposto
da l'
angelo, ovvero ab
eterno". E tocca qui la
Chiosa queste tre
denominazioni, ché quando
dice: "imporrai",
allora tocca la
dinominazione
fatta da
Joseppo;
quando
dice: "ch'è imposto da l'
angelo, ovvero ab
eterno, allora tocca l'altre
due.
Dirittamente adunque
in
dìe di Capodanno fu ordinato questo
dìe dal
capo del
mondo, cioè Roma, e in
dìe segnato da la primaia lettera
de l'
alfabeto, cioè che Cristo,
capo de la Chiesa,
è
circunciso e
èlli posto nome e, è
celebrato il
dìe del
suo
nascimento.
La terza
cosa è lo spargimento del sangue di Cristo.
Lo quale spargimento
cominciò oggi
e poi volle spargerlo
più volte; ché
cinque volte lo sparse per noi:
la prima ne la
circuncisione, la seconda ne la orazione,
la terza nel
fragellamento, la quarta nel
crucifiggimento,
la quinta ne la puntura del lato. La prima fu
cominciamento
del nostro ricomperamento;
la seconda mostrò
il desiderio del nostro ricomperamento; ne la terza
mostrò il
merito del ricomperamento, però che per lo
suo lividore noi siamo sanati; la quarta fue il prezzo
del ricomperamento, però che allora pagòe quello che
non avea tolto; la quinta, cioè l'
apertura del lato, fue
sacramento del nostro ricomperamento. Però che quindi
uscìe sangue e
acqua che
figuròe che noi
dovessimo essere
purificati per l'
acqua del
battesimo, lo quale
doveva
avere
efficacia del sangue di Cristo.
Il quarto e l'ultimo è il
segnale de la
circuncisione,
la quale Cristo in cotale
dìe volle ricevere. E volle essere
circunciso il Signore per molte
ragioni: E prima
per ragione di sé, cioè per mostrare ch'elli
avesse
presa veracemente
carne umana; sapea bene che
doveano
venire
eretici che
doveano
dire che non
avesse
presa verace
carne, cioè
corpo, ma
fantastico; e per
ciò, a
confondere lo loro
errore, volle essere
circunciso
a mandare fuori sangue. La seconda ragione si
è per ragione di noi, acciò che ci mostrasse come
noi
dovessimo essere
circuncisi spiritualmente. "
Due
circuncisioni sono, come
dice san Bernardo, le quali
debbono essere
fatte da noi, cioè quella di fuori e
quella
dentro. La
circuncisione di fuori sta in tre
cose: in
abito che non sia notabile, in operazione che
non sia di reprensione, e in parola che non sia da
dispregiare.
La
circuncisione dentro
dee essere simigliantemente
in tre cose, cioè in pensiero che sia santo, in
affezione che sia pura e ne la intenzione che sia
diritta".
Infino qui
dice Bernardo. Anche per ragione
di noi, acciò che ci salvasse. Ché secondamente che si
taglia un
membro, acciò che tutto il
corpo sia sanato,
così Cristo volle portare la
tagliatura de la
circuncisione,
acciò che in questo modo fosse salvato tutto il
corpo
figurativo.
Dice san Paulo
ad Colossenses secondo
capitolo: "Voi siete
circuncisi di
circuncisione
non
manufatta, in
ispogliamento
de la carne, secondo
la
circuncisione di Cristo.
Nel terzo luogo per ragione de' giuderi, acciò che
non
avessero
scusa; però che se non fosse stato
circunciso,
li giuderi
avrebbero potuto
dire: "Noi non ti
riceviamo, perché tu
se'
dissomigliante a' padri".
Nel quarto luogo per ragione de le
dimonia,
acciò non
cognoscessero il misterio de la incarnazione; ché, con
ciò fosse
cosa che la
circuncisione si
facesse contra il
peccato originale,
credette il
diavolo che costui, il quale
si
circundiceva, fosse simigliantemente peccatore al quale
bisognasse lo rimedio de la
circuncisione. Per questa medesima
ragione volle che la madre sua, Vergine perpetualmente,
fosse
disposata.
Nel quinto luogo per ragione d'
adempiere la perfetta
giustizia; ché, secondamente che volle essere
battezzato
e per
adempiere la perfetta giustizia, cioè la perfetta
umilitade, la quale
è di sottomettersi al minore,
così volle essere
circonciso per mostrarci quella medesima
umilitade da poi che 'l
fattore e 'l signore de la
legge si sottomisse a la legge. Nel
sesto luogo per
ragioni di provare la legge di
Moises ch'ella fosse
giusta e santa, e acciò che
ricompiesse quello in che
ella mancava, per ciò che non venne per
iscioglierla,
ma per
adempierla, come
dice san Paulo
ad Romanos,
XV capitolo: "Io
dico che
Jesù fu servo de la
circuncisione
per la verità di Dio a
confermare la
promessa
de' padri.
La
cagione perché si
faceva l'ottavo
dìe la
circuncisione,
è per molte
cagioni; e la prima si prende
appresso
lo 'ntendimento storiale, ovvero litterale. Onde,
come
dice Rabbi
Moises, grandissimo
filosafo e
teolago
avvegna che fosse giudeo: "Il
fanciullo, ciò
dice, in
sette
dì è ancora di tanta
tenerezza, di quanta egli era
stando nel ventre de la madre sua; e ne l'ottavo
dìe
è
consolidato e
fortificato; e però,
dice che Dio non
volse che i
fanciulli
piccolini
fossero
circuncisi innanzi
a gli
otto dì, acciò che non perissono per la troppa
tenerezza".
Ma più che
otto dì non volle che fosse prolungata la
circuncisione per tre
ragioni, le quali esso
filosafo
assegna:
La prima si è per schifare lo
pericolo, cioè
che non
avvenisse di morire senza la
circuncisione se
troppo s'indugiasse. La seconda si è per provvedere al
duolo de'
fanciulli ché, con ciò sia
cosa che grandissimo
duolo sia al
circuncidere, volle Iddio che si
circoncidessero
mentre ch'elli hanno
poca imaginazione,
acciocché ch'ellino sentissero minore
duolo. La terza
si è per avere
compassione a la
tristizia del padre e
de la madre; però che, con ciò sia
cosa che molti ne
morissono, se
fossono
circuncisi grandi maggiore
dolore
ne nascerebbe al padre e a la madre, che se
morissero
abbiendo pure
otto dì.
La seconda ragione si piglia appresso lo 'ntendimento
celestiale, che però si
faceva ne l'ottavo
dìe, per
dare
ad intendere che ne l'ottava de la resurressione nostra
saremo
circoncisi da ogni pena e da ogni miseria. E, secondo
ciò,
otto dì saranno
otto
etadi: La prima fia da
Adamo
fino a
Noè; la seconda da
Noè infino ad
Abraam;
la terza da
Abraam infino a
Moises; la quarta da
Moises
infino a
David; la quinta da
David infino a Cristo; la
sesta da Cristo infino a la fine del
mondo; la settima
di
coloro che muoiono; l'ottava di
coloro che risuciteranno.
Ovvero che per gli
otto dì s'intendono
otto cose
che noi
avremo in vita
eterna, le quali Agostino
annovera
in questo modo: "Che altro è a
dire, io sarò
loro
Domenedio, se non ch'io sarò loro quello onde saranno
saziati? Sa
rò tutte quelle cose le quali onestamente
si possono
desiderare, cioè vita, salute, virtude
e
abbondanzia, gloria, onore, pace e ogni bene.
Ovvero per
sette dì s'intende l'uomo che è d'
anima e
di
corpo. I
quattro dì sono
quattro
elementi del
corpo,
e gli altri
tre sono tre
potenzie de l'
anima che sono
ne l'
anima: cioè la razionale, la
concupiscibile e la
irascibile. Adunque l'uomo il quale ha ora
sette dì,
quando sia
congiunto a l'unione de l'
eternale
incommutabilitade,
allora
avrà l'ottavo nel quale fia
circunciso
da ogni pena e
colpa.
La terza ragione si prende appresso lo 'ntendimento
morale e, secondo ciò,
otto dì si possono pigliare in
diversi modi.
El primo dì sarà il primo
conoscimento
del peccato, come
dice il salmo: "La mia iniquitade
io la
conosco". Lo secondo
dìe saràe il proponimento
di lasciare lo male e di fare il bene; la qualcosa
si mostra nel figliuolo
guastatore, il quale
disse:
"Io mi leverò e
andrò al padre mio". Il terzo è la
vergogna del peccato; di questo
dice l'
apostolo: "Che
frutto
aveste voi allora in quelle cose ne le quali voi
avete ora vergogna?" Il quarto è la paura del giudicio
che
dee venire; di questo
dice
Job: "Come onde
enfianti
sopra me, sempre ho temuto Iddio, e 'l peso suo
non
potetti
sostenere". E san
Geronimo
dice: "Ovvero
ch'io mangi, ovvero ch'io
bea, ovvero ch'io
faccia
altro, sempre mi
pare udire quella
boce terribile: "Levate
su morti, venite al giudicio". Il quinto è la
contrizione,
come
dice
Jeremia: "Pianto de l'unigenito
fa a
te pianto
amaro". Il
sesto è la
confessione, come
dice il salmista: "Io
dissi di
confessare
contra a me
la giustizia mia al Signore". Il settimo è speranza
d'avere perdono, però che se Giuda
confessò il peccato
suo, non
ebbe speranza di perdonamento, e però
non
ebbe la misericordia di Dio. L'ottavo è la
satisfazione.
È in questo
die spezialmente
circonciso l'uomo,
non solamente da la
colpa, ma eziandio da ogne pena.
Ovvero che i
due primai dì sono il
dolore
d' avere
fatto
il peccato e 'l
disiderio di fare la
menda; gli altri
due
dì sono
confessare li mali che
abbiamo
fatti e li
beni
che
abbiamo lasciati, che noi
avremo potuti fare; gli
altri
quattro dì sono orazione e spargimento di
lagrime
e
afflizione di
corpo e fare
limosine. Ovvero che
otto
dì sono
ragioni le quali,
considerando
diligentemente,
circoncide da noi ogni
volontà di peccare; sì che chi
considera
diligentemente l'uno
farà una grande ignoranza.
De la quale ne
conta san Bernardo
sette, e
dice così: "
Sette cose sono de la
essenzia de l'uomo,
le quali se l'uomo
attendesse bene, giammai non peccherebbe;
ciò sono la materia vile, l'operazione sozza,
l'uscita di pianto, lo stato sanza
fermezza, la
morte
di
tristizia,
isceveramento de l'
anima dal
corpo miserabile
e
dannazione
abbominevole. L'ottavo sarà la
considerazione de la gloria di non potere
dire.
La quarta ragione si prende appresso lo 'ntendimento
spirituale e, secondo ciò, li
cinque dì saranno
cinque
libri di
Moises ne li quali si
contiene la legge; i
due
dì saranno la
dottrina del Vangelo. Ma ne' primai
sette dì non si
faceva la perfetta
circuncisione, ma ne
l'ottavo
dìe si
fa da ogni
colpa e da ogni pena, ora
in
speranza, ma la
fine in fatto. La
cagione perché la
circuncisione fosse
data, fue per
sei
cagioni, le quali si
contengono in questi versi:
Tagliatura, segnacchio, merito, medicina, figura
Essemplo fu di qua adrieto la circuncisione dura.
De la
carne de la
circuncisione di Cristo
dicesi che
l'
Angelo la portòe a
Carlo Magno, ed elli sì la legò onorevolemente
ad
Acquisgrana ne la chiesa di santa Maria.
E
dicesi che
Carlo l'ha traslata poscia
a Carosio
e ora, si
dice, ch'è a Roma ne la chiesa che si
chiama
Santa
Santorum. Onde in quel luogo si trova scritto:
La circuncisa carne di Cristo le sandalie chiare
E del bellico riposa qui tanto di prezzo.
Onde in quello
dìe si
fa la stazione a Santo
Santorum.
Ma se questo è vero,
certo molto è grande maraviglia;
ché, con ciò sia
cosa che quella
carne sia de
la verità de l'umana natura,
crediamo che risuscitando
Cristo quello
membro, cioè quella
carne
circoncisa e
tagliata, tornò al suo luogo glorificato. Alcuni hanno
detto che ciò sia vero appresso l'openione di
coloro che
dicono che solamente quello è de la verità de l'umana
natura che fu tratto d'Adamo, e quello solo
resurressirà.
Ed è da notare che di qua adrieto i pagani in
questo tal dì osservavano molte superstizioni, le quali i
santi appena poterono spegnere da li
cristiani; le quali
Agostino
raccorda in uno suo sermone. "Che
credendo,
ciò
dice, che Gennaio fosse uno
domenedio del
cielo, sì
l'
onoravano molto in queste
calendi, e
facealli
figura
di
due
faccie, l'una di
dietro e l'altra dinanzi, per
ciò ch'era termine de l'
anno passato e
cominciamento
di quello che venìa. Ancora in queste
calendi si prendevano
forme
contraffatte: altri si vestivano di pelli di
pecora; altri pigliavano
capi di
bestie, per la qualcosa
mostrassero d'avere così senno di
bestie com'elli
avevano
l'
abito; altri si vestivano di toniche di
femmine e
poneanvi
bracci
cavallereschi; altri
facevano tali
indovinamenti
che,
chiunque
domandasse
fuoco de la
casa
sua ovvero alcuno altro
beneficio,
nol
davano. Simigliantemente
alcune
diavolerie prendono da
altrui e
danno
a gli altri. Altri
apparecchiano le mense
fornite la notte,
e così le lasciavano stare tutta la notte,
credendo per
tutto l'
anno i
conviti
bastino in cotale
abbondanza. E
aggiugne Agostino questa parola: "Chi de la usanza
de' pagani vorrà osservare alcuna
cosa, da temere è
che il nome di Cristo non gli
faccia
pro. E chi a li
stolti uomini che
fanno di questi giuochi, mosterrà alcuno
ben piacere, non
dubiti ched elli sia
parzonevole
a' peccati loro; ma a voi,
frati, non
basti che voi non
facciate questo male, ma in qualunque luogo voi il vedrete
fare, sì ne riprendete e
correggete e gastigate".
Ciò
dice Agostino per
comandamento.
cap. 14, EpifaniaLa
Epifania del Signore è
abbellita di
quattro miracoli;
e però è
chiamata da
quattro nomi, per ciò che in questo
dìe li Magi
adorarono Cristo, Giovanni il
battezzò,
mutò
Cristo l'
acqua in vino e
saziò
cinque migliaia d'uomini
di
cinque pani e
due pesci. Ché abbiendo
Jesù Cristo
XIII
dì, li Magi il vennero ad
adorare,
guidandoli la
stella.
E per questo è
chiamata questa
festa
Epifania, però che
allora la
stella
apparì
disopra, ovvero che esso Cristo,
per la
stella che fu veduta
disopra,
apparve a li Magi
che fosse verace Iddio. In quel medesimo dì, rivolti
XXIX anni,
essendo già
entrato ne li
XXX, in ciò che
avea
XXVIIII anni e
XIII dì - ché elli era incontanente
quasi di
XXX anni, come
dice santo Luca, ovvero, secondo
il
detto
Beda: "Abbiendo
XXX anni
compiuti"
la qualcosa
afferma che la Chiesa di Roma tiene - allora
ne l'
acqua fue
battezzato nel
fiume Giordano. È
per questo è
detto
teofania da
Teos, cioè Dio, e
fanos
cioè
apparizione, però che allora
apparve Iddio in trinitade:
il Padre ne la
boce, lo Figliuolo ne la
carne, lo
Spirito Santo in ispezie di
colomba.
Allora in quello
dìe,
rivolto l'
anno, abbiendo Cristo
XXX
anni, ovvero
XXXI anni e
XIII dì,
mutò l'
acqua in vino;
e per questo è
detta
Bethfamia, per ciò che nel miracolo
fatto ne la
casa
apparette verace Dio.
Ancora in quel dì, simigliantemente rivolto un altro
anno di questo,
essendo di
XXXI, ovvero
XXXII anni
sì come
dice
Beda,
saziòe
cinque milia uomini di
cinque
pani e di
due pesci, e sì come
dice in quello inno:
"Illuminans Altissimus". Ma questo quarto miracolo
non è bene
certo se fosse in questo
dìe, sì perché ne
l'originale di
Beda non si truova così
espressamente, e
sì perché nel vangelo di san Giovanni, dove si
fae
mentione di questo miracolo, si
dice ch'era presso a la
Pasqua.
Adunque la prima
apparizione fu
fatta per la
festa ne
la mangiatoia; la seconda fu
fatta per la
voce del
Padre nel
fiume Giordano; la terza fu
fatta nel
convito
per
mutamento de l'
acqua in vino; la quarta per
multiplicamento di pane nel
diserto. De la prima si
fa
menzione oggi la
festa, e però proseguiamo quella
storia. Ché nato che fu il Signore, tre Magi vennero
in Gerusalem; i quali
ebbero nome in lingua
ebrea
Appellio,
Amerio e
Damasco; in lingua
grecesca
Galgalat,
Malgalat e
Sarathin; in lingua
latina
Caspar,
Balthasar
e
Melchior. Di che maniera questi tre Magi
fossero
è questa sentenzia, secondo che mago è
detto in
tre modi, cioè: schernitore,
incantatore e savio.
Dicono
alcuni che questi re
furono
detti Magi, da l'
effetto, cioè
schernitori, in ciò ch'ellino schernirono
Erode perché non
tornarono da lui. Onde
dice il Vangelo di san
Matteo
nel secondo
capitolo: "Che veggendo
Erode ch'egli
era
beffato
da' Magi
ecc
."
Mago ancora è
detto
incantatore, onde gl'indovini di
Faraone
furono
detti magi; e per questo
dice Grisostomo
che costoro
furono
chiamati Magi, però che,
dice, ched
elli
furono
incantatori, ma poi
furono
convertiti; a li
quali il Signore volle manifestare il suo
nascimento e
farli venire a sé, acciò che per questo
desse perdonanza
a li peccatori.
Anche mago tanto è a
dire come savio; ché mago,
per sé, in lingua
ebrea tanto suona come scriba, in
grecesco suona
filosofo, ma in
latino savio. Sono
detti
dunque magi, cioè savi, onde son
detti magi, quasi in
sapienza magni.
Vennero dunque in Gerusalem con grande
compagnia.
Ma perché vennero in Gerusalem, con ciò fosse
cosa che
'l Signore non fosse nato in Gerusalem, san
Remigio
n'
assegna
quattro
ragioni. La prima ragione è perché li
Magi
aveano bene saputo il tempo del
nascimento di
Cristo, ma il luogo non sapeano. Onde però che Gerusalem
era
città reale e ivi era il sommo sacerdozio,
pensarono che così nobilissimo
fanciullo non
dovrebbe
nascere se non in nobile
cittade. La seconda ragione, per
potere piuttosto sapere il luogo del
nascimento da' savi
de la legge e da li scribi che risedeano ivi. La terza
ragione, perché li giuderi non si potessero
scusare, ché
averebbero potuto
dire: "Noi sapemmo il luogo del
nascimento
ma non sapemmo il tempo, e per ciò non
credemmo".
Sì che li Magi mostrarono il tempo a li giuderi
e li giuderi mostrarono il luogo a' Magi. La quarta
ragione è acciò che per lo
studio che
ebbero i Magi
fosse
condannata la pigrizia de' giuderi; ché
coloro
credettoro a uno profeta, costoro non vollono
credere
a molti;
coloro vanno
caendo re straniero, costoro
non vogliono andare
caendo il loro proprio;
coloro
vennero da lungi, costoro
nol vollero
domandare da
presso.
Questi re
furono successori e
discendenti di
Balaam,
e a la veduta de la
stella vennero, per quella
profezia
del loro
antico padre: "Nascerà, ciò
dice, la
stella di
Giacob, e leverassi l'uomo d'Israel".
Un'altra
cagione onde costoro si mossero a venire
pone Grisostomo ne l'originale sopra Matteo,
affermando
che alcuni
dicono che
alquanti ragguardatori di stelle
scelsono
XII di loro; e se alcuno ne moriva, il figliuolo
suo ovvero alcuno de' prossimani era posto in suo luogo.
Costoro salivano ogne
anno dopo il mese in sul monte
Vettoriale e, stando là suso tre dì, sì si lavavano e pregavano
Iddio che mostrasse loro quella
stella di che
Balaam
avea
profetato. Sì che una volta, ciò fue il
dìe
di
Natale, standosi così in quel luogo, una
stella venne
a loro in sul monte, la quale avea
forma di
bellissimo
fanciullo sopra il cui
capo
risplendea la
croce; la quale
stella parlòe a li Magi, e
disse: "
Andate tosto ne la
terra di Giudea, e ivi troverrete nato il Re che voi
adomandate". Allora quelli vennero immantanente. Ma
come potero venire in sì piccolo tempo, come sono
XIII
dì? sì lungo
viaggio come da Oriente in Gerusalem, la
quale si
dice che è nel mezzo del
mondo? Potremmo
dire, secondo
Remigio, che cotale
fanciullo dov'ellino
andavano gli
poté
ben menare in sì piccolo tempo; ovvero
che,
diremo secondo
Geronimo, che e' vennero in
su
dromedarii, che sono
animali sì
correntissimi che
corrono
in un
dìe quanto
corre il
cavallo in tre. Ovvero
che
diremo, secondo Grisostomo, che la
stella lungo
tempo innanzi al
nascimento di Cristo
apparette a li
Magi, e allora
cominciarono a venire sì che il
tregesimo
dìe de la nativitate giunsero in Betleem. Secondo il
detto
di
Geronimo si è più
comunemente, cioè che 'l primo
dìe di
Natale
apparette; infino d'allora
cominciarono
ad andare in su
dromedarii secondo che avea
profetato
Isaia parlando de'
cammelli e de'
dromedarii.
Essendo dunque venuti questi Magi in Gerusalem,
domandarono
dicendo: "Ov'è que' ch'è nato Re de' Giuderi?"
Non
domandano s'egli è nato, però ch'eglino
il
credono, ma
domandano dove egli sia nato ché non lo
sapevano; e quasi come se alcuno gli
avesse
domandati:
"Come sapete voi questo Re nato?" rispuosero: "Noi
vedemo la
stella sua
in oriente e siamo venuti ad adorarlo";
quasi
dica: "Stando noi in Oriente vedemo la
stella sua, cioè
dimostrativa del suo
nascimento;
vedemola,
dico, posta sopra la
contrada di Giudea. Ovvero
stando noi ne la
contrada nostra vedemo la
stella sua
in Oriente, cioè ne la parte d'Oriente".
Questi re, come
dice san
Remigio
ne l'originale,
per queste parole
confessarono che Cristo fosse
veramente
uomo e verace Re e verace Iddio. Verace uomo
confessarono quando
dissero: "Ov'è quelli ch'è nato?"
Verace Re quando
aggiunsero: "Re di giuderi". Verace
Dio quando
dissero poi: "E vegnamo ad
adorallo".
Però che
comandamento fue che altri che solo Iddio
non fosse
adorato.
Erode udendo ciò fu turbato, e tutta
Gerusalem con lui.
Per tre
ragioni si turbò il re: l'una perché li giuderi
non ricevessero il re nato, sì come il loro propio
e
cacciassero lui, come straniero. Onde
dice Grisostomo:
"Sì come uno leggiero vento muove il rame de gli
alberi posto in
alto, così leggiera
fama
conturba gli
altieri
uomini posti in
altezza di
dignitade". La seconda,
acciò che non potesse essere incolpato da' Romani se
alcuno vi fosse
chiamato re, che lo 'mperadore non
avesse ordinato. Ché così ordinarono li romani che niuno
fosse
detto né re né
domenedio, senza la loro licenzia
o de lo 'mperio. La terza, però che, come
dice san Gregorio:
"Nato il re dal
Cielo, si turbò il re de la terra".
Certamente, però che l'
altezza terrena si
confonde
quando l'
altezza
celestiale s'
apre.
E tutta Gerusalem si turbò con lui per tre
cagioni:
l'una, perché i rei uomini non si possono rallegrare de
la venuta del giusto; la seconda, per tenere a
lusinga
lo re turbato acciò che si mostrassero
altressì turbati
con esso lui; la terza, perché sì come quando
i venti
si percuotono insieme, l'onda si scuote, così quando i
re si
contastano insieme, il popolo n'è
conturbato; e
per ciò temettero acciò che il re presente e quello che
dovea venire non
conturbattessero insieme, e ellino
fossono
involti in
pertubagioni. Questa ragione è di Grisostomo.
Allora
Erode ragunò li scribi e sacerdoti, e
domandavagli
dove Cristo nascerebbe. E abbiendo saputo da
loro che nascerebbe in Betleem di Giuda,
chiamò a sé
di
nascosto li Magi, e
diligentemente
apparò da loro il
tempo de la
stella la quale
apparve loro, per sapere che
si fare se li Magi non tornassero da lui, infignendosi
di volere
adorare colui, lo quale elli voleva uccidere.
E nota che, quando li Magi furono
entrati in Gerusalem,
sì
perdettono la guida de la
stella; e questo
fu per tre
ragioni. La prima è acciò che
fossoro
costretti
a cercare del luogo dove Cristo era nato, sì
che in questo modo
fossero
certificati del suo
nascimento,
sì per lo
apparimento de la
stella, sì per l'
affermamento
de la
profezia sì come fatto fue. La seconda
fue perché
coloro che
domandavano l'
aiuto de
l'uomo, giustamente perderono quello di Dio. La
terza fu perché li segni son
dati a l'infedeli secondo
il
detto de l'
apostolo, ma la
profezia è
data a'
fedeli;
e però fu
dato il
segnale a costoro, con ciò sia
cosa
che ancora fossero infedeli, sì che
apparire non
debba
insino a tanto ch'egli erano tra li giuderi
fedeli. E
queste tre
ragioni si toccano ne la Chiosa.
Ma,
essendo usciti di Gerusalem, la
stella
andava loro
innanzi, infino ch'ella vegnendo stesse sopra 'l luogo
dov'era il
fanciullo. Di questa
stella, che
stella ella
si fosse, tre opinioni ne sono, le quali pone
Remigio ne
lo originale. Ancora
dicono che fue lo Spirito Santo
che, sì come
apparve sopra Cristo in ispezie di
colomba,
così fosse
apparito a li Magi in ispezie di
stella.
Ma Grisostomo
dice che fue
angelo acciò che quelli,
il quale
apparve a' pastori,
apparisse
altressìe a li Magi.
Ma
a coloro, sì come usanti ragione,
apparve in
forma
d'
animale ragionevole; a costoro sì come a' pagani in
forma di
creatura sanza ragione. Altri sono che
dicono
più vero, cioè che fosse una
stella
creata di nuovo; la
quale, abbiendo
compiuto l'ufficio suo, ritornossi ne la
materia di prima.
Questa
stella, come
dice
Fulgenzio, avea
differenzia
da l'altre stelle in tre cose: cioè nel luogo, però che
non era posta nel
fermamento per luogo, ma pendea
nel mezzo de l'
aere, vicina a la terra; anche ne lo
splendore, però ch'ella fu più
splendiente de l'altre
stelle, e ciò
appare però ch'ella era di tanta
chiarezza
che la luce del sole non toglieva la
chiarezza sua,
ma nel mezzogiorno
appariva
chiarissima; anche nel
movimento, però ch'ella
andava innanzi a' Magi a modo
di viandante, ché non si movea a modo
circulare, ma
quasi a modo e
movimento d'
anima
le e processivo.
L'altre
tre
differenzie si toccano ne la Chiosa sopra
Matteo
II, la quale
comincia così: "Questa
stella del
nascimento del Signore.". La prima
differenza è ne
l'origine, però che l'altre furono
fatte al principio del
mondo, ma questa fu
fatta
novellamente. La seconda
differenza è ne lo officio, però che l'altre furono
fatte
per segnali e per temporali, sì come
dice il primo
libro
del Genesis, ma questa fu
fatta per mostrare la via
a' Magi. La terza è ne la
durata per ciò che l'altre
sono perpetuali, ma questa da che
ebbe
compiuto l'ufficio
suo, ritornò ne la materia di prima.
E abbiendo veduta la
stella, s'
allegrarono d'
allegrezza
grande. Nota che di
cinque modi
stella viddero li
Magi. La prima fu materiale, la quale viddero in Oriente;
la seconda fu spirituale, cioè
fedele, la quale viddero nel
cuore. Ché se questa
stella
cioè la fede, non fosse radiata
prima nel loro
cuore, non sarebbono mai venuti
a vedere la
stella materiale. Ché ellino
aveano
avuto
fede
de la sua umanitade, però che
dicevano: "Ov'è questo
ch'è nato?" anche de la sua reale
dignitade, onde
diceano:
"Re de li Giuderi"; anche de la sua
divinitade,
però che
aggiunsero a
dire: "E vegnamo ad
adorallo".
La terza fu intellettuale, ciò fu l'
angelo
ched e' viddero
nel sonno quando furono
ammaestrati che non tornassero
da
Erode, avvegna che
dica una Chiosa: "Che
non fue
angelo, ma fue pur esso signore". La quarta
fue
stella razionale, cioè la Vergine
beata, la quale
viddero nel
diversorio. La quinta fue
supersustanziale,
cioè esso
fanciullo lo quale viddero ne la mangiatoia.
E di queste
due si
dice poscia: "
Entrando ne la
casa
trovarono lo
fanciullo con Maria, madre sua
ecc
."
Catuno
di costoro è
detto
stella. De la prima
stella
dice
il Salmo: "La luna e le stelle che tu
creasti". De
la seconda
dice l'
Ecclesiastico nel
XLIII capitolo: "La
bellezza del
cielo, cioè de l'uomo
celestiale, si è la
gloria di stelle, cioè de le virtude". De la terza
dice
Baruch nel terzo
capitolo: "Le stelle
diedero lume ne
le guardie sue". De la quarta
dice l'
Apocalis ne l'ultimo
capitolo: "Io sono radice a la generazione di
David,
stella
splendiente e mattutina".
Per la veduta de la prima e de la seconda
stella
li Magi si
rallegrarono, per la veduta de la terza si
rallegrarono d'
allegrezza, per la veduta de la quarta
s'
allegrarono d'
allegrezza grande, per la veduta de la
quinta
dice poscia molto. Ma la Chiosa
dice: "Colui
s'
allegra d'
allegrezza
grande, il quale s'
allegra in Dio,
lo quale è verace
allegrezza"; e
aggiunse: "grande",
però che neuna
cosa è maggiore; e: "sottometterai
molto", però che de la grande
allegrezza si puote
altri rallegrare la quale è più e quale meno. Ovvero che
per ragunamento di queste parole volle il
Vangelista mostrare
che gli uomini s'
allegrano più de le cose perdute
e poscia ritrovate, che di quelle che sono sempre
possedute.
Ed
essendo li Magi
entrati ne la
casa di
nascosto
e abbiendo trovato il
fanciullo con la madre, con le ginocchia
in terra
ciascuno gli offerse di tutti questi
doni,
cioè oro, incenso e
mirra. Qui grida Agostino e
dice:
"O
infanzia del
Salvatore, al quale si sottomettono
le stelle, di che grandezza è costui, di che
potenzia,
di che gloria a li cui panni e li
angeli stanno, a la
guardia e le stelle servono, e li re impauriscono, e li
savi s'inginocchiano! Io
stupidisco quando veggio i
pannicelli, e
ragguardo i
cieli; io
ardo quando veggio
il mendico ne la mangiatoia, e impertanto
chiarito sopra
la
stella". Anche
dice Bernardo: "Che fate voi Magi,
che fate?
Adorate voi uno
fanciullo che
giace vestito
di
vili pannicelli in una
capanna? Adunque ora è questi
Dio. Che
fate voi che gli offerete oro? Dunque è questi
re. Sed egli è re, or dove è la
magione reale, dove la
sedia, dove lo spesseggiare de la
corte reale? Ora è
la
stalla la
magione, la sedia la mangiatoia, lo spesseggiamento
de la
corte
Joseppo e Maria? Ma costoro
si
fecero matti per
diventare savi". Di costui
dice
anche
Ilario nel secondo
libro de la Trinitade
ched elli
fece: "Partorisce la Vergine, ma il parto è da Dio.
Lo
fanciullino piange, sono uditi gli
angeli lodare
Iddio. Li panni si sozzano, Dio è
adorato. Adunque la
dignitade de la podestade non si perde, mentre che
l'umilitade de la
carne è predicata".
Ecco come in Cristo
fanciullo non solamente furono
le cose umili e
basse, ma furono in lui le cose
alte
de la
divinitade. Onde
Geronimo sopra la Pistola
ad
Ebreos dice così: "
Ragguardi tu la
culla di Cristo, ora
vedi
altressìe il
cielo;
ragguardi tu colui che piange ne
la mangiatoia,
ragguardi tu colui che non parla, ora
ascolta altressì gli
angeli che 'l lodano.
Erode li perseguita,
ma li Magi l'
adorano; i
farisei non lo sanno, ma
la
stella il mostra; è
battezzato dal servo, ma la
boce
di Dio è udita
tonare
disopra; e
attuffato ne l'
acqua,
ma la
colomba
discende, anzi lo Spirito Santo in
colomba.
La
cagione perché i Magi offersono
cotali
doni, fue
per molte
ragioni. La prima fu perché fu ordinamento
de li
antichi, come
dice
Remigio, che neuno
prosumi
d'
entrare voto a Dio, ovvero al re, ovvero a sacerdote;
ché li
Persi e li
Caldei usarono di fare offerta
di
cotali
donamenti. La seconda ragione, la
quale è di san Bernardo, si fu però ch'elli offersero
oro a la
beata Vergine per
sollevare la povertade, lo
incenso contro al
fiatore de la
stalla, la
mirra per
consolidamento
de le
membra del
fanciullo e per
scacciamento
de' mali vermini. La terza fu perché l'oro
s'appartiene al tributo, lo 'ncenso al sacrificio e la
mirra al
seppellimento de' morti. Per questo si
dimostrano
in Cristo tre cose: reale podestade,
divina maestade
e umana mortalitade. La quarta ragione fu perché
l'oro significa l'
amore, lo 'ncenso l'orazione e la
mirra
mortificamento di
carne. E queste tre cose sono da
offerere a Cristo. La quinta fue perché queste tre cose
erano significate tre cose, le quali erano in Cristo, cioè
la
divinità preziosissima, l'
anima
divotissima e la
carne
intera e non
corrotta. Queste tre cose erano significate
per quelle tre ch'erano ne l'
arca. Ché la verga
che
fiorìo, fu la
carne di Cristo che risucitò, come
dice il
Salmo: "E
rifiorìo la
carne mia". Le tavole dov'erano
scritti li
comandamenti, era l'
anima ne la quale erano
tutti li
tesori de la sapienza e de la scienza di Dio
nascosti. La manna
abbiente ogni sapore è
essa
divinitade,
la quale hae in sé ogni
dolcezza. Sì che per l'oro,
lo quale è più prezioso tra tutti i
metalli, s'intende la
divinità preziosissima; per lo incenso l'
anima
devotissima,
però che lo 'ncenso significa orazione e
divozione,
come
dice il Salmo: "Sia
dirizzata l'orazione mia come
lo 'ncenso nel cospetto tuo"; per la
mirra che
conserva
le
corpora da incorruzione significa la
carne interissima.
Ammaestrati dunque li Magi nel sonno non da
l'
angelo, ma da esso Iddio, secondo la Chiosa sopra 'l
Vangelo di san
Matteo, (ma secondo Grisostomo da l'
angelo)
che non tornassero da
Erode, per altra via tornarono
nel paese loro.
Ecco dunque li Magi come
fecero
prode, ché a guida de la
stella vennero
ammaestrati
per uomo, anzi per profeta, a guida d'
angelo tornarono
e in Cristo si riposarono. Le
corpora di costoro soleano
essere a
Melano ne la chiesa la quale è oggi de l'ordine
nostro, cioè de'
frati Predicatori. Ma ora si riposano
a
Colognale di Francia.
cap. 15, San Paolo EremitaPaolo primo
rimito, sì come testimonia
Geronimo che
scrisse la sua vita,
crescente la persecuzione di
Decio
imperadore, sì se n'andò in uno
eramo
salvatichissimo,
e ivi stette sessanta
anni nascosto a gli uomini
entro una spelunca. Veggendo san Paulo fare
tanti mali e tante pene a'
Cristiani,
fuggì ne l'
ermo;
però che in quel tempo furono
presi
due giovani
cristiani,
e l'uno fu tutto unto di mèle e fu posto al
caldo del sole a le punture de le
mosche e de li
scalabroni
e de le vespe, e l'altro fu messo in uno letto
morbidissimo, là dov'era l'
aere temperata e risonamento
d'
acque,
canto d'uccelli, olore di
fiori, ma fue
sì
cinto di
corde,
coperte di
fiori e di
colori, che non
si potesse
aiutare, né con le mani né con li piedi. E
venne a lui una
garzonetta
bellissima, ma isvergognata
e, svergognatamente,
cominciò
abbracciare il giovane ripieno
de l'
amore
divino. E sentendo costui ne la
carne
movimenti
contrarii a la ragione, non abbiendo
arme con
le quali si
difenda dal nimico, con li
denti si
mozzò
la lingua sua propria e
sputolla nel volto de la pulcella
svergognata. E in questo modo
convertìo il
diletto in
dolore, e
meritòe la vittoria
degna di laude. Per queste
e altre pene, Paulo spaventato
adomandòe l'
ermo.
In quel tempo
credendo Antonio essere il primo
romito
tra li monaci, fu
ammaestrato in sogno che un
altro molto migliore di lui
abitava ne l'
ermo; e,
cercandolo
elli per le selve, si scontrò ne l'
ippocentauro,
cioè uomo mischiato con
cavallo, al quale l'opinione
de'
poeti
diede nome
centauro. Questi gli
disse che
tenesse a mano ritta. Poi si scontrò in uno
animale che
portava
frutto di palme, e era segnato
disopra la imagine
d'uomo, ma
disotto avea
forma di
capra; e Antonio
scongiurandolo per Dio che li
dicesse chi elli
fosse, rispuose ch'elli era satiro, cioè lo dio de le selve,
secondo l'
errore de' pagani. Al terzo si scontrò nel
lupo, il quale lo menòe insino a la
cella di Paulo.
Sentendo san Paolo dinanzi venire costui, serròe molto
bene l'uscio con la
stanga; e Antonio il
priega che li
apra,
affermando che mai quindi non si partirà, ma
maggiormente
ivi morrà. Udendo ciò Paulo sì li
aperse. Incontanente
s'
abbracciarono e
basciarono insieme e,
essendo
venuta l'ora del
desinare, il
corbo recò loro la
parte raddoppiata. E maravigliandosi di ciò Antonio, rispuose
Paulo che
Domenedio gli mandava così ogne
dìe
uno mezzo pane, ma ora per costui l'avea raddoppiata
l'
annona, e
avergliele mandato intero. Sì che nacque
tra loro una pietosa tencione; e umilemente
contendendo
chi sia più
degno di partire il pane, Paulo il
dà a
l'oste suo, e Antonio il
dava al vecchio. A la perfine
l'uno e l'altro vi pongono la mano, e
partitolo
iguali
parti.
E ritornando Antonio e
approssimandosi a la
cella
sua, vide gli
angeli che ne portavano in Paradiso l'
anima
di san Paulo. Quelli, ritornando là tosto, trovò il
corpo di Paulo stare
ginocchione tutto in tal modo,
che pensava che vivesse; ma sappiendo ch'era morto,
disse così: "O
anima santa, quello che
facevi in vita
hai
dimostrato ne la
morte". E non
avendo con che
fare la
fossa, e
affliggendo se medesimo di ciò molto, e
eccoti venire
due leoni e, apparecchiato la
fossa e
sotterrato
ch'elli l'
ebbero, ritornarono a le selve. Sì che
Antonio prese la tonica di Paulo tessuta di palma, la
quale egli usava poi ne le solennitadi. E morì nel torno
de li
anni
Domini
CCLXXXVII.
cap. 16, S. RemigioLa sua vita scrisse
Ignazio
arcivescovo di
Remo.
Remigio,
dottore nobile e
confessore glorioso del Signore,
da un eremita fu prenunziato che
dovea nascere
in questo modo: Con ciò fosse
cosa che la gente de li
Vandali perseguita
avesse e guasta poco meno tutta la
Francia, uno santo uomo rinchiuso, il quale avea perduto
il lume
degli occhi, pregava ispesso Iddio per la
pace de la Chiesa di Francia; ed eccoti l'
angelo del Signore
sì li
apparve in visione e sì li
disse: "Sappi che
quella
femmina la quale ha nome
Cilina ingenerrà figliuolo
che
averà nome
Remigio, il quale liberrà la gente
sua da li
assalimenti de' rei uomini".
Ed
essendo svegliato, immantanente
andòe a
casa di
Cilina e
narròe a lei quello che avea veduto; e ella
non
credendo però ch'era vecchia, il
romito l'
aggiunse
queste parole: "Quando tu
darai latte al
fanciullo, sì
ugnerai gli occhi miei del latte tuo, e tosto mi renderai
il vedere". Ed
essendo
avvenuto in questo modo ciò che
detto era,
Remigio
fuggì il
mondo ed
entrò in
romitorio.
E
crescendo la sua
fama, quando
aveva
XXII anni
fu
chiamato
arcivescovo da tutto il popolo. Di tanta
mansuetudine fue che eziandio a la mensa sua venivano
le
passere e pigliavano de la mano sua il rilievo
de'
cibi. Un tempo ch'elli
albergò in
casa d'una
donna,
ed ella abbiendo poco vino,
Remigio
entròe nel
cellario,
e
fece il
segno de la Croce sopra la
botte e, abbiendo
fatta l'orazione, immantanente uscìo il vino
disopra, sì
che si spandeva per lo mezzo del
cellaio.
Ed
essendo il re di Francia a quello tempo pagano
e non potendo essere
convertito da la moglie ch'era
cristianissima, veggendo che oste senza
fine de li
Alamanni
era venuto sopra lui,
fece
boto a Dio che, se li
desse vittoria di quella gente, incontanente riceverebbe
la
fede di Cristo. E abbiendo
avuto la vittoria al senno
suo,
andòe al
beato
Remigio e
domandò d'essere
battezzato.
Ed
essendo venuto a la
fonte del
battesimo e non
abbiendovi la santa
crisma, eccoti venire la
colomba
e recò in
bocca una
ampolla con
cresima, de la quale
l'
arcivescovo unse il re. E questa
ampolla è consegrata
ne la chiesa de
Remo, e di quella s'ungono li re di
Francia infino al dì d'oggi.
Dopo molto lungo temporale
Genebaldo, uomo provveduto
e savio,
avendo per moglie la nepote del
beato
Remigio ed
essendo
assoluti vicendevolmente per
cagione
di religione, il
beato
Remigio
ordinò lo predetto
Genebaldo
vescovo di Lodano. E con ciò sia
cosa ch'elli
lasciasse venire a sé la moglie per
cagione d'
ammaestrare,
per lo molto
favellare con lei l'
animo è infiammato
a
concupiscenzia, e infino nel peccato con lei
corse.
Quella
concependo e partorendo figliuolo, sì 'l
fece
assapere al vescovo ed elli, pieno di vergogna, le rimandò
a
dire queste parole: "Imperò che 'l
fanciullo è
guadagnato di ladroneccio, sì voglio che
abbia nome Ladro".
Ma acciò che non ne nascesse veruna sospeccione,
lasciava venire la moglie a sé come di prima, e poi
comandò
che
dovesse uscire fuori; sì che dopo il pianto del
primo peccato, un'altra volta
cadde con lei in peccato. La
quale, quando
ebbe partorita
figliuola e mandatolo a
dire
al vescovo, quelli rispuose: "
Chiamatela volpicella".
A la perfine tornato a se medesimo,
andossene al
beato
Remigio e
gittolisi a' piedi, e vollesi levare la
stola dal
collo; la quale
cosa vietando il santo di fare,
abbiendo udito da lui ciò ch'era intervenuto, umilemente
consolandolo, si rinchiuse in una
cellolina piccola
per
sette
anni, e elli governòe la Chiesa di lui intanto.
E nel settimo
anno stando in orazione ne la
cena
Domini, eccoti l'
angelo di Dio e stette dinanzi
da lui, e sì li
disse che 'l peccato gli era perdonato
e
comandolli ch'egli
dovesse uscire fuori. E quelli rispondendo:
"Non
posso per ciò che 'l signore mio
Remigio
ha
chiuso questo uscio e
suggellato". L'
angelo
rispuose: "Ora ecco acciò che tu sappia che 'l
cielo t'è
aperto, questo uscio altressì ti sarà
aperto
ora, salvo il
suggello". Incontanente, come
detto avea,
fue
aperto. Ancora
Genibaldo, gittandosi nel mezzo de
l'uscio in modo di
croce, sì
disse: "E eziandio se il mio
Signore
Jesù Cristo venisse qua, non ne uscirò mentre
che non ci verrà il signor mio
Remigio, il quale mi
ci
rinchiuse". Allora santo
Remigio
arcivescovo per l'
ammonizione
de l'
angelo venne a Leone sopra Rodano, e
rimiselo
in su la sedia sua. Il quale insino a la
morte
perseveròe
ne le sante opere, e 'l suo figliuolo,
chiamato Ladro,
fu vescovo dopo lui e fu santo uomo. A la perfine
il
beato
Remigio per molte virtudi
chiarito si
riposòe
in pace intorno a li
anni
Domini
D.
cap. 17, S. Ilario
Ilario, vescovo de la
città di
Pitavia, natìo de
la
contrada d'Aquitania, come
stella
diana
risplendiente,
procedette
fra le stelle grosse. Questi abbiendo prima
moglie e
figliuola, in
abito
ladicale menava vita
monacale;
a la perfine,
megliorando in vita e in iscienzia,
fu
chiamato vescovo.
Con ciò dunque fosse
cosa che santo
Ilario e non
solamente la
città sua, ma eziandio tutta Francia
difendesse
da li
eretici, a sommovimento di
due vescovi,
i quali erano
dipravati di
resia, da lo 'mperadore, il
quale
dava
favore a li
eretici, fu mandato a'
confini
a
Vercelle con santo
Eusebio. A la perfine con ciò fosse
cosa che la
resia d'Ario
rampollasse in
ciascuna parte
e fosse
data licenzia da lo 'mperadore che tutti i vescovi
si ragunassero a
disputare de la verità de la
fede,
essendo venuto là santo
Ilario, fu costretto di tornare
al vescovado suo a petizione di quelli vescovi, i
quali non poteano
comportare il suo
parlamento. Il quale
approssimato a l'
isola
Gallinacia, tutta piena di serpenti,
e
disceso in quella, tutti li serpenti
cacciò
via col suo vedere, e nel mezzo de l'
isola
ficcò uno
palo sì che di qua da quello luogo non si poterono
stendere li serpenti, come se quella parte de l'
isola
fosse mare.
Ed
essendo a
Pitavia, recò a vita con le sue orazioni
uno
fanciullino sanza
battesimo morto; ché tanto giacque
ne la
polvere che ad una ora sì 'l si rilevaro il vecchio
da orazione e lo
fanciullo da la
morte.
E volendo
Apia, sua
figliola, torre
marito,
Ilario la
predicòe e
confortolla nel proponimento di santa
virginitade;
e ella veggendola bene
ferma, ma temendo ch'ella
non si
cambiasse, pregò Iddio molto
perseverantemente
che la ricevesse a sé e non la lasciasse più
vivere.
E così fu, ché da indi a pochi dì n'andò al Signore;
la quale elli
seppellìo con le sue mani. La qualcosa
considerando
la madre di lei, pregòe il vescovo che l'
accattasse
la grazia ch'egli avea
accattata a la
figliuola.
E così
fece, e
mandollasi innanzi al regno di Dio con
la sua orazione.
In quello tempo
papa
Leo, corrotto de la
resia, ragunòe
il
concilio di tutti i vescovi; i quali ragunati,
Ilario
vi venne, non essendovi
chiamato. Quando il
Papa
l'udì
dire,
comandò a tutti che non li
facessero luogo
né che si levassero a lui. Ed essendovi
entrato, li
disse
il
Papa: "Tu
se'
Ilario
francesco?" E quelli
disse:
"Non sono
francesco, ma di Francia". Cioè volle
dire:
non sono nato di Francia, ma vescovo di Francia. Al
quale
disse il
Papa: "E se tu
se'
Ilario di Francia,
io sono Leone de la romana sedia
apostolico e giudice".
Al quale
disse
Ilario: "E se tu
se' Leone, tu pure non
se' de la schiatta di Giuda; e se tu siedi per giudicare pur
tu non
se' ne la sedia de la maestade". Allora il
Papa
indegnato contro a lui, sì si levò e
disse: "
Aspettami
un poco, tanto ch'io torni, e renderotti quello che
tu
se'
degno".
Disse
Ilario: "Se tu non torni, chi mi
risponderà per te?" E quelli
disse: "Io tornerò tosto
e
abbasserò la tua superbia". Ed
essendo il
Papa
andato
al luogo segreto de la natura, sì li venne tale
sollizione che in quello luogo gittò disotto le 'nteriora,
e così
finì la vita sua in molta miseria.
Infrattanto veggendo
Ilario che niuno gli
faceva
luogo, abbiendo
pazienza, si pose a sedere in terra così
dicendo: "Del Signore è la terra, e la plenitudine sua".
Ed incontanente per
volontà di Dio la terra sopra la
quale e' si puose, si levò
alta infino ch'
ell'era
iguale
con gli altri vescovi. E in questo modo gli
fece Iddio
una
cattedra. Ed
essendo dunque
annunziato il
Papa
così morto miseramente,
Ilario si levò ritto nel mezzo
e
confermò tutti li vescovi ne la
fede
cattolica e,
confermati,
gli rimandò a le luogora loro. Ma questo miracolo
de la
morte di
papa Leo si ha
dubbio, sì perché
la Storia
Ecclesiastica e la
Tripertita non
dicono nulla
di questo Leone, sì perché la
Cronica non pone che a
quel tempo fosse veruno
Papa che
avesse così nome, e
sì perché
Geronimo
dice che la santa romana
Ecclesia
sempre fue sanza
macula ne la
fede e starà nel tempo
che
dee venire senza neuno
assalto d'
eretici.
A la perfine
Ilario, abbiendo
fatti
dimolti miracoli,
quando fue infermato,
cognoscendo che la
morte era prossimana,
sì
chiamò a sé
Leoncino prete, lo quale
massimamente
amava, e
ammonillo che
sopravvegnente la
notte
esca fuori, e s'elli udisse alcuna
cosa, sì li
comandò
ch'elli lo ridicesse. Quelli, vogliendo
adempiere il
comandamento, uscì fuori e ritornò a
dire ch'avea udito
le
voci de la
città che ancora
bulicavano. E vegghiando
dintorno a lui,
aspettando la sua
fine, ne la mezzanotte
li fu
comandato che
dovesse uscire fuori un'altra
volta per ridire a colui che
giacea quello che
avesse
udito. E rispondendo che non avea udito nulla, immantanente
entrò a lui una
chiaritade, la quale esso prete
non potea
comportare; e così partendosi il lume a poco
a poco insieme, l'uomo passòe a Cristo. E fue splendiente
al
mondo ne li
anni
Domini
CCCXL.
cap. 18, S. Macario
Macario,
abate,
discese di
Scichi ed
entrò a
dormire
nei monimenti dov'erano seppellite le
corpora de' pagani,
e
trassene uno
corpo e
puoselosi sotto il
capo
suo per
piumaccio. E le
demonia
volendolo spaventare
chiamavano quasi una
femmina, e
dicevano: "Lieva
su, vieni con esso noi in uno
bagno". E l'altro
demonio,
disotto a lui, come parlasse quello cotale morto,
diceva: "Io abbo uno pellegrino sopra me, non
posso
venire". Ma quelli non avea paura, ma percotea quel
corpo e
dicea: "Leva su,
e va, se tu puoi". E
udendolo
le
demonia
fuggirono gridando con grandi
voci:
"Tu n'hai vinti tutti noi".
Una volta che l'
abbate
Macario
andava a la
cella
per lo padule, gli venne incontro il
diavolo con la
falcellina,
ovvero una
falce
mietitoia
fienale,
volendolo percuotere
de la
falce; ma non potette e
disseli: "O
Macario, grande
forza mi
fai perch'io non me ne
posso
contra di te,
ecco che ciò che tu
fai,
fo altressì io:
digiuni tu? ed io, al postutto, non mangio; vegghi tu?
e io non
dormo mai. Una sola
cosa
è ne la quale tu
mi soperchi".
Disse l'
abate: "Quale è quella?"
Disse
il
diavolo: "L'umiltà tua, per la quale non me ne
posso
contra di te".
Una volta che le tentazioni il
molestavano troppo, levossi
e puosesi in
collo un grande
sacco di
rena e, così
portandolo, molti dì
andava per lo
diserto. E
trovandolo
Teosebio, sì li
disse: "Padre, perché porti così gran
peso?" E quelli
disse: "
Conturbo colui che
conturba
me con le tentazioni".
L'
abate
Macario vidde il
diavolo passare in
abito
d'uomo; e
aveva uno vestimento di panno lino tutto
stracciato e
foracchiato, e per li
forami pendevano
ampolle,
e
disseli: "
Macario dove vai?" E quelli
disse:
"Vo a
dare
bere a'
frati"
Disse
Macario: "Perché
dunque porti tante
ampolle?"
Disse il
Diavolo: "Io ne
porto loro di più
fatte; e a cui non piace d'uno,
darò
d'un'altro e, se no, de l'altro; e così
farò per ordine
tanto che li piaccia d'alcuno". E tornando lo
demonio,
sì li
disse
Macario: "Che hai fatto?"
Disse il
diavolo:
"Tutti sono santi e neuno n'ha
acconsentito, se
non uno
Teotisto". Levandosi dunque
Macario andò
là dov'erano e trovando il
frate tentato, sì li
disse ciò
che 'l
diavolo avea
detto. Quelli udendo ciò si
pentéo,
e fue
confermato nel bene.
Un'altra volta veggendo san
Macario lo
diavolo e andare
là oltre, e
dissili: "
Dove vai?" E quelli
disse:
"Vo a'
frati". E ritornando lui, li si
fece incontro il
santo vecchio e
domandò: "Che
fanno quelli
frati?"
Disse il
diavolo: "
Fanno male".
E disse Macario:
"Perché?" "Ché sono santi, e peggio è: uno
che io mi
credea avere guadagnato, è più santo di
tutti gli altri
frati". Udendo ciò il santo vecchio rendé
grazia a Dio.
Uno
dìe trovò san
Macario uno
capo d'uomo morto;
e pregando sì 'l
domandò cui
capo e' fosse stato; e 'l
capo
disse: "D'uomo pagano". E 'l vecchio
disse:
"Dov'è l'
anima tua?" E que'
disse: "Ne lo
'nferno".
E 'l vecchio
disse: "Or
se' tu molto nel profondo?"
E quelli rispuose: "Tanto sono in profondo
quanto ha dal
cielo a la terra".
Disse san
Macario:
"Or sono alcuni più profondi?"
E quelli rispuose:
"Sì, i giudei". A cui il vecchio: "E oltre i giudei,
sono alcuni più profondi?" E quelli
disse: "Più in
profondo ancora
sono li malvagi
Cristiani, i quali, ricomperati
del sangue di Cristo,
ebbono e hanno poco
a
capitale così grande
beneficio".
Andando lui per una profonda
solitudine, ad ogni miglio
ficcava una
canna per sapere poscia meglio ritornare
a
casa. E
avendo già
fatte
nove giornate, riposandosi
in uno luogo, venne il
diavolo e
colse tutte quelle
canne
e
puosegliele al
capezzale, per la qualcosa s'
affaticò
molto a reddire a la
casa sua.
Uno
frate era molto
molestato da' suoi pensieri, cioè
ch'elli stava
disutilmente ne la
cella, ma s'elli
abitasse
tra li uomini a molti potrebbe giovare. Il quale abbiendo
raccontati i pensieri suoi a san
Macario, e elli
rispuose: "Figliuolo,
rispondi così al pensiero: questo
cotanto
fo io ne la
cella, ch'io guardo per Cristo la
parete di questa
cella".
Una volta ch'elli uccise una
zanzara la quale lo pugneva
molto, e tennela in mano, n'
uscìe molto sangue,
riprendendo se medesimo di ciò ch'elli avea vendicata
la propria ingiuria, ignudo ne stette
sei mesi, e tutto
n'uscì lacerato da li
scalabroni. Dopo questo,
essendo
chiarito di molte vertude, si
riposòe in pace.
cap. 19, S. FeliceSi
dice che
essendo maestro di
fanciulli e con ciò
fosse
cosa che fosse a loro molto
aspro, fu preso da' pagani
perché
confessava liberamente Cristo, e fu messo
tra le mani de'
fanciulli li quali egli
aveva
ammaestrati,
i quali l'uccisero con li stili e con le
lesine. Ma
la Chiesa
pare che tenga che non fosse martire, ma
confessore. Costui a qualunque idolo era
condotto a
sacrificarli,
sì soffiava inverso lui, e immantenente
cadeva.
Leggesi in un'altra leggenda che,
fuggendo la persecuzione,
Massimino vescovo di Nola, afflitto di
fame
e di
freddo, era
caduto a terra; sì che Felice fu mandato
da l'
angelo a lui, e non
avendo
cibo che li
desse, vide uno racimolo d'uva appiccato ne la siepe
ch'era ivi presso; de le quali uve gli
premé in vino
in
bocca e
puoselosi in
collo e
portosenelo a
casa.
E, morto colui, fu
eletto vescovo Felice; lo quale predicando
ed
essendo
cercato dal persecutore de la
fede, sì
si
nascose tra pareti rovinate per una piccola
entrata.
Immantanente, per la
volontà di Dio, li
ragnoli vi
fecero
ragnatela per quella
bocca. E veggendo ciò
coloro che
l'
andavano perseguitando, pensarono che non vi fosse
entrato persona, e così lasciarono stare e
andaronsene.
Ma elli si partìe quindi, e
andonne a un altro luogo,
e
ebbe le spese tre mesi da una vedova, ma pertanto
non vide mai la
faccia sua. A la perfine, renduto pace
a la Chiesa, ritornòe a la chiesa sua, e ivi si posòe in
pace, e fue seppellito presso a Roma, in luogo che si
chiama
Pince.
Costui
ebbe uno
fratello ch'
ebbe altressì nome Felice;
lo quale,
essendo costretto d'
adorare l'idole, sì
disse: "Voi siete nimici de' vostri
dei, per ciò che
se voi mi
menerete a loro, io soffierò verso loro immantanente,
come
il fratel mio, e
caderanno a terra.
Costui sì lavorava uno orto; sì che alcuni,
volendoli torre
de l'
erbe del suo orto, mentre che pensavano di fare il
furto per tutta la notte,
diligentemente
vangavano l'orto,
e la mattina, salutati dal santo,
confessarono il peccato
loro e tornaronsi a
casa. E vegnendo i pagani
per
prenderlo, a le mani loro venne grandissima
duolo.
I quali traendo guai, il santo
disse loro: "
Dite che
Cristo è Dio, e 'l
duolo vi lascerà stare". Li quali,
dicendo così, furono sanati. E 'l pontefice de l'idole
venne a lui, e
disse: "Messere, ecco lo Dio mio, sì
tosto come ti vidde venire, immantanente
fuggìo. Al
quale
dicendo me: "perché
fuggi?" elli rispuose:
"Perch'io non
posso
sostenere la virtù di questo Felice.
Se dunque lo Dio mio ti teme così, quanto
maggiormente
ti
debbo temere io?" Il quale, quando Felice
l'
ebbe
ammaestrato ne la
fede, sì si
fece
battezzare.
A
coloro che
adoravano lo Dio
Apollo
disse san Felice:
"Se
Apollo è veracemente Iddio, ora mi
dica che è
quello che io tengo ora chiuso ne la mano". Ed elli
aveva una
cedola ne la quale era scritto il
Paternostro.
Quelli non
dicendo nulla, li pagani furono
convertiti.
A la perfine
cantata la
Messa e
data la pace al popolo,
si puose in orazione in su lo smalto e
andossene
in pace al Signore Cristo.
cap. 20, S. Marcello
Marcello,
essendo a Roma sommo pontefice e riprendendo
Massimiano imperadore de la sua
crudelezza contro
a'
cristiani,
dicendo
Messa in
casa d'una gran
donna,
ne la chiesa
consecrata, lo 'mperadore adirato
fece di
quella
casa
stalla di
bestie, e il
detto
Marcello
condannòe
a guardare e a servire gli
animali. Nel quale
servigio dopo molti
anni si riposò in pace intorno a li
anni
Domini
CCLXXXVII.
cap. 21, S. AntonioLa sua vita scrisse
Atanasio.
Antonio
essendo di
XX anni e udendo
leggere ne la
chiesa: "Se tu vuogli essere perfetto, va e
vendi ciò che
tu hai, e da' a' poveri" elli vendé tutto il suo e
diedelo
a' poveri e menò vita di
romito. Questi
sostenne tentazioni
senza novero da le
demonia.
Una volta,
avendo vinto lo spirito de la
fornicazione
per la virtude di Dio, il
diavolo gli
apparve in
forma
d'uno
fanciullo
nero atterrato dinanzi a lui, e
confessossi
vinto da lui. Ché questi impetrò elli per
prieghi da
Domenedio, cioè ch'elli potesse vedere lo spirito de la
fornicazione che li poneva
agguato. E
vedendolo così
sozzo, sì li
disse: "In vilissima
forma mi
se'
apparito;
da qui innanzi non ti temerò niente".
Un'altra volta stando nascoso in uno
avello, una
moltitudine di
demonia il
conciòe sì malamente, che 'l
fante suo il portò in su la spalla, come uomo morto,
insino a la villa prossimana. E
piangendolo come morto
tutti quelli che v'erano ragunati,
essendo
addormentati
tutti, Antonio si
fece vivo e fecesi riportare al
fante
al
detto
avello. Il quale,
giacendo
atterrato nel
detto
luogo, impertanto per la vertude de l'
animo, invitava
le
demonia a
battaglia. Allora ellino
apparvero a lui in
diverse
forme di
bestie, e
crudelissimamente lo stracciarono
con l'unghie e con le
corna e con li
denti.
Allora subitamente v'
apparve uno
splendore maraviglioso,
e
cacciò tutte le
demonia, e Antonio fu tosto
guarito. E intendendo per se medesimo che Cristo era
quivi presente,
disse: "
Dove
eri tu
buono
Jesù?
dove
eri tu? perché dal principio non
fosti presente per
aiutarmi
e
sanante le piaghe mie?" Al quale
disse Cristo:
"Io era qui, ma
aspettava di vedere la tua
battaglia;
ma ora, perché tu hai
combattuto
francamente,
per tutto il
mondo ti
farò ricordare".
Di tanto
fervore era che, quando
Massimiano imperadore
uccideva li santi
cristiani, a passo a passo elli
seguitava li martiri, acciò che
meritasse essere martire
con loro, e
fortemente si
contristava di ciò che 'l martirio
non gli era
dato.
Una volta,
andando lui per lo
diserto, trovò uno
tagliere d'
ariento, e
cominciò così a
dire
fra se medesimo:
"Onde sarebbe venuto questo tagliere dove
non si veggiono
verune orme d'uomini? Se a' viandante
fosse caduto, non potrebbe
certo essere stato
nascoso per la sua grandezza.
Diavolo, questo è tuo
artificio, ma pertanto non potrai
mutare la
volontà
mia". E
dicendo queste cose, il tagliere sparve come il
fummo. Poscia trovòe una grande
massa d'oro verace;
ma elli sì
fuggìe come fosse
arsura di
fuoco. E così,
vegnendo ad
alto monte,
XX anni vi stette, risplendente
di molti miracoli. Una volta,
essendo elli ratto in ispirito,
vide tutto il
mondo pieno di
lacciuoli
scompigliati
insieme, e gridando
disse: "Chi fia quelli che ne
camperà?"
Egli udì
dire: "L'umiltà".
Alcuna volta ch'egli era levato da gli
angeli in
aria,
vegnono le
demonia e vietano il passaggio,
opponendoli
i peccati suoi ch'elli avea
fatti dal
cominciamento del
suo
nascimento. A i quali
dissero gli
angeli: "Voi
non gliele
dovete
apporre, per ciò che sono spenti per
la pietade di Dio. Ma se voi ne sapete alcuni da poi
che fu fatto monaco, quelli
apponete". E vegnendo
meno ne le
approvagioni, Antonio fu levato in
alto e
posto giù libero.
Narra Antonio di sé, e
dice: "Io viddi alcuna
volta il
diavolo
alto del
corpo, il quale fu
ardito di
dire
ch'elli era vertù di Dio e provvedenza e sapere, e
disse:
"Che vuo' tu che ti sia
dato da me, o Antonio?"
ed io
sputandoli spesso in
bocca,
armato del nome di Cristo,
tutto gli
immisi
addosso; immantanente sparve".
A costui
apparve alcuna volta il
diavolo in tanta lunghezza
che parea che toccasse il
cielo col
capo. E
domandandolo
Antonio chi elli fosse, rispuose ch'elli era
il
diavolo, e
aggiunse queste parole: "Perché mi
combattono
così li monaci e li maladetti
cristiani?" Al
quale
disse Antonio: "
Ragionevolemente il
fanno, perché
spesse volte sono
molestati per li tuoi
agguati".
Disse
il
diavolo: "Io non li
molesto, ma ellino insieme si
conturbano:
io sono
recato al neente, però che già in tutte
le parti regna Cristo".
Uno
arcadore trovò santo Antonio
rallegrarsi con i
frati e
dispiacquegli. Al quale
disse il santo: "Poni
lo strale in su l'
arco e tira". E quelli il
fece. E
abbiendogli
comandato
due volte e tre che tirasse più
forte,
e quelli
disse: "Tanto potrei tirare ch'io romperei
l'
arco".
Disse Antonio: "Così è ne l'opera di Dio, però
che se noi ci volessimo
affaticare fuori di misura, tosto
ci romperemo;
convienci dunque alcuna volta
allegerare
l'
asprezza". Quelli udendo questa ragione se n'andò
edificato.
Domandò Antonio alcuno e
disse: "Che
posso
io guardare ch'io piaccia a Dio?" Al quale
disse il
santo: "
Dovunque tu vai, sempre
abbi Cristo dinanzi
a li occhi tuoi, e in quelle cose che tu hai a fare
aggiugnevi
il testimonio de la santa Scrittura; in qualunque
luogo tu sederai, non te ne partire tosto. Queste
tre cose osservi e sarai salvo".
Uno
abate
domandò Antonio e
disse: "Che
farò io a
Dio ch'io sia salvo?" Rispuose Antonio: "Non ti
confidare
ne la tua giustizia,
abbi la
continenzia del ventre
e de la lingua, e non ti pentere de le cose passate a
bene".
Disse
anche Antonio: "Secondamente che i
pesci s'elli stanno nel secco muoiono, così li monaci
che stanno troppo fuori di
cella, ovvero che
dimorano
con li secolari, sì si partono dal proponimento del
riposo".
Disse anche Antonio: "Colui che siede in
solitudine
e riposasi, da tre
battaglie è liberato, cioè da l'udire
e dal parlare e dal vedere, e contro una
cosa solamente
avrà
battaglia, cioè quella del
cuore".
Alcuni
frati con uno vecchio vennero a vicitare
Antonio.
Disse Antonio a questi
frati: "
Buono
compagno
aveste ne la via questo vecchio". Poscia
disse
al vecchio: "
Buoni
compagni
trovasti con teco
abate?"
E quelli
disse: "
Buoni gli trovai, ma il loro
abituro
non ha porta: Ché
chiunque vi vuole
entrare,
entra ne
la
stalla e scioglie l'
asino". Questo
diceva elli, però
che ciò ch'ellino
avevano in
cuore incontanente il
dicevano
con la lingua.
Disse l'
abate Antonio: "Sapere ci
conviene che
tre
sono li movimenti
corporali: l'uno si è de la natura,
l'altro si è per riempimento di
cibi, il terzo si è dal
dimonio".
Uno
frate avea rinunziato al secolo, ma non pienamente,
però che alcune cose si riserbava ancora. Al
quale
disse Antonio: "Va e
compra de la
carne".
Quelli andò e
comperò de la
carne; ma, mentre ch'elli
la ne recava, i
cani lo stracciavano tutto quanto. Al
quale
disse Antonio: "
Coloro che
rinunziarono al secolo
e vogliono avere le pecunie, così,
combattuti, sono
stracciati da le
demonia".
Antonio,
essendo molto afflitto dal
tedio ne l'
ermo,
sì
disse: "Signore, io voglio essere salvo e non mi
lasciano i pensieri miei". E, levandosi quindi, uscì
fuori e vidde uno il quale sedeva e operava e poi se
ne levava e poi stava in orazione. Ed era l'
angelo di
Dio, e
disse a lui: "
Fa tu così e sarai salvo".
Una volta che i
frati
domandavano de lo stato de
l'
anime
ad Antonio, la seguente notte una
boce 'l
chiamò e
disse: "Levati e
esci fuori e vedi". Ed
ecco che vidde uno ch'era lungo e terribile e che levava
il
capo infino a le nuvole; il quale, con le mani
distese, vietava alcuni che
aveano penne e
volevano
volare al
cielo, e altri che volavano liberamente e' non
potea
rattenere; e udìa grande
allegrezza mischiata con
molto
dolore e intese, per se medesimo, che quello era
il salvamento de l'
anime, le quali il
diavolo vietava
di salire; il quale, mentre che
ratteneva alcuni
colpevoli,
sì se n'
allegrava, e del volamento de' santi, li quali
rattenere non potea, sì se ne
doleva.
Una volta ch'elli operava con i
frati
riguardò nel
cielo, e veggendo
sopravvenire a la Chiesa un tristo
avvenimento, gittossi dinanzi a
Domenedio e
pregollo
che quello male
rimovesse che
dovea venire. E,
domandandolo
i
frati sopra ciò, con
lagrime e con
singhiozzi,
disse che male, lo quale non fu mai udito,
sopravvenìa
al
mondo. "Io viddi, ciò
disse, l'
altare di
Dio intorniato da
moltitudine di giumenti, i quali con li
calci ogni
cosa
tempestavano", "e,
aggiunse, questo di
grande
turbamento sarà per ventura
a la
fede
cattolica
e gli uomini simiglianti a le
giumente ruberanno i sacramenti
di Cristo". E fu udita la
boce del Signore
che
disse: "Sarà
abbominato l'
altare mio". Da indi
a
due
anni uscirono fuori gli
Ariani e spartirono l'unitade
de la Chiesa e vituperarono il
battesimo e le
chiese e li
altari e uccisero li
Cristiani come le pecore.
Uno
duca de l'
Egitto, il quale era
Ariano e avea
nome
Ballachio, con ciò fosse
cosa che
molestasse sì la
Chiesa
di Dio che elli
facea
battere piuvicamente le
vergini e li monaci
ignudanati, Antonio gli mandò così
scritto: "Io veggio l'
ira di Dio venire sopra te; rimanti
di perseguitare li
cristiani, acciò che l'
ira di Dio non ti
pigli, la quale ti minaccia de la
morte prossimana". Il
disavventurato lesse la scrittura e
risesene e,
spurgandovisi
dentro, gittolla in terra e,
tormentando di molte
battiture
coloro che l'
aveano portata, sì rimandò così
a
dire ad Antonio: "Imperciò che tu hai
cotanta rangola
de' monaci, a te perverrà la
disciplina de la nostra
asprezza". Ma dopo
cinque dì
cavalcando il
cavallo
suo mansuetissimo, il
cavallo il
morse e
gittolne in
terra, ed essendoli rose e
lacerate le gambe, infra tre
dì morìe.
Con ciò fosse
cosa che alcuni
frati
domandassero
da Antonio parola di salute, elli
disse: "
Avete udito
che Dio
disse: Chi ti percuote ne l'una guancia,
apparecchiagli
l'altra?"
Coloro
dissero: "Non lo possiamo
fare". E elli
disse: "
Almeno de l'una
sostieni
pazientemente". E
coloro
dissero: "Né questo non
possiamo fare". A i quali
disse Antonio: "
Almeno non
vogliate più percuotere che essere percossi". E
coloro
dissero: "Né questo anche noi non possiamo fare".
Allora Antonio
disse al
discepolo suo: "
Apparecchia le
sacca a questi
frati che troppo sono
delicati, e sola
l'orazione è necessaria a voi". Queste cose si leggono
in Vita Patri. A la perfine Antonio ne li
CV anni de
la vita sua lasciando li
frati, si riposò in pace intorno
a gli
anni
CCCXL.
cap. 22, S. Fabiano
Fabiano fue
cittadino di Roma e, morto il
Papa, si
ragunò insieme il popolo per
chiamare l'altro, e
Fabiano
si venne tra loro volendo sapere la
fine del fatto. Ed
ecco una
colomba
bianca
discese sopra il
capo suo, de
la qualcosa,
meravigliandosi tutti, fu
chiamato
Papa da
loro. Costui, sì come
dice
Damasio
Papa, puose
sette
diaconi per tutte le
contrade,
e aggiunse a questi sette
suddiaconi, i quali
raccolsero i
fatti de' martiri da ogni
parte. Costui, come
dice
Dassuo,
contrastette a
Filippo
imperatore, vogliente essere a la
Pasqua e a le
vigilie e
comunicare a li santi misteri, né non lui lasciò
stare infino che
confessasse li peccati e stesse tra penitenti.
A la perfine ne l'
anno tredecimo del suo
papato
per
comandamento di
Decio gli fu tagliato il
capo,
e così fu
coronato del martirio.
cap. 23, S. Sebastiano
Sebastiano, uomo
cristianissimo di schiatta Nerbonese,
cittadino di
Melano, a
Diocliziano
e a
Massimiano
imperadori era tanto
caro che gli
davano il principato de
la prima schiera, e sempre
comandavano che stesse dinanzi
da loro. Questi portava il mantello
cavalleresco,
acciò solamente
ched elli
confortasse l'
anime de'
cristiani,
le quali vedea venire meno ne li tormenti. E
dovendo
essere
dicollati i gentilissimi uomini
Marcelliano
e Marco,
fratelli
binati, per la
fede di Cristo, vegnono
i
parenti a loro per ritrarre gli
animi loro del suo proponimento.
Venne adunque prima la madre e, tutta scapigliata
e stracciata le vestimenta, mostrando le poppe,
sì
diceva: "Oi, tra '
dolcissimi
figliuoli miei
attorneata
m'ha la miseria che mai non fu udita, e 'l pianto da
non potere
sostenere! Guai a me misera, che perdo i
figliuoli miei che vanno oltre a la
morte; i quali, se
li nimici gli mi togliessero, io tornerei
dietro a i rubatori
per lo mezzo de le
battaglie; se giudici sforzati li
chiudessero, io romperei la pregione se io
dovessi morire.
Non veggio il modo è questo di perire, ché 'l giustiziere
è
pregato che per
arrota; la vita è
desiderata
che perisca, la
morte è invitata che vegna.
Novello
pianto è questo,
novella miseria ne la quale la
gioventudine
de'
figlioli si perde di
volontà, e la miserabile
vecchitudine del padre e de la madre è
constretta di
vivere".
Dicendo questo la madre,
eccoci venire il padre,
uomo
massaio, portato
fra le
braccia de' servigiali e
con la
cenere in
capo mandava
cotali
boci al
cielo:
"Da i
figliuoli miei che vanno spontaneamente a la
morte mi sono venuto ad
accomiatare acciò che quello
ch'io avea
apparecchiato a la mia
sepoltura, io
disavventurato,
spenda a soppellire li miei
figliuoli. O
figliuoli
miei!
bastone de la mia vecchiezza e
doppio
lume de le mie interiora, perché
amate voi così la
morte?
Venite qua, giovani, e piagnete sopra i giovani che di
volontà periscono, venite qua vecchi e piagnete con
esso meco sopra i
figliuoli! Vegnano qua i padri, e vietino
che noi non
patiamo tali cose! Venite meno piangendo,
occhi miei, perch'io non veggia uccidere a
ghiado
i
figliuoli miei!"
Dicendo queste cose il padre, vegnono
le
mogli recando i propri
figliuoli dinanzi a costoro e,
traendo guai, gridavano e
dicevano: "A cui ci lascerete
voi? chi saranno signori di questi
fanciulli? chi
dividerà le vostre larghe possessioni? Oimè, come
avete
petti di
ferro, che voi
spezzate li vostri
parenti e rifiutate
gli
amici e
cacciate le
mogli e spartite da voi
i
figliuoli e, per spontanea
volontade, vi mettete ne le
mani de' giustizieri!"
In questo
cominciarono a
mollare i
cuori de li uomini.
Allora
Sebastiano, il quale sempre era presente, uscì
di mezzo e
disse: "O
fortissimi
cavalieri di Cristo,
non vogliate per le
cattive
lusinghe perdere la
corona
sempiternale". E a i
parenti sì
disse: "Non
abbiate
temenza; non si partiranno da voi, ma
vannovi ad
apparecchiare le magioni
istellate; ché, dal principio
del
mondo, questa vita hae ingannato
coloro che
credono in essa, viene meno a
coloro che l'
aspettono
e
fassi
beffe di
coloro che vi pongono la speranza; e
così, al postutto, neuno ne rende
certo sì che a tutti
è provata d'avere
mentito. Questa vita
ammonisce il
ladro de lo 'mbolare, l'iracondo de lo
'ncrudelire, il
giudice de lo
'ngannare. Ella è quella che
comanda le
battaglie,
consiglia de le
fellonie,
conforta de la ingiustizia;
ma questa persecuzione, che noi
sostegnamo, è
oggi
calda e
domane
raffredda, ad una ora è messa
fuori e ad un'ora è messa
dentro; ma 'l
dolore sezzaio
si rinnovella per incrudelire,
accrescesi per
ardere, infiammasi
per punire. Adunque ne l'
amore del martirio
già
accendiamo li nostri
affetti, però che ivi
crede il
diavolo vincere e elli perde; il quale quando prende, è
preso; quando tiene,
è tenuto; quando vince, è vinto;
quando
tormenta, è
tormentato; quando uccide, è morto;
quando
fa
assalto, è schernito".
Predicando il
beato
sebastiano queste cose e altre
simigliante, Zoe la moglie di
Nicostrato, ne la cui
casa i santi erano a guardia, la quale avea perduta
la
favella, li si gittò a' piedi e con
cenni
domandava
perdonanza. Allora
Sebastiano
disse: "Se io sono servo
di Cristo, e se
vere sono tutte quelle cose che questa
femmina ha udite de la
bocca mia e
credutole,
quelli
apra la
bocca sua, il quale
aperse la
bocca di
Zaccheria profeta". A questa
boce gridòe la
femmina,
e
disse: "
Benedetto sia il sermone ch'è uscito de
la
bocca tua, e
benedetti sono quelli che
credono a tutto
quello che tu hai parlato; però ch'io vidi l'
angelo che
tenea il
libro dinanzi a te, dov'erano scritte tutte queste
cose che tu hai
dette". E 'l
marito suo, udendo ciò,
sì si gittò a i piedi di santo
Bastiano,
domandando che
li fosse perdonato,
e immantanente, prosciogliendo li
mariti, sì li pregava che
andassero liberamente là
dove
piacesse loro. I quali
dissero che per veruno modo non
abbandonerebbero la
battaglia e la vittoria che
avevano
incominciata. Sì che tanta grazia e tanta virtude
diede
Iddio a le parole di san
Sebastiano, che non solamente
Marcellino e Marco
fortificò ne la
fermezza del martirio,
ma eziandio il padre loro c'avea nome
Tranquillino,
e la madre con molti altri
convertìo a la
fede,
i quali tutti
battezzò
Policarpo prete.
E
Tranquillino
avendo una grandissima infermitade,
sì tosto come fu
battezzato, ricevette sanitade. E 'l
perfetto da Roma, lo quale avea gravissima infermitade,
pregòe
Tranquillino che gli mandasse colui che gli avea
donato sanitade. Ed
essendo venuto a lui con
Tranquillino
e con
Policarpo prete, sì li pregò che li rendessero
sanitade.
Disse a lui
Sebastiano che prima
rinnegasse
l'idoli e
desselli la podestà di
spezzarli, e in questo
modo riceverebbe sanitade. E
dicendo a lui
Cromazio
perfetto che i servi suoi lo
farebbono e non elli,
disse
Sebastiano che
coloro
temerebbero di spezzare li
dei
loro; e se il
diavolo per questa
cagione glien'offendesse,
direbbero gl'infedeli che per ciò fossero stati offesi perch'ellino
spezzavano li
dei loro. E così
Policarpo e
Sebastiano
cinti disopra più di
CC idoli
spezzarono.
Dopo questo
dissero a
Cromazio perfetto: "Perché noi
abbiamo
spezzati gl'idoli, tu
dovevi ricevere santade;
adunque
certa
cosa è che, o tu non hai
cacciato da te
ancora la infedelitade, o tu hai riserbato alcuni idoli".
Allora
disse il perfetto ch'egli avea una
camera ne la
quale era tutta la
disciplina de le stelle; per la qual
cosa il padre suo avea speso più di
CC pesi d'oro; per
lo quale lavorìo vedea dinanzi ciò ch'era
avvenire. Al
quale
disse
Sebastiano: "Mentre che questo starà intero,
non sarai sano". E
consentendo quelli a ciò, il figliuolo
suo
Tiburzio, gentile giovane, sì
disse: "Io
non
sosterrò che questa opera così maravigliosa si
disfaccia,
ma acciò ch'io non mostri d'essere
contrario
a la santade del mio padre,
accendansi
due
forni acciò
che se
distrutta l'opera, il padre mio non sarà sanato
amendue v'
ardiate entro così
vivi". Al quale
disse
Sebastiano: "Così sia, come tu hai
detto". Sì che
mentre che quell'opera si spezzava, l'
angelo
apparve
al perfetto ed
annunziolli che la santade gli era renduta
da messere
Jesù Cristo. Immantanente fatto sano
corse dopo lui per
baciarli i piedi, ma egli gliene
dinegò
che non voleva, però che non era ancora
battezzato;
sì che elli e
Tiburzio, suo figliuolo e
MCCCC de
la loro
famiglia furono
battezzati. Ma Zoe presa da' pagani
e lungamente tormentata, mandò l'
anima a Dio.
La quale
cosa, udendo
Tranquillino, sì
disse: "Le
femmine
vanno a noi innanzi a la
corona, o perché
viviamo?" Ma elli da pochi dì fu lapidato.
E a santo
Tiburzio fu
comandato
ched elli
desse
incenso a li
dei, sopra la
brascia che vi fu recata, od
elli
andasse a piedi ignudi sopra la
detta
brascia. Il quale,
faccendosi il
segno de la santa Croce, con grande
costanzia
andòe sopra esso
fuoco con li piedi
ignudi e
scalzi,
così
dicendo: "A me
pare andare sopra
fiori di rose
nel nome del Signore
Jesù Cristo". Al quale
disse
Fabiano
prefetto: "Chi è quelli che non sappia che Cristo
v'ha insegnata l'
arte del
dimonio?" Al quale
disse
Tiburzio:
"Sta
queto,
malaugurato, che tu non
se'
degno
di ricordare così santo nome e così
dolce". Allora
il perfetto adirato
comandò che gli fosse tagliata
la testa; ma
Marcelliano e Marco furono
confitti ad uno
legno e, essendovi
confitti,
psalmeggiando
dicevano:
"
Ecco com'è
buona e gioconda
cosa
abitare i
fratelli
in unitade!" A i quali
disse il perfetto: "
Malventurati,
ponete giù la scipidezza vostra e liberate voi medesimi".
Al quale
dissero
coloro: "Unquemai non
stemmo in migliore
convito. Dio il voglia che tu ci lasci
tanto stare così quanto noi saremo vestiti di questo
corpo".
Allora il perfetto
comandò che con le
lance fossero
forate le loro
corpora, e così
finirono il loro martirio.
Dopo queste cose il perfetto mandò a
dire a
Diocleziano
imperatore 'l fatto di
Sebastiano; ed elli,
chiamandolo
a sé, sì
disse: "Io t'ho tenuto sempre tra i
maggiorenti del palazzo mio, e tu
se' stato
celato contra
la salute mia e contra la ingiuria de li
dei". Al quale
disse
Sebastiano: "Per la salute tua abbo sempre
adorato
Cristo e per lo stato de lo 'mperio romano abbo sempre
fatto onore a Dio il quale è in
cielo". Allora
Diocleziano
comandò ched e' fosse legato nel mezzo del
campo
e fosse
saettato da'
cavalieri; i quali lo
'mpierono di
saette che parea pure un riccio. E pensando che fosse
morto sì si partirono.
Il quale, infra pochi dì liberato, stando sopra le gradora
del palagio, quando gl'imperadori venìano, sì li riprese
duramente de' mali che
faceano a'
cristiani. E
disse lo 'mperadore: "Or non è questi
Sebastiano, lo
quale noi
avavamo
comandato che fosse morto di saette?"
Ed elli
disse: "Acciò m'ha voluto il Signore
risuscitare, perch'io vi richeggia e riprenda de' mali che
voi
fate a' servi di Cristo". Allora lo 'mperadore lo
fece tanto
battere che l'
anima si partì dal
corpo, e
fece
gittare il
corpo suo nel luogo di
fetore, acciò che non
fosse
coltivato per
domenedio da li
cristiani. Ma la
notte vegnente
apparve san
Bastiano a santa Lucia e
revelolle il
corpo suo e
comandolle che lo seppellisse a
lato a le vestigia de li
apostoli; e così fu. E fu martirizzato
d'intorno a gli
anni
Domini
CLXXXVII.
Racconta santo Gregorio nel primo
libro del Dialogo,
che una
femmina in Toscana,
novellamente maritata,
essendo invitata da l'altre
femmine d'andare a
sagra de la chiesa di santo
Bastiano, in quella notte
ne la quale l'altro dì
doveva andare, stimolata dal
diletto
carnale, non si
poté
astenere dal
marito suo.
Sì che
fatta la mattina, avvegna che
avesse più vergogna
del viso de gli uomini che di Dio, sì pure
andòe
là. E sì tosto come fue
entrata ne l'oratorio, là
dove
erano le relique di santo
Sebastiano, il
diavolo la prese
e
cominciolla a tormentare. Allora il prete di quella
chiesa tolse il panno de l'
altare e,
abbiendola
coperta
con esso, il
diavolo
assalìe il
detto prete. Sì che gli
amici di colei sì la menarono a li
'ncantatori, perché
cacciassero da lei il
dimonio con le loro incantagioni. E
comunque e' la
'ncantavano, per giudicio di Dio
entròe
in lei una legione di
demoni, ciò sono
se' milia
secento
sessantasei, e
cominciaronla a tormentare più
agramente.
Ma uno uomo che avea nome
Fortunato, molto
famoso di
santitade, sì la
sanòe con li suoi
prieghi.
Leggesi ne i
fatti de' Longobardi che al tempo
del re
Gumberto tutta Italia fu percossa di tanta
pistilenzia
di mortalitade, che appena potea sotterrare l'uno
l'altro; e questa
pestilenzia
massimamente era a Roma
e a Pavia. Allora
apparve visibilemente uno
buono
agnolo,
e 'l malo
agnolo gli tenea
dietro; lo quale, al
comandamento
del
buono,
percotéa gli uomini; e quante volte
percotéa l'uscio d'alcuna
casa, tanti morti se ne traevano
fuori. Allora fu revelato
da Dio ad uno che questa
pistilenzia non rimarrebbe infino a tanto che uno
altare
non fosse fatto a Pavia ad onore di santo
Sebastiano.
Il quale fu fatto ne la Chiesa di san Piero che si
dice
ad
Vincola. E fatto ciò, tosto rimase quella turbazione,
e furono portate là le reliquie di santo
Sebastiano.
Santo Ambrogio ne la
Prefazione
dice così: "Lo venerabile
sangue del
beato martire
Sebastiano sparto per
la
confessione del nome tuo, Signore, insieme manifesta
le tue maraviglie che tu
adoperi in sanare le infermitadi,
e a li vostri studi
dona
prode e a li nemici,
appo
te,
presta il suo
adiuto a
coloro che l'hanno a
devozione.
cap. 24, S. Agnese
Agnesa, vergine savissima, sì come testimonia Ambrogio
il quale scrisse la sua passione, nel tredicesimo
anno de la sua
etade
perdette la
morte e trovò lo vita;
imperò che solamente il
fattore de la vita
amòe. La
fanciullezza era
compitata ne li
anni, ma ella era vecchia
ne la
mente; del
corpo era
giovencella, ma de
l'
animo era
canuta;
bella de la
faccia, ma più de la
fede.
Tornando lei da la scuola, fu invaghito di lei il
figliolo
del perfetto di Roma; a la quale egli
promisse
molte
gemme e ricchezze senza novero sed ella non
disdicesse
di
consentire al suo maritaggio. Al quale
Agnesa
rispose: "Partiti da me, nutricamento di
morte, per
ciò che d'altro
amatore
fu' io prima di te presa". Allora
cominciò a lodare quello suo
amatore
e sposo di
cinque cose, le quali le
spose richeggiono spezialmente
ne li sposi; cioè da gentilezza di sangue, da
ornamento
di
bellezza, da
abbondanza di ricchezze, da
fortezza da
effetto, da
potenzia e da
eccelenzia d'
amore; onde
dice:
"
Amo uno il quale è assai di migliore schiatta e di
maggiore
degnitade, la cui madre è vergine, il cui padre
non
cognobbe mai
femmina, al quale servono gli
angeli, de la cui
bellezza il sole e la luna si maraviglia
no,
le cui ricchezze non mancano giammai, né non
possono scemare, per lo cui odore riviviscono li morti,
per lo cui
toccamento si
confortano gl'infermi, lo cui
amore è la
castitade, lo cui
toccamento è
santitade, la
cui unione è
virginitade".
Onde queste
cinque cose pone santo Ambrogio in
una
autoritade, e
dice così: "La sua gentilezza è più
alta, la possanza più
forte, lo
risguardo più
bello, l'
amore
più soave e più piacevole d'ogni grazia".
Da poi pone
cinque
beneficii, li quali lo sposo le
fece
e
fa a l'altre sue
spose, ciò sono che le
innarra con
lo
anello de la
fede,
adornale di molte maniere di virtudi,
ségnale col
segno de la sua passione,
congiugnele
a sé col
legame d'
amore e
arricchiscele di
tesori de
la
celestiale gloria. Onde
dice così: "Il quale
m'ha
innarrata con l'
anello de la fede sua la mia
mano
diritta, e 'l
collo mio ha
cinto da pietre preziose;
hammi vestita, il Signore,
la gonna de l'
auro tessuta
e
hammi
adornata di smisurate
fibbiature, e posto
segnale ne la
faccia mia acciò ch'io non prenda neuno
amadore fuori che lui, e 'l sangue suo hae
adornate le
guance mie. Già sono
strettami con lui d'
abbracciamenti
casti, già è il
corpo suo accompagnato col mio;
hammi
mostrati
tesori sanza
comperazione, i quali m'ha
ripromessi
di
donare se io
perseverrabbo in lui".
Udendo queste cose il matto giovane gittossi in sul
letto e fu mostrato da li medici ch'elli avea male
d'
amore. E con ciò fosse
cosa che 'l padre del giovane
ripetesse le sopraddette parole a la vergine e ella pure
affermasse di non potere rompere li
patti del primo sposo,
cominciò il prefetto a fare inquisizione chi fosse
quello sposo de la cui
potenzia
Agnesa si vantava
cotanto.
Sì che
dicendoli alcuno ched ella
dice di Cristo
ch'era suo sposo, il perfetto
chiamandola a sé prima la
tentòe con lusinghevoli parole, poi con paura. Al quale
disse
Agnesa: "Ciò che tu vogli sì
fa, però che quello
che tu
domandi tu non potrai
accivire". A la quale
disse il perfetto: "De le
due cose prendi l'una: o tu
ti metti a sacrificare con le
vergini a la
dea Vesta,
o tu sarai vituperata con le
meretrici". Al quale
ella
disse: "Non
farò sacrificio a li tuoi iddei, né non
mi
sozzerò de l'
altrui sozzure, però ch'io abbo meco lo
guardiano del
corpo mio, l'
angelo del Signore".
Allora il prefetto
comandò ch'ella sia spogliata e, così
ignuda, fosse menata al mal luogo. Ma tanto spesseggiamento
donò Iddio a li suoi
capelli che meglio la
coprivano
i
capelli che le vestimenta. Ed
essendo
entrata
nel luogo di sozzura, sì vi si trovòe l'
angelo del Signore
apparecchiato, lo quale l'
attorneò di molta
chiaritade e
apparecchiolle uno vestimento
bianchissimo. Sì che il
figliuolo del prefetto venne con altri giovani uomini al
mal luogo, e invitòe li
compagni che
entrassono prima
a lei. Ma il luogo
detto era già fatto luogo d'orazione,
ché quelli che vi
entrava immondo, sì ne usciva
mondo,
se egli
rendea onore al grande lume. I quali
compagni
entrati là entro, per lo miracolo spaventati,
ebbero
contenzione
e tornarono
adrieto; e quegli,
chiamandoli
cattivi,
entrò a lei com'un pazzo e,
volendola toccare,
gittossi in quello lume, il quale, non n'abbiendo
dato
onore a Dio, fu
affogato dal
diavolo, e morìo. E 'l perfetto,
udendo ciò, venne là con grande pianto, e
domanda
diligentemente de la
cagione de la
morte del suo
figliuolo. Al quale
disse
Agnesa: "Colui la cui
volontade
volea
compiere, prese podestade sopra di lui e
diedeli
la
morte che tu vedi". A la quale
disse il perfetto:
"Perché ne sono
campati tutti gli altri che
ci
sono
entrati?" Ed ella rispuose: "Perché veggendo il
miracolo, spaventati, ne ritornarono sanza
danno".
A la quale
disse il perfetto: "In ciò si parrà che tu
non l'hai fatto per
arte di
demonio se tu il
risuciterai".
Sì che stando in orazione
Agnesa, il giovane fu risucitato,
e Cristo fu predicato da lui
manifestamente.
A queste cose si mossero i pontefici de' tempi e, levando
il popolo a romore, sì gridarono: "Tolli la 'ncantatrice,
tolli la 'ndovina, la quale
muta le
menti e
cambia le
volontadi".
Il perfetto, veggendo
cotanto miracolo, sì la
volse liberare, ma temette d'essere morto dal popolo;
lasciò uno vicario e partissi molto tristo, perché non la
potette liberare. Allora il vicario, che avea nome
Aspasio,
comandò ch'ella fosse gittata in un grande
fuoco:
ma la
fiamma si
divise in
due parti e
ardea di qua e
di là il popolo indemoniato,
ma ella per nulla toccava.
Allora
Aspasio
comandò che le fosse
dato d'uno
coltello
per la
gola; e così Cristo, sposo
bianco e
vermiglio,
consacròe a sé costei per sposa e per martire vergine.
E
seppellendo il
corpo di lei li
cristiani e li
parenti suoi, appena
camparolo de le mani de' pagani
che gittavano loro le pietre.
Emerenziana, la quale avea presa insieme latte
con lei, vergine santissima, avvegna che non
avesse
ancora
avuto il
battesimo, stando
appresso del sepolcro
di santa
Agnesa e riprendendo con grande
costanzia li
pagani, ella fue
allapidata da loro. Immantanente vennero
tremuoti e
baleni e saette
folgori, e molti de' pagani
morirono de le saette; sì che vegnendo al sepolcro
de la vergine non fossero da indi innanzi
arditi fare
simiglianti cose. E 'l
corpo di
Emerenziana fu posto a
lato al
corpo di santa
Agnesa. E con ciò fosse
cosa
che i
parenti
vegghiassero
otto dì
appresso a la
sepoltura,
viddero il
coro de le vergini splendienti di vestimenta
d'oro, tra le quali viddero la
beata
Agnesa di
simigliante vestimenta splendiente, e da la parte
diritta
le stava uno
angelo più
bianco che
neve; lo quale
disse
loro: "Guardatevi che voi non mi
piagnate come morta,
ma
rallegratevi con meco, però che io abbo ricevuto con
tutti costoro le lucenti sedie". Per questa visione si
fa la
festa di santa
Agnesa la seconda volta.
Costanzia vergine,
figliuola di
Costantino, la quale
era
gravemente lebbrosa,
avendo udita questa visione,
venne a l'
avello suo e, stando ivi in orazione, vide la
beata
Agnesa che le
dicea così: "
Opera con costanza,
o Costanzia se tu
crederai in Cristo, immantanente
sarai liberata". La quale, svegliandosi a questa
voce, trovossi
perfettamente sanata e ricevette il
battesimo
e
fece una chiesa sopra il
corpo de la
beata
Agnesa. E, vivendo nel
detto luogo, molte vergini ragunò
per lo
essemplo suo in quel luogo.
Uno uomo ch'avea nome
Paulino
facea l'ufficio
di pretatico ne la chiesa di santa
Agnesa. A costui
cominciò a venire una grande tentazione di
carne, ma,
non volendo offendere il Segnore,
domandò licenzia al
Papa di potere torre moglie. Sì che il
Papa,
considerando
la purità e la semplicità di costui, sì li
diede
uno
anello con
ismeraldo e
comandolli che a la
bella
imagine di
beata
Agnesa, la quale era
dipinta ne la
sua chiesa, da la sua parte gli si lasciasse
disposare.
E con ciò fosse
cosa che 'l prete
comandasse questa
cosa a la imagine, immantanente quella porgendoli il
dito
anellare e ritraendolo a sé, poi ch'ella
ebbe ricevuto
l'
anello, ogni tentazione
cacciò da lui, e
detto
anello ancora, si
dice, che
appare nel suo
dito.
Di questa vergine parla così Ambruogio, nel
libro de
le
Vergini: "Vegnano a laudare costei li vecchi, li
giovani e li
fanciulli, però che neuno può essere più
lodevole che chi è lodato da tutti quanti i uomini sono,
tanti sono lodatori che lodano la martire mentre che
ne parlano. E maravigliandosi tutti che una
fanciulla
fosse testimonia de la
deitade, la quale per la piccola
etade non potea ancora essere di suo
albitrio, ed ella
fece che a sé fosse
creduto di Dio, al quale non si
credea ancora pur d'uomo, per ciò che quello ch'è più
oltre che la natura, si è dal
fattore de la natura.
Certo
novella maniera è questa di martirio: quella che non
era ancora sofficente a
sostenere pena, già era matura
ad avere vittoria; la malagevole a
combattere,
agevole
ad essere
coronata;
adempiéo il maesterio de la vertude
quella che non era ancora
acconcia a ricevere
dottrina.
Non
andrebbe così maritata a la
camera maritale
allegramente, com'ella andò, vergine, per grado successivo
al luogo del martirio.
cap. 25, S. Vincenzo
Vincenzo, nobile di schiatta, ma più nobile di fede
e di religione, sì fu
diacano di santo
Valerio vescovo.
Costui, da
fanciullo, fu messo a lo
studio de la
lettera, e così, provvedendo a lui la pietade, disopra di
doppia scienzia molto
efficacemente
risplendette: ciò de
la
divina e de la umana; al quale il vescovo, per ciò
che esso avea impedito la lingua, avea
commesse le
sue vicende, e elli
soprastava ad orazioni e ne la
contemplazione,
sì che per
comandamento di
Daziano, preside,
sono tirati infino a Valenza e
messi in
crudele
pregione. E quando
credeva che
fossono già venuti
meno di
fame, sì li si
fece venire dinanzi e, veggendoli
sani ed
allegri, fue molto adirato, e
disse queste
parole: "Che
dici tu,
Valerio, 'l quale sotto nome di
religione
fai contra i
comandamenti de' prencipi?" E
con ciò fosse
cosa che
Valerio
avesse risposto lieve,
Vincenzio
disse a lui: "Non volere, padre venerabile,
sommormorare quasi con la
mente paurosa, ma con libera
voce grida; e se tu, padre santo,
comandi ch'io
risponda, sì
comincerò".
Disse a lui il vescovo: "Da
qui indrieto, figliuolo
carissimo, t'avea
commesso la
sollecitudine e 'l provvedere del parlare, ora ti
commetto
anche a rispondere per la fede, per la quale noi siamo
qui". Allora Vincenzio rivolto a
Daziano sì
disse: "La
parola di qua
dietro da te profferta richiese d'
arringare
la fede, ma sappi che maledetta
cosa è a la prudenzia
de'
cristiani,
rinnegando,
bestemmiare il
coltivamento
de la
deitade".
Allora
Daziano adirato
comandò che 'l vescovo fosse
mandato a'
confini, e
Vincenzo, sì come
contumace e
presuntuoso giovane, acciò che per lo suo
essemplo si
spaventassero gli altri, sì 'l
fece
stendere in su la
colla,
sì che tutte le
membra gli si
fiaccarono. E
fiaccandosi
tutto il
corpo,
disse a lui
Daziano: "
Dimmi, Vincenzio,
dove vedi tu ora lo misero
corpo tuo?" E quelli
sorridendo,
disse: "In
alto sono levato, ché questo è quello
ch'i' ho sempre
desiderato e con tutti i
desideri ho voluto.
Neuno uomo m'è più a grado, neuno m'è più
amabile di te, tu solo t'
accordi a li miei
desideri".
Allora il preside adirato il
cominciò a minacciare
di
tutte le maniere di tormenti sed elli non li
acconsentisse.
Al quale
disse Vincenzio: "O
beato a me, quanto
tu mi ti
credi
adirare più
gravemente incontra, allora
mi
cominci ad avere più misericordia. Leva su dunque,
misero, e con tutto lo spirito de la malignità
combatti. Tu mi vedrai, per la virtù di Dio, più potente
quando io sarò tormentato che non puoi tu
co' tormenti".
Allora il preside il
cominciò a gridare e gli
giustizieri a
batterlo con le verghe e
co'
bastoni.
Disse
Vincenzio: "Ecco,
Daziano, che col tuo
dire tu mi vendichi
de' miei
tormentatori". Allora il preside, fatto
scialabordito,
disse a li giustizieri: "
Cattivissimi voi,
non
fate nulla? perché vengono meno le mani vostre?
Voi
avete potuti vincere li
adulteri e li micidiali de'
padri loro, che non potessono
celare nulla tra ' tormenti
che voi
davate loro, ed ora solo costui potrà soperchiare
li vostri tormenti?" Allora li giustizieri tolsono pettini
di
ferro e
ficcarogliele insino dentro a le
coste, sì che di
tutto il
corpo usciva il sangue; e,
disciolte le giunture
de le
coste,
apparìano le 'nteriora dentro al
corpo.
Disse
Daziano: "
Abbi misericordia di te, Vincenzio, acciò
che tu possa ricoverare così
bella
gioventudine e schifare
li tormenti che ancora ti
fiano apparecchiati".
Disse Vincenzio: "O
velenosissima lingua del
diavolo,
li tuoi tormenti non
temo, ma questa
cosa sola temo
molto, che tu t'infigni di volere avere misericordia di me.
Ché quando io più di veggio adirato, di tanto più mi
allegro. Non voglio che tu mi scemi de li tormenti acciò
che tu ti
confessi in tutto per vinto". E allora lo levarono
de la
colla e
tirarollo al tormento del
fuoco.
Ed elli li riprendeva de lo
'ndugiare e
allegramente
andava a la pena. Sì che, salendo in su la graticola,
iv'entro era
arrostito,
arso e
divampato, e ne le sue
membra
confitti gli uncini del
ferro. Sopra tutto questo
spandeano il
sale sopra il
fuoco, acciò che,
risaltando
nel suo
corpo da ogni parte piagato,
stendendo la
fiamma,
più
agramente
ardesse. E gittavali i
dardi non già a
le
membra, ma a le interiora, sì ch'elle
discorreano fuori
del suo
corpo.
Fra queste cose quelli sta pure
fermo,
e con gli occhi
dirizzati in suso pregava il Signore. E
con ciò fosse
cosa che li ministri rapportassero queste
cose a
Daziano,
Daziano
disse: "Oimè, che noi siamo
vinti! Or
fate che voi lo mettiate in una
carcere molto
buia, ed ivi ragunate noccioli e gusci
agutissimi, e legateli
li piedi ad uno legno e, sanza neuno
sollazzo
d'uomo, così
disteso il lasciate stare sopra i gusci".
Ubbidiscono immantanente li
crudeli ministri al
crudele
tiranno. Ma
ecco che lo re, per lo quale il
cavaliere
patisce, sì
commuta la pena in gloria; però che la tenebra
de la pregione è
scacciata de la grande luce e
l'
asprezza de li gusci si
convertirono in soavitade di
tutt' i
fiori; li piedi furono
disciolti e del
sollazzo de li
angeli gode il martire. E con ciò fosse
cosa ch'elli
andasse
cantando con esso gli
angeli sopra i
fiori una
dolcitudine
di
canto, e una maravigli
osa soavitade d'odore
si spande molto a la lunga. Le guardie, spaventate di
ciò,
avendo veduto quello che dentro era, guardando per
le
fessure de la
carcere, furono
convertiti a la fede.
Vedendo queste cose,
Daziano
divenne tutto
scialabordito,
e
disse: "Ora che gli
faremo più oggimai?
Ecco
che siamo vinti! sia trasportato ad uno letto, e ripongasi
in panni morbidi acciò che noi
nol
facciamo più
glorioso, se per
avventura elli venisse meno ne' tormenti;
ma, riconfortato, sia punito con nuovi tormenti.
Ed
essendo dunque portato a uno letto più morbido, e
riposatovi ivi un
pochettino, tosto rendette l'
anima a
Dio d'intorno a li
anni
Domini
CCLXXXVII.
Abbiendo ciò udito,
Daziano
fortemente ne fu
dolente
e così,
affermandosi vinto,
disse: "S'io non l'ho potuto
vincere vivo,
almeno sì 'l punirò come morto".
Fece dunque
Daziano gittare il
corpo suo a
divorare nel
campo a le
bestie e a li uccelli. Ma tosto fu guernito
de la guardia de gli
angeli, e le
bestie
nol toccavano.
A la perfine il
corbo,
dato a la
ghiottornia, col
battere
de l'
ale
cacciò via gli altri uccelli maggiori di sé, e
con i morsi e con le grida
cacciò via il lupo che
correa
làe. Il quale
corbo col
capo
chinato in
agguardo del
corpo, quasi come
avesse il
collo trafitto, stava
fermo
come se si
maravigliasse de la guardia de li
angeli.
Udendo ciò
Daziano sì
disse: "Io mi
credo ch'io
nol
potrò vincere morto".
Comandò adunque che una grande
macina gli fosse legata al
corpo, e così fosse gittato
nel pelago, acciò che quello che non potea essere
consumato
in terra da le
bestie,
almeno nel pelago fosse
divorato da le
fiere marine. Sì che li nocchieri, portando
il
corpo suo nel pelago, sì vi
caddero entro con
esso, ma più tosto venne a la riva il
corpo che i nocchieri.
Il quale
corpo fu ritrovato da una
donna e d'alcuni
altri, sì come
essi il
revelòe, e fu seppellito da
loro con grandissimo onore.
Di questo martire
dice così Agostino: "Il
beato Vincenzio
vinse ne le parole, vinse ne le pene, vinse ne la
confessione, vinse ne la tribulazione, vinse arso, vinse
attuffato, vinse nato, vinse morto". Quello medesimo:
"Vincenzio è tormentato acciò che sia
adoperato, è
battuto acciò che sia
ammaestrato, è
martellato acciò
che sia
solidato, è
arso acciò che sia purgato". Quello
medesimo
dice: "Dinanzi a gli occhi nostri
c'è posta
una
cosa molto da maravigliare, il giudice malvagio,
il
tormentatore
sanguinante, il martire non vinto,
battaglia
tra la
crudelezza e la pietade". Ancora di lui
dice così Ambruogio
nel prefazio: "È tormentato,
martellato,
battuto,
arso, ma l'
animo non vinto, non si
crolla per lo santo nome, più
ardente del
fuoco di
cielo
che del
fuoco di ninferno, più è legato del timore
di Dio che del secolo, più volle piacere a Dio che a la
corte, più
amòe di morire al
mondo che a Dio".
E
Prudenzio
che risplendette al tempo di Teodosio il
vecchio, ne gli anni Domini CCCLXXXVII dice che gli
rispuose in questo modo: "Li tormenti, la
carcere, li
unghiali e la piastra stridente di
fiamme e essa morte,
fine di tutte le pene, è come uno giuoco a'
cristiani".
Allora
Daziano vinto, sì
disse: "Ritorto de le
braccia
in su e in giù sì lo scendete tanto che le
congiunture
de l'ossa
divella a
vembro a
vembro,
crepaccio
che, per le
lagrime de le
fedite, il
fegato ritorto palpiti".
Schernìa queste cose il
cavaliere di Dio, riprendendo
le mani
sanguinenti che l'
unghiale
fitto non
entrasse
ne le
membra più profondamente.
Essendo ne la
pregione venne l'
angelo a lui, e
disse: "Leva su, martire
glorioso, leva su sicuro di te, leva su e sia
compagno
nostro a le sante
compagnie. O
cavaliere vittoriosissimo,
più
forte di tutt'i
fortissimi, già hanno paura
di te vincitore i
crudeli e
aspri tormenti!". Grida qui
Prudenzio e
dice: "Tu solo glorioso, dal
mondo, solo,
n'hai rapportata vittoria di
doppio palio, tu
apparecchiasti
a una ora
due
corone".
cap. 26, S. Basilio
Basilio, venerabile vescovo e
dottore speziale, di
quanta
santitade e' fosse fu mostrato in visione a uno
santo
romito che
ebbe nome
Effrem. Ché,
essendo il
detto
Effrem ratto in
estasi, vidde una
colonna di
fuoco lo cui
capo toccava il
cielo, e udì una
voce disopra che
disse:
"Cotale è il grande
Basilio chente questa
colonna del
fuoco che tu vedi". Vegnendo dunque ne la
cittade il
die di Befania per potere vedere così perfetto uomo,
abbiendolo veduto vestito d'un
camiciotto
bianchissimo
e
attorniato
venerabilmente da
cherici di qua e di là,
disse
fra se stesso: "Io veggio ch'io mi sono
affaticato
invano; ché,
essendo costui posto in
cotanto onore,
non può essere cotale chente io il viddi. Ché noi, che
portiamo il peso del dì e del grande
calore, niuna cotale
cosa possiamo
asseguire, e questi ch'è posto in cotale
onore e in cotale torneo ched e' sia
colonna di
fuoco
molto me ne
maraviglio". Ma
Basilio, veggendo ciò per
ispirito, sì lo
fece menare
dentro a sé; il quale,
essendo
venuto, vidde una lingua di
fuoco parlare per la
bocca
sua, e disse
Effrem: "
Veramente è grande
Basilio,
veramente ancora è
colonna di
fuoco,
veramente lo Spirito
Santo parla per la
bocca sua". E disse a lui
Effrem:
"Io ti
priego, messere, che tu m'
accatti ch'io parli
grecesco". Al quale disse
Basilio: "
Cosa malagevole
hai
domandata". Ma pure
fece
priego per lui e immantanente
parlò grecesco.
Un altro
romito, veggendo
Basilio andare in
abito
vescovile, sì lo
spregiò giudicandolo che elli si
dilettasse
in cotale pompa. Ed eccoti venire una
voce la
quale li disse: "Tu ti
diletti più di toccare la
coda
del gatto tuo, che non
fa
Basilio il suo
adornamento".
Valente imperadore,
aitatore de li
ariani, tolse una
chiesa a i
cattolici e
diedela a gli
ariani. A la quale
andando
Basilio, sì disse: "O imperadore, egli è scritto:
l'onore del re
ama giudicio; e anche: il giudicio
del re è giustizia; perché dunque hai
comandato che
i
cattolici fossero
cacciati de la chiesa e fosse
data
a gli
ariani?" Al quale disse lo 'mperadore: "Ancora
torni tu a le ingiurie, o
Basilio; non si
conviene a te".
E quegli disse: "A me si
conviene eziandio per la
giustizia morire".
Allora
Demostenes, preposto de le
vivande de l'imperadore,
favoreggiatore de li
ariani, parlando per loro
fece uno
barbarismo; al quale disse
Basilio: "A te
si
confà di pensare de le
imbandigioni del re, non del
cuocere le
dottrine
divine". Il quale incontanente si
vergognòe e stettesi
cheto. Allora lo 'mperadore disse
al vescovo: "Va, giudica tra loro, ma non secondo
stemperato
amore di popolo". Andò dunque
Basilio e,
chiamate le parti, disse loro: "Siano serrate le reggi
de la chiesa e suggellate de'
suggelli di
catuna parte,
e da
ciascuna parte sia
fatta l'orazione; e a le cui orazioni
le porti de la chiesa s'
apriranno, di
coloro
debbia
essere". La qualcosa piacque a tutti. E orando gli
ariani
tre dì e tre
notti e vegnendo a le porti de la chiesa,
non s'
aperse loro. Allora
Basilio
ordinò la processione e
venne a la chiesa e,
fatta l'orazione, con
leggere percossa
del
bastone pastorale, toccòe le
regge
dicendo:
"Levate, principi, le porti vostre" con tutto il verso.
E immantanente furono
aperte e,
entrando dentro,
renderono grazie a Dio; e così fu renduta la chiesa
a'
cattolici.
E
fece
promettere lo imperadore molte cose a
Basilio
sed elli li
consentisse, come si legge ne la Storia
Tripertita. Al quale disse
Basilio: "A i
fanciulli si
convengono
dire queste cose, ché
coloro che sono grassi
de le parole
divine non
patiscono una sillaba si
corrompa
de la scrittura
divina". Allora lo 'mperadore
indegnato, come nel
detto luogo si legge, volendo scrivere
la sentenzia del suo sbandeggiamento, gli si ruppe
la penna e poi la seconda e poi la terza; poscia gli
venne un triemito ne le mani, onde elli adirato stracciò
la
carta.
Un venerabile uomo, che avea nome
Eradio,
aveva
una sola
figliuola, la quale si ponea in
cuore di
conservarla
a Dio; ma il
diavolo, nemico de l'umana natura
e generazione,
accorgendosi di ciò, sì n'
ebbe invidia
sì che
fece
accendere in
amore de la
fanciulla
uno de'
fanti del
detto
Eradio. Ma, veggendo che gli
era impossibile che così vile uomo venisse in
abbracciamenti
de la
donna sua, vennesene ad uno
incantatore
e
promissegli molta pecunia se egli il n'
aiutasse.
Al quale egli disse: "Io
nol
posso fare, ma, se tu
vuogli, io ti mando al mio signore
diavolo, e se tu
farai
quello ched elli ti
diràe, tu
avrai lo 'ntendimento tuo".
E 'l giovane disse: "Ciò che tu mi
dirai, sì
farabbo".
Allora lo
'ncantatore
fece una pistola e
mandolla
per lo
detto giovane al
diavolo in queste parole: "Imperò,
signore mio, che a me
conviene
sollecitamente e
affretta
tamente ritrarre gli uomini da la religione de'
cristiani e recarli a la tua
volontade, acciò che
cresca
continuamente la parte tua, però ti mando questo giovane
preso d'
amore in cotale pulcella, e
adomandoti
che questi
asseguisca il suo
desiderio, acciò ch'io mi
possa gloriare in lui e, da quinci innanzi, ti possa più
fedelmente raunare de gli altri". E,
dando la lettera
al giovane, disse così: "Va, e a cotale stagione de la
notte sta sopra il monimento del pagano e, iveritto,
chiama le
demonia e questa
carta poni ad
alti ne
l'
aere, e incontanente ti verranno presenti".
Il quale andò e
chiamòe le
demonia e gittava la
carta
in
aere. Ed eccoti venire il prencipe de le tenebre,
accerchiato
di
moltitudine di
demoni. Il quale, abbiendo
letta la pistola, disse al giovane: "
Credi tu in me,
ch'io
compia la mia
volontade? "Il quale disse: "
Credo,
messere". Disse il
diavolo: "
Rinnieghi il Cristo
tuo?" E quelli disse: "Sì,
rinnego". Disse il
diavolo:
"Voi
cristiani siete
malagente, ché, quando voi
avete
bisogno
di me, voi venite a me, ma sì tosto come voi
avete
quello che voi volete, allora mi
rinnegate e ritornate al
vostro Cristo, ed elli, perch'egli è pietoso, sì vi riceve.
Se tu vuogli dunque ch'io
compia la tua
volontade,
fammi
una scritta di tua mano, ne la quale tu
confessi che
tu rinunzi a Cristo e al
battesimo e a la
cristiana
professione,
e che tu sia mio schiavo e da essere
condannato,
con esso meco, al giudicio".
Il quale, abbiendo
fatta la scritta con la sua propia
mano, il
diavolo mandò immantanente li spiriti ch'erano
sopra la
fornicazione,
comandando loro che infiammassero
quella
fanciulla ne lo
amore del giovane. I quali
andarono e
accesero sì il
cuore di lei, che la
fanciulla,
quasi morendo, si gittò in terra e, con grandi lamenti,
diceva al padre: "
Abbi misericordia di me, padre mio,
abbi misericordia di me, però che
crudelmente sono tormentata
per
amore di cotale nostro
fante.
Abbi misericordia
de la
carne e de la sangue tua, e mostrami, padre,
il
paternale
affetto, e
congiugnimi al garzone per lo
quale io mi
do tormento, e se non, di qui a poco, mi
vedrai morta e de la mia
morte renderai ragione al
die
del giudicio". Il padre suo piagnendo, sì
dicea: "Guai
a me misero, or che è
avvenuto a la mia misera
figliuola?
chi ha
furato il mio
tesoro? chi ha spenta la luce
de gli occhi miei? Io ti voleva
congiugnere al
celestiale
sposo e pensava di
salvarmi per te, e tu se
'mpazzata
in
amore di lascivia! Lasciami fare,
figliuola, che io ti
congiunga come i' ho ordinato a Cristo; e non menare
la vecchiezza mia con
dolore a lo
'nferno". Ma quella
pure gridava e
diceva: "Padre mio, o tu
compi tosto
il
desiderio mio, o tu mi vederai
avaccio morta". Con
ciò dunque fosse
cosa che quella
amarissimamente piagnesse
e quasi impazzasse, il padre suo, posto in grande
afflizione e
avutone
consiglio con gli
amici,
compiette
la sua
volontade e
diedela per moglie a quello
fante e
diedegli tutto il suo e disse: "Va,
figliuola
veramente
misera!"
E standosi costoro così insieme, quel giovane non
entrava
in chiesa, né non si
faceva il
segno de la Croce
e non si raccomandava a Dio. Ed
essendosene
accorte
più persone, fue
detto a la moglie sua: "Non sai tu
che 'l
marito tuo che tu ti scegliesti non è
cristiano, né
entra
in chiesa?" Quella, udendo ciò,
cominciò a piagnere
fortemente temendo e gittossi in terra, e tutta quanta si
cominciò a
graffiare con l'unghie e a percuotere il petto
suo, e
dicea: "Oimè, misera, perché ci nacqui io, perché
non
fu' io morta, com'io
fui nata?" E con ciò dunque
fosse
cosa che ella
avesse raccontato al
marito quello
ch'ella avea udito, e elli
affermasse che non era vero,
ma al postutto era
falso quello ch'
ell'avea udito, e quella
disse: "Se tu vuogli ch'io ti
creda,
domattina
entriamo
insieme ne la chiesa". Veggendo dunque colui
che non si poteva nascondere,
contolle per ordine tutto
il fatto. Quando ella l'
ebbe udito,
fortemente lagrimòe,
e
andosene a san
Basilio, e
narrogli tutte le cose che
erano intervenute al
marito suo. Il santo mandò per
lui, e sì gli disse: "Figliuolo mio, vuo' tu tornare a
Dio?" E quelli disse: "Sì, Messere, ma non
posso
perch'io ho fatto
promessione al
diavolo e abbo rinunziato
a Cristo e del
rinnegamento è
fatta scritta e
datola al
diavolo". Al quale disse
Basilio: "Non te
ne
caglia: Dio nostro è
benigno e
riceveratti a penitenzia".
E prendendo incontanente quel giovane, sì li
fece il
segno de la Croce ne la
fronte, e
rinchiuselo
per tre dì; poscia lo
vicitòe e
dissegli: "Come
stai
figliuolo?" E que' disse: "In grande turbazione sono,
messere; non
posso sofferire le grida loro, le paure,
le
lapidature, però che tengono la scritta in mano, pratiscono
contra di me, e
dicono: "Tu venisti a noi, non
noi a te". Disse il santo: "Non n'avere temenza,
figliuolo, ma pure
credi bene". E
dandogli poco
cibo
e
faccendogli anche il
segno de la Croce, e sì lo
rinchiuse
un'altra volta e pregò per lui. E dopo
alquanti
dì, sì 'l vicitò e
disseli: "Come
stai figliuolo?"
Quelli disse: "Padre, io odo da la lunga le minacce
e le grida loro, ma loro non veggio". Ancora gli
diede
anche
cibo e segnollo e
chiuse l'uscio e pregò per lui.
E in
capo di
XL dì tornò a lui, e disse: "Come
stai?"
E quelli disse: "Bene, santo
di Dio, però ch'io ti vidi
oggi in visione
combattere per me e soperchiare il
diavolo".
Allora,
traendolne fuori,
fece
chiamare tutto il
chericato
e li religiosi e 'l popolo e tutti gli
ammonette che
pregassero per lui e, tenendo la mano del giovane, sì
'l menarono a la chiesa; ed eccoti il
diavolo con
moltitudine
di
demoni venne a lui, e
prendendolo visibilemente,
sì si sforzavano d'
arrappargliele di mano, e
gridando il giovane: "Santo di Dio,
aiutami!" e con
tanta violenza l'
assalette il
diavolo che,
trandolo a sé
il garzone, sì
pigneva il santo. Allora il santo disse a
lui: "Sanza prodezza neuna, non ti
basta elli la
perdizione tua, se tu non
tenti la
criatura di Dio". Al
quale il
diavolo disse,
udendolo molti: "Tu mi
fai
ingiuria, o
Basilio". Allora gridarono tutti:
"Kirie eleyson!"
E disse a lui
Basilio: "
Riprendati il Signore,
o
diavolo!" E quelli disse: "Tu mi
fai ingiuria, o
Basilio, però che io non
andai a lui, ma elli venne a
me,
rinnegòe Cristo e
fecemi
professione; ed ecco la
scritta che l'abbo in mano". Disse il santo: "Noi
non
resteremo d'orare insino a tanto che tu ci renda
la scritta". E stando in orazione
Basilio e tenendo le
mani a
cielo, ed ecco la
carta recata giù per l'
aere,
e fu veduta da tutti venire ne le mani di
Basilio. La
quale egli ricevendo disse al garzone: "
Conosci tu queste
lettere?" Quelli disse: "Sì
conosco, messere, ché
la scrissi di mia mano". Sì che, rompendo
Basilio la
carta, menòe il garzone ne la chiesa e
fecelo
degno del
santo misterio e,
ammaestrando lui, e
dandogli regola,
e' sì lo rendette a la moglie.
Una
femmina che
aveva molti peccati, scrivendoli
tutti in
carta, ne la
fine non ne scrisse uno più grave;
e quella scritta
diede a santo
Basilio
pregandolo che
orasse per lei e che per le sue orazioni struggesse
quelli peccati. Il quale quando
ebbe orato, la
femmina
aperse la
carta e trovò spenti tutti i peccati, trattone
quello più grave. La quale disse al santo: "
Abbi misericordia
di me, servo di Dio, e per questo uno m'
accatta
perdonanza, come tu hai fatto per li altri". Il
quale disse a lei: "Partiti da me
femmina, ch'io sono
peccatore
abbisognante di perdonanza altressì come tu".
Stando quella pur
ferma, disse il santo a lei: "Va
al santo uomo
Effrem, e elli ti potrà
accattare quello
che tu
domandi". Quella
essendo
andata là e
detto
al santo
Romito le parole di santo
Basilio, disse
Effrem:
"Partiti ch'io sono peccatore uomo, ma tornati
figliuola a lui ed elli, che ti
accattò perdonanza de
gli altri, sì si potrà
accattare la grazia anche per questo;
affrettati dunque tosto sì che tu il trovi vivo".
Quando quella fu ritornata a la
città, ed ecco
Basilio
che si portava al sepolcro. Quella
comincia a gridare
dopo lui e a
dire: "Veggia
Domenedio e
giudichi tra te
e me, ché tu potevi
pacificare Iddio a me, e tu mi mandasti
ad
altrui". Allora gittò la
carta in sul
cataletto
e, poco stante, la tolse e
apersala e trovò spento quel
peccato, e così ella e tutta la gente ne
lodòe
Domenedio.
Anzi che 'l santo di Dio passasse di questo
mondo,
essendo infermo di quello male laond'
ello morìo, fecesi
chiamare uno giudeo che
aveva nome
Joseppo, molto
savio ne l'
arte di medicina, però che provvedeva che
esso
pervertito, tornerebbe a la fede. Sì che lo si fece
venire come se
avesse
bisogno de l'
arte sua. E quelli,
toccando il
polso suo, e per lo
toccamento vide ch'egli
era in sul passare; disse a la
famiglia: "Quello che
fa mestiere a la
sepoltura sì
apparecchiate, imperò che
incontanente morrà". Udendo ciò
Basilio, sì li disse:
"Non so che tu ti
di'". Al quale disse
Joseppo: "
Credi,
messere, che 'l sole tramonterà oggi, cioè col sole
che tu trapasserai oggi, cioè quando il sole". Al quale
disse
Basilio: "Che
dirai tu se io non morrò oggi?"
E quelli disse: "Non può essere, messere". Disse
Basilio:
"E se infino
domane a l'ora de la sesta
sopravviverò,
che
farai tu?" Disse
Joseppo: "Se tu
vivi
tanto
sicuramente, muoia io!" Disse
Basilio: "Dio
il voglia che tu muoia al peccato, ma
viva a Cristo!"
E quegli disse: "Io so quello che tu
domandi e se tu
insino a quell'ora
sopravviverai,
farollo quello di che
tu ne
conforti". Allora il
beato
Basilio, avvegna che
secondo natura
dovesse a mano a mano morire,
accattòe
da
Domenedio indugio de la
morte; e così
sopravvisse
infino a l'ora de la nona, l'altro
die. Quando
Joseppo
ebbe ciò veduto,
stupidìo e
credette in Cristo. Allora per
la vertù de l'
animo, soperchiando la
debolezza del
corpo,
si levò d'in sul letto e
entrò ne la chiesa e con le sue
propie mani il
battezzòe, poi ritornòe a letto e
dormìo in
pace.
cap. 27, S. Giovanni el.
Giovanni
elemosinario, patriarca d'Alessandria,
una volta stando in orazione vidde una
dolzella
bellissima
stare dinanzi a sé e portava in
capo una grillanda
d'ulivo. Questi veggendola fu tutto
stupidito e
domandò
chi ella fosse. E quella disse: "Io sono Maria, la quale
apportai dal
cielo il figliuolo di Dio:
tomi per sposa,
sarà bene per te. Sì che intendendo questo santo che
per l'ulivo significava la misericordia, da quello dì innanzi
diventò misericordioso. Sì che per ciò era
chiamato
Elemosinario, ché i poveri sempre
chiamava suoi signori;
e quindi hanno li spedalieri di
chiamare i poveri suo'
signori. Sì che
chiamò i
fanti suoi tutti e disse a loro:
"
Andate per tutta la
cittade e
scrivetemi tutti i signori
miei infino ad uno".
Coloro non
intendendolo, disse
anche loro: "Quelli che voi
chiamate poveri e mendichi,
costoro predico che sono signori e
aiutatori, però
che costoro
veramente ci potranno
aiutare e
darci il
regno
celestiale".
Volendo dunque gli uomini trarre a misericordia ne la
città, soleva raccontare che standosi una volta i poveri
al sole e
scaldandosi,
cominciarono a ragionare insieme
de'
limosinieri e a lodare i
buoni e a
biasimare li rei.
Sì che era uno
banchiere, ch'avea nome Pietro,
molto ricco e potente, ma troppo spietato a' poveri; ché
li poveri, che li
andavano a
casa, sì li
cacciava con
ingiuria e con indegnazione. E non
essendone trovato
niuno che
avesse ricevuto pane in
casa sua, disse uno
di
coloro: "Che mi volete voi
dare s'io
facessi ch'io
abbia in
casa sua
limosina da lui?" E
faccendo con
loro
patto, colui venne a la
casa e
dimandòe la
limosina.
Quello ricco tornando a
casa, e trovando iveritto,
dinanzi a l'uscio, il povero, con ciò fosse
cosa che 'l
fante suo portasse in
casa pane di saggina, quelli, non
trovando pietra veruna, tolse uno di quelli pani e con
grande
furore percosse il povero con quel pane; lo quale,
arrappando immantanente il povero, ritornò a i
compagni
e mostrò loro com'elli
aveva ricevuto
limosina de
la mano di colui.
Da indi a
due dì infermò questo ricco a morte; videsi
stare dinanzi al giudicio e alcuni saracini pesavano i
suoi mali ne la stadera. Da l'altra parte de la stadera
stavano alcuni ch'erano vestiti di
bianco, molto tristi di
ciò che non trovavano nulla che mettere ne l'altro lato.
Allora disse uno di loro: "Al vero noi non
abbiamo
nulla se non uno pane di saggina che
diede al povero,
non
volendoglielo
dare". Lo quale ponendo in su la stadera,
e fu
fatta l'
uguaglianza, e
dissero a lei: "
Arrogi
a questa saggina,
altrimenti li saracini ti piglieranno".
E svegliandosi elli e trovandosi liberato,
dicea:
Diesaida!
se uno pane di saggina ch'io gittai per
ira m'ha
tanto giovato, quanto
maggiormente mi gioverà s'io
darò
volentieri tutto a' poveri?" Sì che uno
die
essendo vestito
tutto di
buoni panni,
andando per la via, gli venne
innanzi uno ch'era stato rotto in mare, il quale gli
domandò
alcuno
ricoprimento. E quelli si trasse quello
prezioso vestimento e
diedelo al povero, il quale, togliendolo,
immantanente lo vendeo. E tornando il
banchiere
e veggendo il vestire posto in su la
stanga, fu molto
contristato di ciò, tanto che non potea prendere
cibo e
dicea: "Perché io non
fui
degno che 'l povero
avesse
ricordo di me". Ed
ecco che,
dormendo lui, vidde uno
risplendente più che 'l sole, e sopra il
capo portava una
croce d'oro e avea indosso quello vestire che elli avea
dato al povero, e
dicea a lui: "Perché piangi tu, Pietro?"
Il quale
dicendo la
cagione de la sua
tristizia,
e quegli disse: "
Riconosci tu questo vestire?" disse
Pietro: "Sì, Messere". Disse il Signore a lui: "Io
ne sono vestito da poi che tu me lo
desti e
fonne
grazia a la tua
buona
volontade, però che io era
afflitto
di
freddo e tu mi
ricopristi".
Sì che ritornato Pietro in se medesimo,
cominciò a
beatificare
li poveri, e a
dire: "
Viva il Signore, io mi
morròe
mentre ch'io non sono fatto uno di loro". E
dando
ogne
cosa a' poveri,
chiamò uno suo notaio e
dissegli:
"Io ti voglio raccomandare una
credenza la quale se tu
paleserai, o se tu non me ne udirai, io ti venderò a gente
barbaresca". E
dandogli
diece libbre d'oro, sì li disse:
"
Vattene ne la terra santa, e
comperati
merce e me
vendi ad alcuno
cristiano e 'l prezzo che tu n'
avrai, sì lo
da' a' poveri". Quelli
contradicendo, sì li disse Pietro:
"Se tu non me ne udirai, io ti
venderabbo a
barberi".
Sì che quelli il menòe vestito di sozzi panni, e
vendendolo
ad uno
argentiere, come fosse uno suo schiavo, e'
trenta
danari grossi ched elli n'
ebbe, sì li
diede a li poveri.
Pietro si metteva a fare tutti i
vili officii, sì che
da tutti era
sprezzato e da gli altri schiavi era
battuto
spesse volte, sì che era tenuto uno smemorato. E il
Signore spesse volte gli
appariva e mostravagli e' vestiri
e le monete, sì lo
consolava, lo 'mperadore e tutti
gli altri
dolendosi d'avere perduto un cotale uomo.
Alcuni suoi vicini vennero in Costantinopoli a visitare
le luogora sante, sì che,
essendo invitati dal signore
di costui, mentre che
desinavano,
fra loro medesimi
si
dicevano ad orecchie: "De! come questi risomiglia
messere Pietro
banchiere!" E
ragguardandolo molto
fiso,
uno di loro disse: "
Veramente ch'egli è messere Pietro
banchiere, io mi leverò e terrollo". Quelli,
accorgendosene,
fuggìo
celatamente. Sì che il portinaio era sordo e
mutolo, il quale per segni
apriva l'uscio; al quale Pietro
comandò non con
segno, ma con parola che gli
aprisse.
Quelli udìo immantanente e ricevette la
favella e rispondendo
a lui, sì li
aperse e tornando a
casa e maravigliandosi
tutti del suo parlare, quelli disse: "Colui
che
faceva
cucina uscì fuori e
fuggì, ma guardate
che non sia servo di Dio, però che quando elli mi disse:
"io ti
dico che tu m'
apri" allora uscì una
fiamma
da la
bocca sua, la quale
fiamma toccò la mia lingua
e l'orecchie e, incontanente, io riebbi il parlare e l'udire
e, tenendogli
dietro, non lo potei mai trovare.
Allora tutti quelli di quella
casa
fecero penitenzia di
ciò che così vilmente
avevano trattato un cotale uomo.
Uno monaco, il quale avea nome
Natalio, vogliendo
tentare santo Giovanni, se elli potesse lusingare
con parole per
trarlo
leggieremente a
scandalezzo,
entròe ne la
cittade e scrisse tutte le piuviche
meretrici.
Entrava dunque a loro per ordine e
diceva a
catuna:
"
Donami questa notte e non fare
fornicazione".
E
intrava in
casa di colei e in alcuno
cantone s'inginocchiava
e tutta notte stava in orazione e pregava
Iddio; poscia la mattina se ne usciva fuori e
comandava
a
catuna che non lo
manifestasse a persona. Ma una
di quelle,
manifestando la vita di costui,
cominciò ad
essere tormentata dal
dimonio, stando lui in orazione.
A la quale tutti
dicevano: "Renduto t'ha Iddio quello
che tu
meritavi, però che tu hai
mentito, ché questo pessimo
uomo
entra a te per fare
fornificazione e non per
altro". E vegnendo il vespro
dicea
Natalio,
udendolo
chi voleva: "Io voglio andare, ché cotale
donna m'
aspetta".
E a molti che nel
colpavano, rispondea: "Ora
non abbo io
corpo come tutti voi? Or è Dio
crucciato
pure contra i monaci? ma ellino sono
altressì uomini
come gli altri". E
dicea alcuno: "
Tolliti una
femmina,
padre, e muta t'
abito acciò che tu non
iscandalezzi
gli altri". Quelli infignendosi d'essere adirato, sì
diceva: "Al vero ch'io non ve ne udirò, partitevi da
me. Chi si vuole
iscandalezzare, sì si
scandalezzi e
dea
del
capo al
muro. Ora
havvevi
Domenedio
fatti per miei
giudici?
Andate e
curate di voi, voi non renderete a
Dio ragione per me". Queste cose
diceva con grido.
Essendo portato
rammarichìo di questo fatto al
beato
Giovanni,
Domenedio induròe il
cuor suo a non
dare fede
a queste cose, ma pregava Iddio che dopo la
morte rivelasse
ad alcuno l'operazione sua, acciò che non fosse
richiesto peccato a
coloro che
avevano
scandolo di lui.
Sì che molte di quelle
femmine
convertìo a
Domenedio
e molte ne misse in monasterio.
Una mattina ch'egli usciva da una, gli si
fece incontro
uno che
andava a fare peccato con lei, sì che
dandoli una gotata, sì li disse: "Quando t'
ammenderai
tu, reo uomo, da queste tue sozzure?". E quelli disse:
"Ora mi
credi che tu riceverai tal gotata che tutta
Alessandria vi si ragunerà". Ed eccoti poco stante venire
il
diavolo in
forma d'uno saracino, e
diegli una
gotata così
dicendo: "Questa è la gotata che ti manda
l'
abate
Natalio". E immantenente fu tormentato dal
dimonio, sì che a le grida sue tutti
correvano; ma poi,
pentuto di ciò, fu liberato per l'orazione di costui.
E
approssimandosi a la
morte l'uomo di Dio questa
scrittura lasciòe: "Non vogliate anzi tempo giudicare".
E le
femmine,
confessando quello che
faceva, tutti
davano
gloria a Dio, e spezialmente il
beato Giovanni, e
diceva: "Dio il volesse che quella gotata che quegli
ebbe,
avessi
avuta io!"
Uno povero in
abito da pellegrino venne a Giovanni
e
domandolli
limosina, e quegli gli
fece
dare
sei
grossi. Sì che colui gli tolse e
andòe e mutòe
abito
e tornòe a
dimandare
limosina; e quegli
comandò che li
fosse
dati
sei monete d'oro. Quando quegli gli
ebbe
dati
e questi ne fue
andato, disse lo spenditore a lui: "Padre,
questi medesimo
mutando l'
abito
ha avuto
due
volte
limosina". Ma il
beato Giovanni s'infinse quasi
di non intendere. E quello povero
mutò la terza volta
l'
abito e venne a
domandare
limosina. Allora lo spenditore
toccò san Giovanni e
accennògli che esso era questi.
Allora santo Giovanni disse a lui: "Va e
dagli
dodici grossi, forse ch'egli è il mio Signore
Jesù Cristo
che mi vuole tentare, ma io voglio vedere sed egli potrà
più torre, ch'io
dare".
Una volta che 'l patricio volea mettere in
mercatantia
quantità di pecunia la quale era de la chiesa,
e 'l Patriarca la voleva
dare a' poveri,
amendue
contendendone
molto insieme sì si partirono molto
adirati.
Ma vegnendo l'ora dopo vespro, il Patriarca mandò a
dire per l'
arciprete al patricio così
dicendo: "Messere,
il sole è al tramontare". Per la qualcosa, quelli udendo,
bagnato di
lagrime, venne a lui e
chiesegli perdonanza.
A un suo nipote fu
detto villania da uno
taverniere,
laonde egli se ne andò a
rindolere al Patriarca;
e non potendo riceverne veruna
consolazione, il Patriarca
gli disse: "E se al postutto alcuno fu ardito di
darti
contra e d'
aprire la
bocca contro di te,
credimi, figliuolo,
a la mia
piccolezza ch'io li
faròe in questo
die
tale
cosa che tutta Alessandria se ne
maraviglierà".
Quando quelli
ebbe udito, ricevettene
consolazione
credendo
ch'egli lo
facesse
battere. Veggendo santo Giovanni
che 'l nipote era
appagato,
bascioli il petto così
dicendo: "Figliuolo, se tu
sei veramente nepote de
la mia umilitade,
sostieni d'essere
battuto e d'esserti
detta villania, però che 'l verace parentado non è di
carne né di sangue, ma
conoscesi per la virtù de la
mente". Immantanente mandò per quello uomo e
francheggiollo
da ogne prigione e trebuto; la qualcosa udendo
tutti, sì se ne
maravigliarono, e videro che quest'era
la parola di che elli l'avea
minacciato.
E udendo il Patriarca l'usanza ch'era che, sì tosto
come lo 'mperadore è incoronato, immantanente
coloro
ch'erano
facitori de' sipolcri toglievano
cinque ovvero
quattro pezzuoli di marmo di
diversi
colori ed
entrando
a lo 'mperadore
dicevano: "Di quale marmo ovvero
metallo
comandi che ti sia fatto il monimento?"
Seguitando ciò il
beato Giovanni
comandò che li sia
fatto il monimento, ma infino a la
morte sua il fece
stare non
compiuto, e ordinòe
alquanti che, quando elli
era con li
cherici ne le grandi
feste,
andassero a lui
e
dicessero: "Messere, il monumento tuo non è ancora
compiuto,
comanda che si
compia, però che tu non sai
a qual ora il ladro
dee venire".
Uno ricco uomo veggendo che il
beato Giovanni
aveva in sul letto
cattivi panni però ch'egli avea
dati
gli altri a' poveri,
comperòe uno
copertoio molto prezioso
e
diedelo al santo, lo quale,
avendolo posto la notte in
sul letto suo, non
poté
dormire con esso pensando che
trecento signori suoi di tanto prezzo si sarebbono potuti
ricoprire. Sì che tutta la notte si rammaricava e
dicea:
"Quanti incarcerati, quanti
bagnati di
piova nel
mercato, quanti che per lo
freddo
stridiscono con i
denti
hanno oggi
dormito? ma tu che
divori li grandi pesci
e
ripositi ne la
camera con tutt' i mali tuoi ancora che
ti riscaldi con uno
copertoio di
XXXVI monete grosse!
ma l'umile Giovanni non se ne vestirà l'altra volta!"
Incontamente che fue fatto
die, sì lo fece
vendere, e
'l prezzo
diede a' poveri.
Quando quello ricco l'
ebbe saputo sì lo ricomperò e
rimandoglielo e
mandollo molto pregando che e' non lo
vendesse, ma che elli il tenesse. Quando questi l'
ebbe
avuto, incontanente lo fece
rivendere e
dare il prezzo ad
essi suoi signori. Ancora il ricco lo ricomperò e recollo
al
beato Giovanni e, così ridendo, li disse: "Or vedremo
quale di noi verrà meno, o tu vendendo o io ricomperando".
E così soavemente quasi vendemmiò quello ricco,
e
dicea ch'altri puote bene, con intendimento di
dare a'
poveri, spogliare le ricche persone, e non pecca in ciò;
per ciò che questo cotale guadagna
due cose: l'una si
è che sana l'
anime di
coloro, l'altra si è che quanto
e di ciò egli ne riceve grande
merito.
Vogliendo dunque trarre gli uomini a fare
limosina,
raccontava di santo
Serapione il quale, abbiendo
dato il vestimento suo a li poveri e scontrandosi in un
altro povero che
morìa di
freddo,
avesse
dato altressì la
gonnella. E sendo sì ignudo
co 'l Vangelio in mano,
uno il
dimandò e disse: "Padre, chi ti ha spogliato?"
E' mostrando il Vangelo rispuose: "Questi m'ha spogliato".
Un'altra volta che vidde un altro povero, sì vendé il
Vangelio e 'l prezzo
diede al povero. Quegli
essendo
domandato
dove il Vangelo fosse, rispuose così: "Il Vangelio
comanda e
dice: "Va e
vendi ogne cose e da'
a' poveri; sì che io l'avea,
vende'lo e
diedi al povero".
Una volta ch'egli fece
dare
cinque monete ad
uno che gli
domandava
limosina, quegli indegnato che
egli non gliel' avea
fatta maggiore
limosina, sì ne
cominciò
a
dire vituperio, e a
dirgliene villania dinanzi
a la
faccia. La qualcosa udendo i
frati suoi, sì li
corsero
addosso per
batterlo
gravemente; ma Giovanni al
postutto gliene vietò, così
dicendo: "Lasciatelo,
frati,
lasciatelo ched egli mi
maladirà.
Ecco che io abbo
LX
anni e
biastemmia' per l'opere mie Cristo, e io non
sosterrabbo una villania da costui?" E
comandò che
fosse
recato il
tascoccio de'
danari e
postoglielo innanzi,
acciò che egli ne togliesse quantunque ne volesse.
Con ciò fosse
cosa che letto il Vangelio il popolo
uscisse fuori de la chiesa a parlare cose oziose ivi di
fuori, una volta
dopo il Vangelio il Patriarca uscì fuori
con loro e
cominciò a sedere nel mezzo di loro. Sì che
maravigliandosi
coloro di ciò, e elli disse a loro: "
Figliuoli,
dove è le pecore, là è il pastore; o voi
entrate
dentro e io con esso voi, o se voi ci state e io ci starò
altressì". Sì che
faccendo così una volta o
due sì gli
ammaestrò che
dovessero stare in chiesa insino a la
finita.
Con ciò fosse
cosa che uno giovane
avesse rubata
una monaca, e li
cherici dinanzi al
beato Giovanni
e'
rimproverassero il
detto giovane, e
dicessero
che egli era da scomunicare come quelli che avea perdute
due
anime, cioè la sua e quella di colei,
costrinseli
il
beato Giovanni, così
dicendo: "Non
fate così
figliuoli, non
fate così, ché io vi mosterrò che voi
commettete
due peccati, l'uno si è che voi rompete il
comandamento del Signore che disse: "Non giudicate
e non sarete giudicati"; l'altro che voi non sapete per
certo sed egli peccano ancora oggi, o sed egli sono pentuti".
Spesse volte stando elli in orazione e posto in levamento
di
mente, fu udito
disputare con
Domenedio in
cotali parole: "Così, così,
buono
Jesù, io spargendo
e tu porgendo vedremo quale vincerà!"
Con ciò fosse
cosa che la
febbre l'
avesse preso, veggendosi
prossimano a la
morte, sì disse: "Grazie ti
faccio, signore Iddio, che tu hai
esaudita la miseria mia
pregante la
bontade tua, ché a la mia
morte non mi
s'è trovato altro che uno tornese loima; io
comando
che sia
dato a li poveri". Sì che fu posto il suo venerabile
corpo nel sepolcro là
dove i
corpi di
due vescovi
erano stati sotterrati da prima; ma quelli
corpi
in maraviglioso modo, gli
diedero luogo e
lasciarongli
voto il luogo di mezzo.
Ma pochi dì innanzi che morisse una
femmina, la
quale avea
commesso uno grande peccato, e non fosse
ardita di
confessarlo mai a persona, disse a
lei il
beato
Giovanni che da ch'ella sapeva scrivere,
almeno lo
scrivesse in una
pergamena e, così suggellata, gliele
portasse ed elli pregherebbe Iddio per lei. Sì che quella
il fece, ma da ivi a pochi dì il
beato Giovanni
dormìo
in pace. Quella, udendo ch'egli era morto, tennesi vituperata
e
confusa temendo che quella scritta non venisse
a le mani
altrui. Sì ch'ella se ne venne a l'
avello
del santo, là dov'ella pianse in grande
abbondanza,
gridando e
dicendo: "Oimè, oimè, pensando me
campare
di vergogna e ora io ne sono tutta piena!" E
piangendo
amarissimamente, pregando il
beato Giovanni
che le mostrasse là dov'elli
avesse lasciata la scritta,
eccoti santo Giovanni in
abito vescovile uscire de lo
avello con
due vescovi, ch'erano riposti con lui, l'uno
da l'uno lato e l'altro da l'altro, e disse a la
femmina:
"Perché ti
dai tanta
briga e non lasci posare
né me, né questi santi che sono meco? Ecco le stole
nostre tutte sono
bagnate di
lagrime!" E
porsele la
scritta sua suggellata come di prima e disse a lei:
"Vedi questo
suggello,
apri la scritta e
leggi". Quella
il trovò spento e trovò che v'era scritto
entro: "Per
Giovanni, servo mio, è ispento il peccato tuo". E così
quella rendette molte grazie a Dio, e il
beato
Joanni
con gli altri
due vescovi si ritornarono al monimento.
Regnò costui ne li
anni
Domini
DCV, al tempo di
Foca
imperatore.
cap. 28, Conv. S. PaoloLa
conversione di san Paulo fu in quel medesimo
anno che Cristo ricevette passione e santo Stefano fu
lapidato; non ne l'
anno naturale, ma infra quello
anno
in questo modo che Cristo ricevette passione
sette dì
uscente marzo, Stefano fu lapidato in quell'
anno il terzo
die d'
Agosto e Paolo si
convertìo
sette dì uscente gennaio
vegnente. E
fassi
festa del suo
convertimento più
che di
veruni altri santi per tre
ragioni: la prima si è
per lo
essemplo che neuno, quantunque elli sia peccatore,
non si
disperi de la perdonanza, veggendo che colui, il
quale era così grande peccatore, ricevette
cotanta grazia
appo Dio. La seconda si è per la letizia, ché sì come
la Chiesa
ebbe grande
tristizia de la sua persecuzione,
così le fue grandissima
allegrezza la sua
conversazione
d'
esser
convertito. La terza si è per la maravigliosa
cosa, cioè
convertigione, quando Cristo di così
crudelissimo
perseguitatore fece
fedelissimo predicatore.
E fue questo
convertimento miracoloso per
cagione
del
facitore, cioè Cristo, il quale fece il suo
convertimento,
però che quivi mostrò elli la sua
mirabile
potenzia
in ciò che elli li disse: "
Dura
cosa a te
scalcheggiare
t'è contra 'l pulgilliato"; e in ciò ch'elli il
mutòe così subitamente, onde a mano a mano rispuose:
"Messere che vuo' tu che io
faccia?" Agostino
sopra questa parola
dice: "L'
agnello ucciso da' lupi
fa de' lupi
agnelli; già s'
apparecchia ad ubbidire quelli
che prima era
crudele a perseguitare". Nel secondo
luogo mostrò la sua maravigliosa sapienza in ciò ch'elli
cacciò da lui l'
enfiatura de la superbia, offerendogli
la
bassezza de la umilitade, non l'
altezza de la maestade
quando disse: "Io sono
Jesù Nazareno, il quale
tu perseguiti".
Dice la Chiosa: "Non si nomina Dio,
ovvero figliuolo di Dio, ma
dice: Ricevi la
'nfermitate
de la mia umanitade e
caccia da te le scaglie
de la superbia". Nel terzo luogo li mostrò la sua maravigliosa
pietade in ciò ch'elli il
convertìo,
essendo lui
in volere e in operazione di perseguitare. Per ciò che
avvegna Dio ch'elli
avesse
aspetto, ovvero
affetto d'offenditore,
perché ancora
andava soffiando de le minacce,
o avvegna che
avesse
pervertito isforzamento, perché
andò a li principi, quasi
inframmettendosi non
essendo
chiamato, e avvegna che
avesse malvagio operamento,
perché
andava per menarli legati i servi di Cristo
a
Gerusalem e per ciò pessimo fosse il suo viaggio
impertanto la
divina misericordia lo
convertìe.
Secondariamente fue maravigliosa questa
convertigione
da la parte e per la ragione del
disponitore, ciò
fue la luce la quale il
dispuose a
convertirsi, però che
quella luce fue subitanea, fue grande e fue da
cielo:
e in un subito la luce dal cielo lo avvolse. E Paulo
avea in sé tre vizii, il primo era l'
ardire lo quale è
notato in ciò che si
dice ch'elli andò a li principi de' sacerdoti.
Dice la Chiosa sopra ciò: "Non fu
chiamato,
ma
andòe per lo
zelo che 'l movea". Il secondo vizio
era la superbia la quale è notato in ciò che
dice che
soffiava di minacce. Il terzo era il
carnale intendimento
che
aveva ne la legge, onde sopra quello: "Io
sono
Jesù Nazareno"
dice la Chiosa: "Io Dio da
cielo
parlo, lo quale tu pensi che sia morto per
sentimento
di giudaico intendimento". Sì che quella luce
divina
fue subitamente, acciò che spaventasse l'ardito; fue
grande, acciò che colui che si teneva alto e superbo
abbattesse
a la
bassanza de l'umilitade; fue da
cielo, acciò
che 'l
carnale intendimento rimutasse ne lo spirituale
e
celestiale, ovvero che si potrebbe
dire che questo
dispognente
fue in tre cose, cioè ne la
boce gridante,
ne la luce risplendente e ne la virtù potente.
Nel terzo luogo fu maravigliosa per ragione del
sostegnente,
cioè de lo stesso Paolo in cui avvenne questa
stessa convertigione; però che in Paulo tre cose
avvennero
miracolosamente di fuori, ciò fu
abbattimento,
accecamento e
digiunamento di tre dì.
Abbattuto fue
acciò che si rilevasse quanto a l'
abbattuto
affetto.
Dice
santo Agostino: "
Abbattuto è Paulo per essere
accecato,
accecato è per essere rimutato, rimutato è per
essere mandato, mandato è per essere per la veritade".
"Passionato, anche
dice, essere
scatuzzato, e il
crudolente è fatto
credente,
scatuzzato è il lupo e
fatto
agnello,
iscatuzzato è il persecutore e fatto
è predicatore,
scatuzzato è figliuolo de la perdizione e
fatto è vasello
eletto. È accecato acciò che fosse
alluminato quanto al tenebroso intendimento; onde in
quelli tre dì ch'elli stette accecato si
dice che li fue
insegnato il Vangelo, che non l'
ebbe da uomo né per
uomo, ma per la revelazione di
Jesù Cristo sì come
dice
elli medesimo.
Santo Agostino
dice di lui: "Io
dico Paulo verace
cavaliere di Cristo, ammaestrato da lui, unto da lui,
crocifisso con lui e glorioso in lui. Fue
macerato ne la
carne, acciò che quella
carne si
disponesse a bene operare;
però che, da indi innanzi, il
corpo suo fue
acconcio
a tutto bene, ched e' sapeva avere
fame e essere
abbondevole,
e in ogne luogo e in tutta gente era ordinato, e
tutte le cose
contrarie
sostenea volentieri. San Giovanni
Grisostomo
dice di lui che: "Elli riputava i tiranni
e i popoli
arrabbiati di
furore come
alquante
zanzare;
la
morte e le pene e i mille tormenti teneva quasi per
uno giuoco di
fanciulli. Più era onorato di
catene legato
che di
corona incoronato; più volentieri ricevea
fedite
che i
donamenti d'alcuno". Potrebbesi ancora
dire che
tre cose furono in Paulo contra tre cose che furono in
Adamo; però che
in lui fue levamento contro a Dio, in
costui fue
abbattimento a terra; in colui fue
aprimento
d'occhi, in costui fue
accecamento; in colui fue mangiare
di
cibo vietato, in costui fue
astinenza di
cibo licito.
cap. 29, S. Paola
Paula fue una gentilissima
donna di Roma, la cui
vita scrisse san
Geronimo in queste parole: "Se tutte
le
membra del mio
corpo si
convertissono in lingue,
e tutte queste
avessono
boce d'uomo, non
direi neuna
cosa sofficente a le vertude de la santa e de la venerabile
Paula. Gentile di nazione, ma più gentile di
santitade, potente per
adrieto in ricchezze, ma testeso
più grande ne la
povertà di Cristo, io
chiamo in testimonianza
Jesù Cristo e i santi
angeli suo' e ancora il
propio
angelo di lei, lo quale fue guardiano e
compagnone
de la maravigliosa
femmina, che io non
dico
nulla in grazia di lei a modo di quelli che vogliono lodare,
ma ciò ch'io
dirò per testimonio,
dico che è meno
de'
meriti suoi.
Suole
chiunque legge sapere
brievemente le sue
virtudi: ella lasciò poveri tutta la sua gente, e ella
più povera di loro. E così, tra le molte
gemme, la preziosa
gemma
risplende; e
sì come lo
splendore del
sole tutti i
focolini de le stelle
annebbia ed
oscura, così
costei con la sua umilitade soperchiòe le virtudi e la
potenzia di tutti; menima fu
fra tutti, acciò che fosse
maggiore di tutti. E quanto più s'
abbassava tanto più
era
sollevata da Cristo. Ella si nascondea ed era manifestata,
però che,
fuggendo la gloria,
meritava gloria; la
quale come una ombra seguita le virtudi e, lasciando
coloro
che l'
appetiscono,
appetisce
coloro che la
spregiono.
Costei
ebbe
sei
figliuoli tra maschi e
femmine:
ciò furono
Blesilla, sopra la cui
morte
a Roma io la
consolai;
Paulino, santo e maraviglioso uomo soprastante
de'
beni suoi;
Pamazio, lo quale ella fece
erede,
al quale noi
componemmo uno piccolo libretto sopra la
morte di lei;
Eustochia, la quale al presente, ne le luogora
sante, è uno
ornamento prezioso di
verginitade e
de la Chiesa
;
Rufina, la quale in
affrettata
morte
abbattéo
il pietoso
animo de la madre, e
Teorzio dopo
il quale,
cessòe di partorire, acciò che tu t'
arrendessi
ch'ella non volle servire a l'officio maritale, ma ubbidire
al
disidero del
marito, la quale
desiderava
figliuoli
liberi. E da poi che 'l suo
marito morìo, così il pianse
come s'ella propriamente fosse morta,
e così si
convertìo
al
servigio di Cristo come paresse ch'ella
avesse
disiderata la sua
morte.
Che
dirabbo adunque de la
spaziosa e nobile
casa
e di qua adrieto ricchissima,
buonamente tutte le ricchezze
furono
date a' poveri? Infiammata costei de le
virtudi di
Paulino vescovo d'Antioccia e di
Epifanio,
i quali erano venuti a Roma, d'ogne punto pensava
d'
abbandonare il paese. Che mi indugio più a
dire?
Discese
al porto tenendole dietro il
fratello, i
parenti del
lato suo e del
marito e ancora i
figliuoli, che maggiore
cosa fue. Ma già erano tese le
vele e la
nave per
guida de' remi era in
alto mare, quando i
parenti giunsono
al porto; sì che stando a la riva tutti levarono
le mani in
cielo verso lei.
Rufina, la quale già era
in
età di maritaggio, tacendo, con pianto la scongiurava
ch'ella
aspettasse le sue nozze. E pertanto quella
teneva gli occhi
asciutti al
cielo, la pietade verso Iddio
soperchiante la pietade verso i
figliuoli. Non si
conoscea
per madre, acciò che si provasse per
ancella di
Cristo;
tormentavansi le sue interiora quasi come se le
fossero schiantate da le loro
membra, e col
dolore
combattea.
Costei, piena di fede contra le
ragioni de la natura,
non avea pena anzi
appariva
allegra ne l'
animo,
e,
sprezzando l'
amore de'
figliuoli, maggiore ne l'
amore
del Signore; solamente in
Eustochia si riposava, la quale
era
compagna de la sua
navicagione ed era di suo
animo
in Cristo.
Infrattanto la
nave
andava
fra 'l mare e
ragguardando tutti quelli che navicavano con lei a
coloro
ch'erano a la riva, quella teneva volti gli occhi in altra
parte per non vedere quelle che vedere non potea sanza
tormento. Ed
essendo venuta a le luogora sante, il
preconsolo
di Palestina, il quale
conoscea bene la sua
famiglia,
mandatole innanzi i sergenti suoi, sì le fece
apparecchiare uno
bellissimo palazzo; e ella volle anzi
per sé una umile
cella. E tutte le luogora
andava
cercando
con tanto
ardore e con sì grande
studio che, se
non ch'ella s'
affrettava di
cercare le rimanente, da le
primaie non si potea smuovere.
Discesa in terra, dinanzi da la Croce sì l'
adorava
quasi come se ella vi vedesse suso il Signore; ed
entrando
nel sepolcro
donde Cristo risuscitòe, sì
basciava
tutta quanta la lapida che l'
angelo avea
rimossa
da la
bocca del monimento; e esso luogo nel
quale era giaciuto il
corpo del Signore, sì leccava tutto
quanto con la
bocca, come quella ch'era tutta
assetata
de le
disiderate
acque de la fede. E quante
lagrime ella
vi
spandesse e quanto pianto e quanto
dolore, tutta la
cittade di Gerusalem ne puote rendere testimonanza ed
esso Signore, lo quale ella pregava. Poscia se n'andò in
Betleem, ed
entrando ne la spelonca del Salvatore vidde
il santo
diversoro de la Vergine e, udendola me, sì giurava
ch'ella vedeva con gli occhi de la fede il
bambino
involto in pannicelli
nannare dinanzi a la mangiatoia
del Signore e li Magi
adorare e la
stella risplendente
disopra e la madre vergine e 'l
balio sollicito e li pastori
venire la notte per vedere la parola la quale era
fatta acciò che allora predicassero il
cominciamento
del Vangelio di san Giovanni
Evangelista: "Nel principio
era la parola e la parola è
fatta
carne". Allora
dice ch'ella vedea gl'innocenti morti e
Erode
crudelissimo
e
Joseppo e Maria
fuggenti in
Egitto, e parlava
con
lagrime mischiate con gaudio, e
dicea: "Dio ti
salvi Betleem,
casa di pane, ne la quale nacque il pane
lo quale
discese di
cielo. Dio ti salvi
Effrata,
contrada
piena di tutta
abbondanza, la cui
abbondanza è
Domenedio.
Con grande
fidanza parla
David: Noi
enterremo nel
tabernacolo
suo,
adoreremo nel luogo dove stettero i piedi
suoi, ed io misera peccatrice, sono giudicata
degna di
basciare te, mangiatoia, ne la quale pianse il Signore
piccolino; anche d'
adorare ne la spelonca ne la quale la
Vergine
partorette lo Dio
piccolino, non parlante. Questo
è il mio
riposo, perch'egli è il paese del mio Signore;
qui voglio
abitare imperò che il
Salvatore lo
elesse".
Di tanta umilitade s'
abbassò, che chi l'
avesse veduta
prima e per la grande
fama del nome l'
avesse
disiderata di vedere, non
crederebbe ch'ella fosse essa,
ma una vile
ancella. E con ciò fosse
cosa ch'ella si
congiugnesse a li
spesseggianti
cori de le
vergini, col
vestimento, con la
voce, con l'
abito e con l'
andatura
era la più menoma di tutte. Unquemai dopo la
morte
del
marito insino al dì de la sua
morte non mangiò
con veruno uomo, quantunque ella sapesse che fosse
santo e levato in
altezza di pontificato. In
bagni non
entrò se non fosse in
pericolo de la persona; letto morbido
non n'
ebbe eziandio con la gravissima
febbre, ma
in su la
dura terra si riposava ponendosi sotto e sopra
gli
aspri
cilici, se
riposo sì puote
dire quello che i dì
e le
notti
congiugneva poco meno a
continue orazioni.
Di tale maniera piangea i
leggeruzzi peccati, che tu
avresti
creduto ch'ella fosse piena di gravissimi peccati.
Ed
essendo
ammonita spesse volte da noi che ella
perdonasse a gli occhi e
conservasseli a
leggere i santi
Vangeli, sì
dicea: "Da turbare è la
faccia, la quale
spesse volte
dipinsi, contra 'l
comandamento di Dio, con
biacca e con
bambagello; da
affliggere è il
corpo, lo quale
è stato in molte
dilicatezze; il
lungitano ridere è da
ricompensare con perpetuale pianto; le morbide lenzuola
e preziosi sciamiti sono da
commutare in
asprezza di
cilicio; io, che mi sforzai di piacere al
marito e al
mondo,
disiderò ora di piacere a Cristo".
Se tra cotali e
cotante virtudi e così grandi vorrò
lodare in lei la
castità, sì parrà che sia di soperchio,
con ciò sia
cosa che eziandio,
essendo ancora secolare,
ella in ciò fosse
specchio ed
essemplo di tutte le grandi
donne di Roma; la quale si portò in tale maniera intorno
a ciò che mai di lei non fu
detto nulla mancanza,
eziandio per infamia di
malidicenti.
Io
confesso,
lettore mio, che veggendola io quasi
scialacquata in
donare, sì la ne riprendea
toccandole
la parola de l'
Apostolo: "Non
fate a gli altri
consolazione
per fare a voi tribulazione; ma
fate
igualitade
in questo tempo, sì che la vostra
abbondanza sia a
loro
povertà e la loro
abbondanza sia a
compiere a
voi la vostra povertade". E sarebbe da provvedere
se quello uomo che
fa volentieri, elli il potesse fare
sempre; e molte cotali cose le
diceva, le quali ella
con maravigliosa vergogna e con sermone temperatissimo
disciogliea,
chiamando in sua testimonianza
Domenedio
come, per lo suo
amore e nel suo nome, ella
facea tutte queste cose; e che questo
desiderio
faceva
e
aveva ella di morire mendica e povera tanto, che pure
uno
danaio non
avesse che lasciare a la
figliuola e che
a la sua
morte fosse inviluppata ne l'
altrui panni. A
la perfine
dicea: "Se io
chiederò, io troverò molti che
mi
daranno; e se 'l povero mendico non
avrà da me
quello ch'io gli
posso
dare eziandio de l'altrui
dato a
me, se elli morrà, la vita sua sarà richiesta da le mie
mani". Non volea
spandere la pecunia in queste pietre
che
debbono passare con la terra e col
mondo, ma ne
le vive pietre che sono
disopra a la terra; de le quali
dice san Giovanni ne l'
Apocalissi: "La
città del grande
re è ornata di pietre preziose".
Trattone i dì de le
feste, appena prendea olio in
suo mangiare, acciò che per questa una
cosa fosse
estimato che
cosa giudicasse del vino e de l'
acqua
cotta e de' pesci e latte e
mele e uova e l'altre
cose le quali sono soavi a la
bocca; però che in queste
cose prendendo,
alquanti si
credono essere di grandissima
astinenza; eziandio se se ne
satolleranno bene, sì
si
credono avere sicura
castitade. Io
conosco uno secondo
ragione, ché è una molto maledetta generazione
d'uomini, che mi disse, quasi come mi fosse a
piacere, che ad alcuni parea che per troppo
fervore di
vertudi ella fosse
matta e che le sarebbe da nutricare
il
celabro. Al quale ella rispuose: "Noi siamo
fatti
giulleria al
mondo e a l'
angeli e a li uomini; noi
stolti per Cristo, ma la stoltizia di Dio è più savia de
li uomini".
Dopo il monasterio de' maschi, lo quale ella avea
dato
a governare a uomini, molte vergini le quali ella avea
raunate di
diverse province sì de le gentili, come de
mezzane e di
bassa mano, sì le
divise in tre schiere
e monasteri, in tal modo che in operazione e in
cilicio
erano
sceverate, ma in salmi e in orazioni si
congiugnevano
insieme. Quelle che alcuna volta si
gareggiavano
con parole piane e
amorevoli le
pacificava; la inchinevole
carne de le giovanette sì rompea con ispessi
e
raddoppiati
digiuni, vogliendo anzi ch'
elle si
dolessero
lo
stomaco che la
mente,
dicendo che la
mondizia
del
corpo e de le vestimenta si è sozzura de l'
anima,
e quella
cosa che
pare leggera e quasi neente nel
cospetto
de li uomini di questo secolo,
dicea ch'egli era
un gravissimo peccato nel monastero. E con ciò sia
cosa ch'ella
desse a le 'nferme largamente d'ogne
cosa
e a mangiare de la
carne, se alcuna volta ella infermasse
non perdonava a se medesima; e in ciò pareva
disguale
da l'altre, ché ne l'altre mostrava
benignitade e in sé
mostrava
durezza.
Io racconterò una
cosa la quale io provai: che del
mese di Luglio, quando è il grandissimo
caldo, le venne
un
caldo di
febbre; e poi ch'ella fu, sfidata da' medici,
per la
divina misericordia rinvigorita, sì la
confortarono
i medici per ristoramento del
corpo d'usare d'uno vino
piccolo e poco, acciò che
bevendo
acqua non
cadesse
in idropisia; ed io
celatamente
pregai il santo
papa
Epifanio che la
costrignesse di
bere vino. Quella, sì com'era
di savio e di
sollecito ingegno, incontanente seppe
il fatto e, sorridendo in lui, disse a gli altri quello ch'io
avea
detto.
Che
diremo più? quando il
beato
Papa dopo molti
conforti uscito fuori,
domandandolo me quello che v'avea
fatto, sì mi rispuose: "Tanto ho sentito che poco meno
a questo vecchio ha
dato
conforto di non
bere vino".
Nel piagnere era a sé
crudele e, spezialmente quando
moriva alcuno de'
figliuoli, tutta si rompeva, che fu
poco meno di morta quando morìo il
marito e i
figliuoli;
e con ciò sia
cosa ch'ella si segnasse la
bocca e lo
stomaco
e
sforzassesi d'
allenare il
duolo de la matrice col
segno de la santa Croce, sì si soperchiava il suo
affetto
e la
credente
mente
abbatteano le 'nteriora de la madre
e, vincendo con l'
animo, sì vincea la
frailezza del
corpo. Le scritture sante teneva bene a
mente e, con
ciò fosse
cosa ch'ella
amasse la storia e
dicesse ch'ell'era
fondamento di veritade,
maggiormente tenea dietro
a lo intendimento spirituale per lo quale
massimamente
l'
anima n'era
edificata.
Dirò un'altra
cosa, la quale forse non parrà
creditoia
a li
'nvidiosi. La lingua
ebrea, la quale io da la mia
gioventudine
appresi con molta
fatica e con molto
sudore e in parte con
fatichevole pensiero ne l'
abbandono,
acciò ch'io non mi partissi da lei, sì la volle
imparare e
appresene tanta ch'ella
cantava i Salmi in
lingua
ebrea e
sonava troppo la parola sanza veruna
propietà de la lingua
latina. E infino al dì d'oggi vedemmo
ciò ne la santa sua
figliuola
Eustochia.
Infino a qui
abbiamo navicato a venti
prosperevoli e
per le
crespanti pianure del mare è scorsa la nostra
nave in
celato, or viene a parlare ne li scogli: chi
è quelli che potesse con occhi
asciutti raccontare com'ella
morìo? Ella
cadde in una gravissima infermitade;
anzi quello ch'ella
andava
desiderando
ebbe trovato,
acciò ch'ella ci lasciasse e più pienamente fosse
congiunta al suo Segnore. Perché peno io tanto a
dire
e 'l mio
dolore
faccio più
durare in altre cose
faccendo
dimoranza? Sentiva la savissima de le
femmine che
la
morte l'era presente e,
raffreddata già alcuna parte
del
corpo e de le
membra, sentiva sola la
tipidezza
de l'
anima
palpetare nel santo e nel sagrato petto; e
impertanto, quasi come ella
andasse a la sua gente e
spregiasse la straniera,
bucinava questi versetti: "Messere,
io ho
amato la
bellezza de la
casa tua e il luogo
de l'
abitazione de la gloria tua; e come sono
amati i
tabernacoli tuoi, Segnore de le vertudi!
Disidera e vienne
meno l'
anima mia ne le magioni del Signore, e io ho
eletto d'essere
scacciata ne la
casa de lo Iddio mio innanzi
che
abitare ne li
tabernacoli de li peccatori".
E
domandando me perch'ella tacea e perch'ella non
voleva rispondere a chi la
chiamava, volendo sapere
s'ella si
dolesse alcuna
cosa, rispuose in parlare grecesco,
e disse che niuna
molestia avea, ma tutte cose
quiete e riposate vedea. Dopo questo tacette e
chiuse
gli occhi, quasi come
spregiasse le cose
terrene; infino
a tanto che l'
anima si partìo, quegli medesimi versi ripeteva
sì che appena intendea quello ch'ella
diceva.
Quale monaco di quegli ch'erano nascosti ne l'
ermo
non
uscìe allora de la
cella? quale de le vergine non ne
uscì allora de le sagrete luogora de le
camere? Grave
peccato era tenuto chi non rendesse il sezzaio
debito
d'ufficio ad una cotale
femmina, infino a tanto ch'ella
fue
riposta sotto la chiesa,
appresso a la spelonca del
Segnore.
La sua venerabile
figliuola vergine
Eustochia, quasi
come levata da latte, sopra la madre sua da lei al postutto
rimuovere non si potea.
Comincia a
baciare la
bocca, gli occhi, la
faccia e tutto il
corpo non mollava
d'
abbracciare; volentieri voleva essere soppellita con la
madre. Testimonio n'è
Jesù Cristo che uno solo
danaio
non lasciò a la
figliuola, la madre; ma, grande
cosa è
e
strana e che così malagevole è più lasciare, così
grande
moltitudine di
frati e di suore, la quale a potere
sostenere è
cosa malagevole e
abbandonare sarebbe
cosa spietosa.
Vattene dunque salva
Paula e l'ultima
vecchitudine del tuo
amatore
adiuta con le tue
orazioni!"
cap. 30, S. Giuliano
Giuliano fu vescovo di
Cennonia. Di costui si
dice che fue quello Simone lebbroso, lo quale il Signore
curòe de la lebbra e che invitòe il Signore al
convito;
il quale, poi che 'l Signore fue montato in
cielo, sì 'l
fecero gli
apostoli vescovo di
Cennonia. Questi, chiaro
di molte virtudi, sucitò eziandio tre morti e poi si
riposòe
in pace.
Di costui si
dice che è quello Giuliano che i pellegrini
chiamano per trovare
buona
albergheria, in ciò
che 'l Signore fue
albergato ne la sua
casa. Ma più
veramente si
crede che fosse quell'altro Giuliano che
uccise il padre e la madre sua, a sé
niscente, de la cui
storia porremo più giù.
Fu anche un altro Giuliano d'Alvernia, nobile di
generazione, ma più nobile di fede, il quale per
disiderio
del martirio, s'
offerìa se medesimo a' perseguitatori
de la fede. A la perfine
Crispino,
consolare, mandòe
uno suo servo a
comandargli che l'uccidesse. Quegli,
sentendolo innanzi, spontaneamente uscì fuori e offersesi
a colui che l'
andava
caendo, e immantanente ricevette
il
colpo del
feditore.
Coloro, togliendo la testa, e sì la portarono a santo
Firivolo,
compagno di questo Giuliano, e sì 'l minacciaro
di
fargli fare simigliante
morte se non sacrificasse
a l'idole. Quegli non
consentendo a
coloro, sì
lo uccisero, e puosero in uno
avello il
capo di san Giuliano
tra le mani di santo
Firivolo.
E dopo molti
anni santo
Mamerto trovò il
capo
di san Giuliano tra le mani di san
Firivolo sì intero,
e sì
lavo come se fosse stato sotterrato in quello dì.
E
fra gli altri suoi miracoli si suole
contare questo:
che
rubando uno
diacano le pecore de la chiesa di san
Giuliano e li pastori gliele vietassero da parte di san Giuliano,
quello
cherico rispuose: "Giuliano non mangia
montoni". Ed ecco, poco stante, il prese una
febbre
fortissima
e,
crescendo la
febbre,
confessa ch'egli è inceso
dal martire; e fecesi gittare l'
acqua addosso perché fosse
rifrigerato; e incontanente uscì dal
corpo tanto
fummo
e sì grande
puzzo, che tutti quegli ch'erano presenti
si
fuggirono ed egli morìo poco stante.
Una volta che uno
villano,
come dice Gregorio di
Torno, voleva andare ad
arare in
Domenica, sì li
diventarono
rattatte le
dita, e 'l manico de la
scure, con
la quale elli volea
mondare il
bomero, gli s'
appiccò sì
a la mano ritta che
spiccare non la poteva; ma da
ivi a
due
anni ne la chiesa di san Giuliano fu liberato
a le
preghiere del santo.
Fue ancora un altro Giuliano
fratello di
beato
Giulio. Questi
due
fratelli impetrarono de
Teodogio imperadore
cristianissimo, che
dovunque e' trovassero idole,
sì le
disfacessero e
facessero in quel luogo
chiese di
Cristo. La quale
cosa lo 'mperadore
concedette loro,
e
comandò loro, sotto pena de la testa, che tutte le
persone
dessero loro
aiuto. E
essendo dunque questi
santi Giuliano e
Giulio in uno luogo che si
dice
Sandiano
per fare ivi una chiesa e
dando loro
aiuto
tutti quelli che passavano per lo
comandamento de lo
imperadore,
avvenne che
alquanti che passavano
con
un carro ind'oltre,
dicevano
fra loro medesimi: "Che
scusa possiamo noi avere per passare
franchi, acciò che
noi non siamo occupati in questa opera?" E
dissero
così: "Venite qua, e togliamo uno di noi e
pognallo
in sul
carro rivescione e
copriallo con panni come s'elli
fosse morto,
e così passeremo liberi". E così
fecero.
Ed
essendo invitati da i santi ched elli li
dessero
aiuto,
coloro rispuosero: "Noi non ci potemo stare, ché noi
abbiamo uno morto in sul
carro". Disse san Giuliano
a colui che avea parlato: "Or perché
menti tu, figliuolo?"
E questi disse: "Non
mento, messere, ma egli
è come io
dico". Disse il santo: "Secondo la virtù
di Dio nostro così v'
addivenga".
Coloro punsero li
buoi e passarono oltre, sì che,
andando
al
carro,
chiamarono colui che si levasse; ma non
rispondendo quelli in veruno modo,
approssimaronsi
a lui e
trovarollo morto; sì che tanta paura venne
addosso
a tutti che neuno era ardito di
mentire a i santi
da quella ora innanzi.
Fue ancora un altro Giuliano, il quale uccise il
padre e la madre, a sé
niscentemente. Uno
die che costui,
il quale era un gentile giovane, intendea a
cacciare e
giugnesse un
cerbio, il
cerbio rivoltosi a lui, sì li
disse: "Tu mi vieni pure
dietro, il quale sarai micidiale
di padre e di madre?" Quegli, udendo ciò,
fortemente
isbigottìo; e perché non li
avvenisse quello che avea
udito dal
cerbio, in
celato, lasciando ogni
cosa, si partìo;
e vennesene a una
contrada molto da lungi, e
accostossi
là ad uno prencipe, e portossi sì
valentremente in ogni
luogo e in
battaglia e in palazzo che il prencipe il fece
cavaliere e
dielli per moglie una grande
castellana vedova
e ricevette il
castello per
dote.
Infrattanto il padre e la madre di Giuliano,
contristati
molto de la perduta del loro figliuolo, sì si missero
ad andare per lo
mondo
sollicitamente, per ogne parte
cercando del loro figliuolo. A la perfine
capitarono al
castello del quale Giuliano era signore, e con ciò fosse
cosa che egli non vi fosse allora e la moglie
domandasse
chi e' fossero,
coloro le
dissero ciò ch'era intervenuto
loro e al figliuolo, sì che ella intese, per quelle parole,
ched
ell'erano il padre e la madre del suo
marito, come
quella che avea udito
dire ispesse volte dal
marito ogne
cosa. Ricevetteli dunque
benignamente e, per
amore del
marito,
diede loro a giacere nel letto suo e ella si fece
uno altro letto per sé in un altro luogo. Sì che,
fatta la
mattina, la
castellana se n'andò a la chiesa; e Giuliano,
tornando la mattina,
entròe in
camera quasi come volesse
isvegliare la moglie sua; e veggendo
dormire
due insieme,
pensò che la moglie fosse con uno
adoltero:
chetamente
trasse fuori la spada e
amendue gli uccise. E
uscendo de la
casa, vide la moglie tornare da la chiesa;
e, maravigliandosi,
domandò ch'erano quegli che
dormiano
nel letto, e quella disse: "È il vostro padre e la
vostra madre, che vi sono
andati
caendo uno
buono
tempo, e io gli ho
messi nel letto vostro". Quegli, udendo
ciò,
divenne quasi morto e
cominciò a piagnere
amarissimamente
e a
dire: "Oimè, misero, che
farò? ché io
hoe morto
el mio
dolcissimo padre e la mia
dolcissima
madre!
Ecco ch'è
compiuta la parola del
cerbio; la quale
volendo ischifare, io, misero, l'hoe
adempiuta! Ora sta
sana,
serocchia mia
dolcissima, però che da qui innanzi
non poserò insino a tanto ch'io sappia se
Domenedio
abbia ricevuta la penitenza mia". E quella disse: "Non
piaccia a Dio,
dolcissimo
fratello, che io ti lasci; ma
perch'io sono stata teco
parzonevole d'
allegrezza, sarò
anche
compagna di
dolore".
Allora, partendosi da quello luogo, vennero ad uno
grande
fiume là
dove molti
pericolavano, e ivi ordinarono
uno grandissimo spedale per fare iviritto la penitenza;
e tutti
coloro che
volessero passare il
fiume,
continuamente
trasportassero e nel loro
albergo ricevessero tutti
i poveri.
Sì che, dopo molto tempo, una mezzanotte riposandosi
Giuliano, ch'era molto lasso, ed
essendo uno grandissimo
freddo, udìe una
voce che miserabilemente si lamentava,
e con
voce di pianto
chiamava che fosse trapassata.
Quelli, udendo ciò, tosto si levò, ed intendendo che già
venìa meno di
freddo,
portonelo in
casa sua e,
accendendo
il
fuoco,
brigossi di riscaldarlo. Ma non
potendolo
riscaldare e temendo che non venisse meno di gelo, sì
ne lo portò al letto suo, e misselo entro, e sì lo
coperse
finemente e bene. E, poco stante, colui il quale parea
lebbroso, isplendiente n'
andòe in
aria e disse a l'oste
suo: "O Giuliano, il Signore mi mandò a te, e mandati
a
dire ch'egli ha
accettata la tua penitenzia, e
abendue
dopo poco tempo
dormirete in pace". E così quegli
disparette;
e Giuliano e la sua moglie, pieno di
buone operazioni
e di
limosine, si riposò in Cristo.
Fue anche un altro Giuliano monaco, il quale
s'infignea d'essere uno grandissimo religioso. Onde
racconta di lui il maestro Giovanni
Beleth, ne la Somma
de l'Officio de la Chiesa, che una
femmina
abbiente
tre
pentole
piene d'oro in tale maniera che a
nascondimento
de l'oro ne le
bocche de le
pentole avea soprapposta
cennere, sì 'l portò a Giuliano che gliele guardasse,
però ch'ella il teneva per uno santo uomo; e dinanzi
ad
alquanti monaci gliele
diede; i quali monaci non
videro che fosse altro che
cennere, né quella
femmina
spremette bene che fosse oro.
Sì che Giuliano tolse le
dette
pentole e,
trovandovi
entro
abbondanza d'oro, tutto quell'oro
imbolò e
ripienò
le
pentole di
cennere. Onde dopo alcuno tempo
la
femmina
radomandò il suo
deposito, e quegli le
diede
le
pentole
piene di
cennere. E con ciò fosse
cosa che
la
femmina richiedesse l'oro,
nol ne potette
convincere,
però che non poteo provare che fosse stato oro.
Sì che Giuliano con questo oro ch'
aveva tolto sì si
fuggìo a Roma, e per quello fue fatto
consolo di Roma
e poscia imperadore. E
essendo costui ammaestrato da
fanciullo ne l'
arte de lo
'ndovinare, e piaccendogli l'
arte
predetta molto, sì n'avea con seco molti maestri. Ché
un giorno, secondamente che si truova ne la Storia
Tripertita,
essendo lui ancora
fanciullo e partendosi il
maestro suo, rimase solo; sì che leggendo lui le
scongiurazioni
de le
demonia, una grande
moltitudine di
demoni
gli si pararono innanzi in
forma di saracini neri.
Allora Giuliano
vedendo e temendo ciò, sì si
fece
segno de la Croce e incontanente tutta quella
moltitudine
di
dimoni isparve. La quale
cosa raccontando al
maestro, poi che fu redito, come egli era stato intervenuto,
il maestro gli disse: "Di questo
segno de la Croce
massimamente le
demonia temono molto".
Sì che,
essendo innalzato a lo imperio, ricordossi di
questo fatto e, volendo usare quella male
arte,
diventòe
apostata de la fede, e 'l
segno de la Croce spense in
ogni parte; e, in quanto poteo, perseguitòe li
cristiani
pensando che se non
facesse così le
demonia non lo
ubbidirebbono.
Sì che
discendendo Giuliano in Persida, come si legge
in Vita Patri, sì mandò uno
demonio in Occidente
ch'elli ne recasse
novelle. Ed
essendo venuto il
demonio
ad alcuno luogo,
diece dì vi stette che non se ne partì
punto, però che un monaco
dì e notte vi stava in orazione.
Sì che tornato il
dimonio a Giuliano, disse Giuliano
a lui: "Perché
se' tu tanto stato?" E quegli disse:
"Io
aspettai
diece dì pubblico monaco se per
avventura
si partisse da orazione e, non partendosi lui,
fummi
vietato il passaggio, e così sono tornato adrieto sanza
fare nulla". Allora Giuliano adirato disse che
farebbe
vendetta di quello monaco quando elli
andasse là oltre.
E con ciò fosse
cosa che le
demonia gli
promettessono
vettoria de la Persida, un savio di Giuliano disse
a uno
cristiano: "Che
fa ora il figliuolo del
fabbro?"
E quegli disse: "
Apparecchia la
fossa a Giuliano".
Sì che,
essendo giunto a la
città di Cesarea di
Capadoccia,
come si legge ne la storia di santo
Basilio,
li venne incontro e
mandogli per presente tre pani
d'
orzo, e Giuliano non gli volle ricevere, ma per quegli
tre pani gli mandò
fieno, così
dicendo: "Pasto d'
animali
sanza ragione ci mandasti, ricevi quello che tu ci
mandasti". Rispuose san
Basilio: "Noi ti mandammo
di quello che noi mangiamo, ma tu ci hai
dato quello
che tu
dai rodere a le
bestie tue". A queste cose disse
Giuliano molto adirato: "Quando io m'
avrò sottomessa
la Persida, io
disfarò questa
città e
farolla
arare e
seminare
a
sale, acciò che
maggiormente sia nominata terra
di
fiere che terra di uomini".
Sì che
Basilio con tutto il popolo de la terra pregando
Iddio che gli liberasse da le minacce di colui, vidde in
visione ne la chiesa di santa Maria una
moltitudine
d'
angeli e, nel mezzo di loro, una
donna stante in sedia,
e
dicea a uno che le stava dinanzi: "
Fara'mi venire
tosto Mercurio, il quale uccida Giuliano che
bestemmia
rigogliosamente me e 'l mio figliuolo".
Mercurio sì era uno
cavaliere ch'era stato morto da
questo Giuliano per la fede di Cristo, e in quella medesima
chiesa era seppellito. Incontanente san Mercurio
con l'
arme sue, le quali si
conservavano lì ivi ne la
chiesa, fu venuto dinanzi a la
donna, e,
avuto il
comandamento
da lei,
andòe ne la
battaglia.
Isvegliato san
Basilio
andòe a quello luogo dove san Mercurio era riposto
con le
armi sue e,
aperto che
ebbe il monimento,
non vi trovò entro il
corpo, né l'
arme. Allora
domandò
il guardiano chi
avesse portate l'
arme; ma il guardiano
affermava con saramento ched e' v'era stato in quello
medesimo tempo che
Basilio
diceva; nel quale luogo perpetualmente
conservate erano. Partendosi quindi
Basilio
e tornandovi l'altra mattina, ritrovò il
corpo di colui
nel sepolcro, e
ritrovovvi l'
arme e la lancia tutta sanguinosa.
E standosi così, eccoti tornare uno de l'oste,
il quale disse cotali
novelle: "Mentre che Giuliano si
stava ne l'oste, e eccoti venire uno
cavaliere non
conosciuto
costrignente
fortemente il
cavallo con gli sproni,
e
arditamente
corse addosso a Giuliano e,
crollando la
lancia per lo
miluogo, il passò da l'altro lato
valorosamente;
e, incontanente partendosi, non fu mai veduto.
E 'l
detto Giuliano
avendo ancora del
fiato,
empiessi la
mano di sangue del suo proprio,
come si dice nella
Storia Tripartita, e
gittollo in
aere così
dicendo: "Bene
m'hai vinto Galileo,
ben m'hai vinto!" E così in
queste parole miserabilmente
finìo e fu
abbandonato da
suoi; e così disotterrato e' fu scorticato da quelli di Persia,
e del
cuoio
fecero uno
carello a quello Re di Persida.
Abbiendo
detto de le
feste che
corrono
fra 'l tempo
che parte si contiene sotto il tempo de la
riconciliazione
e parte sotto il tempo de la
perigrinazione - lo qual
tempo rappresenta la Chiesa dal
Natale infino a la
Settuagesima -
viene ora a vedere de le
feste che
corrono
infra 'l tempo de lo sviamento, lo quale
cominciò da
Adamo e
dura infino a
Moises; lo quale tempo rappresenta
la Chiesa de la
Settuagesima infino a la
Pasqua
di
Risurresso di Gesù Cristo.
cap. 31, SettuagesimaLa
settuagesima significa lo tempo de lo sviamento;
la
sessuagesima significa il tempo del vedovatico; la
quinquagesima il tempo de la rimissione; la
quaresima
il tempo de la penitenzia spirituale. E
cominciasi la
settuagesima
da quella
Domenica quando si
canta:
"Circumdederunt
me", e terminasi nel sabato dopo la
Pasqua.
Ed è ordinata per tre
ragioni, come si mostra ne la
Somma del maestro Giovanni
Beleth de l'Offizio.
La prima ragione si è per lo ricomperamento, imperò
che i santi padri ordinarono che, per reverenza del
die
de l'
Ascensione, nel quale la nostra natura
valcò i
cieli
e fu
essaltata sopra tutti gli
angeli,
sempre il quinto
dì fosse
avuto per
solenne e
festivo, e in quello dì non
si osservasse
digiuno, per ciò che ne la primitiva
Ecclesia
era
solenne come la
Domenica e
facevasi la processione
solenne a rappresentare la processione de li
apostoli
ed ancora de li
angeli. Per ciò venne il proverbio
che
dice che 'l
giovedì è
parente de la
Domenica, perché
anticamente sì era altressì
solenne; ma per ciò che sopravvennero
le
feste de' santi e a guardare
cotante
feste
era grande
carico, però rimase quella solennità. Sì che
in ricomperamento di quelli dì, i santi Padri ordinarono
che una settimana s'
aggiugnesse a la
quaresima in
astinenzia e fosse
chiamata
settuagesima.
La seconda ragione si è per la significazione, imperò
che per questo tempo è significato lo sviamento e lo
sbandimento e la tribolazione di tutta l'umana generazione
da Adamo infino a la fine del
mondo. Lo quale
isbandimento si
compie per rivolgimento di
sette dì e
inchiudesi sotto
sette di migliaia d'
anni: ché per
LXX
dì intendiano
LXX centine d'
anni; ché dal
cominciamento
del
mondo infino a l'
Ascensione di Cristo
contiamo
sei mila
anni e, d'allora innanzi, quantunque tempo
seguisce insino a la fine del
mondo, sotto il settimo
migliaio d'
anni il
contiamo, la cui fine solo Iddio sa.
Ma noi Cristo
liberòe ne la sesta
età del
mondo da
questo sbandimento ne la speranza del guiderdonamento
eternale,
rendutaci la stola de la innocenzia per lo
battesimo;
ma quando fia
compiuto il tempo del nostro sbandimento,
Cristo
darà a noi l'
adornamento de l'una e de
l'altra stola
perfettamente. Quinci
addiviene che in questo
tempo di sviamento e sbandeggiamento lasciamo stare i
canti di letizia; ma solamente nel sabato de la
Pasqua
cantiamo una
alleluia sì come
allegrantici ne la speranza
de l'
eternale paese e ricoverati la
istola de la innocenzia
ne la sesta
etade del
mondo per Cristo. E poscia si
canta
il tratto per lo quale è significata la
fatica, la quale
noi
dobbiamo ancora avere in
adempiere le
comandamenta
di Dio. Ma nel sabato dopo Pasqua ne la quale,
come
detto è, si termina la
settuagesima, sì
cantiamo
due
alleluia, imperò che,
compiuto il tempo
della vita
di questo
mondo,
avremo le
due stole de la gloria.
L'altra ragione si è per lo rappresentamento, imperò
che la
settuagesima rappresenta i
settanta
anni
che'
figliuoli d'Israel stettero in
cattivitade; e così
ellino puosero giù gli organi loro, così
dicendo: "Come
canteremo noi la
canzona del Signore in terra
strana?"
e così noi pognamo giù
canzona di loda. Ma poi che
ebbero la licenzia di Ciro di ritornare a
casa loro nel
sessantesimo
anno, sì
cominciarono a fare liuti; e così
noi nel sabato de la
Pasqua, come fosse il sessantesimo
anno,
cantiamo
alleluia rappresentando la loro
letizia. Ma
coloro s'
affaticaro molto in
acconciarsi a
tornare e in
raccogliere le loro
somelle; e noi dopo
allelluia
incontanente
cantiamo il tratto il quale hae a
significare quella cotale
fatica; ma,
finito il sabato de
la
settuagesima,
cantiamo
due
alleluia in
figura de la
loro piena letizia per la quale pervennero nel paese.
Ancora questo tempo de la pregionia e de lo sbandeggiamento
de'
figliuoli d'Israel rappresenta il tempo
del nostro pellegrinaggio; che sì come quegli nel sessantesimo
anno furono liberati, così saremo liberati noi ne
la sesta
età del
mondo. E come
coloro s'
affaticarono
anche a
raccogliere le loro
somelle, così noi ci
affatichiamo
in
adempiere i
comandamenti di Dio. Eziandio
poscia che noi saremo giunti al paese, allora
cesserà
ogni
fatica e la gloria sarà perfetta, imperò che l'uomo
avrà
raddoppiata la stola, imperò che noi
canteremo
doppio alleluia in
corpo e in
anima.
Adunque in questo tempo de lo sbandeggiamento la
Chiesa, premuta da molte tribulazioni, è poco meno che
posta nel
fondaccio de la
disperazione, e traendo sospiri
da
alti ne l'Officio grida e
dice: "
Attorniato m'hanno
i pianti de la morte". E mostra la Chiesa la molta
tribulazione ch'ella hae, e per la miseria in che ella
si misse, e per la
doppia pena che l'è
data, e per la
colpa ch'
ell'hae
commessa quanto in altrui. Ma pertanto
non si
disperi; imperò che, acciò ch'ella non
abbia
materia di
disperassi, sì l'è promesso entro 'l Vangelio
e entro la Pistola tre sani rimedi e tre guidardoni. Il
rimedio sì è che, se ella vuole essere
dilibera e
compiutamente
da mali, lavori ne la vigna de l'
anima sua
ricidendo i
vizi e peccati, poscia
corra ne l'
arringo de
la presente vita per l'opere de la penitenzia, e poscia
combatta vigorosamente ne la
battaglia contra tutte le
tentazioni del
diavolo; però che se
farà così, sì
avrà
tre
guidardoni; però che a colui che lavora ne la vigna
fia
dato il
danaio, e a chi
correrà fia
dato il palio, e
a chi
combatterà fia
data la
corona.
cap. 32, SessagesimaLa
sessagesima
comincia a la
Domenica che si
canta:
"Exsurge [quare obdormis], Domine" e
finisce il
mercoledì
dopo la
Pasqua; ed è ordinata per tre
ragioni,
cioè per lo ricomperamento, per lo significamento e per
lo
trapassamento. Per lo ricomperamento, imperò che
Melchiades
papa e
Salvestro ordinaron che 'l sabato si
mangiasse
due volte, acciò che per l'
astinenzia del venerdì,
nel quale è sempre da
digiunare, la natura non
indebolisse troppo. Sì che, a ricompensare i sabati di
quello tempo, è
arrota una settimana a la
quaresima; e
così è
chiamata
sessagesima.
L'altra ragione si è migliore, cioè per lo significamento;
però che la
sessagesima significa il tempo del
vedovatico de la Chiesa e 'l pianto suo per la partenza
de lo sposo, imperò che 'l
frutto sessantesimo si
dà a
li vedovi. Ma in sua
consolazione per la partenza de
lo sposo, il quale fu rapito infino al
cielo, e
ben son
date
due
ale a la Chiesa: l'una si è l'
esercizio de le
sei opere de la misericordia e l'altra è l'
adempimento
de li
dieci
comandamenti. Onde sessanta suona
sei
volte
X; sì che per lo
sei s'intendono le
sei opere de
la misericordia, e per lo
diece s'intendono i
dieci
comandamenti
de le tavole di
Moisé.
La terza ragione si è per lo rappresentamento; però
che la
sessagesima rappresenta non solamente il tempo
del nostro vedovatico, ma ancora il misterio de la nostra
redenzione. Imperò che per lo
diece s'intende la
diecima
dramma, cioè l'uomo in ciò che fu fatto per riparare
la rovina de li
angeli. Ovvero che per lo
diece
s'intende l'uomo in ciò ch'elli è di
quattro omori
quanto al
corpo, e hae tre
potenzie ne l'
anima, cioè
memoria, intendimento e
volontade, le quali sono
fatte
per servire a la
beatissima Trinitade, acciò che in essa
fedelmente
crediamo e
ferventemente l'
amiamo e sempre
in memoria la tegnamo. Per lo
sei s'intendono li
sei
misterii per li quali l'uomo per Cristo è ricomperato,
ciò sono la incarnazione, la nativitade, la passione, la
resurressione, il
discendimento al ninferno e l'
ascensione.
Discendesi adunque la
sessagesima infino al
mercoledì
dopo la
Pasqua, nel quale dì si
canta: "Venite
beneditti del padre mio"; però che quelli che si
esercitano
ne l'opere de la misericordia, sed ellino osserveranno
e'
dieci
comandamenti, udiranno per loro quella
parola: "Venite
beneditti", sì come esso Cristo ne
dà testimonanza, là
dove allora saranno
aperte a la
sposa le porti del regno
celestiale e sarà ne le
braccia
de lo sposo. È
ammonita la Chiesa, per lo
esempro di
san Paulo ne la Pistola, che sofferi
pazientemente tribulazione,
nel Vangelio è
ammonita d'essere intesa
sempre a
seminare
buone opere; e quella che quasi
disperandosi
avea gridato: "
Attorniato m'hanno i
dolori
de la
morte", tornando ora a se medesima,
adomanda
ne lo Officio d'essere
aiutata ne le tribulazioni ed essere
liberata da quelle,
dicendo:
"Exurge Domine",
cioè a
dire: "Levati, Messere, per nostro
aiuto". Or
pone tre
exsurge; però che sono alcuni ne la Chiesa
i quali sono tribulati, ma non vi vegnono meno; alcuni
sono che sono tribulati e
vegnonvi meno; alcuni
che né non sono tribulati, né non vegnono meno, ma
perché non
sostegnono de l'
avversitadi da temere e
che le
prosperitadi non li rompano.
Grida dunque la Chiesa per gli primai che sieno
aiutati; grida per li secondi che sieno ritratti dal male;
grida per li terzi che sieno
sustentati ne le
prosperitadi.
cap. 33, QuinquagesimaLa quinquagesima
dura da la
Domenica che si
canta:
"Esto mihi, Domine, in Deum protectorem", e
terminasti
il
die de la
Pasqua. Or fu ordinata per tre
ragioni
da la prima, cioè per
compimento, per significamento
e per lo rappresentamento. Primieramente per
compimento; imperò che,
dobbiendo noi
digiunare
LX dì
a la
similitudine di Cristo, e per le
domeniche non essendovi
se non
XXXVI dì da
digiunare, però che le
domeniche
non si
digiunavano, sì per l'
allegrezza e per
la riverenza de la resurressione, sì per lo
essempro di
Cristo il quale mangiò
due volte in quello di
risurressio,
cioè quando elli
entrò a loro stando le porti serrate
ed ellino gli
offersoro una parte di pesce
arrostito e
del siare del
mele e l'altra volta con quelli
due
discepoli in
Emaus, imperò per rimettere le
domeniche
sono
arroti
quattro dì. Ma imperò che i
cherici
debbono
altressì
vanteggiare il popolo di
santità come
fanno
d'ordine, per
due dì anche innanzi a quelli
quattro incominciano
a
digiunare; e così s'
arroge una settimana
a la
Quaresima e
chiamala quinquagesima.
L'altra ragione perché fu ordinata si è per lo significamento;
imperò che la quinquagesima significa il
tempo de la rimissione, cioè de la penitenzia; imperò
che la quinquagesima, cioè il
cinquantesimo
anno, sì
era giubileo ed era
anno di rimissione, però che allora
erano
dimessi tutti i
debiti, e' servi erano
fatti liberi
e tutti ritornavano a le loro possessioni. Per la qualcosa
è significato che per la penitenzia sono
dimessi
li
debiti de' peccati e li uomini sono liberati da la
servitudine
del
diavolo e ritornano a la possessione de la
eternale
casa.
La terza ragione si è per lo rappresentamento; però
che la quinquagesima rappresenta non solamente lo stato
de la remissione, ma eziandio lo stato de la
beatitudine.
Però che nel
cinquantesimo
anno i servi
diventarono
liberi, nel
cinquantesimo
die de la
Pasqua fu
dato
lo Spirito Santo, e però questo rappresenta lo stato de
la
beatitudine, là
dove sarà
acquistamento di libertade,
cognoscimento di veritade e perfezione di
caritade.
E tre cose sono a noi necessarie, le quali si propongono
ne la Pistola e nel Vangelio; però che, acciò che
l'opere de la
potenzia sieno presente, richiedesi la
caritade,
de la quale si
fa
ricordo ne la Pistola. Anche
si richiede la memoria de la passione di Cristo e la fede,
la quale s'intende per lo
ralluminare del
cieco. E queste
due cose si pongono nel Vangelio; ché la fede
fa l'opere
accettevoli a Dio, però che senza fede impossibile
cosa
è di piacere a
Domenedio; la memoria de la passione
di Cristo lo
fa
agevole, onde
dice santo Gregorio:
"Se la passione di Cristo si reca bene a la memoria,
nulla
cosa è sì malagevole che non si sofferi con
iguale
animo". La
carità
fa essere l'opere
continue, onde
dice
anche san Gregorio: "L'
amore di Dio non è ozioso,
imperò ch'elli
adopera grandi cose s'elli è; ma s'elli
annighittisce d'operare, non è
amore". Sì che come
ne la
settuagesima la Chiesa, quasi
disperandosi, avea
gridato: "
Attorniato m'hanno i
dolori de la
morte"
e ne la
sessagesima, ritornando a se medesima,
dimandava
d'essere
adiutata, così ne la quinquagesima, già
conceputo
fidanza e speranza di perdono per la penitenzia,
adora e
dice: "Sii a me,
Domenedio,
difenditore".
Là
dove
quattro cose
domanda, ciò sono
difensione,
fermamento,
rifugio e guida. Però che tutti i
figliuoli de la Chiesa o e' sono in grazia, o sono in
colpa, o sono in
avversità, o sono in
prosperità. Per
li primi
adimanda
fermamento, cioè che siano
confermati
in quella grazia; per li secondi
adimanda che
Domenedio sia a loro
rifugio; per li terzi
adimanda
difensione, cioè che sieno
difesi in quelle tribulazioni;
per li quarti
adimanda guida che ne le
prosperitadi siano
chiamati da
Domenedio. E terminasi la quinquagesima,
come
detto è, il
die de la
Pasqua; imperò che la penitenzia
fa risurgere a
novitade la vita. Ancora in questo
tempo si
dice spesso il
cinquantesimo salmo, cioè il
miserere, il quale è salmo penitenziale.
cap. 34, QuaresimaLa
Quaresima
comincia la
Domenica che si
canta:
"Invocavit me"; là
dove la Chiesa, la quale infra
tante tribulazioni premuta avea gridato: "
Attorniato
m'hanno i
dolori de la
morte" e poscia avea ripresa
speranza
chiamando Iddio per suo
aiuto,
dicendo: "Levati,
Signore, e sii a me
Domenedio
difenditore", allora
si mostra
esaudita quando
dice: "
Chiamato m'ha
e io l'abbo udito". Ora è da notare che la
Quaresima
sì è
XLII dì,
compitando le
Domeniche; e
traendone
sei
Domeniche, rimangono
XXXVI dì d'
astinenzia. L'
anno
si è
CCCCLXV dì, de' quali li
XXXVI sono la
decima
parte; ma li
quattro dì dinanzi s'
arrogono per
empiere
il santo numero del quaranta, il quale il
Salvatore
consecròe
col suo
digiuno. La ragione perché noi osserviamo il
digiuno in questo numero di quaranta si è questa; e sono
tre
ragioni. La prima si è questa, e
assegnala santo
Agostino; imperò che san
Matteo puose quaranta generazioni
di Cristo. Acciò dunque
discese a noi il Signore
col suo numero di
XL, perché noi saliamo a lui col nostro
quaranta.
L'altra ragione
assegna egli medesimo, e
dice così:
acciò che noi
abbiamo il
cinquanta, al quaranta si
dee
giugnere
diece, imperò che noi vegnamo al
beato
riposo,
convienci
affaticare tutto il tempo
della vita nostra
presente. Onde il Signore stette
XL dì
co' suoi
discepoli
e poscia in
capo di
diece dì mandò loro lo Spirito
Santo
consolatore.
La terza ragione
assegna il maestro
Prepositivo
ne
la Somma dell'Offizio, e
dice così: "Il
mondo si
divide
in
quattro parti e l'
anno in
quattro tempi, e l'uomo è
composto di
IIII elimenti e di
quattro omori, ovvero
complessioni,
il quale ha trapassato la
nuova legge, la quale
sta in
quattro Vangeli, e anche la vecchia la quale sta
né
dieci
comandamenti.
Conviensi dunque multiplicare
il
diece per lo
quattro per fare
XL, cioè i
comandamenti
de la
nuova e de la vecchia legge ed
adempierli
tutto il tempo di questa vita.
Il
corpo nostro, come
detto
abbiamo, sì è fatto di
quattro
elimenti, i quali hanno quasi
quattro sedie in
noi; però che 'l
fuoco ha
segnoria ne gli occhi, l'
aire
ne la lingua e ne l'orecchie, l'
acqua ne'
membri
generativi,
la terra ne le mani e ne l'altre
membra. Ne li
occhi adunque si sta la
curiositade; ne la lingua e ne
l'orecchie la
scurrilitade; ne la
narille
diletto
cattivo;
ne le mani e ne l'altre
membra la
crudeltade. Queste
quattro cose
confessa il publicano nel Vangelio; imperò
che stando da lungi
confessa la lussuria, la quale è puzzolente,
quasi voglia
dicere: "Non
ardisco me essere
a stare presso,
o Signore, acciò ch'io non
imputisca
ne le tue
anari". In ciò che non
ardisce a levare gli
occhi al
cielo,
confessa la
curiositade; in ciò che si percuote
con la mano il petto,
confessa la
crudeltade; in
ciò che
dice: "
Abbi misericordia di me peccatore",
confessa la
scurrilitade; però che
scurri si sogliono
chiamare
i peccatori ovvero
lecconi maggioremente.
Infino a qui ha
detto il maestro
Prepositivo; ma san
Gregorio ne pone tre
ragioni ne l'Omelie e
dice così:
"Perché si guarda il numero quarantesimo ne l'
astinenza,
se non perché la virtù de'
diece
comandamenti
s'adempie per
quattro libri del santo Vangelio? E noi
in questo
corpo mortale siamo
composti di
quattro
elementi,
e per le
dilettanze di questo
corpo
andiamo contra
li
comandamenti del Signore; imperò che per li
desiderii
de la
carne
avemo
dispregiato i
dieci
comandamenti,
degna
cosa è che noi
ristrignamo quasi
quattro volte
diece
la
detta
carne. E dal
die d'oggi insino a la
Pasqua, sono
sei settimane che
fanno quaranta
due dì e,
traendone
sei
Domeniche de l'
astinenzia, iscampano
XXXVI dì in
astinenzia; e mentre che l'
anno
corre per
CCCLXV,
diamo quasi
decima a Dio
dell'
anno nostro". Insino a
qui ha
detto san Gregorio.
La
cagione perché noi non
digiuniamo in quello tempo
medesimo che
digiunò elli, cioè Cristo, che 'ncominciò
immantanente che fu
battezzato, ma
digiuniamo innanzi
ne la primavera,
diciamo che ciò si
fa per più
cagioni:
la prima può essere imperò che 'l primo uomo
commise
il peccato ne la primavera, mangiando il
cibo
dinegato.
Quattro
ragioni se ne
assegnano ne la Somma de
l'Officio del maestro Giovanni
Beleth. La prima si è che
se noi vogliamo
risucitare con Cristo, il quale ricevette
passione per noi,
dobbiamo patire con lui. Adunque in
quello tempo
digiuniamo che Cristo
patìo.
La seconda
cagione si è per seguitare in ciò i
figliuoli
d'Israel, i quali, nel
detto tempo de la primavera,
uscirono primieramente de l'
Egitto, e poscia in quello
tempo medesimo uscirono di prima de la Babilonia. E
ciò si pruova, imperò che sì questi come quegli, sì tosto
come ne furono usciti, guardarono la
Pasqua; e così noi,
seguitando loro,
digiuniano in questo tempo, acciò che
noi de l'
Egitto e de la Babilonia, cioè di questo
mondo,
meritiamo d'
entrare ne la terra de la
eternale
ereditade.
La terza si è acciò che 'l mal
calore de la lussuria,
il quale per l'
accrescimento soperchio de li uomini e
per lo sopravvegnente
calore del tempo
massimamente
rinvigorisce ne la primavera, s'
attuti e
abbassisi per
lo
digiuno.
La quarta si è acciò che l'uomo si
disponga bene a
ricevere il santo
corpo di Cristo, che si
dee fare il
die
de la
Pasqua per l'
astinenzia de'
cibi e de' peccati; onde
in
figura di Dio i
figliuoli d'Israel, innanzi che mangiassono
l'
agnello, sì s'
affliggeano mangiando le lattughe
agreste e
amare; e così ci
dobbiamo noi imprima
affliggere per la penitenzia, acciò che
degnamente possiamo
mangiare l'
agnello di vita.
cap. 35, Quattro tempora
Le
digiuna
quattro tempora furono di prima ordinate
da
papa
Calisto, e
fannosi
quattro volte l'
anno secondo
i
quattro temporali de l'
anno, e ciò fu trovato per molte
ragioni. La prima si è imperò che la primavera è
calda
e umida, la state è
calda e secca, l'
auturno è
freddo
e secco, e 'l verno è
freddo e umido.
Digiuniamo adunque
la primavera per rattemperare il
nocevole omore de la
lussuria, la state per
iscacciare il
nocevole
calore de
l'
avarizia, ne l'
autorno per gastigare il secco de la
superbia, nel verno per
cacciare via il
freddo de la infedelitade
e de la malizia.
La seconda ragione perché noi
digiuniamo
quattro
volte l'
anno, si è per ciò che imprima di questi
digiuni
si
fanno di marzo, cioè la prima settimana de la
Quaresima,
acciò che in noi si
marciscano li vizii, però che
non possono al tutto essere spenti; ovvero maggioremente
acciò che nascano in noi germogli de le virtudi.
Ne la state si
fanno i secondi, cioè ne la settimana
dopo la Pentecoste, imperò che allora venne lo Spirito
Santo
e noi dobbiamo essere ferventi ne lo Spirito Santo.
Di settembre si fanno la terza volta innanzi a la
festa di san Michele, imperò che allora si ricolgono le
frutta e noi
dovemo rendere a Dio i
frutti de le
buone
opere. Di
dicembre si fanno la quarta volta, imperò che
allora
muoiano l'
erbe e poi
dovemo essere morti al
mondo.
La terza ragione si è per seguitare l'
esemplo de'
giudei, i quali
digiunavano
quattro volte l'
anno, cioè
innanzi la
Pasqua, innanzi a la Pentecoste, innanzi la
scenofegia, cioè la
festa de le
tende, nel mese di settembre,
e innanzi la sagra nel mese di
dicembre.
La quarta ragione si è perché l'uomo è
composto
di
quattro
elementi quanto al
corpo e di tre
potenzie
quanto a l'
anima, cioè la razionale, la
concupiscibile e
l'irascibile. Acciò dunque che queste cose siano bene
ammoderate in noi,
quattro volte l'
anno
digiuniamo tre
dì, acciò che 'l numero del
quattro si rechi al
corpo e
'l numero del tre a l'
anima. E queste
ragioni
assegna
il maestro
Joanni
Damasceno, imperò che ne la
primavera
cresce il sangue, ne la state la
collera, ne
l'
autorno la malinconia e 'l verno la
flemma.
Digiuniamo
adunque la primavera, acciò che sia indebolito in
noi il sangue de la
concupiscenzia e de la isconcia letizia,
però che i sanguigni sono
naturalmente lussuriosi
e
allegri;
digiuniamo la state acciò che sia indebolito
in noi la
collera de l'
ira e de lo inganno, però che i
collerici sono
naturalmente
adirosi e ingannevoli;
digiuniamo
l'
autorno acciò che sia indebolita in noi la malinconia
de la
cupidezza e de la
tristizia, però che i
malinconici sono
naturalmente tristi ed
avari; nel verno
digiuniamo acciò che sia indebolita la
flemma de la negligenzia
e de la
pigherizia, però che i
flemmatici sono
naturalmente nighittosi e pigri.
La sesta ragione si è perché la primavera è più
assimigliata a l'
aere e la state al
fuoco e l'
autorno a
la terra e 'l verno a l'
acqua. Sì che
digiuniamo ne la
primavera, acciò che sia
domato in noi l'
aere del rigoglio
de la superbia, e ne la state, acciò che sia
domato in
noi il
fuoco de la
cupiditade e de l'
avarizia, e ne l'
autorno,
acciò che si
domi la terra de la spirituale
frigidezza
e tenebrosa ignoranza, e nel verno, acciò che sia
domata l'
acqua de la levitade e de la mobilità.
La settima ragione si è perché la primavera significa
la puerizia, la state l'
adolescenzia, l'
autorno l'
età
compiuta
ed il verno la
vecchitudine; sì che
digiuniamo la
primavera, acciò che siamo
fanciulli per la innocenzia,
e ne la state,
acciò siamo forti evitando l'incontinenzia,
e ne l'
autorno, acciò che siamo giovani per
costanzia
e diventiamo
maturi per la virtù de la
modestia,
e nel verno, acciò che
diventiamo vecchi per la virtù
de la prudenzia e per la vita onesta o vogliamo
dire
anzi che noi
digiuniamo questi
quattro tempi per
satisfare
a
Domenedio di ciò che noi
avemo offeso per
quelle
quattro
etadi.
L'ottava ragione
assegna il maestro Guglielmo
Altissiodorense,
e
dice così: "Però
digiuniamo noi le
quattro
tempora de l'
anno, acciò che noi
ammendiamo per
digiuno
ciò che noi
avessimo
fallato in quelle
quattro tempora
di tutto l'
anno. Onde si fanno per tre dì, acciò
che noi
soddisfacciamo per
die ciò che
avessimo
fallato
per mese; e
fannosi il
mercoledì però che allora fu tradito
il Signore da Giuda, e 'l venerdì però che allora fu
crocifisso,
e 'l sabato però che, mentre che 'l Signore stette
nel sepolcro la Chiesa fue trista. Onde
dice la Chiesa:
"Tristi erano gli
apostoli de la
morte del loro Signore".
Qui
finisce le leggende
de le
feste del mese di Gennaio
e
comincia quelle di
Febbraio.
cap. 36, S. Ignazio
Ignazio fu
discepolo di santo Giovanni
Evangelista
e fu vescovo d'Antiochia. Di costui si
dice che mandò
una lettera a la madre del Signore in questo modo:
"A Maria Cristo portante, il suo
Ignazio. Me,
novizio
a la fede e
discepolo di Giovanni,
dovresti avere
confortato
e
consolato, imperò che del tuo Giovanni ho ricevuto
maravigliose cose per
detto, e
stupidito ne sono per
udita. Ma da te, la quale
fosti sempre a lui
familiaremente
congiunta e sua
secrentiera,
desidero con l'
animo
d'esserne più
certo de le cose udite.
Sie sana e t'
allegra,
e li
novizii, li quali sono con esso meco, siano
confortati
da te e per te e in te.
Amen". E la Vergine reale, nata
de la schiatta di
David, madre di Dio santa, rispuose
ad
Ignazio in questa maniera: "A
Ignazio
diletto, insieme
discepolo, l'umile
ancella di Cristo, Maria. Tutto
ciò che tu hai udito di Gesù da Giovanni e impreso
da lui, sì è vero, sì che non è licito di
dubitare.
Credi
adunque quelle cose e a quelle t'
accosta, e tieni fermo,
il voto de la
cristianitade, e li
costumi e la vita
conformerai al voto. E io verrò insieme con Giovanni
a vedere te e
coloro che sono teco. Sta fermo e
adopera
vigorosamente ne la fede, né non ti
rimuova l'
asprezza
de la persecuzione, ma sia sano e
allegrisi lo spirito tuo
in
Domenedio il qual'è tua salute".
E fue di tanta
autoritade santo
Ignazio che eziandio
san
Dionigio,
discepolo di san Paulo, il quale fu così
sommo in
filosofia e così profondo ne la
divina scienzia,
la parola di santo
Ignazio
addusse per
autorità a
confermare i suoi
detti; ché,
riprendendo alcune persone
il nome de l'
amore e
dicendo che 'l nome de l'
amore,
ovvero
dilezione, non era da mettere ne le cose
divine,
sì com'elli tratta nel
libro de' Divini Nomi, vogliendo
mostrare che questo nome
amore è da usare ne le
divine
cose per tutto, sì
dice così: "Scrive il
divino
Ignazio: l'
amore mio è
crucifisso".
Leggesi ne la Storia
Tripertita che
Ignazio un dì
udì gli
angeli
cantare
antefane sopra alcuno monte, e
quindi
ordinò che l'
antefane si
cantassero ne la chiesa,
e a i salmi si
desse il tuono del
canto secondo l'
antefana.
Con ciò dunque fosse
cosa che santo
Ignazio lungo
tempo pregasse Iddio per la pace de la Chiesa, temendo
non il suo
pericolo, ma di
coloro che non erano bene
fermi, fecesi incontro a
Traiano imperadore
che cominciò
il regno ne l'anno Domini C ritornante de la vittoria
e minacciante di
dare
morte a tutti i
cristiani, e
liberamente gli disse sé essere
cristiano. E
Traiano il
fece legare con
ferri, e
miselo tra mani di
diece
cavalieri,
e
comandò che fosse
menato a Roma, e
minaccialo
che là il
farebbe
divorare a le
bestie. Ed
essendo
menato
a Roma, a tutte le
chiese mandava sue pistole e
confermavagli ne la fede di Cristo; tra le quali ne scrisse
una a la Chiesa di Roma, come si truova scritto ne
le Storie
Scolastice,
pregandoli che non impedimentiscano
lo suo martirio. Là ove
dice così: "Di
Siria infino a Roma
combatto con le
bestie e con la
terra e col mare di
die e di notte
aggroppato e legato
e da
diece leopardi
cavalieri sono
menato preso, a i
quali io son
dato a guardia, i quali per li
benefici nostri
furono più
crudeli
[ms.: vecchi], ma io de'
benefici loro
maggiormente
sono ammaestrato. O salutevoli
bestie, le
quali mi sono
apparecchiate, quando verranno, quando
mi saranno
ammesse, quando fia licito loro d'usare le
carni mie? Io le
'nviterabbo a me
divorare, e
pregherolle
che in neune cose vengano meno, né non temano
di toccare lo
corpo mio; anzi s'elle
dimo
reranno neente,
io ne
farò loro
forza, io mi
trametterò loro. Io vi
priego che mi perdoniate; io so bene quello che m'è
utile, i
fuochi e le
croci, le
bestie, le
dovisioni de l'ossa,
gli
squarciatori di tutt'i
membri e di tutto il
corpo
mio e poco meno tutti quant'i tormenti
del diavolo
cercati per
arte
divina
abbondassero sopra me, pur
possa io
degnamente avere
Jesù Cristo".
Essendo dunque venuto a Roma e
menato dinanzi a
Traiano, disse a lui
Traiano: "O
Ignazio, perché mi
fai rubellare Antiochia e
converti la gente mia a
cristianitade?"
Al quale disse
Ignazio: "Dio il volesse
ch'io potessi anche
convertire, acciò che tu sempre
avessi il
fortissimo principato!" Al quale disse
Traiano:
"Sacrifica a' miei
dei, e sarai prencipe di tutt'i sacerdoti".
Disse
Ignazio: "Né a tuoi iddei
farò sacrificio,
né tua
dignità
disidero; e di me potrai fare che
vuogli, ma in neuna guisa mutare non mi potrai".
Disse
Traiano a'
fanti suoi: "Con piombati
martellate
le spalle sue e con unghioni stracciate le latora sue,
e con
dure pietre
constrignete le sue piaghe".
E con ciò fosse
cosa ch'elli
avesse fatto fare a lui
tutte queste cose e elli permanesse fermo, disse
Traiano:
"Recate
carboni
accesi e, con le piante ignude, lo
fate
andare sopra
essi". Al quale disse
Ignazio: "Né
fuoco
ardente, né
acqua
bogliente potrà spegnere in me la
caritade di Cristo
Jesù". Disse
Traiano: "Or son
queste malìe, ché tu
patisci così grandi cose e non
consenti
a me". Al quale disse
Ignazio: "Noi
cristiani
non
facciamo male; ma ne la legge nostra vietiamo
che vivano
coloro che lo fanno; ma voi siete che
fate
le malìe quando voi
adorate l'idole". Allora disse
Traiano: "Il
dosso suo squarciate con unghioni e sopra
le sue piaghe
spandete del
sale". Al quale disse
Ignazio:
"Non sono
condegne le passioni di questo tempo
a la gloria che
dee venire". Disse
Traiano: "Ora lo
togliete e legatelo con legami di
ferro, e in un
ceppo,
nel
fondaccio de la
carcere, lo guardate; sanza mangiare
e sanza
bere lo lasciate stare e dopo tre dì il
date a
divorare a le
bestie".
Sì che al terzo
die lo 'mperatore e tutti i senatori
e tutto il popolo di Roma si ragunarono per vedere il
vescovo d'Antiochia che
doveva
combattere con le
bestie.
E disse
Traiano: "Imperò che
Ignazio è superbo
e
contumace, legatelo e lasciate andare a lui
due leoni,
sì che non lascino nulla di lui". Allora santo
Ignazio
disse al popolo che era presente: "Uomini romani che
sete per vedere questa
battaglia, sievi
conto che io
non sanza
merito mi sono
affaticato, imperò ch'io
patisco
queste cose non per retade, ma per pietade".
Poscia
cominciò a
dire così, secondamente che si legge
ne le Storie
Ecclesiastiche: "Io sono grano di Cristo,
sarò macinato
co'
denti de le
bestie, acciò che nasca
uno pane
bianchissimo". Udendo
Traiano queste parole,
disse: "Grande è la
pazienza de'
cristiani; quale
de' Greci
sosterrebbe tante cose per lo dio suo?" Rispuose
Ignazio: "Non per la mia virtude, ma per la
virtù di Cristo ho patito queste cose".
Allora santo
Ignazio
cominciò ad
allettare i leoni,
ché
corressono per lui
divorare; sì che vennero
due
crudeli leoni, e
forrarli solamente le vestimenta, ma la
carne in veruna guisa non toccarono.
Traiano, vedendo
ciò; partissi quindi con molta maraviglia, e
comandò che
non fosse vietato a chi volesse torre il
corpo suo. Laonde
i
cristiani tolsono il
corpo suo e
seppellirolo onorevolemente.
E con ciò fosse
cosa che
Traiano
avesse
ricevuto alcune lettere ne le quali
Plinio secondo
commendava
molto i
cristiani che lo 'mperadore avea fatto
uccidere, fu
dolente di ciò che avea fatto a
Ignazio e
comandò che niuno
cristiano fosse
molestato, ma qualunque
n'uccidesse veruno fosse punito.
Leggesi che santo
Ignazio
fra
cotante generazioni
di tormenti non
cessava di
chiamare il nome di
Jesù Cristo; e
dimandandone i giustizieri la
cagione perché
questo nome tante volte avea
ripetuto, rispuose a loro:
"Questo nome abbo io
cotanto scritto nel
cuore mio,
e però non mi
posso tenere di ricordarlo". Sì che, dopo
la
morte sua,
coloro che l'
avevano udito, volendo ciò
sperimentire,
ischiantarongli il
cuore dal
corpo e
fendederolo
per mezzo tutto il
cuore suo,
e trovarono scritto
di lettere d'oro questo nome
Jesù Cristo. Laonde molti
credettero in Dio.
Di questo santo
Ignazio
dice san
Gironimo sopra
quello Salmo che
dice:
Qui habitat: "Grande è quello
Ignazio uditore del
discepolo che
Jesù Cristo
amava,
martire de le cui preziose reliquie è
arricchita la
povertà
nostra, che in più pistole ched elli mandò a
santa Maria sì la saluta e
chiamala
Cristifera, cioè
portante Cristo. Sì ch'è nobile di
titoli, di
dignitadi e
di loda di grande onore!"
cap. 37, Purif. MariaLa
purificazione de la
beata Vergine Maria nel
quarantesimo
die de la nativitate di Cristo si è
fatta;
e suole questa
festa avere
tre nomi, cioè
purificazione,
Ipopanti e santa Maria
candellaia.
Purificazione è
detta in ciò che, nel quarantesimo
die de la nativitade di Cristo, la
beata Vergine se ne
venne al tempio per essere mondata, secondo l'usanza
de la legge, con ciò fosse
cosa impertanto ched ella
né fosse tenuta sotto a quella legge; però che la legge
avea
comandato nel
libro Levitico,
XII capitolo, che la
femmina, la quale, ricevuto seme,
avesse partorito figliuolo,
fosse
immonda
sette dì; immonda ciò
dice,
da
compagnia d'uomini ad
entrare nel tempio. Ma,
compiuti
i
sette dì, era
fatta
monda quanto al
servigio de
gli uomini; ma ancora quanto a lo
entrare del tempio
era
immonda infino a
XXXIII dì. A la perfine,
compiuti
ch'erano
XL dì, il quarantesimo dì
entrava nel tempio
e offereva il
fanciullo con
donamenti. Ma se
avesse
partorito
femmina,
raddoppiavasi e' dì e quanto a la
compagnia
de gli uomini e quanto a l'
entrare del tempio.
La ragione il perché il Signore
comandasse che 'l
quarantesimo
die il
fanciullo s'offeresse al tempio, può
essere per tre
ragioni. L'una si è per
dare ad intendere
che come il
fanciullo nel quarantesimo
die è
menato
nel tempio, così nel quarantesimo
die, da poi ch'egli
è ingenerato, l'
anima è messa nel
corpo come il suo
tempio, sì come
dice ne le Storie
Scolastiche, avvegna che i
filosofi
dicono che in quarantasei dì è
compiuto il
corpo.
La seconda si è che sì come l'
anima nel quarantesimo
dì, messa nel
corpo, da esso
corpo è maculata, così al
quarantesimo
die,
entrando nel tempio per l'offerta e per
lo sacrificio,
maggiormente sia purgata da quella
macula.
La terza ragione si è per
dare ad intendere che
coloro
sono
degni d'
entrare nel tempio
celestiale, i quali
vorranno osservare le
diece
comandamenta con la fede
de'
quattro
Vangeli
sti.
Ma quando partoriva
femmina,
raddoppiavansi e' dì
quanto a l'
entrare del tempio, secondamente che si
raddoppiano
quanto al
formare del
corpo; ché come
el
corpo
del maschio è
formato e perfetto in
XL dì, e nel quarantesimo
dì l'
anima v'è messa entro, così il
corpo
de la
femmina è perfetto in
LXXX dì, e ne l'ottantesimo
dì v'è spirata l'
anima. La
cagione perché il
doppio più tardi è perfetto il
corpo de la
femmina entro
il ventre de la madre che 'l
corpo de l'uomo
e gli è
infusa l'anima, lasciando stare le
ragioni naturali, tre
ragioni se ne possono
assegnare. La prima si è imperò
che Cristo,
che dovea ricevere
carne in generazione
di maschio per rendere onore a la
detta generazione e
per
farle maggiore grazia, volle che più tosto fosse
formato
e la madre fosse più tosto purgata.
La seconda
cagione si è che, però che la
femmina
peccò più che l'uomo, così le sue miserie
debbono essere
raddoppiate da quelle de l'uomo da parte di fuori
nel
mondo, e così
doveano altressì da parte dentro nel
ventre de la madre.
La terza si è per
dare a 'ntendere che la
femmina
in alcuno modo
diede più
fatica a
Domenedio che non
fece l'uomo, però che
Domenedio in alcuno modo è
affaticato ne le nostre rie operazioni, sì com'elli
dice
per lo profeta: "Tu m'hai fatto servire ne le tue
iniquitati". Anche
dice
altrove: "Io m'
affaticai
sostegnendo".
Adunque la
beata Vergine non era tenuta a questa
legge de la
purificazione, imperò che ella partorìe non
per seme ricevuto, ma per operazione di Spirito Santo;
onde
Mosé
aggiunse questa parola a quella legge e disse:
"
Femmina che
avesse ricevuto seme", con ciò sia
cosa
che allora non
facea mistiere quanto a l'altre
femmine,
le quali tutte partoriscono per seme ricevuto; ma però
aggiunse la parola
detta, come
dice san Bernardo, perché
temette di
dire contra a la madre di Dio. Ma pertanto
si volle la
beata Vergine sottomettersi a la legge per
IIII
ragioni. La prima ragione si è per
darne
essemplo d'umilitade;
onde
dice san Bernardo, parlando a la
donna
nostra: "
Veramente tu,
beata Vergine, non hai
cagione
e non ti
fa mestiero di
purificare, ma il
figliolo
tuo avea
bisogno di
circuncidere? Sta tra le
femmine
com'una di quelle, però che 'l
figliolo tuo sta così nel
mezzo de' peccatori". Questa umilitade non fue solamente
da parte de la madre, ma anche da parte del
figliuolo, imperò che simigliantemente si volle sottomettere
a la legge; che ne la nativitade si portò come
povero uomo, ne la
circuncisione come povero e peccatore
uomo, ma in questo dì si portò come povero e
peccatore servo. Primieramente
dico che si portò come
povero, in ciò ch'elli
elesse l'offerta de' poveri; come
peccatore si portò in ciò ched elli con la madre volse
essere purgato; come servo si portò in ciò che si volse
ricomperare. Secondamente che da poi volse essere
battezzato non per purgare sua
colpa, ma per mostrare
la sua grandissima umilitade. Tutt'i rimedii ordinati
contra 'l peccato originale volse Cristo ricevere in sé,
non perché n'
avesse
bisogno in alcuno modo, ma per
mostrarci la sua grandissima umilitade e per mostrare
quelli rimedii ci sarebbero
buoni al suo tempo.
Cinque rimedii sono ordinati contra quello peccato
originale di tempo in tempo; de' quali rimedii li tre,
secondamente che
dice Ugo di santo Vittore, sono ordinati
ne la legge de la natura, ciò sono offerte,
decime
e sacrificii, per li quali
massimamente si
dimostra
l'opera de la nostra redenzione. Però che 'l modo del
ricomperare si dimostrava per le offerte; esso prezzo
si dimostrava per lo sacrificio che
contenea
spandimento
di sangue; la
cosa ricomperata si dimostrava per la
decima, però che l'uomo è significato per la
decima
dramma.
Adunque il primo rimedio fu l'offerta, onde
Caino
offerette a Dio
doni di
biadora e
Abello de le gregge. Il
secondo fue la
decima, - il quale rimedio fue innanzi che
fosse
data la legge -, onde
Abraam offerette le
decime
a
Melchisedech sacerdote. Ché, secondo che
dice
santo Agostino, era
decimato quello ch'era
curato. Il
terzo rimedio fue l'offerta di sacrificii; i quali sacrificii,
secondo che
dice san Gregorio, valeano contra 'l peccato
originale; ma impertanto era
adomandato, come
dice elli medesimo, acciò che
almeno l'uno de'
parenti,
cioè o 'l padre o la madre, fosse
fedele, e alcuna volta
l'uno e l'altro poteano essere infedeli. E però
avvenne
il quarto rimedio, ciò fu la
circuncisione, la quale valea
o fossero i
parenti
fedeli o fossero infedeli; ma però
che questo rimedio non si potea bene
convenire se
non solamente a' maschi, né non potea
aprire la porta
del Paradiso, però venne dopo esso il
battesimo, il quale
è
comunale a tutti e però che
apre la porta del Paradiso.
Adunque
pare che Cristo pigliasse il primo remedio,
quando il Signore fu offerto da li
parenti nel tempio;
e 'l secondo rimedio in alcuno modo prese Cristo quando
digiunòe
XL dì e
XL notti; che però che non avea donde
pagare le
decime de le cose,
almeno offerette a Dio le
decime di dì. Il terzo rimedio prese quando la madre
sua offerse per lui un paio di tortore, ovvero
due
pippioni,
acciò che se ne
facesse sacrificio. E il quarto
prese quando si lasciò
circuncidere. Il quinto quando
prese il
battesimo da santo Giovanni Batista.
La seconda ragione per la quale la
beata Vergine
si volle sottomettere a la legge, si fue per
empiere la
legge. Non era venuto il Signore a rompere la legge,
ma
adempierla; ché se si fosse settratto a tale legge avrebbosi
potuto
scusare li giuderi e
detto: "La tua
dottrina noi non riceviamo, per ciò che tu
se'
disguale
a noi e a' padri nostri e non osservi li statuti de la
legge". A
tre
leggi si sottomisse oggi Cristo, e la
beata Vergine Maria. Primieramente a significare vertude,
acciò che, da poi che noi
avremo fatto tutte le
cose,
diciamo che noi semo servi
disutili. Secondariamente
si sottomisse a la legge del ricomperamento per
dare
essempro d'umiltate. Nel terzo luogo si sottomisse
a la legge de l'offerta per
darne
esempro di povertate.
L'altra ragione si fue per porre termine a la legge
de la
purificazione; ché sì come la tenebra va via
quando viene la luce e partesi l'ombra quando viene
il sole, così vegnendo la
purificazione
vera, cessò la
purificazione ch'era per
figura. Ché qua vi si
avvenne
la vera
purificazione nostra, cioè Cristo; però che
acconciamente
è
detto
purificazione ciò che per la fede
ne purifica, secondo che si
dice ne li
Atti de li Apostoli,
nel
XV Capitolo: "
Purificante i
cuori loro per
la fede". Di quinci è che da indi innanzi non sono
tenuti i padri al pagare, né le
madri a purificare, ovvero
a l'
entrare nel tempio, né i
figliuoli a quello cotale
ricomperamento. La quarta ragione si fue per
ammaestrare
che noi ci
dovessimo purgare.
In
cinque modi si
fa
purgagione da
'nfanzia secondo
le
ragioni de le
corti; e, secondo ciò, ci
dovemo purgare
con
giuramento, lo quale significa il rinunziamento del
peccato; anche con l'
acqua, la quale significa il lavamento
del
battesimo; anche col
fuoco, il quale significa
la infusione de la spirituale grazia; anche con testimoni,
i quali significano la
moltitudine de l'opere
buone; anche
con
battaglia la quale significa la tentazione. Vegnendo
dunque la
beata Vergine al tempio offerette il figliuolo
suo e
ricomperollo
cinque monete. Ora è da notare che
alcuni primogeniti si
ricomperavano com'erano li primogeniti
de le
diece tribù, li quali si
ricomperavano
cinque
monete; ma i primogeniti de' Leviti non si
ricomperavano
giammai, ma quando giugnevano a l'ultima
etade,
sempre servivano nel tempio a
Domenedio, e sì come li
primogeniti de li
animali
mondi, i quali non si
ricomperavano
un'altra volta, ma
offerevansi a
Domenedio.
Alcuni si
rimutavano sì come li primogeniti de l'
asino,
i quali si
rimutavano in pecore; alcuni s'uccideano, sì
come li primogeniti del
cane. Con ciò dunque fosse
cosa
che Cristo fosse de la schiatta di Giuda, la quale fue
l'una de le
dodici schiatte, manifesto è che si
debbano
ricomperare.
Offersono eziandio per lui un paio di tortore, ovvero
due
pippioni. Questa era l'offerta de' poveri, ma l'
agnello
era l'offerta de' ricchi. Non disse pulcini di tortore,
come pulcini di
colombe, però che pulcini di
colombe, come sono i
pippioni, sempre si truovano.
Né non disse un paio di
colombe, come disse uno paio
di tortore, però che la
colomba è uno uccello lussurioso,
e però non volle Dio che s'offeresse per suo sacrificio;
ma la tortore è un uccello
casto. Ma non avea ricevuto
la
beata Vergine un poco di prima molti pesi d'oro da i
Magi?
Pare adunque che bene potea
comperare uno
agnello.
Dovemo
dire qui che senza
dubbio, come
dice
san Bernardo, i Magi offersero molti pesi d'oro, però
che non è da
credere che così
fatti re offerissono a
cotale
fanciullo
vili
doni; ma la
beata Vergine, come
piace ad alcuno, non si ritenne quello oro, ma
diello
incontanente a' poveri,
o forse provvidamente lo conservò
per la soprastante peregrinazione di sette anni
in Egitto; o forse che non
offerettono i Magi cotali
doni in grande quantità, con ciò fosse
cosa che li offeressono
in significazione d'alcuna
figura.
Or pone lo
sponitore tre offerte
fatte dal Signore. La
prima fu
fatta da i
parenti, la seconda per lui
di
uccelli, la terza fece elli ne la
croce per tutti. La
prima
dimostra la sua umilitade, però che 'l Signore
de la legge si sottomisse a la legge; la seconda
dimostra
la sua povertade, però che
elesse l'offerta de' poveri;
la terza
dimostra la sua
caritade, però che
diede
se medesimo per li peccatori. La proprietà de la tortora
si contengono in questi versi:
L'alte cose adomanda la tortora, cantando piagne,
Vegnendo annunzia la primavera e castamente vive,
Sola dimora, i pulcini suoi nutrica di notte, fugge morticcio.
La proprietà de la
colomba sono queste:
Le granora raccoglie, vola, accompagnata ischifa i corpi morti,
Non ha fiele, piagne e tocca il compagno per baci,
La pietra le dà il nido, fugge il nemico veduto nel fiume,
Non fa male col becco, nutrica bene due pulcini.
Secondariamente è
detta questa
festa "
Ipopanti",
che tanto è a
dire come
presentamento, in ciò che Cristo
fue presentato al tempio; ovvero che
Ipopanti è
tanto a
dire come scontramento, però che
Simeone e
Anna si scontrarono al Signore quando era offerto nel
tempio. E allora lo tolse
Simeon ne le sue
braccia. Ed
è da notare che
tre
adombramenti, ovvero
annullamenti,
furono
fatti in questo
die del nostro
Salvatore. Il primo
si è
annullamento di verità, però che colui il quale è
verità, la quale
allumina ogni uomo per se medesimo,
che è via, in se medesimo che è vita, è menato
oggi, e lasciatosi menare d'altrui, come
dice che con
ciò sia
cosa che
menassero il
fanciullo
Jesù e
ecc
. Il
secondo si è
annullamento di
bontà, però che quegli, il
quale è solo santo e
buono, volle, come immondo, essere
purgato con la madre. Il terzo si è
annullamento
de la maestade, però che quelli, il quale porta tutte le
cose con la parola de la sua virtude, in questo dì s'è
lasciato ricevere e portare ne le
braccia d'un vecchio;
lo quale impertanto portava colui che portava lui, ovvero
secondo che si
dice: "Il vecchio portava il
fanciullo,
ma il
fanciullo reggeva il vecchio".
Allora lo
benedisse
Simeone, e disse: "Ora lasci tu
Signore il servo tuo in pace". E
appellalo
Simeone di
tre nomi: cioè salute, lume e gloria del popolo d'Israel.
La ragione di questi tre nomi si può prendere per
quattro
modi. Primieramente appresso la nostra giustificazione,
acciò che sia
detto salute
perdonandone la
colpa;
però che
Jesù è tanto a
dire, in nostra lingua, come
Salvatore, in ciò che fece salvo il popolo suo da i peccati
loro; è
detto lume
dandoci la grazia; è
detto gloria
del popolo
dandoci la gloria. Secondariamente appresso
del nostro
ringeneramento, però che 'l
fanciullo prima è
esorcizzato - cioè
cacciato il
dimonio da lui - ed è
battezzato
e così è mondato dal peccato, quanto al primo;
nel secondo luogo gli è
data la
candela
accesa, quanto
al secondo; nel terzo luogo è offerto a l'
altare, quanto
al terzo. Nel quarto modo appresso de la processione
di questo
die. Imperò che prima si
benedicono
le
candele e
esorcizzansi; nel secondo luogo s'
accendano
e
dannosi in mano a i
fedeli; nel terzo luogo
entrano
ne la chiesa con
canti. Ancora si prende la
cagione
di questi tre nomi appresso le tre
dinominazioni di questa
festa, imperò ch'ella è
detta
purificazione quanto
al purgare de la
colpa; e per questo è
detta salute.
Anche è
detta santa Maria
candellaia quanto a l'
alluminamento
de la Grazia; e per questo è
detto lume. Anche
è
detta
Ipopanti quanto al
donare de la gloria, e
per questo è
detto: "Gloria
del tuo popolo, o Israele".
Allora andremo incontro a Cristo ne l'
aere. Ovvero che
si puote
dire che Cristo è lodato in questo
cantico come
pace, come salute, come luce e come gloria. Pace è,
imperò ch'elli è tramezzatore; salute è, imperò ch'egli
è ricomperatore; luce è, imperò ch'egli è
dottore; gloria
è, imperò ch'egli è
glorificatore.
È
detta nel terzo luogo questa
festa di
candele in
ciò che si portano in mano le
candele
accese. La
cagione
perché la Chiesa ordinasse che le
candele si portassono
accese in mano in questo
die, si puote
assegnare
per
IIII ragioni. Imprima per
rimuovere l'usanza
d'
errore, però che i romani di qua adrieto ne le
calen di
febbraio ad onore di
Februa, madre di Marte -
il quale Marte era Iddio de le
battaglie - di
cinque
in
cinque
anni
alluminavano la
cittade di Roma
tutta la notte con torchi e
faccelline, acciò che 'l figliuolo
suo
desse loro vittoria de' nemici - la cui madre
così solennemente
onoravano -, e quello
spazio di tempo
era
chiamato lustro, cioè a
dire tempo di
cinque
anni.
Ancora
facevano i romani di
febbraio sacrificio a
Februo,
cioè
Plutone, segnore di tutti gli altri
dei infernali;
e ciò
faceano per l'
anima de' suoi
antecessori.
Acciò dunque ch'elli
avessero misericordia di
coloro, però
offerevano
solenni sacrificii, e tutta la notte
soprastavano
in loro lode, e vegghiavano con
ceri e con
faccelline
accese. Ancora le
femmine di romani
come
dice Innocenzio papa, in questi dì
facevano la
festa di
luminari, la quale fu ritratta da alcune
favole di
poeti;
ché
dicono che Proserpina fu tanto
bella che
Plutone,
dio infernale, sì se ne
invaghìe e
preselasi e
fecela
dea.
Sì che li
parenti suoi l'
andarono
caendo molto tempo per
le selve e per le
boscora con
faccelline e con lumiere;
e ciò
ripresentando le
femmine de' romani con
faccelline
e con lumiere
andavano
attorno. E però ch'egli è
malagevole
cosa a lasciare le cose
costumate, e
i cristiani
convertiti a la fede di tra ' gentili malagevolemente
potevano lasciare l'usanze
antiche de' pagani,
e però Sergio
papa rimutò questa usanza in migliore,
cioè che li
cristiani, ad onore de la madre di Dio, ogni
anno in questo giorno
alluminassero tutto il
mondo con
cerotti
accesi e con
candele
benedette,
affinché lo solennità
restasse, ma il fine fosse diverso.
Nel secondo luogo si portano le
candele accese per
mostrare la purità de la Vergine. Però che alcuni udendo
la Vergine essere purificata, potrebboro
credere ch'ella
avesse
avuto
bisogno di purificarsi. Acciò dunque che
si mostri ch'ella fu tutta purissima e
splendiente, però
ha ordinato la Chiesa che noi portiamo
cerotti luminosi,
quasi voglia
dire la Chiesa: "La Vergine
beata non
ha
bisogno di
purgagione, ma tutta riluce, tutta
risplende".
Veramente ella non avea
bisogno di
purgagione,
però ch'ella non avea ingenerato di seme ricevuto,
ed era mondata e santificata
perfettissimamente
nel venire de la madre. E intanto fu nel ventre de la
madre e ne l'
avvenimento del Santo Spirito santificata
e mondata, che non solamente ne rimase in lei al postutto
alcuna
inchinevolezza al peccato, ma eziandio la
vertude de la
santitade e de la
castitade sua si
stendeva
e trapassava infino a l'altre persone,
ispegneva
tutti i movimenti de la
carnale
concupiscenza. Onde
dicono gli giudei che, con ciò sia
cosa che Maria fosse
bellissima, unquemai
poté essere
disiderata. E la ragione
si è perché la vertù de la sua
castità trapassava
per tutti quegli che la vedevano e
cacciava via ogne
concupiscenzia che fosse in loro. E però è
assimigliata
al
cedro, però che 'l
cedro col suo odore uccide i serpenti;
così la
santità di lei
risplendea ne gli altri e uccidea
i serpenti, cioè tutti i movimenti ne la
carne. E
ancora
assomigliata a la
mirra, però che, sì come la
mirra uccide i vermini, così la sua
santitade uccidea
li
desideri
carnali, e però
ebbe questo
vantaggio sopra
tutti gli altri che santificarono nel ventre de la madre
e sopra tutte le vergini, però che la loro
castitade e
santitade non trapassava ne l'altri, non
ispegneva ne
li altri i
carnali movimenti. Ma la virtù de la
castità
de la
beata Vergine trapassava infino a le medolle de'
cuori de' non
casti, e
facènsi
casti immantanente quanto
a se medesima.
Nel terzo luogo per ripresentare la processione d'oggi;
ché Maria e
Giuseppo e
Simeone e
Anna
fecero in cotale
die una venerabile processione, e presentarono il
fanciullo
Jesù al tempio; e così
facciamo noi la processione
e portiamo in mano il
cerotto acceso per lo quale è significato
Cristo, e
andiamo con esso infino ne la Chiesa.
Tre cose sono nel
cerotto cioè:
cera, lucignolo e 'l
fuoco. E
per queste tre cose sono significate tre cose
che furono in Cristo; però che la
cera significa la
carne
di Cristo, la quale fu nata di vergine sanza
corruzione,
sì come l'
api ingenerano la
cera sanza
rimescolarsi insieme
l'una con l'altra. Il lucignolo ch'è nascoso ne
la
cera, significa l'
anima
bianchissima ch'è nascosa ne
la
carne di Cristo; e 'l
fuoco, ovvero lo lume, significa
la
divinitade, imperò che lo Dio nostro è
fuoco il quale
consuma. Onde disse un savio del lucignolo, questi versi:
Porto questa candela
Ad onore di pietosa Maria,
E prendi la cera
Per la carne tratta de la Vergine vera,
E per l'attiva lumera
L'altezza de la maestà divina.
Nel quarto luogo per nostro
ammaestramento, imperò
che per questo siamo
ammaestrati che, se noi volemo
essere purificati da Dio e mondi, tre cose
dovemo avere
in noi, cioè fede vera, opera
buona e la 'ntenzione
diritta.
Però che la
candela accesa in mano si è la fede
con l'opera
buona e con la intenzione
diritta. E
come la
candela sanza lume è
detta morta, e 'l lume
per se medesimo sanza
candela non riluce, ma
pare
che sia morto, così l'opera sanza fede e la fede sanza
la
buona opera è
detta che sia morta. E il lucignolo
nascoso ne la
cera si è la intenzione
diritta, onde
dice
san
Grigorio: "Così sia l'operazione tua palese, che
la intenzione tua rimanga in
celato".
Una gentile
donna avea gran
divozione in santa
Maria Vergine, e avea fatto fare una
cappella dentro
al palagio suo e tenendovi uno proprio
cappellano, e ogni
dì voleva udire
Messa de la Vergine Maria. Sì che
appressimandosi
la
festa de la
Purificazione de la
Donna
nostra, quello cotale prete
convenne che s'
allungasse per
una sua vicenda, e quella
donna non potéo udire la
Messa in quello dì; ovvero, come si truova scritto in
altro luogo, questa
donna tutto ciò ch'ella potea rimedire,
eziandio le propie sue vestimenta, sì
dava per onore
de la
beata Vergine Maria. Sì che, abbiendo
dato il mantello,
non potea
ire a la chiesa, onde le
convenìa stare
quello
die senza udire
Messa. De la quale
cosa
dogliendosi
molto
entròe ne la sua chiesa, ovvero ne la
camera,
e gittossi in terra dinanzi a l'
altare de la
beata Vergine.
Allora,
essendo levata la
mente a Dio, subitamente
le parea essere
allogata in una chiesa
bellissima e
spaziosa
e, ragguardando, vide una turba grandissima di
vergini venire ne la chiesa; tra le quali
aveva una vergine
bellissima incoronata d'una
corona d'oro, e
andava
innanzi a tutte. Ed
essendosi tutte poste per ordine a
sedere, ed eccoti venire un'altra turba di giovani, i quali
si puosero anche a sedere secondo ordine; e eccoti uno
che recava uno grande
fascio di
cerotti, e
diede uno
cerotto prima a la vergine, la quale
andava innanzi a
tutti, e poscia
diede il suo a
catuna de l'altre vergini
e simigliantemente a li giovani; poscia se ne venne a
quella
donna e
diedele uno
cero, e ella lo pigliò volentieri.
Allora, ponendo
mente per lo
coro, vide
due che portavano
candellieri come
accoliti, e 'l
diacano e 'l
sodiacano
e 'l prete vestito di vestimenta sagri, e
andavano
a l'
altare come volessono
celebrare la solennità de la
Messa. E parevale che gli
accoliti fossero san Lorenzo
e san
Vincenzo, e
diacono e sodiacono
due
angioli, e 'l
prete fosse Cristo. E,
fatta la
confessione dinanzi a
l'
altare,
due
bellissimi giovani incominciarono l'Ufficio
in mezzo del
coro ad
alta
boce
divotissimamente; e gli
altri ch'erano in
coro, seguitavano il
canto. Ed
essendo
venuto a l'offerere, la reina de le
vergini e l'altre
vergini
con quelli altri ch'erano in
coro sì offersono i loro
cerotti al sacerdote, come è usanza,
ginocchione. E con
ciò fosse
cosa che 'l sacerdote
aspettasse quella
donna
ch'ella offeresse il
cero suo e ella non vi volesse
ire,
la reina de le
vergini sì le mandò a
dire per uno messo,
ch'ella
facea villania a fare tanto
aspettare il prete. E
quella rispuose che 'l prete
andasse oltre con la
Messa
sua, ch'ella non gliele
offerebbe. Allora la reina le mandò
anche il messo, e quella rispuose simigliantemente che
'l
cerotto che l'era stato
dato al postutto non lo
darebbe
a veruno, ma
tenerebbelosi per
divozione. Sì che la
reina de le
vergini
comandò al messo, e disse: "Va e
priegala anche ch'ella
offeri il
cerotto e, se non sì,
gliele toglie e
arrappa di mano per
forza". E
essendo
andato il messo e quella non volendone udire neente,
disse il messo ch'elli avea per
comandamento di
toglierle
per
forza. Allora quegli con grande
forza pre
se
il
cero, e sforzavasi di togliele, ma quella il teneva più
fortemente e
difendevasi
francamente; ed
essendo la
contenzione grande e lunga, l'uno tirando di qua e
l'altro di là, subitamente si ruppe il
cero, e l'una metà
del
cerotto rimase in mano a quella
donna. Sì che a
questo rompere la
donna ritornò in sé subitamente, e trovandosi
lungo l'
altare, com'ella s'avea posta, trovossi
rotto il
cerotto in mano. De la qual
cosa, maravigliandosi
molto, rendette molte grazie a la
beata Vergine Maria di
ciò ch'ella non la lasciò essere quel
die senza
Messa, ma
fecela essere presente a così fatto Ufficio. Sì che quella
ripuose il
cerotto
diligentemente e riserbollo per grandissime
reliquie, e
chiunque è tocco con esso, immantanente
è guarito da qualunque infermità ch'
avesse la persona.
Un'altra
donna
essendo gravida, una notte vidde
in visione ch'ella portava un gonfalone, lo quale era
tinto di
colore sanguigno; e svegliandosi incontanente
perdéo il
sentimento, la quale il
diavolo
ischernìa tanto
che la fede
cristiana, la quale avea per
adrieto
avuta,
sì gliele pareva avere tra le mammelle e che n'uscisse
quindi immantanente. E non potendo per veruno modo
essere
curata, vegghiòe una notte ne la chiesa de la
beata Vergine Maria, ne la
festa de la
purificazione e
ricevette santade interamente.
cap. 38, S. Biagio
Biagio con ciò fosse
cosa che
risplendesse da tutta
mansuetudine e
santitade, i
cristiani lo
chiamarono per
vescovo ne la
città di
Sebaste di
Cappadocia; il quale
abbiendo ricevuto il vescovado, per la persecuzione di
Diocliziano,
adimandò una spelonca e in quella fece vita
di
romito. Al quale li uccelli recavano il pasto e
buonamente
tutti quanti traevano insieme a lui e, mentre che
non ponea sopra loro la mano
benedicendoli, non si partivano
da lui. E se alcuni di quelli uccelli infermavano,
incontanente venivano a lui e riportavano sanitade interamente.
Sì che il signore di quella
contrada, abbiendo
mandati i suoi
cavalieri a
cacciare,
affaticandosi indarno
altrove, per
avvenimento s'
abbatterono a la spelonca
il santo
Biagio, e trovaro una grande
moltitudine di
bestie che si stavano dinanzi a quella spelonca e, non
potendole per veruno modo pigliare, così spaventati
andarono
a
dirlo al signore loro, il quale mandò immantanente
suoi
cavalieri e fecesi menare dinanzi lui con
tutti i
cristiani.
In quella notte gli
apparve Cristo tre volte, e sì gli
disse: "Leva su e offera a me sacrificio". Ed eccoti
venire i
cavalieri
dicendo: "
Esci fuori, ché il Signore
nostro ti
fa
chiamare". A i quali rispuose
Biagio:
"Bene siate venuti,
figliuoli, e ora veggio io che Dio
non m'ha
dimenticato". E
andando con esso loro non
cessò mai di
predicarli, e dinanzi a loro fece molti miracoli.
Allora venne una
femmina e recòe a' piedi del santo
uno suo figliuolo che moriva, ché gli s'era travolto uno
osso di pesce entro ne la
gola e
domandava, con
lagrime,
che fosse sanato. E san
Biagio, ponendo le mani sopra
lui, pregò Iddio che quello
fanciullo e tutti
coloro che
adimandassero alcuna
cosa nel suo nome,
avessero il
beneficio de la santade; e 'l
fanciullo fue incontanente
sanato e guarito.
Una
femmina poverella, la quale avea solamente uno
porco che 'l lupo glielo avea tolto per
forza, pregava
san
Biagio che le
facesse rendere il porco suo; e quelli
sorridendo disse: "
Femmina, non li
contristare, e ti
sia renduto il porco tuo". E incontanente venne il lupo,
e rendette il porco a la vedova.
Ed
entrando
Biagio ne la
cittade per
comandamento
del prencipe, fu messo in pregione; e l'altro
die
comandò
il Signore che gli fosse
menato dinanzi e,
veggendolo,
con
dolci parole lo salutòe e disse: "
Allegro sii,
Biagio,
amico de li
Dei!" Al quale disse
Biagio: "
Allegro
sie tu,
buono preside, ma non
dice
coloro
dei, ma
dimoni,
imperò che sono
dati al
fuoco
eternale con esso
coloro che
fanno loro onore".
Adirato il preside
comandò ched e' fosse bene
battuto
con verghe, e
fecelo
rinchiude
re ne la
carcere. Al quale
disse
Biagio: "O senza senno,
credi tu con le tue pene
partire da me l'
amore del mio Dio, però che io abbo
lui in me che mi
conforta?" Udendo queste cose quella
vedova, che avea riavuto il porco, uccise il
detto porco
e la testa con esso i piedi con
candele e con pane portòe
al santo di Dio. E quelli, rendendo grazie a Dio, sì ne
mangiòe e disse a lei: "Ogni
anno offera
una candela
a la chiesa che sarà
fatta al mio nome, e a te e a
chiunque
il
farà, verrà molto bene". E quella il fece sempre
ed
ebbene molta
prosperitade.
Dopo queste cose
essendo tratto fuori de la prigione
e non potendo essere inchinato ad
adorare li
dei,
comandò
il preside che fosse
appiccato in su un legno e
con pettini di
ferro
fossono squarciate le sue
carni e,
così fatto, il fece rimettere in prigione. Sì che
sette
femmine, le quali lo seguitavano, raccoglievano le gocciole
del sangue suo; le quali incontanente furono prese
e
costrette a fare sacrificio a li
dei. Le quali
dissero:
"Se tu vuogli che noi
adoriamo li tuoi iddei, con reverenza
or li manda al lago, acciò che lavato loro con le
facce, netti gli possiamo
adorare". E 'l preside sì si
fa
lieto e
fa
adempiere tostamente quello che quelle
femmine
avevano
detto. Ma quelle
presoro gl'iddei e
gettarongli
nel
miluogo del lago, così
dicendo: "Se sono
dei, ora lo vedremo".
E il preside udendo ciò e impazzando per l'
ira e percotendo
se medesimo, disse a li ministri: "Or perché
non
teneste voi gli
dei nostri, acciò che non fossero
gittati nel profondo del lago?" E quelli
dissero: "Le
femmine parlarono teco ad inganno, e gittarongli nel
lago".
Dissero le
femmine: "L'odio verace non
patisce
inganno, ma s'ellino
fossono stati
dei, egli
averebbono
saputo dinanzi quello che noi volavamo fare".
Adirato il preside,
comandò che fosse
strutto il piombo
e che fosse posto da
una parte i pettini del
ferro e
sette
panziere
roventate di
fuoco, e da l'altra parte fece recare
sette
camicie di lino; e
dicendo che elle
eleggessero
quello che più piacesse loro, l'una di quelle, la quale avea
due fanciulli
piccolini,
corse
arditamente e prese quelle
camicie e gittolle ne la
fornace. E i
fanciulli
dissero a
la madre: "Non ci lasciare dopo te, madre
dolcissima,
ma come tu ci riempiesti di
dolcezza di latte, così ci
riempi de la
dolcezza del regno
celestiale". Allora il
preside le fece tutte e
sette
appiccare a legni, e con pettini
di
ferro
squarciare le
carni loro; le cui
carni erano
bianchissime come la
neve e gittavano latte per sangue.
E con ciò fosse
cosa ch'elle
sostenessoro li tormenti
non molto volentieri, l'
angelo di Dio venne a loro e
confortolle vigorosamente, così
dicendo:
"Non
abbiate
paura veruna, ché
buono operaio che bene
comincia e
bene
finisce,
merita d'avere la
benedizione da colui
ch'è 'l
pattovìo con l'opera
compiuta e ricevere il
merito
per la
fatica e possiede
allegrezza per lo
merito".
Allora il preside
comandòe ch'elle fossero riposte a
terra, e fossero messe ne la
fornace; le quali n'uscirono
fuori sanza male e spento il
fuoco per la
divina virtude.
A le quali disse il preside: "Lasciate stare ora
l'
arte
dei magi, e
adorate gli
dei nostri". E quelle
rispuosono: "
Compi quello che tu hai
cominciato, imperò
che noi siamo già
chiamate al regno
celestiale".
Allora quelli
diede la sentenzia e
comandò che fosse
loro tagliate le teste; le quali,
dovendo essere
dicapitate,
puosero le ginocchia in terra e
adorarono Iddio, così
dicendo: "O Iddio il quale ci partisti da le tenebre e
menasteci in questa luce
dolcissima, la quale ci hai
fatte
tuo sacrificio, ricevi l'
anime nostre, e
falle pervenire
a vita
eterna". E così
mozzo loro le teste loro n'
andarono
a
Demenedio.
Poscia
comandò il preside che
Biagio gli fosse
menato
dinanzi, e disse a lui: "O tu
adora te stesso, o no".
Al quale disse
Biagio: "O
empio, io non
temo le minacce
tue;
fa che vuogli il
corpo mio, io lo ti
do al tutto".
Allora
comandò che fosse messo in profondo del lago;
ma elli
segnòe l'
acqua, e ella incontanente
diventòe come
terra secca. E disse
Biagio: "Sed e' sono veri li
dei
vostri, mostrate la verità loro, e
entrate qua". Ed
entrati
LXX uomini nel lago, incontanente
affogarono.
E l'
angelo di Dio
discese da
cielo e disse a lui:
"
Esci fuori
Biagio, e ricevi la
corona che t'è
apparecchiata
da Dio". E
essendone uscito, disse a lui il preside:
"Tu pure hai ordinato al postutto di non
adorare
gli
dei?" Al quale disse
Biagio: "
Conosci tu, misero,
ch'io sono servo di Cristo, né non
adoro le
demonia".
E incontanente fu
comandato che fosse
dicapitato, e elli
fece orazione a Dio che
chiunque
adomandasse il suo
aiuto per la infermità de la
gola, ovvero per qualunque
altra infermitade, fosse
degno d'essere
esaudito. Ed eccoti
venire la
voce da
cielo e disse a lui che così sarebbe com'elli
avea orato; e così fu
dicapitato con
due
fanciullini,
intorno a gli
anni del Signore Gesù Cristo
CCXXXIII.
cap. 39, S. Agata
Agata vergine gentile, de la
mente e del
corpo
bellissima,
ne la
città di Cattania lo sommo Iddio sempre
in ogne
santità
adorava, sì che
Quintiano
consolare di
Cicilia, con ciò fosse
cosa che fosse di piccolo
legnaggio,
lussurioso,
avaro e
dato a gl'idoli, si isforzava di prendere
la
beata
Agata acciò, perch'elli era non nobile,
prendendo la nobile fosse temuto, e perché elli era lussurioso
e potesse usare la sua
bellezza, e perch'elli era
avaro rubasse le sue ricchezze, e perch'elli era idolatro
la potesse fare sacrificare a l'idole; e
fecelasi menare
innanzi.
La quale
essendo menata e
cognosciuto il suo
fermo
proponimento,
missela in mano d'una
donna, che avea
nome
Afrodisia, e a le sue
figliuole, che ne
aveva
nove
ad una medesima sozzura, acciò che per
XXX dì lusingassero
la vergine ch'ella
consentisse a quello
consolare
e
mutassono l'
animo suo. E or promettendo le cose
allegre, ora
ispaventevoli de le cose
aspre, speravano di
ritrarla del suo
buono proponimento. A le quali
Agata
disse: "La mia
mente è
fermata ne la pietra e
fondata
in Cristo, onde le vostre
lusinghe sono venti, le vostre
impromesse sono piogge, li vostri
ispaventi e le vostre minacce
sono
fiumi, i quali, avvegna che
sospingano in questi
fondamenti de la mia
casa,
cadere non potranno".
E
dicendo queste cose piagnea
continuamente, e stava
in orazione abbiendo
sete di pervenire al martirio.
Sì che veggendo
Afrodisia che quella stava pure
ferma, disse a
Quinziano: "Più tosto si potrebbono
ammollire
le pietre e lo
ferro
convertissi in mollezza di
piombo, che non si potrebbe ritrarre l'
animo di questa
fanciulla da lo intendimento de'
cristiani".
Allora
Quinziano la si fece menare innanzi, e disse
a lei: "Di che
condizione
se' tu?" "Non solamente
- disse quella - sono gentile, ma di schiatta
cavalleresca,
sì come tutto il mio
parentando ne
dà testimonanza".
A la quale disse
Quinziano: "Se tu
se' gentile,
perché ti mostri d'avere quanto a'
costumi persona di
serva?" E quella rispuose: "Perch'io sono
ancella di
Cristo, però mostro d'avere persona
servile".
Quinziano
disse: "Se tu
di' che
se' gentile, perché t'
affermi d'essere
ancella?" E quella rispuose a
Quinziano: "La
somma gentilezza è questa, ne la quale è provata la
servitudine di Cristo".
Quinziano disse: "
Eleggi quale
tu vuoli, o di sacrificare a l'idole, o di
sostenere
diversi
tormenti". Al quale disse
Agata: "Sia cotale la moglie
tua chente fue Venus la
dea tua, e tu sia cotale chente
fue Jove lo dio tuo". Allora
Quinziano le fece
dare de
le gotate, così
dicendo: "La ingiuria del giudice non
volere con
matta
bocca garrire".
Agata rispuose: "Io
mi
maraviglio di te, che mi
pare uno prudente uomo,
essere te venuto a tanta mattezza che tu
dichi che
sono tuoi quelli dei, dei quali non desideri la tua
moglie o te imitarne la vita; che tu dichi ché ti
sia
fatta ingiuria se tu
vivi per lo loro
essemplo. Che
se tuoi iddei sono
buoni, io t'abbo
desiderato bene; ma
se tu gli nieghi che sieno tuoi iddei e di non volere
loro
compagnia, ecco adunque che tu
se' meco in
concordia".
Quinziano disse: "Che mi
fa d'udire parole
di soperchio? o tu sacrifica a li
dei, o io ti
farò morire
per
diversi tormenti". Rispuose
Agata: "Se tu mi
prometti da rimettere addosso
fiere salvatiche, udito
elle ricordare lo nome di Cristo,
diventeranno mansuete;
se tu mi metterai in
fuoco gli
angeli, m'
apparecchiechianno
da
cielo rugiada che mi
farà salva: se mi
darai
piaghe o tormenti, io abbo lo Spirito Santo per lo quale
io
disprezzo ogne
cosa di
mondo".
Allora
comandò ch'ella fosse tirata infino a la prigione,
per ciò ch'ella il
confondea con palese
boce; a
la quale prigione ella
andava molto lietamente, e quasi
com'ella fosse invitata a grande
convito, la sua
battaglia
raccomandava al Signore. E l'altro
die le disse
Quinziano: "
Rinniega Cristo, e
adora li
dei". E quella
rifiutando ciò, fu
comandata essere sospesa a la
colla,
ed essere tormentata. Disse santa
Agata: "Io mi
diletto
sì in queste pene come chi ode
buono messaggio,
o chi vede colui lo quale ha molto
disiderio, o chi molti
tesori
abbia trovato. Non si puote riporre il grano nel
granaio, se prima non è bene
battuto la sua
spiga e
recata in paglia: e così l'
anima mia non puote
entrare
in Paradiso con vettoria di martirio, se tu non
fai
diligentemente
malmenare il
corpo mio da' giustizieri".
Allora adirato
Quinziano
comandò che la sua mammella
fosse ritorta e, così ritorta, per lungo
spazio
fosse tagliata. Al quale disse
Agata: "O
empio,
crudele
e tiranno di Dio, non ti vergogni tu di
mozzare ne
la
femmina quello che tu prendesti in tua madre? io
si abbo mammelle intere e salve entro ne l'
anima mia,
de le quali nutrico tutti i sentimenti miei, li quali da
la mia
infanzia
consagrai al Signore".
Allora
comandò che fosse rimessa in prigione,
vietandole
che medico veruno non
entrasse a lei, né non le
fosse
dato da persona veruna né pane né
acqua. Ed
eccoti intorno a la mezzanotte venire a lei un vecchio
e innanzi a lui
andava uno
fanciullo
portatore del lume
che recava seco
divisate medicine, e disse a lei: "Avvegna
che 'l
consulare matto t'abbia
afflitta con
divisati
tormenti, ma tu l'hai più afflitto lui con le tue
risponsioni; e avvegna ch'elli abbia ritorte le tue mammelle,
ma la sua
abbondanza si
convertirà in
amaritudine;
e imperò ch'io era presente quando tu
pativi
queste cose, io viddi che la mammella tua può ricevere
medicina di salute". Al quale disse
Agata: "Medicina
carnale al mio
corpo unquemai non
diedi, e sozza
cosa mi
pare che quella
cosa ch'i' ho tanto serbata io la
perda". A
la quale disse il vecchio: "
Figliuola, io sono
cristiano, non ti vergognare". Al quale disse
Agata:
"E di che mi
posso io vergognare, con ciò sia
cosa che
tu sia vecchio e di grande tempo, e io sia sì
crudelmente
lacerata che niuno potrebbe prendere di me mai
diletto?
ma rendoti grazie, segnore padre, che tu
se'
degnato
d'avere
sollecitudine di me". E quegli disse: "Or
perché non mi ti lasci tu guarire?" Rispuose
Agata:
"Però ch'io abbo il mio segnore
Jesù Cristo, che con
la sua parola
cura l'
anima, e col
detto ristora tutte
le cose. Se questi vuole, e' mi può tosto guarire". E
sorridendo il vecchio, sì disse: "E io sono suo
apostolo,
e elli m'ha mandato a te, e sappi che nel suo nome tu
se' sanata". E incontanente sparve l'
apostolo san Piero.
E inginocchiandosi santa
Agata per rendere grazie, trovossi
da ogne parte sanata, e la mammella riposta al suo petto.
Con ciò dunque fosse
cosa che per lo grande lume le
guardie
ispaurite fossero
fuggite e
avessero lasciata
la prigione
aperta,
pregavalla alcuni che se ne
andasse;
e quella disse: "Non piaccia a Dio ch'io
fugga e
perda la
corona de la
pazienzia e le guardie mie metta
in tribolazioni". Dopo
quattro dì disse a lei
Quinziano
ch'ella
adorasse gli
dei, acciò che non
sostenesse più
gravi tormenti. Al quale disse
Agata: "Le parole tue
sono pazze e vane, che
macolano l'
aere e sono malvage.
O misero, senza
sentimento e senza intendimento,
come vuo' tu ch'io
adori le pietre, e lasci lo Iddio vivo
e vero del
cielo, il quale m'ha guarita?"
Quinziano
disse: "E chi t'ha guarita?" Disse
Agata: "
Hammi
guarita Cristo, figliuolo di Dio". Disse
Quinziano: "Ancora
se' tu
ardita di ricordare Cristo, lo quale io non
voglio udire?"
Agata disse: "Mentre ch'io
viverò,
sempre il
chiamerò con la lingua e col
cuore".
Quinziano
disse: "Or
vedrabbo io se Cristo ti guarrà!"
E
comandò che si
spandessero gusci rotti e sotto i gusci
mettere
carboni
vivi e
accesi, e così vi fosse voltolata
suso col
corpo
ignudo. E
faccendosi ciò, eccoti
venire uno grande tremuoto, il quale
commosse tutta la
città in tal maniera, che
caggendone una parte,
abbatéo
due
consiglieri di
Quinziano; e tutto il popolo
corse
a lui a romore gridando che, per lo 'ngiusto
tormentamento
d'
Agata,
pativano cotali cose.
Allora
Quinziano, da una parte temendo il tremuoto
e da l'altra parte il romore del popolo,
comandò che
anche fosse rimessa in pregione. Nel quale luogo ella
pregò
Domenedio, e disse: "Messere
Jesù Cristo, che
mi
creasti e
hammi guardata da la mia
infanzia, lo
quale hai
conservato da sozzura il
corpo mio e hai tolto
da me l'
amore di questo
mondo e che m'hai fatto vincente
i tormenti e in
essi m'hai
donato la virtude de
la
pazienzia, ricevi lo spirito mio e
comanda ch'io pervenga
a la tua misericordia". E abbiendo fatta questa
orazione con grande
boce, rendette l'
anima a Dio, intorno
agli
anni
Domini
CCLIII sotto
Decio imperadore.
E con ciò fosse
cosa che i
fedeli
cristiani
acconciassono
il
corpo suo con
ispezierie e
allogasserlo nel monimento,
eccoti venire un giovane vestito di
seta con
più di
cento uomini
bellissimi e ornati e vestiti a
bianco,
che mai non erano stati veduti in quelle parti; e venne
al
corpo di costei e, ponendo una tavola di marmo a
capo di lei,
disparve da gli occhi di tutti. Ed era scritto
in quella tavola queste parole: "
Mente santa e
spontania,
onore a Dio e liberamento del paese". La quale
parola s'intende così:
Mente santa
ebbe,
spontania sé
offerse, onore a Dio
diede e liberamento del paese fece.
E
divolgato questo grande miracolo, eziandio i pagani e
li giuderi
cominciarono ad avere in molta riverenza il
suo sipolcro.
E
andando
Quinziano per
cercare de le ricchezze che
l'erano rimase,
due
cavalli si
gareggiavano insieme e,
scalcheggiandosi, l'uno di quelli
due
diede uno grande
morso a
Quinziano, e l'altro gli
diede uno tale
calcio
che 'l
cacciò entro 'l
fiume in tale modo, che 'l
corpo
suo non si
poté mai ritrovare.
E,
rivolto l'
anno intorno al
die de la sua
morte, uno
grandissimo monte ruppe
appresso de la
cittade e gittò
fuori
arsura, la quale uscendo del monte come fosse
un
fiume e
illiquidendo i sassi e la terra con grande
furore se ne venìa a la
cittade.
Allora una grande
moltitudine di pagani
discese del
monte e,
fuggendo al sepolcro di santa
Agata, tolsono lo
velo col quale era coperto il sepolcro e puoserlo a rincontro
del
fuoco e, immantanente, in quello
die de la
sua
morte, cioè in capo de l'
anno, il
fuoco
costette
fermo e non andò più innanzi.
Di questa vergine
dice così tanto Ambrogio nel
Profazio:
"O
beata gloriosa vergine, la quale
meritòe di
sacrificare a
Domenedio il suo sangue per loda del
fedele
martorio! o
chiara, gentile e gloriosa gemma
alluminata
di
bellezza, la quale intra gli
aspri tormenti soprapposta
a tutt'i miracoli e
splendente di
figurativo
aiutorio
meritòe d'essere
curata per incitamento de l'
apostolo!
Sì come i
cieli ricevettono la
disposata a Cristo,
così per gloriosi
servigi
risplendono le
membra da seppellire
là
dove il
coro de li
angioli
dimostra la
santità de
la
morte e l'onore di Dio e 'l liberamento del paese".
cap. 40, S. Vedasto
Vedasto dal
beato
Remigio fu ordinato vescovo de
la
cittade d'
Atracax. Il quale,
essendo venuto a le
porte de la
cittade e
abbiendovi trovato
due poveri,
l'uno
cieco e l'altro
zoppo che
domandavano
limosina,
disse a loro: "Oro e
ariento non abbo, quello che io
abbo, sì vi
do". E fatta l'orazione
sanòe l'uno e l'altro.
E con ciò fosse
cosa che uno lupo
abitasse in una
cotale chiesa
abbandonata,
coperta di spine, sì li
comandò
che
fuggisse di quello luogo e mai non vi
dovesse tornare,
e così fu.
A la perfine
abbiendone
convertiti molti con parole
e con
buoni
essempri, nel quarantesimo
anno del suo
ufficio di vescovo vidde una
colonna di
fuoco
stendere
da
cielo insino ne la sua
casa. E quegli
considerando
che la fine sua era di presente, dopo poco tempo pesòe
in pace, intorno a gli
anni
Domini
DL.
E
traslattosi il
corpo suo, uno che avea nome
Audomato,
il quale per vecchiezza era
diventato
cieco,
dogliendosi
di non potere avere veduto il
corpo del santo,
immantenente riebbe il vedere, ma poi al
disiderio suo
perdette il vedere.
cap. 41, S. Amando
Amando, nato di nobile
parenti,
entrò nel monisterio.
Il quale,
andando per lo monisterio, trovò uno grandissimo
serpente, lo quale immantanente, con la virtù de
la Croce e con la orazione,
costrinse di ritornare a la
fossa che giammai non uscisse.
Venendo dipoi al sepolcro
di san Martino, rimase quivi quindici anni, vestito
di cilicio, sostentato di acqua e di pane d'orzo.
Dopo questo,
essendo venuto a Roma e vegghiando ne
la chiesa di san Piero, il guardiano de la chiesa
il ne
cacciò fuori sanza veruna reverenzia. Il quale
per l'
ammonimento di san Piero, che li
apparette dinanzi
a le reggi de la chiesa,
dormendo lui, si mosse e
andonne in Francia e riprendendo il re
Dagoberto de'
suo' peccati, adirato il re sì 'l
cacciò fuori del suo
reame.
A la perfine, con ciò fosse
cosa che il re non
avesse
figliuolo e, fatta l'orazione a
Domenedio, l'
avesse
avuto,
incominciò a pensare il re a cui elli lo
facesse
battezzare
il
fanciullo suo e
vennegli ne la
mente di
farlo
battezzare ad
Amando. Sì che fatto
cercare di lui e
menato al re, il re gli si gitta a' piedi e
pregollo che
gli perdonasse e che
battezzasse il suo figliuolo che 'l
Signore gli avea
dato. Ma elli
concedette
benignamente
la prima
domanda; ma temendo d'essere impacciato
de'
fatti
secolareschi,
iscusossi de la seconda e
andossi
via. A la perfine, vinto per
prieghi,
acconsentìo al
disiderio
del re e
battezzando il
fanciullo, tacendo tutti
quelli ch'erano presenti, il
fanciullino rispuose: "
Amen".
Poscia il fece fare vescovo di
Treci; del quale luogo,
veggendo che la parola de la predicazione era
sprezzata
da più persone,
andossene in
Guascogna; là
dove uno
trastullatore
faccendo strazio de le parole sue fu preso
dal
dimonio e,
manifestandosi tutto con i suoi
denti
propi,
confessa ch'elli avea fatto ingiuria a l'uomo di
Dio, e incontanente morìe in molta miseria.
Una volta ch'elli si lavava le mani, alcuno vescovo
fece serbare quella
acqua con la quale fu poscia sanato
uno
cieco.
Vogliendo fare uno monisterio con
volontà del re
in alcuno luogo, uno vescovo de la prossimana
cittade
recandosi ciò a noia, sì mandò suoi
fanti che od
ellino il
cacciassono via, od ellino l'uccidessono per
certo.
E quelli,
veggendolo, sì li
disse
ro ad inganno ch'elli
andasse con loro e
mostrerebboli uno luogo
acconcio a
fare monisterio. Ma elli,
conoscendo dinanzi la loro malizia,
andò con esso loro infino a la sommitade sopra
del monte, là ove ellino lo
volevano uccidere, però ch'elli
desiderava molto il martirio; ma eccoti venire tanta
piova e sì grande
tempesta, che tutto il monte
copriva
sì che l'uno l'altro non poteva
vendere; e già pensando
morire, gittarsi in terra e
chiedevano perdonanza e
pregavallo
ch'
almeno
vivi gli lasciasse partire. Ed elli
fece orazione a
Domenedio e
impetròe da lui grande
sereno.
Sì che
coloro ritornarono a
casa, e santo
Amando
iscampò de le loro mani; e così
faccendo molti altri miracoli
si
riposòe in pace.
Fiorì intorno a gli
anni
Domini
DCLIII al tempo d'
Eraclio, imperadore di Roma.
cap. 42, S. Valentino
Valentino fu uno venerabile prete, lo quale
Claudio
imperadore
facendo menare dinanzi a sé, sì 'l
domandò
così
dicendo: "Che è ciò
Valentino? ché tu non usi la
nostra
amistade, acciò che
adorando li nostri
dei o tu
caccia via le vanitadi e la tua soperchianza?" Al
quale disse
Valentino: "Se tu
conoscessi la grazia di
Dio, tu non
diresti mai queste cose, ma
ritraresteti
l'
animo da l'idole e
adoreresti
Domenedio ch'è in
cielo".
Allora uno, che stava dinanzi a
Claudio, disse: "Che
vuo' tu
dire,
Valentino, de la
santità de gli
dei nostri?"
Al quale disse
Valentino: "Io non
dico nulla se non
ched e' furono uomini miseri, pieni d'ogni immondizia".
Al quale disse
Claudio: "Se Cristo è verace Iddio, perché
non mi
di' tu quello ch'è vero?" Al quale disse
Valentino: "
Veramente che Cristo è solo Dio, nel
quale, se tu
crederai, l'
anima tua sarà salva e 'l
comune
accrescerà e saratti
conceduta vittoria di tutti i
nemici". Rispuose
Claudio e disse a
coloro ch'erano
presenti: "Uomini di Roma, udite come questo uomo
parla
saviamente e
dirittamente".
Allora disse il prefetto: "Ingannato è lo 'mperadore;
come lasceremo noi quello che noi
abbiamo tenuto
da la nostra
fantilitade?" Ed allora fu
mutato il
cuore di
Claudio. Sì che quelli fu
dato in guardia ad
uno prencipe e, sendo
menato ne la
casa del principe, sì
disse: "Messere
Jesù Cristo che
se' verace lume,
allumina
questa
casa, acciò che
cognoscano che tu
se' vero
Iddio". Al quale disse il perfetto: "Io mi
maraviglio
che tu
di' che Cristo sia lume;
certo, s'elli
alluminerà
la
figliuola mia
cieca, io
farò ciò che tu
comanderai".
Allora
Valentino pregando Iddio
alluminò la
figliuola
di colui
cieca, e
convertì tutti quelli di quella
casa. Allora
lo 'mperadore
comandò che
Valentino fosse
dicapitato, e ciò
fu nel torno a gli
anni
Domini di
Jesù Cristo
CCLXXX.
cap. 43, S. Giuliana
Giuliana,
essendo
disposata ad
Eulogio prefetto di
Nicomedia,
non volendo in alcuno modo
congiugnersi con
lui se prima non ricevesse la fede Cristo,
comandò il
padre suo ch'ella fosse spogliata e
battuta
durissimamente
e fosse
data a quello perfetto. Al quale disse il
prefetto: "
Dolcissima mia
Giuliana, perché mi
beffasti
e perché mi rifiuti tu così?" E quella disse: "Se tu
adorerai lo mio Dio, io sì ti
acconsentirò,
altrimenti mio
signore non sarai giammai". A la quale disse il prefetto:
"
Donna mia, questo non
posso io fare, però che
lo 'mperadore mi
farebbe tagliare il capo". Al quale
disse
Giuliana: "Se tu temi così lo 'mperadore mortale,
come vuo' tu ch'io non tema lo immortale imperadore?
Fa ciò che ti piace, ché me non potrai tu ingannare".
Allora il prefetto
comandò ched ella fosse gravissimamente
battuta con verghe, e dal mezzodie innanzi stesse
appiccata per gli
capelli, col piombo
colato le fosse sparto
sopra il capo. La qualcosa non
abbiendole fatto
nocimento
veruno, sì la fece legare con le
catene e
rinchiuderla
in pregione. E 'l
diavolo venne a lei in
figura
d'
agnolo e sì le disse: "
Giuliana, io sono l'
agnolo di
Dio che m'ha mandato a te, perch'io ti
debba
ammonire
che tu
faccia sacrificio a li
dei, acciò che tu non
sia tanto tormentata e che tu non muoia così malamente".
Allora
Giuliana
cominciò a piagnere, e fece
orazione a
Domenedio e disse: "Signore mio Iddio, non
mi lasciare perire, ma
dimostrami chi è questi che mi
conforta di cotali cose". E
vennele la
boce da
cielo
ch'ella il prendesse e
costrignesselo di
confessare chi
elli fosse. E quella
domandò chi elli fosse, e quelli disse
ch'era il
demonio e che 'l suo padre l'avea mandato
per ingannarla. Al quale disse
Giuliana: "E chi è il
padre tuo?" E quelli rispuose: "Il mio padre sì è
Belzabub che ci manda a fare tutti i mali, e
fanne
battere
gravemente per quante volte noi siamo vinti
da'
cristiani; e però so io bene che male ci venni a mio
uopo, perch'io non t'ho potuto vincere".
E infra l'altre cose che
manifestòe, sì disse che
allora
massimamente si
dilungava da'
cristiani quando
si
facea il misterio del
corpo di Cristo e quando si
facevano l'orazioni e le prediche.
Allora santa
Giuliana gli legòe le mani di
dietro e,
gittandolo in terra, sì 'l
batté
durissimamente con la
catena con la quale ella era legata, e 'l
diavolo gridando
sì la pregava e
diceva: "Madonna mia
Giuliana,
abbi
misericordia di me".
Allora il prefetto
comandò che
Giuliana fosse tratta
di prigione; la quale
uscendone traevasi di drieto il
demonio legato, e 'l
dimonio sì la pregava e sì
dicea:
"Madonna mia
Giuliana, non fare ischernie di me,
ch'io non potrò, da qui innanzi, avere
valore
contr'altrui;
i
cristiani sono
detti d'essere misericordiosi e tu non
hai niuna misericordia di me". E così il si trasse dietro
per tutto il mercato, e poscia l'
andòe a gittare in uno
pozzo, cioè in uno sozzo luogo. Ed
essendo pervenuta
al prefetto, fu tanto
distesa in su una ruota che tutte
l'ossa sue si ruppono insino a l'uscire de le midolla;
e l'
angelo di Dio venne e stritolò la ruota e sanò colei,
cioè
Giuliana, in uno punto.
La quale
cosa veggendo quelli ch'erano presenti,
credettero in Dio, e incontanente ne furono
dicollati
D uomini e
cento trenta
femmine. E poscia
essendo
messa in una
caldaia piena di piombo
colato, ma questo
le si fece temperato come
bagno, sì che il prefetto maladisse
gli
dei suoi che non ne
avevano potuto vincere
una
fanciulla che le
faceva
cotanta ingiuria. Allora
comandò ch'ella fosse
dicollata; la quale
essendo
menata
a
dicollare, il
dimonio, ch'ella avea
battuto,
apparendovi
in
figura d'uno giovane, gridava
dicendo:
"Non le perdonate, però ch'ella ha vituperati li
dei
nostri e me
battéo
gravemente
stanotte.
Rendetele dunque
quello ch'ella hae
meritato, e con ciò fosse
cosa che
Giuliana
aprisse non poco gli occhi per vedere chi fosse
quelli che parlava cotali parole, il
demonio
fuggendo sì
gridò: "O me
cattivello, che ancora penso ch'ella mi
vuole prendere e legare. Sì che
essendo
dicollata santa
Giuliana, il prefetto navigando per mare, nacque una
tempesta, e
affogovvi entro con
XXXIV uomini; e le
corpora di costoro, da che 'l mare l'
ebbe gittate fuori,
furono
mangiate da le
bestie e da li uccelli.
cap. 44, Cattedra S. PietroLa
caffera di s
. Piero è
detta che sia in tre maniere,
cioè
caffera reale, sì com'è scritto nel secondo
libro di Re, nel
XXIII capitolo: "
David sedette in
caffera". Anche è
detta sacerdotale, come
dice nel
primo
libro de' Re nel primo
capitolo: "Eli sacerdote
seggente su la sella". Anche è
detta
maestrale, come
dice santo
Matteo nel
XXIII capitolo: "Sopra la
caffera
di
Moisé sedettero gli scribi e
farisei". Sì che
messere san Piero sedette in
caffera reale, però che fu
prencipe di tutte le genti, e ne la sacerdotale però
che fu pastore di tutti i
cherici, e ne la
maestrale,
però che fu
dottore di tutt' i
cristiani.
De la
caffera di san Piero si fa
festa da la Chiesa,
però che si
dice messere san Piero
apostolo fu innalzato
in
caffera onorevolemente ne la
città d'Antiochia.
E l'ordinamento di questa solennitade
pare che
avesse
tre
cagioni. La prima si è questa: che predicando
san Piero la
città d'Antiochia,
Teofilo prencipe di
quella
cittade, sì li disse: "Piero, per quale
cagione
sconventi tu il popolo mio?" Sì che predicando san
Piero a lui la fede di Cristo, quegli lo fece legare e
lasciarlo stare sanza mangiare e sanza
bere. Ma con
ciò fosse
cosa che san Piero venisse quasimente meno,
ripigliando la
forza, levò gli occhi in
cielo e disse:
"
Jesù Cristo, re de' miseri,
aiutami che vegno meno
in queste tribulazioni!" Al quale rispuose il Signore:
"Piero,
credi tu essere
abbandonato da me? de la mia
bontade è i
biasimi, se tu non hai paura di
dire
cotali cose contra di me. Apparecchiato è ch'io soccorra
a la tua miseria". E udendo Paulo che san Piero
era incarcerato,
vennese a la
corte di
Teofilo, e
affermava
che esso era uomo e sommo lavorante di molte
arti, che sapea bene
intagliare legni e tavole,
dipignere
camere e
corti, e molte altre cose ingegnose disse che
sapea operare. Sì che fu
pregato
strettamente da
Teofilo
che stesse ne la
corte con seco.
E rivolti parecchie
die Paulo
entròe a Piero ne la
carcere di
nascoso e,
veggendolo poco meno morto e
consumato, e'
cominciò a piagnere
amarissimamente e,
abbracciando lui, quasi per lo pianto venìa meno; e rompendosi
a parlare, sì disse così: "O Piero,
fratello mio,
gloria mia e
allegrezza mia, mezzo de l'
anima mia,
per lo mio
priego
ripiglia le
forze!" Allora Piero,
aprendo gli occhi e
riconoscendolo,
cominciò a lagrimare,
ma parlare non gli potea; e
accorrendo Paulo appena
aperse la
bocca sua e
mettendovi entro alcuno
cibo, sì 'l
confortòe un poco. Quando Piero fu
confortato del
cibo,
corse incontanente sopra Paulo e tutto quanto lo
baciava,
e
amendue piansero molto.
Paolo, ritornando
celatamente, disse a
Teofilo: "Grande
è la gloria tua e la
cortesia tua e
amichevole de l'onestade;
ma piccolo male
disonesta molte cose. Rammentati
quello che tu hai fatto a quello
cristiano, ch'è
detto Piero, come fosse uno grande fatto. Egli è
pannaccioso,
sozzo,
consumato di
magrezza, non ha altro
che parole, e cotale persona si
conviene a te di mettere
in
carcere? Maggioremente se fosse libero, come suole,
sì ti potrebbe ancora essere utile in alcuna
cosa che,
sì come
dicono alcuni uomini di lui, egli sana gli 'nfermi,
risucita i morti". Al quale rispuose
Teofilo: "
Favole
sono quello che tu
di', Paulo; ché sed elli risucitasse i
morti, elli potrebbe se medesimo de la
carcere liberare".
Al quale disse Paulo: "Sì come il Cristo suo, come
dicono, risucitò da
morte, il quale impertanto non volse
scendere de la Croce, così Pietro a questo
assemplo,
come vogliono
dire, non si libera se medesimo, e di
patire per Cristo non teme". Al quale rispuose
Teofilo:
"Fa dunque che risuciti il figliuolo mio, che morì già
fa
XIIII anni, e io il ti renderò sano e libero".
Sì che
entrando Paulo a Piero, sì disse com'egli avea
promesso di fare
risucitare il figliuolo del prencipe.
Allora disse Piero: "Grande
cosa hai
promessa, Paulo,
ma per la virtude di Dio è
leggerissima". Ed
essendo
Piero tratto de la
carcere, fu
aperto il monimento, e
fece
priego per lo morto e, incontanente,
risucitòe vivo
e sano. (Ma bene
pare al postutto questo miracolo
non
simigliante a la verità per tutte le cose, cioè che o che
Paulo per umano
scaltrimento s'infignesse di sapere
comporre cotali
maestrie, o che la sentenzia del giovane
stesse sospesa per
XIIII anni). Allora
Teofilo e tutto
quanto il popolo
credettono a
Domenedio con molti altri,
e
feciono una gloriosa chiesa e nel
miluogo
acconciarono
un'altra
caffera e
levaronvi suso alto Piero, acciò
che potesse essere udito da tutti e veduto. Ne la quale
caffera sedette
VII anni; ma poi vegnendo a Roma sedette
nella
caffera romana
XXV anni.
Ma impertanto del primaio onore fa
festa la Chiesa,
però che allotta di prima
cominciarono ad essere
esaltati
li parlati de la chiesa e per lo luogo e per la
potenzia
e per lo nome. Allora fu
adempiuta la parola
del Salmo: "Levino molto lui ne la Chiesa del popolo,
e ne la
caffera de li
antichi lodino lui". E nota
che sono tre
chiese quelle dove san Piero fue
esaltato,
cioè la chiesa de'
combattenti, de'
malignanti e
de' trionfanti. In queste tre
chiese fu
esaltato san
Piero secondo tre
feste che la Chiesa fa di lui. Però
ch'egli è
esaltato primieramente ne la Chiesa de'
combattenti,
soprastando a lei e
reggendola ne la fede e
ne'
costumi
lodevolemente; e ciò quanto a la solennità
d'oggi, la quale è
detta
caffera, imperò che allora ricevette
il
Papato sopra la Chiesa d'Antiochia e
ressela
sette
anni
lodevolemente.
Secondariamente è
esaltato ne la Chiesa de'
malignanti,
cioè guastando quella e
convertendola a la fede;
e questo s'appartiene a la seconda
festa che si
dice
ad vincula, però che allora
distrusse l'
ecclesie de' maligni
e
convertinne molti a la fede.
Ne la terza parte è
esaltato ne la Chiesa de' trionfanti,
in essa bene
venturosamente
entrando, e ciò quanto a la
terza solennità di lui; la quale è de la sua passione,
imperò che allora
entrò ne la Chiesa de' trionfanti
Ed è da notare che per più altre
ragioni fa
festa
la Chiesa
tre volte l'
anno di lui, cioè per lo
privilegio,
per l'officio, per lo
beneficio, per lo
debito e per lo
essemplo. Imprima per lo
privilegio, imperò che messere
santo Piero sopra tutti gli altri
apostoli fu
priviligiato
in tre cose; per le quali tre privilegi la Chiesa gli fa
onore tre volte l'
anno. Imperò che fu più nobile di
tutti in
autoritade, però che fue principe de li
apostoli
e tolse le
chiavi del reame del
cielo. Ancora fu più
fervente ne l'
amore, però ch'egli
amò Cristo con maggiore
fervore che non
fecero gli altri, sì come si manifesta
in molte luogora del Vangelio. Ancora fu più
efficace ne la virtude, però che a l'ombra di san Piero,
come si legge
ne gli Atti, erano sanati gli 'nfermi.
Nel secondo luogo per l'officio, però ch'elli
ebbe
offizio di prelazione sopra l'universale
Ecclesia; e imperò,
come Pietro fu prencipe e prelato di tutta quanta
la
Ecclesia, la quale è sparta in tre parti del
mondo,
cioè Asia e Africa e
Europa, così la Chiesa fa tre volte
l'
anno
festa di lui.
Nel terzo luogo per lo
beneficio, però che elli, il quale
ricevette la podestà di legare e di sciogliere, sì ne libera
noi da tre maniera di peccati, cioè di pensiere, di parlare
e d'operare, ovvero ciò ch'
avemo peccato in Dio e
nel prossimo e in noi medesimi. Ovvero che questo
beneficio
puote essere in tre maniere per altro modo; li
quali
beneficii il peccatore
acquista ne la Chiesa per virtù
de le
chiavi. Il primo si è
dimostramento d'essere prosciolto
dal peccato; il secondo si è
commutamento de la
pena del
purgatorio in pena temporale; il terzo si è
rilasciamento
de la pena temporale in parte. E per questi
tre
beneficii è da essere onorato san Piero in tre maniere.
Nel quarto luogo per lo
debito, che però ch'elli in tre
modi ne pascette e pasce, cioè per parola, per
essemplo,
per
aiutorio temporale, però siamo obbligati ad
onorallo
tre volte.
Nel quinto luogo per lo
esemplo, cioè che niuno peccatore
si
disperi, eziandio se tre volte
avesse
rinnegato
Iddio come Piero, sed elli il vuole
confessare come fece
quegli col
cuore, con la
bocca e con l'opera.
La seconda
cagione perché questa
festa fu ordinata,
si è questa, la quale è tratta de l'
Itinerario di Clemente.
Con ciò fosse
cosa che Piero predicando la parola di Dio
s'
appressimasse ad Antiochia, tutti quelli di quella
cittade
gli vennero incontro a piedi
scalzi, vestendosi di
cilici e spargendosi la
polvere in capo,
faccendo penitenzia
di ciò ch'ellino
aveano
consentito con esso Simone
mago contra di lui. Sì che Piero, veggendo la loro penitenzia,
fece grazie a
Domenedio; allora
coloro gli offersero
tutti quelli ch'erano infermi e indemoniati. E abbiendo
Piero
fattili porre innanzi a sé,
chiamòe il nome del
Signore sopra loro, sì che un grande lume v'
apparve, e
tutti furono incontanente guariti
correndo e
basciando
le pedate di santo Piero. Allora
fra
VII dì furono
battezzati
più di
diece milia uomini; e
Teofilo, prencipe di
quella
contrada e
cittade, la sua
casa fece
consegrare
per la chiesa, e
fecevi
allogare una
alta
caffera a san
Piero, acciò che fosse udito e veduto da tutti. Né non
è questo
contrario a queste cose che sono
dette
disopra;
ché bene potette essere che Piero, per l'operazione di
Paolo, fosse ricevuto a grande onore da
Teofilo e da tutto
il popolo. Ma partendosi Piero, Simone mago
isconvolse il
popolo e
accressello d'
ira
gravemente contra Piero; e
poscia
fecero penitenzia e ricevetterlo onorevolemente.
Ma questa
festa di
caffera san Pietro soleva essere
chiamata
festa de le
vivande di san Piero, però che fu
usanza di pagani
anticamente - come
dice il maestro
Giovanni
Beleth - che ogni
anno del mese di
febbraio
offerire certo dì
vivande sopra gli
avelli de' loro
parenti;
e le
demonia
consumavano la notte quelle
vivande; ma
ellino pensavano ch'elle fossero guaste da l'
anime che
andavano
errando
dintorno a li
avelli, le quali
chiamavano
ombre.
Solevano
dire gli
antichi, come
dice quel medesimo,
che quando l'
anime sono ne le
corpora de gli uomini
sono
dette
[in] inferis manes, cioè a
dire
diavoli d'inferno;
ma quando salivano in
cielo, sì le
chiamavano spiriti;
quando era
fresca la
sepoltura, ovvero quando
andavano
errando d'intorno a gli
avelli, le
chiamavano ombre. E
questa usanza di quelle
vivande non
poté essere spenta
appena da li
cristiani; la qualcosa
attendendo i santi
Padri e
vogliendolo spegnere al postutto, ordinarono che
quello dì medesimo che cotali cose si
facevano, si
facesse
la
festa di
caffera san Piero, sì di quello
incafferamento
che fu a Roma, come di quello che fu ad Antiochia;
onde di quelle
vivande è ancora
chiamata da
alcuni la
festa de le
vivande di san Piero.
La quarta ragione perché fu ordinata, sì è per reverenza
de la corona de' cherici. Ed è da notare che,
secondo che vogliono
dire alcuni, la
corona de'
cherici
ebbe qui prima
cominciamento. Ché predicando san Piero
ad Antiochia, sì gli rasono il
cucuzzolo del capo in
vergogna del nome di Cristo; la qualcosa
certamente
è poi
data in onore a tutto il
chericato, la quale fu
fatta in vergogna al prencipe de li
apostoli per Cristo.
Intorno a questa
corona de'
cherici s'
attendono
tre
cose, cioè:
radimento di capo, tagliamento di
capegli
in parte, e l'
accerchiamento de la
forma. Il
radimento
ne la sovrana parte del capo si fa per tre
ragioni, de
le quali n'
assegna
due san Dionisio nel
libro che fece
de la
Ecclesiastica Gerarchia, e
dice così: "Il tagliamento
de'
capelli significa la
monda e non
formabile
vita; ma a la
tosura de'
capelli, ovvero al radere del
capo,
tre cose significano, ovvero seguiscono, cioè
conservamento
di purità,
disformamento e
discoprimento.
Il
conservamento de la purità, imperciò che de li
capelli
si
raccolgono le sozzure nel capo; il
disformamento,
imperò che li
capelli sono per
adornamento, sì che la
tonsura significa la
monda e non
formabile vita, cioè
significa che i
cherici
debbono avere
mundizia di
mente
dentro e non
formabile, cioè non richiesto
abito di fuori.
Lo
scoprimento significa che infra sé e
Domenedio non
dee avere neuno mezzo, ma sanza mezzo veruno
debbono
essere uniti a Dio e con la
faccia iscoperta
contemplare
la gloria del Signore.
Il
mozzare de'
capelli si fa per
dare a
entendere in
ciò che i
cherici
debbono
mozzare da la
mente loro
tutti i pensieri di soperchio e avere sempre l'udire a
la parola di Dio e averla
apparecchiata e ispedita, e
rimuovere
da sé al postutto tutte le cose temporali fuori
che la necessità.
Fassi la
figura del torchio per molte
ragioni. Primieramente
perché questa
figura non ha
cominciamento
né
fine; per ciò si
dà ad intendere che i
cherici sono ministri
di Dio, il quale non ha
cominciamento né
fine. Anche
perché questa
figura non ha veruno
cantone, e significa
che i
cherici non
debbono avere sozzure ne la
vita, però che
dovunque ha
cantone, sia sozzura, come
dice san Bernardo. E
debbono avere virtude ne la loro
dottrina, però che la verità non
ama i
cantoni, come
dice san
Gironimo.
Ancora perché questa
figura è molto più
bella di tutte
l'altre; onde in questa
figura fece
Domenedio di
cielo
tutte le
criature. Per la qualcosa è significato che i
cherici
debbono avere
bellezza dentro ne la
mente, e di
fuori ne la
conversazione. Ancora perché questa
figura
è più unita di tutte l'altre, però che niuna
figura,
come
dice santo Agostino, sta d'un
filare o di
due solamente;
la
figura del
cerchio è quella che si
conchiude
d'un
filare e non di più. Per la qualcosa è significato
che i
cherici
debbono avere semplicità di
colomba, secondo
quello che
dice il Vangelo: "E siate semplici
come
colombe".
cap. 45, S. Mattia
Mattia
apostolo fu ordinato in luogo di Giuda traditore;
ma prima veggiamo
brievemente il
nascimento e
l'origine del
detto Giuda.
Leggesi una storia, avvegna
che non sia
autenticata da la Chiesa, che fue uno uomo
in Gerusalem che avea nome
Ruben; il quale per altro
nome era
chiamato
Simeon da la ischiatta di Giuda,
ovvero secondo
Geronimo de la schiatta di
Isacar, il
quale
ebbe una moglie che fu
chiamata
Ciborea. Sì che
una notte, abbiendosi insieme
reso il
debito,
dormendo
Ciborea vidde in sogno quella ch'ella
dovea partorire
con pianti e con sospiri; lo quale sogno ridisse al
marito
suo in questo modo: "E mi parea ch'io partorissi uno
figliuolo molto pieno di retade e malizie, il quale sarebbe
cagione di
perdimento di tutta quanta la gente nostra".
A la quale disse
Ruben: "Maladetta
cosa
di' tu, che
non è
degna di
mentovare, e pensomi che tu
se' rapita
da lo spirito di
Fitone". E quella disse: "Se io mi sentirò
d'avere
conceputo e partorito figliuolo, sanza
dubbio
non è stato spirito
fitonico, ma rivelazione
certa".
Sì che vegnendo il tempo quando ella
ebbe partorito
il figliuolo, li
parenti
temettoro molto e
cominciarono
a pensare quello che
dovessono fare di lui. E con ciò
fosse
cosa che
avessoro in orrore d'
ucciderlo, né nutricare
non volendo colui che
dovea essere
distruggitore
de la sua generazione, misserlo entro in una navicella
coperta e
lasciarola andare per lo mare entro; e l'onde
del mare sì l'
approdarono ad una
isola che si
chiama
Scarioth, onde da quella
isola è
appellato Giuda
Scarioth.
Sì che la reina di quella
contrada, non
avendo
figliuoli,
se n'era
andata per
sollazzo a la riva del mare, e veggendovi
la navicella, fatta com'una
cassetta,
approdata
là per l'onde del mare, sì
comandò ch'ella fosse
aperta
e trovaronvi un
fanciullo di
bella
forma, sospirando
disse: "O s'io
fossi
sollevata da
sollazzi di così fatto
figliuolo, acciò ch'io non
fossi privata di successore del
reame mio!" Sì che fece nutricare il
fanciullo segretamente,
e infinsesi d'essere gravida. A la perfine mostrò
falsamente d'avere partorito uno figliuolo maschio; e
andò questa
fama palese per tutto il reame con grande
festa. Li
baroni s'
allegrarono per la ricevuta schiatta,
e il popolo si
rallegra con grande letizia.
Fecelo adunque
nutricare secondo la grandezza del reame.
Non passòe molto tempo che la reina
concepette del re;
nel suo tempo
parturìo uno figliuolo. Ed
essendo già
cresciuti
e'
fanciulli
alquanto, sì si trastullavano ispessamente
insieme, e Giuda
faceva molto increscimento con
molte ingiurie al figliuolo del re, e spesse volte lo
faceva
piagnere, e la reina recandosi ciò a noia, sappiendo e
conoscendo che Giuda non s'
appartenea a lei, sì lo
battea
molto spesso; né pertanto si rimanea Giuda di fare
noia a quello
fanciullo. A la perfine si manifestò il fatto,
e fu
aperto come Giuda non era verace figliuolo de la
reina, ma era stato trovato. Ed
essendosi Giuda
accorto
di ciò,
fortemente si vergognò, e 'l
fratello suo putativo,
[ms.: fanciullo suo pensativo], figliuolo del re, uccise
celatamente. E temendo
per questo fatto la sentenzia de la testa, sì si
fuggì
con esso
coloro ch'
andavano ricogliendo il tributo, e
andonne in Gerusalem e
mancepossi ne la
corte di Pilato,
il quale era quello tempo preside. E imperò che le cose
simiglianti s'
accostono volentieri insieme, veggendo Pilato
che Giuda si
confacea a'
costumi suoi,
cominciollo a
tenere molto caro, tanto che fu fatto proposto di tutta
la
corte di Pilato e al suo senno erano ordinate tutte
le cose.
Sì che un
die Pilato, guardando del suo palagio in
uno
giardino, fu tanto invaghito de'
frutti che erano
nel
detto
giardino, che poco meno non ne moriva. E
quello
giardino era di
Ruben, padre di Giuda; ma non
conosceva Giuda il padre, né
Ruben il figliuolo, però che
pensava che fosse perito ne l'onde del mare, e Giuda
non sapea al postutto chi fosse suo padre, né quale
fosse la sua madre, né la sua
cittade.
Chiamòe dunque
Pilato Giuda, e sì gli disse: "Io sono sì preso dal
desiderio
di quelli
frutti, che, se io non n'abbo al mio senno,
io
credo
veramente morire tosto". Sì che Giuda andò,
e saltò immantanente nel
giardino, e prese di quelle
mele.
Infrattanto venne
Ruben e trovò Giuda che gli avea
colte le
mele sue; sì che incominciarono a
contendere
fortemente insieme
amendue e, dopo il
contendere, vennero
a
darsi insieme e villania; poscia vennero a le
mani e
batteronsi bene insieme. A la perfine Giuda ricolse
una pietra e
fedì
Ruben con
essa in quella parte
del capo ch'è
collegato al
collo, sì che egli l'uccise;
ma pure tolse le
mele e portolle a Pilato e
raccontolli
ciò ch'era intervenuto. Sì che,
faccendosi sera,
Ruben
fu trovato morto, e pensarono le persone ched e' morisse
di
morte subitana. Allora Pilato
diede a Giuda tutte le
possessioni di
Ruben, e
Ciborea, moglie del
detto
Ruben,
sì la
diede per moglie a Giuda.
Sì che un
die che
Ciborea sospirava e
gravemente
e Giuda, suo
marito, la
domandava
diligentemente quello
ch'ella
avesse, e quella rispuose: "Oimè, molto più
disavventurata
sopra tutte le
femmine, ché io
attuffai uno
mio
fantisino
piccolino ne l'onde del mare, e trovai
morto il
marito mio! non so come Pilato ancora a me
misera ha sopraggiunto
dolore, che me
dolorosissima ha
dato per moglie a te, e
hammiti
congiunta in matrimonio,
avvegna che non volontarosa di ciò". E con ciò fosse
cosa che quella
avesse narrato ogne
cosa di quello
fantigino
e, da l'altra parte, Giuda
avesse narrato a lei
quelle cose ch'erano intervenute a lui, trovato fu che
Giuda
avesse tolto per moglie la madre e morto il padre.
Sì che mosso da
pentimento, per
confortamento di
Ciborea
andossene al nostro Signore
Jesù Cristo, e
domandogli
perdonanza de' suoi peccati.
Insino a qui si legge di quella storia non
autentica,
la quale se da raccontare è, rimanga ne lo
albitrio di
colui che la legge, avvegna che
maggiormente sia da
lasciare stare che di
dirla.
Sì che il Signore lo fece suo
discepolo, e di
discepolo
sì lo
chiamò
apostolo; il quale fu tanto
famigliare a
lui e amato, ch'elli il fece suo procuratore; lo quale
sostenne poi per suo traditore. Ché elli sì portava la
borsa de'
danari, e
furava di quello ch'era
dato a Cristo.
Sì che
dogliendosi al tempo de la passione di Cristo che
l'unguento che valeva
CCC danari non era stato venduto,
perché potesse anche fare di
furare quelli
danari,
andò e vendeo Cristo
XXX danari, che ogni
danaio
valea
X piccioli d'usuale moneta. E così
ricompensòe il
danaio de l'unguento che valeva
CCC danari. Ovvero,
come vogliono
dire alcuni, di quello ch'era
dato a Cristo,
di tutto elli
furava la
decima parte; e però per la
decima
ch'elli
aveva perduta ne l'unguento, cioè per li
XXX
danari, vendette il Signore per
tradimento. Sì che costui
insino a qui usòe in sua vita tre grandissimi peccati,
cioè micidio del padre,
furare le cose
accomandate
dal suo Iddio,
tradimento del suo maestro. I quali
danari,
essendo pentuto, riportò a
coloro che gliele
avevano
dati, e andò e impiccossi per la
gola, e impiccato
crepò per mezzo e
sparonsi le 'nteriora sue.
In ciò fu tolta la ragione a la
bocca che lo spirito suo
maladetto non uscisse quindi, però che non era
degna
cosa che quella
bocca, così vilemente maculata, fosse, la
quale avea tocco così gloriosa
bocca come quella di
Cristo. Che
degna
cosa era che le 'nteriora ch'
avevano
ingenerato il
tradimento,
cadessero rotte, e la
gola, de la
quale era uscita la
voce del
tradimento, fosse
costretta
dal
capestro, cioè da la
corda che l'
affogò
impiccandosi.
Ancora morìo in
aere, acciò che colui il quale offese gli
angeli nel
cielo e gli uomini in terra, fosse sceverato da
la
contrada de li
angeli e de li uomini e fosse
accompagnato
con le
demonia ne l'
aere.
Essendo insieme gli
apostoli nel
Cenacolo tra l'
Ascensione
e la Pentecosta, veggendo Piero che 'l numero de
li
apostoli era menovato, che
dovieno essere
XII, nel
quale numero il Signore gli
aveva
eletti perché predicassero
la fede de la santa Trinitade ne le
quattro parti
del
mondo, levossi e stette ritto nel mezzo de'
frati, cioè
de li
apostoli con loro seguito, e disse così: "O uomini
frati, e'
conviene che noi mettiamo alcuno in luogo di
Giuda, che
dea testimonianza con esso noi de la resurrezione
di Cristo, imperciò che 'l Signore disse a noi:
"Sarete a me testimoni in Gerusalem e in tutta Giudea
e Samaria e insino a le
fini del
mondo. E però che 'l
testimonio non
dee rendere testimonianza se non di quello
ch'elli ha veduto e udito, da
eleggere è uno di questi
uomini che sono stati sempre con esso noi e
hanno veduto
li suoi miracoli e udita la sua
dottrina". E
ordinaronne
due de li
settantadue
discepoli, ciò fue l'uno
Gioseppo,
il quale ha soprannome Giusto per la
santità sua,
il quale fu
fratello di Jacopo
Alfei, e l'altro fu Mattia de
la cui loda si tace al presente, imperò ch'egli
basta
per loda ched e' fosse di
cotanta gente
eletto per
apostolo.
E stando in orazione, sì
dissero: "Tu, Signore,
che
conosci tutti i
cuori de gli uomini,
dimostraci quale
tu hai
eletto di questi
due, l'uno a prendere in luogo
di questo ministerio e
apostolato, lo quale Giuda
perdette";
e
diedero loro le sorti e
cadde la sorte sopra
Mattia, e
annumerato fu per
apostolo con li undici. Ed
è da notare che a questo
essempro, sì come
dice santo
Geronimo, non sono da usare le sorti, però che i privilegi
di
poche persone non fanno legge
comune. Da l'altra
parte
dice così
Beda: "Infino a tanto che venisse la
verità fu licito d'osservare la
figura". Imperò che la
vera ostia fu sacrificata ne la passione, ma ne la Pentecosta
fue
compiuta; e per ciò ne la
elezione di Mattia
si usarono le sorti, acciò che non si
scordassero da la
legge ne la quale il sommo sacerdoto si era
cercato
conforti.
Ma dopo la Pentecosta, che già era
aperta la verità,
li
sette
diaconi furono ordinati non per sorte, ma per
elezione de li
discepoli e
per orazione de gli apostoli
e per comporre le mani sopra loro.
Di che maniera sorti queste si fossero,
due sentenzie
ne fanno de' santi Padri; ché
Gironimo e
Beda vogliono
che queste sorti fossero
essute cotali chente s'usavano
molto spesso ne la vecchia legge. Ma Dionisio, il quale
fu
discepolo di san Paulo, pone che sia
cosa fuori di
religione a pensare ciò; e
dice che
pare a lui che quella
sorte non fu altro che uno razzo e uno
splendore mandato
da Dio sopra Mattia, per lo quale si dimostrava
che fosse da prendere per
apostolo. Però ch'elli
dice
così nel
libro de l'
Ecclesiastica Gerarchia: "De la
divina
sorte, la quale
cadde da
Domenedio sopra Mattia,
altri furono che ne
dissero altro non
religiosamente, sì
com'io penso, ma io ne
dirabbo la mia intenzione.
Pare
a me che i parlari
chiamino la sorta
theartico uno
dono
di Dio
dimostrante a quella
beata
compagnia che quelli
era ricevuto da la
elezione di Dio". Adunque questo Mattia
apostolo prese in sorte
la Giudea e quivi, soffermandosi
a predicare e
facendovi molti miracoli, morì in pace.
Leggesi in alcune scritture ch'elli
sostenne il tormento
de la
croce e di cotale martirio incoronato montò al
cielo. Il
corpo di costui sì si
dice ch'è a Roma entro
la chiesa di santa Maria Maggiore soppellito disotto a
una lapida di
profferito, e nel
detto luogo si mostra
il capo suo al popolo. Ma in alcuna altra leggenda che si
truova a
Triveri, sì come infra l'altre cose si legge di
lui che Mattia era molto ammaestrato ne la legge,
del
corpo era netto, ne l'
animo era savio, ed era
dimolto
sottile d'ingegno a sciogliere le quistioni de la
santa Scrittura, in
consiglio era
avveduto uomo, in parlare
era ispedito. Il quale, predicando la parola di Dio per la
provincia di Giudea, con molti segnali e miracoli
convertìa
la gente, onde gli giudei il missero a
consiglio che
dovesse essere morto. Sì che
due
falsi testimoni che
l'
aveano
accusato, sì li gittarono la prima pietra; le
quali pietre elli
domandò in grazia che fossero sotterrate
con esso lui in testimonianza contra di loro. Il
quale,
essendo lapidato,
secondo il costume romano fu
percosso da una
scure, e levando e
stendendo le mani
al
cielo rendéo lo spirito a
Domenedio. E fu seppellito
nel
detto luogo lo cui
corpo fu traslatato di Giudea a
Roma, e poscia da Roma a
Triveri.
E in un'altra leggenda si truova che
essendo venuto
Mattia in Macedonia a predicare la fede di Cristo, predicando
elli, sì li
diedero
bere d'un
beveraggio
attoscato
che toglieva a tutti il vedere; lo quale
beveraggio elli
bevve col nome di Dio, cioè Cristo, e non li fece nessuno
male; ed abbiendo quello
beveraggio accecato più
il
CCL persone, ponendo l'
apostolo le mani sopra
ciascheduno,
sì li
alluminòe tutti quanti.
E il
diavolo
apparette in simiglianza d'uno
fanciullino,
e
confortò la gente che uccidessero Mattia, perch'elli
annullava il loro
coltivamento; e con ciò fosse
cosa ched
elli fosse nel
miluogo di loro, tre dì l'
andarono
caendo
e non lo trovarono. E il terzo
die elli
manifestò se medesimo
a loro, e disse: "Io sono esso". E quelli gli legarono
le mani di dietro al
dosso e, postogli la
fune in
collo,
crudelmente il
tormentarono, e così il missono in prigione.
Nel quale luogo le
dimonia
apparivano e
facevano grande
romore contra di lui, ma non si potevano
appressimare
a lui; sì che il Signore gli
apparve, e venne a lui con
molto lume e sì levò di terra e isciolse i legami e,
confortando
lui,
aperse l'uscio. E quelli, uscendo fuori, sì
predicava la parola di Dio e, istando ostinati alcuni di
coloro nel male, sì disse loro: "Io vi
dinunzio che voi
andrete
vivi ne l'inferno". Immantanente s'
aperse la
terra e
inghiottilli tutti, e li rimanenti furono
convertiti
a
Domenedio
detto Cristo.
cap. 46, S. Gregorio
Gregorio fu nato di schiatta di senatori; il quale il
suo padre era
chiamato
Gordiano e la madre
Silvia. Il
quale ne la sua
gioventudine,
essendo salito ne la sovrana
altezza de la
filosofia e
abbondato di
moltitudine di ricchezze
e di cose temporali,
cominciò a pensare di volere
abbandonare tutte quelle cose e d'
entrare in religione.
Ma mentre che prolungava più il
convincimento, e pensava
che più
sicuramente servirebbe a Cristo se sotto
abito di pretore
cittadino servisse
spontaniamente al
mondo, molte cose gli
cominciarono a
crescere de la
sollecitudine del
mondo, sì che non solamente era tenuto
da essa
sollecitudine, quanto a la spezia di fuori, ma
eziandio ne la
mente.
A la perfine da ch'
ebbe perduto il padre,
sei monasterii
ordinòe in Sicilia, e 'l settimo fece intra le
mura
di Roma ad onore di santo Andrea
apostolo in suo propio
ammaestramento. Nel quale monasterio
abbandonato li
vestiri di
zendadi, d'oro e di
gemme
risplendenti, di vile
abito monacile era vestito. Là
dove pervenne a tanta
perfezione in
brieve tempo che, in esso principio del suo
convertimento, poteva essere
compiuto nel numero de'
perfetti. La cui perfezione in alcuno modo si può
attendere
per le parole che pone nel prolago sopra il
Dialago,
ove
dice così: "Il
disavventurato
animo mio,
bussato
da la piaga de la sua occupazione, sì si
ricorda chente
alcuna volta fue nel monasterio, come tutte le cose di
questo
mondo
passatoie s'
aveva messo sotto, quanto
soprastava a tutte le cose che si rivolgono per lo
mondo,
che non era usato di pensare altro che de le cose del
cielo, il quale eziandio ritratto dal
corpo passava per
contemplazione e se
chiudendo del
corpo e
amava
la
morte, la quale è poco meno pena a tutti, cioè come
entrasse a vita e fosse guiderdone de la
fatica sua". E
con tanto
distruggimento
afflisse il
corpo suo che, infermato
lo
stomaco, appena potea stare ritto; e patendo la
tagliatura de'
membri vitali, la quale i Greci
chiamano
sincopim, con
ispesseggiante
angoscie per
diversi punti
de l'ore s'
appressimava a la
morte.
Una volta che scrivea nel monasterio suo,
dond'elli era
abate, l'
angelo di Dio gli fu innanzi in
forma d'uno mercatante rotto in mare e, con molte
lagrime,
adomandò che li fosse
avuto misericordia. E con ciò
fosse
cosa che Gregorio gli
avesse
fatti
dare
sei monete
d'
argento e quelli si fosse partito, ritornò il dì medesimo
un'altra volta, e
diceva che avea molto perduto e
poco ricevuto. E abbiendo ricevuto da lui
altrettante
monete quante la prima volta, anche il terzo
die ritornòe
e, con grande
improntitudine di grida,
domanda che gli
fosse
avuto misericordia. Ma saputo san
Grigorio dal
procuratore del suo monisterio che non v'era rimaso
nulla da potere
dare se non uno
vaso, cioè una scodella
d'
ariento che la madre gli soleva mandare con legume,
cioè
fave e
ceci, la quale scodella era rimasa nel monisterio,
immantanente
comandò che la gli fosse
data; e
quegli la tolse tanto tosto bene e volentieri, e
andossene
molto lieto. Questi fu l'
angelo di Dio, sì come egli gli
si rivelòe poscia a tempo.
Uno
die che san
Grigorio passava per lo mercato
di Roma, vidde
alquanti garzoni di
bellissima
forma,
piacevoli nel volto e tutti
biondi di
capelli, ed erano
venderecci.
Sì che il
beato
Grigorio
domandò di quale paese
il mercatante gli avea
menati, e quelli rispuosero: "Di
Brettagna, là ove gli
abitanti
risplendono di simigliante
bianchezza". Ancora
dimandò s'elli erano
cristiani,
e 'l mercatante disse: "Non sono
cristiani, anzi sono
involti ne li
errori de' pagani". Allora san
Grigorio incominciò
fortemente a
sospirare e a piagnere, così
dicendo:
"Oimè
dolente, or che
splendiente
facce possiede
aguale
il prencipe de le tenebre!" Anche
domandò quale fosse
il vocabolo di quella gente, e quelli rispuose: "Sono
chiamati
Anglici, cioè a
dire Inghilesi". Disse san
Grigorio:
"A
diritto sono
chiamati
Anglici, quasi
angeli,
perché hanno volto d'
angeli". Anche
domandò che
nome
avesse quella provincia, e 'l mercatante disse:
"Quelli di quella provincia sono
chiamati
Deiri". Disse
santo Gregorio: "Troppo sta bene, però che de l'
ira
di Dio sono da trarre". Ancora san
Grigorio
domandò
del nome del re, e 'l mercatante disse: "È
chiamato
Aelle". E le disse san
Grigorio: "Bene sta
Aelle,
però che
conviene che
alleluia sia
cantata in quelle
parti". E
andando quegli immantanente a messere lo
Papa, con molta
perseveranza e
preghiere, a grandissima
pena,
impetròe da lui d'essere mandato a
convertirgli.
E abbiendo preso il
cammino, gli romani,
conturbati
molto de la sua partenza,
andarono al
Papa e
parlarogli
in questa maniera: "Tu hai offeso san Piero e hai
distrutta Roma, perché tu hai lasciato andare Gregorio".
E così spaventato, il
Papa mandò incontanente
messi
che
facessono tornare adrieto. E con ciò fosse
cosa che
Gregorio
avesse già
compiute tre giornate
cansandosi in
alcuno luogo, mentre che gli altri si riposavano ed egli
leggea, e leggendo lui venne il
locusta, cioè il grillo,
sopra lui e
fecelo ristare di
leggere, e per
considerazione
del nome suo, sì li 'nsegnò che
dovesse stare nel
detto
luogo; e
conoscendo cioè per ispirito di
profezia, incontanente
confortò i
compagnoni che
dovessero andare tosto,
ma sopravvegnendo i
messi di messere l'
apostolicato di
Roma fu fatto tornare adrieto, avvegna che di ciò molto
si turbasse e
facesse tristo. Allora il
Papa lo trasse
del monasterio suo e
ordinollo suo
diacono
cardinale.
Ad un tempo il
fiume de Tevero venne in sì grande
piena che uscì del
viaggio suo, e andò sopra il
muro di
Roma, e molte
case fece
pericolare. E allotta, per lo
detto
fiume, venne
moltitudine di serpenti con uno grande
drago e
discese nel mare; ma,
affogati de l'onde e de
la
tempesta e
arrivati a la riva, tutto l'
aere
corruppero
col loro
puzzo; e così ne nacque una piaga mortale che
si
chiama
volgaremente
anguinaia, in tal modo che,
eziandio
corporalmente, ad occhio furono vedute da
cielo
venire saette e percoteano
ciascheduno. La quale piaga
percosse prima di tutti Papa
Pelagio e
ucciselo sanza
dimoro neuno; poscia missesi mano a l'altro popolo
minuto che, sottraendo gli
abitatori,
moltitudine di
case
fece
abbandonare e lasciare vote in Roma.
Ma imperò che la Chiesa di Dio non poteva stare
senza rettore, tutto il popolo
elesse Grigorio, avvegna
che molto si ricusasse. Con ciò dunque fosse
cosa che
si
dovesse
benedire e quella sozzura guastasse il popolo,
fece una predica e,
faccendo la processione,
ordinò le
letane, e
ammonìo tutti che pregassono Dio
attentamente.
E sendo tutto il popolo ragunato a
pregare Iddio, in
tanto
crebbe quello male che
XC uomini morirono
ad una ora, cioè in uno subito insieme; ma neente si
rimosse però d'
ammonire lo popolo che non
cessasse
mai di
pregare Iddio insino a tanto che la misericordia
di Dio
degnasse di
cacciare via quella
pestilenzia. E
finita la processione, volse
fuggire, ma non poteo, però
che di dì e di notte si guardavano per lui
sollicitamente
le porte di Roma. A la perfine
mutò
abito e a pena
ebbe grazia d'alcuni mercatanti d'essere tratto fuori di
Roma, ed
entrò in una
botte ch'era sopra uno
carro. E
tosto se n'
andòe a le selve e,
andando
cercando
tane
da potersi nascondere, iv'
entrò e, tre dì stette nascoso.
Ma
essendo
andato
caendo
sollecitamente, una
colonna
splendiente di luce sì
apparve che pendea da
cielo sopra il
luogo dov'egli era nascoso; - ne la quale
colonna vidde
uno rinchiuso
angeli che salivano e scendevano, - e incontanente
è preso da tutto il popolo e tirato a la
cittade
e
consecrato Sommo Pontefice. E come malvolentieri
salisse a questa
altezza d'onore, chi legge le parole sue
apertamente se ne puote
accorgere; però che ne la Pistola
ch'elli mandò a
Narso, patricio,
dice così: "Quando
voi mi servite de l'
altura de la
contemplazione, voi mi
rinnovellate il pianto de la mia rovina; per ciò che io
hoe udito quello ch'io abbo perduto dentro, da poi ch'io,
indegno, son montato di fuori a l'
altezza di
reggimento.
E tanto mi
conosciate percosso di
tristizia che appena
sono sofficente a parlarne. Non mi
chiamate dunque
Noemi, cioè
bello, ma
chiamatemi
Mara, perch'io son
pieno d'
amaritudine". Anche
dice in un altro luogo:
"Voi che mi
conoscete pervenuto a l'ordine di vescovado,
se voi m'
amate, or piagnete, però che io piango
sanza rimanermene, e
priegovi che voi preghiate Dio
per me". E nel prolago sopra il
Dialago
dice così: "Per
cagione de la rangola pastorale l'
animo mio
patisce le
faccende de li uomini secolari, e dopo che sì
bella qualità
del
riposo suo è sozzato da la
polvere del fatto terreno.
Sì ch'io m'
avveggio bene di quello ch'io
patisco, e
avveggiomi
di ciò che abbo perduto; e mentre ch'io
ragguardo
quello ch'i' ho perduto,
fammisi più grave quello
ch'io soffero;
ecco che ora sono
commosso da le
tempeste
del grande mare e sono
scalfito da l'onde de la
forte
tempesta ne la
nave de la mia
mente e, quando
mi rammento de la vita di prima, quasi con gli occhi
volti indietro per vedere la riva, sì mando fuori
sospiri".
Ma imperò che la sopradetta
pestilenzia ancora guastava
Roma al modo usato, si
ordinò ad un tempo
Pasquareccio
la processione con le letane, per l'
attorneamento
de la
cittade. Ne la quale processione fece portare la
imagine de la
beata santa Maria sempre Vergine, la
quale, come si dice, è ancora a Roma ne la chiesa di
santa Maria Maggiore; la quale imagine si dice che la
formasse santo Luca, d'
arte medico e uno
bello
dipintore,
e
dicesi ch'ella somiglia molto per tutto la Vergine
Madonna santa Maria. Questa cotale imagine era portata
innanzi a la processione con grande reverenzia; ed
ecco
che tutta la
macula de l'
aere del
turbamento
dava luogo
a la imagine quasi come
fuggisse la
detta imagine e
non potesse patire la sua presenzia; e così dopo la imagine
rimanea maraviglioso
sereno e l'
aere tutto purificato.
Allora, come si dice, furono udite in
aere
voci
d'
angeli che
cantavano:
Regina coeli laetare alleluia
ecc.". E incontanente il
beato
arrogette, cioè
aggiunse,
quella parola che seguita a la fine, cioè:
"Ora pro nobis,
[deum] rogamus, alleluia". Allora san
Grigorio vidde in
sul
castello di
Crescenzio, che oggi è
chiamato
castello
sant'Angiolo, uno
agnolo di Dio che
forbiva uno
coltello
aguzzente, tutto insanguinato e
rimettello ne la guaina;
e intese per questo, il
beato Gregorio, che la
pestelenzia
era rimasa, e così fu. Onde quello
castello fu da indi
innanzi
chiamato
castello
Santagnolo.
A la perfine, sì come avea
disiderato, mandò in Inghilterra
Agostino e
Melito e Giovanni con alcuni altri,
e per li suoi
prieghi e per li suoi
meriti gli
convertìo
a la fede di Cristo.
E di tanta umilitade fu il
beato
Grigorio che in
veruno modo non
permetté d'essere lodato. Che a Stefano
vescovo, il quale l'avea molto lodato ne le sue
pistole, mandò così scritto: "Molto
favore e più ch'io
indegno non
debbi udire, m'
avete
dimostrato ne le vostre
lettere; e quindi è scritto: "Non lodare l'uomo mentre
che vive"; ma pertanto se io non
fui
degno d'udire cotali
cose,
priegovi che con le vostre orazioni ne sia fatto
degno, acciò che se voi
avete
detto che sia in me il
bene che non è, sì sia perché voi l'
avete
detto". Anche
ne la pistola che mandò a
Narso patricio, dice così:
"Però che
faccendo la
similitudine de la
cagione e del
nome
andate
formando per le scritture le
clause e le
declamazioni,
certamente,
fratello
carissimo, se tu
chiami
la misericordia leone, la quale
cosa noi veggiamo fare
per quello modo che noi
chiamiamo spesse volte
rognosi
i
catelli e leopardi, ovvero i serpenti". Anche ne la
pistola ch'elli manda a
Nastagio patriarca d'Antiochia:
"Di ciò che voi
dite ch'io sono
bocca di Dio per lucerna,
e
dite ch'io parlando
fo
prode a molti e a molti
posso
rilucere, impertanto per la mia intenzione
confesso che
voi l'
avete
detto per grande
dubitanza. Però ch'io
considero
quello ch'io sono e neente
comprendo in me segni
di bene di questi
cotali, e
considero chi voi siete e non
penso che voi possiate
mentire. E quando io voglio
credere
quello che voi
dite, sì mi dice contra la 'nfermità
mia, ma quando io voglio
disputare quello ch'è
detto
in mia laude sì mi
contradice la
santità vostra. Ma
considero,
adomando, o santo uomo, ch'alcuna
cosa si
concordi a voi di questa
battaglia che, se non è così
come voi
dite, sì sia come voi
dite".
Ancora rifiutava il
beato Gregorio tutti i vocaboli che
risonavano vantamento, ovvero vanitade al tutto; onde
ad
Eulogio patriarca d'Alessandria, il quale l'
aveva
chiamato universale Papa, iscrive in questo modo: "Nel
profazio de la pistola, la quale voi mi mandaste, una
parola di superbo
chiamare vi studiaste di metterv'entro,
dicendo ch'io
ero Papa universale. La quale
cosa
adomando a la
santità vostra
dolcissima che più non
lo
facciate, però che a noi si sottrae quello che si
dà
altrui più che non richiede la ragione. Io non
domando
prosperità di parole, ma di
costumi, né non riputo che
sia onore là ove io
conosco che i
frati perdono il loro
onore. Vadano dunque via le parole ch'
enfiano di vanità
e
impiagano la
carità".
Quinci venne che, con ciò fosse
cosa che
Joanni vescovo
di
Gostantinopoli usurpasse a sé nome de la vanità
e
avesse
fradolentemente
acquistato del
chericato
d'essere
chiamato universale Papa, infra l'altre cose
scrive così di lui san
Grigorio: "Chi è questi il quale
contra gli statuti del Vangelio e contra i
decreti de le
decretali è stato ardito d'usurpare a sé uno
novello
nome, voglia Dio che sanza unitade sia uno che
appetisce
d'essere universale?"
Ancora volea che fosse
detto parola di
comandamento
a sé e a vescovi e a
cherici; onde dice ne la pistola
che manda ad
Eulogio vescovo d'
Alessandra: "La vostra
santitade parla a me, così
dicendo: Sì come voi
comandaste per ciò ch'io
adimando che sia
rimossa la
parola di
comandamento dal mio udire, però ch'io so
chi io sono e chi voi siete; che al luogo siete a me
fratelli, e
a tali
costumi siete padri".
Ancora sopra tutto questo per la molta umilitade de
la quale elli era ornato, non volea che le
donne si
chiamassero
sue
ancelle. Onde scrivendo a la
Rusticana patricia,
disse così: "Una
cosa che tu mi mandasti
dicendo
ne le tue pistole, mi fu a
dispiacere; ché quella
cosa che potea stare una volta, sì era
detta più spesso,
cioè: "
Ancella vostra e
ancella vostra". Che io, il quale
per l'
incarichi del vescovado sono fatto servo di tutti,
per che ragione
di' tu che
se' mia
ancella? de la quale
io
fui propio anzi ch'io ricevessi il vescovado, e però
ti
priego per l'onnipotente Dio, che tu questa parola
non mi lasci trovare veruna volta ne le tue scritte che
tu mi mandi".
Questi fue il primaio che ne le sue lettere si
chiamò
servo de' servi di Dio, e
ordinò che si
chiamassero così
gli altri. San Gregorio i libri suoi,
almeno mentre che
fosse vivo, per la molta umilitade non voleva
palesare;
e in
comparazione de gli altri
estimava che i suoi valessero
nulla; onde ad
Innocenzio, uomo perfetto d'Africa,
iscrive così:
"Di ciò che voi
avete voluto che vi sia
mandato il
libro de la
sposizione di santo
Giob al vostro
studio ci
rallegriamo, ma se voi
disiderate d'ingrassare
di
dilizioso
pasto, leggete l'operette del
beato Agostino paesano vostro e, a
comparizione di quella
netta
farina non
andate
caendo la nostra
crusca, né
non voglio, mentre ch'io sono in questa
carne, se alcune
cose sono
avvenute ch'io abbia
dette, ch'elle sieno
leggermente manifestate"
.
Leggesi in uno
libro traslatato di greco in
latino che
uno santo padre, ch'
aveva nome l'
abate Giovanni,
essendo
venuto a Roma per visitare l'
orliquie de' santi
apostoli e abbiendo veduto passare il
beato Gregorio papa
per lo mezzo de la
città, sì li volle andare incontro e
farli riverenza come si
convenìa. E veggendo il
beato
Gregorio che quegli si voleva gittare in terra,
affrettossi
e gittossi prima in terra di lui dinanzi a lui, né
non si levò ritto mentre che 'l
detto
abate non si levò
imprima; e in ciò è lodata la grandissima umilitade di lui.
Di tanta largitade e di tante
limosine fue, che non
solamente a quelli ch'erano presenti, ma eziandio a
quelli da la lungi ed eziandio a monaci che stavano nel
monte
Sinai
facea servire ne le cose necessarie, ched
elli avea scritte le nomora di tutt'i
bisognosi, e sovvenìa
loro
diliberamente.
Ordinòe uno monasterio in Gerusalem, e a i servi di
Dio ch'
abitassono nel
detto luogo procacciò di mandare
quello ch'era loro
bisogno; ed anche tre milia
ancelle
di Dio
offerìa ogni
anno per loro
vivere continovo ottanta
libbre d'oro, e ogne
die a la sua mensa invitava
ciascuni
pellegrini. Intra quali un
die ne venne uno, al
quale volendo per la sua umilitade
dare de l'
acqua per
levare le mani,
volgendosi indrieto per torre l'
orciuolo,
subitamente colui, ne le cui mani elli voleva
dare l'
acqua,
non fu trovato; e con ciò fosse
cosa ch'elli si
maravigliasse fra se stesso di questo fatto, in quella
notte gli disse il Signore per visione: "Gli altri dì hai
ricevuto me ne' miei
membri, ma ieri mi ricevesti tu
in me medesimo".
Ad un altro tempo
comandò al
cancelliere suo che
invitasse
dodici pellegrini a mangiare. Quelli andò e
compiette
il
comandamento. E, mangiando insieme con loro,
puose
mente il Papa a li pellegrini, e
annoveronne tredici;
e
chiamato il
cancelliere sì 'l
domandò perch'egli
era tanto
presentuoso d'avere invitati più che li fosse
comandato. E 'l
cancelliere
annoveròe e
trovonne pure
dodici, allora disse: "
Credimi padre, ellino non sono
se non
dodici".
Accorsesi Gregorio d'uno di loro che
li stava più d'
appresso, che spesse volte mutava la
faccia, che ora si mostrava giovane e ora vecchio d'una
cotale
canutezza di riverenza; e
compiuto il
convito, sì
il menòe in
camera e
scongiurollo
fortemente che li
dovesse
dire e manifestare chi elli fosse e come
avesse
nome. E quelli rispuose e disse: "E perché
domandi
tu del nome mio, lo quale si è maraviglioso? ma sappi
ch'io sono quello rotto in mare a cui tu
donasti la scodella
de l'
argento, la quale tua madre t'avea mandata
co' legumi; e questo ti sia
conto per
certo che, da quello
die che tu la mi
desti, ti predestinòe
Domenedio per soprastante
a la Chiesa sua e successore di santo Piero
apostolo". Al quale disse Gregorio: "E tu come il sai
che 'l Signore
destinasse allora ch'io
soprastessi a la
Chiesa sua?" E quelli disse: "Però ch'io sono l'
angelo
suo e 'l Signore m'ha ora rimandato a te, e perché
tu possa per me medesimo impetrare
appo lui ciò
che tue
domanderai". E incontanente
disparette da lui.
In quello medesimo tempo e' fu uno
romito di grande
virtude che avea
abbandonato ogne
cosa per
Domenedio,
e neuna
cosa possedeva fuori che una gatta la quale si
tenea per sua
abitatrice e spesse volte nel suo grembo
sì la trastullava.
Fece questi orazione a Dio che gli
degnasse mostrare con cui
dovesse avere speranza d'essere
rimunerato in vita
eterna; il quale per lo suo nome,
ovvero
amore, non possedea neente de le ricchezze di
questo
mondo.
Sì che una notte gli fu rivelato che
dovesse
sperare d'avere luogo in Paradiso con Gregorio
papa di Roma. Allora quegli
fortemente piangendo pensava
che poco gli fosse giovato la
volontaria povertade
se
dovea ricevere guidardone con colui il quale
abbondava
di
cotante ricchezze del
mondo. E con ciò fosse
cosa che 'l dì e la notte
suspirasse per la
comparazione
de le ricchezze di Gregorio a la sua povertade, l'altra
notte udìe una
voce da Dio che li disse: "Con ciò sia
cosa che 'l
disiderio de le ricchezze
faccia l'uomo ricco
e non il
possederle, perché
se' tu ardito d'
assimigliare
la tua
povertà a le ricchezze di Gregorio, ché tu
se'
provato d'
amare più la gatta che tu hai, tuttodì
allettigiandola,
che non fa elli di
cotante ricchezze le
quali non
amando, ma
disprezzando largamente sparge
donando a tutti". Sì che quello solitario rendéo grazie
a
Domenedio, ed elli che avea pensato che fosse menovato
il
merito suo per essere
aguagliato a santo Gregorio,
sì pregòe
Domenedio che 'l
facesse
degno di ricevere
luogo con esso lui.
Essendo
accusato di
falso a lo 'mperadore
Maurizio
e a' suoi
figliuoli sopra la
morte d'alcuno vescovo,
così
dice ne la pistola, la quale manda a lo scrittore
suo: "Una
cosa è la quale io voglio che tu
dica
brievemente
a'
segnori nostri: che se io loro servo m'
avesse
voluto inframettere de la
morte, ovvero del
danno de'
Longobardi, non
avrebbe
ro oggi né re, né
duca, né
conte
e
starebbonsi ne la sua vergogna, ma imperò ch'io
temo
Iddio, ho paura di
mischiarmi ne la
morte di
ciascuno
uomo". Ecco quanta umilitade, ché
essendo Sommo Pontefice
sì si
chiama servo de lo imperadore e lui
appellava
per suo segnore! Ecco quanta puritade, ché non
volea
acconsentire ne la
morte de' suoi nemici, con ciò
fosse
cosa che
Maurizio imperadore perseguitasse Gregorio
e la Chiesa di Dio. Infra altre cose scrisse a lui
Gregorio: "Imperò ch'io sono peccatore,
credo che voi
pacifichiate a me l'onnipotente Dio tanto più quanto
voi m'
affliggete
malservente a lui.
Sì che una volta uno, ch'era vestito de l'
abito
monachile,
sanza paura veruna stette ritto presente dinanzi
a lo 'mperadore, e teneva ne la mano
diritta una
spada insanguinata; la quale,
crollando contra di lui,
predisseli
che
morrebbe di quello
coltello. Spaventato adunque
Maurizio rimasesi di perseguitare Gregorio, e
domandolli
che
dovesse
pregare Iddio per lui
perseverantemente,
acciò che Dio il punisse de' suoi mali in questa vita e
non lo serbasse a punire a l'ultimo giudicio.
Sì che una volta
Maurizio vidde se stare dinanzi a
la sedia del giudice e udì gridare il giudice: "
Datemi
Maurizio!" E
prendendolo i ministri, sì lo puosero dinanzi
al giudice; e disse il giudice a lui: "
Dove vuoli
tu ch'io ti paghi de' mali che tu hai
fatti in questo
mondo?" E quelli rispuose: "
Pagamene anzi qui, messere,
e non ne l'altro
mondo". Immantinente la
divina
boce
comandò che
Maurizio e la moglie e'
figliuoli e
le
figliuole fossero
dati in mano di
Foca
cavaliere, e
d'essere morti. E così fue che non passòe grande tempo
che uno
cavaliere che avea nome
Foca, che stava con
lo imperadore, sì lo uccise con tutta la sua
famiglia, e
fu imperadore dopo lui.
Essendo una volta san Gregorio a santa Maria
Maggiore, là ove sta la imagine de la
beata Vergine
Maria la quale
dipinse santo Luca, per
dire la
Messa il
die de la
Pasqua, quando venne a
dire:
"Pax Domini
sit semper vobiscum", e l'
angelo di Dio rispuose ad
alta
voce:
Et cum spiritu tuo". Laonde il Papa
fe
la stazzone il
die de la
Pasqua a la
detta chiesa, e a
memoramento e testimonianza di questo miracolo quando
dice:
"Pax Domini" non gli è risposto.
Ad un tempo che
Traiano imperadore s'
affrettava
molto d'andare a una
battaglia, una vedova gli si
parò
dinanzi piangendo e
dicendo: "Io ti
priego che tu
debbi
fare vendetta del sangue d'uno mio figliuolo ch'è morto
sanza
colpa veruna". E
dicendole Troiano che ne la
vendicherebbe se tornasse sano, la vedova disse: "E
chi mi
farà ciò, se tu morrai ne la
battaglia?" E
Traiano disse: "Quelli che sarà imperadore dopo me".
Disse la vedova: "Or che
pro' fia a te, s'altri mi
farà giustizia?" Disse
Traiano: "Certo veruno
pro'".
Disse la vedova: "Or non è meglio a te che tu mi
facci ragione tu,
e per ciò tu n'abbia mercede, che
tu la lasci a fare ad altra persona?" Allora
Traiano
si mosse a pietade, e scese a terra del
cavallo, e
quivi
vendicò il sangue di quello innocente.
Dicesi ancora:
cavalcando uno figliuolo di
Traiano per
Roma, entro
andava scorrendo molto villanamente, sì
che intervenne che uccise il figliuolo d'una vedova.
La qualcosa
rispiando la
detta vedova con molte
lagrime
a
Traiano, egli tolse il suo propio figliuolo che
avea fatto quello male, e
diedelo a la vedova in luogo
del suo figliuolo morto, e sì la
dotòe grandemente. Sì che
una volta morto già lungo tempo dinanzi
Traiano, passando
santo Gregorio per lo mercato di
Traiano,
essendosi
ricordato di questa cotale mansuetudine di giudice,
giunse a la chiesa di messer san Piero, e quiviritto
pianse
amarissimamente per l'
errore di colui. Allora
gli fu risposto da Dio: "
Ecco che io abbo
adempiuta
la tua
adomandazione e ho perdonata la
eternale pena
a
Traiano; ma da quinci innanzi ti guarda
diligentissimamente
di non fare
preghiere per veruno
dannato".
Ma Giovanni
Damasceno, in uno suo sermone,
narra
che Gregorio
faccendo
priego a Dio per
Traiano, sì udì
una
voce che gli venne da Dio, e disse così: "Io hoe
udita la
voce tua, e ho
conceduto perdonanza a
Traiano".
De la quale
cosa, come quelli dice quivi medesimo,
si n'è testimonio il levante e ponente. Sopra di ciò
dissero
alquanti che
Traiano fue rivocato a vita
laove
conseguendo
la grazia
meritò il perdono e così
acquistòe
la gloria, né non era ne lo inferno
finalmente
diputato,
né
dannato d'
infinitiva sentenzia.
Altri sono che
dicono che l'
anima sua non fue simigliantemente
prosciolta dal male de la pena, ma fue
sospesa la pena a tempo, cioè insino al
die del giudicio.
Altri sono che
dicono che la pena, quanto al luogo,
ovvero quanto ad alcuno modo di tormento, fu
diterminata
a
condizione, infino a tanto che l'orazione di santo
Gregorio, per la misericordia di Cristo, fosse
mutato
luogo, ovvero alcuno modo. Altri sono che
dicono, come
l'uno Giovanni
Diacono il quale
ordinò questa leggenda,
che non si truova ch'elli orasse, ma pure pianse;
e spesse volte
Domenedio
faccendo misericordia
concede
quella
cosa la quale l'uomo, pognamo che la
desideri, non
l'
ardisce a
chiedere, e che l'
anima di colui non è
campata
da l'inferno e riposta in Paradiso, ma semplicemente
dilibera da i tormenti de l'inferno. Però che 'l bene
puote, ciò si dice, essere l'
anima ne l'inferno
e i tormenti
de l'inferno non sentire per la misericordia di Dio.
Altri sono che
dicono che la pena
eternale sta in
due cose, cioè in pena di
sentimento e in pena di
danno,
la quale è a perdere il vedere di Dio. Sì che la pena
eternale gli è perdonata quanto al primo, ma ritenuta
quanto al secondo.
Dicesi ancora che l'
angelo
aggiunse
questa parola: "Però che tu pregasti per lo
dannato,
de le
due cose t'è
dato a prendere l'una: o tu sarai
tormentato
due dì in
purgatorio, o tu sarai
certamente
affaticato da infermitadi e da
dolori per tutto il tempo
de la vita tua. Ed egli
elesse innanzi d'essere
addolorato
tutto il tempo de la sua
vita, anzi che stare
ne' tormenti di
purgatorio
due dì. Onde così intervenne
che da indi innanzi e' fu
affaticato di
febbri, ed
ebbe
la
podagra, cioè le gotte, e fu tribolato da
forti
dolori,
e fu tormentato mirabilemente dal
dolore de lo
stomaco.
Onde in una pistola parla così
dicendo: "Da tanti
dolori
di
podagra e di
molestie sono premuto che la vita mia
m'è una gravissima pena, che ogne
die vegno meno in
dolore
e,
aspettando lo rimedio de la
morte, sì
gitto sospiri".
Ancora
dice in un altro luogo: "Il
dolore mio alcuna
volta m'è lento e alcuna volta m'è troppo, ma
non è sì lento che vada via, né sì troppo ch'elli uccida.
Onde
addiviene ch'io che sono in gravissima sentenzia
de la
morte, tutto dì sono scacciato da la
morte; e così la
sozzura del
nocevole omore mi
succia tutto quanto, sì che
il
vivere sì m'è pena e la
morte
aspetto
disiderosamente,
la quale sola
credo che sarà rimedio a li miei pianti".
Una
donna offereva ogne
Domenica pane a san
Gregorio; il quale offerendo con lei dopo la
Messa il
corpo del Signore
dicendo:
"Corpus Domini nostri Jesu
Cristi custodiat te in vitam eternam", e quella sorrise
miseramente. Sì che elli incontanente
isvolgendo da
la
bocca di colei la mano
diritta,
dipuose in su l'
altare
quella parte del
corpo di Cristo e poi, dinanzi a
tutto il popolo,
domandò quella
donna perch'ella avea
avuto
ardimento di ridere. E quella disse: "Perché il
pane, che io avea fatto con le mie mani propie, tu l'
appellavi
corpo del Signore". Allora san Gregorio si gettò
in orazione per la
discredenza di quella
femmina e, levandosi
da l'orazione, trovò che quella particella del
pane era fatta
carne a simiglianza di Dio; e in questo
modo recòe la
detta
donna a la fede. Oròe un'altra
volta e quella
carne vidde
convertire in
forma di pane
e
diedelo a la
donna a prendere.
Alquanti
baroni che li
domandavano alcune preziose
reliquie,
diede un poco de la
dalmatica di santo
Giovanni
vangelista; le quali
orliquie
coloro ricevettono e,
riputandole come vile
orliquie, sì le renderono con grande
indegnazione. Allora san Gregorio, fatta l'orazione,
chiese uno
coltellino e
punse un poco quello panno; de la
quale puntura
uscìi
'mmantanente sangue; e così fu mostrato
loro da Dio come fossero preziose quelle reliquie.
Uno grande ricco uomo di Roma, abbiendo lasciata
la moglie, era stato privato de la
comunione del
Papa; la quale
cosa recandosi quelli molto a noia, ma
non potendo
contastare a l'
autorità di
cotanto Pontefice,
richiese l'
aiuto de l'
incantatori de le
demonia; i
quali
co' loro versi promissero di
far sì che 'l
demonio
enterrebbe in
corpo al
cavallo, e tanto il
conturberebbe
ched elli col
cavalcatore
pericolasse. E con ciò
fosse
cosa che Gregorio alcuna volta
cavalcasse,
entrato
il
dimonio nel
cavallo, l'
incantatori il
fecero tanto
tormentare sì
fortemente che non potea essere tenuto
da persona. Allora san Gregorio, come lo Spirito Santo
gli rivelò,
cognoscendo il
sottomettimento del
diavolo,
fatto il
segno de la santa Croce, liberòe il
cavallo de
la presente rabbia, e
condannòe quelli
incantatori ad
essere perpetualmente
ciechi; i quali,
confessando il
peccato loro, pervennero poi a la grazia del santo
battesimo.
A i quali non volse rendere il vedere, acciò che
non
ripigliassero la mal
arte; ma pertanto il fece nutricare
del bene de la chiesa.
Leggesi uno
libro, che i Greci
chiamano
Lymon,
che l'
abate, il quale
soprastava al monasterio di santo
Gregorio Papa, sì li
denunziò che uno monaco avea
appo sé tre monete; lo quale san Gregorio
iscumunicòe
per fare paura a gli altri.
Da ivi a poco tempo morì quello
frate non sapiendo
nulla san
Grigorio; il quale sì tosto come seppe ch'elli
era morto sanza l'
asulizione, scrisse in una
carta l'orazione
per la quale elli l'
assolvea dal
legame de la scomunicazione,
e
diede la
carta ad uno
diacono e
comandolli
che la leggesse sopra la
fossa del
frate ch'era
morto. Quegli
compiette il
comandamento; e la seguente
notte colui ch'era morto
apparette a l'
abate, e disse
così: "Infino ad ora sono stato sostenuto o in guardia,
ma da ieri in qua sono stato
assoluto".
L'Officio e 'l
canto de la Chiesa e anche la
scuola di
cantori ordinòe, e poscia fece fare
due
abituri
l'uno a lato a la chiesa di san Piero, e l'altra a santo
Giovanni Laterano, nel quale luogo infino al dì d'oggi
è riservato con grande reverenza il luogo suo, nel quale
seggendo insegnava il
canto, e anche la
ferza con la
quale minacciava i
fanciulli, con esso l'
antefanario
autentico.
E ne la segreta puose questa parola: "Li dì
nostri ordina ne la tua pace, e
comanda che noi siamo
liberati da la
eternale
dannazione, e
annumerati a la
schiera de' tuoi
eletti".
A la perfine il
beato Gregorio,
essendo stato ne la
sedia
papale
XIII anni e
sei mesi e
X dì, pieno di
buone
opere,
uscìe del
corpo. Nel cui sepolcro sono scritti questi
versi:
Ricevi, o terra, il corpo tolto del corpo tuo,
Acciò che tu il possa rendere, risucitandolo Iddio.
Lo spirito adimanda le stelle, le ragioni de la morte non li noceranno
neente,
De la cui vita l'altrui morte è maggiormente essa vita.
Del Pontefice sovrano si racchiudono le membra in questo sepolcro,
Il quale vive sempre in ogne luogo di beni sanza numero
Le fami soperchiava con le vivande e i freddi col vestimento
E coperse gli animi del nemico con li santi ammonimenti.
E adempieva per opera ciò che ammaestrava in parola
Acciò che fosse essemplo a li altri parlando le sante parole.
A Cristo convertio gli Inghilesi maestri
De le pietadi acquistando ischiere di novelle gente a la fede.
Questa fatica, questo studio, questa rangola avea il pastore.
Acciò che offeresse al Signore molti guadagni de la greggia.
Erano
scorsi gli
anni
della incarnazione del Signore
DCVI al tempo di Foca imperatore.
Dopo la
morte di san Gregorio, de l'
anno de l'incarnazione
del nostro Signore
DCVI, per tutta quella
contrada fu sì grande la
fame che i poveri, i quali san
Gregorio soleva pascere largamente, venivano al suo
successore e
dicevano: "O messere, non ci lasciare
morire di
fame, la tua
Santitade, i quali il nostro padre
Gregorio solea pascere!" Per le quali parole il Papa,
crucciato, rispondea sempre in cotale modo: "Se Gregorio
ebbe
cura di ricevere tutti i poveri per
accrescere
sua
fama d'essere lodato, noi per noi non li potremo
pascere". E così sempre gli rimandava a
casa loro
sanza veruno bene. Per la qualcosa san Gregorio
apparìo
al
detto Papa tre volte e, con piane parole, lo riprese
de la sua
tenacità e del suo mal
dire; ma quelli non
si
brigò d'
amendare di nulla. Ond'elli
apparìo la quarta
volta e ripreselo terribilemente e
percosselo nel capo
mortalmente;
per lo quale
dolore
angosciato in poco tempo
finìo la sua vita.
Sì che
essendo ancora la
detta
fame, alcuni
astiosi
incominciarono a
dire male di san Gregorio,
affermando
ch'elli avea tutto il
tesoro de la Chiesa
consumato sì
come uomo
iscialacquatore. Onde per fare vendetta di
ciò, inchinarono gli
animi di tutti ad
ardere i libri suoi.
De' quali
abbiendone già
arsi alcuni e volendo
ardere gli
altri, Piero
diacano, suo molto
familiare, col quale avea
disputato in
quattro libri del
Dialago, sì si dice che
contrastette
fortemente,
affermando che questo non valea
niente a spegnere la sua memoria, con ciò fosse
cosa
che in
diverse parti del
mondo si sapessero gli
assempli
de' detti libri fossero,
aggiugnendo ancora che grande
sacrilegio era ad
ardere i libri di
cotanto padre, e cotali
libri e tanti; sopra il cui capo elli avea veduto spessissime
volte lo Spirito Santo in
similitudine di
colomba.
A la perfine gli
condusse a questa sentenzia, che se
quello ch'egli avea
detto
confermasse con
giuramento
e
meritasse di
morte, incontanente
coloro si rimarrebbero
de l'
arsura de' libri; ma se non
avesse
meritato
di
morte, ma fosse soprastante di testimoniare, colui sì
darebbe loro
aiuto ad
ardergli. E così il venerabile
diacono Pietro vegnendo parato come
diacano col
libro
del santo Vangelo in
braccio, sì tosto come
ebbe toccato
il
libro de' santi Vangeli e
dato testimonianza a
la
santitade del santo Gregorio, fatto
stranio da la
falsitade
e dal
dolore de la
morte, fra le parole de la verace
confessione, mandò fuori lo spirito.
Alcuno monaco del monasterio di san Gregorio
avea ragunato
appo sé alcuno
peculio, sì che il
beato
Gregorio,
apparendo a un altro monaco, disse che gli
dinunziasse
che quello
peculio
dovesse spargere a' poveri
e fare penitenzia, però che
dovea morire al terzo
die.
Quelli udendo ciò,
fortemente si
sbigottìo, fece penitenzia
e rendette il
peculio e incontanente fu preso da la
febbra, intanto che da la mattina per tempo del terzo
die
infino a l'ora de la terza, per lo troppo incendio che sentiva,
gittando la lingua da la
bocca parea che volesse
mandare fuori il sezzaio
fiato. Ma li monaci che gli stavano
d'intorno
dicendo salmi dinanzi a lui, a la perfine
lasciando di
dire i salmi incominciarono a
dire male di
lui, ma quegli incontanente
rinvigorendo,
commosse gli
occhi così sorridendo, e disse: "Iddio il vi perdoni,
frate
miei! or perché
avete voluto
dire mal di me? ché voi
m'
ingeneraste uno
impedimento non piccolo, imperò che
sì da voi come dal
diavolo,
essendo
accusato ad un tempo,
non sapeva a quale
accusa io rispondesse prima; ma
se per veruno tempo voi vedrete alcuno che passi di
questo
mondo, non
dite male di lui, ma
abbiateli
compassione,
come quelli che va a la sentenzia di così
distretto
giudice col suo
accusatore. Però che io sono stato a la
sentenzia dinanzi al
diavolo, e
aiutavami san Gregorio,
a tutto ciò che mi fu
apposto rispuosi troppo bene; ma
pure d'una
cosa
convinto sì mi vergognai, per la quale,
sì come voi vedeste, io sono così
gravemente tormentato,
e ancora non mi sono potuto liberare". E
dimandando i
frati perché fosse, quegli disse: "Io non lo
ardisco a
dire, imperò che quando mi fu
comandato da san Gregorio
ch'io
dovessi venire a voi, il
diavolo si
rammaricòe
molto di ciò, pensando che Dio mi rimandasse a fare penitenzia
per quella
cagione; per la quale
cagione io
diedi
mallevadore san Gregorio di non revelare altrui la
briga
che m'era mossa". E a mano a mano gridò e disse:
"O Andrea, Andrea, unguanno perischi tu che per lo mal
consiglio mi
costrignesti al
pericolo!" E immantanente
travolse terribilmente gli occhi, e mandò fuori lo spirito.
Ora era uno uomo in Roma
chiamato Andrea, il quale
in quello punto che 'l monaco morendo gli mandò la
bestemmia
del
pericolo,
cadde in sì grave infermitade che
cascandoli le
carni d'
addosso,
consumare si potea, ma
morire non potea. Allora il monaco del monasterio di
san Gregorio fece
chiamare li
frati, e
confessòe ch'egli
avea tolte col
detto monaco
certe
carte del monasterio e
che per prezzo ch'elli n'avea ricevuto l'avea
date a
strane
persone: incontanente, colui che non potea morire, fra
le parole de la sua
confessione mandò fuori lo spirito.
In quello tempo, come si legge ne la vita di santo
Eugenio, tegnendosi da le
chiese l'Officio Ambrogiano
più che
Gregoriano, il Papa di Roma, che avea nome
Adriano, ragunò il
consiglio, là ove fu ordinato che
l'Officio
Gregoriano si
dovesse osservare universalmente.
De la quale
cosa
Carlo imperadore
essendo stato
essecutore,
scorrendo per
diverse provincie,
costrignea, con
minacce e con tormenti, tutti i
cherici a ciò fare, e in
ogne parte
ardeva i libri
dell'Officio
Ambrosiano, e molti
cherici che gli rubellavano, sì mettea in prigione. Sì che,
andando il vescovo Eugenio al
Consiglio, trovòe il
detto
Concilio già isciolto per tre dì, e col suo senno indusse
messere lo Papa a tanto che gli fece richiamare tutt'i
prelati ch'erano stati presenti al
Concilio e già s'erano
partiti per tre dì. Sì che, richiamato il
Concilio, tutti
quant'i vescovi s'
accordarono ad una sentenzia, di porre
in su l'
altare di messer san Piero il messale
Ambrosiano
e
Gregoriano; e serraronsi molto bene le porte de la
chiesa, e
suggellarsi, con
suggelli di molti vescovi, molto
diligentemente e eglino stessono tutta la notte in orazione
acciò che Iddio, per alcuno
segnale, rivelasse quale di
questi
due fosse più tenuto da le
chiese secondo il suo
volere. E così
faccendo come
avevano ordinato,
aprirono
la mattina le porte de la chiesa e trovarono l'uno messale
e l'altro aperto in su l'
altare, ovvero, com'altri vogliono
dire, trovarono il messale
Gregoriano tutto
squadernato
e sparto qua e là, ma il messale
Ambrosiano
trovarono solamente aperto sopra l'
altare in quello medesimo
luogo là ove l'
aveano posto. Per lo quale
segnale
furono
ammaestrati da Dio che lo Offizio
Gregoriano si
dovesse
ispargere per tutto il
mondo, ma lo
Ambrosiano
si dovesse
conservare solamente ne la sua chiesa. E così
ordinarono i santi Padri com'egli erano stati
ammaestrati
da Dio, e così s'osserva insino al dì d'oggi.
Racconta Giovanni
diacano, il quale
compuose la
vita di san Gregorio, che mentre ch'elli
componea la sua
vita, uno uomo
acconcio a modo di prete,
dormendo lui,
appareva
ch'elli scrivesse a lume di lanterna, sì li venne
innanzi; il quale avea un vestimento disopra d'uno panno
sottilissimo ed era sì
candidissimo che per la sua
chiarezza
appariva la nerezza de la tonica disotto. Costui
gli andò da presso e, con la
bocca
enfiata, non si
poté
tenere di ridere. E
domandollo
Joanni perché uno uomo
di grave officio ridesse così
dissolutamente; quegli disse:
"Perché tu scrivi de' morti che tu non vedesti mai
vivi". Al quale disse
Joanni: "E s'io non
conobbi con
la
faccia, impertanto io scrivo di lui quello ch'io n'ho
saputo per
leggere". E quelli disse: "Io veggio che
tu hai fatto come tu t'hai voluto, e io non
cesserò di fare
quello ch'io potrò". E incontanente gli spense il lume
de la lanterna e
spaventollo sì malamente che pensava
essere da lui morto a
ghiado. E incontanente fu presente
san Gregorio,
accompagnandolo dal lato ritto san
Niccolò,
dal manco Piero
diacono, e disse a lui: "Uomo di
poca
fede, perché
dubitasti?" E
nascondendosi l'
avversario
nemico dopo la
cortina del letto, tolse san Gregorio di
mano a Piero
diacano una
faccellina accesa, la quale pareva
che quegli
avesse, e con la
fiamma di questa
faccellina
incese la
bocca e 'l volto a l'
avversario e
annerollo
come uno saracino. E
caggendo una
favilla piccola in
sul vestimento
bianco, sì l'
arse tostamente, e incontanente
apparve tutto nerissimo. Disse Piero
diacono al
beato
Gregorio: "
Assai l'
abbiamo
annerato". Disse Gregorio:
"Noi non l'
abbiamo
annerato, ma
abbiamo mostrato
com'elli è nerissimo". E così vi lasciarono molto
lume e partironsi i
benedetti santi.
cap. 47, S. Longino
Longino fue uno
conostabile di
cento
cavalieri, il quale
stando presente a la Croce di Cristo, per
comandamento
di Pilato
foròe con la lancia il lato di Cristo e, veggendo
i segnali che si
facevano, cioè il sole oscurato e li
tremuoti,
credette in Cristo. E
massimamente per questo,
come vogliono
dire
alquanti, che
essendo accecato de
gli occhi per infermità, ovvero per vecchiezza, per
avventura
furono tocchi gli occhi del sangue di Cristo
scorrente giù per la lancia, e immantanente vidde lume
chiaramente. Onde rinunziando a la
cavalleria, ammaestrato
da li
apostoli in Cesarea di
Cappadocia, menòe
vita
monachile
XXVIII anni e
convertinne molti a Cristo
con parole e con
asempri.
Ed
essendo preso dal preside e non vogliendo fare
sacrificio,
comandò il preside che gli fossero tratti tutti
i
denti di
bocca e tagliatogli la lingua; ma pertanto non
perdette la
favella
Longino, ma, prendendo
sicuramente
sicurtade,
istritolòe tutti gl'idoli e tutti gli
spezzòe così
dicendo: "Noi vedremo sed elli sono iddei".
Sì che le
demonia,
uscendone de l'idoli,
entrarono nel
preside e in tutti i suoi
compagni e, impazzando e
latrendo,
sì si gettarono a' piedi di
Longino. Disse
Longino
a le
demonia: "Perché
abitate voi ne l'idoli?" E quelle
rispuosero: "Là ove Cristo non è nominato e non è
posto il suo
segnale, quivi è
abitazione nostra".
Con ciò dunque fosse
cosa che 'l preside fosse impazzato
e
avesse perduto gli occhi, disse a lui
Longino:
"Sappi che tu non potrai essere guarito se non quando
tu m'
avrai morto, ché, si tosto com'io sarò morto da te,
pregherò per te e
accatterotti la santade del tuo
corpo e
anche de l'
anima". E immantanente
comandò che gli
fosse tagliato il capo. Dopo questo andò al
corpo e, gittatosi
in terra con
lagrime, fece penitenzia e immantanente riebbe
il vedere e fu sano e
finìe la sua vita in
buone opere.
cap. 48, S. BenedettoBenedetto, nato de la provincia di
Nursia,
essendo
mandato a Roma a studiare ne l'
arti liberali, in sua
fanciullezza lasciò stare la lettera e
fermossi d'andare
al
deserto; e tennegli dietro la
balia sua, la quale l'
amava
molto
teneramente, infino ad un luogo che si
chiama
Eside; nel quale luogo
accattòe in prestanza uno
vaso
per
mondare grano; e
abbiendolo posto in su la mensa
non
saviamente,
cadde e cosìe il trovòe rotto in
due pezzi. Veggendo san Benedetto piagnere costei, tolse
i pezzi del
vaso e, levandosi da l'orazione,
trovollo interamente
risaldato. Poi
fuggì di
nascoso a la
balia in
uno luogo dov'elli stette tre
anni sanza essere
conosciuto
da uomo, trattone che da Romano, uno monaco che avea
così nome, il quale il provvedea
continuamente di quello
che gli era di
bisogno. E non abbiendo via dal monisterio
di Romano a la spelonca dove san Benedetto
abitava,
sì legava il pane ad una
fune molto lunga e in
questo modo
costumava di mandargliele laggiù dove
stava. Anche avea posta una
campanella a la
fune, acciò
che a quello suono
conoscesse l'uomo di Dio l'ora che
Romano gli
dava il pane, e uscendo fuori sì 'l prendea.
Ma l'
antico nimico abbiendo invidia a la
caritade de
l'uomo e al pascimento de l'altro, sì gittò una pietra e
ruppe la
campanella, ma pertanto il
detto Romano non
volle
abbandonare di servire.
Dopo questo
apparette il Segnore per visione a uno
prete, il quale s'
apparecchiava da mangiare per la solennità
de la
Pasqua, e disse a lui: "Tu t'
apparecchi le
vivande a te, e 'l servo mio si muore di
fame in quello
luogo". E quelli si levò incontanente e, trovando colui
con grande malagevolezza, sì li disse: "Leva su e
prendiamo il
cibo, imperò che gli è la
Pasqua del Signore
oggi". Al quale disse Benedetto: "Bene so che gli è
Pasqua, perch'i' ho
meritato di vederti". Perch'egli era
dilungato da li uomini, non sapeva che in quello
die fosse
la solennitade de la
Pasqua. Allora disse il prete: "
Veramente
è oggi il
die di
Resurresso; non ti
conviene fare
oggi
astinenza, che però sono io mandato a te". E così,
benedicendo
Domenedio, presero il
cibo e mangiarono.
Uno
die intervenne che uno uccello nero, il quale
ha nome merla, gli volava intorno a la
faccia molto
improntamente, in tale modo che l'
avrebbe potuta pigliare
con mano; ma fatto il
segno de la santa Croce l'
ugello
si partìe. E immantanente gli recò il
diavolo a la
mente
una
femmina, la quale
aveva già veduta, e con tanto
fuoco
accese l'
animo suo ne la
bellezza di colei, che
poco meno ch'elli non
diliberòe di lasciare l'
ermo come
vinto da male
diletto. Ma subitamente, per la
divina
grazia, ritornato in se medesimo, incontanente si spogliò
ignudo e tanto si rivoltò ne le spine e ne'
pruni, che
erano ivi presente, che ne uscì fuori con tutto il
corpo
piagato, e per le piaghe de la
pelle trasse fuori la piaga
de la
mente, sì che vinse il peccato però che mutòe
l'
arsura. Di quello tempo innanzi non
ebbe poscia tentazione
veruna nel suo
corpo.
Crescendo dunque la sua
nominanza,
essendo morto
l'
abate d'uno monisterio, tutta la
congregazione di
quello monisterio venne a lui e
domandarogli che
dovesse
essere sopra loro. E quegli, lungo tempo
negando di non
volere essere,
diede indugio e predisse loro che non si
potevano bene
convenire i suoi
costumi con quelli de'
frati; ma a la perfine, pure vinto,
acconsentìo. E con ciò
fosse
cosa che elli
costrignesse d'essere tenuta
distrettamente
nel
detto luogo la regola, i
frati riprendeano
loro medesimi di ciò che l'aveano
domandato ch'elli fosse
sopra loro, ciò era perché la loro
tortezza s'offendea
ne la regola de la sua
dottrina e
dirittura. E veggendo
coloro che le cose illicite non erano licite ad usare con
lui, e
continuamente
convenìa loro lasciare le cose usate,
mischiarono il veleno col vino e
portarogliele a
bere.
Ma san Benedetto fece il
segno de la santa Croce, e incontanente
fu rotto il
bicchiere del
vetro, come fosse una pietra
che vi fosse entro gittata. Sì che intendendo che quello
vasello
aveva
avuto in sé
beveraggio di
morte, lo quale
non avea potuto
comportare il
segno de la vita, levossi
incontanente ritto e disse con piacevole
faccia: "Abbia
Dio onnipotente misericordia di voi,
frati! or non vi
diss'io
che i miei
costumi non si
convenivano
co' vostri?"
Allora tornò al luogo de la
amata
solitudine, nel
quale luogo
moltiplicando i segnali e vegnendo molte
persone a lui, sì ordinòe
dodici monasteri.
In uno di quelli monasteri avea uno monaco il quale
non poteva stare
a lungo in orazione; ma, quando gli altri
oravano, sì usciva fuori e pensava de le cose
terrene
e
passatoie. La quale
cosa abbiendo narrato l'
abate di
quello monasterio a san Benedetto,
andòe là e vidde
che un
fanciullino nero traeva fuori per l'
orlo del vestimento
quello monaco che non poteva stare in orazione,
e disse a l'
abate del monasterio e a Mauro monaco:
"Or non guatate voi ch'è colui?" E abbiendo
coloro
detto che no, sì disse: "Ora stiamo in orazione,
acciò che noi e voi il veggiamo". Stando loro in orazione
Mauro il vide, ma l'
abate non lo poteo vedere.
Sì che
compiuta l'orazione quello
die, l'uomo di Dio
trovò quello monaco fuori, lo quale elli percosse con la
verga per la sua
cecagione, e d'allora innanzi stette
fermo in orazione; e così l'
antico nemico non fu ardito
di signoreggiare nel pensiero di colui quasi come s'elli
medesimo fosse stato
battuto con quella
battitura. Di
questi monasteri n'erano tre in su le pietre del monte
disopra, e
conveniva loro per andare
attignere l'
acqua
disotto con molta grande
fatica; e con ciò fosse
cosa
che quelli
frati
avessono
pregato l'uomo di Dio spesse
volte ch'elli rimutasse quelli monasteri, una notte salìo
in su lo monte con uno garzone; nel quale luogo, orando
lungo tempo, tre pietre vi puose per
segnale, e
essendo
tornato a
casa e venuti i
frati a lui per la
detta
acqua,
disse a loro: "Or
andate a quello sasso dove voi troverrete
postovi suso tre pietre, e sì lo
cavate un poco però
che 'l Signore vi puote fare uscire l'
acqua
quindiritto".
Andando
coloro e trovando già
sudare lo
detto sasso,
fecervi una
cavatura, e incontanente il trovarono pieno
d'
acqua; la quale, insino ad oggi,
esce
sofficentemente,
che da quella
altezza scende insino disotto.
Una volta che uno tagliava
pruni
con una falce
d'intorno al monasterio de l'uomo di Dio,
il ferro uscì
dal manico e molto
affondò, sì che quegli
avendo di ciò
molta
angoscia, l'uomo di Dio puose il manico ne l'
acqua
e 'l
ferro notòe incontanente insino al manico suo.
Uno
fanciullo, che avea nome Placido, uscendo fuori
per recare de l'
acqua,
cadde entro il
fiume e incontanente
lo prese l'onda e
dilungollo da terra presso
d'una
saettata; e l'uomo di Dio stando ne la
cella, tosto
conobbe per ispirito
il fatto, e
chiamando Mauro
dissegli
quello ch'era intervenuto a Placido e
comandogli che
andasse a
trarrelne fuori. Sì che, ricevuta la
benedizione,
Mauro andò tostano e,
credendosi andare per terra, venne
sopra l'
acqua infino al
fanciullo e,
tenendolo per li
capelli,
sì lo trasse de l'
acqua, e vegnendo a l'uomo di Dio disse
ciò ch'era intervenuto; ma elli non riputava per li suoi
meriti, ma per l'obbidienza di colui che v'andò tosto.
Uno prete che avea nome
Fiorenzo, portando invidia
a l'uomo di Dio, venne a tanta malizia che uno pane
avvelenato mandò a l'uomo di Dio quasi come per avere
la
benedizione; lo quale pane il santo ricevette graziosamente
e
gittollo al
corbo, il quale era usato di ricevere
il pane de la mano sua, e disse così: "Nel
nome di Cristo
Jesù, e tolli questo pane e gettalo in tal
luogo che veruno uomo non lo possa torre". Allora
il
corbo con la
bocca
aperta e con l'
ale
distese,
cominciò
andare scorrendo d'intorno al
detto pane e a
crocidare quasi volesse
apertamente
dire di volere obbedire,
e pertanto non potere
compiere il
comandamento.
E 'l santo gliele
comandava più e più volte, così
dicendo:
"
Levalo indi,
levalo indi
sicuramente e gettalo
via, come io t'abbo
detto". Il quale a la perfine
togliendolo, dopo le tre ore ritornò e ricevette il
cibo de la sua mano com'era usato. Veggendo
Fiorenzo
che non avea potuto uccidere il
corpo del maestro, sì
s'
accese a volere spegnere l'
animo di
discepoli, sì che
misse
sette pulcelle
ignudanate ne l'orto del monastero e
facevele
cantare e
ballare, acciò che in questo modo
infiammasse i monaci a lussuria. La quale
cosa ragguardando
il santo uomo de la
cella sua e temendo che
li
discepoli non
iscorressono in peccato,
diede luogo a
la invidia e tolse seco
alquanti
frati, e mutòe
abitamento.
Ma
essendo
Fiorenzo in sul
palco e veggendo
che il santo si era partito, incominciò a
rallegrassi, e
subitamente
cadde il
palco e
ucciselo incontanente. Allora
Mauro,
correndo dietro a l'uomo di Dio, sì disse:
"Ritorna, però che colui il quale ti perseguitava sì è
morto". La qualcosa quegli udendo, pianse
fortemente,
o perché il nemico fosse morto, o perché il
discepolo
s'
allegrasse de la
morte del nemico. Per la quale
cosa
intervenne ch'elli ne
diede
buona penitenzia di ciò che,
comandando cotali cose, avea
avuto
ardire di
rallegrassi
de la
morte del nemico.
Ma elli passando da l'altro luogo, mutòe il luogo,
ma non
mutò nemico; che se ne venne a monte
Cassio,
e del tempio d'
Apollone che vi era, sì ne
fece uno oratorio ad onore di santo Giovanni Batista
e
convertì il popolo d'intorno da l'
idolatria. Ma l'
antico
nemico recandosi questo fatto a grave, sì
appariva
molto nero
corporalmente a' suoi occhi, e
incrudeliva
contro di lui visibilmente con gli occhi e con la
bocca
infiammata, e
diceva: "Benedetto, Benedetto!" Ma
non
rispondendogli quegli nulla, sì
dicea: "Maladetto,
non Benedetto, perché mi perseguiti tu?"
Uno
die voleano i
frati
levare una pietra che
giacea
in terra, per
murarla; ma non poteano.
Essendo raunati
molti uomini e non potendola levare, venne l'uomo di
Dio e
diede la
benedizione, e con grande
avacciamento
l'
ebbero levata, laonde s'
avvidero che 'l
diavolo vi sedeva
suso che non la lasciava muovere. E
murando i
frati la parte più ad
alti un poco, l'
antico nemico
apparve
a l'uomo di Dio e disse che
andava a'
frati che
lavoravano, e quelli mandò loro
dicendo per uno messo:
"
Fate
saviamente,
frati, che 'l maligno spirito viene a
voi". Appena
ebbe
compiuto il messo di
dire l'
ambasciata,
ed ecco l'
antico nemico fece
cadere la parete
del
muro, e
stritolòe tutto quanto uno monaco
fanciullo
quella rovina. Ma l'uomo di Dio sì si fece recare il
fanciullo morto e isfracellato e
risucitollo con la sua
orazione, sì lo rimisse ne la
detta opera.
Uno laico, il quale viveva onestamente,
costumava
d'andare ogni
anno a
disgiuno a vicitare l'uomo di
Dio. Sì che uno
die
andando là, un altro viandante
s'
accompagnòe con lui, che portava seco da mangiare,
per la via; ed
essendo già venuta l'ora
tarderella, disse
a lui: "Vieni qua,
fratello, e prendiamo il
cibo, acciò
che noi non ci
alassiamo ne la via". E rispondendo
quelli che in neuno modo non
assaggerebbe nulla ne
la via, stettesi
cheto per una ora; poscia lo
'nvitòe
anche a quello medesimo, ma quegli non volle
acconsentire.
A la perfine,
essendo già valicata l'ora,
affaticati
per lo lungo
cammino,
ebbero trovato un
bello
prato e una
fontana e ciò che potea
dilettare a
satollare
lo
corpo. Allora il viandante, mostrandogli questo,
sì 'l pregò che
assaggiasse un poco e
riposassersi iveritto.
Sì che lusingandolo le parole, gli orecchi, e 'l
luogo
dilettevole gli occhi, sì gli
acconsentìo. Ed
essendo
poi venuto al santo uomo al quale
andava, disse
a lui il santo: "Ove mangiaste?" Quelli rispuose:
"Non ho
mangiato". E 'l santo disse: "Ecco,
fratello, che il
diavolo, maligno nemico, non t'ha potuto
la prima volta
attrarre al peccato, né anche la seconda,
ma la terza t'ha vinto". Allora quegli gli si
gittò a' piedi e pianse che
aveva
fallato.
Totila re de' Goti, volle provare se 'l santo
avesse
spirito di
profezia, sì che
diede le propie vestimenta
reali ad uno suo
spadiere, e
mandollo con
adornamento
di re al monisterio de l'uomo di Dio. E
veggendolo
colui venire, sì li disse: "Pogni, poni giù; quello che
tu porti non è tuo". Allora quegli si gettò incontanente
a terra e temette ch'elli avea fatto schernire di
cotale uomo.
Uno
cherico, il quale era tormentato dal
diavolo,
sì fu
menato a l'uomo di Dio perché fosse sanato, e
abbiendo
cacciato il
diavolo da lui, sì disse: "Va e da
quinci innanzi non mangiare
carne, né non andare ad ordini
sagri, per ciò che quale ora tu
andrai a fare, ciò
tu sarai rimesso in mano del
diavolo". Sì che
essendosene
guardato alcuno tempo, ma veggendo che i suoi
minori erano
messi innanzi ad ordini sagri,
dimenticato
quasi per lungo tempo, gittossi dietro le parole de l'uomo
di Dio, e montòe ad ordine
sagro. E incontanente il
prese il
diavolo che l'avea prima lasciato
e non cessò
di tormentarlo fino a che non mandò fuori l'anima.
Uno uomo gli mandò
due
fiaschi di vino per uno
suo garzone, ma quegli nascose l'uno ne la via e portò
l'altro; e l'uomo di Dio ricevette l'uno con rendimento
di grazie, e disse al garzone: "Guardati, figliuolo, che
tu non
bea di quello
fiasco che tu hai
appiattato e
nascoso ne la via, ma
chinalo e con senno, e troverrai
quello che v'è dentro". Quelli, molto vergognoso, si
partìo da lui. Ritornato a
casa, volle provare quello che
avea udito;
chinòe il
fiasco e
uscinne uno serpente.
Una volta l'uomo di Dio
cenava di sera. Uno monaco
figliuolo del
difensore
standoli innanzi col lume
in mano, per ispirito di superbia
cominciò a pensare
fra se medesimo: "Chi è costui a cui io sto innanzi
con la lucerna in mano quand'elli mangia, e
fogli
servigio,
e chi sono io che io serva a costui?" Al quale
disse immantanente l'uomo di Dio: "Segnati il
cuore,
frate, segnati 'l
cuore; che è quello che tu dì?" E
chiamòe i
frati,
comandò che li fosse levata la lucerna
di mano, e a lui
comandò che si partisse dal servire
ch'elli
faceva e sedesse riposato.
Mandando elli alcuni de'
frati ad uno luogo,
perché v'ordinassero uno monasterio, predisse loro che
a certo
die verrebbe a loro, e
mosterebbe loro in che
modo si dovesse quello cotale monasterio ordinare. Sì
che la notte dinanzi al
die ch'elli avea
promesso loro
d'andare, sì
apparve al monaco che gli avea posto sopra
quello
servigio e 'l suo proposto,
dormendo elli, e'
mostrogli
tutte le luogora sottilmente, secondo ch'elli voleva
che fosse fatto. Ma non
dando ellino fede a la
detta visione
e pure
aspettando che dovesse venire, a la perfine
ritornarono a lui e
dissero: "Noi
abbiamo
aspettato, padre,
che tu venissi come
avevi
promesso, e non
se' venuto".
A i quali elli rispuose: "Che è quello che voi
dite?
or non v'
apparii io e
disegna'vi tutte le luogora?
Andate
e ordinate ogne
cosa come voi vedeste per la visione".
Non molto di lungi dal suo monasterio avea
due
femmine monache di gentile
legnaggio, le quali non
raffrenavano le lingue loro, ma spesse volte con loro
non savie parole
facevano venire in
ira colui ch'era
posto sopra loro. Il quale abbiendo
detto ciò a l'uomo
di Dio, mandò loro così
dicendo l'uomo di Dio: "
Correggete
la lingua vostra, e se no, vi
scomunicherò".
La quale sentenzia di scomunicazione non
diede
profferendo
con la
bocca, ma
minacciandolene; ma quelle,
non rimanendosi di ciò, infra pochi dì morirono e furono
sotterrate in chiesa. E quando la
Messa si
diceva
e 'l
diacano, come è sua usanza,
dicea che chi fosse
scomunicato
andasse fuori, la
baila di quelle
donne,
cioè di quelle
due moneche, offerendo ogne
die l'offerta
usata per loro, sì le vedea saltare fuori de li
avelli e
uscire de la chiesa. Ed
essendo ciò
detto a san Benedetto,
elli con la mano sua
diede l'offerta, così
dicendo:
"
Andate e offerete questa offerta per loro, e non saranno
più scomunicate". La quale
cosa
essendo fatta,
non furono più vedute uscire de la chiesa mentre che 'l
diacano
dava il
commiato a li scomunicati.
Ed
essendo uno monaco sanza la
benedizione
andato
a visitare li suoi
parenti, intervenne che in quello
dì morìo nel quale fu giunto. Allora
essendo sotterrato,
la terra il gittò fuori una volta e
due. Allora gli
parenti
vennero a san Benedetto, e
pregarollo che li dovesse
dare la sua
benedizione; sì ch'elli tolse il
corpo
di Cristo e disse a loro: "
Andate e ponete questo sopra
il petto suo, e così fatto sì lo rimettete nel sepolcro".
Quando quelli
ebbero così fatto, la terra lo ricevette e
non lo gittò più fuori.
Uno monaco non potendo stare nel monasterio,
disse tanto a l'uomo di Dio che
essendo adirato
sì 'l lasciò andare. E sì tosto come quelli fu uscito dal
monasterio,
ebbe trovato ne la via uno
dragone che
stava con la
bocca
aperta, lo quale vogliendo
divorare,
costui gridòe e disse: "
Accorrete,
accorrete che questo
drago mi vuole
divorare". Sì che
accorsi i
frati non
videro il
drago, ma il monaco così tutto tremante e
palp
itante lo
rimenarono al monasterio, il quale
promisse
a mano a mano di non partirsene mai più.
Un tempo fu ch'una grande
fame prese tutta
quella
contrada e l'uomo di Dio, abbiendo
dato a' poveri
ciò che avea potuto rimediare, sì che nel monasterio
non era rimaso altro che un poco d'olio in una
ampolla,
comandò al
celleraio che quello
cotanto poco
de l'olio
desse ad uno povero. Ma quegli non el volse
ubbidire, ma
disprezzòe il
comandamento pensando che,
s'elli
dava quello
cotanto, a i
frati non rimaneva nulla.
Quando l'uomo di Dio
ebbe sparto ciò,
comandò
che fosse gittato fuori per la
finestra quello vasello
con l'olio che dentro v'era, acciò che per la
disubbidienza
non rimanesse alcuna
cosa nel munisterio. Sì che
gittato che fu,
cadde in su grandi sassi, né non si ruppe
l'
ampolla, né non si isparse l'olio; sì che allora il fece
torre e
darlo interamente a colui che 'l
chiedeva. E riprendendo
quello monaco de la
disubbidienza e de la
sfidanza, missesi ad orazione con li
frati, e incontanente
uno grande
tino, ch'era quivi, fu pieno d'olio e tanto
vi
crebbe entro che pareva che traboccasse per lo
spazzo.
Una volta fu ch'elli
andòe laggiuso a visitare
la
sirocchia sua, e stando lui a la mensa, ella il
pregone
che
dimorasse quivi in quella notte con lei a parlare
di Dio. Ed elli non volendo per veruno modo
acconsentire
a lei di ciò,
essendo ne l'
aere grande sereno,
ella chinòe il capo in su le mani per
pregare
il Segnore e levando ella il capo, tanta vertude di
baleno
e di truono e tanto
diluvio d'
acqua venne che
l'uomo di Dio non poteva pure muovere il piede con ciò
fosse cosa, impertanto che prima fosse grande sereno
maraviglioso. Ma perch'ella gittò grandi
fiumi di
lacrime,
si trasse il grande
sereno de l'
aere a pioggia. A la
quale l'uomo di Dio
contristato, sì disse: "
Perdoniti
l'onnipotente Iddio,
serocchia! che è questo che tu hai
fatto?" Al quale ella rispuose: "Io ti
pregai e non mi
volesti udire,
pregai il Segnore mio e
udimmi. Or te ne
va se tu puoi". E così
avvenne che tutta quella notte
vegghiarono,
adoperandola in santi parlari, e così seguirono
insieme con raccontando l'uno a l'altro. E eccoti
il terzo
die, quando l'uomo di Dio fu tornato al monasterio,
levò gli occhi e vide l'
anima de la sua
serocchia
andarne in
cielo in
figura di
colomba, e quelli fece recare
incontanente il
corpo suo al monasterio e
fecelo mettere
nel monimento ch'egli
aveva fatto fare per se propio.
Una notte, guardando lui per la
finestra, vidde
una luce sparta disopra, che avea
cacciate tutte le tenebre
de la notte. E subitamente tutto il
mondo gli fu
recato dinanzi a gli occhi come fosse raccolto sott'uno
razzuolo di sole; e veggendo in quella luce portare in
cielo l'
anima di san Germano, vescovo di Capua,
manifestamente trovò poscia che in quell'ora e in quello
punto morìo quello santo che san Benedetto
conobbe il
suo montare in
cielo.
In quello medesimo
anno che
dovea passare di
questa vita, predisse a'
frati il
die de la sua
morte;
e
sei dì innanzi al suo passamento fece
aprire il sepolcro,
e incontanente gli prese la
febbre, e
aggravando
ogne
die, il
sesto
die si fece portare ne l'oratorio e
ivi
armò il passamento con la ricevuta del
corpo e del
sangue di Gesù Cristo. E
sostenendo le
debole
membra
fra le mani de'
discepoli, levate le mani al
cielo, stette
ritto e in questo modo, fra le parole de l'orazioni,
mandò fuori l'
anima. E quella medesima revelazione
nel
detto dì fu fatta a
due
frati, l'uno che stava in
orazione in
cella e l'altro ch'era da la lungi, e fue
questa essa: ched e' videro una via piena di
belli
zendadi
e molti sanza fine, tutta
splendiente di lampane e teneva
inverso il levante da la
cella di san Benedetto
insino al
cielo; ne la quale
essendo uno uomo d'
abito
di grande reverenzia disopra chiaro,
dimandò cui fosse
la via che vedevano. E
dicendo
coloro di non
saperlo,
sì disse: "Questa è la via per la quale il
diletto di
Dio Benedetto, ne va in
cielo". Seppellito fue ne la
chiesa di san Giovanni Batista, la quale egli
aveva fatta
disfacendo l'
altare di quello idolo, e fue nel tempo di
Giustino più vecchio,
correnti gli
anni
Domini nel torno
di
DXVIII.
cap. 49, S. Patrizio
Patricio
che visse intorno a gli anni Domini CCLXXX
predicando de la passione di Cristo al re di Scozia,
stava dinanzi al re e
appoggiavasi al pastorale che
teneva in mano; e
abbiendolo posto per
avventura in
sul piè del re con la punta, ch'era
ferrata, sì li
foròe
il piede. E
credendo il re che 'l santo vescovo
facesse
questo ad ingegno e che altrimenti non potea ricevere
la fede di Cristo se non
patisse simigliante cose
per lui, sì lo si sostenne
pazientemente. Sì che il santo
a la perfine
avveggendosi di questo, sì si fece grande
maraviglia e con sue
preghiere
sanòe il re, sì che a
tutta quella provincia
impetròe da
Domenedio che neuno
animale velenoso vi possa
vivere. E non solamente
questo
ottenne, ma che i legni e
pomi di quella
contrada
siano
contrarii a veleno.
Uno si avea
furato una pecora, cioè imbolato ad uno
suo vicino e
avêlasi
mangiata; e con ciò fosse
cosa
che 'l santo
confortasse il ladro che
dovesse rendere
la pecora,
chiunque fosse, e non
apparisse neuno
essendo
tutto il popolo raunato a la chiesa,
comandòe
'n vertude di
Jesù Cristo che colui nel cui ventre la pecora
fosse
entrata, sì
belasse dinanzi a tutti; e così
addivenne, e 'l
colpevole fece penitenza e prese paura
a gli altri che non
imbolassero.
Ora avea questo santo questa usanza di
riverire
divotamente
tutte le
croci ched elli vedeva; passando
dunque dinanzi al sipolcro d'uno pagano una volta, passò
oltre e non vidde la
croce
grande e bella, sì che fu
domandato da' suoi com'elli non l'avea veduta; onde ne
richiese
Domenedio in
prieghi di ciò, e quelli udì una
boce di sotterra che disse: "Tu non la vedesti per ciò
ch'io sono sotterrato qui uno pagano e sono indegno
del Signore de la Croce".
Allora fece togliere di là
quella croce.
Con ciò dunque fosse
cosa che san Patricio predicasse
per Irlanda e poco
pro
facesse, pregò
Domenedio
che mostrasse alcuno
segnale per lo quale ispaventati
gli uomini sì si
pentessero. Sì che per
comandamento
di Dio fece in alcuno luogo uno grande
cerchio col
bastone
là ove la terra s'
aperse, e
apparivvi uno grandissimo
pozzo e profondissimo. Sì che
ebbe revelazione il
santo che quivi
aveva uno
purgatorio, nel quale,
chiunque
volesse scendere, non li sarebbe mestiere di fare altra
penitenzia, né non sentirebbe altro
purgatorio per li
peccati suoi più, e non ritornerebbero più quindi, ma
anderebbero a vita, e quegli che ne
reddissoro, sì li
convenìa
dimorare quivi da la mattina insino a l'altra
mattina vegnente. Sì che molti v'
entravano che mai
non
reddivano.
Dopo lungo tempo, morto san Patricio, un gentile
uomo, che avea nome Niccolao, il quale avea
conmesso
molti peccati,
essendone pentuto e vogliendo
sostenere
il
purgatorio di san Patricio,
maceròe il
corpo suo con
digiuni
otto dì innanzi, come tutti
facevano; così
aperse un uscio con una chiave che si conservava in
una abazia e poi
discese nel
detto
pozzo e
ebbe trovato
uno uscio dal lato del
pozzo;
entròe dentro e
trovovvi uno
oratorio e vidde
alquanti monaci vestiti a
bianco
entrare
ne l'oratorio e
dicevano l'Ufficio, i quali
dissero a Niccolao:
"Starai
forte, ché molte tentazioni del
diavolo
avrai a
sostenere". E
dimandando quegli se
aiuto potesse
avere
contra ciò,
coloro
dissero: "Che tu, da
che tu ti sentirai
affliggere di pene, incontanente grida,
e
di': "
Jesù Cristo, figliuolo di Dio vivo,
abbi misericordia
di me peccatore!" E partendosi
coloro, eccoti
venire li
demoni, sì che primieramente il
cominciarono
a
confortare con lusinghevoli
impromesse ched elli ubbidisca
a loro,
affermando ch'ellino il
guarderebbono e
rimenerebbolo sano e lieto a
casa sua. E con ciò fosse
cosa che quelli non volesse, così tosto
cominciò a udire
romori e grida
diverse e di
diverse
fiere
come se tutti
gli elementi fossero scossi; e
palpettando per l'orribile
paura ch'elli
ebbe, disse la parola
detta disopra, e incontanente
tutto quello grido rimase. E
andando più
oltre, ciò più innanzi, trovò una
moltitudine di
demoni,
i quali
dissero a lui: "Pensi tu scampare de le nostre
mani? no, ma ora
comincerai ad essere tormentato
e afflitto". Ed eccoti
apparire un grande e terribile
fuoco qui presente;
le demonia li dissero: "Se non
ci consentirai, ti getteremo nel fuoco ad ardere". E
le
demonia presero colui, non vogliente
acconsentire, e
sì lo gittarono in quello terribile
fuoco, e con ciò fosse
cosa ched e' sentisse
dolori e
dicesse quella parola:
"
Jesù Cristo"
eccetera, incontanente fue spento quello
fuoco. Ancora non vogliendo
acconsentire, sì lo gittarono
in uno altro
fuoco e sì lo
tormentarono con piastre
roventi, cioè
calde di
ferro; ma proferta e
detta
quella parola: "
Jesù Cristo", e incontanente fu liberato.
Allora andò più innanzi e vidde uno larghissimo
pozzo; e
dissero le
demonia: "Il luogo che tu
vedi là onde
esce così orribile
puzzo, sì è ninferno,
nel
quale abita il nostro signore Belzebub. In tale pozzo ti
getteremo se non ci acconsentirai, nel quale se tu vi
sarai entro gittato, non ti rimane rimedio nessuno". E
gittando lui dentro, non volendo
acconsentire, e quelli
dicendo: "
Jesù Cristo
ecc
." incontanente fue liberato.
Venne dunque ad uno ponte sopra il quale gli
convenìa
passare, il quale era
strettissimo, e a modo di
ghiaccio
era
debole e pulito e sdrucciolente, e sotto il ponte
correva
un
fiume grande e puzzolente. E con ciò fosse
cosa che le
demonia percotessero questo
debole ponte
per romperlo e colui si
disparse di potere passare, a
la perfine
ricordandosi de la parola sua che tante volte
l'avea
campato, sì si mise a passare con grande
fidanza
e, abbiendo posto l'uno piede in sul ponte,
cominciò
a
dire: "
Jesù Cristo
ecc
.". Sì che ad ogni
passo
dicendo quella parola, passòe oltre sicuro e ogne
turba de'
demoni sparve dinanzi a lui. E quegli
entrò
in uno prato molto
dilettevole, e
rendea olore per la
soavitade di tutti i
fiori; ed eccoti
apparire a costui
due
bellissimi giovani, i quali lo menarono ad una
cittade
bellissima risplendiente d'oro e di
gemme preziose,
la
cui porta mandava un mirabile profumo; e così lo ricreò
che non sembrava aver sentito né dolore, né fetore.
E
dissero a lui che quella
cittade era il Paradiso.
Ne la quale volendo quegli
entrare,
dissero a lui quelli
due giovani che prima tornasse a la gente sua e dopo
XXX dì
dormirebbe in pace, e allora
enterrebbe in quella
città e mai non ne uscirebbe. Allora subitamente si
trovò
riposto sopra il
pozzo e raccontòe a tutti tutte
quelle cose che gli erano intervenute, e dopo
XXX dì
si
riposòe
beatamente nel Signore
ecc
.
cap. 50, AnnunciazioneL'
annunziazione del Segnore sì è
detta imperò che
in cotale
die fue
annunziato l'
avvenimento del figliuolo
di Dio in
carne da l'
Angelo.
Convonevole
cosa fue che
l'
annunziamento de l'
angelo
andasse innanzi a la incarnazione
del figliuolo di Dio per tre
ragioni. Primieramente
per ragione de l'ordine che si
dovea tenere,
cioè che l'ordine del
racconciamento risponda a l'ordine
del
cadimento. Sì come adunque il
diavolo tentò
la
femmina per
recarla a
dubitanza e per la
dubitanza
a
consentimento e per
consentimento a
discadimento,
così il
buono
angelo
annunziò la Vergine per
commuoverla
a
credenza e per la
credenza a
consentire e per
lo
consentire a
concepire
Domenedio.
Secondariamente per la ragione del misterio de l'
angelo,
imperò che l'
angelo è ministro e servigiale di Dio
e la
Beata Vergine era
eletta ad essere madre di Dio,
fu
convonevole
cosa che 'l ministro di Dio gli servisse
in così grande servizio ed
annunziasse
allegrezza a questa
madre di Dio.
La terza ragione si fu per riparare lo
scadimento de
l'
angelo; ché la incarnazione di Cristo non solamente
era a riparare lo
scadimento de l'uomo, ma eziandio
la rovina de l'
angelo, e però non ne
debbono essere
tratti fuori gli
angeli. Ché come sesso
femminile non fu
tratto del
cognoscere la 'ncarnazione e la resurressione,
così eziandio l'
angelo. Anzi
annunziò
Domenedio l'uno
e l'altro ministerio a la
femmina per
tramezzamento
de l'
angelo, cioè la 'ncarnazione a la Vergine Maria e
la resurressione a la Maddalena.
Essendo dunque la
beata Vergine stata nel tempio con
l'altre vergini dal terzo
anno de la sua
etade infino a
dodici
anni, ovvero, secondo che vogliono
dire altri, infino
a li quattordici, e fatto voto de la sua
verginitade, se
Dio non
dispensasse altro,
Gioseppo la
disposòe per
revelazione di Dio e per la verga di
Gioseppo che misse
le
frondi, come pienamente si contiene ne la storia de la
natività de la
beata Vergine Maria; sì che
Gioseppo andò
in Betleem, là onde elli era natìo, per
apparecchiare quello
ch'era di
bisogno a le nozze, e la
beata Vergine tornòe
in Nazaret a
casa
de' suoi
parenti. Nazaret è tanto a
dire come
fiore e, come
dice san Bernardo,
convonevole
cosa fue che 'l
fiore nascesse nel
fiore e del
fiore e al
tempo de'
fiori. Sì che quivi l'
apparette l'
angelo, e
salutolla
dicendo:
"Ave gratia plena, dominus tecum, Benedetta
tu sopra tutte le
femmine".
Dice san Bernardo:
"
Invitane a salutare la
donna nostra l'
essempro di
Gabriello
angelo, l'
allegrezza di Giovanni Batista, e 'l
guadagno del
risalvamento".
Ma da vedere è prima perché il Segnore volse che
la sua madre fosse sposata, e
assegnane san Bernardo
tre
ragioni, quando dice: "
Necessariamente fu
disposata
Maria a
Gioseppo, però che questo è nascosto a le
demonia il misterio de la incarnazione ed è insieme
provata la
verginità de lo sposo ed è provveduto sì a
la
fama come a la vergogna de la vergine".
La quarta ragione si è perché fosse tolto via la vergogna
da ogne grado di
femmine, cioè a le maritate, a
le vergini e a le vedove, però che essa vergine fue in
questi tre stati. La quinta ragione si è perché usasse
ministerio de l'uomo. La sesta perché fosse provato
buono il matrimonio, la settima perché fosse tessuta
per l'uomo la
tela de l'ordine de la 'ngenerazione.
Disse dunque l'
angelo: "Dio ti salvi, piena di grazia".
Veramente piena, però che, come
dice san Bernardo,
nel ventre fue la grazia de la
divinitade, nel
cuore la
grazia de la
caritade, ne la
bocca la grazia de la piacevolezza
del parlare, ne le mani la grazia de la misericordia
e de la largitade. Anche
dice elli medesimo:
"
Veramente fu piena, imperò che del suo riempimento
hae ogne gente: I pregioni n'hanno ricomperamento,
l'infermi
sanamento, li tristi
consolamento, li peccatori
perdonamento, li giusti la grazia, gli
angeli letizia, a
la perfine tutta la Trinità n'hae gloria, la persona del
Figliuolo n'hae la sustanzia de la
carne". "Il Segnore
è teco, dice san Bernardo, il Signore Padre è teco, il
quale ingenerò colui che tu
concepi". Il Signore figliuolo
è teco, lo quale tu vesti de la tua
carne,
il
Signore Spirito Santo è teco dal quale concepi, Benedetta
tu
[in] mulieribus, cioè sopra tutte le
femmine,
imperò che tu sarai vergine madre e madre di Dio".
A
tre maniere di maladizione erano sottoposte le
femmine:
a la maladizione del
brobio e del peccato e del
tormento. Era la maladizione del
brobio quanto al non
concepere, onde
Rachel
concependo sì disse: "Ha tolta
via da me il Segnore il
brobio mio". Era la maladizione
del peccato quanto a quelle che
concepeano, onde
dice il salmista: "
Ecco che sono
conceputo ne le iniquitadi".
La maladizione del tormento era quanto a le
partorite, onde dice il primo
libro de la Bibbia: "In
dolore parturirai". Adunque sola la vergine Maria fu
benedetta tra le
femmine; a la cui
verginitade è
aggiunto
producimento, al producimento
santitade nel
concepere
e a la
santitade
giocondità nel partorire.
Ed è
detta piena di grazia, secondo che
dice san
Bernardo, per
quattro cose che
risplendettero ne la sua
mente, cioè
divozione d'umilitade, reverenzia di
castitade,
grandezza di fede e martirio di
cuore.
È
detto a lei: "Il Signore è teco" per
quattro altre
cose che
risplendettoro a lei dal
cielo; le quali sono
queste: la santificazione di Maria, la salutazione de
l'
Angelo, e
sopravvenimento de lo Spirito Santo e la
incarnazione del figliuolo di Dio.
Anche come elli medesimo fu
detto a lei: "
Benedetta
tu
in mulieribus" per
quattro altre cose che
risplendettero
ne la sua
carne, cioè perch'ella fue
primitiera
di
verginità,
produttiva sanza
corrompimento, gravida
sanza gravezza e partorente sanza
dolore.
Dice poscia il testo del Vangelio: "La quale,
quando
ebbe udito, fu turbata nel parlare de l'
angelo e
pensava chente fosse questa salutazione". Qui
apparisce
la loda de la Vergine ne l'udire, ne l'
affetto e nel pensamento.
Ne l'udire è lodata in lei la
modestia, però che
udì e tacette; ne l'
affetto è lodata la vergogna, onde
dice che fue turbata; nel pensamento è lodata la prudenzia,
per
due
cagioni, ched
ella si turbòe de la parola de l'
angelo, non del
vederlo,
però che la
beata Vergine vedea spesse volte gli
angeli, ma non ne avea udito veruno che parlasse
cotali cose. Pietro Ravignano
assegna altre
ragioni:
"Era venuto l'
angelo, ciò
dice, lusinghevole in
figura
e terribile in parola, onde colei la quale il vedere
sollecitòe
pianamente, sì la turbòe troppo l'udire".
Dice
san Bernardo: "In
ciòe ch'ella si turbòe ne la parola,
sì venne a vergogna
verginale; in ciò ch'essa non si
turbòe nel vedere, venne da
fortezza; in ciò che tacette
e pensòe, venne da saviezza e da
discrezione". E allora
l'
angelo
confortando lei, sì disse: "Non temere,
Maria, però che tu hai trovato grazia
appo Dio".
Dice
san Bernardo: "Che grazia, pace tra Dio e gli uomini,
distruzione de la
morte e riparamento de la vita!"
Ecco, dice, che
conceperai e partorirai figliuolo e
chiamerai
il nome suo
Jesù, cioè
Salvatore, imperò che
farà
salvo il popolo suo da' peccati loro. Costui, ciò
dice,
sarà grande e fia
chiamato figliuolo de l'
Altissimo.
Dice san Bernardo: "Questi è colui ch'è grande di
forte padre, del secolo che
dee venire prencipe di pace;
veramente adunque grande, però ch'è grande Dio, grande
uomo, grande
dottore, grande profeta". E disse Maria
a l'
angelo: "Come sarà fatto questo, però ch'io non
cognosco uomo, cioè ho proponimento di non
cognoscere
uomo?" E così fu vergine de la
mente e de la
carne
e del proponimento.
Ma ecco Maria che
domanda,
e chi domanda, sì
dubita.
Perché dunque venne solamente a
Zaccheria la piaga de
la
mutolaggine? A questo
assegna Pietro Ravignano
quattro
ragioni, e dice così: "Quel
conoscitore de' peccatori
non
attendéo a le parole, ma a'
cuori; non sentenziòe
quello che quelli
dicesse, ma quello che sentisse.
Però che la
cagione di quelli che
domandavano è
disguagliata
l'una da l'altra, la maniera è per
diverse
cose, ché costei
credette contra natura, colui
dubitòe per
la natura. Costei
dimanda l'ordine de la
cosa in terra,
colui pronunzia che non possa essere quello che Dio vuole
fare. Costei
diede fede a la
cosa sanza
essemplo, colui
per molti
essempli non volse
credere. Costei si maraviglia
del parto
verginale, colui
dubita del
concepere matrimoniale.
Sì che non
dubita la Vergine del fatto, ma
dimanda
del modo e de l'ordine, imperò che con ciò sia
cosa
che 'l modo del
concepere sia in tre maniere, cioè naturale,
spirituale e maraviglioso,
dimanda in quale di
questi modi
debba
concepere. E rispondendo l'
angelo
disse a lei: "Lo Spirito Santo sopravverrà in te" quasi
dica "lo Spirito Santo
farà il tuo
concepimento". Onde
è
detto figliuolo di Dio
conceputo di Spirito Santo per
quattro
ragioni. La prima si è per mostrarne la grande
caritade, cioè per mostrare che la parola di Dio è fatta
carne.
Dice santo Giovanni nel terzo
capitolo del Vangelio:
"Di una tale maniera
amò
Domenedio il
mondo,
che ne
diede l'Unigenito figliuolo suo". E questa è la
ragione del Maestro de le Sentenzie. La seconda ragione
si è per mostrare la grazia sanza
meriti; è
detto
dunque
conceputo di Spirito Santo, imperò che de la
pura grazia, a la quale non
andaro innanzi
veruni
meriti
de li uomini, fece ciò. E questa ragione è di santo
Agostino. La terza si è per l'operazione de la virtude,
imperò che per l'operazione e per la virtù de lo Spirito
Santo fu
conceputo. E questa ragione è di santo
Ambruosio. La quarta si è per lo motivo de la
concezione;
onde dice Ugo: "Il motivo con la
concezione
naturale si è l'
amore de l'uomo a la
femmina e de
la
femmina a l'uomo". "E così
dice che
avvenne
ne la Vergine che, perché l'
amore de lo Spirito Santo
ardeva singularmente nel
cuore di lei, però
facea maravigliose
cose ne la
carne di lei". E la virtù de l'
Altissimo
adumbròe. Questa parola si spiana così secondo
la Chiosa: "L'ombra si suole
formare del lume e del
corpo
contrapposto; adunque la Vergine non potea,
come pura
femmina,
comprendere nel suo
corpo la plenitudine
de la
divinitade, ma la virtù de l'
Altissimo sì
la
adombròe quando la luce non
corporale de la
divinità
ricevette in lei il
corpo de l'umanitade, acciò che
potesse Dio patire". Questo spianamento
par che voglia
toccare san Bernardo, che
dice così: "Dio è spirito, e
noi siamo ombra del
corpo suo; temperossi a noi, acciò
che
contrapposta la
viva
carne sua veggiamo la parola
di Dio in
carne, e 'l sole ne la nuvola, e 'l lume ne
l'osso, e 'l
cero ne la lanterna".
Dice dunque san
Bernardo a la Vergine: "Quello modo, cioè che tu
concepirai
di Spirito Santo, la virtude di Dio, Cristo, sì 'l
nascose nel suo
secretissimo
consiglio
adombrando, acciò
che 'l sapesse pure elli e tu". Quasi
dica l'
angelo:
"Che
dimandi tu, madonna, da me
che tu proverrai immantanente
in te? Tu 'l saprai e
beatamente il saprai;
ma per tale maestro
chente fia colui che n'è
facitore.
Io sono mandato
annunziarti che tu
conceperai
arimagnendo
vergine, non a mostrarti
espressamente il
modo. Ovvero
adombrerà, cioè che ti
rifrigerrà dal
caldo
di tutti i vizii". Ed ecco
Elisabetta tua
parente,
c'ha
conceputo in sua vecchiezza, dice: "Ecco acciò che
tu mostri che 'l fatto sia grande e
novello
disusato".
Secondo che
dice san Bernardo per
quattro
cagioni
fu
detto a la Vergine che
Elisabetta avea
conceputo.
La prima fu
cagione di molta letizia, la seconda fue
perfezione di scienzia, la terza fue perfezione di
dottrina,
la quarta fu il
servigio di misericordia.
Dice
dunque così san
Geronimo: "Il
concepere de la
parente
sterile è
annunziato a Maria, perché,
aggiugnendo
miracolo a miracolo, si raguni
allegrezza con
allegrezza.
Ovvero per ciò che si
convenìa che la Vergine sapesse
prima per l'
angelo ch'ella l'udisse
dire ad uomo la
parola la quale si
dovea immantanente
divolgare in
tutte le parti, acciò che la madre di Dio non paresse
rimossa da i
consigli del figliuolo, se di quelle cose
che si fanno così propiamente in terra fosse rimasa
non sapiente. Ovvero che le fu prima
detto, acciò che,
essendo insegnato ora l'
avvenimento dal
Salvatore ora
quello del Batista, tenendo bene a
mente il tempo e
l'ordine de le
cosa, sappia poscia meglio
appalesare la
veritade a li scrittori. Ovvero perché, udendo la giovane
che la sua
parente vecchierella era gravida, pensasse
del
servigio, acciò che al profeta
piccolino sia in questo
modo
dato il luogo di fare
servigio al Segnore e sia
fatto più maraviglioso l'uno miracolo per l'altro". Anche
dice san Bernardo parlando a la Vergine: "Da' la risposta
tu, vergine,
affrettatamente. O Madonna,
rispondi
la parola e ricevi la parola,
dae il tuo e ricevi quello di
Dio, manda fuori quello ch'è
passatoio e ricevi quello
ch'è sempiternale. Leva su,
corri e
apri. Levati per la
fede,
corri per la
divozione e
apri per lo
consentimento".
Allora Maria con le mani
distese e con gli occhi levati
al
cielo, disse: "Ecco l'
ancella del Segnore, sia fatto
a me secondo la tua parola".
Dice san Bernardo: "Ad
altri si legge che fu fatta la parola di Dio ne l'orecchie,
ad altri ne la
bocca, ad altri ne la mano; ma a Maria
fu fatta ne l'orecchie per la salutazione de l'
angelo, nel
cuore per la fede, ne la
bocca per la
confessione, ne la
mano per lo
toccamento, nel ventre per la 'ncarnazione,
nel grembo per lo
sostenimento, ne le
braccia per l'
offerimento".
Sia fatto a me secondo la parola tua. E
Bernardo: "Non voglio che sia fatta a me
isgridatamente
predicata, ovvero
figuratamente significata, ovvero
imaginativamente
sognata la parola, ma in silenzio inspirata,
personalmente incarnata, e
corporalmente
inviscerata".
Incontanente il figliuolo di Dio fu
conceputo nel suo
ventre, perfetto Dio e perfetto uomo; e in quello primo
tratto che fu
conceputo, sì fue di tanta
potenzia e di
tanta sapienzia quanto elli
ebbe nel trentesimo
anno.
Allora levandosi Maria andò a
Lisabetta e,
abbiendola
salutata, Giovanni le si
rallegròe nel ventre.
Dice qui
la Chiosa: "Per ciò che con la lingua non si poteva
rallegrare,
rallegrasi ne l'
animo e saluta e
comincia
a fare l'Officio de la sua
precursoria". Ora stette a
servirla tre mesi infino a tanto che Giovanni nascesse;
lo quale ella levòe di terra con le sue mani, secondamente
che si legge nel
libro de' Giusti.
Dicesi che
Domenedio
in questo cotale
die operò molte cose per molti
scorrimenti di temporali, le quali cose
dichiaròe così san
Gregorio in questi versi:
Dio ti salvi die festereccio, il quale costrigni le piaghe nostre!
L'angelo fu mandato, Cristo fu morto in su la Croce.
Adamo fu fatto e nel medesimo tempo cadde,
Per lo merito de la decima cadde morto Abello dal fratello.
Offerisce Melchisedec, Isaac è messo al sacrificio.
È dicollato il Batista, beato di Cristo
E Pietro da la carcere liberato e Jacopo morto da Erode
Molti corpi de' santi risucitano con Cristo,
E 'l ladro riceve per Cristo il dolce riposo. Amen.
Uno
cavaliere ricco e nobile rinunziò al
mondo ed
entròe ne l'ordine di Cestella e, non sappiendo questi
lettera e vergognandosi li monaci di fare stare così gentile
persona tra ladici,
diedergli uno maestro, acciò che
pure un poco che sapesse non ne stesse tra ladici. Ma
stando lungo tempo col maestro e non potendo avere
apparato altro che queste
due parole, ciò sono: "
Ave
Maria", sì le ritenne con tanto
desiderio che
dovunque
andava o stava, o ciò che
faceva, sempre sempre
rogumava
queste
due parole. A la perfine morì costui e fu
soppellito nel
cimiterio con gli altri
frati; ed eccoti sopra
l'
avello suo
crescere uno
bello giglio e in
catuna
foglia avea scritto di lettere d'oro: "
Ave Maria".
Correndo tutti a sì grande fatto vedere, trassero la
terra del sepolcro, e la radice del giglio trovarono che
procedeva de la
bocca del morto. Sì che intesono con
quanta
divozione colui
dicesse quelle parole, lo quale
il Segnore avea
alluminato d'onore di sì grande miracolo.
Uno
cavaliere fu ch'
aveva uno
castello in su la
strada e tutti quelli che passavano spogliava sanza
cagione
veruna, ma pure salutava ogne
die la Vergine
Maria, né non volea, per
impedimento che li venisse,
lasciare passare veruno dì ch'elli non la salutasse. Ora
intervenne che alcuno santo uomo religioso passava per
quella
contrada, sì che,
volendolo i rubatori spogliare
pregolli
che 'l
menassero al loro segnore, al quale elli avea
a
dire alcuna
credenza. E,
sendovi
menato, pregò il
cavaliere
che ragunasse tutti quelli de la sua
famiglia e
predicasse la parola di Dio. I quali
essendo venuti, disse
il
frate: "Non ci sono tutti, alcuno c'è meno".
Allora
dicendo uno che solo il
canovaio vi mancava;
disse il santo: "
Veramente quegli ci è meno". Sì che
tosto mandarono per lui e fu
menato nel mezzo. E abbiendo
veduto l'uomo di Dio, stravolse terribilmente gli
occhi e menava il capo come fosse uno matto e non era
ardito d'andare più da presso. E l'uomo santo sì gli disse:
"Io ti scongiuro per lo nome del nostro Signore
Jesù
Cristo che tu ci manifesti chi tu
se', e per quale
cagione
tu ci venisti,
dillo in palese a tutti noi". E quelli disse:
"Oimè, che scongiurato sono costretto di
dire o voglia
io, o no, io non sono uomo, ma
diavolo che ho preso
forma d'uomo, e sono stato così
XIIII anni con questo
cavaliere. Però che 'l nostro prencipe m'ha mandato qua,
acciò che in quello dì che questi non
dicesse la salutazione
di santa Maria
diligentemente, vi ponessi
cura,
acciò che,
avuta la
balia
addosso a lui, immantanente
io lo
strangolassi, sì che
faccendo la sua fine ne' suoi
mali fosse nostro. Ma imperò che ogne
die e'
diceva
quella salutazione, non poteva avere podestà in lui;
ecco
ch'io abbo osservato
diligentemente di dì in
die e non
ha lasciato passare veruno dì che non l'abbia
detta e
salutata". Quando il
cavaliere
ebbe udito ciò,
fortemente
stupidìo, e gittandosi a' piedi del santo uomo,
domandolli
perdonanza e mutòe la vita sua in migliore opere.
E l'uomo santo disse al
demonio: "Nel nome di
Jesù
Cristo ti
comando che tu ti parta di qui, e da quinci innanzi
non possedere cotale luogo dove tu possa nuocere
a veruno che
chiami la Vergine Maria. Sì tosto come
'l santo uomo
ebbe
dati questi
comandamenti, el
demonio
isparve di subito
e il cavaliere con reverenza
e ringraziamenti permise al santo uomo d'andarsene
libero".
cap. 51, Passione G. CristoLa passione del nostro Segnore sì fu
amara per lo
dolore,
dispetta per lo schernire,
fruttuosa per la molta
utilitade. Il
dolore è
accagionato per
cinque cose. Primieramente
di ciò che questa passione fue vituperosa,
imperò che fu in vituperoso luogo, cioè in monte
Calvari
là
dove i malifattori erano puniti, anche per lo
vituperoso tormento però che fu
condannato ad essere
morto di
soccissima
morte. Ché la Croce era tormento
de' ladroni e, avvegna ché la Croce fosse allora di molta
vergogna, ora si è di molta gloria.
Dice santo Agostino:
"La Croce, la quale solea essere tormento de' ladroni,
ritorna ora a le
fronti de li imperadori; e se
Domenedio
ha fatto
cotanto onore al tormento suo, quanto ne
farà
al servigiale suo?" Anche per la
cattiva
compagnia,
però che con
escellerate persone fue giudicato, cioè con
i ladroni che prima furono scellerati uomini. Ma l'uno
di loro che avea nome
Dismas
come è detto nel Vangelio
di Nicodemo, sì si
convertìo poi, lo quale stava
dal lato ritto, ma l'altro fue
dannato lo quale avea
nome
Gesmas; sì che a l'uno
diede il regno e a l'altro
il tormento. Onde dice santo Ambrogio: "Usanza è de
li uomini, quando si partono di questa vita, di fare testamento
de le loro cose, onde Cristo
considerando che
dovea morire fece questo testamento: A gli
apostoli
lasciò persecuzione e a'
discepoli pace, a' giudei il
corpo,
al suo padre lo spirito, a la Vergine il suo
amato
discepolo
per governatore e
servidore come propio figliuolo,
al ladrone il Paradiso, a' peccatori lo
'nferno, e a li
cristiani di penitenzia raccomandava la Croce. Ecco il
testamento che Cristo fece a la
morte stando impiccato
in su la Croce.
Nel secondo luogo fue
accagionato il
dolore di ciò
che la pena ch'elli ricevette sì fue non giusta, però
che non fece peccato, non fu trovato una
mala parola
ne la sua
bocca e però la pena che viene altrui indegnamente
sì è più da
dolere. Ché di tre cose
massimamente
l'
accusavano, cioè l'una, perché vietava che
fosse renduto il tributo a Cesare, l'altra, perché si
faceva
re e perché si
faceva figliuolo di Dio. Contro a
queste tre cose
diciamo noi il Venerdì Santo in persona
di Cristo tre
scuse, che
dicono:
"Popule meus".
Con l'altre parole che seguitano, rimprovera loro tre
beneficii fatti a loro, ciò furono la liberagione de l'
Egitto,
com'egli resse nel
deserto e 'l piantamento de la vigna
in ottimo luogo, quasi
dica Cristo: "
Accusimi tu, popolo,
del rendimento del tributo, che
dovesti anzi
ringraziarmi
ché io ti liberai dal tributo;
accusimi tu perch'io mi
chiamai re, che mi
doveresti anzi rendere grazie che io
ti pascei realmente nel
deserto;
accusimi tu perch'io
mi
chiamai figliuolo di Dio, maggioremente mi
doveresti
rendere grazie perch'io ti
elessi ne la vigna mia e
piantai te in luogo ottimo".
Nel terzo luogo perch'elli fu morto da li
amici, che
più sarebbe da
sostenere il
dolore chi 'l
patisse da
coloro
che
debbono essere nemici, ovvero da
coloro che
fossono stranieri, o a cui elli
avesse fatto alcuno
danno;
ma Cristo fu morto da li
amici e da
coloro de la cui
schiatta nacque. Di questi
due si dice nel Salmo: "Gli
amici miei e li prossimi miei sono stati contra di me".
Anche fu morto da
coloro a' quali elli avea fatto molti
beni, onde dice san
Giob nel
XIX capitolo: "Li
conoscenti
miei sono sceverati da me come stranieri".
E santo Giovanni dice nel Vangelio, ne l'ottavo
capitolo:
"Molte
buone opere v'ho mostrate da padre mio".
Dice san Bernardo: "O
buono Gesù, come
dolcemente
tu
conversasti con gli uomini! Come grandi cose
tu
donasti a loro, come
dure cose tu
patisti per loro,
dure parole, più
dure
battiture e
durissimi tormenti de
la Croce".
Nel quarto luogo, per ragione de la
tenerezza del
corpo, onde di lui è
detto in
figura di
David nel secondo
libro de' Re, presso che a la fine: "Elli è com'uno
vermicello
teneruzzo di legno".
Dice san Bernardo:
"O giudei, voi siete pietre, ma voi percotete una pietra
più molle, la quale risuona suono di pietade e
rampollane
olio di
caritade". Anche
dice san
Geronimo:
"
Dato fu
Jesù a
battere a'
cavalieri, e quello santissimo
corpo e petto
capace di Dio fu tutto segnato da le
battiture".
Nel quinto luogo, però che fue universale, però
che fue
tormentato per tutte le parti del
corpo e per
tutti i sensi. Che prima fu il
dolore ne li occhi, però
che lagrimò, come
dice san Paulo, a li
Ebrei nel quinto
capitolo.
Dice san Bernardo: "Montò Cristo in
alto, per
essere udito più da lunga; gridòe
fortemente, perché
niuno si
scusasse; al grido
aggiunse
lagrime, perché
l'uomo n'
avesse
compassione". Altra volta lagrimò
due
volte, cioè fue ne·
risucitare di
Lazzaro, e sopra Gerusalem.
Sì che le primaie furono
lagrime d'
amore,
onde
dicevano: "Vedete come l'
amava!"; le seconde
furono di
compassione, ma le terze furono di
dolore.
Nel secondo luogo fue il
dolore ne l'udire, quando elli
udìo
cotante
vergogne e
bestemmie e villanie,
quattro
cose
ebbe in sé, contra le quali elli udìo vituperi. Imperò
ch'elli
ebbe in sé somma nobilitade, però che
essendo
figliuolo di Dio, secondo la
deitade,
essendo
nato di schiatta reale secondo l'umanitade eziandio secondo
ch'elli era uomo, sì era re de' re e signore
de' signori. Ancora
ebbe veritade da non potere
dire,
per ciò ch'era via e veritade e vita, onde dice anche
di sé: "Il sermone tuo, padre mio, sì è verace, il
figliuolo è sermone, parola del padre". Ancora
ebbe
potenzia
da non potere essere soperchiata, però che tutte
le cose sono
fatte per lui. Ancora
ebbe singulare
bontà,
però che neuno è
buono altri che solo Iddio.
Primieramente adunque udì
vergogne e
bestemmie
contra la nobilitade, come
dice san
Matteo che li Giudei
diceano di Cristo: "Or non è costui figliuolo d'uno
maestro di legname, ovvero
fabbro? Or non si chiama
la madre sua Maria?"
Secondariamente contra la podestade sua ricevette
vergogna, onde dice san
Matteo, nel
XII capitolo, che
li Giudei
diceano: "Questi non
caccia le
demonia se
non in virtù di
Belzabub, prencipe de'
demoni". Anche
dicevano in altro luogo: "Egli ha
fatti salvi gli altri
e se medesimo non può salvare".
Ecco che 'l
chiamano
meno possente, con ciò fosse cosa impertanto
ched elli
abbattesse li suoi
avversarii con la sola parola.
Ché,
andandolo egli
caendo, e elli disse a loro:
"Cui
adomandate voi?" Ellino rispuosero: "
Jesù
Nazareno". E elli disse a loro: "Io sono". Immantanente
caddero.
Dice qui santo Agostino: "Una
boce
abbattéo una turba
fiera, d'
arme terribile e
percossela
sanza veruna lancia o
coltello e
scacciolla con la vertude
de la
nascosa
deitade. Che
farà dunque quando
verrà a giudicare, quando colui che
dovea essere giudicato
fece questo? Che potrà elli fare colui che
dovrà
regnare, quando
dovendo morire
poté fare questo?
Nel terzo luogo quanto a la veritade, onde dice san
Giovanni ne l'ottavo
capitolo: "Tu
dai testimonianza
di te medesimo, la tua testimonianza non è verace".
Ecco che 'l
chiamano
bugiardo, con ciò sia cosa che impertanto
ched e' sia via e verità e vita. Questa verità,
che Cristo era, non
meritò d'udire Pilato che cosa
fosse verità avvegna ch'elli ne
domandasse a ciò fue
perch'elli sentenziò la veritade contra a veritade, cioè
esso Cristo il quale è veritade. Bene
cominciò elli da la
verità, ma non vi stette entro fermo: e però
cominciò la
quistione de la verità ma non fue
degno d'udire la soluzione.
Un'altra ragione n'
assegna santo Agostino che
dice che quando Pilato
ebbe fatta la quistione, sì li venne
in memoria l'usanza de' Giudei, come solevano lasciare
loro uno pregione per la
Pasqua e però uscì fuori immantenente
e non
aspettò la risposta de la
domanda.
La terza ragione dice santo Giovanni
Grisostimo, sì
è perché sapeva bene che la questione era sì malagevole
che avea
bisogno di molto
scuoterla e in molto
tempo e elli
affrettava per liberare Cristo, onde tosto
uscì fuori al popolo. Bene si legge elli nel Vangelo di
Niccodemo, che quando elli
ebbe
domandato: "Che è
verità?" Cristo li rispuose: "La verità è dal
cielo".
Disse Pilato: "In terra non ha dunque verità?" Rispuose
Cristo: "Come può essere la verità in terra, la quale
è giudicata da
coloro che hanno podestade in terra?"
Nel quarto luogo
feceno contra la
bontade, onde
dicevano ched elli era peccatore nel
corpo, come
dice
santo
Joanni che li giudei
dicevano di lui: "Noi sapemo
che questo uomo è peccatore". Anche il
chiamavano
ingannatore in parole come
dice santo Luca
nel tredecimo
capitolo che li giudei
dicevano di Cristo:
"E' va
commovendo il popolo,
ammaestrando per tutta
la provincia di Giudea". Anche il
chiamavano
transandatore
de la legge in operazione, come
dice santo
Joanni nel nono
capitolo: "Non è questo uomo da Dio
che non guarda il sabato".
Nel terzo luogo fu il
dolore ne l'
adorato, imperò che 'l
monte Calvario era luogo
putente però che v'erano li
corpi de li uomini morti puzzolenti e stati guasti da la
giustizia. Onde
si dice nella Storia Scolastica che propiamente
Calvario è l'osso nudo del capo onde era
chiamato
Calvari, però che quivi era
calvezza di teschi di
capi tagliati e morti e rei uomini e molti ve n'erano
sparti.
Nel quarto luogo fu il
dolore nel gustare onde gridando
elli: "Abbo
sete", sì li
diedero a
bere
aceto
mischiato con
fiele e con
mirra, acciò che per lo
aceto
morisse più tosto, e così esse guardie fossero più tosto
liberi da l'officio de la guardia; però che si dice che
se i
crucefissi
beano l'
aceto si muoiono più tosto. Mischiato
mirra e
fiele acciò che per la
mirra fosse punito
l'
odorato, e per lo
fiele il gusto.
Dice santo Agostino:
"Per
me
ro è ripieno la sinceritade d'
aceto,
la
dolcezza è mischiata di
fiele e
aggiunta la innocenzia
al reo, muore la vita per lo morto".
Nel quinto luogo fue la pena nel toccare, però che
da la pianta del piede insino al capo non rimase in
lui sanitade, onde san Bernardo
dice come elli
ebbe
dolore in tutt'i sensi del
corpo. Il capo che fa tremare
gli spiriti
angelici è punto da le spine, la
faccia
bella sopra tutti i
figliuoli de li uomini è vituperata
da gli
sputagli de' giudei, gli occhi più
chiari del sole
sono
fasciati, gli orecchi che odono i
canti de gli
angeli
odono gli
assalti de' peccatori de l'
accuse
false,
la
bocca che
ammaestrava gli
angeli è
abbeverata di
fiele e d'
aceto, li piedi che la loro
predella è
adorata,
però ch'ella è santa e secondamente che
dice
David
profeta nel salterio, sì furono
conficcati a la
croce col
chiavello, le mani che
formarono il
cielo e l'uomo e
tutte le cose, sono
distese ne la
croce e
confitte con
chiavelli, il
corpo è
battuto, il
costato è
forzato con
la lancia, e che più? non rimase in lui altro che la
lingua, acciò che pregasse per li peccatori e raccomandasse
la madre al
discepolo.
Secondariamente fu la sua passione
dispetta per le
beffe che furono
fatte di lui, e ciò fu per
quattro stagioni.
La prima fu in
casa d'
Anna là ove ricevette gli
sputi e le gotate e la
fasciatura de gli occhi.
Dice san
Bernardo: "Lo volto tuo
disideroso, o
buono
Jesù, nel
quale
disiderano gli
angeli di sguardare si
sozzarono
con li
sputi e
batterono con le mani e
copersero con
uno velo per
istrazio e anche l'
afflissero con
amare
fedite". La seconda volta fu in
casa d'
Erode, lo quale
riputando Cristo un pazzo e di non sana memoria in
ciò che non poteva avere risposta veruna da lui, per
beffe e per
dilegione sì lo vestì di vestimento
bianco.
Dice san Bernardo parlando in persona di Cristo a' peccatori:
"Tu
se' uomo e hai
ghirlanda di
fiori e io
Dio e uomo abbo la
corona de le spine, tu hai gli
guanti in mano e io gli
chiovi
confitti; tu vai
ballando
col vestire
bianco e io per te
fu' schernito da
Erode
in vestire
bianco; tu va' saltando nel
ballo
co' piedi
ed io per te m'
affaticai
co' piedi; tu nel
ballo
stendi
le
braccia a
dimostrare
allegrezza e io l'
ebbi
distese
ne la
croce a vergogna; io ne la
croce mi
dolsi e tu
ne la
croce t'
allegri; tu hai
coperto il lato e 'l petto
in
segno di vanagloria ed io per te abbo il lato
forato.
Ma pertanto ritorna a me ed io ti
riceverabbo".
Ma perché taceva il Segnore al tempo de la sua passione
dinanzi ad
Erode e a Pilato e a Giudei
è triplice
la ragione. La prima ragione perché non erano
degni
d'udire la sua risposta, la seconda si è perché
Eva
avea peccato per
loquacità e per ciò Cristo volle satisfacere
per tacere, la terza perché ciò che rispondeva
si
calognavano.
La terza volta sì fu schernito in
casa di Pilato là
dove i
cavalieri l'
attornearono d'uno
amanto di porpore
e
puosorli la
canna in mano e la
corona de le spine
in sul capo e inginocchiati dinanzi da lui, e' sì
dicevano:
"Iddio ti salvi, Re di giudei!" E quella cotale
corona si fu di giunchi marini che tagliano e passano
non meno che
faccia la spina; sì che trapassòe il
capo e
trassene il sangue.
Dice san Bernardo: "Quello
capo
divino per molta
splenditudine l'
attornearono di
molta
spessitudine di spine sì fu
foracchiato insino al
cervello". De l'
anima sono tre openioni, cioè dove
l'
anima hae la principale sedia, ov'è il
cuore per quella
parola che
dice: "Del
cuore
escono li pensieri"; o nel
sangue, per quello ch'è scritto nel Levitico: "L'
anima
d'ogne
carne è nel sangue"; o nel capo per quella
parola che
dice: "E, inchinato il capo, mandòe fuori lo
spirito". Queste tre openioni
pare che sapessero li
giudei
almeno per operazione, ché per
ischiantarli l'
anima
dal
corpo sì l'
andarono
caendo nel capo, quando
ellino gli
confissero le spine infino al
cervello e
andarolla
caendo nel sangue quando eglino gli
apersono le
vene ne le mani e ne' piedi,
andarolla
caendo nel
cuore
quando ellino gli
forarono il
costato con la lancia. Contra
queste tre schernie
tramezziamo noi ne l'Officio di Venerdì
Santo innanzi a l'orazione de la Croce
tre adorazioni
dicendo:
"Agios." con gli altri versi, vogliendo
quasi onorare
tre volte colui che fu schernito
per noi
tre volte.
Nel quarto luogo fu ne la Croce, come
dice san
Matteo
nel Vangelio del Passio: "Li principi de' sacerdoti,
schernendo lui con li più vecchi e con li scribi,
diceano:
"Sed elli è re d'Israel, e' scenda de la
croce".
Dice san
Bernardo in questa parte: "Intanto
dona più la
pazienza
e loda l'umiltà e
adempie l'obbidienza e
compie la
carità
e rafferma la pace. Di queste
quattro maniere di
virtù sono ornati
quattro
corna de la
croce: e quello
disopra è la
carità, del lato
diritto l'obbedienzia, dal
manco la
pazienzia, ma la radice di tutte le vertude,
cioè l'umiltà, nel profondo". Tutte queste cose che Cristo
patìo, ricoglie san Bernardo in
brievi parole,
dicendo:
"Mentre che io
viverò, sì mi ricorderò de le
fatiche
ch'elli
sostenne in predicando, e de le
lassezze in
discorrendo,
e de le vigilie in orando, e de le tentazioni
in
digiunando, e de le
lagrime in
increscendoli di me e
de li altri, e de li
aguati in parlando. A la perfine, de
le villanie de li
sputi, de le gotate e de le
beffe, de'
rimproveri, de'
chiavelli."
Nel terzo luogo fue la sua passione
fruttuosa per la
utilitade; e
considerasi
massimamente l'
utilità di quella
in tre maniere: cioè remissione de' peccati,
donamento
di grazia e
concedimento di gloria. E queste tre cose
sono
notate nel
titolo de la Croce, cioè ne la sopraddetta
scritta; però che vi si dice
Jesù quanto al primo, Nazareno
quanto al secondo, re de' Giudei quanto al terzo,
però che là saremo tutti re. Di questa
utilitade parla
così Agostino: "Cristo
distrusse la
colpa presente, la
passata e quella che
dovea venire. I peccati passati
tolse via perdonandoli, e' presenti ritraendo gli uomini
da quelli, e quelli che
doveano venire
dando la sua grazia
a li uomini la quale usassono".
Di tale utilità dice
ancora Agostino: "Anche ci maravigliamo e
rallegriamo,
amiamo, lodiamo,
adoriamo, imperò che per la
morte
del nostro ricomperatore siamo
chiamati da le tenebre
a la luce, di
morte a vita, di
corruzione a gloria, di
sbandimento al paese, di pianto ad
allegrezza".
Come fosse utile il modo del nostro ricomperatore, è
manifesto per
quattro
ragioni. Ciò sono: perché molto fu
accettevole ad umiliare Iddio, a noi fu molto
convonevole
a guarire la piaga, fu
efficacissimo ad
attrarre
l'umana generazione, fu savissimo a vincere l'
avversario.
Primieramente fu
accettevolissimo ad umiliare
Domenedio.
Dice santo Anselmo, in un
libro che si
chiama Perché Dio uomo: "Neuna cosa, ciò
dice, più
aspra né più malagevole può l'uomo patire a l'onore
di Dio che la
morte, e
massimamente se ciò fa per
ispontana
volontade e non per necessitade veruna".
Questo adunque fece Cristo; onde dice san Paulo ne la
pistola a gli
Efesiani, nel terzo
capitolo: "
Diede se medesimo
offerta e sacrificio a Dio in odore di soavitade".
Come fosse sagrificio
umiliante e
racconciante noi con
Dio, dice santo Agostino nel
libro de la Trinitade: "Che
si potrebbe ricevere sì gran cosa come la
carne del sacrificio
del nostro
corpo,
compimento del sacerdote nostro?"
Quattro cose si
debbono
considerare nel sacrificio:
cioè
a chi offerse, che cosa offerse, chi offerse e per
cui offerse. Esso medesimo
ch'è uno tramezzatore de
l'uno e de l'altro, per sacrificio di pace ci
racconciòe con
Domenedio, una cosa stante colui al quale
offerìa e quella
cosa che
offerìa. Ancora
dice esso medesimo Agostino:
"Cristo è sacerdote e sacrificio, Dio e tempio. Sacerdote,
per lo quale siamo
racconci; sacrificio, col quale
siamo
racconci; Dio, al quale siamo
racconci e tempio
nel quale siamo
racconci". Onde santo Agostino in
persona di Cristo rimprovera ad
alquanti questo
racconciamento,
e dice così: "Con ciò fosse
cosa che tu
fossi
nimico, sì ti
racconciai col Padre mio per me stesso;
essendo te da lunga, io venni per
ricomperatti;
errando
te tra monimenti e monti e tra le selve, sì ti
andai
caendo,
e trovai te tra le pietre e tra 'l legname; e perché
tu non
fossi squarciato da la
bocca de' lupi e de le
fiere
rapaci, sì ti
raccolsi e in su le mie spalle ti
portai e
rende'ti al Padre mio,
affatica'mi, sudai, missi il capo
mio tra le spine,
diedi le mani mie a li
chiavelli,
lascia'mi
aprire il
costato con la lancia; non
dico de le
ingiurie, ma di
cotante
asprezze sono stato lacerato,
isparsi il mio sangue, puosi la mia vita per
accostarti
a me, e tu ti scosti pur da me".
Nel secondo luogo fu molto
convenevole a sanare il
malore; ed
attendesi questa
convonevolezza
da la parte
del tempo, da la parte del luogo, da la parte del modo.
Primieramente da la parte del tempo, però che Adamo
fu fatto e peccòe nel mese di marzo e in venerdì
e
ne l'ora di mezzodì, e Cristo in quello mese e in quello
die e in quella medesima ora volse patire pena, cioè nel
Venerdì e nel mezzodie, come peccòe Adamo.
Secondariamente da la parte del luogo; ché se tu
consideri
il luogo de la passione, tu sì ritroverrai che fu
comunale e speziale e singulare. Luogo
comunale fu la
terra di
promissione e speziale fu monte
Calvari, singulare
fu la
croce. Nel luogo
comunale fu fatto Adamo,
cioè nel
campo
Damasceno presso a
Damasco. Nel
luogo speziale fu seppellito, cioè
colà
dove Cristo fu
passionato. Ma san
Geronimo dice che Adamo fu seppellito
in
Ebron, come
spressamente si truova scritto nel
quarto
decimo
capitolo nel
libro di
Josuè. In luogo singulare,
cioè nel luogo nel quale fu ingannato l'uomo;
e in una storia de' Greci si truova che fu
crocefisso in
quello medesimo
luogoro in che Adamo peccò.
Nel terzo luogo da la parte del modo di
curare, ché
'l modo di
curare fue per cose somiglianti e per cose
contrarie. Per cose somiglianti, per ciò che, come
dice
santo Agostino
nel libro de la Dottrina Cristiana, ingannato
da donna, nato di donna l'uomo liberòe gli uomini
e 'l mortale i mortali, e liberòe i morti con la
morte. Anche
dice santo
Ambrosio: "Di terra vergine fu fatto
Adamo, di
femmina vergine nacque Cristo. Colui a la
imagine di Dio, costui imagine
di Dio; per la
femmina
la stoltizia, per
femmina la sapienza; ignudo Adamo,
ignudo Cristo; la
morte per l'
albore, la vita per la Croce;
nel
diserto Adamo, nel
diserto Cristo". Ancora le
cose
contrarie; che, però che Adamo avea peccato per
soperbia, come
dice san Gregorio, e per
disubbidienzia
e per
gola, che si volle
assimigliare a Dio per
altezza
di scienzia, trapassòe il
comandamento di Dio per
dispregio e
assaggiare la soavitade del pome. E però che
la
cura è da fare per cosa che si
convegna, però che
questo modo fu molto
convonevole a sadisfare, però che
Cristo
sattisfece per umiliazione di sé, per
adempimento
del volere di Dio e per
afflizione de la
carne. Però dice
san Paulo ne la Pistola a'
Filippesi nel secondo
capitolo:
"Umiliò Cristo se medesimo quanto al primo, fatto obbediente
quanto al secondo, infino a la
morte de la
croce
quanto al terzo".
Nel terzo luogo fue
efficacissimo a trarre l'uomo a
sé; ché giammai non
poté più trarre l'uomo a l'
amore
e a la
fidanza sua, salvo l'
albitrio de la libertade.
Dice
qui san Bernardo: "Sopra tutte quelle cose che mi ti
rende
amabile, o
buono
Jesù, si è il
calice de la passione
che tu
beesti, che fu opera del nostro ricomperamento.
Questa cosa è quella ch'al postutto guadagna a sé tutto
il nostro
amore
agevolemente; questo è quello che la nostra
devozione più lusinghevolemente
alletta e più giustamente
adomanda e più tosto
desidera; e più
forte là,
dove, o
Jesù, t'
annichilasti tu, dove ti spogliasti tu de'
naturali razzi, dove
risplendette piùe la pietade, dove
s'
aperse più la
caritade, dove
abbondò più la larghezza".
De la
fidanza dice san Paolo a li Romani, ottavo
capitolo: "Colui il quale non perdonòe al suo propio
figliuolo, ma per tutti quanti noi sì 'l
diede, or come
non ci
donerà elli anche tutte le cose?" Con lui insieme
dice san Bernardo: "Quale sia quegli che non sia rapito
a speranza d'impetrare
fidanza, chi bene
attende a le
disposizioni del
corpo di Cristo, cioè a vedere il capo
inchinato, a
basciare le
braccia
distese,
ad abbracciare
le mani
forate, a
donare il lato
aperto, ad
amare i piedi
confitti, a muovere il
corpo
disteso, a
darsi tutto
quanto a noi".
Nel quarto luogo fu savissimo a
combattere con l'
avversario,
nemico de l'umana generazione.
Dice san
Giob
nel
XXV capitolo: "La prudenzia sua percosse il
superbo"; e ne l'ultimo
capitolo: "Or potrai tu prendere
Leviatan con l'
amo?" Cristo nascose la sua
deitade come
amo sotto l'
esca de l'umanitade, e 'l
diavolo,
volendo prendere l'
esca de la
carne, fu preso da
l'
amo de la
deitade. Di questo parla così tanto Agostino:
"Venne il ricomperatore, e fu preso lo ingannatore;
e che fece il ricomperatore al
pregioniere nostro?
tese la trappola: la
croce sua, e puosevi l'
esca:
il sangue suo. E quegli volendo spandere il sangue del
non
debitore, sì guastòe i
debitori; questo cotale
debito
chiama l'
apostolo
carta, la quale Cristo
appiccòe a la
Croce.
De la quale carta dice Agostino: "Eva apprestò
il peccato dal diavolo, scrisse la carta, dette un mallevadore;
de la quale
crebbe l'usura a li rimanenti, imperò
che allora il
diavolo fece la prestanza del peccato,
quando l'uomo
consentette al suo reo
conforto, contro al
comandamento di Dio; la
carta scrisse l'uomo medesimo,
quando porse la mano al pome
dinegato per Dio;
mallevadore
diede, quando fece
consentire l'uomo al peccato;
e così
crebbe l'usura del peccato a quelli che vennero
dopo lui". Ma Cristo ci prosciolse da tutte queste cose.
Onde dice san Bernardo nel sermone di Venerdì Santo
che Cristo rimprovera questo
beneficio a
coloro che lo
spregiano, e dice così: "Popol mio, che t'abbo io potuto
fare che io non t'abbia fatto? Che
cagione dunque
hai tu, che più ti piace servire al
diavolo che a me? Che
se questo paresse poco a li
sconosciuti, non vi ricomperò
elli, ma io. E di che prezzo? Certo non di prezzo
corporale
d'oro o d'
argento, non di sole o di luna, non d'alcuno
angelo, ma del mio propio
corpo. Ancora se per
molte
cotante ragione non si
dece di
richiedervi del
servigio
che voi mi
dovete rendere lasciando ogni altra cosa,
almeno del
danaio del
die vi
convenite con esso meco".
E però che Cristo fu messo a la
morte, da Giuda per
avarizia, da' giudei per invidia, da Pilato per paura,
però
cade a vedere de la loro pena. Ma de la pena e
del
nascimento di Giuda troverrai ne la leggenda di san
Mattia; de la pena e de lo
scadimento de li giudei troverrai
in quella di santo Jacopo minore; ma
de la pena
e del nascimento di Pilato si truova scritto in questo
modo in una storia che non è bene
autentica.
Fue uno re ch'
ebbe nome
Tiro; il quale
ebbe a fare
con una
garzonetta ch'avea nome
Pila,
figliuola d'uno
mugnaio ch'era
chiamato
Atus, e
ebbe uno figliuolo; sì
che questa
Pila
compuose un nome del suo e di quello
del padre che avea nome
Atus, e puose nome al figliuolo
Pilato. E
avendo Pilato tre
anni,
Pila sì lo mandò al
re; sì che il re avea uno figliuolo de la reina quasi
del tempo di Pilato; ed
essendo venuti al tempo che
conoscevano il bene e 'l male, Pilato con l'altro
fanciullo
del re, spesse volte giucavano insieme
combattendo
e con la
rombola in mano. Ma il figliuolo madornale
del re, com'egli era più nobile per generazione, così era
trovato essere più valentre che Pilato in tutte cose, e
adatto più in ogne maniera di
battaglia. Laonde Pilato,
mosso ad invidia, sì uccise il
fratello. La qualcosa quando
il re l'
ebbe saputo fu
fortemente
addolorato e,
chiamato
lo
consiglio,
domandò che fosse da fare de l'uomo. E tutti
disse
ro che era
degno di morire; ma il re, tornato in se
medesimo, non volle
arrogere
danno a
danno, ma
mandollo
a Roma per
istadico del tributo che
dovea
dare ogni
anno a li romani, volendo essere fuori de la
morte del
figliuolo ed essere
dilibero, sotto questa spezie, da tributo.
A quello tempo era a Roma il figliuolo del re di
Francia per quella medesima
cagione, e Pilato gli si
fece a
compagno; e veggendosi
avanzare da colui in
ingegno e in
costumi, mosso da invidia, sì lo uccise.
E
cercando i romani quello che
dovessero fare di costui,
dissono così: "Se questi hae a
vivere, c'ha morto il
fratello e strozzato il
compagno, potrà essere molto utile
a la repubblica; ed esso,
feroce,
domerà i
colli de'
feroci
nemici". Sì che
dissero così: "Con ciò sia cosa ched elli
sia
degno di
morte, sia mandato per signore a quelle
genti ch'
abitano ne l'
isola di
Ponthos, i quali non
patiscono
veruno giudice, se per
avventura la loro
contumacia
sia
domata de la malizia di lui e, se no, si abbia
quello di ch'egli hae
meritato". E così fu mandato là,
ma non che non sapesse a' quali e' fosse mandato; e
pensandosi così
chetamente il fatto e vogliendo
conservare
la vita, quella malvagia gente sottomise al postutto
or con minacce, ora con tormenti, ora con prezzo. Sì
che, perché fue vincitore di così
dura gente, fu
chiamato
Ponzio Pilato da quella
isola di
Ponthos. E abbiendo
udito
Erode lo 'ngegnoso uomo ch'egli era,
rallegrandosi
a le malizie di lui, esso malizioso, sì lo invitòe a sé
con
donamenti e con
tramezzatori, e
diedeli la sua podestade
sopra la provincia di Giudea e sopra Gerusalem.
Il quale, abbiendo ragunata molta pecunia,
andossene
a Roma, non sappiendone
Erode nulla, e offerse infinita
pecunia a
Tiberio imperadore, e
impetròe che li fosse
dato ciò che teneva da
Erode per li
donamenti ch'elli
fece al
detto imperadore. E di ciò
diventarono nemici
Erode e Pilato infino al tempo de la passione di Cristo;
ché allora si
racconciarono insieme, però che Pilato gli
mandò il Segnore.
Un'altra
cagione di
nimistade
assegnano le Storie
Scolastiche. Ché uno,
faccendosi figliuolo di Dio, avea
ingannati molti de' Galilei; e
abbiendogli
menati in uno
luogo che si chiama
Garizin, là
dove avea
detto ch'elli
sarebbe
salito in
cielo, sì che Pilato venne sopra loro
e uccise lui con tutti i suoi seguaci per temenza ch'elli
non ne ingannasse altressì gli giudei. E però
diventarono
nemici, perché
Erode signoreggiava in Galilea. E l'una
cagione e l'altra può essere vera. E con ciò fosse
cosa
che Pilato
avesse
dato il Signore a' Giudei a
crucifiggere,
temendo che non
avesse offeso lo imperadore di
ciò ch'avea
condannato l'uomo sanza
colpa, mandò uno
suo
famigliare a lo imperadore a
scusarsi.
Infrattanto,
avendo lo imperadore una grave infermità
e
essendoli mandato a
dire come
Jesù
curava ogne
cosa con la sola parola, non sappiendo che Pilato l'
avesse
dato a la
morte, disse ad
Albano suo
credenziere:
"Va tosto in Giudea, e
dirai a Pilato che mi mandi
quello medico che sana ogne cosa con la sua parola,
acciò che mi renda sanitade". E
dicendo a Pilato queste
cose
Albano, Pilato impaurito
chiese indugio
XIIII dì.
Infra 'l quale tempo
Albano
domandò una
donna, la
quale avea nome Veronica, ch'era stata molto
famigliare
di
Jesù, dove si potesse trovare
Jesù; e quella disse:
"Oimè ch'egli era mio Iddio e mio segnore, lo quale
Pilato
condannòe a
morte,
dato a lui per invidia, e
fecelo
mettere in
croce!" Allora quelli disse: "
Fortemente
me ne
duole; per ciò ch'io non
posso
adempiere quello
per che 'l Signore mio m'ha mandato!" E quella disse:
"Quando il Signore mio
andava predicando qua e là,
e io male volentieri stava sanza lui vedere,
vollimi fare
dipignere la sua imagine, acciò che, quando io vedere
non lo potessi lui,
almeno
contemplassi la sua imagine;
e portando me uno panno
bianco al
dipintore per
farlo
dipignere, il Segnore mi venne incontrato. E
richiesemi
là
dove io
andava, e
dicendoli me la
cagione del mio
viaggio,
chiesemi il panno e
fregollosi per tutto il volto
e 'l
segnòe quello panno de la sua venerabile
faccia.
Se 'l segnore tuo vedrà
devotamente l'
aspetto di questa
imagine, incontanente
avrà il
beneficio de la sua santade".
E quelli disse: "Potrebbesi questa imagine
comperare con oro o con
argento?" "Non ciò, disse
quella, ma con pietoso
effetto di
devozione.
Verrabbo
con essa adunque teco e recherò a vedere la imagine
a lo imperadore, e tornerommi a
casa".
Sì che ne vennero insieme a Roma. Disse
Albano a
lo 'mperadore: "
Jesù, ch'era dinanzi
da te disiderato,
Pilato e li giudei uccisero ingiustamente e per invidia
il
chiavellarono in su la
croce. Ora è venuta con
esso meco una
discepola di questo
Jesù, e reca seco una
imagine, la quale se tu ragguarderai bene
divotamente,
incontanente
diverrai sano". Sì che lo imperadore fece
ornare la via di
zendadi e di sciamiti, e
comandò che
li fosse presentata la imagine; e sì tosto, come l'
ebbe
veduta, incontanente sì riebbe la santade di prima.
Sì che, per
comandamento de lo imperadore, Pilato
fu
menato preso a Roma e presentato a lo 'mperadore.
Ma Pilato portò seco la tonica del Segnore sanza
costura, e andò vestito con essa dinanzi, a lo 'mperadore.
Sì tosto come lo imperadore l'
ebbe veduto, ogne
ira che avea puose giù e
levollisi dinanzi, né non li
poté parlare veruna
dura parola; e colui che parea terribile
e
fiero da che quelli si era partito,
diventava
mansueto da che gli era presente. E quando lo 'mperadore
gli avea
data la licenzia di partire, sì 'ncontanente
s'
adirava e terribilemente contra di lui, gridando come
non gli avea mostrata l'
ira ch'egli avea nel
cuore. E
faccendolo richiamare,
contastando e giurando che quelli
era figliuolo di
morte e che non era licito ched elli
vivesse sopra la terra, sì tosto com'elli il vide, il salutò
e
cacciò via da sé ogne
crudelezza d'
animo. Tutti si
maravigliavano di ciò e, esso medesimo, se ne
maravigliava
di ciò; che quando quegli gli si era levato dinanzi,
così
fortemente s'
adirava contra di lui, e quando elli
era presente, non li potea parlare nulla
aspramente. A
la perfine, per
volontà di Dio, ovvero per
conforto d'alcuno
cristiano, per la ventura lo 'mperadore gli fece
spogliare la tonica; e incontanente riebbe la
fierezza
de l'
animo. E maravigliandosi di ciò Cesare, seppe che
quella era stata la tonica di
Jesù Cristo. Allora lo fece
mettere in prigione infino a tanto ched e' pensasse quello
che
dovesse essere fatto di lui. Sì che,
avuto il
consiglio,
fu
data la sentenzia che fosse
condannato a fare sozzissima
morte. Udendo ciò Pilato col suo
coltello s'uccise
se medesimo. Udendo ciò lo 'mperadore, sì disse:
"
Veramente è morto di sozzissima
morte, al quale la
propia mano non ha perdonato". Sì che fu legato ad
uno grande
carico e fu gittato nel Tevere. Allora le
demonia sozze,
rallegrandosi al
corpo sozzo,
isturbavano
l'
acque,
commoveano l'
aere e
generavanvi
folgori e
tempestadi e tuoni e gragnuole, sì che tutte le persone
erano prese da una
mirabile paura. Sì che i Romani,
traendone fuori per
istrazio, il portarono in Vienna e
tuffarollo entro il
fiume del Rodano. Ché Vienna è
detta
quasi viva
geenna, cioè
fuoco, però che allora era un
luogo di maladizione. Ma le
demonia furono presenti là,
operando quelle medesime cose che
facevano a Roma;
sì che gli uomini di quella
contrada, non potendo patire
quella
pistilenzia de le
demonia,
rimossero da sé quello
vasello di maledizione e
commisserlo a sotterrare nel
territorio di
Losania. Ed
essendo
coloro troppo gravati
de le
dette
pestilenzie,
rimosserlo da loro e
gittarollo
in uno
pozzo
attorniato di montagne; nel quale luogo,
come le persone
dicono, non mollano ancora le
tormentagioni
de le
demonia a
bullicare. Infino a qui si legge
ne la
detta storia non
autentica; la quale, s'è da raccontare,
e rimagna ne l'
arbitrio del leggitore a sua sentenzia.
Ma ne le Storie
Scolastiche sì si legge che Pilato fu
accusato
a Tiberio da' giudei di sforzata
morte di non
colpevoli e che,
contradicendo li giudei, ponea nel tempio
l'imagini de' pagani e che la pecunia ch'era messa
nel
ceppo del tempio sì
spendea al suo uso,
faccendone
condotto d'
acqua in
casa sua; onde per tutte queste
cose fu mandato a
ternafine a Leon sopra Rodano, là
onde era stato natìo, acciò che vi morisse in vergogna
de la sua gente. Puote bene essere che prima fosse
mandato a
tornafine a Leon sopra Rodano per l'
accuse
de' giudei; ma poscia, udito
dire de la
morte del Segnore,
lo 'mperadore il fece ritornare e fece di lui come
detto
è di prima. Ma santo
Eusepio e
Beda ne le loro
Croniche
non
dicono che fosse mandato a
tornafine, ma pur che,
caggendo elli in molte miserie, con la sua propia mano
s'uccise.
Abbiendo
detto de le
feste che
corrono fra 'l tempo de
lo sviamento; il quale tempo
cominciò da Adamo e
bastòe
infino a
Moisé, lo quale tempo rappresenta la Chiesa
da la
sessuagesima infino a la
Pasqua; seguita ora a
vedere de le
feste che vegnono, fra 'l tempo de la
riconciliazione,
lo quale tempo rappresenta la Chiesa da
la
Pasqua da la Resurressione infino a l'ottava di Pentecoste.
cap. 52, Resurrez. G. CristoLa resurressione di Cristo fu fatta il terzo dì dopo
la sua passione; de la quale sono da
considerare
sette
cose. E prima è da vedere come tre dì e tre
notti stette
nel sepolcro e al terzo dì risucitò. E
diciamo, secondo
il
detto di santo Agostino, che si prende parte per tutto;
e ciò è vero in questo modo: che si prenda il primo
die
secondo l'ultima parte di sé, il secondo
die secondo
tutto sé e 'l terzo secondo la prima parte di sé; e così
sono tre dì e
ciascuno di questi dì
ebbe la sua notte
dinanzi. Però che allora, secondo il
detto di
Beda, fu
mutato l'ordine e 'l
corso de dì e de le
notti; e che
imprima
andavano il dì innanzi e le
notti dietro; ma
dopo la passione si rimutò questo ordine, sì che le
notti
vanno innanzi e i dì vanno di dietro. E ciò si
convenne
nel misterio santo, però che l'uomo dal primo dì de la
grazia
cadde ne la notte de la
colpa
e, per la passione
e resurressione di Cristo, da la notte di colpa tornòe
al
die de la grazia.
Nel secondo s'
addomanda perché non
risucitòe a mano
a mano, cioè subito, ma
aspettossi al terzo
die; e
assegnasene
cinque
ragioni. La prima fue per la significazione,
acciò che per questo fosse significato che la luce
de la sua
morte
curò la nostra
doppia
morte; e però
giacque nel sepolcro uno
die
entero e
due
notti, acciò
che per lo
die s'intenda la luce de la sua
morte, e per
le
due
notti la nostra
doppia
morte. E questa ragione
pone la Chiosa sopra quella parola del Vangelio di santo
Luca nel
XXIV capitolo: "
Convenne che Cristo
patisse."
La seconda ragione si è per la pruova; ché
sì come ne la
bocca di
due o di tre testimoni sta ogni
parola, così in tre dì sta ogne fatto a provare, acciò che
veramente morto fosse provato quando tre dì giacque nel
sepolcro. La terza ragione fu per mostrare la sua
potenzia;
però che, se di subito fosse risucitato, non parrebbe
già ch'elli
avesse
potenzia di morire come di
risucitare.
Onde sopra quella parola che
dice san Paulo, ne
la prima Pistola a'
Corinti nel
XV capitolo: "Per ciò che
Cristo morìo per li peccati nostri" dice la Chiosa: "E
però che la
morte si è andato innanzi, acciò che, sì
come si mostra la verace
morte, così si pruova la vera
resurressione". La quarta ragione si è per
figurare le
cose di che noi
dovavamo essere ristorati; onde dice
Pietro Ravignano: "
Tre dì volle che
avesse la sua
sepoltura,
cioè per ristorare le cose di terra, e per ricomperare
quelle ch'erano al limbo de lo inferno". La
quinta
cagione si è per ristorare tre stati di giusti;
onde dice san Gregorio sopra lo
Ezechiel: "Il venerdì
fu morto Cristo, il sabato si posòe nel sepolcro e la
Domenica risucitò. La vita presente è ancora a noi venerdì,
però che da molti
dolori siamo tormentati; ma
il sabato quasi ci riposiamo nel sepolcro, però che troviamo
riposo a l'
anima dopo la
morte; e la
Domenica
quasi ne l'ottavo dì ci leviamo da la
morte e ne la
gloria de l'
anima insieme con la
carne ci
allegriamo.
Sì che
abbiamo
dolore nel
sesto dì, e
riposo nel settimo
e gloria ne l'ottavo". Insino a qui sono parole di san
Gregorio.
Nel terzo luogo s'
adomanda come risucitasse; e
diciamo
che
risucitòe
potentemente, però che per propia vertude
risucitò, come disse nel Vangelio di santo Giovanni nel
nono
capitolo: "Io abbo
potenzia di porre giù la vita
mia, e abbo
potenzia di
ripigliarla un'altra volta".
Anche
dice in altro luogo: "
Disfate questo tempio e
io lo rifarò in tre dì". Anche risucitò
beatamente, imperò
che puose giù ogni miseria, come
dice nel Vangelio
di san Giovanni nel
XXVI capitolo: "Poi ch'io sarò
risucitato, sì v'
andrò innanzi in Galilea". Galilea è
interpretata
trapassamento. Adunque Cristo quando risucitò,
andò innanzi in Galilea, imperò che de la miseria
passòe a la gloria e de la
corruzione a stato di non mai
corrompersi. Andò innanzi, imperò che lasciò la
immortalitade;
onde dice san Leone papa: "Dopo la passione di
Cristo, rotti i legami de la
morte, la infermità trapassòe
in virtude, la mortalitade in
eternitade, la vergogna in
gloria". Anche risucitò utilemente però che prima prese
la preda come
dice
Jeremia nel quarto
capitolo: "Montòe
il leone del letto suo, e lo rubatore de' pagani s'è levato".
Anche
dice nel Vangelio di san Giovanni: "Quando
io sarò levato di terra, cioè traendo l'
anima mia del
limbo e 'l
corpo del sepolcro, io
trarabbo tutte le cose
a me medesimo". Anche risucitò miracolosamente, imperò
che, sì come elli uscì fuori del ventre de la madre
rimagnendo
chiuso e sì come
entrò a gli
apostoli
essendo
serrate le porte, così risucitò del sepolcro stando
esso
chiuso. Onde si legge ne la Storia
Scolastica che
uno monaco di san Lorenzo fuori de le
mura di Roma
ne li
anni
Domini
MCXI, maravigliandosi de la
cintura
sua, de la quale era
cinto, come non sciolta fosse gittata
innanzi a lui, li venne una
boce ne l'
aere e disse
così: "Così poteo uscire Cristo del sepolcro stando chiuso".
Anche risucitò
veramente, però che risucitò in
corpo verace e in suo propio
corpo. In
sei modi si provò
essere risucitato
veramente: il primo modo per l'
angelo
il quale non
mentisce; il secondo modo per lo spesso
apparire; il terzo per lo mangiare, per lo quale è manifesta
cosa che non risucitasse per
arte di
demonio;
il quarto per lo
toccamento, per lo quale si mostra ch'elli
risucitasse in verace
corpo; il quinto per lo mostramento
de le margini per la quale cosa si pruova che
risucitasse in quello
corpo nel quale fu morto; il
sesto
per lo
entrare in
casa stando le porte serrate, in ciò
si mostra ch'elli risucitò col
corpo glorioso.
Tutti questi
dubbi intorno a la resurressione di Cristo pare fossero
nei discepoli. Ancora risucitò
inmortalmente, come
dice san Paulo a' Romani nel
sesto
capitolo: "Cristo
risucitando da
morte giammai non muore". Ma bene
dice
Dioniso, ne la pistola che mando a
Demofilo, che Cristo,
poi che fu salito in
cielo, disse a
l beato
Carpo:
"Apparecchiato sono di morire un'altra volta per
coloro
che si
debbono salvare". Per la qualcosa
pare che,
se possibile fosse ancora, sarebbe apparecchiato a morire
per tutti. Ché raccontòe il
beato
Carpo, uomo di grande
santitade a san Dionisio (sì come esso san
Dionigio
dice), che abbiendo uno sanza fede
convertito uno
cristiano,
sì l'
ebbe per male
Carpo e
recollosi sì a noia che
gliene venne infermitade. (Ed era di tanta
santitade che
giammai non
diceva
Messa ched e' non
avesse alcuna
revelazione da
cielo o alcuna visione). E
dovendo lui
pregare
Domenedio che gli
convertisse, sì 'l pregava
continuamente
gli
facesse
ardere
abendue insieme sanza
misericordia. Ed eccoti entro la mezzanotte, mentre
ch'elli vegghiava e fatta questa cotale orazione, subitamente
la
casa, ne la quale era, fue partita in
due
parti e una grande
fornace v'
appare e, ragguardando
in suso, vidde il
cielo aperto e
Jesù Cristo
accerchiato di
moltitudine d'
angeli. Poscia vidde intorno a la
fornace
stare quelli
due uomini tutti in triemito, i quali erano
tirati ne la
fornace per
forza con morsi e con
avvolgimenti
da li serpenti che uscivano de la
fornace, e
d'
alquanti uomini erano sospinti. Le quali cose vedendo
Carpo tanto gli giovava di vedere questa vendetta di
costoro che a la visione disopra non poneva
mente,
e molto si recava a noia che quelli serpenti non li traevano
tosto entro la
fornace. A la perfine con malagevolezza
ragguardando il
cielo
e avendo vista la visione
di prima, ecco
Jesù Cristo, misericordioso di quelli uomini,
discendere d'in su la sedia
celestiale infino a
coloro
con
moltitudine d'
angeli, e
diede le mani a
coloro e liberolli;
e disse
Jesù Cristo a
Carpo
stendendoli la mano
inverso lui e dice: "Poni
mente la mano a me,
ancora sono apparecchiato di patire per li uomini che
si
debbono salvare, e questo m'è
amichevole, non che
gli altri uomini pecchino".
Questa visione che racconta
Dionigi, ponemmo qui per prova di ciò.
Nel quarto luogo s'
adimanda perché non s'aspettò
di
risucitare con gli altri. E
assegnasene
tre
ragioni. E
la prima è per la
dignità del suo
corpo; ché,
essendo
il suo
corpo
dignissimo, perché era unito a la
deitade,
non gli si
confese di stare tanto
sotto la
polvere
come
dice il salmista: "Non
darai al santo tuo, cioè
al
corpo santificato, cioè
deificato, vedere
corrompimento".
Anche
dice il salmista: "Levati, messere,
nel
riposo tuo, tu e l'
arca de la tua santificazione".
E
chiamasi
arca di santificazione il
corpo che
contiene
in sé la
deitade. La seconda ragione si è per la
fermezza
de la fede; ché
se non fosse risucitato, allora
la fede sarebbe stata perita e non
avrebbe altri
creduto
il vero Iddio. E ciò è manifesto, perché al tempo de la
passione di Cristo, trattone la Vergine gloriosa, tutti
quanti perdettero la fede; ma per la resurressione sì
la
racquistarono, come
dice l'
apostolo Paulo ne la prima
Pistola a' Corinti
XV capitolo: "Se Cristo non
resurressie,
vana è la fede nostra". La terza ragione
si è per lo
essemplo de la nostra resurressione; ché più
rado si troverebbe chi sperasse la resurressione de'
corpi
umani se non vedesse andare innanzi la
cagione in
alcuno
essemplo. Però dice l'
Apostolo: "Se Cristo
risucitòe
e noi
risuciteremo, però che la sua resurressione
è
cagione d'
essemplo de la nostra resurressione".
Dice san Gregorio: "Il Segnore ne mostrò per
essemplo
quello che ci
promisse in guiderdone; ché come
li
fedeli
conoscessono lui essere risucitato, così
sperassono
in loro medesimi li guiderdoni
della resurressione
a la fine del
mondo". Anche
dice elli medesimo: "Non
volle che fosse più che
tre dì la sua
morte, acciò che,
se in lui fosse indugiata la resurressione, non fosse al
postutto
disperata in noi".
Abbiamo, ciò ci
dice,
speranza del nostro
resurressire,
considerato noi la gloria
del capo nostro".
Nel quinto luogo fa
dimanda perché Cristo risucitò.
E
assegnasene
quattro
ragioni. La prima si è perché
la resurressione di Cristo
adopera il
giustificare de' peccatori;
la seconda si è perch'ella insegna
novitade
di
costumi; la terza si è perch'ella genera speranza
de'
guiderdonamenti de'
doni; la quarta si è perch'ella
cria il
risucitamento di tutti. Del primo dice san Paulo
a' Romani, nel quarto
capitolo: "
Dato fu per li peccati
nostri e
risucitòe per lo giustificamento nostro".
Del secondo dice nel
sesto
capitolo: "Sì come Cristo
risucitòe da
morte per la gloria del padre, così noi
andiamo
in
novità di vita". Del terzo dice ne la prima
Pistola di san Piero, nel secondo
capitolo: "Il quale
per la grande sua misericordia n'ha
ringenerati in speranza
viva per la resurressione di
Jesù Cristo da
morte".
Del quarto dice san Paulo ne la prima Pistola a' Corinti
nel
XV capitolo: "Cristo risucitò primo, principio
di
coloro che muoiono; però che, come per l'uomo venne la
morte, così per uomo venne il
risucitamento de' morti".
Ed è da notare che, come si manifesta per le predette
cose, Cristo
ebbe
quattro cose propie. La prima è che
la nostra resurressione s'indugia infino a la fine del
mondo, ma la sua fu fatta il terzo
die. La seconda si
è che noi per lui
risuciteremo, ma egli per se medesimo.
Onde dice santo
Ambrosio: "Come
poté elli
adomandare
aiuto di
risucitare il suo
corpo, colui che
risucitò gli altri?" La terza cosa è che noi c'
incenneriamo,
ma il
corpo suo non si
poté
incennerare. La
quarta è che la sua resurressione in speranza de la
nostra resurressione si è
cagione
efficiente,
essemplare
e sacramentale. De la prima
cagione
dice la Chiosa
sopra quella parola la qual'è del Salmo che
dice:
"Al vespro
dimorerà il pianto e al mattutino la letizia".
Dice così la Chiosa: "Cristo è
cagione
efficiente
de la resurressione nostra de l'
anima al tempo presente
e del
corpo nel tempo che
dee venire". De la seconda
cagione
dice san Paulo ne la prima Pistola a' Corinti,
nel
XV capitolo: "Se Cristo risucitò, e noi
risuciteremo".
De la terza dice ne la Pistola a' Romani nel
VI
capitolo: "Che come Cristo risucitò, così noi
andiamo
in
novità di vita".
La sesta cosa che s'
adomanda si è quante volte
apparve
risucitando. E
dovemo sapere il dì che
resurresse
apparve
cinque volte e altri dì altre
cinque volte. Primieramente
apparve a Maria Maddalena, come
dice san
Giovanni nel
XX capitolo del Vangelo e santo Marco
ne l'ultimo: "Risucitando la mattina il primo dì de
la settimana
apparve imprima a la Maddalena, la quale
rapporta significazione di penitenzia". E
apparve a lei
di prima per
cinque
cagioni. La prima si è perché
ella
amava più
ardentemente, come
dice santo Luca
nel settimo
capitolo: "Perdonati li sono molti peccati
perch'ella
amò molto". La seconda
cagione si è per
mostrare che fosse morto per li peccatori, come
dice
san
Matteo nel nono
capitolo: "Non sono venuto a
chiamare li giusti, ma i peccatori a penitenzia". La
terza è perché le
meretrici vanno innanzi a' savii nel
regno di Dio, come
dice san
Matteo nel
XXI capitolo: "In
verità vi
dico che le
meretrici v'
andranno innanzi nel
reame di Dio". La quarta, che come la
femmina fu messaggera
de la
morte, così fosse de la vita, secondo la
Chiosa. La quinta, acciò che là
dove
abbondò l'offesa,
soprabbondasse la grazia, come disse san Paulo a' Romani
nel quarto
capitolo. La seconda volta
apparve
a le
donne che tornavano dal monimento quando disse
loro: "Dio ti salvi" e elle
andarono umilemente e
gittarolisi
a' piedi, là
dove si mostra il grande loro
affetto.
La terza volta
apparve a san Pietro, ma non
si sa il
dove né il quando, se non per la ventura quando
tornava da monimento con santo
Joanni.
Poté bene essere
che san Piero in alcuno luogo si scostò da san
Giovanni e là gli
apparve il Segnore, come
dice santo
Luca ne l'ultimo
capitolo. Piero è interpetrato ubbidente,
e
rapporta la significazione de li ubbidenti a' quali
Cristo
apparisce. La quarta volta
apparve a li
discepoli
che
andavano in
Emaus; lo quale è interpretato
desiderio
di
consiglio, e significa li poveri di Cristo, che
adempiono quella parola del Vangelio: "Va,
vendi ciò
che tu hai e da' a' poveri e seguitami". La quinta
volta
apparve a gli
apostoli insieme raccolti, i quali
hanno a significare li religiosi, come
dice santo
Joanni
nel
XX capitolo. Queste
cinque
apparizioni
fatte il
die
di
resurresso rappresenta il prete a la
Messa
volgendosi
cinque volte al popolo.
Ma il terzo rivolgimento si fa con silenzio; che significa
la terza
apparizione fatta a san Piero, la quale
non si sa dove, ovvero quando fu fatta. La sesta volta
apparve l'ottavo dì a li
apostoli, cioè i
discepoli raunati
insieme, essendovi san Tomaso; il quale disse che non
crederebbe sed elli non vedesse; e significa
coloro che
dubitano
ne la fede, come
dice santo
Joanni nel
XX capitolo.
La settima volta
apparve a li
discepoli che
pescavano,
come
dice santo
Joanni ne l'ultimo
capitolo; e significa
i predicatori. L'ottava volta a li
discepoli nel monte
Tabor, come
dice san
Matteo ne l'ultimo
capitolo; e
significa i
contemplanti, però che nel
detto monte si
trasfigurò Cristo. La nona volta a li
undici discepoli che
mangiavano nel
cenaculo, là
dove Cristo riprese la
durezza
loro, come
dice san Marco ne l'ultimo
capitolo; e
significano li peccatori per lo numero d'undici di
trapassamento,
i quali Dio alcuna volta per sua misericordia
visita. La
decima volta
apparve nel monte d'Oliveto,
là onde salette in
cielo; e significa i misericordiosi
per le ulive, onde del monte d'ulive si
sale in
cielo;
imperò che la pietade vale a tutte le cose per la
promessione
che ha, come
dice san Paulo ne la prima Pistola
a Timoteo nel quarto
capitolo.
Dicesi che furono altre
tre
apparizioni il dì medesimo
di
risurresso, avvegna che ciò non s'abbia per lo testo
del Vangelio. La prima ch'elli
apparve a san Jacopo
minore, del quale
apparimento
cerca ne la sua leggenda.
La seconda fu ch'elli
apparve a
Giuseppo, come si
legge nel Vangelio di
Nicodemo. Ché abbiendo udito
li giudei ched elli avea seppellito il
corpo di Cristo,
indegnati contra di lui sì 'l presono e
rinchiuserlo in
una
camera
diligentemente serrata e suggellata, e dopo
il sabato il
volevano uccidere. E ecco
Jesù in quella
notte di
resurresso, stando la
casa sospesa in
quattro
cantoni,
entròe a lui e
forbilli il volto de le
lacrime
e
diedeli
bascio e, stando salvi e'
suggellati, sì lo ne
trasse e
rimenollone in
casa sua in
Arimatia. La terza
volta d'
apparizione fu ch'elli
apparve a la madre sua
prima ch'a tutti, avvegna che ciò tacessero i
Vangelisti.
La qualcosa la chiesa di Roma
pare che voglia
approvare,
che in quello
die fu la stazone a santa Maria
Maggiore. E se ciò non si
crede, perché neuno
Vangelista
il pone,
ne consegne che dopo la resurressione
non le apparve, perché neuno Vangelista pone il dove
e il quando. Ma non piaccia Dio che così fatto figliuolo
avesse così vilmente
anneghiettita così fatta madre,
degna sopra tutte l'altre persone, e che non la
vicitasse,
la quale sopra tutti
meritòe, ciò è sopra tutti fu
dolente
de la sua passione. E così si
confacea a lui di
visitarla, il quale fa tutte le cose bene, con ciò sia
cosa ch'ogne
sconvonevole sia impossibile a Dio.
Pare
che fosse quasi necessario d'
apparire prima a lei ch'a
gli altri; ma però li
Vangelisti non lo
dissero, imperò
che de le sue lode tacettero; però che per
fermezza
lasciarono. Ciò ché com'ellino scrissono la santificazione
di
Joanni Batista entro il ventre de la madre di Dio,
al postutto tacettero, però che dal minore lasciarono che
fosse provato; così scrivendo che Cristo
apparisse a meno
degne persone di lei, lasciarono che
massimamente, per
fermezza,
apparisse a lei che n'era
degna. Potrebbesi
ancora
dire ched elli intendeano ad inducere solamente
testimoni de la resurressione; onde con ciò sia cosa che
la madre non
convenevolemente testimoni per lo figliuolo
di lei, non volessono fare
menzione veruna. Che così
dice santo
Ambrosio nel
libro de le
Vergini: "Che
Cristo
debbe innanzi a tutti rallegrare la madre, la
quale è manifesto che sopra tutti gli altri si
dolse più
de la
morte".
La settima questione che si fa de la resurressione
sì è com'elli trasse i santi Padri del Limbo.
Certa cosa
è ch'elli scese a lo
'nferno, ma quello che vi si
facesse
niuno
Vangelista il pone. Ma santo Agostino
dice così
in uno suo sermone: "Cristo
diede al Padre lo spirito, e
l'
anima unita a la
deitade
discese al profondo del ninferno;
ed
essendo giunto al termine de le tenebre quasi com'uno
rubatore
splendiente e terribile,
ragguardo
ro in
lui quelli malvagii e le schiere infernali
spaventate cominciarono
a
domandare
dicendo: "Onde questi così
forte, così terribile, così splendiente, così chiaro? Quello
mondo che fu suggetto a noi, non ci mandò mai cotale
morto, mai non mandò a l'inferno cotali presenti; chi è
dunque questi ch'è così fuori di paura e
entra ne' nostri
confini, e non solamente non teme i nostri tormenti,
ma
maggiormente proscioglie gli altri de' nostri legami?
Ecco,
coloro che soleano
sospirare sotto nostri tormenti
ci fanno
assalto del
ricevimento de la salute, e non
solamente già non temono noi, ma ancora ci minacciano.
Unquemai così non insuperbirono li morti quine;
mai non furono così lieti i pregioni. Or perché ci
volestu
menare qua costui? O prencipe nostro, perita è
ogni tua letizia, in pianto sono
convertite l'
allegrezze
tue; da che tu impicchi Cristo nel legno e non sai
quanto
danno tu
sostenghi nel ninferno". Dopo queste
crudeli
voci di
coloro, al
comandamento di colui, cioè
del Signore, furono rotti tutt'i serragli de lo
'nferno
e gl'infiniti popoli de' santi gittaronsi a le ginocchia
sue e con
lamentevole
boce
dicevano: "
Ben
sie venuto,
ricomperatore del
mondo;
ben
sie tu venuto, lo quale
noi
disiderando
continuamente
aspettavamo. Tu
discendesti
per noi a lo
'nferno, ora non ci venire meno da che
sarai tu tornato al luogo disopra. Sali su, Signore
Jesù,
del ninferno, spogliato ed inferriato ne' suo' legami il
fattore de la
morte; rendi la letizia al
mondo, soccorri,
ciò
dicono, a spegnere le
crudeli pene e,
faccendo misericordia,
prosciogli gl'
incarcerati, tra li quinci, prosciogli
i peccatori, da che tu sarai montato,
difendi i
tuoi". Questi sono
detti di santo Agostino. Ma nel
Vangelio di
Niccodemo, si legge che
Zano e
Leuzio
figliuoli di
Simeone vecchio, risucitando con Cristo
apparetteno
ad
Anna e a
Caifas e a
Niccodemo e a
Giuseppo
e a
Gamaliel, e richiesti da loro quello che Cristo
facesse a l'inferno, sì
dissero: "
Essendo noi con tutti
i nostri padri ne la
scurità de le tenebre, subitamente
vi si fece uno
colore orino di sole e porporino e la reale
luce risplendente sopra noi; e incontanente venne Adamo,
si
rallegrò e disse: "Questa luce si è del
fattore del
lume sempiternale, il quale a noi e per noi
promisse
di mandare l'
eternale lume suo". Allora gridòe Isaia
e disse: "Questi è luce del padre, figliuolo di Dio,
com'io profetai,
essendo me vivo nel
mondo: il popolo,
che
andava in tenebre, vidde una grande luce". Allora
Simeone, nostro padre,
rallegrandosi, sì disse: "Glorificate
il Signore, imperò ch'io ricevetti Cristo ne le
mie mani nel tempio e,
ammaestrandomi lo Spirito Santo,
sì
dissi: "Ora lasci tu, Signore, lo servo tuo in
pace". Poscia venne
Joanni Batista e disse: "Io lo
battezzai e
apparecchia'li la via e
mostra'lo a
dito così
dicendo: "Ecco l'
agnello di Dio". Allora disse
Set:
"
Essendo io
andato a le porte del Paradiso a
pregare
il Segnore che mi mandasse l'
angelo suo, che mi
desse
de l'olio de la misericordia per ugnere il
corpo d'Adamo
mio padre, da ch'egli era infermo, e san Michele
angelo
m'
apparve e disse: "Non ti
affaticare con
lagrime
pregando per l'olio del legno de la misericordia; però
che tu non ne potrai avere se prima non si
compiono
cinque milia e
cinquecento
anni". Udendo ciò, tutt'i
patriarci e profeti sì s'
allegrarono di grande
allegrezza.
Allora Satanas, prencipe di
morte, disse al ninferno:
"
Apparecchiatevi a ricevere
Jesù, che si gloria d'essere
figliuolo di Dio; ma egli è uomo che teme la
morte;
onde
dicea: "Trista è l'
anima mia infino a la
morte";
e molti, ch'io
feci
ciechi, elli
sanòe e
zoppi
dirizzòe".
Rispuose lo
'nferno, e disse: "Potrai tu essere
chente questo
Jesù che
contradia la
potenzia tua?
Ché se disse che
temea la
morte, sì ti vuole pigliare, e
guai sarà a te sempiternalmente". Disse Satanas: "Io
sì 'l tentai e
commossi il popolo contra di lui; io
arrotai
la lancia e
mischiai il
fiele e l'
aceto e
apparecchiai il
legno de la
croce; ed è presso la
morte per
menarlo a
te". Disse lo
'nferno: "Or è elli colui che
risucitòe
Lazaro lo quale io tenea?" Rispuose il
diavolo: "Quelli
è esso". Allora disse lo
'nferno: "Io ti scongiuro, per
le virtudi tue e per le mie, che tu non lo meni qua a me;
però che, quando io udii il
comandamento de la sua parola,
tutto tremai e non
pote' ritenere
Lazaro; ma
scorrendosi
come fa l'
aquila sovr'ogni leggerezza, saltò
da noi". E parlando queste cose, venne una
voce come
un truono che disse: "Levate via, principi, le porte
vostre e levatevi quindi, porti
eternali, e
enterrà il re
di gloria!" A questa
voce
corsero le
demonia a le
porte del
metallo e
chiusorle con
chiavistelli di
ferro.
Allora disse
David profeta: "Or non profetai io: Lodino
il Signore le misericordie sue, imperò che ruppe le porte
del
metallo, e
spezzòe li
chiavistelli del
ferro". E venne
un'altra
voce che disse: "Anche togliete via le porte".
Allora il ninferno,
poiché aveva gridato due volte quasi
come non lo sapesse, disse: "Qual è questo re di gloria?"
Disse
David: "Segnore
forte e potente, Segnore
potente in
battaglia,
egli è il re di gloria". Allora
sopravvenne il re di gloria e
alluminòe le tenebre
eternali e,
stendendo la mano, prese la mano
diritta
d'Adamo e disse a lui: "Pace sia a te con tutti i
figliuoli
tuoi, giusti miei". E montòe da l'inferno, e
tutti i santi con lui; e 'l Segnore tenendo la mano
d'Adamo, sì la
diede a san Michele e
menolli entro
nel Paradiso. A i quali vennero incontro i
due uomini
vecchi di tempo e furono
domandati da' santi: "Chi
siete voi, che non siete stati ancora con esso noi nel
ninferno e siete
allogati nel Paradiso?" Rispuose l'uno:
"Io sono
Enoc che sono traslatato qua, e costui è
Elia, che ci fu portato qua in su uno
carro di
fuoco,
e ancora non
abbiamo
assaggiato la
morte, ma
dobbiamo
essere riservati infino a l'
avvenimento d'Anticristo
e
dovemo
combattere con lui e essere morti da
lui e dopo tre dì e mezzo
dobbiamo essere risucitati,
cioè ricevuti da nuvoli". E
dicendo queste cose, eccoti
sopravvenire un altro uomo che portava in su le spalle
il legno de la
croce, e
dimandando ellino chi e' fosse,
quegli disse: "Io
fui ladro e
fui
crocifisso con
Jesù
e
credetti in esso
Salvatore e
prega'lo per la mia salute,
e elli mi disse: "Oggi sarai meco in Paradiso", e
diedemi questo
segno de la Croce così
dicendo: "Portando
te questo, va nel Paradiso e se l'
angelo che
v'è per guardiano non ti lasciasse andare dentro,
mostragli
il
segno de la
croce, così
dicendo: Cristo mi
disse, portando te questo, vanne nel Paradiso, e se
l'
angelo che v'è per guardia non ti lasciasse
entrare,
mostragli il
segno de la Croce e
dirai: "Cristo, il quale
è ora
crocifisso, m'ha mandato". E abbiendo
detto queste
cose, immantinente lo menò l'
angelo dentro e
allogollo
a la
diritta parte del Paradiso". Abbiendo
detto
queste cose
Çarino e
Leuzio tosto
disparirono e più non
furono veduti.
Gregorio
Nisseno, ovvero, secondo ch'altri vogliono
dire, Agostino,
dice così di costui: "Incontanente che
Cristo
discese, l'
eternale notte de lo
'nferno
risplendette;
immantanente quelli
ferruginosi portinari per la paura
che
sopravvenìa loro,
sommormorarono fra loro medesimi
cotali silenzi ombrosi: "Or ch'è questi così terribile
che
risplende di tanto
splendore? Unquemai cotale
non lo ricevette il nostro inferno, unquemai in nostra
tana none
vomicò uno così fatto il mondo. Questi è
salito re e non
debitore; è rompitore e
distruggitore;
non è peccatore, ma è rubatore. Noi veggiamo il giudice
non lo
rinchinevole; a noi è venuto a
combattere
non a sottomettersi; è venuto a rappare e non per istare.
cap. 53, S. Secondo
Secondo, valentre
cavaliere ma di Cristo nobile
combattitore
e martire di Dio glorioso, ne la
città d'Asti fu
coronato di martirio, per la cui gloriosa presenzia la
detta
città è
alluminata e da lui come di singulare
padrone
s'
allegra. Questi fu ammaestrato ne la fede da
santo
Calocero, il quale era tenuto in
carcere da
Saprizio
prefetto ne la
città d'Asti.
Con ciò dunque fosse
cosa che santo
Marziano fosse
tenuto in pregione a Tortona,
Saprizio vi volle andare
per
farlo sacrificare a l'idole; e questo san Secondo,
quasi per
cagione di
sollazzo, si misse ad andare con
lui
desiderando molto di vedere san
Marziano. Sì che,
essendo già fuori de la
città d'Asti, una
colomba
discese
sopra Secondo e puoseglisi in sul capo. Al quale disse
Saprizio: "Vedi
Secondo che gli
dei nostri ci vogliono
bene, ché t'hanno mandato gli uccelli dal
cielo per
vicitarti".
Ed
essendo giunti ad uno
fiume, vidde Secondo
uno
angelo che
andava sopra l'
acqua e
dicea a
lui: "Secondo,
abbi la fede e così
andrai sopra i
coltivatori
de l'idole". Al quale disse
Saprizio: "
Fratello mio
Secondo, io odo gli
dei che parlano teco". Rispuose Secondo:
"
Andiamo a li
desiderii del
cuore nostro". E,
sendo
capitati ad un altro
fiume, l'
angelo per simigliante
modo gli
apparve quivi medesimo e sì li disse:
"Secondo,
credi tu in Dio o
dubitine tu per la ventura?"
Al quale rispuose Secondo: "Io
credo la verità de la
sua passione". Al quale disse
Saprizio: "Che è quello
ch'io odo?" Ed
entrando loro in Tortona,
Marziano, per
comandamento de l'
angelo uscendo de la
carcere,
apparve
a Secondo e disse a lui: "
Entra, Secondo, ne la via
de la veritade e va per quella, acciò che tu prendi la
corona de la fede". Disse
Saprizio: "Chi è questi che
vi parla e
pare che sogni?" Al quale disse Secondo:
"A te
pare sogno, ma a me si è
ammonimento e
conforto".
Dopo queste cose andò Secondo a
Melano e l'
angelo
di Dio menò a lui, fuori de la
città, san
Faustino e
Jonita, i quali erano tenuti pregioni in
carcere, e ricevette
battesimo da loro
dando loro l'
acqua una nuvola.
Ed eccoti subitamente venire di
cielo una
colomba, e
recando il
corpo e 'l sangue del Segnore, e sì lo
diede
a
Faustino e a
Jonita. Ma
Faustino
diede il
corpo del
Segnore e 'l sangue a Secondo, che lo
dovesse portare
a san
Marziano; sì che tornando Secondo, con ciò fosse
cosa che già fosse notte e fosse venuto a la riva del
Po, l'
angelo di Dio sì li prese il
freno del
cavallo e trasportollo
sopra il
Po e
menollo infino a Tortona
entro
a la
carcere a san
Marziano. E
diede Secondo a san
Marziano il presente di
Faustino. E quegli il prese e
Disse: "Il
corpo e 'l sangue del Signore sia con esso
meco in vita
eterna". Allora, al
comandamento de l'
angelo,
Secondo
uscìe de la
carcere e
andonne a l'
albergo.
Dopo questo san
Marziano ricevette la sentenzia del capo
e santo Secondo tolse il
corpo e
soppellillo. La qualcosa
udendo
Saprizio,
chiamollo a sé e sì li disse: "A quello
ch'io veggio, tu mostri d'essere
cristiano". Al quale
rispuose Secondo: "
Veramente mi
confesso d'essere
cristiano". E quelli disse: "Io veggio che tu
desideri
la
morte". Rispuose Secondo: "A te si
dee la
morte
maggioremente". E non volendo sacrificare,
comandò che
fosse spogliato; immantenente l'
angelo di Dio vi fu
presente e
apparecchiogli una vesta. Allora
Saprizio,
faccendolo mettere a la
colla, tanto lo fece tormentare,
che le
braccia sì si
schiantarono de le loro giunture.
Ma
essendogli renduta la santade dal Segnore,
comandò
che fosse rinchiuso in pregione, e quando vi fu
dentro, l'
angelo di Dio venne a lui e sì li disse: "Levati
su, Secondo, e vieni dietro e
menerotti al
criatore
tuo".
Allora il menòe insino a la
città d'Asti e
puoselo ne
la guardia, dov'era
Calocero e 'l
Salvatore con lui. Vedendo
Secondo costui, sì si gittò a' piedi. Al quale
disse il
Salvatore: "Non avere paura, Secondo, ché io
sono il Segnore Dio tuo, che ti trarrò d'ogne male"
e,
benedicendoli, salìo in
cielo. Sì che la mattina
Saprizio
mandò a la
carcere i suoi
berrovieri, i quali trovarono
bene la
carcere
suggellata, ma non vi trovarono Secondo.
E
andando
Saprizio da Tortona a la
città d'Asti, per
punire
almeno
Calocero,
comandò che 'l
detto
Calocero
gli fosse presentato innanzi; e eccoti tornare i
messi e
dissero che Secondo era con
Calocero. Ed
essendo
menati
amendue a lui, disse a loro: "I nostri
dei
conoscendovi
per loro
disprezzatori, vogliono che voi insieme
moiate".
Sì che, non volendo costoro fare sacrifizio a l'idole,
fece
collare pece con resina e spargere sopra i
capi loro
e gittare ne le loro
bocche. Ma ellino la
beevano come
fosse
acqua soavissima con grande
disiderio, e con
chiara
boce
diceano: "Come sono
dolci a le gote nostre le
parole tue, più che
mele a la
bocca nostra!" Allora
Saprizio
diede la sentenzia sopra loro, cioè che Secondo
fosse
dicollato ne la
città d'Asti e
Callocero fosse mandato
ad
Albigano e là fosse punito.
Essendo
dicollato
Secondo, ecco gli
angeli di Dio: e' tolsero il
corpo suo,
e con molte laude e con
canto il misero ne la
sepoltura.
E fu martirizzato di tre dì uscente Marzo.
Il mese d'
Aprile e le sue
feste e le leggende di
quelli santi.
cap. 54, S. Maria Egiz.
Maria
Egiziaca, la quale è
detta peccatrice,
XLVII
anni stette nel
deserto a menare vita
asprissima.
Sì che uno
abate che avea nome
Zosima, abbiendo valicato
il
fiume Giordano,
andava scorrendo gran parte de
l'
ermo se per
avventura trovasse alcuno santo padre,
sì che vidde uno che
andava col
corpo ignudo e nero
divampato per lo
caldo del sole. Questa sì era Maria
Egiziaca,
la quale
cominciò tanto tosto a
fuggire; e
Zosima
cominciò più tosto a
correrle dietro. Allora quella disse:
"
Abbate
Zosima, perché mi perseguiti?
Perdonami, ch'io
non mi
posso rivolgere a te la
faccia mia, però ch'io
sono
femmina e sono ignuda; ma gittami il mantellino
tuo, acciò ch'io ti possa vedere sanza vergogna". Quegli
udendosi
chiamare per nome, maravigliandosi, le gittò
il mantello e, gittandosi in terra, sì la pregò ch'ella 'l
benedicesse.
E quella disse: "A te, padre, si
confà di
benedicere
più, che
se' ordinato di
dignità sacerdotale". Quando
quelli
ebbi udito
chiamarsi e sì per lo nome e per
l'officio, più si maraviglia e
maggiormente la pregava
inchinevolmente ch'ella il
benedicesse. Allora quella disse:
"
Benedicavi Iddio ricomperatore de l'
anime nostre".
E stando ella in orazione con le mani giunte e
distese,
sì la vidde levare da terra a la misura d'uno
braccio.
Allora
cominciò il vecchio a
dubitare che quello non
fosse spirito che si infignesse d'
adorare. Al quale ella
disse: "Dio il ti perdoni, che me peccatrice
istimasti
ch'io
fossi ispirito immondo". Allora
Zosima la
cominciò
a scongiurare per
Domenedio ch'ella li
dovesse manifestare
la vita sua. E quella rispuose: "
Perdonalomi,
padre, ché se tu m'udissi raccontare la
condizione mia,
tu
fuggiresti come tu
fossi spaventato da serpente, e
l'orecchie tue saranno
contaminate per le mie parole,
e l'aere sarà infetta da le sozzure".
E con ciò fosse
cosa che quelli pure
soprastesse a
le parole, ella
cominciò e disse: "Io,
fratello, che
fui
nata ne l'
Egitto, quando io
ebbi
XII anni
compiuti sì
me ne venni in
Alessandra e ivi mi
diedi al peccato
carnale
XVII anni e non mi
disdissi mai a veruno uomo.
Sì che
andando gli uomini di quella
contrada in Gerusalem
per
adorare la santa Croce, io
pregai i nocchieri che
mi
lasciassono
entrare ne la
nave. E dopo il passaggio
mi
domandavano il navilio, e io
dissi loro: "Non abbo
che vi
dare, ma per lo passaggio prendetevi il
corpo
mio. E così m'
ebbero e usarono per lo passaggio il
corpo mio".
"Ed
essendo venuta in Gerusalem e giunta a le porte
de la Chiesa per
adorare la santa Croce, subitamente e
invisibilmente mi senti'
cacciare,
e non
fui lasciata
entrare
ne la chiesa. Sì che anche e anche vi rivenni
infino al
liminare de l'uscio, e subitamente era
cacciata;
non per ciò che l'altre non vi
entrassono liberamente,
e pure io sola era
cacciata. Allora ritornai a me medesima
e pensai che ciò m'intervenisse per li molti e
gravi peccati miei, sì che mi piegai il petto con le
mani, e
spandeo
amarissime
lagrime e
cominciai a
sospirare
gravemente
adentro; e, ponendo
mente, sì vi vidi la
'magine de la
beata Vergine Maria. E
incomincia'la a
pregare con molte
lagrime ch'ella m'
accattasse grazia
del perdonamento de' miei peccati e che mi lasciasse
entrare dentro per
adorare la santa Croce, promettendo
io di rinunziare al secolo e di permanere da indi innanzi
in
castitade. Ed abbiendo me
pregato ciò, prendendo
fidanza
al nome de la Vergine Maria,
andai un'altra
volta a le reggi de la chiesa, e sanza ogni
impedimento
entrai ne la chiesa. E poi ch'
ebbi
adorata
divotissimamente
la santa Croce, una sì mi
diede tre
danari; laonde
io
comperai tre pani, e udii una
voce che mi disse:
"Se tu valicherai il
fiume Giordano, tu sarai salva".
E così il
valicai io e venni in questo
diserto, nel quale
sono stata
XLVII anni sanza veduta di veruno uomo; e
quelli pani ch'io avea
comperati per li temporali, indurarono
come pietra e
bastaronmi
XLVII anni mangiando
di quelli pani e d'
erbe; le vestimenta mia già è
buono tempo furono tutte
macere;
XVII anni sono stata
molestata da le tentazioni de la
carne in questo
diserto,
ma ora, per la grazia di Dio, ne sono
dilibera. E
ecco
che t'abbo
detto tutte le mie opere,
priegoti che tu
facci
priego al Segnore per me". Allora il vecchio si
gittò in terra e
benedisse Iddio ne la servigiale sua.
E quella disse: "Io ti
priego per Dio, che tu il
die de
la
cena
Domini torni a me al
fiume Giordano, e reca
teco il
corpo del Signore; e io ti verrò làe incontro e
riceverollo de la tua mano, ché dal
die in qua ch'io
ci venni, non
presi il
corpo di Cristo. Sì che tornando
il vecchio al monisterio,
rivolto l'
anno, in quello
die
de la
cena, tolse il
corpo di Cristo e, vegnendo infino a
la riva del
fiume Giordano, e' puose
mente ed
ebbela
veduta stare da l'altra parte del
fiume. E quella sì
fece il
segno de la Croce e andò sopra l'
acqua tanto
che fu giunta al vecchio. E elli vedendo ciò,
stupedìo
tutto e gittossi umilemente a' piedi suoi. Al quale ella
disse: "Guarda non fare, con ciò sia cosa tu
abbi teco
i sacramenti di Cristo e la
dignità del pretatico, ma
ripriegoti che 'l seguente
anno ritorni a me, padre".
Allora ella, fatto il
segno de la Croce, e passòe sopra
l'
acqua del
fiume Giordano e ritornò ne la
solitudine
del
diserto; e 'l vecchio tornòe al monisterio.
Il seguente
anno
rivenne al luogo là
dove l'avea
prima parlato e trovò ch'era morta in quello luogo. E
quegli
cominciò a piagnere, né non fu ardito di toccarla,
e disse fra se stesso: "Io per certo volea soppellire il
corpo de la santa, ma io abbo temenza che ciò non le
dispiaccia". E pensando lui di queste cose puose
mente
e
viddele scritto a capo, in terra, che
diceva così:
"Seppellisci tu,
Zosima, il
corpicello di Maria, rendi la
polvere sua a la terra, e
priega Iddio per me, per lo
cui
comandamento cotale
die del mese d'
aprile lasciai
questo
mondo".
Allora il vecchio seppe per certo ch'ella
appena ebbe
preso il
corpo di Cristo e fu tornata al
diserto, sì
finìo
la vita sua; e quello
diserto che
Zosima
andòe appena in
XXX dì, ella
andòe in una ora e passò a Dio. Sì che
cavando
il vecchio la terra e non potendo, vide uno leone
venire a sé
mansuetissimamente, e disse a lui il vecchio:
"Questa santa
donna sì ha
comandato di seppellire
il
corpo suo e io, perché sono vecchio, non
posso
bene
cavare, né non abbo
ferro
acconcio a ciò, ma tu
cava la terra, acciò ch'io possa seppellire il
corpo suo
santissimo".
Allora il leone
cominciò a
cavare e
apparecchiò la
fossa
acconcia. E fatto ciò il leone si partìo com'uno
agnello mansueto e 'l vecchio ritornò poi al monisterio
suo,
dando gloria a Dio di sì fatta santa.
cap. 55, S. Ambrogio
Ambrosio, figliuolo d'
Ambrosino prefetto di Roma,
stando ne la
culla in
sala del palagio e
dormendo, subitamente
venne uno sciame d'
ape e
copersongli la
bocca
e la
faccia in tal modo come s'elle
entrassono nell'
arnie
loro e uscissono insieme. Le quali
api poscia si
levarono in tanta
altezza de l'
aria, che non si potevano
vedere con occhi d'uomo. La quale cosa,
essendo così
fatta, il padre spaventato disse così: "Se questo
fanciullo
avrà a
vivere, grande fatto sarà poscia".
Quando venne
crescendo e vedea la madre e la
serocchia,
santa vergine,
basciare la mano a' preti, per giuoco
porgea la mano a la
serocchia e
dicea: "E
conviene
che tu mi
basci la mano"; e quella, non sappiendo quello
che
dovea intervenire, sì
dicea si rifiutava di fare.
Ammaestrato dunque a Roma di lettera, con ciò fosse
cosa ch'elli
andasse bene per mano le
cagioni del pretore,
fu mandato da
Valentiniano imperadore a reggere
le provincie di
Liguria e d'
Emilia e, sendo venuto
a
Melano e non
avendovi vescovo, raunossi il popolo a
provvedersi di vescovo. Ma
nascendovi uno grande romore
tra li
ariani e i
cattolici del
chiamare il vescovo,
andò là
Ambrosio per
pacificare quella
discordia, e incontanente
sonòe una
boce
di fanciullo e disse: "
Ambrosio
vescovo"; nel quale tutti ad uno
animo
acconsentirono
gridando: "
Ambrosio vescovo". La quale cosa
quelli
conoscendo, per
rimuoverli da sé con paure, uscendo
de la chiesa, salìo in sedia e, contra sua usanza,
comandò
che fosse fatto tormenti a le persone. E
faccendo
ciò, il popolo neente di meno gridava: "Il peccato tuo
sia sopra noi". Allora quegli adirato tornò a
casa e
volsesi
conventare in
filosofia. La quale cosa, acciò che
non lo
facesse, fu richiamato. Allora fece
entrare a sé
palesemente le meritrici, acciò che, veduto questo, si ritraesse
il popolo dal suo
eleggere; ma non giovando a
questo nulla e sempre il popolo gridando: "Il peccato
tuo sia sopra noi", entro la mezzanotte si misse a
fuggire
e, pensandosi d'andare a Como, la mattina fu
trovato innanzi a la porta di
Melano, la quale si chiama
Romana. Il quale così trovato, essendo guardato dal popolo,
fu mandata
ambasciata a lo imperadore
Valentiniano;
il quale con grande
allegrezza ricevette che i giudici,
i quali erano mandati a sé, fossero
domandati per
sacerdoti.
Rallegrossi anche Probo prefetto, di ciò che
la parola sua la quale avea
detta, era
adempiuta; però
ch'egli gli avea
detto quando
andava
dandogli le
comandamenta:
"Va e fa non come giudice, ma come vescovo".
Ancora fra questo rapportamento che si
facea a
lo 'mperadore, sì si
nascose un'altra volta; sì che trovato
ancora, con ciò fosse
cosa che non fosse ancora
battezzato,
fu battezzato e in capo de gli
otto dì fu
messo in sedia vescovile. E dopo
quattro
anni essendo
venuto a Roma, la sua
serocchia vergine
consegrata
basciando
la mano a lui, elli sorrise e disse: "
Ecco
com'io
diceva che tu
basci la mano al prete".
Essendo
andato in una
città per ordinare alcuno
vescovo,
contrastando a la sua
elezione la imperadrice
Giustina e li altri
eretici, perché volieno alcuno di loro
setta fosse ordinato;
avvenne che una de le vergini de
li
ariani Paterini, la più svergognata de l'altre, salìo
su ad
alti e prese santo
Ambrosio per lo vestimento,
vogliendolo
tirare dal lato de le
donne, acciò che,
battuto
da
esse con ingiuria, fosse
cacciato fuori de la chiesa.
A la quale disse
Ambrosio; "Perch'io non sia;
degno
d'essere sì grande sacerdote, a te pure non si
conviene
di mettere mano contra a qualunque prete sia, onde
dovresti temere il giudicio di Dio, che non te ne intervenisse
alcuna cosa". Il quale
detto sì
confermò per
fatto; ché l'altro dì la portò morta infino al sepolcro
rendendole grazia per vergogna che avea ricevuto da
lei. La quale cose misse grande paura a tutti.
Dopo questo tornò a
Melano e
sostenne molti
agguati
da la imperadrice
Justina; la quale, con
donamenti e con
oro,
commovea i popoli contra di lui. Con ciò dunque
fosse
cosa che molti intendessero a
mandarlo a'
confini,
uno di loro più
disavventurato de li altri, si mosse in
tanto
furore che tolse a pigione una
casa lungo la chiesa;
per questa
cagione: acciò che, tenendovi apparecchiato
uno
carro, procurando ciò
Giustina e
comandando, più
leggieremente il pigliassero e mandassero a'
confini. Ma
per giudicio
di Dio in quello
die che quelli il si
credea
pigliare, di quella
casa fu
cacciato fuori e mandato a'
confini in quello
carro medesimo. Al quale santo
Ambrosio,
rendendo bene per male, sì fece
dare le spese
e l'altre necessitadi. Il
canto e l'ufficio ordina che si
facesse ne la chiesa di
Melano.
Erano a quello tempo indemoniati che gridavano a
grandi
boci d'essere tormentati da santo
Ambrosio; e la
'mperadrice
Justina,
abitando con li
ariani,
dicea: "
Ambrosio
corrompe gli uomini per pecunia ched elli si
confessino
indemoniati e tormentati da lui".
Allora subitamente
uno di quelli
ariani, che erano ivi presente,
preso fu dal
demonio e gittossi nel
pozzo di loro e
diceva:
"Voglia Dio che così siano tormentati, come
sono io, quelli che non
credono ad
Ambruosio!
" E
coloro,
vergognatisi di ciò, pigliarono quello indemoniato
e
gittarollo entro in uno pelago e
fecerlovi
affogare
entro.
Uno paterino molto
agro
disputatore,
duro e da non
potere
convertire a la fede, udendo predicare santo
Ambruosio,
sì li vidde a l'orecchie uno
angelo che li
diceva
le parole, le quali e' predicava al popolo. La quale cosa
quando
ebbe così veduto; la fede la quale perseguitava,
cominciò a
difendere.
Uno indovino
chiamava le
demonia e
mandavali
a fare
nocimento a santo
Ambrosio; ma le
demonia ritornavano
a lui e
dicevano che non che a lui, ma pure a
le porte de la
casa sua non si poteano
appressare; però
che un
fuoco da non potere essere soperchiato
armava
tutto quello
abituro, intanto che quelli che ne fossero
di lungi
ardea. E
detti indovini, essendo tormentati dal
giudice d'alcuno malificio, gridavano che da
Ambrosio
erano tormentati.
Uno indemoniato
entrando in
Melano, il
demonio il
lasciò e
uscendone il riprese.
Dimandato di ciò il
demonio
sì rispuose che avea
avuto paura d'
Ambruosio, ma santo
Ambruosio udendo gridare le
demonia che fossero tormentate
da lui, sì
diceva che per li loro malefici erano
tormentati.
Uno, corrotto de la reina per prezzo,
entrò una notte
ne la
camera del santo per
ucciderlo, e levando il
colpo
del
coltello per
darli, incontanente gli si seccò la mano.
Una volta che gli uomini de la
città di
Tessalonica
avea
no fallato alcuna cosa contro lo imperadore, lo
'mperadore
perdonò loro per gli
prieghi di santo
Ambruosio.
Adoperando
celatamente la malizia di quelli de
la
corte per
promissione de lo imperadore, non sappiendo
ciò santo
Ambrosio, molti di quella
città furono morti.
La qualcosa quando santo
Ambruosio
ebbe
ispiata,
vietòe
a lo 'mperadore l'
entrare de la chiesa. Al quale
dicendo
lo 'mperadore che
David avea
commesso l'
avolterio e
'l micidio, el santo rispuose: "Tu che hai seguitato
l'
errante, or seguita il
correggente". La quale parola
quando lo 'mperadore
ebbe intesa, sì l'
ebbe sì per bene
che non
contese di fare palese penitenzia.
Uno indemoniato gridando ch'era tormentato da
Ambruosio,
disse a lui il santo: "Sta mutolo,
diavolo,
però che non ti tormenta
Ambrosio, ma la invidia tua;
però che tu vedi montare gli uomini là ove, onde tu
cadesti sozzamente;
ma Ambrosio non sa gonfiarsi".
E quegli incontanente
ammutolò quello indemoniato.
Una volta che santo
Ambruosio
andava per la
città,
uno si
cadde un grande stoscio, e
giacevasi
colà in
terra; un altro, veggendo costui, rise
. Al quale disse
santo
Ambruosio: "E tu che
stai guarda che tu non
caggi".
Detto ciò, incontanente si
dolette de la sua propia
caduta quelli che avea riso de l'altrui
caduta.
Anche una volta che santo
Ambrosio andò al palagio
di
Macedonio, mastro de li ufficii, a
pregarlo per alcuna
persona, ma non
potendovi
entrare, sì disse: "E tu
verrai a la chiesa e, stando le porte
aperte, non vi potrai
entrare". Passato alcuno tempo
Macedonio, temendo i
nemici,
fuggìo a la chiesa e,
fuggendo a la chiesa e
stando le porte
aperte, non
poté rinvenire l'
entrata.
Or fue di tant'
astinenza ch'ogni
die, fuori che 'l
sabato e la
Domenica e
certe
feste, e'
digiunava. Fue
ancora di tanta largitade e
cortesia che ogne cosa
dava
a' poveri, né non si riserbava nulla. Fue di tanta
compassione
che quando alcuno si
confessava da lui del suo
cadimento, sì piagnea il santo sì
amaramente che
costrignea
altressì di piagnere lui. Di tanta umilitade e
fatica
fue che i libri, i quali
dittava elli stesso, con la sua
mano scrivea se non fosse già infermo. Di tanta pietade
e
dolcezza era che, quando gli era nunziata la
morte d'alcuno prete, ovvero vescovo, piagnea sì
amarissimamente
che appena si poteva racconsolare. E quando
era
domandato perché piangesse così i santi uomini che
andavano a la gloria, sì disse: "Non pensate voi ch'io
pianga perché si partano, ma perché e' m'
entrano innanzi
e perché si truovano malagevolemente chi sia
degno di
così grande officio". Di tanta
fermezza e
fortezza era
che i
vizi de lo 'mperadore, ovvero di
baroni, non palpitava,
ma con libera
boce li riprendea tutti
costantissimamente.
Una volta abbiendo
commesso alcuna persona
alcuno vizio, essendo
menato dinanzi da lui, disse santo
Ambruogio: "E'
conviene che sia
dato al
diavolo a
morte
corporale". In quello punto, abbiendo le parole
in
bocca ancora, lo spirito maligno lo 'ncominciò a
sterpellare.
Una volta, come
dicono alcuni,
andando lui a Roma,
essendo
albergato in una villa di Toscana a
casa d'uno
uomo ricchissimo molto, sì lo
domandò
sollicitamente
de lo stato suo, e l'uomo disse: "Lo stato mio, signore
mio, è stato bene
avventurato sempre e glorioso:
ecco
ch'io abbo
abbondanza di ricchezze sanza fine, con molti
servi e
bella e grande gente di
figliuoli e di nepoti, e
tutte cose abbo sempre
avute a mio volere, né non sentii
giammai che fosse
tristizia". Udendo ciò, il santo
maravigliossi
fortemente e disse a'
compagni suoi: "Levate
su, levate su e
fuggiamo quinci, però che 'l Signore
non è in questo luogo.
Affrettatevi,
figliuoli,
affrettatevi,
figliuoli, e non
fate
dimoranza neuna in
fuggire, acciò
che non ci
colga qui la vendetta di Dio e
involgaci insieme
co' peccati di costoro". Sì che,
fuggendo costoro
ed essendo
andati un poco oltre, subitamente s'
aperse
la terra e
inghiottìo quell'uomo con tutti i suoi
beni
che s'
appartenevano a lui, in tale maniera che
segnale
veruno non ne rimase.
La qualcosa veggendo santo Ambruogio, sì disse: "Ecco,
frati miei, come
misericordievolemente Dio perdona
quando elli
affligge l'uomo in questa vita, e come
aspramente
s'
adira quando
dà le cose
prosperevoli. Ma nel
detto luogo rimase una profondissima
fossa, la quale,
infino al dì d'oggi, sta per testimonianza di questo
fatto.
E veggendo santo
Ambruosio la radice di tutt'i
mali, cioè l'
avarizia,
crescere in tutti, e
massimamente
in
coloro ch'erano ordinati in
segnorie, ch'ogni uomo
rivendeano, e anche in
coloro che erano ordinati ne i santi
uffici, incominciò
fortemente a piangere, e pregò
Domenedio
molto
ferventemente che lo traesse di questo
mondo.
La quale cosa quando
ebbe impetrata da Dio,
rallegrossi,
e
manifestollo a' suoi
frati che starebbe con loro infino
a
Risurresso.
E pochi dì di prima che si ponesse a giacere, abbiendo
dettato col notaio suo il quarantesimo quarto salmo e
cominciato a l'altro, subitamente veggendo il
detto notaio
uno piccolo
fuoco a modo d'uno scudo,
coperse il capo
suo; e a poco insieme gli
entròe per la
bocca, come
abitatore
in sua
casa. Allora la
faccia sua sì si fece come
neve, ma poi tornò a lo stato suo. In quello
die fece
la fine al
dittare e a lo scrivere, né non potéo
compiere
quello salmo e da ivi a pochi dì infermòe.
Allora il
conte d'Italia essendo a
Melano, fecesi venire
tutti i nobili uomini
dicendo che, se cotale uomo
andasse di questo
mondo, sarebbe
pericolo di
morte tutta
Italia; sì che gli pregò ch'
andassero a
visitarlo e a
pregarlo ch'egli s'
accattasse da
Domenedio
spazio
d'uno
anno di vita. La quale cosa quando quegli
ebbe udito
da loro, sì disse: "Non sono sì vivuto tra voi ch'io mi
vergogni di
vivere, né non ho paura di morire abbiendo
noi
buono signore".
In quello tempo trattavano
quattro suoi
diaconi tra
loro che fosse
buono dopo la
morte di costui. Ed essendo
molto di lungi da lui e abbiendo nominato così
chetamente
Simpliciano, sì che appena si poteano udire tra
loro, elli, posto di lungi da loro, gridòe tre volte: "È
vecchio, ma è
buono".
Coloro udendo ciò, spaventati
fuggirono, e poscia lo
elessero;
nel luogo dove giaceva,
vide venirgli incontro Gesù e sorridergli con sguardo
lieto.
Onorato vescovo di
Vercelle,
aspettando il passamento
di santo Ambruogio, sì li venne un sonno e udì una
boce
la quale gli disse tre volte: "Leva su, che ora si
dee
passare". Quegli si levò e venne ratto a
Melano e
diedegli
il Sacramento del
corpo di Cristo e, incontanente
che l'
ebbe preso,
distese le mani in modo di
croce e
fra le parole de l'orazione, mandò fuori lo spirito. Fu
al tempo de gli
anni
Domini
CCCXCVII.
Ed essendo la notte de la
Pasqua portato il
corpo suo
a la chiesa, molti garzoncelli
battezzati
diceano che lo
vedevano, sì che altri il mostravano a'
parenti loro che
sedea in su la sedia, altri che saliva e
mostravalo a
dito, altri
dicevano che aveano veduto una
stella sopra
il
corpo suo. Un prete, stando in
convito con molti altri e
dicendo male di santo Ambrogio, incontanente gli venne
piaga
addosso, sì che del
convito fu portato al letto e
finì la vita sua.
Ne la
città di Cartagine, istando in
convito insieme tre
vescovi e l'uno di loro
abbominando santo
Ambruosio, fu
detto quello che era intervenuto al prete che avea fatto
il simigliante. Quegli
faccendosene
beffe, incontanente
gli venne una piaga mortale, e
compiéo il sezzaio dì.
Per queste cose che
dette sono e per molte altre,
è lodevole questo santo in molte cose: e prima in
cortesia,
per ciò che tutto ciò che avea sì era de' poveri;
onde dice e si dice di lui, ed è scritto entro el
decreto
Convenior nel
XXIII capitolo ne l'ottava quistione - che
a lo 'mperadore
Liosbe
che li domandava la chiesa
maggiore, rispuose in questo modo: "Se mi
domandasse
il sindaco mio o l'oro mio o cotale mia cosa,
non resistere' avvegna che ciò ch'è mio, sì è de li
poveri".
Nel secondo luogo è lodevole in purità di
mondizia,
però che vergine fue. Onde san
Geronimo racconta ched
elli disse: "La
verginità non solamente
offeriamo, ma
conserviamo".
Nel terzo luogo è lodato da
fermezza di fede; onde
quando lo 'mperadore gli
domandava la chiesa, disse
così, - ed è scritto in quello
capitolo del
decreto, che
detto è di sopra: "Imprima è che tu mi tolghi l'
anima
che la fede".
Nel quarto luogo è lodato da
disiderio di martirio; onde
si legge ne la Pistola sua De la chiesa che non fosse
da
dare, che 'l proposto
di Valentiniano mandò, così
dicendo, a santo
Ambruosio: "Se tu
spregi
Valentiniano,
io ti tolgo il capo". Al quale rispose santo
Ambruosio:
"Dio ti lasci fare quello che tu mi minacci, e Dio il
voglia ched egli si muova da la chiesa, e
convertiscano
in me le loro
lance e tolgansi la
sete nel sangue mio".
Nel quinto luogo è lodato da
perseveranza d'orazione;
onde di lui si dice ne l'undecimo
libro de la
Storia
Ecclesiastica che: "Ambruogio contro il
furore
de la reina non si
difendea con mano o con lancia, ma
con
digiuni e
continovate vigilie, stando sotto l'
altare
per orazioni
apparecchiava
sé a Dio per suo
difensore
e de la Chiesa".
Nel
sesto luogo è lodato da
spandimento di
lagrime;
però ch'elli
ebbe tre maniere di
lagrime: cioè
lagrime
di
consolazione per l'altrui
colpe; onde dice di lui
Paulino
ne la leggenda, che quando alcuno gli
confessava il
cadimento in peccato, piagnea sì
amarissimamente che
costrignea simigliantemente a piagnere la persona. Anche
ebbe
lagrime di
divozione per li
eternali
disiderii; onde
come
detto è disopra, essendo
domandato perché piagnesse
così i santi uomini che morivano, e quelli rispuose:
"Non
crediate voi che io pianga perch'ellino se ne sono
andati, ma perché mi sono
entrati innanzi a la gloria".
Anche
ebbe
lagrime di
compassione per le ingiurie altrui;
onde elli dice di sé, e ciò è scritto nel
capitolo che
detto è
disopra del
decreto: "Incontra i
cavalieri
barbereschi
le
lagrime mie sono l'
arme mie, cotali sono l'
armadure
del prete,
altrementi non
posso né
debbo
contrastare".
Nel settimo luogo è lodato da
forte
costanzia, la
quale
appare
massimamente in tre cose. La prima si è
nel
difendere la veritade de la fede
cattolica; onde si
legge ne l'undecimo
libro de la Storia
Ecclesiastica che
Justina madre di
Valenziano imperadore, la quale era
balia e
favoratrice de la
resia d'Ario, sì
cominciò a
conturbare
lo stato de la Chiesa e a minacciare i preti di
cacciarli e di sbandirli, se non rivocassero i
decreti del
concilio
ariano con la quale
battaglia stimolava molto
il
muro e la torre
fortissima de la Chiesa, ciò era santo
Ambruosio. Sì come nel suo
profazio così
canta la Chiesa
di lui: "Di tanta virtù, di
costanzia tu,
Domenedio,
conformasti
Ambrosio, di tanto
dono da
cielo l'
abbellisti,
che per lui erano tormentate le
demonia
cacciandole de
le
corpora umane, e la
empiezza de li
ariani da lungi
scacciata venìa meno, e li
colli de' Signori mondani al
tuo
giogo sottomessi
facea stare umili.
Nel secondo luogo si mostra la sua
costanzia nel
difendere la libertà de la Chiesa; onde
volendoli lo 'mperadore
torre la chiesa, sì si misse ad andare contra lo
'mperadore santo Ambruogio, come
dice nel
dicreto disopra
trentesimo terzo, questione ottava, là ove dice:
"Io sono richesto da'
conti, che tostamente
debbia
dare
la chiesa,
dicendo elli che lo 'mperadore ha
comandato
che
debbia essere
data per sua ragione". A i quali
esso disse: "Sed elli
domanda alcuna mia cosa,
assalitemi;
se
domanda il
corpo, io vi verrò incontro; se voi
mi volete mettere in pregione,
fatelo; se mi volete
uccidere,
volontà io n'abbo. No m'
attornierò di
moltitudine
di popoli, né non mi terrò a li
altari
pregandovi
de la vita, ma per li
altari
accettevolemente sarò sacrificato.
Ecci
comandato di
dare la chiesa, sianne
costretti
per
comandamenti reali, ma noi siamo
confermati per le
parole de la Scrittura, la quale dice: "Come una de le
matte
femmine hai parlato, non ti gravare, imperadore,
che tu pensi d'avere alcuna ragione d'imperio in quelle
cose che di Dio sono. A lo 'mperadore si pertengono i
palagi, a i preti le
chiese. Santo
Naboth
difese le
ragioni
sue col suo propio
corpo: se dunque quegli non
diede la vigna sua,
daremo noi la chiesa di Cristo? S'è
tributo di Cesare, non li sia
negato; s'è chiesa di Dio,
e' non sia
donata a lo 'mperadore. Se del mio mi fosse
domandato alcuna cosa, o
campo, o
casa, od oro, od
argento, cioè che fosse di mia ragione, volentieri
darei,
ma nel tempio di Dio neuna cosa
posso
dare né torre,
con ciò sia cosa ch'io l'abbia ricevuto a guardia, non
per
dare".
Nel terzo luogo si mostra la sua
costanzia in riprendere
li vizii; onde si legge ne la Storia
Tripertita ed
in una
cronica che, levatosi un romore ne la
città di
Tessalonica, furono lapidati alcuni giudici; laonde
Teodosio
imperadore, abbiendo indegnamento di ciò,
comandò
che tutti
fossono morti, non
divisando i non
colpevoli
da'
colpevoli, là ove furono morti presso che
cinque migliaia
d'uomini.
Vegnendo dunque lo 'mperadore a
Melano, e volendo
entrare ne la chiesa, santo
Ambruosio gli si
parò dinanzi
a la porta e
vietolli l'
entrare così
dicendo: "Perché
tu, imperadore, dopo la
cagione di
cotanto
furore non
conosci la gravezza de la tua
presunzione? ma per la
ventura, la
potenzia de lo 'mperio vieta il
riconoscere
del peccato? a te si
confà che la ragione vinca la
potenzia,
prencipe
se' o tu imperadore, ma de'
conservi.
Con che occhi dunque vedrai il tempio del
comunale
segnore, con che piedi
scalpiterai lo smalto santo, come
stenderai tu le mani a Dio, le quali gocciolano ancora
sangue non giusto, con che
presunzione riceverai tu con
la
bocca tua il
beveraggio del sangue di Cristo, quando
per lo
furore de le tue parole è sparto
cotanto sangue
sanza ragione? Partiti dunque, partiti, e non ti sforzare
d'
accrescere al secondo peccato la malvagità di prima;
ricevi il
legame di che il Signore t'ha ora legato; ecco
la grande medicina di santade".
Con queste parole lo 'mperadore ubbidente piagnendo
e lagrimando, ritornò a le reali magioni. Essendo dunque
stato molto in pianto, Ruffino maestro de'
cavalieri
richiese quale era la
cagione di sì grande pianto e
tristizia.
E quelli rispuose: "Tu sì non senti li miei mali,
ché a li schiavi e a mendichi stanno
aperte le
chiese
e a me stanno
chiuse". E ciò
dicendo ad ogne parola
dava
singhiozzi di pianto. Al quale disse Ruffino: "Io
me ne vo ratto, se tu vuogli, ad Ambruogio, acciò che
sciolga del
legame laonde elli t'hae legato". E quegli
rispuose: "Tu non lo potrai tanto lusingare, però che
non teme la imperiale
potenza per potere travalicare la
divina legge". Ma promettendo quegli di pure
piegarlo,
comandogli che
andasse, ed egli gli tenne un poco dietro.
Sì tosto come santo Ambruogio vidde Ruffino, sì li disse:
"Di svergognato
cane
se' seguitatore, o Ruffino, essendo,
ciò
dico,
facitore di
cotanta mortalità, ora
scoprendoti
la vergogna del volto, non ti vergogni d'
abbaiare
contra la maestà
divina, cioè Cristo?" Ed abbiendo Ruffino
pregato pe' lo 'mperadore, e
dicendo: "
Eccolo che
mi viene dietro", infiammato di
supernale
zelo santo
Ambruogio sì disse: "Io ti
dico dinanzi che io gli
vieterabbo l'
entrare de la Chiesa, ma se vuole
mutare
la sua signoria in
crudelezza, io sono per ricevere volentieri
la
morte". La qualcosa quando Ruffino
ebbe raccontato
a lo 'mperadore, sì disse: "Io
andrò a lui per
ricevere ragionevoli villanie ne la mia
faccia". Ed
essendo venuto, e
domandato che fossero sciolti li suoi
legami,
faccendolisi incontro santo
Ambruosio, sì li vietò
l'
entrata e
disseli: "Che
pentimento hai tu mostrato
dopo
cotante iniquitadi?" E quelli disse: "A te sia
d'imporre, a me d'ubbidire". Con ciò dunque fosse
cosa
che lo imperadore
allegasse come
David avea
commesso
l'
avolterio e 'l micidio, disse santo
Ambruosio: "Tu
che hai seguitato l'
errante, or seguita l'
ammendante".
La quale parola sì
accettevolemente ricevette lo 'mperadore,
che non
disdisse di fare palese penitenzia.
Con ciò dunque cosa che esso riconciliato fosse
entrato
ne la chiesa e stesse dentro a
cancelli, sì lo richiese
santo Ambruogio quello che
facesse ivi. E quelli
dicendo
ch'
aspettava di ricevere li santi misterii, santo Ambruogio
disse: "O imperadore, i luoghi dentro sono
donati pure a' preti,
esci dunque fuori di quinci, e voglio
che tu
aspetti questo
comunemente con gli altri, ché
la porpore che fa imperadori non fa preti". Al quale
lo 'mperadore incontanente
ubbidette. Ed essendo ritornati
in Costantinopoli e stando fuori de'
cancelli, il
vescovo gli
comandò ch'elli
entrasse dentro, e quelli
disse: "A grande pena ho potuto
apprendere che
differenza
abbia da imperadore a prete, a grande pena ho
trovato maestro di verità, se non Ambruogio da essere
chiamato esso solo Pontefice".
Ne lo ottavo
capitolo in sagra
dottrina hae
alta
profonditade.
Geronimo de'
XII dottori: "
Ambruosio sopra
le profondissime cose de' profondi rapito è uccello
d'
aere, quanto più
entra in profondo,
pare che rapisca
frutto da
alto, cioè
ferma stabilitade".
Dice san
Geronimo
nel
detto luogo di lui: "Sono tutte le sentenze
de la fede e de la Chiesa, eziandio di tutte le virtudi
sono le sue
ferme
colonne che
abbelliscono e fanno
onesto".
Dice santo Agostino nel
libro de le Nozze e
Contra
tti: "
Pelagio, vescovo de' Paterini loda così
santo
Ambruosio e dice: "Il
beato
Ambruosio vescovo,
ne li cui libri
ispezialmente riluce la fede de la chiesa
di Roma, il quale fra li scrittori
latini
risplendette com'uno
fiore". E dice poi santo Agostino: "La cui fede e 'l
purissimo senso ne le Scritture non è veruno nemico
ardito di riprendere". Di grande
autoritade fra li
antichi
dottori, sì come santo Agostino tenea le sue parole per
grande
autoritade. Onde racconta Agostino ad Januario
che, maravigliandosi la madre sua di ciò che a
Melano
non si
digiunava il sabato, e
dimandando Agostino santo
Ambruogio perché ciò fosse, e quelli disse e rispuose:
"Quand'io vegno a Roma, sì
digiuno il sabato; e così
fa tu; a qualunque chiesa tu
andrai, tieni e'
costumi di
quella, se tu non vuogli
dare
scandalo altrui, né altri
a te". E sottopone Agostino a queste parole e dice:
"Io pensando spesse volte di questa sentenza, per tale
io l'abbo sempre, come se io l'
avessi
avuta per miracolo
di Dio
dimostrato".
La vita e la passione di santo
Tiburtino e san
Valeriano
si
contiene ne la leggenda di santa Cicilia.
cap. 56, S. GiorgioLa su' leggenda si pone tra le scritture non
autenticate
nel
concilio generale di
Nicea in ciò che 'l suo
martirio non
abbiamo per
certano raccontamento; ché nel
calendario di
Beda si dice che fu passionato in
Persa
ne la
città di
Diaspoli, la quale era prima
chiamata
Lidda, ed è presso a
Gioppe. In altro luogo si legge che
fu martirizzato sotto
Diocleziano e
Massimiano imperadori.
In altro luogo si legge che fu martirizzato sotto
Diocleziano
imperadore di Persia, presenti iviritto
LXXX
re del suo imperio. Qui si pone sotto
Daziano preside,
essendo imperadori
Diocleziano e
Massimiano.
Giorgio
cavaliere de la gente di
Cappadocia
capitò
una volta ne la provincia di Libia ne la
città che si
chiama
Silena, appresso la quale avea uno lago a modo
di mare, nel quale stava nascoso uno
drago
pestilenzioso;
il quale lo popolo contra di lui
drago
armato
mettea al
fuggire e, vegnendo infino a le
mura de la
cittade, col suo
fiato ogne persona
maculava. Per la
quale cosa i
cittadini costretti,
due pecore gli
davano
ogne
die per
acquestare il suo
furore; altrementi per
questo modo
assaliva i
muri de la
cittade e
maculava
l'
aere, laonde molti ne morivano. Con ciò dunque fosse
cosa che le pecore venissono già quasi meno,
massimamente
perché grande
abbondanza non aveano,
fecero
consiglio di
dare una pecora con uno uomo. E mettendosi
per sorte i
figliuoli e le
figliuole di tutti e non
traendone persona né grande né piccolo, già erano poco
meno che
consumati e'
figliuoli e le
figliuole del popolo.
Una volta vennero le sorte a la
figliuola del re e
fu giudicata che fosse
data al
dragone. Allora il re
contristato disse: "Togliete oro e
argento e la metà
del reame mio, e lasciate la mia
figliuola che non muoia
per cotale maniera". E 'l popolo gli rispuose con
furore
e disse: "Tu, re, mettesti questo
bando, e sono
ora morti tutti i nostri
fanciulli e tu vuogli
campare la
tua
figliuola? Se tu non
compierai ne la
figliuola tua
quello che tu ordinasti ne gli altri, noi metteremo a
fuoco te e
casa tua". Veggendo ciò il re,
cominciò a
piagnere la
figliuola, così
dicendo: "Oimè,
figliuola
mia, che
farò io, o che
dirò di te? che mai non
debbo
vedere le tue nozze?" E rivolgendosi al popolo, sì disse:
"Io vi
priego che voi mi
diate indugio
otto dì a potere
piagnere la mia
figliuola". Abbiendo
assentito il popolo,
in capo de gli
otto dì ritornò con
furore e disse: "Perché
lasci morire il popolo tuo per la
figliuola tua?
Ecco
che tutti noi
moiamo del
fiato del
dragone".
Allora il re veggendo che non potea liberare la
figliuola,
sì la vestìo di vestimenti reali e,
abbracciandola
con
lagrime, sì disse: "Oimè,
figliuola mia
dolcissima,
che mi
credea nutrire di te
figliuoli in palazzo reale e
ora vai per essere
divorata dal
dragone! Oimè,
figliuola
mia
dolcissima, io m'
aspettava d'invitare i principi a
le tue nozze ed ornare il palazzo di pietre preziose e
d'udire organi e
tamburi, e tu vai ora ad essere
divorata
dal
dragone!" E così la
basciòe e lasciolla andare, così
dicendo: "Volesse lo Iddio ch'io
fossi anzi morto che
vivo,
figliuola mia, innanzi ch'io t'
avessi così perduta!"
Allora quella si gittò a' piedi del padre
chiedendoli
la sua
benedizione; e
abbiendola il padre
benedetta con
lagrime,
andonne al lago. E passando quindi santo Giorgio
e vedendo questa
fanciulla piagnere, sì la
domandò
quello ch'ella
avesse; e quella disse: "O
buono giovane,
monta tosto in sul tuo
cavallo, e
fuggi sì che tu
non muoia insieme con meco". A la quale disse san
Giorgio: "Non temere,
figliuola, ma
dimmi quello che
tu
aspetti qui, al ragguardamento di tutto il popolo".
E quella disse: "A me
pare, o
buono giovane, che
tu sia di grande
coraggio; ma perché hai tu voglia di
morire meco?
Fuggi tosto". A la quale disse san Giorgio:
"Quinci non mi partirò io, mentre che tu non mi
dimostri quello che tu hai". E
abbiendoli quella
detto
tutto il fatto, disse san Giorgio: "Non avere paura,
figliuola, che io t'
aiuterò nel nome di Cristo". E
quella: "
Buono
cavaliere, non volere perire meco!
basta che io sola muoia, però che tu non mi potresti
deliberare e meco potresti perire".
Parlando costoro queste cose, eccoti venire il
dragone
e levò alto il capo fuori del lago. Allora la
fanciulla
intrementita, disse: "
Fuggi,
buono segnore,
fuggi tosto".
Allora san Giorgio montando in sul
cavallo e
armandosi
col
segno de la santa Croce,
arditamente
assalisce
il
dragone che venìa contra sé, e
crollando
fortemente
la lancia e raccomandandosi a
Domenedio, e' sì 'l
fedio
gravemente e
cacciollo a terra e disse a la
fanciulla:
"Gitta la
correggia tua in
collo al
dragone e non
dubitare
di nulla,
figliuola mia". E abbiendo fatto ciò, sì
la seguitava come fosse uno mansuetissimo
catello. Sì
che
menandolo così per la
città, la gente veggendo ciò,
incominciò a
fuggire su per li monti e sopra le grandi
torri, e
dicevano: "Guai a noi, ché tutti quanti
morremo!"
Allora san Giorgio
accennò loro, così
dicendo:
"Non ne
abbiate paura niuna, ché 'l Segnore però
m'ha mandato a voi, acciò ch'io vi liberi de le pene
del
dragone; pure che voi
crediate in Cristo e
catuno
di voi sia
battezzato, sì
ucciderabbo questo
dragone".
Allora fu
battezzato il re e tutto il popolo, e santo
Giorgio trasse fuori la spada e uccise il
dragone e
comandò
che fosse portato fuori de la
città. Allora
quattro
paia di
buoi il menarono in uno grande
campo fuori
de la
città; e
battezzaronsi il quello
die
XX migliaia
d'uomini sanza le
femmine e senza i
fanciulli, e il re
in onore de la beata Maria e del beato Giorgio fece
una chiesa di maravigliosa
altezza e grandezza; e del
suo
altare
esce una
fontana
viva, il cui
beveraggio
sana tutti gl'infermi, e 'l signore de la terra offerse
molta pecunia a san Giorgio; la quale egli rifiutando
di torre,
comandòe che fosse
data a' poveri.
Allora san Giorgio di
quattro cose
brievemente
ammaestròe
il re, cioè ch'elli
avesse istudio de le
chiese
di Dio e che onorasse li preti e che udisse
diligentemente
l'Ufficio
divino e sempre si ricordasse de' poveri.
E così
basciato il re, si partìo quindi.
Ma in alcuni libri si legge che, quando il
dragone
andava a
divorare la
donzella, san Giorgio s'
armòe con
la Croce e
assalendo il
dragone, sì lo uccise.
In quello tempo, signoreggiando
Diocleziano e
Massimiano
imperadori,
ebbero tanta persecuzione i
cristiani
sotto
Daziano preside che in uno mese ne furono
coronati
bene da
martirio XVII migliaia; onde tra
cotante
maniere di tormenti molti di
cristiani venivano meno,
e sacrificavano a gli idoli. La quale cosa veggendo santo
Giorgio, tocco dal
dolore del
cuore dentro, tutto ciò che
avea
diede a' poveri, e lasciò l'
abito
cavalleresco e vestissi
l'
abito de'
cristiani e, gittandosi nel mezzo di loro,
gridòe e disse: "Tutt'i
domenedii de' pagani sono
dimonia, ma il Segnore fece li
cieli!" Al quale il preside
adirato disse: "Con quale prosunzione
ardisci tu
di
chiamare li nostri
domenedii
demonia?
dicci donde
tu
se' e come è il tuo nome? "Al quale san Giorgio
disse: "Io sono
chiamato Giorgio, nato di nobile schiatta
de la
città di
Cappadocia e con l'
aiuto di Dio abbo
vinta
pestilenza, ma ogni cosa abbo
abbandonato
per servire a Dio del
cielo".
E non
potendolo il preside inchinare a sé,
comandò
che fosse messo a la
colla e da
membro a
membro
isquarciare il suo
corpo con
unghiali di
ferro, ponendo
sopra tutto questo le
faccelline accese a le sue
costole
e,
aprendosi le
fessure de le
interiosa,
comandò che
col
sale
fossono
stropicciate le sue piaghe.
In quella medesima notte gli
apparve il Segnore con
grande lume e sì 'l
confortòe in
doppio modo; per la
cui
melata visione e parlare fue così
confortato che per
niente
aveva li tormenti.
Veggendo
Daziano che con pene non lo poteva soperchiare,
fecesi venire uno
incantatore e sì li disse: "I
cristiani con loro
arti si fanno
beffe di tormenti e hanno
per nulla i sacrificii de' nostri iddei". Rispuose lo
'ncantatore:
"S'io non potrò soperchiare l'
arti sue,
fammi tagliare il capo". Sì che misse mano a sue
malie e
chiamare nomora di suoi iddei, e poscia
mischiò
vino con veleno e porselo a
bere a san Giorgio; contra
'l quale
beveraggio il santo di Dio fece il
segno de la
Croce; e,
bevuto che l'
ebbe, non sentì male veruno.
Ancora lo
'ncantatore
mischiò più
forte veleno che non
fu il primaio, e l'uomo di Dio, fatto ch'
ebbe il
segno
de la santa Croce, sanza veruno male lo si
bevve.
Vedendo ciò lo
'ncantatore, incontanente si gittò a'
piedi suoi e con grande lamento
chiese perdonanza e
domandò d'essere fatto
cristiano; lo quale a mano a
mano il giudice lo fece
dicollare. E 'l seguente
die
comandò che san Giorgio fosse posto in su la ruota
attorniata intorno intorno di
coltelli a
due tagli; ma la
ruota si spezzò immantanente e san Giorgio fu trovato
ch'al postutto non avea
avuto male veruno. Allora
adirato
Daziano
comandò che fosse gittato dentro ad
una
caldaia piena di piombo
colato; ed elli fece il
segno
de la Croce ed
entrovvi dentro, ma per la virtù di Dio
vi si
cominciò a rallegrare come in uno
bagno. Veggendo
ciò
Daziano pensò d'
attrarrelo per
lusinghe colui lo quale
non potea soperchiare per minacce né con tormenti, e
disse a lui: "Or vedi, Giorgio, figliuolo mio, di quanta
mansuetudine sono li nostri
dei che così
pazientemente
sostegnono d'essere
biastemmiati e niente di meno sono
apparecchiati a perdonarti se tu ti vuogli
convertire.
Fa dunque,
diletto figliuolo mio, quello ch'io ti
conforto,
che tu lasci
cotesta
setta e sacrifichi a' nostri
dei, acciò che tu
accatti ancora da costoro e da noi
grandi onori". Al quale san Giorgio sorridendo disse:
"
Di', or perché non mi
confortasti tu così dal principio
con lusinghevoli parole, anzi che con tormenti?
ecco
ch'io sono apparecchiato di fare quello onde tu mi
conforti".
Per questa impromessa
beffato
Daziano, sì si fece
lieto e fece mettere
bando che tutta la sua gente si
dovesse ragunare per vedere Giorgio, che tanto avea
combattuto, che ora a la perfine voleva
credere e sacrificare.
Sì che essendo ornata tutta la
cittade per la
letizia,
dovendo san Giorgio
entrare nel tempio per sacrificare
ed essendo tutti presenti là molto
allegri, con
le ginocchia in terra pregò
Domenedio che, a sua laude
e acciò che 'l popolo si
convertisse in tal guisa, n'
abissasse
il tempio con l'idole, che neuna cosa al postutto
ne rimanesse. Immantanente
discese il
fuoco da
cielo
e
arse il tempio con gli
dei e co' preti loro, e
aprendosi
la terra tutto quello incendio
tranghiottìo. Qui grida
santo
Ambrosio nel
Prefazio e dice così: "Giorgio
fedelissimo
cavaliere
di Cristo,
coprendosi del nome del
cristianesimo, solo in tra '
coltivatori di Cristo,
confessò
el figliuolo di Dio. Al quale la
divina grazia
concedette
tanta
fermezza di fede che
dispregiava li
comandamenti
de'
crudeli signori e non
temea i tormenti de le pene
sanza numero. O bene
avventurato e glorioso
combattitore
di Dio, lo quale non solamente non fu ingannato
per lusinghevole
promessa di temporale regname, ma,
disprezzato il perseguitatore, in
abisso mandò le maravigliose
cose di suoi idoli!" Insino qui parla santo
Ambrosio.
Udendo
Daziano queste cose, sì si fece menare dinanzi
san Giorgio e disse a lui: "O pessimo di tutti gli uomini,
che
malifici sono questi tuoi, che hai
commesso sì grande
peccato?" Al quale disse san Giorgio: "Non
creder
tu, re, che sia così, ma vieni meco e
vedemi sacrificare
un'altra volta". Al quale disse il re: "Io intendo lo
'nganno tuo, ché tu vuogli fare tranghiottire me come
tu hai fatto il tempio e gli idoli miei". Al quale disse
san Gregorio: "
Dimmi tu, misero, gli
dei tuoi li quali
non poterono
aiutare se medesimi, come
aiuteranno te?"
Adirato il re molto disse ad
Alessandra, sua moglie:
"Io vegno sì meno ch'io mi morrò, perch'io mi veggio
soperchiato da questo uomo". E quella gli disse: "
Crudele
tiranno, or non ti
diss'io più volte che tu non
facessi noia a li
cristiani, però che 'l
Domenedio loro
combattea per loro? Or sappi tu ch'io voglio essere fatta
cristiana". Allora isbigottito lo imperadore e' disse:
"Oimè
dolente! or
se' tu anche ingannata?" E
fecela
impiccare per li
capelli e
batterla
duramente con
coreggiati.
La quale essendo così
battuta, disse a san Giorgio:
"O Giorgio, lume di veritade, dove pensi tu che
io pervenga non essendo rinata ne l'
acqua del
battesimo?"
A la quale disse san Giorgio: "Non
dubitare,
figliuola, ché 'l sangue tuo sparto ti sarà
battesimo e
corona". Allora quella
facendo orazione a Dio, mandò
fuori lo spirito.
E 'l seguente dì ricevette san Giorgio una cotale sentenza,
che fosse trascinato per tutta la
città e poi gli
fosse tagliata la testa. E fece orazione a Dio che qualunque
persona
adomandasse il suo
aiuto, fosse
esaudito
ne la sua orazione; e
venneli la notte da Dio una
boce,
e
disseli che così sarà fatto, com'elli avea
pregato. E
compiuta l'orazione
fugli tagliato il capo, ed
ebbe
compiuto
il martirio
sotto Diocleziano e Massimiano ne
li
anni
Domini nel torno di
CCLXXXVII. E ritornando
Daziano di quello luogo dove san Giorgio era
dicollato
al palazzo, venne il
fuoco di Dio da
cielo, e
consumollo
con tutti i suoi sergenti.
Racconta Gregorio
Turonese che portando alcune persone
alcune reliquie di san Giorgio, essendo
albergati ad
uno oratorio, la mattina quando si venìano a partire in
neuno modo poterono muovere la
cassa infino a tanto che
non ve ne lasciarono alcuna particella di quelle reliquie.
cap. 57, S. Marco
Marco,
evangelista de la schiatta di Levi e sacerdote,
figliuolo spirituale di san Piero
apostolo nel
battesimo
e suo
discepolo ne la parola di Dio, con esso san Piero
andò a Roma. E predicando là san Piero il Vangelo, pregarono
i
cristiani ch'erano a Roma, san Marco
Vangelista
che
dovesse scrivere lo Vangelio a perpetuale memoria
de'
fedeli. Lo quale elli
certamente, come
ebbe
da la
bocca del maestro suo messere san Piero, sì scrisse
con
fede
le materia; e 'l
detto san Piero
esaminando
diligentemente il
detto Vangelio, poi che l'
ebbe veduto
pieno di tutta veritade, sì l'
approvò da ricevere da
tutti quanti i
fedeli
cristiani. E veggendo san Piero san
Marco
fermo ne la fede, sì 'l mandò in Aquilea,
ove
predicando la parola di Dio,
convertìo innumerabile
gente a la fede di Cristo, e quivi simigliantemente scrisse
il Vangelio suo, il quale Vangelio si mostra insino al
die d'oggi ne la chiesa d'Aquilea e
conservasi là entro
con molta
divozione.
A la perfine san Marco menòe a Roma a san Piero
uno
cittadino d'Aquilea,
chiamato
Ermagora, lo quale
elli avea
convertito a la fede di Cristo, e
fecelo
consecrare
vescovo d'Aquilea per le mani di san Piero.
Sì che abbiendo questo
Ermagora ricevuto l'officio del
vescovado, poi ch'
ebbe bene governato la chiesa d'Aquilea,
a la perfine fue preso da li nemici e ricevette
corona di martirio in quello luogo. E san Marco fue
mandato da san Piero in
Alessandra là ove fu di prima
predicatore de la parola di Dio. E nel primo suo
entrare
(come
dice
Philo savissimo di parlare sopra tutti gli
giuderi), sì si raunò grande
moltitudine a fede e a
divozione
e a osservamento di
castità, e Papia vescovo
di
Geropoli,
dichiaròe per lucente materia le sue molto
chiarite laudi. E Pietro
Damiano dice così di lui: "Tanta
grazia gli
diede
Domenedio in
Alessandra che tutti quelli
che veniano così rozzi a la fede, incontanente parea
che volassero per
castitade e
perseveranza di tutta
supernale
conversazione a stato di perfezione
monachile,
al quale elli gli traeva, ora per operare miracoli, ora
per predicare
divine parole, e non solamente per questi
modi, ma ancora per altri
essempli di lui". E molte
altre cose ne dice: "Ora intervenne poscia che ritornò
in Italia, acciò che la terra la quale gli era stata
data
a scrivere lo Vangelio fosse
degna di possedere le sue
sante
orliquie.
Beata
se'
città d'
Alessandra
imporporata
del vittorioso sangue di costui, e bene
avventurata
se' di
costui, Italia, fatta ricca del
tesoro del
corpo suo!"
Tanta umilità si dice ch'elli
ebbe, che 'l
dito grosso si
tagliò per non potere per giudicio umano essere
promovuto
ad ordine sacerdotale. Ma la
disposizione di Dio e
l'
autorità di san Piero
ebbe più
valore, ché il mandò in
Alessandria per vescovo. E sì tosto come fue
entrato
in
Alessandra subitamente il
calzamento li su ruppe e
sciolse; la qual cosa intendendo in ispirito, sì disse:
"
Veramente ha fatto il Segnore il mio
viaggio ispedito,
né 'l
diavolo m'ha potuto impedimentire me, lo quale
il Segnore ha di già prosciolto da l'opere morte". E
veggendo san Marco uno che richiedea i
calzari vecchi,
diedeli a
riconciare i suoi; e quelli
faccendo ciò, sì si
fedìo
gravemente la mano manca, e incominciò a gridare
fortemente: "Uno Dio". Udendo ciò san Marco disse:
"
Veramente ha fatto il Signore il mio
viaggio
prosperevole!".
Allora fece un poco di
loto con lo
sputo e
unsene
la mano di colui, e incontanente riebbe sanitade. Veggendo
quello uomo tanta
efficacia in costui, sì li menò
in
casa e
cominciò a sentire da lui chi e' fosse, e donde
e' venisse. Allora san Marco
confessò ch'egli era servo
del nostro Signore
Jesù Cristo; e quelli disse: "Io lo
vorrei vedere". Disse san Marco: "E io lo ti mosterrò
in questo luogo". E
cominciò san Marco a
predicarli
Cristo e
battezzollo con tutti quelli di
casa sua.
Udendo gli uomini di quella
città che alcuno uomo
di Galilea, il quale
dispregiava i sacrifici de li
dei,
v'era venuto, sì li missero
agguati.
Conoscendo ciò il
santo, sì
ordinò quell'uomo ch'elli avea
curato, il
quale avea nome
Aniano, vescovo di quella
cittade,
ed elli
andòe in
Pentapoli e, statovi
due
anni, ritornò
anche in Alessandria e
trovovvi i
fedeli ch'erano
moltiplicati. Ma i Pontefici de' tempi si sforzavano di
prenderlo e,
dicendo san Marco la
Messa ne la solennità
de la
Pasqua, raunaronsi a lui e
misserli una
fune
in
collo e
strascinavallo per la
cittade, così
dicendo:
"Tiriamo il
bufalo al luogo del
bifolco". E le
carni
sue scorreano per la terra, e le pietre sì 'l
bagnavano
del suo sangue. Dopo queste cose fu messo in
pregione e l'
angelo di Dio lo venne a
confortare, e ancora
messere
Jesù Cristo lo venne a visitare, e
confortollo
così
dicendo: "Pace sia a te, Marco
Vangelisto
mio, non temere di nulla, però ch'io sono teco per
liberarti". E la mattina vegnente li missero anche la
fune in
collo, e
vannolo
trascinando qua e là tutta via
gridando: "Traete la
bufola al luogo del
bifolco". E
mentre ch'elli era così strascinato,
rendea grazie a Dio,
e
dicea: "Ne le mani tue, Signore mio, raccomando lo
spirito mio". E
dicendo queste parole mandò fuori lo
spirito, intorno a gli
anni
Domini
LVII sotto
Nerone.
E
volendolo i pagani
ardere, subitamente si turbòe
l'
aere, e venne la gragniuola e tuoni terribili e
baleni
con saette
folgori, sì che ogni persona si
brigava di
scampare, e lasciarono iveritto il santo
corpo, sanza
essere tocco, ma li
cristiani tolsero il
corpo suo,
soppellirollo
ne la chiesa con tutta reverenzia.
Or fue la
forma del
beato santo Marco in questa
maniera: col naso lungo, con le
ciglia in giù, con gli
occhi
belli,
calva la testa, con
barba lunga, di
buona
statura, di mezzana
etade, con
alquanti peli
canuti,
continente d'
affetto e pieno de la grazia di Dio.
Ne li
anni
Domini de la Incarnazione
CCCCLXVIII
li Viniziani, con gente
armata, tolsero il
corpo de la
città d'Alessandria e
traslatarolo a Vinegia, là dov'è
fatta la chiesa
meravigliosamente
bella al suo nome.
Ma alcuni mercatanti di Vinegia indussero con
prieghi e
con grande
promessa,
due petri in Alessandria, guardiani
del
corpo di san Marco, che lasciassero torre loro
quello
corpo e
trasportarolo a Vinegia. Ma quando si
traeva de l'
avello, tanto odore scorse per tutta Alessandria
che tutti si
maravigliavano onde venisse tanta
soavitade d'odore. E navicando loro e
manifestando a' navicatori
com'ellino portavano il
corpo
di san Marco, uno
d'elli disse: "Forse vi portate il corpo d'alcuno d'
Egitto
che v'è stato, e
credetevi portare il
corpo di san Marco".
Sì che immantanente la
nave, là ove era il
corpo di
san Marco, si volse per se medesima
maravigliosamente,
e percosse tosto la
nave ne la quale colui era, e ruppe
parte del lato di quella
nave non lasciandola mentre
che quelli che dentro v'erano non gridarono tutti,
confessando
che quello era il
corpo di san Marco.
Una notte
certe
navi erano guidate per velocissimo
[ms.: testrinissimo]
corso. Li nocchieri,
commossi da
tempesta e involti in
tenebre, non sapieno dove s'andare, sì che san Marco
apparve a uno monaco guardiano del
corpo suo, e sì li
disse: "
Di' a questi uomini che tosto pongano giù le
vele, imperò che non sono molto lungi da terra". Le
quali poste giù, fatta la mattina, sì si trovarono presso
ad una
isola. Ma passando loro per
diverse riviere, e
tenendo a tutti
celato il santo
tesoro, venìano gli
abitanti
di quelle
contrade, e gridavano: "O come voi
siete
beati, i quali portate il
corpo di santo Marco! Lasciatelo,
e
adorate umilemente!". Uno nocchiero
ch'al postutto
credea non fosse
ro queste cose, fu preso
dal
demonio, e tanto tormentato infino a tanto ched elli
fu
menato al
corpo del santo e
confessò quello ch'era.
E quando fu liberato
diede gloria a Dio, e da indi innanzi
ebbe grande
divozione di san Marco.
Intorno a gli
anni
Domini
MCCXII a Pavia nel
convento
de'
frati Predicatori fue un
frate di religiosa e
santa vita che avea nome Giuliano, natìo di
Faenza,
giovane del
corpo, ma
canuto de la
mente, il quale
essendo infermo in sul trabocchetto, e
domandando il
priore de la
casa quello che li pareva di lui, e quelli
dicendo com'elli era presso a la
morte, e quegli immantanente
rallegrato ne la
faccia, lodando
Domenedio con
le mani e con tutto il
cuore e col
corpo, incominciò
a gridare e a
dire: "
Date luogo,
frati, poi che per
la troppa
abbondanza de la letizia uscirà tosto l'
anima
del
corpo, di ciò ch'io abbo udite così
allegre
novelle". E levando le mani a
cielo
cominciò a
dire:
"Trai di
carcere l'
anima mia, acciò che lodi il nome
tuo santo! Malagurato io uomo, chi mi
camperà del
corpo di questa
morte?" Infra queste cose quelli
addormentato
d'un lieve sonno vidde san Marco venire a
sé, e
accostarlisi a lato al letto, ed eccoti una
boce e
disse a lui: "Che
fa' tu
costì, Marco?" E quelli rispuose:
"Io sono venuto a costui che muore, però che
'l suo
servigio è piaciuto a Dio". E anche parlò la
boce a lui: "Perché
se' tu tra li altri santi spezialmente
venuto a lui?" E quelli rispuose: "Perch'elli hae
avuto speziale
divozione in me, e hae
visitato per
continova
divozione il luogo dove il mio
corpo si riposa, e
però sono venuto a visitare lui ne l'ora de la sua
morte". Ed eccoti venire alcuni vestiti a
bianco, e riempierono
tutta la
casa. A' quali disse san Marco: "Perché
ci
sete voi venuti?" E
coloro
dissono: "Per
rappresentare l'
anima di costui nel
cospetto di Dio".
Isvegliato quello
frate, mandò incontanente per lo priore
dal quale io udì
dire queste cose, e raccontandoli queste
cose, come avea veduto in visione, con molta
allegrezza,
bene e
venturatamente morìo in pace.
cap. 58, S. Marcellino
Marcellino governò la chiesa di Roma
IX anni e
IV
mesi. Questi fu preso per
comandamento di
Diocleziano
e di
Massimiano, e fu
menato a fare sacrificio a l'idole.
E con ciò fosse
cosa che elli non
consentisse,
dovendo
di ciò
sostenere molte maniere di tormenti, per la paura
ch'
ebbe de la passione,
due
granella d'incenso misse
nel sacrificio. Allora fu la letizia grande de l'infedeli,
ma i
fedeli furono percossi da grande
tristizia. Ma non
pertanto che 'l capo fosse infermato, le più
forte
membra
si rilevarono, e hanno per nulla le
minaccie de li prencipi.
Allora i
fedeli sì si raunarono dal sommo Pontefice
e
ripreserlo
duramente. Ma elli già pentuto pianse
molto e
dispuosesi del
Papato; ma pertanto tutto la
gente il richiamò un'altra volta. Udendo ciò l'imperadori
sì 'l
fecero pigliare un'altra volta e, non volendo
sacrificare per veruno modo,
comandarono che li fosse
tagliato il capo; e intanto
crebbe il
furore de' nemici
che in uno mese furono morti di
XVII milia di
cristiani.
E
dovendo
Marcellino essere
dicapitato,
affermossi che
non era
degno d'essere messo in
cimitero di
cristiani,
e per ciò scomunicò tutti
coloro che fossero
arditi di
soppellirlo. Per la qualcosa il
corpo suo rimase
disotterrato
XXXV dì.
Dopo questo venne san Piero
apostolo e
apparve a
Marcello, successore di san
Marcellino, e sì li disse:
"
Frate
Marcello, perché non mi
seppillisci tu?" E quelli
disse: "Or non
fosti seppellito già è
buono tempo?"
"Messere, rispuose l'
apostolo, io mi tegno
disotterrato
infino a tanto che io vedròe
disotterrato
Marcellino".
Al quale quelli rispuose: "Non sai tu, Messere, ched
elli scomunicò
chiunque il seppellisse?" Rispuose san
Piero: "Or non dice la Scrittura che chi s'
aumilierà
sarà
esaltato? onde tu
dovevi tenere
mente a queste
cose; va dunque e
seppelliscile a' piedi miei". Quegli
andò incontanente e
adempié il
comandamento.
cap. 59, S. Vitale
La sua passione si
crede che fosse trovata nel libretto
di san
Gervasio e
Protasio, che la
dovéreno scrivere.
Vitale
cavaliere
consolare ingeneròe di Valeria sua
moglie, san
Gervasio e
Protasio.
Entrato costui in Ravenna
con
Paulino giudice e veggendo ad uno
cristiano
medico, ch'era nel
detto luogo, dopo molte maniere di
tormenti,
doverli, secondo il
comandamento,
essergli tagliata
la testa, ed esso medico essendone molto sbigottito,
gridòe a lui san Vitale, e sì li disse: "O
frate
Ursicino
medico, il quale
se' usato di medicare gli altri, non
volere uccidere te medesimo de la
eternale
morte, e
però che tu per molte passioni
se' venuto a la vittoria,
non volere perdere la
corona che t'è
apparecchiata
da
Domenedio". Udendo ciò
Ursicino
confortossi tutto
quanto e, pentuto de la paura di prima, ricevette
allegramente
il martirio; e san Vitale il fece soppellire
onoratamente.
Dopo questo
sprezzòe di venire a
Paulino.
Questi molto s'indegnò; sì che perché Vitale non
volesse venire a lui, sì ancora perché si trasse a sé
Ursicino, il quale volea sacrificare, sì ancora perché si
mostrò d'essere
cristiano,
comandò che fosse levato
a la
colla. Al quale disse san Vitale: "Molto
se' tu
stolto se tu mi pensi d'ingannare, il quale mi sono
studiato di liberare li altri". Disse
Paulino a' santi
suoi: "Menatelo a la palma e, se non vuole sacrificare,
fatevi una
fossa profondissima tanto che voi troviate
l'
acqua e ivi il
sotterrate vivo col capo di sotto".
Coloro il
fecero, e sotterrarono san Vitale ivi così vivo,
intorno a gli
anni
Domini
LII, sotto
Nerone. E 'l
sacerdote de l'idoli, il quale avea
dato questo
consiglio,
incontanente
compreso dal
dimonio, per
sette dì impazzando,
gridòe nel
detto luogo e disse: "Tu m'incendi,
san Vitale!" E in capo di
VII dì fu traboccato dal
dimonio
entro il
fiume, e così miserabilemente morìo.
Tornando la moglie di san Vitale a
Melano, trovò
alquanti che
facevano sacrificio a gl'idoli; i quali
confortando
lei che mangiasse di quello cotale sacrificio,
ella rispuose: "Io sono
cristiana, non m'è lecito di
manicare di vostri sacrifici".
Coloro udendo questo, sì
crudelmente la
batterono, che li uomini che erano con
lei, insino a
Melano la menarono tramortita, là ove,
infra 'l terzo
die,
beatamente passòe di questa vita, e
andò al Segnore.
cap. 60, Vergine d'AntiochiaUna Vergine fu in Antiochia, la cui storia racconta
santo
Ambrosio nel secondo
libro de le Vergini, in questo
modo: "In Antiochia fu una vergine
novellamente, la
quale
fuggiva i
palesi
vedimenti de le persone; ma
quanto più schifava gli occhi de gli uomini, tanto più
incendea i
villani
sguardamenti. Ché la
bellezza udita
e non veduta è più
desiderata per
due stimoli di
desideri,
cioè d'
amore e di
conoscimento, mentre che neuna
cosa
occorre la quale meno piaccia, e più si pensa che
sia quello che piaccia; quello che l'occhio di fuori
dimostrativo
non vede, l'occhio dentro va
ispiando, ma
l'
animo
amatore
desidera. Adunque la santa Vergine
di Dio, acciò che lungamente non si
nutricassono gli
uomini del mal uso per la speranza del
disiderio,
faccendo
promissione d'osservare
castitade, in tal modo
ristrinse gli
ardori de'
cattivi, che già non era
amata,
ma tradita. Ecco la persecuzione. La
fanciulla che non
sapea
fuggire,
certamente paurosa, acciò che non
cadesse a le mani di
coloro che le ponevano
agguati,
apparecchiò a vertude l'
animo de la
castità, sì
religiosamente
che non temesse la
morte, e sì
castamente
che non temeva la
morte. Sì che venne il
die
d'avere la
corona, il maggiore
aspettamento di tutti;
è menata fuori la
fanciulla, la quale avea fatto
promessione
di
doppia
battaglia di
castitade e di religione.
Ma poi ch'
ebbero veduto la
fermezza de la
promessione,
apparecchiata a' tormenti per paura di non perdere la
vergogna, vergognandosi a li sguardi,
cominciarono a
pensare in che modo le tollessero con la religione lo spirito
de la
castitade, e per torre quello ch'era più eziandio
quello che
avessono lasciato in lei tollendo da lei. E
così le
comandò che o ella sacrifichi, o ella sia messa al
bordello. Come
coltivano gli
dei loro
coloro che così
fanno vendette, ovvero come vivono
coloro che così vanno
giudicando?
[ms.: mendicando] Ma la
fanciulla, non ch'ella
dubitasse
de la religione, ma perché
temea de la vergogna, disse
così: "Che
faremo oggi?" Disse fra sé medesima:
"O sarò martire, o sarò vergine, l'una di queste
corone
s'
avrà. Ma non si
conosce nome di vergine, là ove
si riniega il
fattore de la
verginitade. Come puoi tu
essere vergine se tu
abiti con la meretrice? Come puoi
essere vergine se tu
ami l'
avolterio? E come puoi essere
vergine se tu
domandi
amore? Più è da
sostenere d'avere
la
mente vergine, che la
carne.
Catuno è bene sollicito,
ma se non è lecito,
almeno ad uomo non siamo
caste,
ma a Dio. E
Raab fu meretrice, ma poi che
credette a
Dio, sì trovò salute. E
Giuditta s'
adornòe per piacere
a l'
adoltero, e pertanto niuna la giudicava
avoltera,
perch'ella il
facea per religione di fede, e non per
mal
amore. Bene ci
cadde l'
essemplo, ché se quella la
quale si
commisse a la religione e
servòe la
castitade
e 'l paese, forse che noi servando la religione
conserveremo
la
castitade? Che se
Giuditta
avesse soprapposta
la
castità a la religione, perduta che fosse la
patria,
anche
averebbe perduta la
castità. Adunque informata
di cotali
essempli, ritenendo insiememente ne l'
animo
le parole di Cristo le quali disse: "
Chiunque perderà
la vita sua per me, sì la troverrà" pianse e tacette,
acciò che l'
adultero non la udisse come parlante; e non
elesse la 'ngiuria de la
castità, ma ricusòe quella
di Cristo,
pensando quella che non può
avolterare il
corpo
colei la quale non l'hae
avolterato con la
boce. Già per
adrieto si vergognava l'
anima mia e teme di
dire l'ordine
vituperoso de le cose fatte e di
manifestarlo.
Chiudete
l'orecchie, vergini di Dio! Menata è la pulcella di Dio
al mal luogo, ma
aprite l'orecchie, vergini di Dio! La
vergine può essere
abbattuta in terra, ma non
volterata.
Dovunqu' è la vergine di Dio, è tempio di Dio, né
non infamano i sozzi luoghi la
castitade, ma anche la
castità leva via la
'nfamia del luogo. Grand' è scorrimento
d'uomini
carnali a
nutrimento.
Apparate li miracoli
de' martiri, o sante vergini!
apparate i vocaboli
de le luogora. È
rinchiusa dentro la
colomba, fanno strepito
li sparvieri,
combattono tutti di fuori quale
debbia
prima
assalire la preda. E quella con le mani levate
in
cielo, come se fosse venuta al luogo d'orazione, non
ad
abitazione di lussuria, disse: "O Cristo, tu
domasti
a la Vergine
fieri leoni, tu puoi
domare le
fiere
menti
de li uomini. A'
Caldei
crebbe il
fuoco; a' Giudei stette
l'
acqua sospesa per la tua misericordia non per sua
natura;
Susanna s'inginocchiò al luogo del tormento ed
ebbe la vittoria di quelli
avolteroni;
diventòe secca la
mano ritta che
corrompea li
doni del tuo tempio; ora
è malmenato esso tempio tuo, non
sostenere il peccato
del sacrilegio, che non hai patito il
furto. Sia
benedetto
ed ora il nome tuo, ché com'io venni al luogo de l'
avolterio,
così mi parto vergine". Appena
comunque
ebbe
compiuta la sua orazione ed eccoti
apparire uno uomo
in
figura d'uno
cavaliere molto terribile; or che paura
ebbe la Vergine a la quale il popolo pauroso
diede luogo!
Ma ella, non
dimentica de la lezione di
Daniello profeta,
disse: "
Daniello venne a vedere il tormento di
Susanna,
e quella che tutto il popolo avea
condannata a
morte,
uno fue quelli che la prosciolse. E così puote in questo
abito di lupo essere dentro pecora. Cristo sì ha e' suoi
cavalieri, il quale eziandio hae legioni; or forse che ci è
entrato un
percossente: non ne avere paura,
anima mia,
cotali persone sogliono fare martiri". O vergine, la fede
tua t'ha fatta salva. A la quale disse il
cavaliere: "Io
ti
priego,
serocchia, non avere paura sopra ciò, sono venuto
a salvare l'
anima tua, non a
torlati.
Conserva me,
acciò che tu medesima sia
conservata, come
adoltero ci
sono
entrato, se tu vuoli, io n'
uscirabbo martire:
mutiamo
le vestimenta;
convegnonsi a me le tue cose, e
le mie a te, ma l'uno e l'altro si
convengono a Cristo. Il
tuo vestimento mi mostrerrà d'essere vero
cavaliere, e
'l mio ti mosterrà vergine. Bene sarai vestita, io sarò
meglio spogliato, acciò che il persecutore mi
conosca.
Prendi
abito che nascondi
femmina,
dammi chi mi sagri
per martire. Vestiti il mantello che tegna
celate le
membra de la vergine e
conservi la vergogna, prendi la
copertura che
cuopra le trecce e
nasconda le
bocche;
sogliansi vergognare
coloro che sono
entrati nel
bordello.
Ma intendi sanamente quando tu ne sarai uscita fuori,
non ti tenere niente
drieto, ricorditi de la moglie di
Lotto, la quale perché ragguardò i non
casti, avvegna
che ragguardasse con
casti occhi, sì
perdette la natura
sua; e non avere temenzia, acciò che non perisca nulla
del sacrificio. Io per te rendo sacrificio a Dio, tu per
me rendi
cavaliere a Cristo; sia
buona
cavaliera di
castità, la quale ha tale soldo che non venne mai meno;
abbi la
pazienza de la giustizia, la quale con
ispirituale
armadura ricuopra il
corpo;
abbi lo scudo de la fede
con lo quale tu
scacci la piaga;
abbi il
cappello de la
salute. Ché ivi è l'
aiuto de la nostra salute là ov'è
Cristo; però che capo de la
femmina è l'uomo, e capo
de la vergine è Cristo". E fra queste parole si spogliò
il mantello; ancora ne fu
avuto, per sospetto e per
adoltero,
perseguitante. La vergine inchinòe il capo, e 'l
cavaliere
cominciò ad offerire lo mantello. Che
borbanza
è quella! che grazia, con ciò fosse
cosa che nel
bordello
combattessero del martirio!
Aggiugnasi le persone il
cavaliere e la vergine. Costoro
disimiglianti intra loro
di natura, ma per la misericordia di Dio somiglianti,
acciò che sia
compiuta la
profezia che disse: "Allora
pasceranno insieme e' lupi e gli
agnelli". Ecco l'
agnella
e 'l lupo, i quali non solamente pascono, ma eziandio
sono sacrificati. Che perché ci mettiamo in più parole?
Mutato l'
abito, la
fanciulla
campa del
lacciuolo, già non
con le sue
ale, come quella ch'era rapportata con l'
ali
ispirituali, e che mai veruno secolo lo vidde
ed esce
fuori del
bordello la vergine di Cristo. Ma
coloro che
teneano gli occhi e non vedevano col
cuore,
fremevano
come
rapitori a l'
agnella,
come li lupi
a la preda.
Uno ch'era più isfrenato,
entròe dentro e non
costrinse
gli occhi testimonii del fatto, e disse: "Questo ch'è?
una
fanciulla ci
entròe e
pare uno uomo!
Ecco che
non è
favola quella parola: la
Gerbia per la Vergine,
ma che vero è
cavaliere di vergine. E io l'avea udito
e non
creduto, che Cristo
convertìo l'
acqua in vino, già
ha
cominciato a
mutare le nature. Partiamci quinci
mentre che noi siamo quello che noi
fummo. Or sono
mutato io, che veggio altra cosa ch'io non
credo? Io
venni al
bordello: veggio lo
stadico di tutti, e per tanto
n'uscirò mutato,
casto ci uscirò, che c'
entrai
adoltero:
per giudicio del fatto, però che si
dovea
cotanta
corona
al vincitore;
condannato è per la vergine colui che per
la vergine è
compreso". E così del
bordello uscirono non
solamente la vergine, ma i martiri.
Rapportasi che la
fanciulla
corse al luogo del tormento
e che
abendue
combatterono de la
morte. Con ciò sia
cosa che colui
dicesse: "Io sono mandato ad essere
morto, te prosciolse la sentenza quando ella tenne me".
E quella gridava: "Io non t'abbo
eletto per
istadico
de la
morte, ma ho
desiderato preda di vergogna. Se
vergogna è
dimandata, sta il sesso; se sangue è
adimandato,
non
dimando
mallevadore! Che io abbo onde pagare,
in me è rapportata questa sentenzia, la quale per me è
data. Certo che se io t'
avessi
dato per
mallevadore di
moneta, e in mia
assenzia il giudice
avesse giudicato
a l'usuriere il tuo tributo, per quella sentenza mi
convinceresti
tu che col mio
patrimonio tu
sciogliessi i tuoi
legami. E s'io ricusasse questo, chi
direbbe ch'io non
fossi
degna di
morte? Or quanto è maggiore lussuria di
questo
capitale!
Morrabbo innocente, acciò ch'io non
muoia
nocente. Niuna cosa ci è in mezzo, ma oggi
sarabbo
colpevole del tuo sangue, ovvero del mio martirio.
Se tosto sono tornata, chi è ardito di trarmene
fuori? Se io ho fatta
dimoranza, chi è ardito di
prosciogliermene?
Più sono tenuta a le
leggi
colpevole non
solamente del mio
fuggire, ma eziandio de l'altrui
morte.
Bastino le
membra a la
morte, a le quali non
bastava
di
vivere. Hae la vergine luogo di piaga, che
non l'avea di vituperio; io abbo
cessato
obbrobbrio, non
t'abbo
conceduto martirio; ho
mutato vestimento, ma
non la religione. Che se tu mi tolli la
morte innanzi, già
non m'hai ricomperata, ma
pattovita. Guarda,
priegotene,
che tu non
contendi, guarda che tu non abbia
ardimento
di
contraddire. Non mi torre il
beneficio, che tu
mi
desti, quando tu mi nieghi questa sentenzia, io hoe
restituita quella disopra. La sentenza si muta
ne la
sentenza disopra; se quella di
drieto non mi tiene,
quella disopra tiene. Noi possiamo soddisfare a l'una
sentenzia e a l'altra, se tu
sostieni ch'io sia prima
morto". Hanno altra pena che mettere in te, ne la vergine
è obbligata vergogna. Adunque sarai più gloriosa se tu
sarai veduta de l'
adolterio fatta martire, che se di martire
avessi renduto l'
adoltera. Che
aspettate voi?
Due
contesero e
abendue vinsero: né non è lasciata la
corona,
ma è
aggiunta. E così i santi martiri
faccendo
beneficio insieme l'uno a l'altro, l'una
diede
cominciamento
al martirio, l'altro vi
diede
compimento. Ovvero
eziandio che gli studii de li
filosofi pognono
Damone
e
Sinzia seguitatori di
Pittagora, de' quali l'uno,
sentenziato a
morte,
domandò e' tempo di fare suo testamento.
E 'l tiranno molto scalterito a pensare che non
potesse essere ritrovato,
domandòe
mallevadore che fosse
morto per lui, se elli
facesse
dimoranza. Quale è più
grande cosa de le
due, non so: l'una cosa e l'altra è
assai grande; l'uno truovò
stadico di morte, l'altro si
proferse e
diede per
istadico. Sì che
faccendo
dimoranza
al tormento colui ch'era
colpevole, il
mallevadore con
chiaro volto non rifiutò la
morte. Ed essendo
menato
al luogo del tormento, l'
amico ritornòe, inchinòe il capo
e sottomisse il
collo. Allora
maravigliato il tiranno veggendo
che quelli
filosafi aveano più
cara l'
amistà che
la vita,
adomandò d'essere ricevuto in
amistade da
coloro i quali elli avea
condannati. Tanta essere la
grazia de la virtù, che inchinòe il tiranno. Queste cose
furono
degne di loda, ma di memoria a' nostri; però
che
colà furono
abendue uomini, questa fu una vergine,
la quale primamente vinse la natura;
coloro furono
amici, costoro non si
conoscevano;
coloro offersono loro
medesimi al tiranno, ma costoro a più tiranni, e costei
a più
crudeli; là
dove quello tiranno perdonòe, costoro
uccisono. Tra
coloro fu obbligata necessitade, in costoro
fu la
volontà libera da
amendue. E per queste cose
furono costoro più
mascagni, però che
coloro
feciono
a fine di grazia d'
amistà, costoro per la
corona del
martirio;
coloro
combatterono a gli uomini, costoro a
Dio". Queste cose sono di santo Ambruogio
dottore.
cap. 61, S. Pietro martirePietro
novello martire de l'ordine de'
frati Predicatori,
nobile
campione de la fede, de la
città di Verona fu
il suo
nascimento. Questi nacque nel
mondo come lume
splendiente ch'
esce del
fummo e come giglio
candido
de le spine e come rosa
vermiglia de'
pruni, quando de'
parenti per
errore
accecati si rilieva un lucente predicatore
e di
coloro ch'erano
piagati ne la
mente e corrotti
nel
corpo, procede onore
verginale, quando eziandio
de le spine, cioè di
coloro che sono
diputati a l'
eternale
arsura, si rilieva così glorioso martire. Imperò che
questo santissimo Pietro
ebbe il suo padre e la sua
madre infedeli ed
eretici, ma del loro
errore si
conservò
puro e netto in tutto.
Essendo elli ancora di
sette
anni e tornando da la
scuola, fue
domandato una volta del
zio suo, il quale
sentiva di
resia, che
avesse
apparato ne la scuola. E
quelli rispuose che avea
apparato: "
Credo in uno Dio
padre onnipotente,
fattore del
cielo e de la terra, de le
cose che si veggiono e di quelle che non si veggiono".
E 'l
zio disse: "Non
dire
creatore del
cielo e de la
terra, con ciò sia cosa che non
criasse le cose visibili;
ma il
diavolo
criò tutte queste cose che si veggiono".
Ma il
fanciullo
benedetto
affermava pur che volea
credere come avea letto. Allora quegli si sforzava, come
potea, di fare
credere queste cose al
fanciullo con
certe
autoritadi; le quali tutte il
fanciullo, pieno de lo Spirito
Santo, in tal maniera rivolse intra lui, e in tale modo
il
fedìo col suo propio
coltello di colui, ched elli non
avea dove s'
andasse.
Quelli allora, non potendo
sostenere questa vergogna
del
fanciullo,
andossene al padre, e
narrolli tutto quello
ch'era stato fatto tra sé e il
fanciullo, e con tutti i
modi
confortò che levasse Pietro da la scuola, e disse
così: "Io
temo che quando Pietro sarà bene ammaestrato,
che non si
converta a quella meretrice Chiesa di
Roma, e così
distrugga e
confonda la fede nostra". Il
quale, non sappiendo la verità, sì la disse quando come
un altro
Caifas profetòe che san Pietro martire
dovea
essere
distruggitore de l'
eresie.
Ma imperò che Dio era
facitore di questo fatto, il
padre del
fanciullo non
acconsentìo a le parole del
fratello,
sperando che per alcuno grande vescovo di Paterini
fosse bene ammaestrato in grammatica.
Veggendo dunque il
fanciullo santo che non era bene
sicura cosa
abitare con li
scarpioni,
disprezzando il
mondo e li
parenti, esso puro e netto,
entròe ne l'ordine
de' frati Predicatori. Nel quale ordine, come lodevolmente
vi vivesse entro, messere
Innocenzio papa ne la
sua Pistola il
dichiara così
dicendo: "Con ciò sia cosa
che san Piero, nel tempo de la sua
adolescenzia,
saviamente
si scostasse de le
buffe del
mondo,
trasportossi
a l'ordine de' frati Predicatori. Nel quale ordine
per
ispazio di poco meno di
XXX anni,
armato de la
schiera de le virtudi con la fede
gonfaloniera, essendovi
presente la speranza e in
compagnia la
caritade,
fue sì
valoroso e di grande profitto a la
difensione
de la
detta fede per la quale tutto
ardeva; intanto che
stando in
continua
battaglia contra
crudeli nemici, con
la
mente non paurosa e con lo spirito
fervente, a la
perfine
compiette il suo
combattimento lungo tempo
durando col vincitrice martiro
soperchiantemente bene
avventurato. E così Pietro, fermo ne la pietra de la fede,
a la perfine percosso con la pietra del martiro, a la
pietà, cioè a Cristo, salette ad essere
degnamente
coronato.
La
verginità de la
mente e del
corpo sempre
conservòe
netta, né mai non si sentìo maculato d'alcuno
peccato mortale, sì come fu provato per vera testimonianza
de' suoi
confessori; e perché il servo, pasciuto
dilicatamente
immattisce contra il signore, la
carne sua
ristrinse per
continovo
temperamento di mangiare e di
bere. E per non essere insidiato da li nemici per la pigrezza
corporale,
continuamente s'
esercitava ne l'opere
spirituali, acciò che essendo sempre occupato al tutto
ne le cose licite, non
avessero luogo in lui le cose non
licite e fosse
sicuro de le spirituali malizie.
La notte che
diputata è al
riposo de l'uomo, dopo
il
brieve sonno, mettea a li studii del
leggere, e 'l tempo
del sonno occupava in vegghiare. Il dì
ispendea a l'utilitadi
de l'
anime, o
soprastando a
continuamente predicazioni
fare, o udendo
confessioni e
confondendo la
mortale
dottrina de li
eretici con
forti
ragioni; ne le
quali cose
ebbe speciale
dono da Dio.
Sopra tutto questo essendo grazioso in
devozione,
piano in umilitade, piacevole ne l'ubbidienza, soave
ne la
benignitade,
compaziente in pietade, fermo ne la
pazienzia,
amorevole ne la
caritade e in tutte cose bene
composto di
costumi
maturi, per le profonde virtudi, che
in sé erano, traeva gli altri. Ed essendo
fervente
amatore
de la fede e speziale
coltivatore di quella,
combattitore
molto
ardente, in tale maniera s'era tutto
dato al
servigio di quella, che tutte sue parole e opere
rendevano odore de la vertude di quella. E abbiendo
grande
disiderio di morire per
amore di quella, provato
è che ciò
adimandasse
principalmente da Dio con
attente
e spesse orazioni, pregando
Domenedio che non
lasciasse passare di questa vita ched e' non fosse
abbeverato
del
calice de la passione; né non fue ingannato
dal suo
desiderio.
Molti miracoli fece in sua vita; ché, essendo a
Melano
e
disaminando uno vescovo de li
eretici preso
da'
fedeli, ed essendovi ragunati molti vescovi e religiosi
e grande parte de la
cittade,
ed era già
andato il
die molto innanzi sì per la predicazione e sì per la
disaminazione,
ed era sì grande il
caldo che tutti gli
affligea,
disse allora quello vescovo a san Piero innanzi
a tutta quella gente: "O Pietro
perverso, se tu
se' così
santo, come questo matto popolo
afferma di te, perché
lasci tu morire costoro con questa
arsura e non
prieghi
Iddio che ci ponga in mezzo alcuna nuvola, acciò che
non muoia questo stolto popolo a tanto
caldo?" Al
quale rispuose san Piero martire: "Se tu vuogli
promettere
di rinnegare la
resia tua, e di ricevere la fede
cattolica, io pregherò il Segnore, e sarà quello che tu
hai
detto".
Allora gli
aiutator de' Paterini incominciarono a
dire
al vescovo a grande grida: "
Prometti,
prometti!"
però che
credeano che ciò non si potesse fare. La quale
cosa il
beato Pietro dinanzi a tutti
promisse di fare,
e
massimamente con ciò fosse
cosa che pur una picciolina
neboluzza non si trovasse o vedesse ne l'
aere.
Ma i
cattolici
cominciarono a turbarsi ne l'obbligagione
di santo Pietro, temendo che la fede
cattolica non
avesse
vergogna per questo.
Con ciò dunque fosse
cosa che quello
eretico non si
volesse obbligare, santo Pietro, con grande
fidanza,
disse: "Acciò che 'l vero Iddio si mostri
creatore de
le cose che si veggiono e di quelle che non si veggiono,
e a
consolazione de'
fedeli e a vergogna e a
confusione
de li
eretici,
priego Iddio ch'alcuna nebbia salga suso,
e pongasi in mezzo tra 'l sole e 'l popolo". E, fatto
ch'
ebbe il
segno de la Croce, immantanente fu fatto
che una nuvoletta per una grande ora
difese il popolo,
e a modo d'uno padiglione gli teneva
coperti.
Uno
attratto, che avea nome
Asserbo, stato così
rattratto
cinque
anni, che si
tranava così per terra in
uno staio, sì fu
menato a
Melano a san Pietro. E quando
san Piero l'
ebbe veduto sì 'l segnò, e quelli si levò
ritto incontanente sano.
Alcuni miracoli che 'l Signore fece per lui a sé vivente,
il
detto messere
Innocenzio papa racconta e dice
così ne la
detta Pistola: "Uno figliuolo d'uno gentile
uomo, non potendo né parlare né
sputare per una grossa
e orribile
enfiatura di tutta la
gola, san Pietro levò le
mani al
cielo a
Domenedio, e fece il
segno de la Croce
sopra lui, e lo 'nfermo tolse la
cappa di san Pietro e se la
pose in sul luogo infermo, e immantanente fu sanato.
Il
detto gentile uomo essendo poi ad uno tempo gravato
di
ditorcimento di
corpo,
credendo e temendo per
questo essere a rischio de la
morte, sì si fece
reverentemente
recare la
cappa medesima, la quale s'avea
serbata infino allora, e posta che la s'
ebbe in sul petto,
incontanente gittò per bocca uno vermine che avea
due
capi e spessi peli peloso, e rimase pienamente sanato.
Ancora uno giovane mutolo,
mettendoli san Pietro il
dito suo in bocca, e sciolto il
legame de la lingua, ricevette
il
beneficio de la lingua.
Queste cose e molte altre
degnòe il Segnore da operare
per lui mentre ch'elli visse in questo
mondo.
Ma con ciò fosse
cosa che la
pistilenzia de la
resia
crescesse ne la provincia di Lombardia e
avesse
macolate
già molte
cittadi per
toccamento
pestilenzioso, il
sommo Pontefice a
distruggere la
detta
pestilenzia del
diavolo sì mandòe
diversi inquisitori de l'ordine de'
frati Predicatori in
diverse
contrade di Lombardia.
Ma con ciò fosse
cosa che a
Melano
avesse de li
eretici molti quanto a novero, ma eziandio grandi quanto
a
potenzia secolare,
aguti per
frodolento parlare e pieni
del senno del
diavolo, il sommo Pontefice sapiendo e
intendendo che san Pietro era uomo di grande
animo,
che non avea paura di
moltitudine di nimici, pensando
ancora di colui la sua
costante e
ferma vertude, per
la quale eziandio in
poca cosa non
darebbe luogo a la
potenzia de li
avversarii,
conoscendo ancora il suo parlare,
per lo quale
leggeremente
iscoprirebbe le
fallacie
de li
eretici, sappiendo soprattutto questo, ch'elli era
ammaestrato de la
divina sapienza pienamente, per la
quale ragione
velocemente
confonderebbe le vani
argomentazioni
de li
eretici, sì ordinòe esso sì valentre
campione
de la fede e sì
buono
combattitore di Dio, per
suo inquisitore in
Melano e nel suo
contado,
concedendoli
piena
autoritade e
balìa.
E elli
faccendo bene l'officio a lui
commesso, in
ogne parte
andava
cercando gli
eretici, non
dando loro
riposo veruno, ma
maravigliosamente
confondendoli tutti,
potentemente
scacciandoli,
saviamente
convincendoli, in
tale modo che non potevano
resistere a la sapienza e
a lo Spirito Santo che parlava per lui.
La qual cosa udendo gli
eretici con molto loro
dolore,
sì
cominciarono a trattare
de la morte di lui con loro
credenti e
aiutatori, pensando di
vivere in pace se così
loro
forte perseguitatore fosse levato di mezzo.
Andando dunque il predicatore non pauroso, il quale
tosto
dovea essere martire, da Como a
Melano per fare
inquisizione de li
eretici, in quello
viaggio guadagnòe
la vittoria del martirio, secondamente che
Innocenzio
papa racconta ne la sua Pistola in questo modo: "Con
ciò fosse
cosa che de la
città di Como, là ove elli era
priore de' frati de l'ordine suo i quali
dimoravano in
quella
cittade -
andasse a
Melano per fare inquisizione
contra gli
eretici, come
commessa gli era da messere
l'
apostolico Papa, (sì come esso
palesemente avea
detto
dinanzi, in
piuvica predicazione), uno di quelli
eretici indotto
da loro per
priego e per pecunia, esso, scellerato,
fece
assalto
contr' a lui proseguendo il
cammino di salutevole
proponimento; come lupo contra l'
agnello, come
fiero contra 'l mansueto, come l'
empio contra 'l pietoso,
come
foribondo contra 'l
benigno, come sfrenato contra
'l
modesto, come scomunicato contra 'l santo, fu ardito
di fare
assalimento da operare, di fare sforzamento di
dare la
morte percotendo il santo capo di lui con
crudeli
e
ismaniante
fedite; e inebbriando il
coltello del
sangue del giusto, lui non
cansando dal nemico, ma
dando se medesimo per sacrificio in tutto, e
sostenendo
piacevolemente le percussioni
crudeli del
feditore, sì lo
lasciò morto in quel luogo de la passione, e lo spirito
domandando le cose
supernali, e esso maledetto uomo
dovendo percuotere il servo di Cristo.
Elli non
mormorando con
boce di rammaricamento,
ma sofferendo ogne cose
pazientemente, lo spirito suo
raccomandava al Segnore, così
dicendo: "Ne le mani
tue, Signore mio, raccomando lo spirito mio".
Cominciò
eziandio a
dire il
Credo in Dio, del quale in questo
articolo non
cessòe d'essere
banditore, sì come quello
micidiale, il quale fu preso da li
fedeli, e di quinci
adrieto
frate
Domenico, il quale era suo
compagno e
da quello medesimo micidiale
fedito
sopravvisse
alquanti
dì, raccontarono poscia. Ma con ciò fosse
cosa che il
martire di Dio ancora
palpitasse, il
crudele micidiale
tolse il
coltello e
trafissegliele per le
coste. E in
quello
die del suo martirio,
meritòe in alcuno modo d'essere
confessore, martire, profeta e
dottore.
Confessore
fu in quanto ch'elli
costantissimamente
confessòe la
fede di Cristo eziandio fra ' tormenti, e in quanto in
quello
die elli, fatta la
confessione al modo usato, offerse
a
Domenedio sacrificio di laude. Martire fu in ciò
che per
difensione de la fede sparse il sangue suo. Profeta
fu in quanto che elli abbiendo la
febbre
quartana
e
dicendoli i
compagni che non potrebbe in quel
die
giugnere a
Melano, esso rispuose: "Se noi non potremo
pervenire a
casa de' frati, sì potremmo
albergare
a san
Simpliciano". E così fu. Ché portandosi il santo
corpo di lui, i frati, per la troppa
calca de la gente,
non lo poterono in quello
die recare a
casa, ma
posarollo
a san
Simpliciano, e rimasesi iviritto in quella notte.
Dottore fu in ciò che eziandio quando era martirizzato
insegnòe la vera fede, mentre che con
chiara
boce
cantòe
il
Credo in Dio.
La sua venerabile passione
pare che fosse molto somigliante
a la passione di Cristo. Imperò che
Cristo
fu passionato per la veritade, la quale elli predicava,
e san Pietro martire fu morto per la verità la quale
elli
difendeva; Cristo fu passionato da lo
'nfedele popolo
de' giuderi, san Pietro da la infedele gente de'
Paterini; Cristo fu
crocifisso nel tempo de la
Pasqua,
san Pietro in quello medesimo tempo
sostenne martirio;
Cristo quando era martirizzato
diceva: "Ne le mani
tue, Signore, raccomando lo spirito mio", san Pietro
quando era ucciso quelle medesime parole
dicea; Cristo
per trenta
danari fu tradito, acciò che fosse
crocifisso,
e san Pietro per quaranta libbre di
paviesi fu venduto,
acciò che fosse morto; Cristo per la sua passione
addusse
molta gente a la fede, e san Pietro per la sua
morte
convertìo a la fede molti
eretici.
E
avvegnadio che questo
valoroso
campione de la fede
ne la sua vita
sbarbasse molto la
pestilenziosa
dottrina
de li
eretici, ma dopo la
morte sua, per li suoi
meriti
e
risplendienti miracoli, la
divelse in tal maniera, che
molti ne lasciavano l'
errore loro e rifuggivano al grembo
de la santa madre
Ecclesia; sì che la
città di
Melano
e 'l suo
contado, là
dove avea
cotanti ragunamenti,
fu sì purgata che, tali che ne furono
cacciati e tali che
ritornarono a la fede, neuno v'era ardito in alcuno modo
d'
apparire. Ed eziandio molti di loro grandissimi e
famosi
entrarono ne l'ordine de' frati Predicatori, li quali
infino ad ora vanno perseguitando gli
eretici, e tutt'i
loro
favoreggiatori con maraviglioso
fervore di fede.
E così il nostro Sansone uccise più di
filistei morendo,
che non ne uccise vivendo; e così il
granello del grano
caggente in terra e premuto da le mani de l'infedeli
e
mortito, sì
cresce in piena
spiga; e così il
grappolo
de l'uva, pigiato nel
canale, n'
entra in
abbondanza
di liquore; e così le spezie peste nel mortaio
spandono
il loro odore più pienamente d'intorno; e così il
granello
de la
senape pesto,
dimostra la sua vertude multiplicatamente.
Dopo 'l glorioso trionfo del santo da molti miracoli
l'ha il Segnore
alluminato, de' quali il sommo Pontefice
racconta così
dicendo: "Dopo la
morte sua, le
lampane, che pendevano al suo venerabile sepolcro, più
volte, sanza ogne
studio d'uomo e ministerio, sono
tate
divinamente accese; però che
convenevole cosa
sera molto che colui il quale era stato
eccellentemente
chiarito del lume e del
fuoco de la fede, singulare
miracolo
apparisse di lui di
fuoco e di lume
chiaro".
"Uno mentre che mangiava con altri e
abbominava
la sua
santitade e li miracoli, preso che
ebbe uno
morsello
sotto questo
affermamento che s'elli
fallasse intorno
a questo
detto non lo potesse
inghiottire, sentillo
incontanente sì
accostato a la sua
gola dentro, che
non lo poteva mandare giù, né
pignere fuori. Ed era
in grande turbazione, per la quale cosa tosto pentuto e
cambiato il
colore del volto, sentendosi quasi presso a
la
morte, fatto che
ebbe fra se stesso
boto che mai da
indi innanzi non lascerebbe scorrere la lingua a cotali
cose, mandò per bocca quello
morsello e fu liberato e
sano".
"Una
ritropica, vegnente per
aiuto d'uomo al luogo
de la passione di questo santo, fatta ch'
ebbe l'orazione,
incontanente fue interamente sanata".
"Le
femmine
ingombrate da le
demonia per lungo
tempo esso martire le
scacciò de le
corpora con molto
rigittamento di sangue e
liberolle, le
febbre
cacciò via,
e
curòe le
'nfirmitadi molte e
diverse".
"Ad uno che avea il
dito de la mano manca per
mala
bestemmia
cavato per molti
forami,
maravigliosamente
gliele saldòe e
sanòe".
"Uno garzone per una gravissima
caduta essendo
abbattuto in tale modo che parea che
avesse perduto
il
movimento e 'l
sentimento, ed era pianto per morto,
sì tosto come fu posto in sul suo petto de la terra tocca
dal santo sangue di questo martire, si levò ritto sano
e salvo".
"Anche una
donna che avea ne le sue
carni il
granchio mordente che
continovamente le rodea la
carne,
sì tosto come furono unte le piaghe di questa cotale
terra, sì fue sanata".
"Ancora altri, occupati da
diverse infermitadi, i
quali sono
andati al suo onorevole sepolcro, hanno ricevuto
quindi piena santade e tornati sono a
casa sanza
aiuto d'alcuna persona, che prima v'erano
andati in
su le
carrette e in su altri
sostentamenti".
E con ciò fosse
cosa che 'l sommo Pontefice
Innocenzio
quarto
avesse fatto scrivere il nostro san Pietro
martire a le letanie de' santi, i frati si ragunarono a
capitolo di
Melano, e vogliendo trasportare il
corpo suo
a più
alto luogo, essendo stato più d'uno
anno sotterrato,
fu trovato sì 'ntero e sanza
corruzione e sanza
veruno
fiatore, come se in quello dì medesimo fosse
stato seppellito di prima. Sì che i frati il portarono
con grande reverenza, quello
corpo
benedetto, in su uno
grande pulpito a lato a la piazza, e ivi fu mostrato a
tutto il popolo così sano e intero, e
adorato da tutti
umilmente.
Fuori de' miracoli disopra
detti, i quali sono posti
ne le lettere del sommo Pontefice, ne sono trovati più
altri. Ché sopra luogo de la passione sua hanno veduto
più religiosi e altre persone
discendere visibilemente
luminari
da
cielo,
intra ' quali
luminari hanno
dato testimonianza
d'avere veduti
due frati in
abito di frati
Predicatori.
Uno giovane che avea nome
Giuffredo de la
città di
Como,
avendo del panno de la tonica di messere san
Pietro, uno
eretico, così per
ischernire, gli disse che, sed
e'
credesse che fosse santo, che gittasse il panno nel
fuoco, e se
avvenisse che non
ardesse, sanza
dubbio
sarebbe santo e elli s'
accosterebbe a la sua fede. Allora
gittò quello panno di santo Pietro martire sopra i
carboni
accesi, ma elli ne saltò fuori il panno del
fuoco;
poscia, per se medesimo ritornandosi sopra i
carboni, sì
li spense per tutto così
ardenti. Allora quelli
miscredente
disse: "Così, così si
farà né più né meno il panno
de la tonica mia". Sì che fu posto sopra altri
carboni,
da una parte il panno de lo
eretico, e da un'altra parte
il panno di santo Pietro. E il panno de lo
eretico, sì
tosto come sentìo il
calore del
fuoco, al tutto
arse, ma
il panno di san Pietro
ebbe
valore nel
fuoco, e spenselo
in tale modo che pure uno pelo non si guastò dal
fuoco.
Vedendo ciò l'
eretico tornò a via di veritade e
palesòe
il miracolo a tutta la gente e
convertissi.
A Fiorenza era uno giovane
corrotto di
resia.
Andando costui con altri suoi
compagni giovani ne la
chiesa de' frati Predicatori di quella
città, essendo innanzi
ad una tavola là dov'era
dipinto il martirio di
santo Pietro martiro, veggendo colui
dipinto che
si dava
del mannarese al santo, trasse fuori il
coltello elli e
disse: "Ora vi
fossi io stato, ch'altrimenti
avre' io
percosso più
forte!" E
detta questa parola, immantanente
diventòe
mutolo. E
domandandolo i
compagni
che elli
avesse, e elli non potendo loro rispondere nulla,
sì lo
rimenarono a
casa.
Ma
andando con loro per la
via, vidde una chiesa di san Michele, sì che
uscìe tra
le mani de'
compagni e
entrò ne la chiesa e, inginocchiandosi
iv'entro, con
contrizione di
cuore pregò santo
Pietro martire che gli perdonasse,
obbligando
si per
boto, come potea, che s'elli il liberasse sì
confesserebbe
i
peccati suo', e
rinnegherebbe ogne
resia.
Allora subitamente
riebbe la
favella e, venuto a
casa de' frati
Predicatori,
rinnegòe la
resia, e
confessossi i peccati
suoi, e
diede parola al
confessore che predicasse in
pieno popolo queste cose. E elli medesimo si levò in
pieno e piuvico popolo a la predicazione del
frate, e
dinanzi a tutta la
moltitudine
confessòe questa cotale
opera.
Una
nave essendo nel mezzo del mare in procinto
[ms.: in mero]
di rompersi per
crudele
tempesta, da la quale era
commossa,
essendo tutti
intenebrati de la
scura notte, tutti
quanti i nocchieri
domandavano
aiuto da
diversi santi;
ma non vedendosi neuno
dimostramento di
campare e
temendosi molto di
pericolare, uno di loro, il quale era
natìo di
Genova,
fatti che li
ebbe stare
cheti parlò così
a loro: "O uomini frati, or non
avete voi udito come
uno de l'ordine de' frati Predicatori, che avea nome
frate Pietro, ora
novellamente per
difensione de la fede
cattolica è stato morto da li
eretici, e come Dio mostra
miracoli per lui?
Adomandiamo dunque ora
divotamente
il suo
aiuto, però che io abbo speranza che noi non
saremo ingannati del nostro
domandamento".
Consentono
tutti, e
domandano e
chiamano con
divote
preghiere
san Pietro martire che sia a loro in
aiuto.
E pregando
coloro così, immantanente l'
antenna de
la
nave, là
dove istà appiccata la vela, fu veduta tutta
piena di
cerotti accesi, sì che ogne
scurità andò via
per lo
mirabile
splendore di quelli
ceri, e quella notte
così
buia si mutòe in
die
chiarissimo. E, ragguardando,
videro uno con l'
abito de' frati Predicatori, che stava
sopra la vela, del quale niuno
dubitòe che non fosse
santo Pietro martire; sì che immantanente posòe il
mare e fue grande
bonaccia. Con ciò dunque fosse
cosa
che li
detti nocchieri fossero venuti sani e salvi a
Genova,
vennero a
casa de' frati Predicatori, e rendendo
laude e grazie a Dio e
amassero santo Pietro,
narrarono
il miracolo ad essi frati in che maniera e' fu lo
miracolo.
Una
femmina in
Fiandra abbiendo ne' suoi dì
fatti tre
fanciulli morti, essendo di ciò inodiata dal
marito, pregò santo Pietro martire che le fosse in
aiuto.
E quando venne al partorire il quarto figliuolo,
fu trovato
simigliantemente morto. E togliendolo la madre, tutta si
misse a
pregare santo Pietro martire, e
pregandolo con
disiderosi
prieghi ch'elli le
dovesse fare vivo il figliuolo
suo. Appena avea
compiuta l'orazione, ed
ecco che colui
il quale era morto
apparve vivo. Sì che essendo portato
a
battezzare, era ordinato che
avesse nome Giovanni:
sì che il prete
dovendo
dire il nome suo, non sappiendo
disse Pietro, onde questo nome si ritenne poscia per
la
divozione di san Pietro.
Ne la provincia de la Magna a Tragetto
alcune
femmine, vedendo
correre grande gente a la
chiesa de' frati Predicatori per onore di san Pietro martire,
standosi così ne la piazza e
filando, a
coloro che
v'erano presenti
dicevano: "Ecco, questi frati Predicatori
fanno ogne maniera di guadagnare, ché per potere
ragunare grande
moltitudine di
danari per fare
gran
palagi hanno trovato uno
novello martire".
Mentre ch'elle
dicevano queste parole a altre cotali,
eccoti subitamente il
filo torto insanguinato di sangue,
e le
dita, con ch'elle
torceano, si riempievano di sangue.
Quelle vedendo ciò e
meravigliandosi,
forbonsi le
dita
diligentemente per sapere se v'
avesse veruna
tagliatura;
ma veggendo che
tagliatura veruna non v'era, e
che le
dita erano tutte sane, e 'l
filo tutto sanguinoso,
con grande triemito e con
pentimento,
cominciarono a
dire: "Al vero, perché noi
abbiamo male detto e
abbiamo
abbominato il sangue del prezioso sangue martire,
ci è
addivenuto questa gran maraviglia".
Sì che
correndo a
casa de' frati, raccontarono al
priore tutto quello ch'era fatto, e
appresentaro loro il
filo insanguinato del sangue. E 'l priore a
sollecitamento
di molte persone, ragunòe e una
solenne predicazione
fece, e dinanzi a tutta la gente disse tutto ciò
ch'era intervenuto a le
dette
femmine, e mostròe a
tutti il
filo così insanguinato.
Ma uno maestro in grammatica stando a quella predicazione,
incominciò a schernire molto quelli frati e a
dire: "Vedete ora come questi frati ingannano i
cuori
de
le semplici persone! Ché hanno posto insieme con
alcune
femminelle de le loro
famigliari, che le
intignessono
quello
filo nel sangue d'alcuna
bestia, e così
dicessono
che fosse intervenuto miracolosamente".
Dicendo
lui queste cose, incontanente ricevette la piaga
de la vendetta di Dio; e, come molti il si videro, uno
caldo di
febbre
fortissima li
diede sì addosso che
convenne
che, tra le mani de li
amici, uscisse de la predica
e fosse portato a
casa sua. Ma con ciò fosse
cosa
che la
febbre pure
crescesse e quelli temesse che la
morte non gli fosse presso, fecesi venire il
detto priore
e,
confessando il peccato suo a Dio e al
beato Pietro
martire, dinanzi al
detto priore fece
boto che se per
li suoi
meriti elli ricevesse santade, elli l'
avrebbe
sempre in
ispeziale
divozione, e da indi innanzi non
lascerebbe
iscorrere la lingua a cotali cose. Maravigliosa
cosa fu! Sì tosto come
ebbe fatto il
boto, sì ricevette
santade interamente.
Anche una volta che 'l
soppriore del
detto luogo
facea venire in una
nave alcune
bellissime lapide e
grandi
per la costruzione de la predetta chiesa, la
detta
nave
disaventuratamente s'
accostòe in tale maniera
a una
isola, che per veruno modo non la potevano
muovere. E
discendendo i nocchieri, tutti a un'
otta
la
sospigneano, ma non la potevano per nullo modo
muovere, né
azzicare. Sì che
credendosi avere perduta
la
nave, il
detto
soppriore
diede
commiato a tutti gli
altri e esso solo puose la mano a la
nave, e
sospingnendola
lievemente sì disse: "Nel nome di san Piero
martire, al cui nome e onore noi portiamo queste pietre,
va". Incontanente la
nave si mosse
velocissimamente,
e
scostossi sana e salva da quella
isola; sopra
la quale, salendo i nocchieri tutti sani e
allegri, ritornarono
a
casa loro a salvamento.
Nel reame di Francia, ne la
città di Senno,
essendo
caduta una
fanciulla in una
acqua che
correa
molto tosto, essendovi istata per grande
spazio di tempo,
a la perfine fu tratta morta de l'
acqua. De la quale
morte erano
quattro segnali, cioè: il grande
spazio del
tempo e l'
asprezza del
corpo e la
freddezza e la nerezza.
Fue dunque portata a la chiesa de' frati da alcune persone,
le quali, poi che l'
ebbero
botata a san Pietro martire,
tosto si riebbe la vita e la santade di quella morta.
Frate Giovanni di
Polonia essendo a Bologna con la
febbre
quartana e
dovendo sermonare a'
cherici per la
festa di san Pietro martire, temendo che in quella notte
non li venisse
l'accesso, com'elli
aspettava secondo il
corso naturale, acciò che non venisse meno nel sermone
che gli era ingiunto che
dovesse fare,
convertissi a
domandare
l'
aiuto di santo Pietro martire. E,
andando a
lo
altare suo, con molta
divozione pregò il santo che
per li suoi
meriti il
dovesse
aiutare, la cui gloria esso
dovea predicare. E così intervenne che in quella notte
cessòe la
febbre, e mai poscia non l'oppresse.
Una
donna, che avea nome
Girolda e moglie di
Jacopo da
Vallesana, essendo
imperversita da
dimoni
per
quattordici anni, venne a uno prete e disse
così: "Io sono indemoniata, e lo spirito maligno mi
dà
briga". Incontanente il prete impaurito
fuggìe
dentro a la sagrestia, e tolse un
libro, là dov'era le
congiurazioni
de'
dimoni, e tolse la stola e missesi ogni
cosa sotto la
cappa
celatamente, e con
buona
compagnia
ritornò a la
femmina. E quella, sì tosto com'ella
il vide, sì disse: "Ladro pessimo, or dove
andasti
tu? Che è quello che tu hai portato
nascostamente
sotto la
cappa?" E
faccendo il prete i suoi
scongiuramenti
e non
approdandole nulla, ella se ne venne
a san Piero martire, essendo ancora vivo, e
domandava
d'essere
aiutata da lui.
E quelli le rispuose con
boce di
profezia, e disse
così: "
Confidati,
figliuola, non ti
disperare, però che
s'io non ti
posso fare ora quello che tu
domandi, ma
e' verrà tempo che, quella cosa che tu mi
chiedi, tu
l'
averai pienamente". E così
avvenne. Ché, dopo la
passione di lui, essendo la
detta
femmina
andata al
suo sepolcro, fu al tutto
deliberata da ogne tribulazione
di
demoni ch'ella avea.
Una
femmina, che avea nome
Eufemia, d'uno
luogo che si chiama
Cortelunga del vescovado di
Melano, per
VII anni
fu imperversata da
dimoni; ma
essendo menata al sepolcro di san Pietro martire,
cominciorolla
i
demoni a
dimenare più, e gridavano per la
bocca di colei, udendo tutte le persone, e
diceano:
"
Mariuola,
Mariuola, Petrino, Petrino". All
ora i
demoni uscendo di lei, sì la lasciarono quasi per morta;
ma, poco stante, si levò ritta pienamente guarita. E
diceva che i dì de le
domeniche e le
feste, e
massimamente
quando la
Messa si
diceva, i
demoni le
davano
più
briga.
Una
femmina, che avea nome Nerbona di Borgo,
per
sei
anni
peravversita
[sic] de le
demonia,
essendo menata al sepolcro di san Piero martire, a
grande pena la poteano tenere molti uomini; tra i quali
era uno
credente de' Paterini, il quale avea nome
Currado
da
Ladriano, il quale era venuto là per fare schernie
de' miracoli di santo Pietro. E tenendo costui
questa
femmina insieme con gli altri, le
dimonia sì
cominciarono a
dire per bocca di costei: "Perché ritieni
tu? or non
se' tu nostro? or non ti
portammo noi
in cotale luogo e
facesti là oltre il cotale micidio?
or non ti
menammo noi al cotale luogo e a cotale, e ivi
commettesti cotale e cotale peccato?" E
dicendogli le
dimonia molti peccati, i quali neuno altro sapea ch'egli,
forte ne
sbigottìo.
Incontanente le
demonia
iscorticando il
collo e 'l
petto de la
femmina, e uscendo
quinderitta sì la lasciarono
mezza morta, ma poco stante si levò al tutto
guarita. E 'l
detto
Currado, vedendo queste cose,
maravigliossi
di ciò e sì si
convertìo a la fede
cattolica.
Uno uomo che avea nome
Opizo,
credente de'
Paterini, essendo venuto a la chiesa de' frati per
cagione
d'una
retica sua
parente, e
andando al sepolcro
di santo Pietro martire, sì vi vidde su posto
due
denari;
sì che,
togliendolisi quelli cotali
danari, disse così:
"
Buona cosa è che noi ci
beamo questi". Incontanente
cominciò tutto a tremare, e non si potea muovere
per veruno modo di quello luogo. Il quale ispaventato
ripuose immantanente i
detti
danari ne lo loro
luogo, e così si partìo quindi; ma veggendo la virtù di
san Pietro,
abbandonòe la
resia e
convertissi a la fede
cattolica.
Una monaca era ne la Magna nel
chiostro d'
Oetembach,
de l'ordine di san
Sisto, del vescovado di
Costanzia, la quale avea
patita, uno
anno e più, una
grande gotta nel ginocchio, sì che non vi poteva trovare
rimedio veruno. Costei, per ciò che non poteva vicitare
il sepolcro di santo Pietro martire, come quella ch'era
ad
ubbidenzia ed era
constretta da gravissima infermitade,
pensossi d'andare al sepolcro di santo Pietro,
almeno co' passi de la
mente, e di
vicitarlo per
continova
divozione. E
dicendo che in
XIII dì si potea
andare da quello luogo a
Melano, ogne dì per
ciascuna
giornata, incominciò a
dire
cento
paternostri ad onore
di santo Pietro martire.
Grande maraviglia! ché,
comunque ella
ebbe
cominciato
in questo modo a fare cotali
andamenti di
mente,
sempre a poco a poco incominciò a migliorare del male
suo; e poi ch'
ebbe
compiuta la sezzaia giornata, pervenuta
al sepolcro del santo col
viaggio de la
mente,
puose le ginocchia in terra come s'ella fosse
corporalemente
dinanzi al sepolcro; e tutto il saltero disse con
grandissima
divozione.
Compiuto ch'ella
ebbe di
dire
in tale modo, si sentìe
dilibera, che già non sentiva
punto di male. E ritornando per quello modo ch'ella
era
andata, anzi ch'ella
avesse
compiute le giornate
fu al postutto
diliberata e sana.
Uno uomo di
Canapizio, de la villa di
Mazzato,
il quale avea nome Ruffino, incorse in una grave infermitade:
che li si ruppe la vena disotto e gittava
continuamente
dinanzi sangue, sì che da neuno medico
potea ricevere medicina di rimedio veruno. Sì che, essendo
il sangue scorso per
sei dì e
altrettante
notti
continovamente,
chiamò
divotamente messere santo Pietro
martire che li fosse in
aiuto; e sì fu subitamente
dilibero
che, tra quella orazione che fece e 'l suo
sanamento
ricevuto, non n'
ebbe poco meno veruno tramezzo.
Ed essendosi
addormentato vide uno
frate in
abito
di frati Predicatori, grosso nel volto e
bruno, lo quale
stimava che fosse il
compagno di santo Pietro martire,
sì come
veramente di cotale
forma era stato. Il quale
gli spandea le palme
piene di sangue, e
offerìacele con
un soave unguento, così
dicendo: "Il sangue è ancora
fresco, vieni dunque al
fresco sangue di santo Pietro".
E quegli, isvegliandosi,
ordinò di vicitare il sepolcro
di santo Pietro martire.
Alcune
contesse del Castel Massino, del
distretto
d'
Ipozenza, abbiendo alcuna
divozione e
digiunando la
sua vigilia, erano
andate a la sua chiesa per udire
cantare
il vespro, sì che l'una di loro, per onore di santo
Pietro martire, puose uno
cerotto in su l'
altare di
santo Pietro
apostolo che v'
ardesse.
Quando quelle furono ritornate a l'
albergo loro, il
prete di quindi, mosso d'
avarizia, soffiòe in quello
cerotto
e volselo spegnere, ma il lume ritornòe a mano
a mano e
acceselo un'altra volta. La seconda volta e
la terza lo volse anche spegnere, ma il lume ritornò
come di prima. Onde per isdegno che gliene venne,
entrò
in
coro, e trovò una
candela
accesa innanzi a l'
altare
maggiore, la quale il
cherico v'avea posta per onore
di santo Piero martire, che
digiunava simigliantemente
la sua vigilia. La quale
candela il prete volse spegnere
due volte, ma non potéo. Vedendo ciò il
cherico, adirato
sì disse: "
Diavolo! or non vedete voi aperto
miracolo, che santo Pietro non volle che tu spenghi la
sua
candela?" E così spaventati e stupiditi il prete e
'l
cherico, sì 'l tornò in sul
castello e raccontarono
il miracolo a tutti.
Uno uomo, che avea nome
Robadeo,
abbiendo perduto ogne cosa infino a' panni di
dosso,
trovossi la sera a
casa e andò a letto suo con la lucerna
accesa; e vedendosi avere così
vili panni, e
considerando
ch'elli avea tanto perduto per la troppa
disperazione, incominciò a
chiamare li
demoni e a raccomandarsi
a loro con la sua maladetta bocca.
Incontanente v'
apparve
tre
dimoni, i quali ispensero
la lucerna accesa e
gittarolla per la
sala, poscia presero
lui per lo
collo, e
strignevallo sì
fortemente che
per veruno modo non potea parlare. E,
dimenandolo
molto di qua e di là,
coloro che gli stavano disotto salirono
disopra a lui, e
dicevano: "Che è questo che
tu
fai, o Roba?" E le
dimonia
rispuosano: "
Andate
con la pace vostra, e
entrate ne' letti vostri".
Coloro
credendo che quella
boce fosse del
detto uomo, tornaronsi
nel
palco disotto. Partendosi
coloro,
cominciò
quelli ad essere più
fortemente molto
dimenato da le
demonia.
Coloro disotto sappiendo questo fatto, mandarono per
lo prete, il quale scongiurando queste
dimonia per lo
nome di san Pietro martire, li
due n'uscirono immantanente.
E 'l seguente
die fu
menato al sepolcro di san
Pietro martire; e
andando a costui
frate Guglielmo
Vergellese,
cominciò a riprendere il
dimonio; e colui
mentovò
per nome quello
frate, lo quale non avea giammai
veduto, e
chiamandolo sì li disse: "
Frate Guglielmo,
per te non n'uscirò io giammai, imperò che questi è
nostro, e ha
fatte l'opere nostre". E 'l
frate
domandò
com'elli
avesse nome; e quelli rispuose: "Ho nome
Balcefas". Ma essendo iscongiurato per lo
beato messere
santo Pietro martire, gittò colui immantanente in
terra e
uscinne; e quelli rimase
perfettamente sano e
prese penitenzia salutevole.
Disputando uno Paterino, molto
agro
disputatore
e d'un singulare linguaggio, con san Pietro
martire, abbiendo proposto molto sottilemente in palese
tutti i suoi
errori e
agutamente, e
costrignendo molto
improntamente san Piero martire che
dovesse rispondere
a quelle cose che esso Paterino avea proposte; el santo
domandò termine di potere
diliberare, ed
entrò in uno
oratorio, la quale era presso, e con
lagrime pregò
Domenedio
che li piacesse di
difendere la sua fede, e
quello parladore
enfiato per superbia od elli il
conducesse
a la verità de la fede, od elli il punisse che gli togliesse
la lingua, perché da indi innanzi non
infiasse così per
essa contra la verità de la fede.
E ritornando a l'
eretico, dinanzi a tutti
coloro che
v'erano presenti,
palesemente disse che proponesse
tutte sue
ragioni un'altra volta. Il quale
diventòe sì
al tutto
mutolo, che pure una sola parola per veruno
modo non potea profferire. Onde gli
eretici si partirono
con vergogna, e i
cattolici renderono grazie a Dio.
Predicando lui una volta per la
Domenica d'Ulivo
a
Melano, mentre ch'egli era vivo, essendo grandissima
moltitudine d'uomini e di
femmine a la sua predica,
disse
palesemente ad
alta
boce: "Io so per certo che
gli
eretici trattano la
morte mia, sì che per la
morte
mia ho già fatto
diposito di pecunia; ma
facciano tutto
ciò che possono, ché
maggiormente gli
perseguiterabbo
morto che io non
fo ora essendo vivo". La quale cosa
come fosse vero, manifesta cosa è provata.
A Firenze nel monistero di Ripole una monaca
stando in orazione quello
die che santo Pietro martire
sostenne
morte, vidde la
beata Vergine sedere in su
alta sedia ne la gloria, e
due frati de l'ordine de'
Predicatori salire in
cielo ed essere
allogati lungo a
lato a lei, di qua e di là. E
dimandando ella che ciò
fosse, udì una
boce che disse a lei: "Questi è
frate
Pietro che monta glorioso nel
cospetto di Dio come
fummo di spezie". E fu trovato per certo che quello
medesimo
die
entròe ne la
morte che la
detta monaca
vidde questa visione. Onde
sostenendo ella una grande
e grave infermitade, missesi tutta a
pregare santo Pietro
martire, e ricevette perfetta sanitade.
Tornando uno
scolaio da
Magalona a
Mompolieri
per un salto sì
fortemente gli si ruppe l'
anguinaia,
che troppo grande
dolore ne seguitava, e non potea
andare.
Ricordandosi costui ch'elli avea una volta udito
predicare una
femmina che ponendo de la terra imbagnata
del sangue di santo Pietro martire in su la
rossura nel
granchio ne
divenne libera, disse così: "O Signore
mio, io non abbo di quella terra, ma tu, che
desti
cotanta
virtude a quella terra, sì la puoi
dare simigliantemente
a questa". E togliendo di quella terra di
quiveritto,
col
segno de la santa Croce e col nome di messere
san Pietro, puosene in sul luogo del male suo, e immantanente
fue sanato e guarito.
Ne gli
anni
Domini mille
dugento
cinquantanove,
ne la
città di
Compostella, fue uno uomo che avea nome
Benedetto, il quale avea le gambe
enfiate come fossero
otre, e 'l ventre
enfiato a modo di
femmina pregna,
e la
faccia per la molta
enfiatura era orribile a vedere,
e anche avea
enfiato tutto il
corpo, sì che parea una
maraviglia a vedere. Costui, che appena si potea sostenere
in sul
bastone,
domandando una volta
limosina da
una
donna, quella gli rispuose: "Piuttosto ti sarebbe
bisogno la
fossa che veruno
cibo; ma
attienti al mio
consiglio:
vattene a
casa de' frati Predicatori, e
confessati
de' tuoi peccati, e
chiama l'
aiuto di santo Pietro
Martire".
Costui si levò la mattina bene per tempo, e vennesene
a
casa de' frati e, trovando la porta de la chiesa
sersata,
puosesi lungo la porta, e
addormentossi. Ed eccoti
venire uno, che pareva di grande reverenza, in
abito de'
frati Predicatori
apparve a lui e,
coprendolo con la
cappa,
sì lo menò dentro a la Chiesa. Quando colui fue
isvegliato
trovossi dentro ne la chiesa e
perfettamente guerito.
La quale cosa fece maravigliare e
sbigottirne molte
persone, veggendo uno uomo ch'era poco meno che
morto, essere così subitamente liberato, e dentro a la
chiesa.
cap. 62, S. Filippo
Filippo
apostolo abbiendo predicato
XX anni per
Iscizia,
fu preso da' pagani; e costretto era da loro a sacrificare
a la statua di Marte. Allora subitamente uscìo disotto
la
base uno grande
dragone, lo quale uccise il figliuolo
del pontefice che
apparecchiava il
fuoco al sacrificio;
e anche uccise
due tribuni, i servi de' quali tenevano
preso e inferriato san
Filippo; e anche
avvelenòe
gli altri, con la puzza del
fiato suo, che tutti ne infermavano.
Disse santo
Filippo: "
Credete a me e
spezzate questa
statua e, in luogo di quella,
adorate la Croce del Signore,
acciò che gl'infermi vostri siano sanati e li
morti vostri
sucitati". E
coloro ch'erano tormentati,
sì gridavano e sì
dicevano: "Fa pur che noi siamo
sanati, e
spezzeremo incontanente questo idolo". Allora
san
Filippo
comanda al
dragone che scendesse nel luogo
disotto, sì che non ne
occidesse al postutto persona. E
elli si partì incontanente, e giammai più non
comparìo.
Allora san
Filippo gli sanò tutti, e
impetròe a quelli
tre morti il
beneficio de la vita.
E così predicò per uno
anno a tutti
coloro che
credevano,
e di loro
ordinò preti e
diaconi, e
vennese in
Asia ne la
cittade di
Jerapoli, e quivi spense l'
eresie
de' Paterini e de' pagani, che si
chiamano
Ebroniti, i
quali
ammaestravano che Cristo avea preso
carne
fantastica.
Ed
eranvi
due santissime vergini sue
figliuole
per le quali il Signore ne
convertìo molti a la vera fede.
E san
Filippo, anzi a
sette dì de la sua
morte,
chiamò
a sé tutt'i vescovi e tutti i preti e sì disse loro: "Questi
sette dì m'ha
conceduti il Signore per lo vostro
ammonimento".
Egli avea da
LXXXVII anni. Poscia vennero
gl'infedeli e, preso che l'
ebbero, sì 'l
conficcarono
in su la
croce a modo del maestro suo, lo quale predicava;
e così se n'andò a
Domenedio e
compiette
beatamente
la sua vita. E
appresso di lui furono seppellite
due sue
figliuole, l'una dal lato ritto e l'altra
dal manco.
Di questo san
Filippo dice così santo
Isidoro, nel
libro
De la Vita e del
Nascimento e de le
Morte de' Santi:
"
Filippo
Gallo a li
Franceschi predica Cristo, e menòe
al porto de la fede li
barbari, e
coloro ch'erano
congiunti
al mare oceano, al lume de la vera scienzia".
Questo dice santo
Isidoro.
Ma
Filippo, che fu l'uno di
sette
diacono, dice san
Geronimo nel
Martirologio, che questo cotale, glorioso
di segni e di miracoli, morìo in pace in una
città che
si
chiama Cesarea,
VIII dì
entrante luglio, e a lato a lui
furono
sotterrate tre sue
figliuole, e la quarta
figliuola
sì riposa il
corpo suo in
Efeso.
Sì che il primo
Filippo ha
differenza da questo, che
quegli fu
apostolo, e questi fu
diacono; quegli si riposa
in
Jerapoli, e questi in Cesarea; quegli
ebbe
due
figliuole
profetesse, questi n'
ebbe
quattro,
avvegnadio
che la Storia
Ecclesiastica
pare che
dica, che fue
Filippo
apostolo quelli ch'
ebbe
quattro
figliuole
profetesse,
ma in questo è da
credere più a san
Geronimo.
cap. 63, S. Jacopo minoreJacopo: questo
apostolo è
chiamato Jacopo d'Alfeo,
cioè figliuolo d'Alfeo; è
chiamato Jacopo
fratello del
Signore e Jacopo minore e Jacopo giusto. Jacopo d'Alfeo
è
detto, non solamente secondo la
carne, ma eziandio
secondo la interpretazione del nome. Alfeo è interpretato:
ammaestrato, ovvero
ammaestramento, ovvero
fuggitìo,
ovvero
cavaliere. È
detto Jacopo d'Alfeo, perché
fu ammaestrato per scienza che gli fu
espirata; è
detto
ammaestramento, perché
ammaestrò gli altri; è
detto
fuggitìo dal
mondo per lo
spregio; è
detto
cavaliere uno
perché si
riputòe umile.
Fratello del Signore è
detto, però che si dice ched
elli sì li fue molto simigliante, intanto che molti
credeano,
ed erano ne la sua
fattezza ingannati. Onde quando
gli giuderi
andavano a prendere Cristo, acciò che li giuderi
per
errore non prendessono san Jacopo in luogo di
Cristo, ricevettero da Giuda il
segnale del
bascio; imperò
che Giuda, come
famigliare di loro,
discernea troppo bene
Cristo da san Jacopo. E di ciò
dà testimonianza santo
Ignazio ne la Pistola la quale e' manda a santo Giovanni
Evangelista, ove dice così: "Sed elli m'è lecito,
io voglio venire a te in Gerusalem, per vedere quello
venerabile Jacopo il quale ha soprannome Giusto; il
quale raccontano che fu molto simigliante a Cristo
Jesù
nel volto e ne la vita e nel modo di
conservare e
conversare,
come fosse nato
binato d'uno medesimo
corpo
fratello
carnale. Che
dicono, che s'io vedrò lui, sì vedrò
esso
Jesù, secondo tutte le regole del suo
corpo".
Ovvero ch'è
detto Jacopo
fratello del Signore, imperò
che secondamente che Cristo e san Jacopo
discesero da
due
serocchie, così si
credea che
fossoro
discesi da
due
fratelli, cioè da
Gioseppo e da
Cleofa.
E non è elli
detto
fratello del Signore perché fosse
figliuolo di
Giuseppo, sposo di santa Maria, d'un'altra
moglie, come altri vogliono
dire; ma che
credea
figliolo
di Maria,
figliuola di
Cleofa, il quale
Cleofa fu
fratello
di quello
Gioseppo,
avvegnadio che 'l maestro Giovanni
Beleth
dica che Alfeo, padre del
detto Jacopo, fosse
fratello
di
Gioseppo, sposo di santa Maria. E ciò non si
crede
che sia vero. Sì che gli giuderi
chiamano
fratelli
coloro
che s'
appartenevano da l'uno lato e da l'altro del
parentado; ovvero ch'è
detto
fratello del Signore per
la prerogativa e per la
eccellenzia di
santitade, per la
quale sopra tutti gli altri
apostoli fu ordinato vescovo di
Gerusalem.
È
detto ancora Jacopo minore a
differenza di Jacopo
Zebedei; avvegna che Jacopo minore nascesse
prima di lui, ma pure fu
chiamato da Cristo
dipoi; onde
ancora s'osserva questa usanza in molte
contrade che
colui che prima
entra, maggiore è
chiamato, e colui
che
entra poscia è
chiamato minore, avvegna che sia
primaio, e per
etade che sia maggiore, o per
santitade
che sia più santo.
È
detto ancora Jacopo Giusto per lo
merito de l'
eccellentissima
santitade; ché, come
dice san
Gironimo, di
tanta reverenzia e
santitade fue nel popolo, che tutti
disideravamo di toccare l'
orlo del suo vestimento, e di
ciò ne
combattìeno insieme. Onde de la sua
santitade
scrive così
Egesippo, vicino de li
apostoli, sì come si
legge ne le Storie
Ecclesiastiche, e dice così: "Ricevette
il governamento de la Chiesa il
fratello del Signore
Jacopo, lo quale è
sopracchiamato Giusto, e così
duròe
da quelli temporali del Signore infino a noi. Questi fue
santo d'infino ch'elli
uscìe del ventre de la madre, vino
e
cervigia non
bevve,
carne non mangiò mai,
ferro non
gli montò mai in capo, d'olio non s'unse,
bagni non
usòe, di vestimento di lino non si vestìo. Tante volte avea
poste le ginocchia in terra ne l'orazione, che pareva
che n'
avesse così
calli ne le ginocchia come ne le
calcagna.
Per questa incessabile e somma giustizia fu
appellato
giusto e
abba, che è interpretato
armamento del
popolo e giustizia. Costui solo fra gli
apostoli, per la
molta
santitade di lui, era lasciato
entrare in
casa santa
santorum".
Queste cose disse
Egesippo.
Dicesi ancora che fue il primo de li
apostoli che
Messa
cantasse; ché, per l'
eccellenzia de la sua
santitade
questo onore gli
fecero gli
apostoli che, dopo
l'
ascensione del Signore, fue lo primo tra loro che
dicesse
Messa in Gerusalem, eziandio innanzi che fosse
ordinato vescovo; con ciò sia cosa che innanzi che fosse
ordinato si
legga ne gli Atti de li Apostoli che li
discepoli
erano
perseveranti ne la
dottrina de li
apostoli
e ne la
comunicazione del rompimento del pane, la quale
cosa s'intende del
cantare la
Messa; ovvero però si
dice che fosse il primo che
cantò la
Messa, imperò che
si dice che prima disse la
Messa in
ornamento vescovile,
sì come san Piero poi la disse prima in Antiochia,
e san Marco in Alessandria.
Questi stette in perpetuale
virginitade sì come testimonia
san
Geronimo nel
libro contra Joviniano.
Il venerdì santo, morto il Signore, sì come
narra
Josefo e san
Geronimo ne' libri de' Gentili Uomini,
questo sa' Jacopo fece
boto di non
manicare infino a
tanto che vedesse il Signore essere risucitato da
morte.
E il
die di
risurresso, non
avendo ancora infino a quello
die sa' Jacopo
assaggiato nulla, il Signore sì li
apparve
e disse a
coloro ch'erano con lui: "Ponete la mensa
e 'l pane". Poscia tolse el pane e
diedelo a sa' Jacopo
giusto, così
dicendo: "Leva su,
fratello mio Jacopo,
mangia, imperò che 'l figliuolo de la Vergine è risucitato
da
morte".
Sì che nel settimo
anno del suo vescovado, essendo
raunati gli
apostoli in Gerusalem,
domandavagli san
Jacopo com'
avessero fatto, ed ellino raccontavano innanzi
a tutto il popolo quante cose il Signore avea
fatte
per loro. Con ciò dunque che sa' Jacopo
avesse predicato
sette dì nel tempio, con gli altri
apostoli, dinanzi
a
Caifasso e ad alcuni de' Giudei, ed essendo già presso
a volere essere
battezzati, subitamente
entrando
uno
nel tempio,
cominciò a gridare e disse: "O uomini
d'Israel, or che
fate voi? perché vi lasciaste ingannare
da questi magi?" E intanto
commosse tutto il popolo
ched e'
volevano lapidare gli
apostoli. Sì che quello uomo
salìo in sul grado ove sa' Jacopo predicava e
fecelo
traboccare di suso, dov'era, in terra; e d'allora
innanzi
zoppicò molto.
In questo settimo
anno dopo l'
ascensione di Cristo,
fu
dato questo martirio a sa' Jacopo. Ma nel trentesimo
anno del suo vescovado veggendo gli giuderi che non
poteano uccidere
Paolo, imperciò ch'elli avea
appellato
a lo 'mperadore, ed era mandato a Roma, la
crudelezza
de la sua persecuzione si
convertiero in sa' Jacopo,
cercando
di
cagione contra lui. E sì come il
detto
Egisippo,
il quale fu nel tempo de gli
apostoli, racconta, sì come
si truova scritto ne le Storie
Ecclesiastiche, li giuderi
sì si ragunarono a lui e
dissero: "Noi ti preghiamo
che tu rechi il popolo a la vera
credenza; ched elli
erra
malamente in Gesù, pensando che sia Cristo. Sì che noi
ti preghiamo che tu
dica a tutti quelli che si ragunano
il dì de la
Pasqua, quello che ti
pare di Gesù; e noi ti
ubbideremo tutti, e noi porteremo testimonianza, altressì
il popolo come noi, di te come tu
se' giusto; e non ti
cale più d'uno che d'un altro".
E così il puosero in su la sommità del tempio e a
grande
boce gridarono e
dissero: "O molto più giusto
di tutti gli altri uomini, la quale noi
dovemo ubbidire,
imperò che 'l popolo
erra dopo
Jesù, il quale è
crocifisso,
annunziaci quello che a te ne
pare".
Allora sa' Jacopo con grande
boce rispuose: "Di che
mi
domandate voi del figliuolo de la Vergine,
ecco che siede
a la
diritta parte di Dio in
cielo, dal
diritto lato de la
sovrana virtude, e
dee venire a giudicare li
vivi e morti".
Udendo ciò li
cristiani
rallegraronsi molto e volontieri
l'udirono; ma i
farisei e li scribi
dissero: "Male
abbiamo fatto di
dare tale testimonio di
Jesù; ma montiamo
suso e
facciamolo traboccare giù, acciò che gli
altri se ne spaventino e non gli
ardiscano di
credere".
E gridarono insieme a grande
boce, così
dicendo: "Oh!
oh! il giusto hae
errato!"
E così salirono suso e
traboccarollo in terra. E quando
l'
ebbero traboccato, sì 'l
copriano di pietre e
dicevano:
"Lapidiamo Jacopo giusto". Il quale così
abbattuto
non solamente non potette morire, ma rivolsesi e stava
ginocchione così
dicendo: "
Priegoti, messere, che tu
perdoni loro che non sanno che si fare".
Allora uno de' preti de'
figliuoli di
Rahab gridòe: "Io
vi
priego che voi gli perdoniate; or che
fate voi? Per
voi
adoro questo giusto, lo quale voi
allapidate".
Allora uno di loro tolse una grande pietra, ovvero
pertica,
e
diedegli uno grande
colpo in sul capo, sì che il
cervello gli uscì del capo. Insino a qui dice
Egisippo. E
per cotale martirio n'
andòe al Signore e fu
sotterrato
quiviritto, presso al tempio. E volendo il popolo
vendicare la sua
morte e prendere i malfattori e
punirli,
sì si fuggirono.
Racconta
Giuseppo che per lo peccato di santo
Jacopo giusto
avvenne la
distruzione di Gerusalem e 'l
dispargimento di giuderi. Ma non solamente per la
morte
di sa' Jacopo, ma per la
morte di Cristo spezialmente,
avvenne questa
distruzione, secondo che
dice il Signore
nel Vangelio: "Non lasceranno in te pietra sopra
pietra, però che non
conoscesti il tempo
della tua
visitazione".
Ma per ciò che
Domenedio non vuole la
morte del
peccatore e perché non
avessero quindi
scusa,
XL anni
gli
aspettò a penitenzia, e per li
apostoli,
massimamente
per sa' Jacopo,
fratello del Signore, predicante a loro, li
richiamava a penitenzia. Ma non
potendogli richiamare
per
ammunizioni, vollegli
almeno spaventare per segnali
da
cielo; però che in questi
XL anni che furono
dati loro a penitenzia,
avvennero molte maraviglie e
segni, come
narra
Gioseppo, che
dice che:
"Una
stella rilucente per tutto, simigliante a spada,
parve che stesse sopra la
cittade e per tutto l'
anno
ardea con
mortalissime
fiamme. In una
festa di pani
azzimi, entro l'ora nona de la notte, tanto
splendore
attorneiò l'
altare e 'l tempio che tutti pensarono che
si facesse
chiarito
die. Ne la
detta
festa una vitella,
ch'era menata a sacrificare fra le mani de li ministri,
subitamente
parturìo una
agnella. E dopo
alquanti dì,
tramontato ch'era il sole, furono veduti
carri
e quadrighe
per l'
aere per ogne
contrada, e schiere d'
armati
mischiarsi ne le nuvole, e
cittadi
attorneate da schiere
non provvedute. In un'altra
festa, che si chiama Pentecoste,
li sacerdoti,
entrati la notte nel tempio a
compiere
i loro mestieri, com'era usanza,
sentirono alcuni
stropicci e movimenti, e udirono
voci
subitane che
dicevano:
"Passiamo oltre e leviamoci da queste sedie".
Ancora il quarto
anno innanzi la
battaglia, uno uomo
che avea nome
Jesù, figliuolo d'Anania, ne la
festa de
le
tende,
ripentemente
cominciò a gridare, e
dicea:
"
Boce da levante e
boce da ponente,
boce da
quattro
venti,
boce sopra Gerusalem e sopra il tempio,
boce
sopra li sposi e le
spose,
boce sopra tutto il popolo".
Sì che il
detto uomo fu preso e
battuto, ma non potendo
dire altro, quanto più era
battuto, tanto gridava
più
forte quelle medesime parole. Sì che il menarono
al giudice, ed elli l'
afflissero di
crudeli tormenti,
isquarciaronli
le
carni intanto che l'ossa si vedevano. Ma
elli non mandava fuori lagrima né
preghiera, ma con
uno cotale
urlato per tutto proffereva quasi quelle medesime
parole,
aggiugnendovi ancora queste: "Guai,
guai a Gerusalem!" Così
dice
Gioseffo.
Ma non
convertendosi li giuderi per
ammonizioni, né
spaventandosi per tante maraviglie e così grandi, dopo
il quarantesimo
anno fece
Domenedio venire a Gerusalem
Vespasiano e
Tito, che la
disfeciono infino al
fondamento.
E questa fu la
cagione del loro venire in
Gerusalem, come si truova scritto in una storia, avvegna
che non sia bene
approvata.
Veggendo Pilato com'elli avea
condannato
Jesù sanza
colpa, temendosi d'avere offeso
Tiberio imperadore, per
sua
scusa mandò uno messo, che avea nome Albino,
a lo 'mperadore. In quello tempo
Vespasiano tenea la
signoria in Galazia da
Tiberio imperadore; sì che il
messo di Pilato fu
cacciato da venti
contrarii insino in
Galazia, e fu
menato dinanzi a
Vespasiano. Or v'era
cotale usanza, che
chiunque rompesse in mare fosse
sottomesso al prencipe de la
contrada per avere e per
servitudine.
E
Vespasiano il
domandò chi e' fosse o donde venisse
o dove n'
andasse. Il messo rispuose: "Io sono
di Gerusalem, e sono venuto di quelle parti, e
andavane
infino a Roma". Disse
Vespasiano: "Di terra di
savi vieni,
dei sapere d'
arte di medicina;
se' medico:
de'mi guarire". Però che
Vespasiano avea da
fanciullezza
una generazione di vermini
innestata ne le nari,
onde da vespe era
detto
Vespasiano. E quello uomo
disse: "Messere, io non m'intendo d'
arte di medicina,
e però non ti
posso guarire". Rispuose
Vespasiano:
"Se tu non mi
guarirai, tu morrai di
morte". E
quelli disse: "Colui che
alluminòe e'
ciechi, e
cacciò
i
demoni, e
sucitòe e' morti, quelli sa che io non so
d'
arte di medicare". Disse
Vespasiano: "Chi è questi
del quale tu
di' così grandi
fatti?" E l'uomo disse:
"
Jesù
Nazzareno lo quale i giuderi per invidia uccisono,
nel quale se tu
crederrai, sì potrai avere grazia d'essere
sano". Disse
Vespasiano: "Io
credo che colui il quale
sucitòe li morti, sì mi potrà anche liberare da questa
infermità". E
dicendo lui queste cose, le vespe gli
uscirono del naso e incontanente riebbe santade.
Allora
Vespasiano ripieno di grande
allegrezza, sì
disse: "Io sono certo che figliuolo di Dio fue, il quale
m'ha potuto guarire, sì ch'io
domanderò parola a lo
imperadore, e
anderonne in Gerusalem con grande oste,
e tutt'i traditori e
ucciditori di costui metterò per terra
insino al
fondamento". E disse ad
Albini messo di
Pilato: "Con mia parola
torna a
casa tua sano ed
allegro d'avere e di persona".
Venne dunque
Vespasiano a Roma ed
impetròe la
licenzia da
Tiberio imperadore di
distruggere la Giudea
e Gerusalem. Sì che per molti
anni ragunò l'oste
grande, cioè al tempo di
Nerone imperadore, quando i
giudei s'erano rubellati a lo 'mperio di Roma. Onde
(secondo che
dicono le
Croniche) non fece ciò per
amore
di Cristo, ma perché s'erano scostati da la signoria
de' Romani.
Venne dunque
Vespasiano a Gerusalem con grande
oste e nel
die de la
Pasqua
assediò Gerusalem intorno
intorno con grande
potenzia, e
rinchiusevi entro innumerabile
moltitudine di gente ch'era venuta a la
festa.
Per alcuno tempo, innanzi che
Vespasiano venisse a Gerusalem,
i
cristiani che v'erano dentro ricevettoro
ammonizione
da lo Spirito Santo che si partissono quindi e
cansarsi in uno
castello di là dal
fiume Giordano che
si chiama
Pella, acciò che,
rimossi de la
città i santi
uomini, fosse luogo da fare vendetta sì de la
città maladetta
come del popolo scellerato.
E vennesene, primieramente che tutte, ad una
città
di Giudea, ch'avea nome
Jonapatam, ne la quale era
Gioseffo prencipe e
duca; ma
Gioseffo
contrastava
francamente co' suoi.
A la perfine, veggendo
Gioseffo che la
città non si
potea più tenere, tolse seco
XI giuderi ed
entrò in una
casa sotterra, là ove, essendo
afflitti di
fame per
quattro
dì
i Giudei, contra la volontà di Giuseppo,
volevano
anzi morire iveritto che sottomettersi a la
servitudine
di
Vespasiano; e volendosi anzi uccidere insieme e'
offerero
il sangue loro a
Domenedio per sacrificio. E
perché
Gioseffo tra loro era più nobile, sì lo
volevano
prima uccidere, ché per lo spargimento del suo sangue
Domenedio fosse più tosto
rappagato, ovvero (come si
dice ne la
Cronica) però si
volevano uccidere insieme,
per non essere
dati ne le mani de' romani.
Ma
Gioseffo, uomo savio e non vogliente morire, sì
si misse giudice del sacrificio e de la
morte, e fece
mettere le sorti quale
dovesse prima uccidere l'uno
l'altro tra
due e
due. Sì che messe le sorti, la sorte
dava a morire ora l'uno ora l'altro, tanto che vennero
a l'ultimo col quale
doveva mettere le sorti a
Gioseffo.
Allora
Gioseffo, uomo valentre e leggiero, sì li tolse
di mano il
coltello, e
dimandollo quale elli
eleggeva anzi,
o la vita o la
morte, e
comandandoli che sanza indugio
eleggesse. E quegli, temendo, rispuose: "Io
non
ricuso di
vivere se per tua
bontade
posso
conservare
la vita". Allora
Gioseffo parlò
celatamente ad
uno
famigliare di
Vespasiano e anche suo
conto, e
domandò che li fosse
donata la vita; e quello ch'elli
domandò sì
ebbe. Ed essendo
menato
Gioseffo dinanzi
a
Vespasiano,
Vespasiano gli disse: "La
morte
avevi
meritato se con queste
domandagioni tu non
fossi stato
diliberato". Rispuose
Gioseffo: "Se male è stato fatto
per
adrieto, sì si puote
amendare". Disse
Vespasiano:
"Che potrà fare quegli ch'è vinto?". Rispuose
Gioseffo:
"Alcuna cosa potre' fare, se tu inchinerai
l'orecchie tue a le mie parole". Disse
Vespasiano:
"Siati
conceduto di parlare, e ciò bene che tu
dei
dire,
sia udito
pacificamente". Rispuose
Gioseffo: "Lo
imperadore di Roma è morto, e' sanatori t'hanno fatto
imperadore". Disse
Vespasiano: "Se tu
se' profeta,
perché non hai tu
indovinato a questa
cittade ch'ella
dovea essere sottomessa a la mia signoria?". Disse
Gioseffo: "Quaranta dì dinanzi il
dissi loro"
Infrattanto
vegnono i legati de' romani, ch'
affermano come
Vespasiano è
aggrandito a lo 'mperio, e sì ne
menano
a Roma. E ciò
dice
Eusebio ne la sua
Cronica, cioè che
Gioseffo predisse a
Vespasiano sì de la
morte de lo
imperadore, come de lo
esaltamento suo.
Sì che
Vespasiano lasciò
Tito, suo figliuolo, a l'
assedio
di Gerusalem; ma
Tito, come si legge in una cotale
scrittura non
approvata, cioè quella medesima, udendo
che 'l padre era fatto imperadore, tanta
allegrezza e
sì grande letizia
empié lui, che, per
diventare
attratte
le
nerbora e per
frigidezza, si guastò la persona; e da
l'altra parte,
infrailita la gamba, li venne la
parlasia.
E udendo
Gioseffo che
Tito era infermato,
cerca
diligentemente
la
cagione de la infermitade e che infermitade
era. E 'l tempo quanto il prese e la
cagione
non si sa, e la infermitade non si sa, ma del tempo
trovò che ciò gl'intervenne poi che ebbe udito de la
elezione de lo 'mperadore. Ma
Gioseffo, uomo prudente
e savio, intese in poco
assai, e per lo tempo
comprese
la infermitade e la
cagione, sappiendo che per la larghezza
e per la letizia soprabbondante era indebolito. E
pensando che le cose
contrarie si sanano con le
contrarie,
sappiendo ancora che quello che si
domanda con
amore
spesso si perde con
dolore,
cominciò a
spiare se nessuno
fosse tenuto
colpevole di
nimistà di questo grande
principe.
E
avevasi uno servo che era tanto a noia a
Tito, che
per neuno modo il potea vedere che
fortemente non
si turbasse neanche udire il suo nome; sì che disse a
Tito: "Se tu vuogli essere sano, fa salvi tutti
coloro
che vennero in mia
compagnia". Disse a lui
Tito:
"
Chiunque verrà in tua
compagnia sia
avuto salvo e
sicuro". Allora
Gioseffo
comandò che fosse fatto un
desinare, e ordinòe la sua tavola a
dirimpetto a quella
di
Tito, e fecesi sedere a lato qui quello servo.
Veggendolo
Tito fu
conturbato per la noia e
addolorò e, sì
come di prima era
infreddato per la letizia, riscaldossi
in tal modo per l'
accendimento de l'
ira, che
distese
le
nerbora e fue guerito. Dopo questo ricevette
Tito il
servo in sua grazia, e
Gioseffo in sua
amistade.
Assediata dunque Gerusalem per
due
anni da
Tito,
infra gli altri mali che
strigneva
gravemente gli
assediati
tanta
fame venne a tutti, che i padri a'
figliuoli,
e '
figliuoli a' padri, li mariti a le
mogli, e le
mogli a'
mariti
rappavono e rubavano i
cibi non solamente di
mano, ma di fra '
denti. Ancora li giovani più
forti de
la persona
andavano per le vie come idoli, e
cadevano
morti di
fame; quegli che sotterravano i morti,
spesse volte, sopra i
detti morti
cadevano morti. E non
potendo sofferire il
puzzo de'
corpi morti, sì gli sotterravano
a le spese
comuni; ma vegnendo meno la spesa,
e vincendo la
moltitudine de'
corpi morti, sì si gittavano
i
corpi da terra de le
mura.
E
attorneando
Tito la
cittade, veggendo le valli
piene
di
corpi morti, e tutto il paese
corrotto del loro
puzzo,
levòe le mani suso a
cielo, con
lagrime
dicendo: "O
Iddio, tu vedi bene ch'io non
fo queste cose". Ancora
v'
aveva tanta
fame, che i
calzari e le
corregge loro
mangiavano.
Sopra tutto questo sì v'era una
donna nobile di sangue
e di ricchezze,
che, come si legge ne le Storie
Ecclesiastiche,
essendole
entrati rubatori in
casa e spogliatala
d'ogni cosa, non
essendole rimaso nulla in
casa che
mangiare, prese uno suo figliuolo che ancora
poppava e,
tenendolo ne le mani, disse: "
Disavventurato figliuolo
de la
disavventurata madre, in
battaglia, in
fame, in ruberia,
a cui ti serberò io? Vieni dunque testeso, o mio figliuolo,
sie
cibo a la madre, e
sie
furore a rubatori,
pare
favole al
mondo". E,
dette queste cose,
segò la
gola al figliuolo
e
cosselo, e 'l mezzo si mangiò e l'altro nascose.
Ed eccoti incontanente rubatori che sentivano l'odore
de la
carne
cotta,
iscorrono ne la
casa e
minaccionla
de la
morte sed ella non mostra la
carne. Allora
quella, scoprendo le
membra del
fanciullo, sì disse:
"
Ecco che v'abbo riserbato la maggiore parte".
Coloro
furono sì sbigottiti e spaventati d'orrore, che non
poteano parlare. E quella disse: "Egli è il mio figliuolo,
e mio è il peccato;
mangiate
sicuramente, però ch'io
n'abbo prima di costui
mangiato, lo quale io ingenerai;
non
diventate più onesti che la madre, o più
molli che
le
femmine, e se la pietà vi vince e
avetene orrore,
io il mangerò tutto, lo quale abbo già
mangiato mezzo".
Coloro si partirono tementi e spaventati.
A la perfine, nel secondo
anno de lo 'mperio di
Vespasiano,
Tito prese Gerusalem; e, presa che l'ebbe,
misse per terra ogne cosa e
disfece il tempio infino a
fondamento, e come gli giudei aveano
comperato da
Giuda Cristo
XXX danari, così elli vendeo li giudei
XXX
per uno
danaio. E sì come
narra
Gioseffo
LXXXXVII
migliaia furono quelli che furono venduti e
XI volte
centinaia di migliaia ne perirono di
fame e di
coltello.
E
leggesi che
Tito,
entrando in Gerusalem, vidde
uno
muro molto spesso e
fecelo
forare e, fatto il
foro,
sì vi trovarono uno
bello
massaio,
appariscente e
canuto,
e
dimandato chi e' fosse, rispuose ch'era
Gioseppo
da
Arimatea,
città di Giudea; e disse che i giudei
l'
avevano
rinchiuso là entro, e murato, perché elli avea
soppellito Cristo; ancora disse che da quello tempo,
infino allora, era pasciuto di
celestiale
cibo, e
confortato
del lume
divino.
Ma nel Vangelio di
Niccodemo è scritto che
abbiendolo
rinchiuso i giuderi, Cristo risucitando da
morte,
sì lo ne trasse e
rimenollo in
Arimatia. Puotesi
dire, con
ciò sia cosa che 'l
detto
Gioseffo non rimanesse di
predicare Cristo,
che fu rinchiuso un'altra volta da'
giuderi.
Morto
Vespasiano imperadore,
Tito suo figliuolo gli
succedette ne lo 'mperio. Il quale fu uomo pietosissimo
e di molta
cortesia, e fu di tanta
bontade, come
dice
Eusebio di Cesarea ne la
Cronica, e
affermalo san
Geronimo,
che essendosi costui ricordato una sera ovvero
che non
aveva fatto neente di bene, ovvero che non
avea
donato nulla, disse: "O
amici miei, questo dì
abbo perduto".
E dopo lungi temporali, volendo alcuni giudei rifare
Gerusalem, uscendo fuori la prima mattina, trovarono
molte
croci di rugiada, e eglino spaventati si
fuggirono.
E ritornando la seconda mattina, sì come
dice
Mileto ne la sua
Cronica,
catuno sì si trovò
fatte
croci
sanguigne a le vestimenta. Ed eglino ispaventati
fortemente,
sì si missero a
fuggire un'altra volta. Ma la
terza volta ritornati, furono morti dal
fummo del
fuoco
che usciva di terra.
cap. 64, Invenzione CroceLa invenzione, cioè il trovamento de la santa Croce,
è
detta perché in cotale
die si dice che fu trovata.
Che prima innanzi fu trovata da
Seth,
figlio d'Adamo,
nel Paradiso terrestro, sì come si
narra più giù ne la
Storia; anche fu trovata da Salamone nel Libano, anche
da la reina Saba nel tempio di Salamone, anche da li
giuderi ne l'
acqua de la pescina; ma oggi è trovata
da santa
Elena nel monte
Calvari.
La invenzione de la Croce santa si fue il
dugentesimo
anno de la resurressione di Cristo; ché si legge nel Vangelio
di
Niccodemo che, essendo Adamo infermo,
Set, suo
figliuolo, se n'andò infino a le porte del Paradiso terrestro
domandando l'olio de la misericordia col quale
ugnesse il
corpo del padre, e ricevesse santade. Al
quale
apparendo san Michele
angelo, sì li disse:
"Non ti
affaticare, e non piangere per avere l'olio
del legno de la misericordia, imperò che in veruno
modo non lo potrai avere se non quando saranno
compiuti
mille
cinquecento
anni".
Avvegnadio che da Adamo
insino a la passione di Cristo si
crede che fossero
cinque milia e
cento trentatré
anni.
In altro luogo si legge che l'
angelo sì gli
diede
uno ramicello e
comandò che fosse piantato nel monte
di Libano.
Ma in un'altra storia di Greci, avvegna che non
sia
autentica, sì si legge che l'
angelo gli
diede di quello
legno nel quale Adamo peccòe; e disse così: che quando
elli facesse
frutto, il padre sarebbe guarito e sano. Ed
egli tornando al padre e
trovandolo morto, piantò quello
ramuscello sopra l'
avello del padre e, piantato che fue,
crebbe uno grande
albore e
duròe insino al tempo di
Salomone. Se queste cose sono
vere, rimangano a la
sentenzia di chi le legge.
Sì che Salamone
considerando che quello era così
bello
albore,
comandò che si tagliasse e
mettessesi in
luogo
boscoso. Ma non si trovava luogo veruno
come
dice Giovanni Beleth, ov'elli stesse, né dov'elli
si potesse
acconciamente mettere, ma o v'era troppo
grande, o v'era troppo piccolo; e se per
acconciarlo in
veruno luogo ne
mozzassero neente
ragionevolemente,
sì parea tanto piccolo che non vi
ricadea al postutto
bene. Laonde gli
artifici adirati sì riprovarono e gittarolo
in uno luogo perché fosse ponticello a' viandanti.
E la reina Saba essendo venuta a udire la sapienzia
di salamone, e volendo passare il
detto laghetto, dove
il legno era posto, vidde per ispirito che 'l
Salvatore
del
mondo
dovea essere impiccato in quello legno; e
però non volse valicare sopra quello legno, ma sì lo
adoròe immantanente.
Ma ne le Storie
Ecclesiastiche si legge che la
reina Saba vidde il
detto legno ne la
Casa del Salto, ed
essendo tornata a
casa sua, mandò a
dire al re Salamone
che in quello legno
dovea essere
appiccato uno
per la cui
morte il reame di giudei sì si
dovea
distruggere.
Sì che Salamone fece il
detto legno
rimuovere,
e
fecelo sotterrare ne le profondissime interiore de la
terra. Poscia fu fatta ivi la
probatica pescina, là
dove
quelli di
Natan lavavano i sacrifici; e non solamente
per lo
discendimento de l'
angelo, ma ancora per la vertude
di quello legno, si crede che vi intervenìa il
commovimento
de l'
acqua, e la
curazione de li infermi.
Ma
appressimandosi il tempo de la passione
di Cristo,
sì si dice che quello legno
andava a
galla ne l'
acqua;
e
abbiendolo veduto i giuderi, sì 'l tolsero e
conciaronne
la
croce di Cristo. E la
detta
croce di Cristo
si dice che fu di
quattro maniere di legno, cioè di palma,
d'
arcipresso, d'ulivo e di
cedro. Onde dice un verso:
"Ligna crucis palma, cedrus, cypressus, oliva".
Ne la
croce furono queste
quattro
differenze di legni,
cioè il legno ritto e 'l legno per traverso e la tavola
disopra posta e 'l
ceppo in ch'ella fu
commessa; ovvero,
secondo il
detto di Gregorio di Tornio, la tavola
che stette per traverso, sotto i piedi di Cristo.
Catuno
di questi
poté essere d'alcuno de'
detti legni.
Questa
differenza di legni
pare che voglia
dimostrare
l'
apostolo, quando dice: "Acciò che voi possiate
comprendere
con tutt'i santi, qual sia l'
ampiezza, la lunghezza,
l'
altezza e 'l profondo". Le quali parole
sponendo
san Gregorio, sì dice: "Che questo è la
croce
del Signore la cui
ampiezza sì si dice nel legno per
traverso, nel quale sono
distese le mani; la larghezza
pone da terra infino a la
detta
ampiezza, la quale è
confitta da le mani giù per tutto il
corpo; l'
altezza
s'intende da l'
ampiezza infin suso, a la quale s'
appoggia
il capo; il profondo si è quello
cotanto che stette
sotterra".
Questo legno prezioso de la Croce stette nascoso sotterra
CC anni e più, ma fu ritrovato da santa
Elena,
madre di
Costantino imperadore, in questo modo.
In quello tempo sì si
raunòe a lato al
fiume
Danubio
una innumerabile gente
barberesca, che
volevano valicare
il
fiume e tutte le
contrade, infino in Oriente, sottomettere
a la loro signoria. La qualcosa
avendo
spiato
Costantino imperadore, mosse il
campo e
allogossi co'
suoi de l'oste sua a rimpetto del
detto
fiume. E
crescendo
la
moltitudine de'
barberi e già valicando il
fiume,
Costantino sì si mosse da grandissima paura veggendo
ch'ellino
doveano l'altra
die
combattere con lui.
Sì che la notte vegnente fu
isvegliato da l'
angelo,
e ammaestrato da lui che
dovesse ragguardare in su. E
quegli ragguardando in
cielo, vidde il
segno de la santa
Croce, fatto di
chiarissimo lume; e avea questa soprascritta
fatta di lettere d'oro: "In questo
segno sarai
vincitore".
Il quale essendo de la
celestiale visione
confortato,
fece una simiglianza di
croce e
comandò che si portasse
innanzi a l'oste sua; e vegnendo sopra i nemici
sì li misse tutti a
fuggire e uccisene grandissima
moltitudine.
Allora
Costantino
chiamòe tutti i pontefici de l'idole
e
dimandolli di che Iddio questo
segno fosse.
Dicendo
quelli di non sapere nulla, vennero alcuni
cristiani e
mostrarolli pienamente il misterio de la santa Croce e
la fede de la Trinitade. Il quale
credendo allora
perfettamente
in Cristo, ricevette il
battesimo da
Eusebio, papa
ovvero, secondo alcuni libri, vescovo di Cesarea.
Ma in questa Storia si pongono molte cose a le quali
contraddice la Storia Tripartita e l'
Ecclesiastica, e la
Storia di santo
Silvestro, e la
Gesta di Pontefici romani.
Secondo che vogliono
dire alcuni, non fue questo
Costantino
imperadore, quello che fue
battezzato da san
Salvestro papa, e
convertito da lui a la fede, come
alcune storie vogliono
dare a vedere; ma fue
Costantino
padre di questo
Costantino, sì come si truova in
alcune storie. Che quello
Costantino venne per altro
modo a la fede, sì come si legge ne la leggenda di
santo
Silvestro; né non si dice che fosse
battezzato da
Eusebio, ma da
Salvestro. Ma morto quello
Costantino,
l'altro
Costantino,
ricordandosi de la vittoria che 'l padre
aveva
avuta per vertù de la santa Croce, sì mandò
Elena sua madre in Gerusalem per ritrovare la santa
Croce, sì come
detto è disotto.
Ma la Storia
Ecclesiastica pone questa vettoria per
altro modo fatta. Ché
dice che abbiendo
assalito
Massenzio
imperadore lo 'mperio de' romani,
Costantino
imperadore venne a
combattere con
Massenzio appresso
il ponte di Albino. Essendo dunque
Costantino molto
angoscioso, e levando gli occhi spesso al
cielo per
esserli
mandato
aiuto, vidde per sonno, a la parte del levante
in
cielo, il
segno de la Croce,
isplendiente di
splendore
di
fuoco e
angeli che li stavano presenti e
dicevano a
lui: "O
Costantino, in questo
segno vincerai". E sì
come
dice la Storia
Tripertita, mentre che
Costantino si
maravigliava quello che ciò fosse, la notte sopravvegnente
gli
apparve Cristo col
segno che quelli vide nel
cielo, e
comandò che fosse fatta una
figura del
segno,
la quale
apportasse
aiutorio a l'
entrate de le
battaglie.
Allora
Costantino fatto lieto e già
sicuro de la vittoria,
sì si
disegnòe ne la
fronte il
segno de la Croce
ch'egli avea veduto in
cielo, e
trasforma il gonfalone
da
combattere in segnali de la Croce, e porta in mano
diritta una
croce d'oro. Poscia pregòe
Domenedio che
nol
lasciasse
macolare la sua mano
diritta, la quale avea
armata col
segno di salute, col sangue de' romani; ma
che, sanza
ispargimento di sangue, gli
desse vittoria di
quello tiranno.
Ora avea
Massenzio fatto fare la trappola,
composte
le
navi al
fiume, e posti e' ponti disotto ad
iguagliare.
E
approssimandosi già
Costantino al
fiume,
Massenzio
gli si fece incontro con pochi molto tosto, e
comandò che
gli altri gli tenessero dietro; e
dimenticandosi de l'opera
ch'elli avea fatta, saltò in sul ponte con
alquanti, e de
la trappola con che volle ingannare
Costantino, rimase
ingannato, e
affondòe nel
fiume profondo; e
Costantino
fue ricevuto da tutti
concordevolemente. E secondamente
che si legge in una
Cronica
assai
autentica,
Costantino
non
credette allora
perfettamente, né ricevette allora il
santo
battesimo, ma, passato piccolo temporale, vidde
quella visione di san Piero e di san Paulo, e fu rinato
nel santo
battesimo per mano di santo
Silvestro papa, e
fu mondato de la
lebbra.
Allora da indi innanzi
credette
perfettamente in Cristo,
e così mandò la madre sua in Gerusalem, acciò che
cercasse
de la Croce di Cristo. Ma santo
Ambruosio, ne la
Pistola ched elli fece de la
morte di
Teodogio imperadore,
e la Storia
Tripertita sì dice che inverso la fine
indugiòe
il
battesimo per potere essere
battezzato nel
fiume Giordano.
E ciò medesimo dice san
Geronimo ne la
Cronica.
Ma certo è che, al tempo di santo
Silvestro papa,
divenne
cristiano; ma s'elli
indugiòe il
battesimo questo
è in
dubbio, onde anche di quella leggenda di santo
Silvestro si
dubita altressì quanto a molte cose.
Adunque questa storia del trovamento
della santa
Croce, la quale si truova ne le Storie
Ecclesiastiche, col
quale s'
accorda la
Cronica,
pare che sia più
autentica
che quella che si legge per le
chiese. Però che manifesta
cosa è che molte cose v'ha entro che non paiono
vere,
s'altri non volesse già
dire, come
detto è disopra, che
non fue
Costantino, ma
Costantino suo padre; la qualcosa
impertanto non
pare molto
autentica, avvegna che
si truovi in alcune storie oltramarine.
Ed essendo venuta
Elena in Gerusalem, fecesi raunare
tutti i savi di giuderi, che fossero trovati per tutto il
paese. E questa
Elena, come
dice santo
Ambrosio, era
stata di prima una
stalliera; e dice così e
afferma che
"Costei fu
stalliera, ma fue
congiunta a
Costantino
vecchio, il quale
acquistò poscia il reame;
buona
stalliera
fu questa, che andò così
diligentemente
caendo la
mangiatoia del Signore!
buona
stalliera fue, la quale
cognobbe quello
istalliere, il quale
curòe le piaghe di
quello piagato da i ladroni!
buona
stalliera fu, la quale
volle maggioremente tutte le cose del
mondo
estimare
letame per potere guadagnare Cristo! E però la levò
Cristo di letame a reame". Queste parole sono di santo
Ambruosio.
Altri sono che
dicono
altrimenti. E
leggesi in alcuna
altra Storia, cioè
Cronica, che questa
Elena fue
figliuola
di
Cloele, re di
Brettoni, la quale
Costantino vegnendo in
Brettagna, con ciò fosse
cosa che 'l padre non n'
avesse
più di lei, sì la tolse per moglie, onde l'
isola venne a
sua mano dopo la
morte di
Cloele. E di ciò
danno testimonianza
i
detti
Brettoni.
Or dice
che' giuderi, vedendo così ragunare i savi
loro,
ebbero grande paura, e
dicevano l'uno a l'altro:
"Perché pensate voi che la reina si
faccia raunare
questa gente a sé?" E uno di loro, il quale avea nome
Giuda, sì disse: "Io so ch'ella vuole sapere da noi là
dove sia il legno de la Croce nel quale fue
crocifisso
Cristo. Or guardate che neuno non
ardisca di
confessare,
e se non, sappiate
certissimamente che la legge
nostra verrà al niente, e '
comandamenti de' nostri
antichi
saranno al tutto
distrutti, ché
Zacheo mio
avolo il
prenunziòe
a Simone mio padre; e 'l padre mio, vegnendo
a
morte, sì lo disse a me in questo modo: "Guarda,
figliuolo mio, che quando sarà fatto inquisizione de la
croce di Cristo, che tu la manifesti innanzi che tu
sostegni
alcuni tormenti; però che da indi innanzi non
regnerà in veruno luogo la gente de' giuderi, ma
coloro
ch'
adoreranno il
Crocifisso, imperò ch'esso Cristo è
figliuolo di Dio". E io disse a lui: "Or se ' nostri padri
conobbero ch'egli era figliuolo di Dio, perché il
chiavarono
nel tormento de la
croce?" E quelli rispuose:
"Bene lo sa Dio, ch'io non
fui mai nel loro
consiglio,
ma spesse volte
contradissi a loro: ma perch'elli riprendeva
li vizii de'
farisei, sì lo
fecero
crucefiggere.
E esso
risucitòe al terzo
die e,
veggendolo gli
apostoli
suoi, trapassòe i
cieli. Nel quale
credette Stefano tuo
fratello, lo quale
allapidòe la
furia di giuderi. Guardati
dunque, figliuolo mio, che tu non sia ardito di
bestemmiare
né lui né suoi
discepoli".
Dissero gli giuderi
a questo Giuda: "Noi non udimmo giammai cotali cose,
ma se la reina
dimandasse di ciò, guarda che tu non
gliele
confessi per veruno modo".
Essendo dunque
coloro presentati dinanzi a la reina
ed ella
abbiendoli
domandati del luogo dove il Signore
fue
crocifisso, non
vogliendogliele mostrare per neuno
modo,
comandò che tutti
fossono
arsi nel
fuoco.
Coloro
avendo paura
diederle in sua mano Giuda, così
dicendo: "Madonna, costui fu figliuolo d'uno giudeo
giusto e profeta, che sa troppo bene la legge, e
diratti
ciò che tu 'l
domanderai".
Allora quella gli lasciò tutti e tenne solamente Giuda,
e disse a lui: "Or vedi, la
morte e la vita t'è posta
innanzi;
eleggi quale più ti piace, e mostrami il luogo
che si dice
Golgota, là ove il Segnore fu
crocifisso, acciò
ch'io possa ritrovare la Croce sua". Rispuose Giuda e
disse: "Or come poss'io sapere quello luogo, ché già
è più di
CC anni passati, e io non nacqui a quello
tempo?" Disse la reina: "Io ti
prometto per lo
Crocifisso
di
farti morire di
fame, se tu non mi
dirai la
veritade". E
comandò che fosse gittato in uno
pozzo
secco e ivi fosse tormentato di
fame.
Essendovi dunque stato
sei dì sanza
cibo, il settimo
dì
domandò grazia d'essere tratto fuori, e mostrerebbe
la Croce.
Essendone tratto, fue venuto al luogo e,
fattovi
orazione, il luogo si
commosse subitamente, e fue
sentito
fummo di spezie di maraviglioso odore in tal
maniera che Giuda si fece grande maraviglia, e levòe
ambo le mani al
cielo, e disse: "In verità, Cristo,
tu
se' salvadore del
mondo".
Or era in quello luogo, come si legge ne le Storie
Ecclesiastiche, il tempio de l'idolo Venere, lo quale
Adriano imperadore v'avea fatto, acciò che se alcuno di
cristiani v'
avesse voluto
adorare, paresse che
adorasse
quello idolo; e però per lo spesseggiare poco meno era
dimenticato quello luogo, sì che la reina fece
disfare
quello tempio infino al
fondamento e fece tentare il
luogo. Poscia venne Giuda e
cinsesi e
acconciossi per
cavare
francamente e
cavòe venti passi e ebbe trovate
tre
croci nascoste, le quali
apportòe incontanente a la
reina.
E non sappiendo
discernere la
croce di Cristo da
quelle
due de' ladroni, sì le puose nel mezzo de la
cittade
aspettando ivi la gloria del Signore. Ed eccoti ne
l'ora de la terza, portandosi uno morto giovane a sotterrare,
Giuda tenne mano al
cataletto e puose la prima
e la seconda
croce sopra il
corpo del morto, ma
neente
risucitòe; puosevi la terza
croce: incontanente
tornò a vita il morto.
Ma ne la Storia
Ecclesiastica si legge che,
giacendo
tra ' morti una grande
donna de la
città, il vescovo di
Gerusalem la puose sopra la prima e la seconda
croce, ma non fece
prode veruno; puosevi la terza,
e la
femmina
aperse tosto gli occhi e levossi sana e
lieta.
Ma santo
Ambrosio
dice che
discerné la
croce di
Cristo da l'altre, per lo
titolo che v'avea posto Pilato;
lo quale
titolo vi trovòe e lesse.
E il
diavolo gridava per l'
aere, e
diceva: "O Giuda,
perché l'hai fatto? tu hai fatto il
contrario che fece
il mio Giuda, ché quelli per sodducimento fece il
tradimento,
e tu,
contradicendo me, hai trovata la
croce di
Jesù. Per colui guadagnai io molte
anime, per te
pare
ch'io le perda, quelle che avea guadagnate; per colui
regnava io nel popolo, per te sarò io
cacciato fuori del
reame. Ma io ti renderò bene il
cambio, e
suciterò contra
di te un altro re, il quale lascerà la fede del
crocifisso,
e
faratti rinnegare con tormenti il
Crocifisso". La
quale parola s'intende che
dicesse di Giuda, che fu
fatto vescovo di Gerusalem, e
Adriano l'
assunse con
molti tormenti e
fecelo martire di Cristo.
Udendo Giuda gridare il
diavolo, non temette di nulla,
ma con grande
costanza maladisse il
diavolo, così
dicendo:
"
Condanni te Cristo ne li
abissi del
fuoco
eternale!"
Poscia fu
battezzato Giuda, e mutòe nome, e fue
chiamato
Quiriaco, il quale, morto il vescovo in Gerusalem,
sì fu fatto vescovo elli quivi in Gerusalem.
Ma con ciò fosse
cosa che santa
Elena non
avesse i
chiovi del Signore, pregòe il vescovo
Quiriaco che
andasse
al luogo, e
cercasse de'
chiovi di Cristo. Il quale essendovi
venuto, fatto
priego a
Domenedio, immantanente
apparvero i
chiovi in terra splendienti come oro; e tolseli
di terra e portolli a la reina; e ella, ponendo le
ginocchia in terra e
chinando il capo, sì li
adoròe con
molta reverenza.
Portòe dunque una parte de la Croce al figliuolo imperadore,
e l'altra parte
coperse d'
ariento, e lasciolla
nel luogo. Li
chiovi con che il
corpo del Signore fue
inchiavellato, portòe al figliuolo; de i quali, come
narra
Eusebio di Cesarea, sì ne
compuose i
freni ch'elli avea
a usare ne la
guerra, e de gli altri n'
armòe il
cappello
de lo
acciaio suo.
Altri sono,
come Gregorio di Tornio, che vogliono
dire che nel
corpo di Cristo furono
quattro
chiovi, de i
quali santa
Elena puose
due nel
freno de lo 'mperadore,
e 'l terzo ne la imagine di
Costantino puose, la quale
a Roma sta sopra la
cittade, e 'l quarto gittò nel mare
Adriatico, lo quale infino allora era stato
divoramento di
navicanti; e
comandò che questa
festa del
ritrovamento
de la Croce si guardasse solennemente e ogni
anno.
Santo Ambrogio
dice così: "Andò
caendo santa
Elena
i
chiovi del Signore e trovogli; e de l'uno fece fare
freno, de l'altro
adornòe la
corona;
dirittamente il
chiovo
nel capo a la
corona in testa, redine in mano, acciò
che 'l senso
sovrastea, la fede
risplenda e la
potenzia
reggia".
E Giuliano
apostata fece poscia uccidere santo
Quiriaco
vescovo, per ciò ched e' fue quegli che trovòe la
santa Croce, con ciò fosse
cosa che il
detto Giuliano si
sforzasse di spegnere in ogne parte il
segno de la Croce.
Ché
andando elli contra quelli di Persia,
cominciò ad
invitare san
Quiriaco a sacrificare a l'idole, ed esso
contraddicendo gli fece Giuliano
mozzare la mano ritta,
così
dicendo: "Questa mano ha scritte già molte pistole,
per le quali ha
retratti molti da
adorare e da sacrificare
a l'idoli". Al quale disse santo
Quiriaco: "Molto
prode m'hai fatto tue,
cane sanza senno; però che, prima
ch'io
credessi in Cristo, spesse volte scrivea pistole e
mandavale a le sinagoghe di giudei
confortandoli che
niuno
dovesse
credere in Cristo, ed
ecco che tu m'hai
ora tagliato lo
scandolezzo del mio
corpo".
Allora Giuliano fece
colare piombo e
metteregliele
fece in bocca; poscia fece venire uno letto di
ferro fatto
come una graticola e
fecevi
stendere suso santo
Quiriaco
e
spargervi sotto
carboni con
sale e con
sugna. Ma con
ciò fosse
cosa che san
Quiriaco stesse pur fermo, disse
a lui Giuliano: "Se tu non vuogli fare sacrificio a
l'idole,
almeno
di' che tu non sii
cristiano". E quegli
ricusando ciò con grande
abbominazione,
comandò Giuliano
che fosse fatta un'altra
fossa e porvi entro serpenti
e gittarvi dentro san
Quiriaco; ma i serpenti
morirono immantanente. Allora
comandò Giuliano che
fosse messo in una
caldaia piena d'olio
boglientissimo;
e quegli, segnandosi,
andossi per
volervi
entrare di sua
spontana
volontà. E pregando il Signore che 'l lavasse
un'altra volta nel santo
battesimo del martirio, Giuliano
crucciato,
comandò che gli fosse
fitto uno
cultello per lo
cuore. E in questo modo
meritòe d'essere
confermato
in
Domenedio.
E questa quanta sia la vertù de la Croce, sì si manifesta
in quello
fedele notaio; lo quale uno ch'era
incantatore
ingannò e
menollo ad uno luogo là
dove avea
chiamate le
demonia,
impromettendoli di
farlo
abbondare
di molte ricchezze.
Ecco che vidde uno grande saracino
nero sedere in un'
alta sedia, e d'intorno a sé altri
saracini stare ritti con
lance e con
mazze. Allora quegli
domandòe quello
incantatore e disse: "Chi è questo
fancelletto?" E quelli disse: "Messere, egli è nostro
servidore". E 'l
dimonio disse a colui: "Se tu mi vuogli
adorare ed essere mio servo e rinnegare il Cristo tuo,
io ti
farò sedere da la mia parte
diritta". Ma quegli
si fece incontanente il
segno de la Croce, e gridòe liberamente
come elli era servo di Cristo
Salvatore. Sì tosto
come s'ebbe fatto il
segno de la Croce, tutta quella
moltitudine di
demoni
isparvono.
Dopo queste cose
entrando una volta il
detto notaio
nel tempio di santa Sofia con esso il suo segnore, e
stando
abendue dinanzi a la imagine del
Salvatore, vidde
il signore suo che la
detta imagine avea volti gli occhi
sopra il notaio e tenevali molto
fissi
addosso a colui e
molto
attentamente il ragguardava. Veggendo ciò il
detto signore e
maravigliandosene, fece stare il giovane
da la parte
diritta, e vidde che la imagine avea volti
gli occhi anche in quel lato e tene'gli
fissi
addosso al
notaio. Ancora il fece ritornare dal lato manco, ed ecco
anche che la imagine rivolse gli occhi, e guatava il
notaio come di prima. Allora il Signore lo
scongiuròe,
e disse a quello notaio che li
dovesse
dire quello ch'elli
li pareva avere
meritato
appo Dio, laonde la imagine
il guatava così; e quelli disse che di neuno bene gli
pareva avere
coscienzia altro ched elli non avea voluto
rinnegare dinanzi al
diavolo colui di cui la imagine era.
cap. 65, S. Giovanni a Porta LatinaGiovanni
apostolo e
vangelista, predicando in
Efeso,
fu preso dal proconsolo, e invitato di fare sacrificio a
l'Iddei. E quelli
contradicendo, fu messo in prigione;
e fu mandato una pistola a
Domiziano imperadore, ne
la quale san Giovanni fu nominato mago e
incantatore
e
spregiatore de li
dei, e
coltivatore del
Crocefisso. Sì
che, per
comandamento di
Domiziano, fu
menato preso
a Roma; e,
menato che vi fue, tutti i
capelli suoi gli
furono rasi del capo per
ischernire. Poscia fu
comandato
che fosse messo in una
caldaia d'olio
bogliente
col
fuoco disotto acceso, e ciò fu fatto dinanzi a la
porta di Roma, la quale è
chiamata Porta
Latina. Ma
nessuno
dolore o pena sentìo dentro san Giovanni in
quello olio, anzi n'uscì fuori sanza male veruno. Sì che
in quello luogo fu fatta una chiesa da'
cristiani, e in
quello
dìe si
fae solennitade da li
cristiani, sì come
die
del suo martirio.
Non rimanendosi dunque così da la predicazione di
Cristo, per
comandamento di
Domiziano fu mandato a'
confini ne l'
isola di
Patmos.
Né non perseguitavano i romani imperadori gli
apostoli
perch'ellino predicassero Cristo, ma perch'eglino
dicevano ch'egli era Iddio, e ciò era sanza l'
autoritade
del sanato di Roma, la qualcosa esso
dinegava che da
neuno fosse fatto. Onde si legge ne la Storia
Ecclesiastica
che, abbiendo una volta Pilato mandato a
Tiberio
imperadore lettere di Cristo, e esso
Tiberio
consentendo
che la sua fede fosse da essere ricevuta da' Romani,
il senato del tutto il
contradisse per ciò che non fu
per loro
autorità
chiamato Dio.
L'altra ragione secondo il maestro Giovanni
Beleth
perché gl'imperadori e 'l sanato di Roma perseguitavano
Cristo e gli
apostoli, sì e' era perché
pare' loro che fosse
uno
Domenedio troppo superbo e invidioso in ciò che si
disdegnava d'avere
compagnia.
Altra cagione ci ebbe, la quale racconta
Orosio; e dice
che il senato ebbe troppo per male che Pilato mandò
le lettere a
Tiberio di miracoli di Cristo, e non l'avea
mandate al senato e, secondo la
congregazione del sanato,
non volse essere messo tra li
dei, onde
Tiberio
adirato fece uccidere molti de' più vecchi, e alcuni ne
misse in
bando.
E la madre di san Giovanni udendo
dire che 'l figliuolo
n'era menato preso a Roma, da maternale
compassione
mossa,
andòe a Roma per
visitarlo; ma essendo
giunta a Roma, ed abbiendo inteso com'elli era mandato
a
confini e, ritornandosi a
casa, passò di questa
vita quando era in
Campania, ne la
città
Vetulana e
andòe a Cristo. Il cui
corpo stette uno gran tempo
celato sotterra in una spelonca soppellito, ma poi fu
rivelato al suo figliuolo Jacopo; il quale
corpo, pieno di
molto odore e splendiente di molti miracoli, fu traslatato
a la
detta
cittade, con molto onore.
cap. 66, Litanie maggiori
Le letane si fanno
due volte l'
anno, cioè per la
festa
di san Marco, le quali sono
dette letanie maggiori;
l'altra volta si fanno tre dì anzi l'
Ascensione e sono
letanie minori; e tanto è a
dire letanie in nostra lingua
come
priego. Sì che la prima
letania è
chiamata
letania
maggiore, secondariamente è
detta processione di
sette
forme, nel terzo luogo è
detta
croce nere.
Letanie maggiore è
detta per tre
cagioni, cioè per
ragione di colui dal quale fue ordinata, ciò fue il grande
Gregorio papa di Roma; anche per ragione del luogo
dov'ella fue ordinata, cioè a Roma, la quale è
donna
e capo del
mondo in ciò ch'ella si è il
corpo del prencipe
de li
apostoli e la sedia di messere lo Papa; anche
per ragione del fatto per lo quale fu ordinata, per ciò
che fue per una grande e gravissima infermitade. Però
che li romani, essendo vissuti la
quaresima in
astinenzia,
quando venne la
Pasqua avea
no ricevuto il
corpo
di Cristo; poscia s'erano
dati sanza
freno a grandi
mangiari e a' trastulli e a la lussuria; laonde il Signore
Dio provocato a
cruccio, mandò sopra loro una
grandissima
pestilenzia, la quale
chiamano l'
anguinaia,
quasi come
apostema, ovvero
enfiatura ne l'
anguinaia.
E fu tanto
crudele quella
pistilenzia che li uomini si
morivano subitamente ne la via, ne la mensa, giucando
e
favellando, sì che quando alcuno starnutiva, come si
dice, spesse volte innanzi a lo starnuto mandava fuori
lo spirito suo. Onde quando altri udiva neuno starnutire,
tosto soccorrea con: "Dio t'
aiuti!", e così gridava,
cioè: "Dio t'
aiuti!". E da indi innanzi,
dicono che
perdura questa usanza che, quando veruno ode starnutire,
sì
diciamo: "Dio t'
aiuti!".
Anche raccontano che quando altri
sbadigliava, spesse
volte incontanente e di subito mandava fuori lo spirito.
Onde quando alcuno si sentiva di volere
isbadigliare,
immantanente sì si
facea il
segno de la santa Croce in
fretta, e ancora infino al dì d'oggi si tiene questa
usanza. E questa
pistilenzia in che modo
avesse
cominciamento,
sì si truova ne la vita di san Gregorio.
Secondariamente è
detta processione di
sette
forme in
ciò che 'l
beato Gregorio le processioni, le quali allora
faceva,
acconciava per
sette ordini: ché nel primo ordine
era tutto il
chericato, nel secondo erano tutti i monaci
e religiosi, nel terzo tutte le monache, nel quarto tutti
li
fanciulli, nel quinto tutti i ladici, nel
sesto tutte le
vedove e le
caste, nel settimo tutte le maritate.
Ma quello che noi non possiamo fare nel numero de
le persone, sì
compiamo nel numero de le letane, imperò
che
sette volte si
debbano
dire, innanzi che si pongano
giù le
'nsegne.
Nel terzo luogo è
detta
croce nere, per ciò che in
segno di pianto di tanta mortalità d'uomini e in
segno
di penitenzia sì si vestivano
gli uomini di vestimenti
neri e forse, per la ventura, per quella medesima cagione,
coprivano le
croci e gli
altari di
cilici. E così
gli
debbono prendere gli uomini
fedeli
vestimenti di
penitenzia.
L'altra si è
detta, letanie minore che si fanno tre
dì innanzi l'
Ascensione, le quali letanie
ordinò santo
Mamerto vescovo di Vienna prima che l'altre
tre.
Ma è
detto che sono minori a
differenza de la primaia,
cioè perché fu ordinata da minore vescovo e minore
luogo e per minore piaga. La cagione perché questa fu
ordinata, sì fu questa: che a quello tempo venìano a
Vienna spessi terremuoti e grandissimi, che metteano
per terra le
case e molte
chiese e
s'udivano spesso
e' suoni di notte e grida.
Avvenne anche un'altra volta terribile cosa allora
che 'l dì de la
Pasqua venne
fuoco da
cielo e
arse il
palazzo del re. Sopra tutto questo si era una più grande
maraviglia, ché come i
demoni
entravano ne li porci,
così, per
permissione di Dio,
entravano ne i lupi e ne
l'altre
fiere salvatiche per li peccati de gli uomini, e
non temendo persona le
dette
bestie, non solamente per
le vie, ma per la
cittade
andavano
palesemente
discorrendo,
e tratto tratto
divoravano i
fanciulli e' vecchi
uomini e
femmine. Sì che
avvegnendo così
dolorosi
avvenimenti
tutto
die, il
detto vescovo impuose
digiuno
di tre dì e
ordinò le letanie, e così rimosse d'essere
la
detta tribulazione.
Poscia fu ordinato per la chiesa e
fermato che questa
letania s'osservi universalemente.
E
chiamasi
rogazioni, imperò che allora
domandiamo
l'
aiuto di tutt'i santi, e
ragionevolemente s'osserva
questo modo in questi dì, e
soprastiamo a
pregare i
santi e a
digiunare per molte
ragioni. L'una si è acciò
che Dio
pacifici le
battaglie, ché più spesse volte s'
accendono
ne la primavera; la seconda si è che Iddio,
conservando,
moltiplichi e'
frutti e'
beni de la terra, che
sono ancora
teneri; la terza, acciò che i movimenti de
la
carne, i quali in questo tempo maggioremente
bollono,
ciascuno
mortifichi
maggiormente in sé (per ciò che ne
la primavera più
bolle il sangue e gli inliciti movimenti
maggiormente
rampollano); la quarta, acciò che
ciascuno
s'
apparecchi meglio a ricevere lo Spirito Santo,
però che per lo
digiuno se n'
acconcia altri meglio, per
lo pregare e' santi ne
diviene più
degno.
Due altre
ragioni
assegna il maestro Guglielmo
Altissiodorense:
la prima si è, acciò che montando
Cristo in
cielo e
dicendo: "
Domandate e
avrete", con
più
fidanza
domandi la Chiesa; la seconda si è perché
la Chiesa
digiuna e òra acciò che abbia poco di
diletti
de la
carne, acciò che, per la
macerazione de la
carne,
acquisti a sé
ale per operazione
de l'orazione; per ciò
che l'operazione de l'orazione è
ala de l'
anima con la
quale vola in
cielo, acciò che possa così liberamente seguitare
Cristo sagliente, il quale, sagliente e mostrante
a noi la via, volòe sopra le penne de' venti. L'uccello
che hae
assai
carne e
poche penne, non può bene volare;
e ciò si manifesta ne lo
struzzolo.
Chiamasi anche queste letanie processione, per ciò che
la Chiesa fa allora generale processione. In queste letanie
si porta la Croce e suonano le
campane e portasi
il gonfalone, e in alcune
chiese si porta un
drago con
una gran
coda, e di tutti i santi singularmente s'
adomanda
l'
aiuto. Però portiamo làe la Croce e soniamo
le
campane, acciò che i
demoni, spaventati,
fuggano.
Che come il re terreno nel suo oste hae le
'nsegne reali,
cioè le trombe e 'l gonfalone, così Cristo
eternale ne
la sua Chiesa militante hae le
campane per le trombe
e le
croci per gli gonfaloni. E come alcuno tiranno temerebbe
molto quando elli udisse in sua terra le trombe
e vedesse i gonfaloni d'alcuno re potente o suo nemico;
così le
demonia, che stanno in questo
aere
caliginoso,
temono
fortemente quando sentono sonare le trombe di
Cristo, ciò sono le
campane, e quando veggono i gonfaloni,
ciò sono le
croci. E questa è
detta la ragione
perché la Chiesa
costuma di sonare le
campane
se
alcuna volta vede sommuovere alcuna
tempestade, acciò
che le
demonia che fanno ciò, odano le trombe de lo
re
eternale e così spaventati
fuggano e rimangansi da
commuovere la
tempestade. Avvegna che l'altra ragione
sia perché allora le
campane
ammoniscono i
fedeli, ed
invitano che stieno in orazione per lo
pericolo sopravvegnente.
Ancora l'altro gonfalone de lo
eternale re è essa
Croce, secondo che
canta la Chiesa:
I gonfaloni del re sono tratti fuori.
Il misterio de la Croce splendiente.
Lo quale gonfalone, i
demoni temono molto, secondo
che
dice Grisostomo: "
Dovunque i
dimoni veggiono il
segno del Signore, sì
fuggiono, perché temono il
bastone
col quale furono impiagati." E questa è la ragione
perché in alcune
chiese a tempo di
tempestade
si trae la Croce fuori de la Chiesa, e ponsi
appetto a la
tempestade, cioè perché i
demoni veggiano i gonfaloni
del sommo re e spaventati
fuggano.
Sì che però si porta la Croce a processione e suonano
le
campane, acciò che '
dimoni, che sono in quello
aere,
ispaventati
fuggano e
cessino da fare
molestia. E 'l
gonfalone però vi si porta per rappresentare la vettoria
de la resurressione e la vettoria de l'
ascensione di Cristo,
il quale con grande preda montò e salìo in
cielo.
Onde il gonfalone che va per l'
aere è Cristo che monta
in
cielo. E secondamente che la
moltitudine de'
fedeli
seguita il gonfalone che si porta a processione, così
grande raunanza di santi
accompagna Cristo saliente.
E 'l
cantare che vi si fa, significa il
canto e le lode
de gli
angeli, che si
feciono incontro a Cristo e
menarollo
in sua
compagnia infino al
cielo con molte lode.
E in alcune
chiese di Francia è usanza di portare,
dopo la Croce, uno
drago con lunga
coda
enfiata, cioè
piena di paglia o di cotale altra cosa, i
due dì primai,
innanzi a la Croce, e 'l terzo dì, con la
coda vota, dopo
la Croce, per significare che il primo dì e anzi che
fosse
data la legge, e 'l secondo, che fu sotto la legge,
il
diavolo regnòe in questo
mondo; ma nel terzo dì de
la grazia per li
meriti de la passione di Cristo, fu
scacciato
del suo regname.
Ancora in essa processione
domandiamo l'
aiuto singularemente
di tutti i santi. La ragione perché noi preghiamo
i santi, molte
ragioni ne sono
assegnate disopra.
Sonne altre
ragioni generali per le quali il Signore
hae ordinato che noi preghiamo li santi, cioè per la
nostra povertade e per la gloria de' santi e per la reverenza
di Dio. Però che i santi possono sapere i
desideri
di
coloro che già priegano, per ciò che in quello
specchio
eternale intendono quanto s'appartiene a loro
allegrezza,
ovvero a nostro
aiuto. Adunque è la prima cagione
per la nostra povertade che noi
abbiamo in meritare,
sì che
colà
dove non possono i nostri
meriti, possano
valere gli altrui; ovvero per la nostra povertade che
noi
abbiamo in
contemplare; ché noi, i quali non possiamo
ragguardare la somma luce in sé,
almeno ne i
santi, la possiamo ragguardare; ovvero per la nostra
povertade che noi
abbiamo in
amare, imperciò che molte
volte l'uomo imperfetto si sente avere più
affetto inverso
uno santo che inverso Iddio.
La seconda ragione si è per la gloria de' santi, però
che
Domenedio vuole che noi
chiamiamo i santi, acciò
che abbiendo per loro
aiuto quello che noi
domandiamo,
sì ne
diamo a loro gloria e laude più
magnificamente.
La terza ragione si è per la
riverenzia di Dio, acciò
che 'l peccatore il quale offende
Domenedio, non sia
quasi ardito d'udire lui in propia persona, ma possa
domandare l'
aiuto da gli
amici.
In queste cotale letanie sarebbe da
dire spesse volte
quello
canto
angelico che
dice:
"Sancte Deus, sancte,
fortis, sancte et immortalis, miserere nobis".
Racconta san Giovanni
Damasceno nel terzo
libro che,
faccendosi le letanie a
Gostantinopoli per alcuna tribulazione,
uno
fanciullo, stando nel mezzo del popolo, fu
rapito in
cielo, e questo
cantico che
detto è, gli fue
insegnato là suso. E tornando poi al popolo
cantòe quello
canto
angelico dinanzi a tutto il popolo, e inmantanente
cessòe la tribulazione. E fue
approvato questo
cantico
dal
chericato di Calcedonia. E
conchiude così
Damasceno:
"E noi
diciamo così, perché
almeno le
dimonia
si ristringano: "
Sancte Deus, santo Dio, santo,
forte,
santo
e immortale,
abbi misericordia di noi".
Sì che la loda e la vettoria di questo verso si
raccoglie
di
quattro cose. Prima perché l'
angelo lo insegnòe,
la seconda perché a la sua profferenza al popolo la
tribolazione
cessò, e la terza perché il
chericato di Calcedonia
sì l'
approvòe, la quarta però che i
demoni n'hanno
molto grande paura.
cap. 67, AscensioneL'
ascensione del Signore fue fatta il quarantesimo
die dopo la resurressione; intorno a la quale
ascensione
sette cose, per ordine, sono da
considerare. La prima
donde salìo, la seconda perché non salìo di subito dopo
la resurressione ma
aspettossi
cotanti dì, la terza in
che modo salìo, la quarta con cui salìo, la quinta con
che
merito salìo, la sesta dove salìo, la settima perché
salìo.
Intorno al primo è da sapere che del monte Oliveto
di verso
Betania montòe in
cielo, il quale monte secondo
un'altra traslazione è
detto monte di Tre Lumi, però
che di notte, da la parte occidentale, era
alluminato dal
fuoco del tempio, però che
continuamente
ardea il
fuoco
dinanzi a l'
altare; la mattina era
alluminato da la parte
orientale, però che quindi ricevea prima i razzi del sole
innanzi che
alluminasse la
cittade. Anche si avea
abbondanza
d'olio, il quale è
nutrimento di lume, e perciò
è
detto monte di Tre Lumi. Sì che a questo monte
comandò il Signore che
andassero i
discepoli, però che
in quello medesimo
die ched elli montòe in
cielo, sì
apparve
due volte: l'una volta a li undici
apostoli che
mangiavano nel
cenacolo. Che tutti quanti, sì gli
apostoli
come i
discepoli e l'altre
femmine sante,
abitavano in
quel lato di Gerusalem che si
chiamava
Mello, cioè nel
monte Sion, là ove
David s'avea fatto fare il palazzo;
e
avevavi uno
cenacolo grande e
spazioso nel quale il
Signore
comandò che si
apparecchiasse la
Pasqua de
l'
agnello, e in quello
cenacolo
abitavano allora gli undici
apostoli, e gli altri
discepoli e le
femmine
abitavano
qua e là per
diversi
alberghi.
Sì che mentre che mangiavano in quello
cenacolo,
apparve a loro il Segnore, e rimproverò loro la miscredenza
loro e, abbiendo
mangiato con loro e
comandato
che
andassero nel monte Uliveto di verso
Betania,
apparve
loro iviritto un'altra volta e rispuose loro, i quali
addomandavano
non
discretamente, e sì li
benedisse, e di
quello luogo dinanzi a loro montòe in
cielo. Di quello
luogo là onde montòe, dice
Simplicio vescovo
di Gerusalem,
e come si truova ne la Chiosa, che essendovi
poi
edificata la chiesa, quel luogo dove stettero
l'orme di Cristo montando in
cielo non si
poténo mai
abbattere, né
disfare con
ismalto, anzi
risalivano i marmi
ne le
bocche di
coloro che gli
allogavano. E anche
de la
polvere scalpitata del Signore, dice che n'è questo
insegnamento che l'orme impresse si veggiono, e guarda
ancora la terra quella medesima spezie, sì come de
l'orme impresse.
Intorno a la seconda cosa si
dimanda perché sì tosto
com'elli
risurresse non montòe in
cielo, ma volle
aspettare
XL dì;
dovemo sapere ch'elli il fece per tre
ragioni.
La prima si è per
certificare la risurressione,
però che più era malagevole a provare la verità de la
resurressione che de la passione; però che dal primo
die
infino al terzo
veramente potea essere provata la passione,
ma a provare la vera risurressione sì si richiedeva
più
die, e per ciò più tempo si richiedeva tra la
resurressione e l'
ascensione che tra la passione e la
resurressione.
Di questa dice così Leon papa nel sermone ch'elli fa
de l'
Ascensione: "
Compiuto è oggi il numero de'
XL
dì con sacratissima ordinazione provveduto, e a
utilitade
di nostro
ammaestramento
dato, acciò che in questo
spazio di tempo, mentre che la
dimoranza de la presenzia
corporale si
difende, la fede de la Resurressione
fosse
fornita dal Signore de' necessarii
ammaestramenti.
Grazie ne
facciamo a la
dispensazione di Dio e a la
necessaria
tardanza de' santi Padri.
Dubitato fue da
loro, acciò che non fosse
dubitato da noi".
La seconda ragione fu per
consolamento de li
apostoli;
ché però che le
consolazioni di Dio
soprabbondano
a le tribulazioni, e 'l tempo de la passione fue tempo
di loro tribulazione, cioè de li
apostoli, ma il tempo de
la resurressione fu tempo di loro
consolazione, però che
debbono essere più questi dì che quelli.
La terza ragione fu per significanza de la
figura,
per
dare a 'ntendere che le
consolazioni di Dio sono, in
comparazione a le tribulazioni, come il
die a l'ora e
l'
anno al
die. E ch'elle siano in
comparazione come
l'
anno al
die, manifestasi per quello che si legge in Isaia
nel
quarantaunesimo
capitolo: "A predicare l'
anno
aumilievole al Signore e 'l
die di vendetta a lo
Iddio nostro".
Ecco che per lo
die de la tribulazione
rende l'
anno de la
consolazione. E ch'elle sieno in
comparazioni come il
die a l'ora, manifestasi per quello
che 'l Signore
XL ore giacque morto nel sepolcro, lo
quale fue tempo di tribulazione, e risucitato
apparve a
gli
apostoli per
ispazio di
XL dì, lo quale fu tempo di
consolazione. Onde dice la Chiosa: "
XL ore era stato
morto, per questo
confermava per
XL dì che esso
viveva".
Intorno a la terza cosa, cioè come salì, è da sapere
che salìo per sua propia vertude
potentemente, come
dice Isaia ne lo
XLIII capitolo: "Chi è questi che
viene d'
Edom, che va ne la
moltitudine de la virtude
sua?" Anche
dice santo Giovanni nel terzo
capitolo:
"Neuno
sale in
cielo, cioè per propia vertude, se non
quelli che
discese di
cielo il figliuolo de la Vergine il
quale è in
cielo".
E avvegna che salisse quasi in uno gomicello di nuvola,
impertanto non lo fece perché
avesse
bisogno di
servigio di nuvola, ma per
dare a
divedere che ogne
creatura è
apparecchiata a fare
servigio al suo
creatore.
Ché elli salette con la
potenzia de la
divinitade
sua, e in ciò si vede la
differenza secondo che si dice
ne le Storie
Scolastiche; ché
Enoch fu traslatato, Elia
fue portato; ma
Jesù salette per propia virtude. "Il
primaio, secondo che
dice san Gregorio, fu ingenerato
per
congiugnimento di
carne, il secondo fue ingenerato,
ma none ingeneròe, il terzo né non fue ingenerato, né
ingeneròe".
Secondariamente salette
manifestamente, però che 'l
videro gli
discepoli, onde dice santo Luca che "
Veggendolo
i
discepoli, fu levato". Anche
dice san
Giovanni,
capitolo
XVI che "Cristo disse a'
discepoli:
Io vado a colui che m'ha mandato, e niuno di voi mi
domanda dove vai".
Dice qui la Chiosa: "Sì
palesemente
me ne vo, che neuno
domanda di quello che vede
fare con
vedimento
corporale". E per ciò volse salire
a loro veggente, acciò ched elli fossero testimoni del
salimento e fossero
allegri di vedere l'umana natura
essere portata in
cielo e
disiderassono di seguitarlo.
Nel terzo luogo e modo, salette lietamente, però che
allora
giubilarono i santi
angeli, onde dice il Salmo:
"Salette il Signore in giubilazione".
Dice santo Agostino:
"Montando Cristo, impaurisce ogne
cielo,
maravigliansi
le stelle, fanno loda le schiere de li
angeli,
suona la tromba e a' lieti si mischiano i piacevoli
canti
del
coro
celestiale".
Nel quarto modo salette tostamente, come
dice il
Salmista: "
Rallegransi come gigante, a
correre la
via". Molto tostamente salette quando elli scorse tanto
spazio di luogo quasi in uno punto. Racconta Rabbi
Moises, grandissimo
filosafo, che: "
Catuno
cerchio di
ciascheduno pianeto hae
in ispessitudine
viaggio di
cinquecento
anni, cioè tanto
ispazio quanto altri potesse
andare di via piana in
cinquecento
anni, e la
distanza
tra
cielo e
cielo, cioè tra
cerchio e
cerchio,
dice altressì
ch'è
viaggio di
cinquecento
anni; e però, essendo
sette
cerchi sarà, secondo lui, dal
centro de la terra infino
a la
concavità del
cielo del Saturno, che è
cielo di
sette milia
anni, e infino a la
concavità de lo ottavo
cielo di
sette milia
settecento
anni, cioè tanto
ispazio
quanto altri potesse andare di via piana in
sette milia
settecento
anni, se tanto vivesse. In tal maniera
dico
che l'
anno si
componesse di
CCCLXV dì, e 'l
viaggio di
ciascuno
die sia
XL miglia, e
catuno miglio sia
du' milia
passi, ovvero
cubiti". Questo dice
Rabbo
Moises. Se
ciò è vero, Dio il sa. Questa misura sa colui che fece
tutte le cose a numero e a peso e a misura.
Adunque fu questo grande salto che Cristo fece, cioè
di terra in
cielo, e di questo salto e d'alcuni salti altri
di Cristo dice così santo
Ambruosio: "A uno salto venne
Cristo in questo
mondo, era
appo 'l Padre, venne ne la
Vergine, de la Vergine saltò ne la mangiatoia,
discese
nel
fiume Giordano, salette ne la Croce,
discese nel
sepolcro e siede a la
diritta parte del Padre".
Intorno a la quarta cosa, cioè con cui salette, è da
sapere che salette con grande preda d'uomini e con
grande
moltitudine d'
angeli. E ch'elli montasse con
grande preda d'uomini, sì si manifesta per quello che
dice il Salmo: "Salisti in
alti, prendesti teco la
pregionaglia".
E che elli montasse
com
moltitudine d'
angeli
manifestasi per quelle
domandagioni che i minori
angeli
fecero a i maggiori montando Cristo, com'è scritto
ne l'Isaia nel
LXIII capitolo: "Chi è questi che viene
d'
Edom, con le vestimenta tinte che viene di
Bosra?"
Nel quale luogo dice la Chiosa che alcuni
angeli, i
quali non
cognoscevano pienamente il misterio de la
incarnazione e de la passione e de la resurressione, veggendo
il Signore montare in
cielo con
moltitudine d'
angeli
e di santi uomini con la propia vertude, sì si
maravigliano d'esso misterio de la incarnazione e de la
passione, e a li
angioli che l'
accompagnano
dicono:
"Chi e questi che viene d'
Edom?" e nel Salmo dice
simigliantemente: "Chi è questi re di gloria?"
Ma san Dionisio, nel
libro che fece de la Angelica
Gerarchia
capitolo settimo, vuole
dire che, salendo Cristo
in
cielo,
tre questioni furono
fatte de li
angeli. La prima
sì si
fecero i maggiori
angeli tra loro insieme, la seconda
fecero essi maggiori a Cristo sagliente, la terza
fecero li minori a' maggiori.
Adomandano dunque i maggiori tra loro e
dicono:
"Chi è questi che viene d'
Edom con le vestimenta
tinte e viene di
Bosra?
Edom è tanto a
dire in nostra
lingua come sanguigna;
Bosra è tanto a
dire come armata,
quasi
dica: "Chi è questi che viene del
mondo
sanguinoso per lo peccato e
armato per la malizia contra
Dio, ovvero il quale viene del
mondo sanguinoso e de
lo inferno
armato?"
Rispuose il Signore: "Io sono colui che
favello giustizia,
e sono
combattitore a salvare". San
Dionigio
pone
cotal lettera: "Io, ciò
dice elli,
disputo di giustizia
e di giudicio di salute". Nel ricomperamento de
l'umana generazione fue giustizia, ciò fue in quanto il
Creatore ridusse la
creatura sua di signoria altrui; e
fue giudicio in quanto trasse
potentemente il
diavolo,
che avea presa l'altrui ragione, da l'uomo lo quale
possedea. Ma secondo ciò fa qui san
Dionigio una quistione,
e dice così: "Con ciò sia cosa che gli
angeli
disopra sieno
pressimani a Dio, e sanza neuno mezzo
sieno
alluminati da Dio, perché si
domandano insieme,
quasi come vogliano imprendere e sapere l'uno da l'altro?"
Ma sì come esso solve la quistione e 'l
chiosatore
la
spone, in ciò che
domandano mostrano d'
appetire
scienza. Ma in ciò che prima
disputano tra loro di scienzia,
mostrano che non
ardiscono di mettersi innanzi tra
loro medesimi il procedimento di Dio. Sì che
appo loro
medesimi
diliberano di
domandare prima, acciò che per
la ventura non mettano innanzi con troppo
avacciata
domandagione l'
alluminamento che è fatto a loro da
Dio. Adunque non è questa quistione
cercamento di
dottrina,
ma è
confessamento d'ignoranza.
La seconda quistione che
fecero i sovrani
angeli a
Cristo, si è che
dissero: "Perché dunque è rosso il
vestimento tuo, e le vestimenta tue sono come quelle
di quelli che
pigiano ne'
canali?" Il Signore è
detto
ch'ebbe il vestimento suo, cioè il
corpo suo, rosso, cioè
sanguinato del sangue, in ciò che ancora sagliendo elli
avea le margini de le piaghe nel
corpo suo. Però che
si volle riserva
re le margini nel
corpo suo, secondo
che
dice santo
Beda, per
cinque
cagioni; e dice così:
Le margini si riservò Cristo e
dee riservare insino
nel giudicio, per
affermare la fede de la resurressione,
e acciò che le rappresenti al padre,
pregandolo per tutti,
acciò che i
buoni veggiano come misericordiosamente
sono ricomperati, e i rei
cognoscano come sono
dannati
giustamente, e per
rapportare trionfo de la perpetuale
vettoria".
A questa quistione risponde così il Signore: "Il
canale
abbo pigiato io solo, e de le genti non è uomo
meco". E può essere
chiamato
canale la Croce,
ne la
quale come in
battaglia fu sì premuto, che 'l sangue
n'uscìo fuori. Ovvero che
chiamò il
diavolo
canale, lo
quale
inviluppòe sì l'umana generazione con
funi di
peccati, e
strinse sì che ciò che dentro era spirituale, ne
premette fuori, sì che solamente vinaccia rimase. Ma
il nostro
combattitore
ristrinse il
canale e isciolse i legami
de' peccati e, salendo in
cielo,
aperse poi la
taverna
del
cielo e 'l vino de lo Spirito Santo
versòe sopra
coloro che erano raunati insieme in uno volere.
La terza quistione è che
fecero li minori
angeli a'
maggiori, così
dicendo: "Chi è questo re di gloria?"
A i quali elli rispuosero: "Il Signore de le virtudi,
esso è re di gloria".
Di questa quistione de li
angeli, e de la
convenevole
risponsione de li altri,
dice così santo Agostino: "È
santificato per l'
accompagnamento di Dio lo
spazioso
aere, e tutta quella gente di
demoni volando per l'
aere
si
fuggirono, saliendo Cristo". Al quale si
fecero incontro
gli
angeli
dimandandolo chi e' fosse e
dicendo: "Chi
è questo re di gloria?" A i quali gli altri
dissero:
"Questi è quello
candido e
vermiglio, questi è quelli
che non ebbe
bellezza, infermo in sul legno,
forte ne
lo
spogliante, vile nel
corpicello,
armato nel
combattere,
sozzo ne la
morte,
bello ne la resurressione,
candido de
la vergine,
vermiglio ne la
croce,
intenebrato nel vituperio,
chiarito nel
cielo".
Intorno a la quinta cosa, cioè per quale
merito salìo,
dovemo sapere per tre
meriti, de' quali dice così san
Geronimo:
"Per la veritade, imperciò che quelle cose
le quali
avevi
promesso per li profeti,
adempiesti; e per
la mansuetudine, imperò che come pecora se' sacrificato
per la vita del popolo; e per la giustizia, quando non
con
potenzia, ma con giustizia liberasti l'uomo, e
meneratti
maravigliosamente la tua mano
diritta: la
potenzia,
ovvero la virtude, ti menerà, cioè, in
cielo".
Intorno a la sesta cosa, cioè salìo,
dovemo sapere che
sopra tutti i
cieli salette, secondo che
dice san Paolo
ad
Efesios, quarto
capitolo: "Quegli che
discese è
quello medesimo che salette sopra tutti i
cieli, acciò che
adempiesse tutte le cose". Sopra tutt'i
cieli"
dice,
però che più sono i
cieli sopra i quali esso salette. Egli
è
cielo materiale, razionale, intellettuale e soprasustanziale.
Il
cielo materiale è in molti modi, cioè
cielo di questo
aere quaggiù presso a noi e
cielo de l'
aere disopra e
cielo
chiaro e
cielo del
fuoco e lo stellato e 'l
cristallino
e l'
empirio.
Il
cielo ragionevole è l'uomo dentro, il quale è
detto
cielo per ragione che Dio v'
abita, però che come
il
cielo è sedia e
abitazione di Dio, secondo che
dice
Isaia parlando in persona di Dio: "Il
cielo è sedia a
me"; così è l'
anima del giusto uomo, secondo che
dice
nel
libro de la Sapienza: "L'
anima de l'uomo giusto
è sedia di sapienza". Per ragione de la
conversazione
santa, però che i santi per la
conversazione e per
desiderio
sempre
abitano in
cielo, sì come
diceva l'
Apostolo:
"La nostra
conversazione sì è in
cielo". Anche
per ragione de l'operare
continovo, però che i
cieli
continovamente
si muovono, e così i santi per le
buone
opere
continovamente si muovono.
Il
cielo intellettuale è l'
angelo. Li
angioli sono
detti
cielo, però che sono
altissimi per ragione de la
dignità
e de l'
eccellenzia loro.
Dice san Dionisio nel
libro de'
Nomi di Dio,
capitolo quarto: "Le
divine
menti sono
sopra l'altre cose
esistenti e vivono sopra l'altre cose
viventi e intendono e
conoscono sopra
sentimento e ragione;
e più che tutte le cose che hanno essere, e'
disiderano
il
bello e 'l
buono e participano di quello". Ne
la seconda cosa, cioè parte, sono gli
angeli
bellissimi
per ragione de la natura e de la gloria. De la
bellezza
de' quali dice san Dionisio in quello medesimo
libro:
"L'
angelo si è
manifestamento de lo occulto lume,
specchio
puro,
chiarissimo, non
contaminato, non sozzato,
ricevente, se licito è di
dire, la
bellezza de la
edificazione
d'una
forma
di Dio". Ne la terza parte sono
fortissimi per ragione de la virtude e de la
potenzia.
De la
fortezza de' quali dice santo
Joanni
Damasceno,
nel
libro secondo,
capitolo
trio: "
Forti sono e apparecchiati
a
compiere la
volontà di Dio, e in ogne luogo
si trovano immantanente,
dovunque
comanda la
volontà
di Dio".
Il
cielo soprasustanziale è le qualitadi de l'
eccellenzia
di Dio, de la quale Cristo venne, e poi salette infino a
quello. Del quale
cielo si dice nel Salmo: "Dal sovrano
cielo fue l'uscita sua, e lo scontramento suo,
infino a la sommità di quello". Sì che sopra tutti
questi
cieli, cioè infino a quello
cielo soprasustanziale,
salìo Cristo. E che elli montasse sopra tutt'i
cieli materiali,
manifestasi per quello ché scritto nel Salmo:
"Innalzata è la grandezza tua sopra '
cieli". E Iddio
sopra tutti i
cieli materiali, infino ad esso
cielo
empireo,
salette non come Elia, che salette in
carro di
fuoco a la
regione de l'
altezza, né non la travalicò, ma fu trasportato
nel Paradiso terrestro, il quale è sì
alto che
aggiugne
a la parte disopra de l'
aere, né non la travalica.
Adunque in questo
cielo
empirio risiede Cristo ed è
sua propia e speziale mansione e de gli
angeli e de
gli altri santi; e bene gli si
confà questo
abituro a li
abitatori. Però che quello
cielo
avanza tutti gli altri in
dignitade e in
antichitade e in luogo e in
abito, e
però è
convonevole
abituro di Cristo, il quale trapassa
tutti i
cieli ragionevoli e intellettuali in
dignitade e in
eternitade, in sito, sanza
mutamento, e in
attorniamento
di podestate. Simigliantemente è
convonevole
abituro di santi, però che quello
cielo è d'una
forma
e non si muove ed è
perfettamente luminoso e di smisurata
capacitade e
dirittamente si
confà a gli
angeli
e a' santi, che furono d'una
forma in
comparazione,
stabili ne l'
amore, luminosi ne la fede, ovvero nel
conoscimento,
capaci a ricevere lo Spirito Santo.
E che elli montasse sopra tutti i
cieli
razionali, cioè
sopra tutt'i
cieli, manifestasi per quello ch'è scritto
ne la Cantica seconda: "Ecco costui viene
saltanto
i monti e valicando i
colli". E sono
chiamati monti gli
angeli e
colli gli uomini santi.
E che elli salisse sopra i
cieli intellettuali, cioè gli
angeli, manifestasi per quello che
dice il Salmo:
"Che vai sopra le penne de' venti".
E che elli salisse insino al
cielo soprasustanziale, cioè
a la qualità di Dio, manifestasi per quello che
dice san
Marco nell'ultimo
capitolo: "E 'l Signore Gesù, poi
ch'ebbe parlato a loro, fu
assunto in
cielo, e siede a la
diritta mano di Dio". La
diritta mano di Dio è la qualitade
di Dio.
Dice san Bernardo: "Al Signore mio singularmente
è
detto
e dato da Dio
siedere da la
diritta parte de
la gloria sua, sì come in gloria insieme
iguale, in
essenzia
d'una insieme sustanzia, per generazione insieme
simile, per magestade non
disguale, per
eternitade non
più
diretana".
Ovvero così può
dire che Cristo nel salire fu
alto di
quattro
altezze, cioè d'
altezza di luogo, di guiderdonamento,
di
conoscimento e di vertudi.
De la prima parla san Paolo
ad Efesios, quarto
capitolo:
"Quegli che
discese esso è quello che salette sopra
tutt'i
cieli". De la seconda parla quello medesimo nel
secondo
capitolo: "Cristo è stato ubbidiente infino a
la
morte, per la qualcosa Dio l'ha
esaltato". Sopra la
quale parola dice santo Agostino: "L'umilitade è
merito
di
chiaritade, la
chiaritade è guiderdone de l'umiltade".
De la terza dice il Salmo: "Salette sopra
Cherubin,
cioè sopra ogne pienitudine di scienzia". De la
quarta si manifesta che ancora salette sopra Serafini,
come
dice san Paulo
ad Colossenses quarto
capitolo:
"Sapere ancora la
soprastante
caritade de la scienza
di Cristo".
D'intorno a la settima cosa, cioè perché salette,
dovemo
sapere che del salire suo nacquero
nove
frutti,
ovvero utilitadi.
La prima
utilitade sì è l'umiliamento del
divino
amore, come
dice san Giovanni nel sestodecimo
capitolo:
"Se io non mi partirò, il
consolatore non verrà a voi".
Sopra la quale parola dice santo Agostino: "Se
carnalmente
v'
accosterete a me, non
capiràe lo Spirito Santo
in voi".
La seconda
utilità sì è maggiore
conoscimento di Dio,
come
dice san Giovanni nel quartodecimo
capitolo: "Se
voi m'
amaste, voi mi
rallegreresti, perch'io vo al Padre".
Sopra la quale parola dice santo Agostino: "Però sottrai
tu questa
forma di servo, nel quale il Padre è
maggiore di me, acciò che spiritualmente possiate vedere
Iddio".
La terza
utilità è il
merito de la fede. Di questa
parla Leone papa nel sermone ch'elli fa de la
Ascensione:
"Allora per
viaggio
mentale
cominciò andare la
più
ammaestrata fede al Figliuolo
iguali al Padre; e
del
toccamento
della
corporale sustanzia in Cristo, per
la quale è minore del padre,
cominciò a non essere
bisognosa. Però che maggiore è 'l vigore de le grandi
menti a
credere sanza
dimoro quelle cose che non si
veggiono per vedere
corporale, e là
ficcare il
desiderio,
dove tu non puoi mettere il tuo sguardo".
Dice santo
Agostino nel
libro de la
Confessione: "
Rallegrossi come
gigante a
correre la via. Ché non si indugiò, ma
corse
gridando con
detti, con
fatti, con la
morte, con la
vita, col
discendere, col salire, gridando che noi torniamo
a lui; e
sceverossi da gli occhi, acciò che torniamo
al
cuore e troviamo lui".
La quarta
utilità sì è la
sicurtà nostra. Ché però
salette acciò che fosse nostro
avvocato
appo 'l padre.
E molto ci possiamo rendere
sicuri quando noi
consideriamo
d'avere un cotale
avvogado
appo il padre, come
dice san Giovanni ne la Pistola,
capitolo secondo: "
Avemo
per
avvogado Gesù Cristo
appo 'l padre, e elli è
tramezzatore per li peccati nostri".
Di questa
sicurtà, dice san Bernardo: "O uomo,
sicuro andare hai a
Domenedio, là ove la madre è
appo
il figliuolo, e 'l figliuolo dinanzi al padre; la madre mostra
al figliuolo, il petto e le mammelle, il figliuolo
mostra al padre il lato e le piaghe; non potrà dunque
essere
commiato veruno
colà
dove sono
cotanti segnali
d'
amore".
La quinta
utilitade sì è la
dignitade nostra, quando
la nostra natura è
essaltata infino a la
diritta mano
di Dio; onde gli
angeli,
considerando questa
dignitade
ne li uomini, da quindi innanzi non si lasciarono
adorare
a gli uomini, come
dice l'
Apocalipsa nel
XIX capitolo:
"Io
caddi, ciò
dice, dinanzi a' piedi de l'
angelo
per
adorarlo, e quelli mi disse: Guarda, non fare, io sono
conservo tuo e de' frati tuoi
abbienti il testimonio di
Gesù". Là ove dice la Chiosa: "Ne la vecchia legge
non vietò l'
angelo d'essere
adorato, ma dopo l'
Ascensione
di Cristo, veggendo levato l'uomo sopra sé, temette
d'essere
adorato da l'uomo".
Dice Leone papa nel sermone
che fa de l'
Ascensione: "Oggi la natura de la
nostra umilità, è trasportata oltra l'
altezza di tutte
le podestadi, al
consentimento di Dio padre, acciò che
più maravigliosa
divenisse la grazia di Dio quando, a le
cose
rimosse da li sguardi de li uomini, le quali
meritevolemente
sentiamo la
riverenzia di sé, la fede non
si sfidasse di
credere e la speranza non
tempestasse
e la
caritade non
intipidisse".
La sesta
utilità si è la
fermezza de la nostra speranza,
come
dice san Paulo a li
Ebrei, quarto
capitolo:
"
Avendo noi dunque il Pontefice grande, il quale trapassòe
i
cieli, tegnamo la
confessione de la nostra
speranza". Anche
dice a li
Ebrei
VI capitolo: "I quali
insieme
fuggiamo a tenere la proposta speranza, la
quale sì come l'ancora
abbiamo a l'
animo, e
abbiàlla
sicura e
ferma e
andante insino a le 'nteriora del
coprimento,
là
dove il
precursore
Jesù
entròe per noi".
Di questa dice anche Leone papa: "Lo salimento di
Cristo è nostro
trapassamento, ovvero traportamento, e
colàe dov'è
andata innanzi la gloria del capo, là vae
la speranza del
corpo".
La settima
utilità sì è il mostramento de la via. Di
questo parla
Michea profeta, e dice: "Salga
aprendo la
via dinanzi a noi".
Dice santo Agostino: "Esso
salvatore
è fatto a te via; leva su e va, tu hai dove, non
volere
impigrire".
L'ottava
utilità fue l'aprimento de la porta del
cielo,
ché sì come il primo Adamo
aperse la porta de lo
'nferno,
così il secondo
aperse la porta del Paradiso. Onde la
Chiesa
canta: "Tu, abbiendo vinto la
morte,
apristi a'
credenti i regni del
cielo".
La
nonesima
utilitade sì è l'
apparecchiamento del
luogo, come
dice santo
Joanni nel
XIV capitolo: "Io
vi voe ad
apparecchiare il luogo".
Dice santo Agostino:
"Signore,
apparecchia, però che tu
apparecchi, noi
a te, e te
apparecchi a noi; quando
apparecchi il luogo,
sì
apparecchi tu a te in noi e te in noi".
cap. 68, PentecosteLo Spirito Santo in questo dì d'oggi, sì come testimonia
la santa storia de gli Atti de li Apostoli, fu mandato
sopra essi in lingue di
fuoco. Intorno al quale mandamento,
ovvero
avvenimento, sono da
considerare
otto
cose. La prima si è da cui fu mandato; la seconda in
quanti modi è mandato, ovvero si manda; la terza in
qual modo fu mandato; la quarta quante volte fu
mandato; la quinta in che modo fu mandato; la sesta
cosa in cui fu mandato; la settima perché fu mandato;
l'ottava in che
forma fu mandato.
Intorno a la prima è da sapere che esso Spirito Santo
fu mandato dal Padre e dal Figliuolo; e ancora esso
Spirito Santo
diede se medesimo e mandò. Del primo
dice san Giovanni nel
XIV capitolo: "Lo Spirito Santo
che 'l Padre manderà nel nome mio, sì vi insegnerà
tutte le cose". Del secondo dice santo
Joanni nel
XVI
capitolo: "Ma se io mi partirò, sì lo vi manderò".
Il mandamento in queste cose quaggiù hae
comparazione
al suo mandante sotto tre
abitudini, cioè
come a
colui che dà l'essere, e così è mandato il raggio dal
sole; come a colui che
dàe vertude, ovvero
forza, e così
è mandato il
dardo da colui che 'l getta; anche come
a colui che
dà giurisdizione, ovvero
autoritade, e così
è mandato il messo dal
comandatore.
Secondo questi tre modi il mandare si può
convenire
a lo Spirito Santo. Però ch'è mandato dal Padre e dal
Figliuolo, sì come
abbiente da loro essere e vertude e
autoritade
in operare; e niente di meno esso Spirito
Santo se medesimo
diede e mandò, la quale cosa
pare
che
dimostri san Giovanni nel
XVI capitolo quando dice:
"Ma quando verrà quello Spirito di veritade.". Ché
come
dice san Leon papa nel sermone che elli fa de la
Pentecoste: "De la
beata Trinitade, e non con mutevole
deitade, una è la sustanzia, non
divisa in operare,
parzonevole ne la
volontade,
pare in
potenzia,
iguale in
Gloria. Ma
divisesi l'opera del nostro ricomperamento
la misericordia de la Trinitade, cioè che 'l Padre fosse
pregato, e 'l Figliuolo pregasse, e lo Spirito Santo infiammasse".
E imperciò che lo Spirito Santo è Dio, per ciò
dirittamente
è
detto di
dare se medesimo. E ciò, che lo Spirito
Santo sia Dio, mostra santo
Ambrosio nel
libro che
fa de lo Spirito Santo, e dice così: "Per queste
quattro
cose si pruova
manifestamente la gloria de la sua
divinitade.
Però che si
conosce ch'egli è Iddio, ovvero perch'egli
è senza peccato, ovvero perché perdona i peccati,
ovvero perché non è
creatura, ma è
creatore, ovvero
perché non
adora ma sì è
adorato".
E in ciò si mostra come la
beata Trinitade sì si
diede
in tutto a noi, però che come
dice santo Agostino:
"Esso mandò a noi il figliuolo suo in prezzo del nostro
ricomperamento, mandò lo Spirito Santo in
privilegio de
la nostra
adozione e se medesimo riserba in retaggio a
quegli ch'egli hae
adottati".
Simigliantemente il Figliuolo si
diede in tutto a noi,
però che come
dice san Bernardo: "Egli è il pastore,
egli è la pastura, esso ricomperatore;
diede a noi l'
anima
in prezzo e 'l sangue in
beveraggio e la
carne in
cibo
e la deità in premio".
Simigliantemente lo Spirito Santo in tutto
diede a noi
tutt' i suoi
doni e
dà, però che, come
dice san Paulo a'
Corinti, ne la prima Pistola, nel
XII capitolo: "Ad altri
è
dato per lo Spirito Santo la parola de la sapienza;
ad altri per lo Spirito la parola de la scienzia, secondo
quello medesimo Spirito; ad altri la fede in quello medesimo
Spirito".
Dice san Leon papa: "Lo Spirito
Santo è
ispiratore de la fede,
ammaestratore de la
scienza,
fontana d'
amore,
segnacchio di
castitade e cagione
di tutta salute".
Intorno a la seconda cosa, cioè in quanti modi si
manda o è mandato, è da sapere che lo Spirito Santo
in
due modi si manda, cioè visibilmente e invisibilemente.
Invisibilemente quando
entra ne le
menti
caste; visibilemente
quando si mostra per alcuno
segnale visibile.
Del mandamento invisibile dice santo
Joanni nel terzo
capitolo: "Lo Spirito dove vuole spira; e odi la
voce
sua, ma non sai donde viene, né dove vada". E non
è maraviglia, però che come
dice san Bernardo de la
parola
invisibile: "Per gli occhi non
entròe, però che
non è
colorita; né per gli orecchi, però che non fece
suono; né per lo naso, però che non si mischia a l'
aere,
ma a la mente; né non sozza l'
aere, ma
fecela; né non
entròe per la bocca, però che non è
mangiata o
bevuta;
né per
toccamento neuno
corporale, però che non si può
toccare.
Adomandi tu dunque com'essendo così le sue
vie investigabili, onde io sappia
esservi presente? Certo
per lo
movimento del
cuore intesi la presenzia di lui,
e per lo
fuggire de' vizii m'
accorsi de la
potenzia de
la vertù sua, e per lo
disaminamento, ovvero riprendimento
de li
occulti modi, mi sono
maravigliato de
la profonditade de la sapienzia sua, e per
chentunque
amendamento de'
costumi miei ho provata la
bontade
de la mansuetudine sua, e per lo riformamento, ovvero
rinnovellamento, de lo spirito
della
mente mia hoe ricevuto
da ogne parte la
figura de la
bellezza sua, e per
riguardamento di tutti questi
beni insieme mi sono ispaventato
de la
moltitudine de la sua grandezza". Queste
sono parole di san Bernardo.
Il mandare visibile si è quando si mostra in alcuno
segno visibile. E
dovemo sapere che in
cinque maniere
visibile s'è mostrato lo Spirito Santo. Primieramente in
ispezia di
colomba sopra Cristo
battezzato, come
dice
santo Luca
III: "
Discese lo Spirito Santo in
corporale
spezie, come
colomba in lui". Secondariamente in ispezie
di nuvola lucente sopra Cristo
trasfigurato, come
dice
san
Matteo nel
XVII capitolo: "Parlando ancora Cristo,
eccoti una nuvola lucente, e
adombrò
coloro ch'erano
con lui". Sopra la quale parola dice la Chiosa: "Sì
come nel Signore
battezzato, così nel glorificato, sì mostra
il misterio de la santa Trinitade: lo Spirito Santo
colà è in
colomba,
qui in nuvola lucente". La terza maniera
in ispezie di
fiato, come
dice san Giovanni nel
XX capitolo: "Soffiò Cristo in loro, e disse loro: Prendete
lo Spirito Santo". La quarta maniera in ispezie
di
fuoco. La quinta
in spezie di lingua; e in queste
due spezie
apparve il dì d'oggi. E però fu mostrato in
queste
cinque maniere di cose per
dare ad intendere
ch'elli
adopra la propietà di queste cose
nei
cuori, ne i
quali
entra. La
colomba sì ha pianto per
canto,
non ha
fiele, stassi ne li
colombai de le pietre. E così
lo Spirito Santo
coloro i quali riempie, fa piagner per
li loro peccati.
Dice Isaia nel
LXIX capitolo: "Noi
mugghieremo
tutti come l'orse, e come
colombe
pensanti
piangeremo".
Dice san Paulo a' Romani, ottavo
capitolo:
"Esso Spirito
adomanda per noi con pianti da
non potere narrare", cioè a
dire, che ci
fae
adomandanti
e piangenti.
Nel secondo luogo è sanza
fiele d'
amarezza, come
dice il
libro de la Sapienzia nel
XII capitolo: "O come
è
buono e soave, Messere, lo Spirito tuo in noi!" Anche
dice quello medesimo nel settimo
capitolo: "È
chiamato
soave,
benigno, umano, in ciò che ne fa soavi
nel parlare,
benigni nel
cuore, umani ne l'opera".
Nel terzo luogo si ne fa
abitare ne'
colombai de la
pietra, cioè ne le piaghe di Cristo, come
dice la Cantica
nel secondo
libro: "Leva su,
amica mia, sposa mia, e
vieni,
colomba mia".
Dice la Chiosa: "A nutricare i
pippioni miei; "Ne'
forami de la pietra"; la Chiosa:
"Cioè ne le piaghe di Cristo per lo spargimento de
lo Spirito Santo". Come
dice
Geremia ne' Lamenti, ne
l'ultimo
capitolo: "Lo spirito de la bocca nostra,
Cristo Segnore, è preso ne li peccati nostri". Al quale
dicemmo: "Ne l'ombra tua viveremo tra le genti".
Quasi
dica: "Lo Spirito
Santo che è de la bocca nostra,
la quale bocca nostra è il Signore Cristo, però che
è nostra bocca e nostra
carne e
ci fa
dicere
a Cristo:
"Ne l'ombra tua e ne la passione tua, ne la
quale Cristo fu tenebroso e
despetto, viveremo per
continova
memoria".
Secondariamente fu mostrato in ispezie di nuvola.
La nuvola quando è levata da terra, sì
dàe rifrigerio
ed ingenera
piova; e così lo Spirito Santo
coloro i quali
riempie di sé, sì li lieva da terra per
disprezzamento
de le cose
terrene.
Dice
Ezecchiel ne lo ottavo
capitolo:
"Levommi lo Spirito tra 'l
cielo e la terra, e
menommi
in Gerusalem in visione di Dio". Anche
dice nel primo
capitolo: "
Dovunque
andava lo Spirito,
andando là lo
Spirito insieme, sì levavano le ruote seguenti lui, però
che lo Spirito de la vita era ne le ruote". Anche
dice
san
Grigorio: "
Assaggiato lo Spirito, non sa di nulla
ogne
carne".
Secondariamente
dàe rifrigerio contra gl'incendii de'
peccati; onde a la vergine Maria fu
detto: "Sopravverrà
lo Spirito Santo in te, e la vertù de l'
Altissimo
sì ti
farà ombrazione", ché ti
rifrigerà da ogne
ardore
di peccati. Onde lo Spirito Santo è
chiamato
acqua, la
quale ha vertù di rifrigerare, come
dice san Giovanni
nel settimo
capitolo: "
Fiumi uscirono del ventre suo
d' acque vive". E questo disse de lo Spirito Santo,
che
dovìano ricevere quelli che
doveano
credere in lui.
Nel terzo luogo ingenera
piova, cioè di
lacrime, come
dice il Salmo: "Soffiòe lo Spirito suo e
scorreranno
l'
acque, cioè di
lagrime".
Ne la terza maniera sì si mostra in ispezie di
fiato.
Il
fiato si è
leno ed è
caldo; leno è ad
ammorbidare,
ed è necessario a rispirare; così lo Spirito Santo è
lieve, cioè
veloce a sé spargere, però ch'egli è più
movebole
che tutte le cose
moveboli.
Dice la Chiosa sopra
quella parola: "Fatto è
ripetentemente suon da
cielo,
di
sopragiugnente vento
veemente": non sa la grazia
de lo Spirito Santo
indugevoli isforzamenti.
Secondariamente è
caldo a infiammare, come
dice
santo Luca nel
XII capitolo: "Io sono venuto a mettere
fuoco in terra, e che voglio io se non ch'elli
arda?" Onde è
assomigliato al vento rovaio ch'è
caldo,
come
dice la Cantica,
capitolo quarto: "Levati,
aquilone,
e vieni, vento rovaio, e ventola l'orto mio, e usciranno
fuori le spezie sue".
Nel terzo luogo è leno ad
ammorbidare; onde a
dimostrare
la sua
morbidezza
chiamato
è per nome d'
ugnimento,
come
dice san Giovanni nel secondo
capitolo
de
la prima Pistola: "L'unzione sua
ammaestra voi di
tutte cose". Per nome di rugiada; onde
canta
la Chiesa de lo Spirito Santo e dice: "E
facciane lo
Spirito tuo Santo, Segnore,
abbondevoli de lo spargimento
dentro de la sua rugiada". E anche è
chiamato
per nome di vento sottile, come
dice il terzo
libro de'
Re,
XIX capitolo: "E dopo il
fuoco, venne il sufolo
del vento sottile" e ivi era il Segnore.
Nel quarto luogo è necessario a respirare, ed è tanto
necessario che se pure un'ora si sottraesse, sì morrebbe
l'uomo incontanente. E così è da intendere de lo Spirito
Santo, secondamente che
dice il Salmo: "Torrai lo
Spirito loro e verranno meno, e ritorneranno ne la
polvere
loro. Manda fuori lo Spirito tuo e saranno
criati,
e
rinnovellerai la
faccia de la terra". E dice san Giovanni
nel
sesto
capitolo: "Lo Spirito è quello che fa
vivo". Nel quarto luogo è
dimostrato
in ispezie di
fuoco. Nel quinto in ispezie di lingua. La cagione
perché
apparve in questa
doppia spezie, sarà
detto più
innanzi.
Intorno a la terza cosa, cioè in quale tempo fu mandato,
è da notare che fu mandato il
cinquantesimo
dì dopo la
Pasqua. E però fu mandato nel
cinquantesimo,
acciò che fosse
dato ad intendere che da lo Spirito
Santo è la perfezione de la legge, e l'
eternale rimunerazione
e la remissione de' peccati.
Imprima
dico la perfezione de la legge, però che, come
dice la Chiosa, dal
die de l'
agnello sacrificato il
cinquantesimo
die fue
data la legge in
fuoco. Anche nel
Nuovo Testamento il
cinquantesimo
die de la
Pasqua
di Cristo
discese lo Spirito Santo in
fuoco. La legge
è
nel monte
Sinai, lo Spirito Santo nel monte Sion; la
legge ne l'
alto luogo del monte, lo Spirito Santo fu
dato nel
cenacolo; onde per questo si mostra che esso
Spirito Santo è perfezione di tutta la legge, però che
adempimento de la legge si è l'
amore.
Secondariamente
dico l'
eternale guiderdonamento, onde
dice la Chiosa: "Sì come in quaranta dì che Cristo
conversòe con li
discepoli dopo la resurressione significa
la presente
Ecclesia, così il
cinquantesimo
die, nel
quale fu
dato lo Spirito Santo,
dimostra il
danaio de
l'
eternale guiderdonamento".
Nel terzo luogo
dico la rimissione de' peccati, onde
dice la Chiosa: "Quivi però venne nel
cinquantesimo,
perché il
dono si
facea nel giubileo; e per lo Spirito
Santo sono perdonati i peccati". E seguita poscia ne la
Chiosa: "Ne lo spirituale giubileo li
debitori de la
morte
sono sciolti, li
debiti sono lasciati, li sbanditi sono
ribanditi
nel loro paese, l'
ereditade perduta è renduta, li
servi, cioè gli uomini venduti al peccato, sono liberati
dal
giogo de la
servitudine". Infino qui dice la Chiosa.
Li
debitori de la
morte sono sciolti e liberati, onde
dice san Paulo a' Romani ne l'
VIII capitolo: "La legge
de lo Spirito de la vita in Cristo sì m'ha liberato da la
legge del peccato e da la
morte".
Li
debiti de' peccati sono lasciati, onde la
carità
cuopre
la
moltitudine de' peccati. Li sbanditi sono
ribanditi nel
loro paese, onde dice il Salmo: "Lo spirito tuo sì mi
menerà ne la terra
diritta".
L'
eredità perduta è renduta, onde dice san Paulo a'
Romani ne l'ottavo
capitolo: "Esso spirito rende testimonianza
a lo spirito, cioè al nostro, che noi siamo
figliuoli
di Dio e siamo
erede".
Li servi sono liberati dal peccato, onde dice Paulo a
Corinti, ne la seconda Epistola, nel quarto
capitolo: "Là
dove è lo Spirito del Signore, là sì è libertade".
Intorno a la quarta cosa, cioè quante volte fu
mandato a gli
apostoli,
dovemo sapere che secondo la
Chiosa
tre volte fu mandato loro, cioè anzi la passione
e dopo la resurressione e dopo l'
ascensione. La prima
volta fu
dato a fare miracoli; la seconda a perdonare
i peccati; la terza a
confermare i
cuori. La prima volta
quando gli mandò a predicare, e
diede loro podestade
sopra tutte le
demonia, e che
sanassono le infermitadi.
Però che questi miracoli si fanno per lo Spirito Santo,
secondo che
dice san
Matteo nel
XII capitolo: "E se
io ne lo spirito di Dio
caccio le
dimonia, i vostri
figliuoli
in che cosa li
cacciano?" Ma non seguita, però che
chiunque hae lo Spirito Santo
faccia miracoli, però che
come
dice san Gregorio: "Li miracoli non fanno l'uomo
santo, ma mostrano l'uomo santo". Né
chiunque fa
miracoli hae lo Spirito Santo, ché
anche i mali uomini
affermano che hanno
fatti miracoli, così
dicendo a Cristo
Segnore: "Segnore, or non profetammo noi nel nome tuo
e
facemmo miracoli?"
Domenedio fa miracoli per propria
autorità; gli
angeli per
disposizione de la materia;
le
dimonia per le virtù naturali
innestate ne le cose;
l'
incantatori per
occulti
contratti che hanno con le
demonia; i
buoni
cristiani per la
pubblica
iustizia; i
mali
cristiani per li segnali de la
pubblica
iustizia.
La seconda volta
diede loro lo Spirito Santo
quando
soffiò in loro dicendo: Ricevete lo Spirito Santo;
coloro
a cui voi perdonerete i peccati saranno perdonati".
Ma non puote veruno perdonare i peccati quanto
a la
macchia, la quale è ne l'
anima,
o quanto a l'
obligazione
a la pena
eternale, ovvero quanto a l'offesa
di Dio, le quali cose si perdonano solamente per infusione
de la grazia e per la vertù de la
contrizione. Ma
il prete è
detto che
assolve, sì perché mostra la persona
assoluta de la
colpa, sì perché
muta la pena del
purgatorio
in pena temporale, sì perché di quella pena temporale
ne lascia parte.
Avvegna che solo Dio perdoni il peccato per propia
autoritade, neente di meno trovati sono da' santi molti
modi per li quali si dice che sono perdonati; ché Origine
ne pone
sette, e dice così: "
Perdonansi i peccati
per lo
battesimo, per martirio, per la
limosina, per perdonare
l'offesa de' prossimi, per la penitenzia, per
convertire
i peccatori, per la
caritade". Ma santo
Ambrosio
pone altri modi e dice: "La parola di Dio monda, la
confessione nostra monda il
buono pensiero e lo vostro
operare e l'uso de la
buona usanza".
Nel terzo luogo
diede loro in questo dì d'oggi podestade
quando i loro
cuori furono sì
confermati che non
temevano
veruni tormenti, come
dice il Salmo: "Per lo
spirito de la bocca sua era ogne loro vertude".
Dice
santo Agostino: "Tale è la grazia de lo Spirito Santo
che se truova ne l'
anima
tristizia sì la strugge, se vi
truova mal
disiderio sì lo
consuma, se vi truova paura
sì la
caccia via".
Dice santo Leone papa: "Era
aspettato
lo Spirito Santo da li
apostoli non perché allora
cominciasse di prima ad essere
abitatore de' santi, ma
perché
accendesse a loro i santi petti più
ferventemente
e
purgasseli più
copiosamente; e
crescendo i suoi
doni,
non incominciando, né essendo però
novello d'operazione,
perché fosse più ricco di
cortesia".
Intorno a la quinta cosa, cioè in che modo fu mandato,
è da sapere che fu mandato con suono in lingue
di
fuoco, e quelle lingue
apparvero sedendo, e 'l suono
fue ripente e fue
celestiale e fu
forte e fue
riempiente.
Ripente fue, imperò che lo Spirito Santo non sa fare
indugevoli isforzamenti;
celestiale fue, imperò che fa
celestiali;
forte fue, imperò che induce timore di figliuolo.
E fue
riempiente, però che lo Spirito Santo gli
riempiette
tutti, onde tutti furono riempiuti di Spirito Santo.
E tre furono i segnali del riempimento de li
apostoli.
Il primo si è non risonare; e ciò si mostra ne la
caldaia
quando è piena che non risuona, onde
Job nel settimo
capitolo: "Or mugghierà il
bue quando starà innanzi
ad una mangiatoia piena, quasi
dica: Quando la mangiatoia
del
cuore hae riempimento di grazia, non è luogo
il mugghiare de la impazienza. Questo
segnale
ebbero
gli
apostoli, però che ne le tribulazioni non risonavano
per impazienza, anzi
andavano gaudenti ed
allegri dinanzi
dal cospetto del
concilio; però che
degni erano
trovati di patire vergogna e
danno per lo nome di
Jesù".
Il secondo
segno è non ricevere più, ovvero
avere
sazietade. Ché quando il vasello è pieno d'alcuno
liquore non può ricevere altro, così l'uomo
satollo non
appetisce più. E così i santi che hanno riempimento de
la grazia, non possono ricevere altro liquore di
dilettamento
terreno, come
dice Isaia nel primo
capitolo: "Io
sono pieno, e però non volli i sacrificii de' montoni e
'l grasso de gli
animali grassi e 'l sangue di
vitelli e
de gli
agnelli e de'
beccherelli". Simigliantemente perché
hanno
assaggiato la
celestiale
suavezza, però che
non
assetiscono la terrena
volontade.
Dice santo Agostino:
"Chi
berrà del
fiume di paradiso, del quale pure
una gocciola è più che 'l mare maggiore, resta che
questa cotale
sete sia tratta in lui". Questo
segno
ebbero gli
apostoli che nulla cosa vollero avere propia,
ma ogne cosa
dividere insieme tra loro per comune.
Il terzo
segno si è traboccare, come si mostra nel
fiume
ondeggiante, come
dice l'
Ecclesiastico nel
XXIV
capitolo: "Il quale
empie come
Fison la sapienzia".
Propietà di quello
fiume si è traboccare e di
bagnare
le luogora che li sono accostate, secondo la lettera di
ciò. E così gli
apostoli
cominciarono a traboccare, però
che
cominciarono a parlare
diverse lingue; là ove dice
la Chiosa: "Ecco il
segno del loro riempimento; il
pieno vasello trabocca, il
fuoco nel
seno suo non si può
nascondere".
Cominciaro ancora ad
annaffiare le luogora
d'intorno. Onde tanto tosto
cominciò san Piero a
predicare e
convertìo tremilia uomini.
Secondariamente fu mandato lo Spirito Santo in lingue
di
fuoco, ed intorno a ciò sono da vedere tre cose. La
prima perché
congiuntamente venne in lingue di
fuoco;
la seconda perché anzi in
fuoco che in altro
elemento;
la terza perché innanzi in lingua che in altro
membro.
De la prima è da sapere che per tre
ragioni
apparve
in lingue di
fuoco. L'una si è acciò che parlassero
parole
focose; la seconda acciò che predicassero la legge
focosa, cioè la legge de l'
amore. Di queste
due parla
così san Bernardo: "Venne lo Spirito Santo in lingue
di
fuoco, acciò che con le lingue di tutte le genti parlassero
parole di
fuoco, e acciò che le lingue del
fuoco
predicassero la legge
focosa. La terza acciò che
conoscessero
che lo Spirito Santo, il quale è
fuoco, parlava
per loro
bocche, e questo acciò che non si
sconfidassero
e non
attribuissono a loro medesimi il
convertire gli
altri, e tutti udissono le loro parole, come parole di
Domenedio.
De la seconda cosa è da sapere che fu mandato in
ispezie di
fuoco, per molte
ragioni. La prima si
comprende
per li
sette
doni suoi, però che lo Spirito, a modo
del
fuoco,
abbassa le cose
alte per lo
dono del timore,
ammollisce le cose
dure per lo
dono de la puritade,
allumina
le cose
oscure per la scienzia,
restrigne le cose
scorrevole per lo
consiglio,
raffrena le cose
molli per
fortezza,
rischiara e
monda li
metalli, togliendo via
ogne ruggine per lo
dono de lo intelletto, va in su per
lo
dono de la sapienza.
La seconda ragione si prende appresso la sua
dignitade
ed
eccellenzia, però che il
fuoco
avanza tutti gli
elementi in ispezie e in ordine e in vertude.
In ispezie,
per ragione de la
bellezza ch'egli hae ne la luce; in
ordine, per ragione de l'
altezza nel luogo; ne la vertude,
per ragione de la
vigorosanza ne l'operazione. E così
lo Spirito Santo in queste cose
avanza tutte le cose.
Per la prima è
detto lo Spirito Santo non sozzo; per la
seconda è
detto lo Spirito Santo non
comprensibile, il
quale
comprende tutti li spiriti intellettuali; per la terza
è
detto lo Spirito Santo non vincibile, il quale ha ogne
vertù di sapienzia.
La terza ragione si prende appresso la sua moltiplicata
efficacia, ovvero
effetto. Questa ragione
assegna
Rabano e dice così: "Il
fuoco ha
quattro nature:
arde,
purga, iscalda ed
allumina. Simigliantemente lo Spirito
Santo
arde i peccati, purga i
cuori,
caccia la tepidezza,
allumina le ignoranze". Infino qui dice
Rabano.
Arde i peccati, onde dice
Zaccheria
XIII: "Per
fuoco
gli
arderò, sì come s'
arde l'
ariento". Di questo
fuoco
desiderava essere
arso il profeta,
dicendo a
Domenedio:
"
Ardi le
rene mie e 'l
cuor mio". Ancora purga i
cuori, come
dice Isaia, nel quarto
capitolo: "Se Gerusalem
laverà il sangue del
miluogo di sé in ispirito di
giudicio e in ispirito d'
ardore".
Caccia via la tepidezza,
onde si dice di
coloro i quali lo Spirito Santo riempie, ne
la Pistola di santo Paulo a' Romani, nel
XII capitolo:
"Siate
ferventi ne lo spirito".
Adunque in
fuoco
apparve lo Spirito Santo, però
che da ogne
cuore ch'elli riempie, sì ne
caccia la tiepidezza
e 'l
freddo, e
accendelo nel
desiderio de la sua
eternitade.
Allumina le ignoranze, come
dice la Sapienzia
nel
IX capitolo: "Il senno tuo chi saprà, se tu non
darai la sapienza e non manderai lo Spirito Santo
tuo?".
La quarta ragione si prende appresso la natura d'esso
amore; però che l'
amore hae ad essere significato per
lo
fuoco per tre
ragioni. La prima, perché il
fuoco è
sempre in
movimento, e così l'
amore de lo Spirito Santo
sempre fa essere in
movimento di
buona operazione;
onde dice san Gregorio: "Non è mai l'
amore di Dio
ozioso. Ch'elli
adopera grandi cose, là ove elli è; ma
se
anneghittisce d'operare non è
amore".
La seconda perché il
fuoco tra gli altri
elementi è
massimamente
formale e ha poco di materia e molto
di
forma. Così l'
amore de lo Spirito Santo
coloro i quali
e' n'
empie, sì fa avere poco de l'
amore de le cose
terrene
e più de le cose
celestiali e spirituali; sì che non
ama
carnalmente le cose
carnali, ma
amale
ispiritualmente.
San Bernardo sì
distingue
quattro modi d'
amare,
cioè
amare la
carne
carnalmente e lo spirito
carnalmente
e la
carne spiritualmente e lo spirito spiritualmente.
La terza cosa che 'l
fuoco hae ad inchinare le cose
alte e in suso andare e le cose scorrevoli a unire e
ragunare; e per queste tre cose s'intendono tre
forze
d'
amore. Però che lo
amore, sì come si piglia de le
parole di san Dionisio nel
libro di Divini Nomi: "Sì
ha tre virtudi, cioè vertude
inchinativa,
elevativa in
alto, e
ordinativa in
alto e
ordinativa insieme. Vertude
inchinativa, però che inchina le cose disopra a
quelle disotto; vertude
levativa, però che leva le cose
disotto a quelle disopra; vertude insieme
ordinativa, però
che ordina insieme le cose
iguali con le cose insieme
iguali". Insino qui dice santo Dionisio.
Queste tre
forze de l'
amore fa lo Spirito Santo in
coloro i quali elli riempie, però che gl'inchina per l'umiltade
e per
disprezzamento di
coloro; anche gli lieva
nel
disiderio de le cose disopra, e ordinale insieme per
simiglianza di
costumi.
De la terza cosa è da sapere che
apparve
maggiormente
in lingua che in altro
membro per tre
ragioni.
Però che la lingua è uno
membro infiammato del
fuoco
de lo
'nferno, ed è malagevole a governarlo, ed è molto
utile da poi che bene è governato. Adunque perché la
lingua era infiammata del
fuoco infernale, però avea
bisogno del
fuoco de lo Spirito Santo, come
dice sa' Jacopo,
nel terzo
capitolo: "La lingua nostra si è
fuoco". E
perché malagevolemente è governata, però sopra tutti
gli altri
membri avea
bisogno de la grazia de lo Spirito
Santo, onde dice sa' Jacopo nel terzo
capitolo: "Ogne
natura di
bestie e d'uccelli e di serpenti e de l'altre
cose si
doma, e
domate sono da la natura de l'uomo,
ma la lingua neuno de li uomini può
domare". E perch'ella
è molto utile, essendo bene governata, però fu
bisogno che
avesse lo Spirito Santo per suo governatore.
Apparve ancora in lingua a significare che molto fu
necessario a
coloro che predicavano; a' predicatori è
molto necessario però che li fa parlare
ferventemente
sanza paura, e però fu mandato in ispezie di
fuoco.
Dice san Bernardo: "Venne lo Spirito Santo sopr' a'
discepoli in lingua di
fuoco, acciò che parlassero parole
focose, e acciò che le lingue del
fuoco
predicassono".
Con grande
fidanza sanza neuna
pochezza d'
animo, com'è
scritto ne gli Atti de li Apostoli, quarto
capitolo: "Riempiuti
sono tutti di Spirito Santo, e
cominciarono a parlare
con
fidanza la parola di Dio". In molte maniere
per la
capacitade de li uditori, ch'era molto
divisata; e
però è scritto nel
detto
libro, secondo
capitolo, che:
"
Cominciarono a parlare
disvariate lingue". Utilemente
a loro
edificazione e
utilitade, come
dice Isaia nel
XLII
capitolo: "Lo Spirito del Signore
è sopra me in ciò
che m'ha unto".
Nel terzo luogo esse lingue
apparvero seggendo, a
significare che lo Spirito Santo era necessario a
coloro
che
seggiono per alcuna signoria. A li
signoreggianti e
a' giudici è necessario, però che
dàe
autoritade a perdonare
il peccato, come
dice san Giovanni nel
XX capitolo:
"Ricevete lo Spirito Santo; a cui voi perdonerete
i peccati, saranno perdonati". Anche
dàe sapienzia a
giudicare, come
dice Isaia nel
XIII capitolo: "Io porròe
lo spirito mio sopra lui, e
pronunzierà il
giudicamento
tra le genti". Anche
dice mansuetudine a
comportare,
com'è scritto nel
libro de'
Numeri,
undecimo
capitolo:
"Io
darò loro de lo spirito, che è in te, acciò che
comportino
il
carico del popolo con teco". Lo spirito di
Moisé era spirito di mansuetudine, come
dice nel
detto
libro,
XII capitolo: "Era
Moisé mansuetissimo". Anche
dona
ornamento di
santitade ad informare, come
dice
Job nel
XXVI capitolo: "Lo spirito del Signore hae
ornati li
cieli".
Intorno a la sesta cosa, in cui fu mandato lo Spirito
Santo, è da sapere che fu mandato lo Spirito Santo
ne li
discepoli, i quali furono luoghi da ricevere, netti
ed
acconci a ricevere lo Spirito Santo per
sette cose
che furono in loro. Ched e' furono primieramente riposati
ne l'
animo, e ciò si mostra in ciò che
dice: "
Comprendonsi
i dì de la Pentecoste", cioè il dì del
riposo;
però che quella
festa era
diputata a
riposo; onde dice
Isaia nel
LXVI capitolo: "Sopra cui si riposerà lo spirito
mio, se non sopra l'umile e
riposato e c'ha paura
de le mie parole?".
Nel secondo luogo furono uniti in
amore, e ciò si
mostra in ciò che
dice: "Erano tutti
igualmente".
Però ch'elli aveano un
cuore e un
animo; ché sì come
lo spirito de l'uomo non fa
vivi i
membri del
corpo se
non sono insieme uniti; così
addiviene de lo Spirito
Santo a'
membri spirituali: E sì come il
fuoco si spegne
per lo spartire de la legna, così fa lo Spirito Santo ne
li uomini per la
discordia. E però si
canta de li
apostoli:
"Come lo Spirito Santo gli trovò
concordevoli ne
la
carità e
alluminogli la traboccante
carità de la
divinità
de la
deitade".
Nel terzo luogo furono segreti, e ciò si mostra in ciò
che
dice "In uno medesimo luogo", cioè nel
cenacolo;
onde dice Osea profeta: "Io la
menerò in
solitudine
e parlerò al
cuore suo".
Nel quarto luogo furono
continui in orazione, onde
dice più innanzi: "Erano d'uno
animo
perseveranti in
orazione". Onde noi
cantiamo di loro: "Orando gli
apostoli,
annunzia ch'egli è venuto Dio". E che l'orazione
sia necessaria a ricevere lo Spirito Santo mostrasi
nel
libro de la Sapienza,
VII capitolo: "Io
chiamai e
venne in me lo spirito de la sapienza". Anche
dice
san Giovanni nel
XIV capitolo: "Io pregherò il Padre
e
darammi un altro
consolatore".
Nel quinto luogo furono ornati d'umilitade; e questo
si mostra in ciò che
dice
seggenti, come
dice il Salmo:
"Il quale manda fuori le
fontane ne le valli", cioè
la grazia de lo Spirito Santo
dona a li umili. E Isaia
dice nel sessantesimo
capitolo: "Sopra cui si riposa
lo spirito mio, se non sopra l'umile e
riposato?".
Nel
sesto luogo furono
congiunti ne la pace; e questo
si mostra in ciò che
dice ch'erano in Gerusalem, la
quale vale tanto a
dire come visione di pace. E che la
pace sia necessaria a ricevere lo Spirito Santo,
mostralo
il Signore nel Vangelio di san Giovanni,
XX capitolo, là
ove prima offerse la pace
dicendo: "Pace a voi".
Poscia incontanente soffiò inverso loro e disse: "Ricevete
lo Spirito Santo".
Nel settimo luogo
furo levati per
contemplazione; e questo
si mostra in ciò che nel
cenacolo disopra ricevettono lo
Spirito Santo; onde dice la Chiosa in quello luogo: "Colui
che
desidera lo Spirito Santo stropiccia l'
abitazione de
la
carne, trapassando per
contemplazione de la
mente".
Intorno a la settima cosa, cioè per che fare fu mandato,
è da sapere che fu mandato per
sei
cagioni, le
quali sono
notate in questa
autoritade: "Il
consolatore
Spirito Santo, lo quale manderà il Padre nel nome
mio, elli v'
ammaesterrà di tutte le cose".
Primieramente fu mandato a
consolare i tristi; e ciò
si mostra quando dice: "Il Paraclito" che tanto è a
dire come
consolatore, come
dice Isaia nel
LXV capitolo:
"Lo spirito del Signore sopra me" e poscia seguita
un poco oltre: "E a ponere
consolazione a
coloro
che piangono in Sion".
Dice san Gregorio: "
Consolatore
è
detto lo spirito, il quale, mentre che
apparecchia la
speranza del perdonamento a
coloro che piangono del
peccato c'hanno
commesso, sì leva la
mente de l'
afflizione
de la
tristizia".
Secondariamente fu mandato a fare de' morti vivi; e
questo si mostra in ciò che
dice: "Spirito" però che
lo spirito è quello che vivifica, come
dice
Ezechiel nel
XXXVII capitolo: "Ossa
secche, udite la parola del
Signore,
ecco che io manderò lo spirito in voi e viverete".
Nel terzo luogo fu mandato a santificare i non puri;
e ciò si mostra quando dice: "Santo" che sì come è
detto spirito che fa vivo, così Santo perché santifica e
monda. Onde tanto è a
dire come mondo.
Dice il Salmo:
"L'
impeto del
fiume", cioè la traboccante e
abbondante
grazia de lo Spirito Santo
rallegra la
città di Dio,
cioè la Chiesa di Dio, e per quello
fiume santificòe l'
Altissimo
il
Tabernacolo suo.
Nel quarto luogo fu mandato a
confermare l'
amore
tra '
discordevoli e li
odiosi; e ciò si mostra in questo
che
dice il Padre: "Padre è
detto in ciò che
naturalmente
ama noi, come
dice san
Joanni nel
XIII capitolo:
"Esso Padre
ama voi". S'egli è Padre e noi suoi
figliuoli, e
fratelli insieme, e tra
fratelli suole essere
amistade.
Nel quinto luogo fu mandato a salvare gli giusti; e
questo si mostra in ciò che
dice: "Nel nome mio, il
quale è Gesù,
ed è interpretato salute".
Nel nome
dunque di Gesù, cioè
Salvatore il Padre mandò il Figliuolo
per mostrare ch'elli era venuto a salvare le
genti.
Nel
sesto luogo fu mandato ad
ammaestrare i non
sapienti; e questo si mostra in ciò che
dice: "Elli
v'
ammaesterrà di tutte le cose".
Intorno a l'ottava cosa è da sapere che fu
dato ovvero
mandato ne la primitiva Chiesa;
primo per l'orazione,
onde venne quando gli
apostoli oravano e santo
Luca dice nel
III capitolo: "Orando Gesù,
discese lo
Spirito Santo". Secondariamente venne per lo
devoto e
attento udire de la parola di Dio, come è scritto ne li
Atti de gli Apostoli
decimo
capitolo: "Parlando ancora
san Piero
cadde lo Spirito Santo sopra
coloro che udìano
la parola". Nel terzo luogo per
continua orazione, e
ciò si mostra ne lo imporre de le mani, come è scritto
ne li Atti de li Apostoli, ne l'
VIII capitolo: "Allor ponevano
le mani sopra loro e riceveano lo Spirito Santo".
Ovvero che lo imporre de le mani significa l'
assoluzione
che si
fae ne la
confessione.
cap. 69, S. Gordiano
Gordano, vicario di Giuliano imperadore,
costrignendo
uno
cristiano, il quale avea nome Januario a sacrificare
a l'idole,
convertissi elli e la moglie
di nome Mariria
e LIII uomini a la fede, per la predicazione del
detto Januario,. Udendo ciò Giuliano,
comandò che Januario
fosse messo in
bando e
Gordano, se non volesse
fare sacrificio, perdesse la testa. Fue dunque tagliato il
capo a
Gordano, e gittato il
corpo suo a'
cani per
VIII dì.
Ma essendo rimaso al postutto sanza essere toccato, a la
perfine il tolse la
famiglia sua e
sotterrarolo con santo
Epimaco, lo quale avea il
detto Giuliano per
adrieto fatto
uccidere. E furono
riposti non molto di lungi da Roma,
forse uno migliaio, intorno a gli
anni
Domini
CCCLX.
cap. 70, SS. Nereo e AchilleoLa passione di costoro scrissero
Eutices e
Vittorino e
Macrone, servi di Cristo.
Nereo ed Achilleo
furono servi e
camerieri de la
donzella
Domicilla, nepote di
Domiziano imperadore, i
quali san Piero
apostolo
battezzòe. Essendo la
detta
donzella maritata ad
Aureliano, figliuolo del
consolo, e
coprendosi di
gemme e di vestiri di porpore,
Nereo e
Achilleo
predicarono la fede e raccomandarono moltiplicatamente
la verginità, mostrando che molto la
verginità
è prossimana a Dio,
suora de gli
Angeli, unita
a li uomini. La moglie è sottoposta al
marito,
battuta
di pugni e di
calci, e spesse volte
avvegnono di sozzi
partorimenti; ancora quella che potea patire appena
i
dolci
ammonimenti de la madre, sì le
conviene patire
le grandi
garriti del
marito.
E quella intra l'altre cose disse queste: "Io so che
'l padre mio fu geloso, e la madre
patìo molte
vergogne
da lui, or sarebbe cotale il
marito mio?" E quelli
disse
ro:
"Mentre che sono sposi paiono molto
benigni; ma
quando sono
fatti mariti signoreggiano
crudelmente, e
talora mettono le
fancelle sopra a le
donne. Ogne
santità
perduta si puote
raccattare per la penitenzia; sola
la
verginitade non può essere recata a lo stato suo (il
peccato si puote
cacciare via per la penitenzia, ma la
verginitade non si puote
raccattare), in modo ch'ella
aggiunga a lo stato
della
santità di prima".
Allora la
donzella, ch'avea nome
Flavia
Domicilla,
credette e fece voto di
virginitade e fue velata da san
Clemente. La qualcosa udendo lo sposo,
accattato che
ebbe la grazia da
Domiziano imperadore, mandòe la
detta
vergine con i
detti santi
Nereo e Achilleo ne l'
isola di
Ponto,
credendosi per questo modo potere
mutare il proposito
e 'l proponimento de la vergine. E dopo
alquanto
tempo essendo elli
andato a la
detta
isola, e inducendo con
molti
doni i santi che
confortassero la vergine al suo
consentimento,
egli rifiutando al tutto i
doni, ma
maggiormente
la
confortavano in Gesù Cristo. Per la quale cosa
essendo
costretti a sacrificare,
dicendosi
battezzati da san
Piero
apostolo e che per niuno modo potrebbono fare sacrificio
a l'idole, furono a lo
ro tagliate le teste, e li
corpi loro furono posti a lato a quello di santa
Petronella.
E gli altri santi, cioè
Vettorino,
Euticene e
Macrone
a i quali la
donzella s'
accostava, sì li
facea lavorare
ne'
campi suoi tutto dì, come s'elli fossero suoi
fedeli, e la sera entro 'l vespro,
dava loro a
manicare
pane di crusca.
A la perfine tanto fece
battere
Euticen, che mandò
lo spirito fuori; e
Vettorino fece
affogare in
acque
putenti,
e
Macrone fece
sopprimere d'una grande pietra.
E
abbiendoli gittato addosso una grandissima lapida, tale
che
LXX uomini appena non la poteano muovere, esso
santo prese la
detta lapida e portolla in
collo, come lieve
paglia, da ivi a
due miglia; e abbiendo per questo
creduto
molti in Cristo, il
consulare il fece uccidere.
Poscia fece
Aureliano
rimenare la
donzella da'
confini
e
mandolle
due vergini di sua
etade, notricate insieme
con lei,
Eufrosina e
Teodora, che la
confortassono
di
consentirli; ma la
donzella le
convertìo a la fede.
Allora venne
Aureliano con li sposi di quelle
due
donzelle e con tre trastullatori a la
donzella, per fare
le nozze sue e per
oppriemerla
almeno isforzatamente.
Ma abbiendo la
donzella
convertiti e'
detti giovani,
Aureliano
misse la
donzella in
camera e
fecevi
cantare ivi
e gli altri fece
ballare con seco,
volendola poscia
corrompere.
Ma vegnendo meno gl'inni a
cantare e gli
altri a
ballare, esso per
due dì non
cessò di
ballare,
infino a tanto che vegnendo meno saltando, mandò via
il
fiato.
E
Lussurio suo
fratello,
accattata che ebbe la licenzia,
uccise tutti
coloro che aveano
creduto, e misse
fuoco in quella
camera dove le
dette vergini
dimoravano;
e quelle, stando in orazione, renderono lo spirito a
Domenedio.
E le
corpora loro san
Cesario ritrovò la mattina
e non
danneggiate missele in
sepoltura.
cap. 71, S. Pancrazio
Pancrazio, nato di gentilissimi padre e madre, essendo
rimaso sanza padre e sanza madre ne la provincia di
Frigia, fu lasciato sotto
cura di Dionisio suo
zio. Sì che
ambedue tornarono a Roma, là
dove aveano uno largo
patrimonio; e ne la loro
contrada stavano a lato san Cornelio
papa con gli altri
cristiani. Del quale Cornelio
abbiendo i
detti Dionisio e
Pancrazio ricevuto la fede
di Cristo, a la perfine Dionisio morìo in pace e
Pancrazio
fu preso e
menato dinanzi a lo 'mperadore.
E era
Pancrazio giovane quasi di
XIV anni, al quale
disse lo 'mperadore: "
Fanciullo, io ti
conforto che non
ti lasci morire di
mala
morte, imperò che, con ciò sia
cosa che tu sia
fanciullo,
agevolemente ti lasci ingannare;
e perché tu mostri d'essere gentile persona e
fosti figliuolo
d'un
carissimo mio
amico,
priegoti che tu ti
parti da questa mattezza, sì ch'io ti tenga come per
mio figliuolo". Disse
Pancrazio: "Se io sono
fanciullo
del
corpo, impertanto sì abbo
cuore di vecchio, e per
vertude del nostro Signore Gesù Cristo la vostra minaccia
è tanto
appo noi quanto quella
dipintura che
noi veggiamo; ma gl'idoli tuoi, che tu mi
conforti
ch'io
adori, furono ingannatori e de le loro
serocchie
corrompitori, a' quali non perdonarono anche a le loro
madri e a i loro padri. Che se tu sapessi oggi tal cosa de'
tuoi servi, immantanente gli
faresti uccidere. Che tali
dei
mi
maraviglio che tu non ti vergogni d'
adorare".
Lo imperadore riputandosi vinto da uno
fanciullo,
comandò che fosse
dicollato ne la via
Aureliana; il cui
corpo,
Ottovilla senatrice,
seppellìo
diligentemente.
Di costui
dice Gregorio di Torno che
chiunque
volesse al suo sepolcro fare un
falso sacramento, anzi
che venga al
cancello del
coro od egli è preso dal
demonio,
od elli
cade in terra e muore immantanente.
Una grande
briga era nata tra
due, e 'l giudice non sapea
chi
avesse la
colpa. Sì che il giudice, essendo geloso
de la giustizia,
menogli
ambedue a l'
altare di san Piero,
e iviritto
constrinse il
colpevole che giurasse la verità
di quello che
diceva, che non ne
aveva
colpa; e pregòe
l'
apostolo che 'l mostrasse per alcuno giudicio.
Abbiendo quelli giurato e non
avuto male veruno, il
giudice, abbiendo
coscienzia de la sua malizia, acceso di
zelo di giustizia
cominciò a gridare e a
dire: "Questo
vecchio san Piero od elli è troppo pietoso, od elli fa
onore al più giovane!
Andiamo a san
Pancrazio giovane,
e da lui
richeggiamo il vero". Essendo dunque venuti,
e 'l
colpevole essendo ardito di giurare la
falsità sopra
l'
avello di colui, non
poté ritrarre la mano a sé, e poco
stante morì iviritto. Onde infino al dì d'oggi si tiene
che sopra le reliquie di san
Pancrazio si fa
giuramento
per gravi cose che
accagiono.
Poi ch'è
detto è de le
feste che vegnono fra 'l tempo
de la
riconciliazione, lo quale tempo rappresenta la
Chiesa da la
Pasqua infino a l'ottava di Pentecoste,
viene ora a vedere de le
feste che vegnono fra 'l tempo
de la pellegrinazione, lo quale tempo rappresenta la
Chiesa da l'ottava di Pentecosta infino a l'Avvento. E
'l principio di questo tempo non
comincia tuttavia, ma
variasi come il termine de la
Pasqua.
cap. 72, S. Urbano
Urbano fu papa dopo
Calisto; al cui tempo essendo la
grande persecuzione sopra i
cristiani, a la perfine prese
lo 'mperio
Alessandro, la cui madre
Ammea era
cristiana,
che l'avea
convertita Origene. Ella con
prieghi
materni indusse il figliuolo che si rimanesse di perseguitare
i
cristiani; ma pertanto
Almachio, perfetto di
Roma, il quale avea fatto
dicollare santa Cecilia,
incrudelìa
fortemente sopra i
cristiani, sì che fece
diligentemente
cercare per santo
Urbano, e trovato che fu in
una spelonca con tre preti e tre
diaconi,
comandò
che fosse messo in
carcere.
Poscia lo si fece venire innanzi, e
appuoseli che con
la scomunicata Cecilia avea ingannato
cinque milia
uomini
e con
Tiburtino e
Valeriano gentili uomini, e
raddomandòe li
tesauri di santa Cecilia. Al quale disse
santo
Urbano: "E mi
pare vedere che più t'induce a
incrudelire contra i
cristiani la
cupidezza de l'avere, che
non fa l'onore de li
dei; il
tesoro di Cecilia è salito
in
cielo per mano di poveri".
Battendo dunque santo
Urbano e'
compagni con verghe
di piombo, e elli
chiamando il nome di Dio
Elion, sorridendo
il prefetto disse: "Savio vuole parere questo
vecchio, e però parla cose non sapute ora".
Sì che non potendo essere soperchiati, furono
rinchiusi
un'altra volta in
carcere; nel quale luogo vegnendo a
lui tre
conostaboli, santo
Urbano gli
battezzò, con esso
il guardiano de la
carcere, che avea nome
Anolino.
Udendosi che
Anolino era fatto
cristiano, fu presentato
al prefetto, e non vogliendo sacrificare fu
dicollato,
e santo
Urbano con gli
compagni fu
menato a
l'idolo e fu costretto che ponesse lo 'ncenso. Allora
orando santo
Urbano lo idolo
cadde, e
morironvi
XXII
preti che ministravano il
fuoco del sacrificio. Allora i
santi furono isquarciati gravissimamente e poscia furono
menati a sacrificare; i quali,
isputando in quello
idolo,
armarono le loro
fronti con la Croce, e
datosi insieme
bascio di pace, ricevettero sentenzia de la testa,
intorno a gli
anni
Domini
CCXX. Ma
Carpasio fu immantanente
preso dal
demonio; e allora,
biastemmiando li
suoi idei e magnificando i
cristiani, mal volentieri fu
affogato dal
demonio. Veggendo ciò la moglie sua Armenia
con la
figliuola sua
Lucina e con tutta la
famiglia,
ricevette il
battesimo di san
Fortunato prete,
e dopo queste cose
seppellìo onorevolemente i
corpi de'
santi.
cap. 73, S. Petronella
Petronella, la cui vita scrisse san
Marcello, sì fu
figliuola
di san Piero
apostolo; la quale essendo molto
bella e per
volontà del padre essendo
affaticata di
febbre,
mangiando a
casa sua i
discepoli, disse a lui
Tito:
"Con ciò sia cosa che tutti gl'infermi siano guariti da
te, perché lasci tu
Petronella giacere inferma?"
Al quale rispose san Piero: "Perché così le fa
bisogno;
ma acciò che non si
creda ch'ella non possa essere
guarita per le mie parole, io
dico a lei: Leva su,
Petronella, tosto e servi qui a noi". Quella, incontanente
guarita, si levò ritta e serviva loro.
Compiuto ch'ella ebbe di servire, disse a lei san Piero:
"
Petronella, riedi e
torna al luogo tuo". Quella vi ritornò
incontanente e riebbe la
febbre, come s'
aveva
prima; e poi ch'ella
cominciò ad essere perfetta nel
timore di Dio, sì la
sanòe
perfettamente.
Sì che il
conte
Flacco venne a lei, acciò che per la
bellezza di lei la togliesse per moglie. Al quale ella rispuose:
"Se tu mi
desideri d'avere per moglie,
fammi
venire le vergini che mi
debbiano
accompagnare insino
a
casa tua". E quegli
apparecchiandole,
Petronella
cominciò
a soprastare in
digiuni e in orazione, e ricevendo
il
corpo del Signore e inchinandosi a giacere nel letto
dopo tre dì passòe al Signore.
E 'l
conte
Flacco vedendosi beffato rivolsesi a
Felicula,
ch'era
compagna di
Petronella, e
comandò che od
ella il prendesse per
marito, od ella sacrificasse a li
dei. E quella non vogliendo fare né l'una cosa, né
l'altra, il prefetto la fece stare in pregione
VII dì sanza
manicare e sanza
bere, e poscia la fece tormentare tanto
a la
colla che l'uccise, e 'l
corpo suo gittòe nel luogo
di
fastidio; ma santo
Niccodemo il levò quindi, e misselo
in
sepoltura onorevolemente. Onde
Niccodemo fu
richiesto dal
conte
Flacco e non volendo sacrificare, fu
battuto con piombati, e gittato il
corpo suo nel Tevere;
ma poi ne fu tratto da Giusto suo
cherico, e fu soppellito
onorevolemente e posossi in
santità con Cristo.
Poi che
avemo
detto de le
feste del mese di Maggio,
diremo ora quelle del mese di Giugno.
cap. 74, S. Pietro esorcistaPiero
esercisto essendo
sostenuto in
carcere da
Archemio,
e sendo la
figliuola del
detto
Archemio tormentata
dal
demonio, il padre per questo la piagneva spesse
volte, e san Piero le disse che se
credesse in Cristo che
la
figliuola sua sarebbe immantinente liberata. Al quale
disse
Archemio: "Io mi
fo maraviglia per quale ragione
lo tuo Iddio potrà liberare la mia
figliuola, che non
puote liberare te, che
patisci
cotanto per lui!" Al quale
disse san Piero: "Egli è bene potente il mio Iddio di
liberarmi, ma vuole che per la passione
passatoia pervegnamo
a la gloria sempiternale". Al quale disse
Artemio: "Se
raddoppiando me le
catene sopra te, lo
tuo Iddio ti libera e la mia
figliuola sanica, immantanente
ti
crederrò".
Ed essendo ciò fatto, san Piero, vestito di vestimenti
bianchi e tenendo la
croce in mano,
apparve a lui, e
quelli sì gli si voltò a' piedi, e la sua
figliuola fu
sanata; e elli con tutta la
casa sua ricevette il
battesimo,
e lasciò andare sani e
sicuri gli altri incarcerati
chiunque si volesse fare
cristiano; e
credendo, molti altri
furono
battezzati da san
Marcellino prete.
Udendo ciò il prefetto, tutti gl'
incarcerati fece menare
a sé; li quali
Archemio
chiamò e,
basciando le mani loro,
disse che se alcuno volesse venire al martirio, venisse
senza paura, e chi non volesse,
andasse via sanza
danno.
E trovando il giudice che san
Marcellino e Piero gli
avea
battezzati, sì li
chiamò a sé e
rinchiuselli in prigione
ispartiti insieme.
Marcellino fu gittato per terra ignudo su per lo
vetro
minuzzato, e
fugli tolto il lume ne la prigione e l'
acqua;
e Piero fu messo ne l'altra prigione, e costretto in uno
strettissimo
ceppo. Ma l'
angelo di Dio, vedendo
Marcellino e sciogliendolo, sì lo rimisse in
casa d'
Archemio
con esso Piero, e
comandò loro che per
VII dì
confessassero lo popolo, e poscia si presentassero al
giudice.
Con ciò dunque fosse
cosa che 'l prefetto non gli
avesse trovati ne la
carcere, fecesi venire innanzi
Archemio;
e veggendo che non volea sacrificare a li
dei,
comandò che fosse rovinato egli e la moglie entro la
terra.
Udendo ciò Marcellino e Pietro vennero a quel
luogo, e in quella volta san
Marcellino disse la
Messa
difendendo sì li
cristiani. E
dissero i santi a
coloro che
non
credeano: "
Ecco che noi
avremo potuto
campare
Archemio e nascondere noi medesimi; né l'uno, né
l'altro
abbiamo voluto fare".
Allora adirati i pagani uccisero
Archemio col
coltello,
e la madre con la
figliuola uccisero con le pietre, e
menarono san
Marcellino e Piero a la selva
nera, la
quale per loro martirio è
chiamata selva
candida, e quivi
sì li
decollarono. Le cui
anime il giustiziere, che
avea nome
Doroteo, vidde portare in
cielo, vestite di
vestimenti
bianchi e di
gemme, per mano d'
angeli,
ond'elli
diventò
cristiano e poi morìo in santa pace.
cap. 75, Ss. Primo e Feliciano
Primo e
Feliciano furono
accusati a
Diocliziano e a
Massimiano imperadori da' Pontifici de' tempii in questa
maniera; che se non li
faranno sagrificio a li
dei, non
potranno ricevere neuni
beneficii da loro. Sì che per
comandamento de l'imperadori furono
rinchiusi in pregione;
ma, essendo isciolti e liberati da l'
angelo, furono
un'altra volta poscia
appresentati a lo 'mperadore. I
quali stando
fermi ne la fede, furono
crudelmente squarciati
e spartito l'uno da l'altro. Disse il preside a
Feliciano
che
desse
consiglio a la vecchiezza sua, e sacrificasse
a li
dei. Al quale disse
Feliciano: "
Ecco ch'io
abbo già
LXXX anni, e
XXX anni sono ch'io
conobbi
la verità e
elessi di servire a Dio, il quale mi puote
liberare da le tue mani".
Allora
comandò il preside che fosse legato e
attaccato
con sottili
chiovi ne le mani e ne' piedi
e disse
a lui: "Tanto starai così che tu ci
consentirai". E
stando così con la
allegra
faccia,
comandò il preside
che in quello luogo fosse tormentato, e al postutto non
li fosse
dato nulla da mangiare.
E poscia si fece menare san Primo, e sì li disse:
"
Ecco che 'l
fratello tuo ha
consentito a'
comandamenti
de lo 'mperadore, e per questo gli è fatto grandissimo
onore ne la
corte; or fa tu così altressì". Al
quale quelli disse: "
Avvegnadio che tu sii figliuolo del
diavolo, ma pure in parte hai
detto il vero, ché 'l
fratello
mio hae
acconsentito a i
comandamenti de lo 'mperadore
celestiale". Allora il preside adirato
comandò
che i
costati gli fossero incesi con le
faccelline, e 'l
piombo
bogliente
messogli per bocca, veggendo ciò
Feliciano,
acciò che più si spaventasse; ma elli sì
bevette
il piombo soavemente come fosse
acqua
fredda.
Allora il preside adirato
comandò che
due leoni fossero
loro
messi addosso; i quali leoni si gittarono immantanente
a' piedi loro e, come
agnelli mansueti,
stettero dinanzi a loro. Anche misse loro addosso
crudeli
orsi, e come i leoni
diventarono mansueti.
Erano a questo
sguardamento più di
XII migliaia
d'uomini, de' quali ne
credettero
cinque
cento in Gesù
Cristo. E 'l preside fece
dicollare i santi e le loro
corpora
gittare a i
cani e a gli uccelli; ma non essendo
neente tocchi da loro, furono spogliati e seppelliti da'
cristiani e onorevolemente. E' furono
martirizzati intorno
a gli
anni
Domini
CCLXXXVII.
cap. 76, S. BarnabaFue
avvegnente,
consolante,
profetante e
conchiudente.
Avvegnente fu
discorrendo e predicando per lo
mondo, e ciò si mostra in ciò che fu
compagno di san
Paolo;
consolante fu
consolando i poveri e li
sconsolati:
i poveri a' quali portò la
limosina, gli
sconsolati a i quali
mandò le Pistole da parte de li
Apostoli; profetante fu,
imperciò ch'ebbe ispirito di
profezia;
conchiudente fu
imperciò che grande
moltitudine
conchiuse ne la fede
e
raunòe, e ciò manifesta quando elli andò in Antiochia
mandatovi da l'
Apostolo. Di queste
quattro cose è scritto
ne li Atti de li Apostoli, ne lo
XI capitolo: "Era un
uomo, cioè uno
franco uomo quanto al primo;
buono
quanto al secondo; pieno di Spirito Santo quanto al
terzo e pieno di fede quanto al quarto".
La sua passione
compose
Joanni, il quale fue anche
chiamato Marco suo
consobrino, e
massimamente de la
visione del
detto Giovanni infin presso ch'a la fine, la
quale si crede che
Beda
traslatasse di greco in
latino.
Barnabas
Levites fue natìo di Cipri, il quale fue uno
di
LXXII discepoli di Cristo. Ne la storia de li Atti de
li Apostoli in molte cose è
aggrandito e lodato, imperò
che fue troppo bene informato e ordinato e quanto a
sé e quanto a Dio e quanto al prossimo. Quanto a sé
fu ordinato secondo tre
potenzie, cioè la razionale e
la
concupiscibile e la
rascibile. Però ch'elli ebbe la
razionabile
alluminata di lume di
conoscimento, onde
dicono gli Atti de li Apostoli, nel
XIII capitolo: "Erano
ne la chiesa, la quale è ad Antiochia, presenti e'
dottori
co' quali era
Barnaba e Simone". Secondariamente ebbe
la
concupiscibile, purgata da la
polvere de la
mondana
affezione; onde è scritto ne li Atti de li Apostoli, quarto
capitolo che
Josep, il quale avea il soprannome
Barnaba,
avendo uno
campo sì lo vendé e recò il prezzo e
puoselo
a' piedi de li
Apostoli. Laonde la Chiosa: "Prova
d'
abbandonare quel che vieta di toccare e
ammaestra
ch'è da
calcare l'oro che sottopone a' piedi de li
Apostoli".
Nel terzo luogo ebbe l'irascibile,
fortificata de
la grandezza
de la probità; e queste cose ebbe ovvero
prendendo a fare le cose malagevoli, ovvero con
perseveranza
sostenendo le cose
contrarie.
Imprima
dico prendendo a fare le cose malagevoli,
come si manifesta in ciò che prese a
convertire quella
grandissima
cittade Antiochia, sì come si mostra ne li
Atti de li Apostoli nel nono
capitolo che, vegnendo Paulo
in Gerusalem dopo il suo
convertimento, e volendosi
congiungere co'
discepoli, e ellino
fuggendolo come gli
agnelli il lupo,
Barnabas sì 'l prese
arditamente e
menollo
a gli
Apostoli.
Con
perseveranza operando le cose
forti, per ciò che
maceròe il
corpo suo con
digiuni e
afflisse; ond'è iscritto
di
Barnaba e d'
alquanti altri nel
XIII capitolo de li Atti
de gli Apostoli: "
Mentre che serviano a
Domenedio
e digiunavano ecc.".
Anche fue grande in prodezza con grande
costanzia
sostenendo le cose
avverse, sì come gli
apostoli gli
danno
testimonianza quando
dicevano: "Con i
carissimi nostri
Barnaba e Paulo uomini i quali hanno
dato l'
anime loro
per lo nome di messere Gesù Cristo".
Secondariamente fu ordinato quanto a Dio, rendendo
onore a l'
autoritade e a la maestade e a la
bontà di
Dio. A l'
autoritade, e ciò si manifesta in ciò che non
prese elli l'officio del predicare, ma per
autorità di Dio,
come è scritto ne li Atti de li Apostoli
XIII capitolo:
"Disse lo Spirito Santo:
sceveratemi
Barnaba e Paulo
ne l'operazione a la quale io gli ho
presi". Anche a
la maestà di Dio, però che, come è scritto ne li Atti,
XIII
capitolo, volendo alcuni
attribuire a lui la maiestà
divina, e a lui, come
Domenedio, fare sacrificii
chiamando
lui Giove sì come primiero, e Paulo Mercurio sì come
savissimo e
bello parladore, immantanente
Barnaba e
Paulo si stracciarono i panni di
dosso e
cominciarono a
gridare: "Uomini che
fate voi? Or noi siamo uomini
mortali somiglianti a voi, che vi predichiamo che voi
vi
dobbiate
convertire da queste cose vane a Dio vivo?"
Anche rende onore a la
bontà di Dio, però che, come
è scritto ne gli Atti de li Apostoli,
XV capitolo, volendo
alcuni de' giudei
convertiti a la fede
strignere e menovare
la
bontà de la Grazia di Dio, per la quale, di grazia
e non per la legge siamo salvati,
dicendo
coloro
che sanza la
circuncisione queste cose non
bastavano,
allora Paulo e
Barnaba
contradissero loro vigorosamente,
e mostrarono che sola la
bontà de la grazia di Dio
bastava
sanza la legge. Sopra tutto questo si recaro questioni
a gli
apostoli, e contro a loro
errore impetrarono
lettere da gli
apostoli.
Nel terzo luogo fue troppo bene ordinato quanto al
prossimo, imperciò che pascette la grazia di Dio di parole,
d'
essempli e di
beneficio. Di parole, imperò che
sollicitamente
predicòe la parola di Dio; onde si dice ne li
Atti,
XV capitolo: "Paulo e
Barnaba
dimoravano ad Antiochia
ammaestrando e predicando con molti altri la parola
di Dio". E ciò si manifesta ancora per quella grandissima
moltitudine, la quale
convertìo ad Antiochia, intanto
che prima furono
chiamati quivi i
discepoli
cristiani.
Nel secondo luogo per
essemplo, imperò che la vita sua fue
a tutti
specchio di
santitade ed
essemplo di religione.
Ched e' fue in ogni sua opera vigoroso e stante,
isplendiente
di tutta
bontà di
costumi, pieno d'ogni grazia di
Spirito Santo e chiarito in ogni virtude e ne la fede.
Di queste
quattro cose si tocca ne li Atti,
XV capitolo:
"Mandarono
Barnaba in Antiochia", e poi dice
più innanzi: "
Confortavali tutti in proponimento del
cuore permanere in
Domenedio, imperciò ch'era uomo
buono, pieno di Spirito Santo e di fede".
Nel terzo luogo per
beneficio; e questo in
due maniere,
però ch'egli è
beneficio di
due maniere, ovvero
limosina,
cioè temporale, la quale istà in sovvenire ne le necessitadi,
e la spirituale, la quale sta in perdonare l'offesa.
La prima ebbe santo
Barnaba quando portòe la
limosina
a i frati ch'erano in Gerusalem, come si dice ne li Atti,
XI capitolo: "Essendo venuta la grande
fame al tempo
di
Claudio, secondo c'avea
profetato
Agabo, i
discepoli
ciò ch'
avieno
propuosono di mandare in
apparecchiamento
a' frati ch'
abitavano in Giudea; e ciò
fecero mandando
a' più vecchi per mano di
Barnaba e di Paulo".
La seconda quando
a Giovanni, il quale avea
soprannome Marco, perdonòe l'offesa; con ciò fosse
cosa che 'l
detto
discepolo
avesse
abbandonato
Barnaba
e Paulo, ritornando elli e pentendosi,
Barnaba gli perdonòe
e
ricevettelo anche per
discepolo; ma Paulo
nol
volle ricevere per
discepolo; e però venne lo spartimento
tra loro. E
ciascuno lo fece per santa cagione e
buona
intenzione; in ciò che
Barnaba lo ricevette, ciò fece elli
per
dolcezza di misericordia; e che san Paulo non lo
volse ricevere, ciò fece elli per
dirittura di
fervore. Però
che, sì come
dice la Chiosa in quello luogo nel
XV capitolo
de li Atti: "Imperò che ordinandosi ne la
fronte
de la
faccia era stato troppo tiepidamente, a grande
ragione il
cacciò via san Paulo, acciò per lo suo male
essemplo non si
corrompessono le
forze de gli altri".
E quello spartimento non si fu fatto da
commozione
di vizio, ma fu ordinamento de lo Spirito Santo, acciò che
si
sceverassono insieme e predicassero a più persone,
sì come poi
addivenne.
Ché essendo
Barnaba ne la
città d'
Iconia al
detto
Giovanni, suo
consubrino,
apparve in visione un uomo
splendiente, e sì li disse: "Giovanni oggimai
sie tu
costante e fermo, ché tu non sarai
chiamato Giovanni, ma
eccelso". La qual cosa abbiendo quelli raccontato a san
Barnaba, egli gli rispuose: "Or guarda
diligentemente
che tu non lo
palesi quello che tu hai veduto, imperò
che a me simigliantemente
apparve
stanotte e disse:
"
Sie
costante
Barnaba, imperò che tu riceverai gli
eternali
doni in ciò che tu hai
abbandonata la gente tua
e l'anima tua per lo nome mio".
Abbiendo dunque Paulo e
Barnaba predicato lungo
tempo in Antiochia, l'
angelo di Dio
apparve a san Paulo,
e disse: "Studiati di venire in Gerusalem, però che
alcuni frati v'
aspettano la venuta tua". Sì che volendo
Barnaba andare in Cipri a
rivedersi co'
parenti
suoi, e Paulo in Gerusalem per
inizzamento de lo Spirito
Santo, si spartirono insieme. Ma abbiendo san Paulo
manifestato a san
Barnaba ciò che l'
angelo gli avea
detto, rispuose
Barnaba: "Sia fatta la
volontà di Dio,
ché ora me ne vado in Cipri, e là
compierabbo i dì
miei e non ti vedrò più". E così piangendo, si gettò
umilemente a' piedi di san Paulo. E lui sì gli disse:
"Non piangere per ciò, ché così è il volere di Dio; ché
istanotte
apparve il Signore a me e disse: "Non vietare
a
Barnaba che vada in Cipri, imperò che v'
alluminerà
molta gente e
compierà il martirio".
Sì che
giugnendo
Barnaba in Cipri con Giovanni, portò
seco il Vangelo di san Marco, e ponendo le mani
sopra l'infermi, molti ne
sanòe con la virtù di Dio. Ed
essendo usciti di Cipri trovarono
Elima mago, al quale
san Paulo avea privato a tempo del lume de li occhi;
il quale mago
contrastette loro e vietò loro d'
entrare
in Pafo.
Sì che un
die vidde san
Barnaba uomini e
femmine
correre ignude e fare loro
feste, ond'elli
conturbato di
ciò, maladisse quello tempio, e subitamente ne rovinò
una parte e
abbattenne molti di loro.
A la perfine
capitòe a Salamina e in quel luogo il
detto mago
commosse grande romore di popolo contra
lui, sì che presero li giuderi san
Barnaba; e poi che
l'
ebbero molto ingiuriato sì 'l traevano e studiavansi
di
darlo a punire al giudice de la
città.
Sì che
spiato che
ebbero ch'
Eusebio, grande uomo e
potente del
legnaggio di
Nerone, era venuto là,
ebbero
paura e' giuderi ched elli non lo togliesse loro di mano,
e
lasciasselo così andare liberamente; legandoli dunque
una
fune al
collo fuori de la porta lo
trascinaro ed iviritto
l'
arsono incontanente.
A la perfine non essendo così sazii ancora li giuderi
ispietosi,
rinchiusero l'ossa sua in uno vasello di piombo,
volendole traboccare nel mare; ma Giovanni, suo
discepolo,
levandosi di notte con
due altri, sì 'l tolse quindi,
e
soppellille in una volta sotterra
celatamente. E stettero
così
celate in quello luogo,
sì come dice Sigberto,
infino al tempo di Zeno imperadore e di
Gelasio Papa,
cioè infino a gli
anni
Domini
D; ma allora furono trovate
per revelazione del santo. Ma santo
Doroteo dice
così: "
Barnaba predicò di prima Cristo a Roma, fatto
vescovo di
Melano".
cap. 77, Ss. Vito e ModestoVito,
fanciullo nobile e
fedele, in
XII anni
sostenette
martirio in Cicilia. Costui era spesse volte
battuto dal
padre per ciò che
spregiava gl'idoli, né non li voleva
adorare. Udendo ciò
Valeriano prefetto fecesi venire
innanzi il
fanciullo, e non volendo sacrificare, con
bastoni
il fece
battere; ma le
braccia di
coloro che
battieno
e la mano del prefetto incontanente si
seccarono.
E gridòe il prefetto e disse: "Oimè che io abbo perduta
le mano!"
Disseli santo Vito: "Vegnano gli
dei tuoi
e
guariscanti, se possono!" E quelli disse: "Or tu
puo'lo fare?" Disse Vito: "Nel nome di Dio sì
posso".
E incontanente pregò per lui e
impetrolli che li fosse
renduto santade. E disse il prefetto al padre: "Gastiga
il
fanciullo tuo, acciò che non perisca in mal modo".
Allora quegli il mise in
casa, e sforzavasi di
mutare
l'
animo del
fanciullo con
diverse maniere di stormenti
e giuochi di
fanciulle e con altre maniere di
diletti. E
abbiendolo
rinchiuso in
camera, un maraviglioso odore
n'uscìo fuori, lo quale
riempiette il padre e tutta la
famiglia.
E ponendo
mente il padre per l'uscio, vidde
sette
angeli che stavano intorno al
fanciullo e disse: "Gli
dei son venuti in
casa", e immantanente
acciecò.
Al grido
suo tutta la
città di Lucca si
commosse,
sì che
Valeriano v'
accorse, e
domandava quel
che gli era intervenuto. E quelli disse: "Io viddi gl'iddei
del
fuoco e non
pote' patire il volto loro". Sì che
e' fu
menato al tempio di Giove, e per ricoverare il
lume de gli occhi
promisse il toro con
corna d'oro; ma
non giovando nulla pregò il figliuolo che 'l guerisse, e
ricoverò il lume per li suoi
prieghi. Ma non
credendo
per questo modo, ma pure pensando uccidere il
fanciullo
l'
angelo di Dio
apparve a Modesto, suo maestro, e
comandogli
che
entrasse in una
nave, e menasse il
fanciullo
ad un'altra terra. Abbiendo ciò fatto, l'
aguglia recava
làe il
cibo a loro e molti miracoli vi
faceva.
Infrattanto il
fanciullo di
Diocliziano imperadore fu
preso dal
demonio, e
confessa che se Vito
lucchese
non vi viene, non uscirà mai.
Cercarono per Vito e, trovato
che l'
ebbero, fu
menato a lo 'mperadore. Al quale
disse
Diocliziano: "O
fanciullo, puoi tu guarire il mio
fanciullo?" E quelli disse: "Non io, ma il Signore".
E tanto tosto puose le mani sopra colui, e 'l
dimonio
fuggìe tosto da lui. Disse
Diocliziano: "
Fanciullo, prendi
consiglio: sacrifica a gli
dei, sì che tu non muoia di
mala
morte". E quelli ricusando ciò, fu messo in pregione
con Modesto, e subitamente la gravezza de'
ferri,
ch'era posta loro addosso,
cadde loro, e la
carcere fu
tutta
splendiente di
chiaro lume. La quale cosa essendo
detta a lo 'mperadore,
funne tratto fuori e messo in
ardente
forno, ma elli n'uscì fuori sanza nessuno male.
Allora fu
ammesso a lui
divorare uno terribile leone;
ma e' fu
aumiliato da lui con la virtù de la fede.
A la perfine egli con Modesto e con
Crescenzia, sua
balia, la quale sempre l'avea seguitato, furono
fatti
mettere a la
colla; ma subitamente si turbò l'
aere e
tremòe la terra e vennero i tuoni e li templi de l'idoli
caddero e molta gente uccise. Lo 'mperadore impaurito,
si misse a
fuggire, e
fuggendo si
dava de le pugna nel
petto, e
diceva: "Oimè
dolente, che io sono vinto da
uno
fanciullo!" E quegli, sciolti incontanente da l'
angelo,
sì si trovarono lunghesso un
fiume, e posandosi
iviritto e stando in orazione, renderono l'
anime a messere
Domenedio.
E le loro
corpora guardate
dall'
aguglie trovò una
gentile
donna, ch'avea nome Florenza, come santo Vito
gliele rivelòe. E togliendole di quello luogo sì li
soppellìe
onorevolemente; e furono
martirizzati a gli
anni
Domini
CCLXXXVII.
cap. 78, Ss. Quirico e Giulitta
Chirico fue figliuolo di
Giulitta, gentilissima
donna
di
Iconia; la quale, volendo
cansare la persecuzione,
andossene
in Tarso di Cecilia col
fanciullo suo
Chirico
che avea
tre
anni. Ma fue
menata innanzi ad
Alessandro
preside, col
fanciullo suo in
braccio; e veggendo
ciò
due sue
fancelle, incontanente
fuggirono e sì l'
abbandonarono.
Sì che il preside tolse il
fanciullo ne le
braccia
sue
e la madre, non vogliente sacrificare, fece
battere
con
crudeli
nerbi. E 'l
fanciullo veggendo
battere la
madre piagneva
amarissimamente e
dava
boci di lamento.
E 'l preside, ponendosi il
fanciullo ne le
braccia
e in su le ginocchia, sì 'l trastullava con
basci e con
altre
lusinghe; ma il
fanciullo, pognendo
mente a la
madre, sì rifiutava i
basci del preside e,
rimovendo il
capo a lui, sì li graffiava il viso suo con l'unghie, e
a la madre
dava
concordevoli
boci, quasi
dicesse: "E
io sono
cristiano". A la perfine,
combattendo molto,
morse il preside in su la spalla.
Allora il preside, adirato e tormentato del
dolore, gittò
da
alto il
fanciullo giù per le gradora, sì che il
tenerello
cervello s'appiccòe a la sedia; e
Giulitta, veggendo
che 'l
fanciullo suo l'era
entrato innanzi a Paradiso,
lieta di ciò rendette grazie a
Domenedio
.
Allora fu mandato che
Giulitta fosse scorticata e
gittatole la pece
bogliente addosso e a la perfine le fosse
mozzo il capo.
Ma in una leggenda si truova che
Chirico, schifando
il tiranno
lusingante
igualmente come minacciante,
confessava
sì de l'essere
cristiano; secondo il tempo il
fanciullo
non potea parlare, ma lo Spirito Santo parlava in
lui. E
domandandolo il preside chi gli
avesse insegnato,
elli disse: "De la tua mattezza mi
maraviglio, o preside,
ché veggendomi in
cosìe
piccolina
etade, che non
mi vedi avere ancora
tre
anni, e
dimandimi chi m'ha
insegnato la
divina sapienza?" Il quale essendo
battuto
gridava: "
Cristiano sono"; e per quante volte gridava,
questo tanto ricevea più vertude e
forza tra i tormenti.
E 'l preside fece
isvembrare la madre col
fanciullo, e le
loro
membra, perché non fossero seppellite da'
cristiani,
fece spargere in
diverse luogora. Ma elle furono ricolte
da l'
angelo e seppellite di notte da'
cristiani.
Le
corpora di costoro al tempo del grande
Costantino,
essendo renduta la pace a la chiesa, furono revelate da
una de le
ancelle che sopravviveva ancora, e sono
avute
in grande
divozione da tutto il popolo. E furono
martirizzati
intorno a gli
anni
Domini
CCCXXX sotto
Alessandro.
La passione de' santi martiri san Marco e
Marcelliano
sì si
contiene fra la leggenda di san
Bastiano.
cap. 79, S. Marina
Marina vergine era una sola
figliuola al padre suo.
Essendo il padre
entrato in uno monasterio
mutò l'
abito
a la
figliuola sua, ché non paresse
femmina ma maschio,
e pregò l'
abate e ' frati che ricevessono uno suo
solo figliuolo. I quali
assentendo a' suoi
prieghi, fue
ricevuto per monaco, e
chiamavallo tutti
frate
Marino.
Or
cominciò a
vivere molto
religiosamente ed essere
molto ubbidiente. Il quale essendo venuto a
XXVII anni
e sen
tendo il padre sé
appressimare a la
morte,
chiamòe
la figliuola sua e,
confortandola nel
buono proponimento,
e sì le
comandò che mai non
manifestasse ad
alcuno ched e' fosse
femmina. Sì ch'elli
andava spesse
volte col
carro e co'
buoi a recare legne al monasterio;
ed era sua usanza d'
albergare in
casa d'uno uomo la
cui figliuola, essendo
ingravidata d'un
cavaliere e
domandata
de la sua
gravidezza,
appuoselo la
colpa a
Marino monaco.
Domandatone
Marino perché tanto peccato
avesse
commesso, disse che avea peccato; e
chiesene
perdonanza. E
cacciato incontanente fuori del monasterio,
stettesi a la porta del monasterio e, stando iviritta
tre
anni, d'una
fetta di pane il
die si
sostentava.
Poscia fu mandato a l'
abate il
fanciullo di quella
femmina
levato da latte e fu
dato a
Marino a nutricare, e
stette con lui anche
due
anni in quello luogo. E ogne
cosa sì ricevea in grande
pazienza e in tutte cose
rendea
grazie a Dio. A la perfine,
avendo i frati misericordia
de la sua umilitade e
pazienzia, sì lo ricevettero nel
monisterio e impuoseli a fare tutti i più
vili uffici de
la
casa; ed elli li ricevea tutti
allegramente e
faceva
tutte le cose
egualmente e
divotamente. A la perfine,
menando la sua vita in
buone operazioni,
andonne a
vita
eterna.
E lavando i frati il
corpo suo e ordinando di
riponerlo
in
cattivo luogo, puosero
mente e videro ch'egli
era
femmina. Sì che
stupediti tutti e spaventati di paura
confessarono d'avere troppo
fallato verso la servigiale di
Dio. Sì che
corre tutta gente a vedere così grande maraviglia,
e
domandano perdonanza del non sapere e de
l'offesa. Sì che puosero il
corpo suo onorevolemente ne
la chiesa, e quella
femmina che avea
infamato la servigiale
di Dio fu
imperversata dal
demonio e
confessando
il peccato suo venne al sepolcro de la vergine Marina
e fue liberata. Al cui sepolcro
corre tutta gente da
ogne parte, e
fannovisi molti miracoli. E morìo
XIV dì
fra Giugno.
cap. 80, S.s. Gervasio e Protasio
La passione di costoro trovòe santo
Ambrosio scritta
in uno
libricciuolo posto a le
capita loro.
Gervasio e
Protasio sì furono
fratelli
binati,
figliuoli
di San Vitale e di Santa Valeria; i quali
dando tutto
il loro a' poveri stavansi con santo
Nazario, il quale
faceva
uno oratorio a
Ebreduno, e uno
fanciullo che avea
nome
Celso li porgeva le pietre.
In ciò che
dice che
Nazario
aveva
auto
Celso, prendesi
forse per innanzi prendere, con ciò fosse
cosa che
lungo tempo poi si
comprenda che
Celso gli fosse stato
offerto, per la storia di san
Nazario. Essendo tutti
menati a lo 'mperadore, tenea loro dietro il
fanciullo
Celso piagnendo
fortemente. E
dandoli uno de'
cavalieri
una gotata, e riprendendolo san
Nazario perché
l'avea
battuto, li
cavalieri
crucciati sì missero san
Nazario
tra i
calci, e lui con esso gli altri
rinchiusero a
la prigione, e poscia il gittarono nel mare; e
Gervasio e
Protasio si menarono a
Melano.
A quello tempo sopravvegnente il
conte
Astasio, il
quale
andava a la
battaglia contra Marcomanni, i
coltivatori
de li
dei gli si
fecero incontro e
diceano che li
dei non
volevano loro
dare risposta, se prima
Gervasio
e
Protasio non
sacrificassero. Sì che e' furono incontanente
rattenuti e furono invitati a sacrificare.
Dicendo san
Gervasio che l'idole erano tutte
sorde e
mutole, e
ammaestrandoli come
doveano
richedere da
Dio onnipotente la vittoria, adirato quelli tanto fece
battere con piombati ched elli mandasse via il
fiato.
Poscia fece
chiamare
Protasio e
dissegli: "Misero,
o tu
almeno ti
briga di
vivere e non volere col
fratel
tuo morire di
mala
morte". Al quale disse
Protasio:
"Chi è misero, o io che non ti
temo, o tu mostri
di temere me?" Disse
Astasio: "Io te, misero uomo,
come ti
temo?" A quale disse
Protasio: "In ciò mi
temi tu che tu ti mostri d'essere offeso da me, s'io
non
fo sacrificio a li
dei tuoi. Che se tu non temessi
d'essere offeso da me, neente mi
strigneresti mai a
dare
sacrificio a l'idole".
Allora il
conte il fece
appiccare a la
colla. Al quale
disse
Protasio: "Non mai
dirò contra te, però ch'io
ti veggio
cieco de gli occhi de la
mente, anzi
maggiormente
m'incresce di te che non sai che ti fare.
Fa' dunque
come tu hai
cominciato,
acciò che a me, col
fratello
mio, possa venire incontro la
benignità del
Salvatore!"
Allora il
conte
comandò che fosse
dicollato. E
Filippo
servo di Cristo col figliuolo suo tolse i
corpi loro e
celatamente li
seppellìo entro in
casa sua in un'
arca
di pietra, e al capo puose uno
libricciuolo dove si
contenea
il loro
nascimento e la vita e la fine.
E furono passionati intorno
agli
Domini
LVII.
I
corpi di costoro stettero
celati grande tempo, ma al
tempo di santo
Ambruosio furono ritrovati in questo
modo: che stando in orazione santo
Ambruosio ne la
chiesa di santo
Nabore e Felice, sì che né bene vegghiava
né bene
dormiva, sì gli
apparvero
due
bellissimi
giovani, vestiti di vestimenta
bianchissime, cioè
di
diaspro i mantelli e
calzati di
calze, e oravano
insieme con le mani
stese. Sì che santo
Ambruosio pregò
Domenedio che se fosse inganno del
diavolo non gli
apparisse
più; ma se fosse verità, sì li fosse rivelato
un'altra volta. Sì che in simigliante modo quando il
gallo
cantava,
apparvero i giovani oranti insieme con
lui; la terza notte,
macerato il
corpo di
digiuni, non
dormendo ma vegghiando, sì li
apparve la terza persona
che parea simigliante a san Paulo
apostolo, secondo che
l'avea veduto
dipinto. E tacendo
coloro, disse a lui
l'
apostolo: "Questi sono che, non
disiderando alcuna
cosa terrena, seguitarono li miei
ammonimenti, i
corpi
de' quali ritroverrai in quello luogo dove tu
stai in
altezza
XII piedi sotterra, e troverrai una
arca
coperchiata,
e a capo loro troverrai uno
libricciuolo dov'è
scritto il loro
nascimento e la fine".
Sì che
fatti venire i vescovi de le vicinanze, esso fu
il primo che
andòe a
cavare la terra, e trovò tutto per
ordine come san Paulo gli avea
detto; e avvegna di che
da
CCC anni fossero
scorsi e più, impertanto le loro
corpora
furono trovate né più né meno, come se in quella
medesima ora vi
fossono state poste. Allora sì n'usciva
una maravigliosa soavità d'odore; e uno
cieco toccando
il
cataletto fu
alluminato, e molti altri infermi per li
meriti di questi santi furono sanati.
Racconta santo Agostino nel
libro
[XX] de la
Città di
Dio che in sua presenzia e de lo imperadore e di molta
gente uno
cieco riebbe il vedere al sepolcro de' santi
martiri
Gervasio e
Protasio. Ma se sì fosse il
cieco
detto
o un altro, non si sa. Anche
dice egli medesimo che
in una villa che si chiama
Vittoriana, ch'è di lunge da
Iporegia
XXX miglia, uno giovane lavava un
cavallo in
uno
fiume sì che il
cavallo lo
'mperversòe, e
gittollo
nel
fiume come per morto. E
cantandosi il vespro ne
la chiesa di san
Gervasio e
Protasio, quelli, quasi
come percosso di quelli
boci, con grande
fracasso
entròe
ne la chiesa, e tenea l'
altare non
potendosene
ismuovere
come se vi fosse legato. Essendo scongiurato il
demonio che n'uscisse quindi, sì minacciava quando
n'uscisse di schiantare le
membra di colui. Sì che pure
uscendone molto adirato, l'occhio di colui sparto ne la
mascella con una sottilissima vena pendeva del luogo
suo, ma elli il rimisero nel luogo suo come poterono. Ed
eccoti da ivi a pochi dì guarito costui per li
meriti di
san
Gervasio e
Protasio pienamente.
Santo
Ambruosio nel
profazio dice così: "Questi
sono quelli i quali, segnati del gonfalone
celestiale, presero
le vincitrici
arme de l'
apostolo, e sciolti da'
mondani
legamenti
abbattendo la schiera de' vincitori del
malvagio nemico, liberi e ispediti seguitarono Cristo Signore.
O com'è
beato
fratellatico, il quale
accostandosi
a i santi parlari non
poté essere mischiato d'alcuno
rio
appiccicamento! O com'è gloriosa cagione di
battaglia,
là
dove sono incoronati insieme
coloro i quali
d'uno medesimo
corpo di madre uscirono insieme!"
Ne la
festa di costoro si riformòe la pace tra Longobardi
e lo 'mperio de' romani, e però
ordinò san Gregorio
papa che a lo Introito de la
Messa si dovesse
cantare in quello
die:
"Loquetur Dominus pacem [in
plebem suam]", cioè a
dire: "parlerà il Segnore pace
nel popolo suo". Onde gli officii de la
Messa parte si
convegnono a' santi, e parte a le cose che intervegnono
in quelli dì.
cap. 81, Nativ. Giovanni BattistaIl
nascimento di
Joanni Batista in questo modo
modo fue
annunziato da
Gabriello
Arcangelo:
David re,
come si legge ne le Storie
Scolastiche, volendo isciampiare
il
coltivamento di Dio,
ordinò che fossero
XXIV
sommi sacerdoti, tra ' quali n'era uno il quale era
chiamato
il prencipe de' sacerdoti. E di questi n'
ordinò
XV
uomini de la schiatta d'
Eleazar, e
[VIII] de la schiatta
di
Itamar e, secondo le sorti,
diede a
catuno a fare la sua
settimana. Sì che l'uno di loro, ciò fu
Abias, ebbe a
fare l'ottava settimana, de la cui schiatta fue
Zaccheria.
Or erano elli e la sua moglie
Elisabetta vecchi e sanza
figliuoli.
Essendo dunque
entrato
Zaccheria nel tempio di Dio
per porre lo 'ncenso, e
aspettando di fuori la
moltitudine
del popolo,
apparve a lui l'
angelo
Gabriello; e
temendo
Zaccheria nel vedere di colui, disse l'
angelo:
"Non temere
Zaccheria, imperò che Iddio ha
esaudita
la tua orazione". Proprietà è de'
buoni
angeli, secondo
che
dice la Chiosa, che
coloro che si spaventano per
loro vedere, di
consolarsi immantanente con
benigno
conforto; e 'l
contrario fanno i mali
angioli che,
trasformandosi
in
angeli
buoni, se veggiono alcuni spaventati
per la loro presenzia, sì li
commuovono di maggiore
errore.
Annunzia adunque
Gabriello a
Zaccheria ch'elli
dee avere figliuolo, il cui nome fosse Giovanni, che non
berrà vino né
siccera e
andrà innanzi al Signore in
ispirito e in vertute d'Elia.
Sì che
Joanni è
chiamato Elia, e per ragione del
luogo, però che
abendue stettero nel
deserto; e per ragione
del
vivere, però che
abendue furono temperati; e
e per ragione del
coltivamento, però che
abendue
furo
non
coltivati; e per ragione de l'offizio, però che
abendue
furo
precursori; ma quelli è
precursore del giudice,
questi è del
Salvatore. Anche per ragione del
zelo, però
che la parola di
ciascuno
ardeva come
faccellina.
Zaccheria
considerando la sua vecchiezza e la
sterelità de
la moglie,
cominciò a
dubitare, e al modo de' giudei
domandò
segnale da l'
angelo. E l'
angelo, perché quelli
non
credette a le sue parole, sì 'l percosse de la piaga
de la
mutolaggine.
Da notare è qui che la
dubitazione suole
avvenire
ed è
scusata talora per la grandezza de le
impromesse,
come si legge da
Abraam; che,
abbiendoli Dio
promesso
che il seme suo possederebbe la terra di Canaan, disse
a lui
Abraam: "Signore Dio, onde
posso io sapere che
io
debbia possedere?" E 'l Signore rispuose, e disse:
"Tolli una vacca che
abbi
tre
anni e fa così e così".
Talora
addiviene per
considerazione de la propria
fragilità,
come si mostra in
Gedeon, che disse: "
Dimmi,
Signore mio, in che libererò io il popolo d'Israel ? Ecco
la
famiglia mia inferma in
Manasse, e io sono il minimo
ne la
casa del padre mio". E per questo
segnale
domandòe ed ebbe.
Talora
addivene per
impossevolezza de la natura,
come si mostra in Sara, che
avendo
detto il Signore:
"Io renderò e verrò a te e
avrà Sara figliuolo", quella
rise dopo l'uscio, e disse: "Da ch'io sono invecchiata
e 'l
marito è vecchio?" Che è ciò dunque che
Zaccheria
solo in ciò che
dubitò ebbe la piaga, con ciò fosse
cosa che quivi fosse grandezza d'impromessa e
impossevolezza
naturale ? Questo si crede che fosse per
molte
cagioni. Imprima, secondo
Beda, imperò ch'elli
parlòe
discredendo, però che fu punito di
mutolaggine,
acciò che tacendo
appari a
credere; nel secondo
luogo però
divenne
mutolo, acciò che
apparisse maggiore
miracolo nel
nascimento del figliuolo. Ché
essendoli renduto
il parlare,
miracolo fu
accresciuto a miracolo;
nel terzo luogo fu
convonevole che perdesse la
boce,
quando
boce nasceva e
poneasi silenzio a la legge; nel
quarto luogo imperò ched elli
domandò
segnale da Dio
ed ebbe quella
mutolaggine per
segnale da Dio.
Ed essendo
Zaccheria uscito fuori al popolo e vedendo
che elli era fatto
mutolo, seppero per
cenno da lui
ch'elli avea veduto visione nel tempio. Sì che,
compiuta
la settimana de lo officio suo, se n'andò in
casa sua
e ingravidòe
Elisabetta e tennelo
celato
cinque mesi, però
che, come
dice qui santo
Ambruosio, ella si vergognava
di partorire in quella
etade, acciò che non paresse che
in sua vecchiezza fosse intesa ad opera
carnale; e per
tanto s'
allegrava che l'era tolto il vituperio d'essere
isterile, imperò che
disonore è a la
femmina non avere
il
frutto del matrimonio per lo quale si fanno i mogliazzi,
e 'l
congiugnimento
carnale e
scusato.
Sì che il
sesto mese la Vergine, che avea
conceputo
Cristo segnore,
rallegrandosi de la sterilitade tolta da
colei e
avendo
compassione de la sua vecchiezza, venne
a
Elisabetta. E
avendola salutata, San Giovanni, pieno
già di Spirito Santo, sentìo il figliuolo di Dio venire a
sé, e per la letizia entro il ventre de la madre
ballòe,
e col muovere salutò colui col quale con
voce non
poté
salutare.
Rallegrossi quasi come
disiderante di salutare
e di fare onore al suo segnore. E stette la
beata Vergine
Maria tre mesi con la
parente sua, servendo a lei.
E nato il
fanciullo, la
beata Vergine sì lo levò di terra
con le sue mani santissime, e
compiette l'officio
come di
servigialissima
balia.
Questo
precursore di Cristo, San Giovanni, risplendiente
è da nove privilegii singularmente e spezialmente;
però che quello medesimo
angelo ch'
annunziò Cristo, sì
annunziò costui, nel ventre de la madre si
rallegrò, la
madre di Dio il ricolse di terra,
aperse la lingua del
padre,
ordinò prima il
battesimo, mostrò Cristo a
dito,
battezzollo con le sue mani e
lodollo Gesù Cristo sopra
tutti, stando nel limbo
annunziò che Cristo
dovea venire
a loro. Per questi
nove privilegi è
chiamato dal
Signore profeta e più che profeta. E perché sia
detto
più che profeta, san Grisostomo ne dice così: Ora
appartiensi a profeta di
dare al Segnore il
beneficio del
battesimo? Al profeta sì si fa di profetare del Signore
e non che Dio profeti di lui. Tutt'i profeti profetarono
di Cristo, ma di loro non fu
profetato; questi non solamente
profetòe di Cristo, ma gli altri profeti profetarono
di lui. Tutti furono
portatori di parole; ma costui
fu essa
voce. Ma quando essa
voce fosse prossimana
a la parola, non pertanto fue parola;
Joanni fue più
prossimano a Cristo, ma non fue Cristo".
Secondo il
detto di santo
Ambruosio la loda di san
Giovanni si
comprende da
cinque cose: cioè da'
parenti,
da' miracoli, da'
costumi, da
dono, da predicazione. La
loda di
parenti si manifesta di
cinque cose, come
dice
santo
Ambruosio; e dice così: "Piena la loda è quella
la quale
comprende la generazione ne i
costumi e i
costumi in
dirittura e l'officio del pretatico e l'opera
ne'
comandamenti e 'l giudicio ne'
giustificati".
Nel secondo luogo da li miracoli, de' quali alcuni
avvennero
innanzi che fosse
conceputo nel ventre de la
madre, ciò fue l'
annunziamento de l'
angelo, la postura
del nome e 'l
perdimento del
favellare del padre. Alcuni
miracoli furono quanto al suo
concevimento nel ventre,
ciò fue
supernale
concevimento, nel ventre santificamento
e di
dono
profetale riempimento. Alcuni miracoli
furono quanto al suo
nascimento del ventre de la madre,
ciò fue
acquistamento di spirito di
profezia del padre e
de la madre sua, imperò che la madre seppe il nome
e 'l padre
compuose il
cantico: "Il rendimento de la
favella
al padre, e 'l riempimento di Spirito Santo, onde
Zaccheria suo padre fue ripieno di Spirito Santo".
Dice
san
Ambruosio: "Ragguarda san Giovanni; quante cose
comandò il suo nome, il cui
nominamento rende al
mutolo
la
voce, al padre pietade, al popolo il Sacerdote.
Però che prima era tacente ne la lingua, sterile di figliuolo,
privato de l'officio, ma da che
Joanni nasce,
subitamente il padre è fatto profeta, ricevette l'uso del
parlare, ricevette figliuolo da
lo Spirito Santo, l'officio
riconobbe il Sacerdote".
Nel terzo luogo si manifesta la sua loda da'
costumi,
però che di santissima vita fue. De la cui
santitade
dice Grisostomo: "La
conversazione di Giovanni
facea
parere la vita di tutti piena di
colpe. Come si vedesse
uno vestire
bianco,
direbbe che assai fosse
bianco; ma
se lo ponesse a lato a la
neve, sì
comincerebbe a mostrare
sozzo, pognamo ch'al vero non fosse sozzo. E
così quanto a
comparazione di
Joanni ogni uomo pareva
sozzo". La
santità del quale ebbe tre testimonianze.
Imprima da le cose disopra al
cielo, cioè da la
Trinitade, e prima dal padre che 'l
chiama
angelo, come
dice la
profezia di
Malachiel, secondo
capitolo: "
Ecco
ch'io mando l'
angelo mio, il quale
apparecchiarà la via
dinanzi a la
faccia tua".
Angelo si è nome d'officio
e non di natura; e però è
detto
angelo per ragione de
l'officio, in ciò che
pare che facesse l'officio di tutti gli
angeli. Egli ebbe l'officio de' Serafini. (Serafini è interpretato
ardente, imperò che ci fanno
ardenti e ellino
ardono più nell'
amore di Dio). E di Giovanni è scritto
ne l'
Ecclesiastico, nel
capitolo
CLVIII: "Levossi su Elia
come
fuoco e la parola sua
ardeva come
faccellina".
E Elli venne in ispirito e in vertù d'Elia.
Nel secondo luogo ebbe l'officio de
Cherubin, (
Cherubin
è interpretato plenitudine di scienzia), e Giovanni
è
detto
stella
Diana, come
dice
Job nel trentotto
capitolo:
"Or trai tu fuori la
stella
Diana nel tempo suo" in
ciò che fue termine de la notte de la ignoranzia e
cominciamento
de la luce de la grazia.
Nel terzo luogo ebbe l'officio de' Troni, l'officio de'
quali si è di giudicare. E di
Joanni è scritto ched elli
riprendeva
Erode
dicendoli: "Non te' licito d'avere la
moglie del
fratello tuo".
Nel quarto luogo ebbe l'officio de le
Dominazioni, li
quali ci
ammaestrano come noi ci
dobbiamo portare inverso
i sudditi. E Giovanni era tenuto inverso i sudditi
in grande
amore e inverso i
segnori in paura.
Nel quinto luogo ebbe l'officio de' Principati, che ci
insegnano avere in reverenza i nostri maggiori; e Giovanni
diceva di se medesimo: "Chi di terra è, di terra
parla; ma Cristo che venne dal
cielo si è sopra a tutti".
Anche
dicea: "Io non sono
degno di scioglierli la
correggia
del
calzamento suo".
Nel
sesto luogo ebbe l'officio de le Podestadi, per le
quali Podestadi erano
costrette le
contrarie; le quali
non lo poteano nuocere essendo santificato già. E da
noi le
costrignea quando elli ci
acconciava al
battesimo
de la penitenza.
Nel settimo luogo ebbe l'officio de le Virtudi, per le
quali son
fatte i miracoli, ché 'l
beato Giovanni mostrò
in sé molti miracoli. Grandi miracoli sono mangiare le
mele salvatiche e ' grilli, e vestirsi di pelli di
cammelli
e cotali altre cose.
Ne l'ottavo luogo ebbe l'officio de li
Arcangeli quando
rivelava le cose più
alte, sì come quelle che si pertegnono
al nostro ricomperamento, quando
dicea "Ecco
l'
agnello di Dio".
Nel
novesimo luogo ebbe l'officio de li
angeli quando
annunziava le cose minori, sì come quelle cose che si
pertegnano a'
costumi, come quand'elli
dicea:
"
Fate penitenza"; e quando
diceva: "Non
fate turbazione a
neuna persona". Secondariamente ebbe testimonianza
dal figliuolo, com'è scritto nel Vangelio
di San
Matteo,
XI capitolo, dove Cristo il loda in molti
modi
maravigliosamente,
dicendo infra l'altre parole:
"Tra '
figliuoli de le
femmine non si levò maggiore che
Giovanni Battista". Piero
Damiani dice: "Da quella
parola di Giovanni sono manifestate le lode per cui fu
fondata la terra, e sono mosse le stelle, e
fatti gli
elementi". Nel terzo luogo ebbe testimonianza da lo
Spirito Santo, quando egli disse per bocca di
Zaccheria,
padre di lui: "Tu,
fanciullo, sarai
chiamato profeta
de l'
altissimo".
Secondariamente ebbe testimonianza da le cose
celestiali,
sì come da gli
angeli; e ciò si mostra nel Vangelio
di santo Luca nel primo
capitolo, dove l'
angelo
il loda in molte guise mostrando di quanta
dignità sia
quanto a Dio, quando dice: "Elli sarà grande innanzi
al Signore". Mostra ancora di quanta
santità
appo se
medesimo quando dice poi: "Vino e
siccera non
berrà
e sarà ripieno di Spirito Santo istando in
corpo de la
madre sua". Mostra ancora di quanta
utilità fosse al
prossimo quando dice: "E molti de'
figliuoli d'Israel
convertirà al
Domenedio loro".
Nel terzo luogo si
comprende la loda sua da le cose
disotto al
cielo, cioè da li uomini
sì come dal
padre suo e da i vicini, quando
dicevano: "Or che
fanciullo
credete che sia questi?"
Nel quarto luogo si
comprende la loda di San Giovanni
dal
dono; però ch'elli ebbe
dono stando nel
ventre e ne l'uscire del ventre e ne lo
stallo nel
mondo
e ne l'uscire del
mondo. Nel ventre ebbe tre maravigliosi
doni di grazia. Primieramente la grazia con la
quale fue santificato nel ventre, onde fue prima santo
che nato, come
dice
Jeremia nel primo
capitolo: "Prima
ch'io ti
formasse nel ventre t'ho
conosciuto, e innanzi
che tu uscissi del ventre sì t'ho santificato". Secondariamente
ebbe la grazia, per la quale
meritòe di profetare,
sì come
detto è innanzi, ché,
rallegrandosi nel
ventre de la madre,
conobbe che Iddio era presente.
Onde Grisostomo, volendo mostrare come fosse più che
profeta, dice così: "Di profeta è ricevere la
profezia
per lo
merito de la
buona
conversazione e de la fede;
or fue di profeta che prima fosse fatto profeta
che
uomo?" E perché egli era usanza che ' profeti s'ugnessero,
allora che la
beata Vergine salutò la
beata
Elisabetta,
Cristo unse
Joanni in profeta, secondo che
dice Grisostomo
in queste parole: "Però fece Cristo che Maria
salutasse
Elisabetta, acciò che uscendo la parola del ventre
de la madre, là
dove
abita Cristo, ed
entrando per
le orecchie d'
Elisabetta scendesse a
Joanni, acciò che
quivi l'ugnesse in profeta". Nel terzo luogo ebbe la
grazia, con la quale per li suoi
meriti
diede a la madre
ispirito di
profezia. Onde Grisostomo, vogliendo mostrare
come fosse più che profeta, dice così: "Quale de' profeti,
stando profeta,
poté anche fare profeta?" Elia
unse bene
Eliseo in profeta, ma non li
donòe la grazia
del
profetare. Ma costui, saltando entro el ventre de la
madre,
donòe a la madre
conoscimento che Dio
entrava,
e
apersele la bocca ne la parola de la
confessione, sì
che
conobbe la
dignità di quella persona la quale non
vedea,
dicendo::"Onde
abbio questo che la madre del
Signore mio vegna a me?" Ne l'uscire del ventre
ebbe tre
doni, però che 'l suo
nascimento fue miracoloso
e santo e
giocondo. Per ciò che fue miracoloso
è
cacciato via il
diserto de la impotenzia; per ciò
che fue santo è
cacciato via il
diserto de la
colpa;
per ciò che fue
giocondo è
cacciato via il
diserto de
la miseria.
Guardasi il suo
nascimento, ovvero natività, secondo
il maestro Guglielmo
Altessiodorense, per tre
ragioni:
la prima per lo santificamento nel ventre; la seconda
per la
dignitade ne l'officio, imperò ch'elli venne come
stella
Diana ad
annunziare prima l'
eternale
allegrezza;
la terza ragione per la
giocondità nel
nascimento suo.
Però che l'
angelo suo disse: "E molti si
rallegrarono
nel
nascimento suo". E però è
degna cosa che noi
nel suo
nascimento ci
rallegriamo.
Ne lo
stallo del
mondo ebbe simigliantemente molti
doni; in ciò si manifestano li suoi
eccellentissimi e
divisati
doni di grazia, ched elli ebbe la perfezione di
tutti i santi, ché fue profeta quando disse " Dopo
me
dee venire colui che fu fatto innanzi a me". Più
che profeta fue, però ch'elli il mostrò a
dito;
apostolo
fue
perché mandato da Dio;
apostolo è tanto
dire quanto
messo. Onde dice il Vangelio: "Fue uomo messo da
Dio, il quale avea nome
Joanni; martire fue, imperò
che per la giustizia
sostenne la
morte;
confessore fue,
imperò che
confessò e non negòe; vergine fue, onde
per la sua puritade è
chiamato
angelo". Onde dice
Malachiel
profeta nel secondo
capitolo: "
Ecco ch'io mando
l'
angelo mio".
Ne l'uscire del modo ebbe tre
doni, però che
divenne
martire non vinto: ché allora
acquistòe la vittoria del
martirio. È mandato come messaggio prezioso, però che
allora a
coloro ch'erano al limbo portòe preziosa
ambasciata,
cioè de l'
avvenimento di Cristo e de lo ricomperamento
loro. E guardasi la sua uscita gloriosa, però
che la sua uscita da tutti quelli che
discesero al
limbo è spezialmente
solennizzata e gloriosamente ricordata.
Nel quinto luogo è lodato da la predicazione. Intorno
a la cui predicazione l'
angelo pone
quattro cose quando
dice: "E molti de'
figliuoli d'Israel
convertirà a
Domenedio
loro, e elli
andrà innanzi in spirito e in virtù
d'Elia". Le quali
quattro cose sono queste: il
frutto,
l'ordine, la vertude e 'l fine, come si mostra ne la
lettera. E
dovemo sapere che 'l predicare di
Joanni
fue in tre maniere, cioè che elli predicòe
ferventemente
e
efficacemente e
saviamente.
Ferventemente, quando
diceva: "Schiatta di vipere, chi vi mosterrà che voi
fuggiate da l'
ira che
dee venire?" Lo quale
fervore
fu infiammato di
caritade, però ch'elli era lucerna
ardente.
Ond'elli dice in persona di
Geremia: "Dio puose
la bocca mia come
coltello
arrotato". Fue anche il
fervore
suo informato de la veritade, imperciò ch'egli era
lucerna rilucente; onde è scritto nel Vangelio di san
Giovanni, nel quinto
capitolo: "
Adimandasti a Giovanni
ed elli
diede testimonianza a la veritade". Fue anche
il
fervore suo
dirizzato da la
discrezione ovvero scienzia;
onde a le turbe e a' pubblicani e a' soldati
diede
legge propia secondamente che si richiedea a
ciascheduno
stato. Fu anche fermo in
costanzia, ond'elli predicò
sì
costantemente che ne
perdette la vita.
Queste
VI cose
dee avere il
fervore, come
dice san
Bernardo: "Il
fervore tuo infiammi la
caritade, informi
la veritade,
governi la scienzia e
fermi la
costanzia".
Nel secondo luogo predicò
efficacemente, imperò che
a la sua predicazione molti si
convertiro. Elli predicò
con parola per
continuamento di
dottrina e con
esemplo
per
santità di vita. Nel terzo luogo predicò
saviamente,
la cui saviezza di predicare fue in tre cose:
prima in ciò ch'elli usòe minacce per ispaventare li
rei,
dicendo così: "Già è posta la
scure a la radice
de l'
albore". Secondariamente usòe promesse per
allettare
i
buoni,
dicendo: "
Fate penitenzia ché 'l regno
del
cielo
approssimerà". Nel terzo luogo usòe parole
temperate, acciò che a poco a poco traesse gli uomini
comunali a perfezione. Onde
a le turbe e a' pubblicani
e a'soldanieri imponea lieve cose per
trarrerli
poscia a le maggiori.
A le turbe imponeva che intendessero ad opere di
misericordia; a' pubblicani che s'
astenessono dal
desiderio
de li altri; a' soldati
cavalieri che non
conturbassero
neuno, né
facessero ingiuria, e che stessero
contenti del soldo loro.
Ed è da notare che Giovanni
Evangelista in questo
dì passòe di questa vita, ma la Chiesa fa
festa del
Vangelista il secondo dì dopo
natale di Cristo, però
che la Chiesa sua sì fue consegrata in quello dì, e la
solennità del
nascimento di
Joanni Batista rimase nel
suo dì. E non è maraviglia in ciò, imperò che questo
dì fu
annunziato da l'
angelo per l'
allegrezza del
nascimento
del
precursore.
Ma non è da predicare, ovvero
disputare, che l'
Evangelista
desse luogo al Batista, come minore a maggiore,
ché non si
conviene di
disputare quale sia maggiore.
E ciò fu mostrato da Dio in un cotale
essemplo.
Erano
due maestri in
teologia i quali l'uno ponea
maggiore il Batista e l'altro il
vangelista; a la perfine,
abbiendo ordinato di fare sopra ciò una
solenne
disputazione,
catuno era molto sollicito di trovare
autoritadi
ed
efficaci
ragioni per le quali
catuno potesse
soprapporre il suo Giovanni. Venuto il dì che si
doveva
disputare
catuno di questi santi,
apparve al suo
devoto
e sì li disse: "Noi siam bene in
concordia in
cielo,
non
diputate di noi in terra". Allora quelli maestri
si manifestarono insieme la visione ch'elli aveano veduta,
e
palesarolla a tutto il popolo, e
benedissero
Domenedio.
Paulo, raccontatore di storie,
diacono de la chiesa
Romana e monaco di Montecassino,
dovendo una volta
consagrare un
cero, le
gole sue
diventarono roche, con
ciò fosse
cosa che prima
avesse la
voce. Sì che perché
li fosse renduta la
voce
compuose quello inno che
comincia:
"Ut queant laxis resonare fibris mira gestorum
famuli tuorum ecc." ad onore di san Giovanni
Batista; e nel principio di quello
adimanda che
la
voce gli sia renduta, come fu renduta a
Zaccheria.
Secondo che
dice Giovanni
Beleth, l'ossa de li
animali
morti, d'ogne parte
raccolte, in questo
die da alcune
persone s'ardono; e ciò si fa per
due
cagioni,
l'una è per
antica osservazione d'ordinamento, però
che si trovarono alcuni
animali c'hanno nome
dragoni,
i quali volano per
aere e nuotano in
acqua e vanno
per terra; e talora quando vanno per l'
aere sì s'
accendono
a lussuria, e allora gittano il seme ne le
pozzora,
ne l'
acque di
fiumi, e quindi venìa l'
anno mortale.
Sì che contra questo fu trovato rimedio che de
l'ossa si facesse
fuoco, e per questo modo
cacciava il
fummo via cotali
animali; e perché questo
avvenìa
massimamente
in questo tempo, però si tiene ancora questo
uso da alcuni. L'altra cagione si è a ripresentare che
l'ossa di san Giovanni ne la
città di
Sebaste furono
arse da' pagani.
Portavansi anche le
faccelline accese, perché san
Giovanni fue lucerna ardente e rilucente; e la ruota
del sole sì
volge però che 'l sole scende allora nel
cerchio
a significare la
nominanza di san Giovanni, il
quale era
creduto che fosse Cristo, secondo ched elli
medesimo ne
diede testimonianza quando dice: "Me
conviene menomare e lui
crescere". Questo fue significato,
secondo che
dice santo Agostino, ne li loro nascimenti
e ne le loro morti. Ne li loro nascimenti, però
che intorno a la nativitade di santo
Joanni
cominciano
i dì a
minimare; intorno a la nativitade di Cristo
cominciano
a
crescere, secondo che
dice uno verso:
"Solstitium decimo Chistum praeit atque Johannem".
Anche ne le loro
morte, però che 'l
corpo di Cristo fu
levato in
alto, e 'l
corpo di Giovanni fu menimato il capo.
Racconta Paulo ne le Storie de' Longobardi, che
Rocarith, re de' Longobardi, appresso a la chiesa di san
Giovanni fu sepolto con grande
adorno, sì che uno
tentato d'
avarizia,
aprendo la notte il sepolcro, portò
via ogne cosa. E san Giovanni
apparendo a lui, sì li
disse: "Perché
se' tu tanto ardito di toccare quello che
m'era
accomandato? Ne la chiesa mia non potrai tu
entrare da quinci innanzi". La qualcosa per certo
così
addivenne: che qualunque ora e' voleva
entrare ne
la
detta chiesa, quasi come da
fortissimo
campione
era percossa la
gola sua, e subitamente
cadeva adrieto.
cap. 82, Ss. Giovanni e PaoloGiovanni e Paulo furono primieri e proposti di Costanzia,
figliuola di
Costantino imperatore. In quel tempo
occupando la gente di Scizia le provincie di
Dacia e
di Tracia, e
Gallicano, guidatore de l'oste de' Romani,
dovendo essere mandato contro la
detta gente, per
merito de la sua
fatica
domandava che li fosse
data per
moglie Costanzia, figliuola di
Costantino; e ciò
adimandavano
molto
sollicitamente i principi romani
e dissero
ch'elli l'
avesse.
Ma il padre
della
fanciulla se ne
contristava molto
sappiendo che la figliuola sua, da poi ch'era sanata
da la
beata
Agnesa ed essendo in proponimento di
verginitade, più tosto potrebbe essere uccisa che inchinata
a
consentire. Ma la vergine,
confidandosi di
Dominedio,
diede
consiglio al padre ch'ella gli prometta
quando sarà tornato vincitore; ma che
due sue
figliuole,
ch'elli
aveva
avute de la moglie già morta, il
detto
Gallicano lasciasse stare con lei, acciò che per quelle
potesse e sapesse i
costumi e 'l volere del padre loro;
e ella
concederebbe a lui
due suoi proposti Giovanni e
Paulo per speranza quasi di maggiore
fermezza, pregando
Dio che lui e le
figliuole
convertisse a Cristo.
La quale cosa piacque a tutti, e
Gallicano prendendo
seco
Joanni e Paulo e la
copiosa oste, sì misse ad andare;
ma l'oste sua fu rotta da la gente
scitica e in
una
città di Tracia, la quale ha nome
Filopoli,
lui fu
assediato da' nemici. Allora se n'
andarono Giovanni
e Paulo a lui, e sì li
dissero: "Fa
professione
a Dio del
Cielo e sarai vincitore meglio che tu non
se'
stato". E quelli
avendo ciò fatto, incontanente gli
apparve uno giovane che portava una
croce in su la
spalla, e disse a lui: "Prendi la spada tua e
vienmi
dietro". E quelli la tolse, e andò per lo
miluogo del
campo, e vennesene infino al re,
e lo uccise; e non
ne uccise persona, sì che con sola la paura sottomisse
tutta l'oste a' romani e
feceli
trebutari.
E
due
cavalieri
armati
apparendo a lui, sì lo
confermavano
l'uno di qua l'altro di là. Sì che fatto
cristiano tornò a Roma, e con molto onore fu ricevuto
e pregò lo 'mperadore che li perdonasse se non
disposasse
la figliuola sua, imperciò ch'egli si
sponea di
servire a Cristo da indi innanzi in
castitade. La quale
cosa essendo molto piaciuta a lo 'mperadore, e le
due
figliuole di
Gallicano essendo
convertite da Costanzia
vergine a Cristo, esso
Gallicano
diede luogo a l'officio
del
ducato e,
dando ciò che avea a' poveri, con gli
altri servi di Dio
servette a Cristo in povertade.
E molti miracoli
facea, sì che con solo
comandamento
cacciava le
demonia de le
corpora
imgombrate. La
fama
de la santa openione di costui si sparse tanto per tutto
il
mondo, che da l'oriente a l'occidente veniano a vedere
l'uomo che di patricio e di
consolo di Roma era
fatto lavoratore e
lavatore de' piedi de' poveri, ponitore
de la mensa,
datore de l'
acqua a lavare de le mani,
servidore sollicito de li infermi e
facitore di tutti altri
offici di
servitudine santa.
Sì che morto
Costantino,
Costanzio figliuolo del grande
Costantino, compreso de l'
eresia d'Ario tenne lo 'mperio;
ma con ciò fosse
cosa che
Costanzio,
fratello di
Costantino,
avesse lasciato
due
figliuoli, cioè
Gallo e
Giuliano,
Costanzio imperadore fece il
detto
Gallo imperadore
e
mandollo contra la provincia di Giudea che
rubellava e poi l'uccise. Ma Giuliano, temendo per lo
essemplo del
fratello d'essere morto da
Costanzio, fecesi
monaco e, infignendosi là entro molta
santitade, fu
ordinato a
lettore; il quale
dimandò
consiglio per malìa
al
demonio, e ricevette risponsione che sarebbe levato
in su lo 'mperio.
Dopo alcuno tempo
Costanzio fece imperadore Giuliano
per
certe
faccende che 'l
distrigneano, e sì lo
mandò in Francia, e
facea tutte cose
valentremente.
Morto
Costanzio e messo in sedia Giuliano apostata,
comando Giuliano che facesse o sacrificio a li
dei
Gallicano,
o elli si partisse: ch'egli non era ardito di
dare la
morte a così grande uomo. Sì che
Gallicano
n'
andòe in Alessandria, e
trafittoli il
corpo da l'infedeli,
ricevette la
corona del martirio.
E Giuliano, preso da
avarizia maledetta, la sua
avarizia
difendeva con testimonio de la scrittura del Vangelio,
ché le ricchezze de la chiesa toglieva a'
cristiani,
dicendo così loro: "Cristo vostro dice nel Vangelio:
"Chi non rinunzierà tutte le cose le quali possiede,
non può essere mio
discepolo".
Udendo dunque che Giovanni e Paulo de le ricchezze
ch'avea lasciate la vergine Costanzia, governavano e
sostenevano i poveri,
comandò loro che si
dovessono
accostare a lui com'elli aveano fatto a
Costantino. E
quelli
dissero: "Mentre che i gloriosi imperadori
Costantino
e 'l suo figliuolo
Costanzio si gloriavano d'essere
servi di Cristo, noi
servavamo a loro; ma tu che
hai lasciata la religione piena di virtudi, da te al postutto
siamo partiti e non ti vogliamo ubbidire". A i
quali Giuliano
comandò e disse: "Io
ebbi
chericato ne
la Chiesa, e s'io
avessi voluto a maggiore grado de la
Chiesa sarei pervenuto; ma
considerando io che vana
cosa è seguire pigrezza e
riposo,
diedi l'
animo a
cavalleria,
e sacrificando a li
dei, per loro
aiuto hone
avuto lo 'mperio. Onde voi che
sete nutricati ne la
magione reale, non
dovete
venirmi meno d'essere al
mio lato, acciò ch'io vi tegna più
alti nel mio pa
lazzo.
E se cosa è ch'io sia
spregiato da voi,
farò quello che
sia di
bisogno che io non possa essere
spregiato". E
quelli rispuosero e
dissero: "Mettendo Dio innanzi noi
a te, le tue minacce neente tememo, acciò che noi non
caggiamo in
nimistade di Dio
eternale". A questo rispuose
Giuliano: "Se fra
diece dì da indi innanzi
spregerete di venire a me,
costretti sarete poscia quello
che voi non volete fare ora volentieri". Al quale i
santi rispuosero: "Già pensa che siano passati
X dì
e oggi fa quello che tu ci minacci di fare allotta".
A i quali rispuose Giuliano: "Or pensate voi che i
martiri vi
facciano
cristiani? Se voi non mi
consentirete,
io vi punirò non come martiri, ma come palesi
uomini nemici". Allora Giovanni e Paulo per tutti quelli
diece dì intendevano a fare
limosine e tutto il suo
davano
a' poveri.
In capo di
diece dì fu mandato a loro
Terenziano,
il quale disse a loro: "Il nostro signore Giuliano sì vi
manda uno
idolotto d'oro di Giove, e
mandalovi perché
voi gli
diate de lo 'ncenso,
altrimenti voi perirete
amendue
insieme". Al quale i santi
dissero: "Se Giuliano
è tuo signore
abbi pace con lui; noi non
abbiamo altro
Signore che Gesù Cristo".
Allora
comandò che fossero
dicollati
nascosamente
e sotterrati in
casa in una
cassa, e fece
nominanza
che fossero mandati a'
confini.
Dopo queste cose il figliuolo di
Terenziano fu
ingombrato
dal
dimonio, e dentro in
casa incominciò a gridare
che il
demonio l'
ardea. Udendo ciò
Terenziano
manifestòe
il peccato suo, e
diventòe
cristiano, e scrisse la
passione di queste
due santi, e 'l figliuolo fu liberato
dal
dimonio. E furono
martirizzati costoro intorno a gli
anni
Domini
CCCLXIV.
Racconta San Gregorio ne l'Omelia di quello Vangelio
che
dice: "Se alcuno vuole venire dopo me"
che una
donna visitava spesso la chiesa di questi martiri,
e un
die, tornando ella, trovò
due monaci che stavano
in
abito di pellegrino; e quella,
credendo che fossero
pellegrini fece
dare loro
limosina. Ma quando lo spenditore
s'
appressimò per
dare la
limosina, e quelli li
stettero più da presso e
dissero: "Tu ci
visiti, ora
noi ti richiederemo al
die di giudicio, e ciò bene che
noi potremo, sì ti
faremo". E
detto questo sì
disparirono
da gli occhi suoi.
Santo
Ambruosio nel
profazio dice così di questi
martiri: "Li
beati martiri
Joanni e Paulo veracemente
adempiereno quello che si
canta di
David:
Ecco come
è
buona cosa e gioconda ad
abitare i
fratelli in una
casa,
compagni ne la legge del nascere,
congiunti in
compagnia de la fede, simiglianti in
aguaglianza di
martirio, gloriosi sempre in uno Signore".
cap. 83, S. Leone
Leone papa, come si legge ne li Miracoli de la Vergine
Maria,
dicea la
Messa il
die di
Resussesso in santa
Maria Maggiore e,
comunicando i
cristiani per ordine,
una grande
donna sì li
basciò la mano, e per questo
si levò contra di lui una
forte tentazione di
carne. Ma
il servo di Dio si levò tosto contra se medesimo
crudelmente,
e
nascosamente si tagliò al postutto in quello
dì medesimo la mano
scandalezzante, e gittolla da sé.
Infrattanto nascea
mormorio nel popolo perché il
Sommo Pontefice non
dicea
Messa come era sua usanza.
Allora Leone si rivolse a la
beata Vergine Maria e al
tutto sì
commisse a la sua provvedenza. Allora incontanente
ella li venne innanzi, e con le sue santissime
mani gli rendéo la mano sua, e
fermolla,
comandandoli
che
andasse innanzi e facesse sacrificio al suo figliuolo.
Sì che Leone predicò a tutto il popolo quello che gli
era intervenuto, e
apertamente mostrò a tutti la mano
che gli era renduta.
Questi
ordinò il
concilio di Calcedonia, nel quale s'ordinòe
che solamente le vergini fossero velate; anche fue
ordinato quivi che la Vergine Maria fosse
chiamata
Madre di Dio.
Attila
diguastava tutta Italia, sì che santo Leone
tre dì e tre
notti stette in orazione ne la chiesa de li
apostoli, e poscia disse a' suoi: "Chi vuole venire dopo
di me, sì vegna". Essendosi dunque
approssimato ad
Attila, sì tosto com'elli vidde santo Leone, sì
discese
a terra del
cavallo, e gittollisi a' piedi,
pregandolo che
domandasse ciò che volesse. E
domandando che si parta
d'Italia, e lasci i pregioni, ed essendo ripreso da' suoi
Attila che il triunfatore del
mondo s'era lasciato vincere
ad un prete, e quelli rispuose: "Io
ebbi
provvedenzia
di me e di voi; che io gli viddi dal lato ritto
stare un
fortissimo
cavaliere col
coltello isguainato che
mi disse: "Se tu non
ubbidirai a costui, tu morrai con
tutti i tuoi".
Allora santo Leone mandò la Pistola a
Fabiano, vescovo di
Costantinopoli, incontra
Eutichio e
Nestorio; sì
la puose sopra il sepolcro di san Pietro
apostolo, e
soprastando
a
digiuni e orazioni, sì disse: "Ciò ch'io
avesse
fallato in questa Pistola come uomo, tu, Piero,
al quale fu
commesso la rangola de la Chiesa, sì la
togli e
mendala". E dopo
XL dì orando lui, sì gli
apparve san Piero e disse: "Io l'abbo
letta e
mendata".
E togliendo santo Leone la Pistola sì la trovò
corretta e
mendata con le mani de l'
apostolo.
Anche stette altri
XL dì santo Leone al sepolcro di
santo Piero in
digiuni e in orazioni,
pregandolo che gli
accattasse da Dio perdonamento di suo' peccati. Al quale
san Piero
apparendo disse: "Io abbo
pregato il Signore
per te, e tutti i tuoi peccati t'ha perdonati. Solamente
de lo imporre de le mani ti sia richiesto o bene, o male
che tue l'
abbi poste sopr'altrui ti sarà
domandato
perdono".
cap. 84, S. Pietro ap.Il suo martirio scrissero
Marcello e Lino papa e
Egesippo
e Leone papa.
Piero
apostolo tra tutti gli altri e sopra tutti gli
altri
apostoli fue di maggior
fervore, e volle sapere chi
fosse il traditore del Segnore, però che, come
dice santo
Agostino, sed elli l'
avesse saputo, con i
denti se l'
avrebbe
manicato; e per questo non volea il Signore
contarlo
per nome, però che, come
dice Grisostomo, se l'
avesse
nominato, Piero si sarebbe tosto levato da sedere e
avrebbelo
strangolato.
Costui
andòe al Signore sopra mare e, ne la
trasfigurazione
e ne lo
risuscitare la
donzella, fu
eletto dal
Signore; ne la bocca del pesce trovòe la moneta, e le
chiavi del reame del
cielo ricevette dal Segnore, e ricevette
da Cristo le pecore a pascere; tre milia uomini
convertì ne la Pentecosta a la sua predicazione; elli e
san Giovanni guarirono uno
zoppo, e allora
convertì
cinque milia uomini; ad Anania ed a
Safira predisse
la loro
morte; e
Enea paralitico sì guerìo;
battezzò
Cornelio; risuscitòe
Tabita; con l'ombra del suo
corpo
sanòe l'infermi; fu imprigionato da
Erode e liberato da
l'
Angelo.
Chente fosse il suo mangiare e 'l vestire, elli medesimo
il dice nel
libro di Clemente, là ove dice: "Il
pane solo con l'ulive e la
carne con mangiare è a me
in uso; il vestimento mio è quello che tu vedi: la
gonnella col mantello; e abbiendo questo non
domando
neuna altra cosa".
Dicesi anche che portava sempre in
seno uno sudario,
col quale si
forbia spesso le
lagrime che scorrevano de
li occhi, per ciò che, quando si recava a
mente del parlare
la
dolcezza e de la presenza di Cristo, per la
troppa
dolcezza de l'
amore non poteva
rattenere le
lagrime. Racconta anche Clemente, secondo che si
truova ne le Storie
Ecclesiastiche, che essendo menata
al martirio la moglie di san Piero, elli si
rallegrò di
grande
allegrezza e,
chiamandola del suo proprio nome,
sì gridò dopo lei e disse: "O moglie ricordati del
Signore!".
Una volta che san Piero
apostolo
due de'
discepoli
suoi avea mandati a predicare, da che furono
andati
XX giornate, l'uno di loro passò di questa vita, l'altro
tornò a san Piero, e
disseli quello ch'era intervenuto.
(Costui si dice che fosse san
Marciale.
Altrove si
legge che 'l primo fu san
Fronto, e l'
compagno che
morìo fue prete Giorgio). Allora san Piero gli
diede il
bastone
comandandogli che andasse dal compagno e
gli mettesse il bastone addosso. Quando l'ebbe fatto,
colui ch'era giaciuto morto
XL dì, incontanente risuscitò
vivo.
In quello tempo era in Gerusalem un mago,
ch'avea nome, Simone, che si
chiamava la prima veritade,
e
coloro che
credessono in lui
affermava che
diventerebbono perpetuali, e
dicea che neuna cosa gli
era
impossevole a fare.
Leggesi anche nel
libro di Clemente ched elli disse:
"Io sarò
adorato come Dio
palesemente, e
segnoreggerò
gli onori
divini, e ciò ch'io vorrò fare sì potrò.
Alcuna volta che la mia madre
Rachel mi
comandava
ch'io
andasse a mietere nel
campo, io, veggendo il
segono posto là,
comandai al segono che per se medesimo
mietesse, e
mietéo
diece
cotanti più che gli altri".
Aggiunse anche questo, secondo che
dice san
Geronimo,
e disse: "Io sono parola di Dio, io sono
bello, io sono
consolatore, io onnipotente, io tutte le cose di Dio".
I serpenti de l'ottone
facea muovere, le statue de l'ottone
e le pietre
facea ridere, i
cani
cantare.
Questi adunque, come
dice Lino, vogliendo
disputare
con san Piero e
mostralli d'essere Dio, l'ordinato
die
venne san Piero al luogo de la
battaglia, e san Piero
disse a quelli che v'erano presenti: "Pace sia a voi,
frati, che
amate la veritade". Al quale disse Simone:
"Noi non
abbiamo
bisogno di tua pace; se pace
fusse
e
concordia, ad invenire la veritade non
protremo fare
neente; ch'elli hanno pace i ladroni tra loro, per la
qualcosa non ci ricordare la pace, ma
battaglia: da
che
due
combattono, allora è pace quando l'uno è
vinto". Disse san Piero: "Perché hai tu paura d'udire
pace? De' peccati
nascono le
battaglie, ma dove non
si fa il peccato quivi è pace. Ne le
disputazioni s'
invenisce
la verità, ne l'opere la giustizia". Disse Simone:
"Tu non
di' nulla, ma io ti mosterrò la
potenzia e la
mia
divinitade, sì che tue m'
adori incontanente. Io
sono la prima virtude, e
posso volare per
aere, e
posso
fare
novelli
albori e mutare le pietre in pane e
durare
nel
fuoco sanza offendimento, e
tutte cose, in ciò
che
voglio, sì io
posso fare".
Contra costui
disputava san Piero e tutte le sue malizie
scopìa. Allora Simone vedendo che non potea
resistere a San Piero, tutt'i suoi libri de l'
arte
magica
gittò nel mare, perché non
apparisse che fosse mago, e
andonne a Roma, acciò che vi fosse
avuto per
Domenedio.
Quando san Piero l'ebbe saputo, sì li tenne dietro e
andonne a Roma. Sì che nel quarto
anno di
Claudio
imperadore san Piero
arrivò a Roma, e stette in su la
sedia
XXV anni, e ordinòe
due vescovi, cioè Lino e
Cleto, per suoi
aiutatori, sì come
dice
Joanni
Beleth.
E
soprastando a la predicazione, molti ne
convertìa
a la fede e molti infermi
curava. Ma lodando sempre
ne la sua predicazione la
castitade, e
soprapponendola
a molte virtudi,
convertìo
quattro
amiche d'
Agrippa,
ch'erano
amiche in
mala parte
del prefetto di Roma,
intanto ch'elle ricusaro di ritornare più a lui; onde il
prefetto adirato guatava pure di
cogliere cagione incontro
a san Piero.
Dopo queste cose
apparve il Signore a san Piero e
disse: "Simone mago e
Nerone pensano contro a te; ma
non temere, ch'io sono teco per liberarti, e
darotti
sollazzo
del servo mio Paulo, il quale
enterrà
domane in
Roma". Sappiendo dunque san Piero, come
dice Lino,
che tosto sarebbe il
disponimento del
tabernacolo suo,
essendo nel
convento de' frati, prese la mano di Clemente
e
ordinollo vescovo e
costrinselo di sedere ne la
caffera nel luogo suo.
Dopo queste cose Paulo, sì come il Signore avea
predetto, sì ne venne a Roma, e incominciò a predicare
Cristo con san Piero insieme. E Simone Mago era tanto
amato da
Nerone che sanza
dubbio era
creduto ch'egli
guardasse la vita e la salute sua e di tutta la
cittade.
Un
die
avvenne, sì come
dice Leone papa, stando
Simone dinanzi a
Nerone, la sua
fattezza subitamente
si
cambiava, e ora pareva vecchio, ora pareva giovane;
la qualcosa vegendo
Nerone,
estimava che fosse veracemente
Iddio. Disse adunque
a Nerone Simone Mago,
sì come racconta Leo papa: "Acciò che tu sappia, o
ottimo imperadore, che io sia verace figliuolo di Dio,
fammi
dicollare, e io
risuciterò al terzo
die".
Comandò
dunque
Nerone al giustiziere che 'l dovesse
dicollare,
il quale giustiziere,
credendosi
dicollare Simone,
dicollòe
uno montone, sì che Simone per
arte
magica ne
campòe
sanza male veruno, e ricolse le
membra del montone
e
nascosele, e tre dì stette
celato, e 'l sangue del montone
rimase quiviritto rappreso.
E 'l terzo
die si mostrò Simone a
Nerone, e disse:
"Fa rasciugare il sangue mio, il quale è sparto, imperò
che ecco me, il quale era stato
dicollato; com'io ti
promisi, sono risucitato il terzo
die".
Vedendolo
Nerone
sì si
sbigottio, e pensò
veramente se fosse figliuolo
di Dio. Queste cose
dice Leone papa che
dette sono.
Alcuna volta stando in
camera con
Nerone, il
dimonio
in sua
figura parlava fuori al popolo; a la perfine l'
ebbero
i romani in tanta reverenzia che gli
fecero una
imagine e
soprascrissevi questo
titolo: "A Simone, dio
santo". Sì che Piero e Paulo, come
dice Leo papa,
entrarono
a parlare con
Nerone, e tutte le malie di costui gli
scopriano. Ancora disse san Piero, ovvero san Paolo:
"Sì come in Cristo son
due sustanzie, cioè Dio e uomo,
così in questo mago sono
due sustanzie,
cioè d'uomo
e di
diavolo".
E disse Simone, sì come testimonia
Marcello santo
papa, e Leo papa: "Acciò ch'io non
patisca lungo tempo
questo nemico, io
comando
agli
angeli miei che mi
vendichino
di costui". Al quale disse Pietro: "Gli
angeli
tuoi non
temo io, ma eglino temono me".
Nerone disse:
"Non temi Simone che la
divinità sua
conforma per
opere?" Al quale disse Piero: "Se la
divinitade è in
lui,
dicami testeso quello ch'io penso, ovvero quello
che io
fo, lo quale pensiero io
manifesterò prima ne le
tue orecchie, acciò che non
ardisca di
mentire quello
ch'io penso".
Nerone disse: "Vieni qua, e
dimmi
che tu pensi". Piero
andòe, e
disseli segretamente:
"
Fammi recare un pane d'
orzo, e
falmi
dare
nascosamente".
Quel fu
recato e
benedisselo Piero, e
nascoselo
sotto la
manica, e disse: "
Dica testeso Simone,
che s'è fatto Dio, quello ch'è pensato e
detto e
fatto". Rispuose Simone: "
Dica anzi Piero quello
che penso io". Disse Piero: "Quello che Simone pensa,
io mosterrò di sapere, da ch'io
farò quello ch'elli
avrà
pensato". Allora Simone indegnato sì gridò: "Vegnano
cani grandi e
divorino costui". E subitamente
apparvero
grandissimi
cani, e
fecero
assalto contra Piero;
ma elli offerse loro il pane benedetto, e subitamente
gli messe a
fuggire. Allora disse Piero a
Nerone: "
Ecco
ch'io ho mostrato di sapere quello che Simone avea
pensato contra di me, non con parole, ma con
fatti. E
per
angeli, che avea
promesso di mandare contra di me,
sì mandò
cani, a mostrare che non ha
angeli
divini, ma
canini". Disse Simone: "Uditemi, Piero e Paulo, se
io non
posso ora fare nulla in parole, noi verremo
colà
dove mi vi
converrà giudicare, ma ora vi perdono".
Insino qui dice Leon papa.
Allora Simone, come
dice
Egesippo e Lino, levato in
superbia, fu ardito di vantarsi di
risuscitare i morti. E
avvenne che un giovane era morto, e
chiamati dunque
Piero e Simone, e questa sentenzia
confermaro tutti,
che quelli fosse morto, il quale non potesse
risucitare
il morto.
Facendo adunque Simone li suoi incantesimi
sopra il morto, parve a
coloro ch'erano d'intorno, che
il morto menasse il capo. Allora gridando tutti voleano
allapidare Piero, sì che Piero, appena fatto
racquetare
la gente, disse così: Se 'l morto vive, levisi ritto e
vada e
favelli;
altrimenti sappiate ch'elli è
fantasia
che 'l capo del morto si muova. Sia sceverato Simone
dal
cataletto, acciò che si scuoprano pienamente le
malizie del
diavolo". Sì che fue sceverato Simone dal
cataletto, e 'l garzone stette sanza muovere, e san
Piero stando da la lungi, fatta l'orazione, gridòe, e
disse: "Giovane, nel nome di Gesù Cristo
Nazzareno
Crucifisso, leva su
e va". Immantanente e il giovane
si levò e andò. E volendo il popolo
allapidare Simone, disse
Piero: "
Bastili la pena ched elli si
riconosce vinto con
le sue
arti. Il nostro maestro
c'insegnò che noi rendessimo
bene per male". Disse Simone: "Sappiate,
Piero e Paulo, che non v'interverrà quello che voi
desiderate,
ch'io vi
faccia
degni di martirio". E quelli
rispuosero: "
Avvengaci quello che noi
desideriamo, ma
a te non sia mai bene, però che ciò che tu parli, sì
menti". Ora dice qui san
Marcello che Simone andò a
casa di
Marcello, suo
discepolo, e legò uno grandissimo
cane a l'uscio de la
casa sua, e disse: "vedrai
se Piero, il quale è uso di venire a te, ci potrà
entrare".
Poco stante venne Piero, e fatto ch'ebbe il
segno de
la Croce,
sciolse il
cane; e 'l
cane a tutti gli altri era
lusinghevole, ma solo Simone perseguitava, e
prendendolo,
sì lo gittò in terra e
miselsi sotto, ché 'l volea
strangolare.
Accorse Piero e gridòe al
cane che non li
facesse
nocimento; e certo il
cane non lo
danneggiò
il
corpo, ma elli gli stracciò sì panni indosso ch'al
tutto rimase ignudo. E 'l popolo suo, e
massimamente
i
fanciulli con esso il
cane, gli
corsero tanto dietro che,
quasi come un lupo, il
cacciarono fuori de la
cittade.
Del quale vitoperio non patendo la vergogna, per uno
anno non si lasciò trovare in veruno luogo. E
Marcello,
vedendo queste maraviglie, da indi innanzi s'
accostò
a Piero. Poi ritornando Simone fue anche ricevuto
in
amistà di
Nerone.
Or dice Leon Papa che tornando Simone fece raunare
il popolo, e propuose ch'era
gravemente offeso da' Galilei,
e per ciò la
cittade la quale solea
difendere, disse
che volea
abbandonare; e ordinòe il
die nel quale
dovea
andare in
cielo, perché non si
degnava d'
abitare più in
terra. Sì che venuto quel dì, salette in su la torre
alta,
ovvero in sul
Campidolio, come
dice Lino, e gittandosi
quindi, incoronato d'
alloro, incominciò a volare. Disse
allora Paulo a Piero: "A me s'appartiene d'orare e
a te di
comandare". Disse
Nerone: "Un verace uomo
è questi, ma voi siete ingannatori". Disse Piero a
Paulo: "Paulo, leva
alto il capo e vedi". Quando
quelli ebbe levato il capo e veduto Simone volare, disse
a Piero: "Piero, perché t'indugi? Fa quello che hai
cominciato, già ci
chiama il Signore". Allora disse san
Piero: "Io vi scongiuro,
angeli di Satanas, che portate
colui per l'
aere, per Gesù Cristo nostro Signore,
che voi non lo portiate più, ma lasciatelo andare e
cadere". E immantanente lasciato, sì
cadde, e
isfracellatosi
il capo, morìo. Udendo ciò
Nerone
dolsesi d'avere
perduto un cotale uomo, e disse
agli
apostoli: "Voi
m'
avete fatto con sospetto
animo, e per lo malo
essemplo
sì vi perderò". Infino qui dice Leon papa. E
miseli
in mano di
Paulino, uomo grande e potente; e
Paulino gli
diede ne la guardia di
Mamertino, sotto la
rangola di
due
cavalieri, Processo e
Martiniano; i quali
cavalieri, Piero
convertì a la fede, onde
apersero la
carcere
e
lasciarolli andare liberi. Per la qualcosa
Paulino
dopo il martirio de li
apostoli, sì richiese Processo e
Martiniano, e trovato ch'elli erano
cristiani, per
comandamento
di
Nerone furono loro tagliate le teste.
Or pregavano i
cristiani san Piero che si partisse
indi, e non volendosi partire, a la perfine, vinto per
prieghi,
sì si partì. Essendo venuto a la porta, come
dice
Leon papa
e Lino, al luogo ove si dice ora santa Maria
al Passi, vide Cristo che li venìa incontro, e
disseli:
"Domine, quo vadis?" e quelli rispuose: "Io vegno
a Roma ad essere
crocefisso un'altra volta.
La qualcosa intendendo de la sua passione, sì tornò
addietro.
Abbiendo
detto ciò a' frati suoi, fu preso da sergenti
di
Nerone, e fue presentato ad
Agrippa prefetto,
e fecesi la
faccia sua come il sole. Ciò
dice Lino. E
disse il prefetto: " Or
se' tu quelli che ti vai gloriando
ne popoli e ne le
femminelle, che tu vai spartendo da la
compagnia de' martiri?" E l'
apostolo, riprendendo colui,
dicea ch'elli si gloriava ne la
croce del Signore. Allora
Piero, sì come straniero, fu
comandato d'essere
crocefisso;
ma Paulo, perch'era
cittadino di Roma, fu
comandato
che perdesse la testa.
Di questa sentenzia che fu
data loro addosso
dice
Dionisio, ne la pistola che mandò a Timoteo, de la
morte
di Paulo e dice così: "O
fratello, mio Timoteo, se tu
avessi vedute l'
angosce de la loro fine, tu saresti venuto
meno per la
tristizia e per lo
dolore. Chi non
avrebbe pianto in quella ora che quella sentenzia fu
uscita sopra loro, cioè che Piero fosse
crocefisso e
Paolo fosse
dicollato? Tu
avresti veduto allora le turbe
de' giudei e de' pagani, che li percotevano e
sputavano
ne le
facce loro. E vegnendo il terribile tempo
de la loro fine, quando si sceverarono insieme, legarono
le
colonne del
mondo, non certo sanza gran pianto de'
fedeli. Allora disse Paulo a Piero: "Pace sia con teco,
fondamento de le
chiese, e pastore de le pecore e de
li
agnelli di Cristo". Rispuose Piero a Paulo: "Va in
pace, predicatore de la veritade, tramezzatore de'
buoni
e guida de la salute de' giusti". E quando gli
ebbero
dilungati insieme, io seguitai il maestro mio, ché non
gli uccidessero in una medesima via". Questo dice,
infino qui, Dionisio. Or dice Leone e
Marcello che quando
Piero fue venuto a la
croce, disse: "Imperò che 'l Signore
mio
discese di
cielo in terra, fu levato in
alto
in su la
croce ritta, ma me, il quale esso
degna di
richiamare de la terra al
cielo, la mia
croce
dee mostrare
il capo in terra e
dirizzare i piedi al
cielo. Adunque
perch'io non sono
degno di stare de la
croce
in quello verso che stette il Signore mio,
rivolgetela
e col capo disotto mi
crucifiggete". Allora quelli rivolsero
la
croce, e
conficcarono i piedi disopra e le
mani disotto.
Allora il popolo si mosse a
furore, e
volevano uccidere
Nerone e 'l prefetto, liberare l'
apostolo; e elli gli
pregò che non
dovessero impedimentire la sua passione.
E 'l Signore, come
dice
Egesippo
e Lino, sì
aperse
gli occhi di
coloro ch'erano quivi e piangeano, e viddero
gli
angeli stare con
corone di rose e
fiori e gigli,
e Piero in
croce stava con essi, e toglieva uno
libro
da Cristo, e quelle parole che
diceva, sì vi leggea
entro.
Allora san Piero, come
dice
Egesippo, d'in su la
croce
cominciò a
dire: "Te, Signore mio, ho
desiderato
di seguitare, ma non fu ardito d'essere
crucefisso
ritto;
tu sempre ritto, alto e levato; noi
figliuoli
del primo uomo che sommerse il capo suo in
terra, la cui
caduta significa il mondo de la generazione
umana, così nasciamo che
pare che siamo tutti
inchinevoli a la terra. Ed è
mutata la
condizione, ché
quella cosa pensa il mondo che sia
diritta, la quale è
manca. Tu, Signore,
se' a me tutte le cose, tu
se' a
me tutto e niuna cosa abbo altra che te solo; a te
faccio grazie con tutto lo spirito del quale vivo, col
quale intendo, per lo quale priego". Là ove si pongono
due altre
ragioni, per le quali non volse essere
crucifisso ritto. Veggendo dunque san Piero che i
fedeli
aveano veduta la gloria sua, rendendo grazie a
Dio e raccomandando a lui i
fedeli, mandò fuori lo
spirito. Allora
Marcello e
Apuleo
fratelli, suoi
discepoli,
sì 'l
dispuosero de la
croce, e
seppellirlo lo
corpo suo,
compognendolo con
divisate spezie.
Santo
Isidoro nel
libro che fece del
Nascimento e
de la Vita e de la
Morte de' Santi, dice così: "Piero,
poi che ebbe
fondata la chiesa d'Antiochia, al tempo
di
Claudio imperadore, andò a Roma contra Simone mago
e,
predicandovi il Vangelio
XXV anni, vi tenne il vescovado
di quella
cittade, e nel
XXXVI anno, da la passione
di Cristo, fu
crocifisso da
Nerone col capo disotto,
sì come elli volle". Infin qui dice
Isidoro. In quello
dì medesimo Piero e Paulo
apparvero a Dionisio, secondamente
ch'elli disse ne la predetta Pistola in queste
parole: "Intendi il miracolo, vedi la maraviglia,
fratello
mio Timoteo, del dì del loro
mortificamento. Perch'io
fui presente al loro
sceveramento e, dopo la
morte
loro, gli vidi insieme per mano
entrare ne la porta de
la
città, vestiti di vestimenti luminosi e
adorni di
corone
di
chiarità e di luce". Insin qui dice Dionisio.
Ma
Nerone non rimase impunito; ma per questa
fellonia e per altre
che commise, s'uccise se stesso
con la sua mano propria. De le quali
fellonie
contiamo
qui alcune
brievemente.
Leggesi in una storia,
avvegnadio
che non è
autentica, che
Senaca, suo maestro,
aspettando
merito
decevole de la sua
fatica da lui,
comandòe
Nerone che dovesse
eleggere in su che ramo
d'
albore
desiderasse d'essere impiccato,
dicendoli che
questo era il
merito che
dovea ricevere da lui per lo
merito de la sua
fatica. E
domandandolo
Senaca, ond'elli
avea
meritato questo tormento di
morte, uno
acuto
coltello
fece
crollare spesso sopra il capo suo; e
Senaca,
per paura del capo, ragguardava il
coltello di sopra di
lui stante, temendo
fortemente il
pericolo de la
morte.
Al quale disse
Nerone: "Perché per paura del capo,
dal luogo al minacciante
coltello?" Al quale rispuose
Senaca: "Io sono uomo, però che
temo la
morte e muoio
non volonteroso". Al quale disse
Nerone: "E così
temo io ancora te, com'io ti solea temere da
fanciullo;
per la qualcosa stando te vivo, non potrò mai
vivere
in pace". Disse
Senaca: "S'egli è
bisogno pure che
io muoia,
almeno mi fa questo, che io
elegga che
morte
io vorrò fare". Al quale disse
Nerone: "Tosto l'
eleggi,
ma non ti indugiare a morire". Allora
Senaca fece fare
un
bagno d'
acqua, e
fessi
aprire le vene ne l'uno
braccio e ne l'altro; e così per troppo
scorso di sangue,
finì la vita sua; e così per un cotale
indovinamento,
ebbe nome
Senaca, quasi
se necans, cioè se uccidente,
però che se medesimo uccise, come
detto è. Di questo
Senaca si legge ch'ebbe
due
fratelli: l'uno fue
Giulio
Gallio, nobile
arringatore, il quale con la sua propia mano
s'uccise; l'altro fue
Mela padre di Lucano
poeta, il
quale Lucano per
tagliatura di vene, a
comandamento
di
Nerone, si legge ch'elli morì.
Ancora venne
Nerone in tanta pazzia di
mente, come
si legge in quella storia medesima
non autentica, che
fece uccidere la madre, e
sparalla per vedere com'elli
era nudrito nel suo ventre. E i medici di
fisica il riprendevano
del
perdimento de la madre così
dicendo: "Le
ragioni
niegano, e non è licito che 'l figliuolo uccida la
madre, la quale il partorì con tanto
dolore e nutricò con
tanta
fatica e
sollecitudine". A i quali disse
Nerone:
"
fatemi dunque impregnare d'un
fanciullo e poscia
parturire, acciò ch'io possa sapere quanto fosse il
dolore
de la mia madre". Sì che questo volere di parturire
gli era venuto in
cuore, però che passando per Roma
avea una
donna udito partorire, che mettea grandi
boci. E' medici gli
dissero: "Non è possibile quello ch'è
contrario a la natura, né non si può sapere quel che
non e
consentevole a la ragione". Disse a loro
Nerone:
se voi non mi
farete
ingravidare d'uno
fanciullo e
partorire, tutti voi
farò morire di
crudele
morte". Allora
quelli gli
dierono uno
beveraggio nel quale gli
diedero
a
bere
occultamente una rana, e per loro
artificio la
fecero
crescere nel suo ventre; e subitamente il ventre
suo, non patendo le cose
contrarie a la natura, sìe
enfiòe
in tale modo che
Nerone si
credeva essere
gravido d'un
fanciullo; e
facendoli fare
dieta come da nutricare la
rana, e'
dicealli che per lo
concepere gli
convenìa osservare
cotali cose. A la perfine, sentendo troppo
dolore,
disse a' medici: "
Affrettatemi il tempo del parturire,
imperò che per lo
languidore del parturire, appena
posso
rifiatare". Allora i medici gli
dierono a
bere
beveraggio
da
vomito, e mando fuori una rana terribile a vedere,
tutta lorda d'omori e
'nsanguinata di sangue. E pognendo
mente
Nerone al parto suo, sì li ne venne
abbominazione;
e maravigliavasi vedendo così fatta cosa; e'
disserli ch'elli avea parturito così sozzo parto, perché
non avea voluto
aspettare il tempo del partorire. E quelli
disse: "Or fue cotale l'uscita de le interiora de la
madre ?" E
coloro rispuosero: "Mae sì".
Comandò
dunque che 'l parto suo fosse nutricato, e fosse rinchiuso
a
conservare in una volta di pietre. Queste cose
non si truovano scritte ne le
Croniche, ma sono scritture
non
autentiche.
A la perfine si
maravigliava quanta e chente fosse
l'
arsura de la
città di Troia; e però per
sette dì e
sette
notti fece
ardere Roma; la qualcosa ragguardando di
su una
altissima torre, e
rallegrandosi per la
bellezza
de la
fiamma, con
enfiato
abito
cantava
canzone.
Come si legge ne la
Cronica, costui pescava con reti
d'oro, e intendea in
canzone sì che tutti quelli che
menavano le
cetare e
melodie soperchiava; menòe
marito
per moglie ed egli fue ricevuto da
marito come moglie.
Ciò
dice
Orosio.
Li romani non patendo più la sua pazzia,
fecero uno
romore contra lui, e infino fuori de la
città il perseguitarono.
E quelli vedendo che non potea
campare la
morte,
aguzzòe uno stecco co' morsi de'
denti, e
trafisselsi
per lo
miluogo del
corpo con un palo, e di cotale
morte
finì la vita sua. E in altro luogo si legge ched
e' fue
divorato da' lupi. Sì che tornando i romani, trovarono
la rana
appiattata ne la volta, e gittandola fuori
de la
cittade sì l'
arsero, onde quella parte de la
città,
dove la rana era stata nascosa, prese il nome da questo
fatto, ond'è
chiamato Laterano, quasi latente rana,
cioè
nascondente.
Al tempo di san Cornelio papa, i greci ch'erano
cristiani, aveano
furato le
corpora di questi
apostoli e
portavalle via; ma le
demonia
che abitavano ne l'idole,
costretti da la
divina vertude, sì gridavano e
dicevano:
"Soccorrete, uomini romani, ché i vostri
dei sono portati
via". Per la qualcosa intendendo i
fedeli di questi
apostoli, e i pagani de' loro iddei, la
moltitudine de'
fedeli ragunata con quella de l'infedeli vanno perseguitando
costoro. Onde li greci, abbiendo paura, a le
catacombe
le
corpora de li
apostoli entro un
pozzo
gettarono,
ma poscia ne furono tratte fuori da'
fedeli.
Ma
dubitando quali fossero l'ossa di san Piero e quali
di san Paolo, stando in orazione e in
digiuni
i fedeli,
ebbero questa risposta da
cielo: "Le maggiori ossa
sono del predicatore, le minori sono del pescatore". E
così partirono l'ossa l'une da l'altre, e
ripuoserle ne
le loro
chiese, ch'ellino aveano
edificate a loro nome.
Altri
dicono che
Silvestro papa, volendo
consegrare le
loro
chiese, pesò in una
bilancia sì le grandi ossa come
le piccole con somma
riverenzia, e
collocò l'una
metàe
ne l'una chiesa, e l'altra metàe ne l'altra.
Dubitasi d'alcuni se in uno medesimo dì furono
martirizzati san Piero e san Paulo.
Dissono alcuni che
in uno medesimo dì, rivoltò l'
anno: ma san
Geronimo,
e
buonamente
quasi tutti i santi che trattano di ciò,
s'
accordano di questo che in uno medesimo
die
e anno
furono passionati, sì come
manifestamente si
comprende
de la Pistola di Dionisio, e come
dice Leon papa
o
Massimo, secondo alcuni, in un sermone, là ove dice
così: "Non sanza cagione pensiamo che
avvenisse che
in un
die e in uno luogo, sotto uno tiranno,
ebbero la
sentenzia. In uno
die furono morti, acciò che
pervenissono
insieme a Cristo; in uno luogo, acciò che a neuno
venisse meno Roma; sott'uno persecutore, acciò che
l'
iguale
crudelezza
constrignesse l'uno e l'altro. Adunque
il
die per lo
merito, il luogo per la gloria, il persecutore
iscacciato per la vertude". Questo dice Leon infin qui.
E avvegna che in uno medesimo
die e ora
fossono
martirizzati a Roma, ma non in uno medesimo luogo,
ma in
diversi luoghi; e perché Leone dice che furono
morti in uno medesimo luogo, questo dice elli in ciò
che
abendue furono morti a Roma. Di ciò disse uno
questi versi:
Ense coronatur Paulus, cruce Petrus, eodem
Sub duce, luce, loco, dux Nero, Roma locus.
Anche
dice un altro verso:
Ense sacrat Paulum par lux, dux, urbs cruce Petrum.
E avvegna che in un medesimo
die fossero
martirizzati,
impertanto
ordinò san Gregorio che in quel dì si facesse
più spezialmente solennità di san Piero
quanto a l'Officio, e 'l seguente dì si facesse
ricordanza
di san Paulo, sì che perché in quel
die fue sagrata
la chiesa di san Piero, sì perch'ell'è maggiore
in
dignità, sì che perché fu primaio al
convertire, sì
anche perché fu papa di Roma fatto, da Gesù Cristo,
suo vicario per lo
cielo.
cap. 85, S. Paolo
La passione di san Paolo scrisse santo Lino.
Paulo
apostolo dopo il suo
convertimento
sostenette
molte persecuzioni, le quali santo
Ilario
narra
brievemente,
e dice: "Paulo
Apostolo, in una
contrada che
si chiama
Filippis, fu
battuto con verghe e messo in
carcere e
confittili i piedi al legno; in Listri fu lapidato;
in Iconio e in
Tessalonica fu perseguitato da
malvagi uomini; in
Efeso gli furono
ammesse le
fiere
salvatiche; in
Damasco fu
collato da le
mura in terra
per la sporta; in Gerusalem fu
menato dinanzi, battuto
e legato, messo gli
agguati; in Cesarea fu
chiuso,
accusato; navicando in Italia fu messo a
pericolo; vegnendo
a Roma fu sentenziato sotto lo 'mperio di
Nerone
e ucciso e
finito". Qui dice santo
Ilario.
Ricevette l'
apostolato in tra ' pagani; uno ch'era
attratto in Listri sì 'l
dirizzò; un giovane ch'era caduto
da una
finestra e morì immantanente, sì lo risucitò;
e molti altri miracoli fece a l'
isola di
Mitilene.
Una serpe gli
assalì la mano, ma non li fece male
veruno, anzi la prese e gittolla nel
fuoco.
Dicesi che
chiunque si nasce de la schiatta di quello uomo che
ricevette Paulo ad
albergo, in niuno modo sono offesi
da cose velenose; onde, quando son nati loro i
fanciulli,
pongono le serpi ne le
culle loro per provare se sono
veraci loro
figliuoli.
Dimostrasi alcuna volta che Paulo è minore di Piero,
alcuna volta maggiore, alcuna volta
iguale; ma certo
egli è minore in
dignitade, maggiore in predicazione,
iguale in
santitade.
Racconta Aimo che san Paulo, da quella ora che'
galli
cantano infino a la quinta ora,
soprastava al lavorìo
de le mani, poscia a predicare, sì che spesse
volte infino a la mezzanotte prolungava la predica, e
'l rimanente del tempo era assai necessario al mangiare
e al
dormire e a l'orazione. E vegnendo a Roma, non
essendo ancora
Nerone innalzato a lo 'mperio non
confermato,
e udendo anche de la legge de' giuderi
e de la fede de'
cristiani era grande
briga tra san
Paulo e' giuderi, non ne
curò molto, e così san Paulo
andava
liberamente e liberamente predicava. E san
Geronimo, nel
libro de'
Valorosi Uomini, dice così che
nel
XXV anno
da la passione del Signore cioè il secondo
di
Nerone, Paulo fu mandato pregione a Roma, e
per
due
anni, stando in libera guardia,
disputòe contra
giuderi; poscia lasciato da
Nerone predicò il Vangelio
ne le parti d'occidente, e nel
XIV anno di
Nerone,
cioè in quello
die che fue
crocifisso san Piero, fu tagliato
il capo a san Paulo. Infino qui dice san
Geronimo.
La sapienza e l'onestade di costui si
spandea in
tutte parti e da tutti era tenuto
maraviglioso; ancora
s'
innamicò con molti de la
casa de lo 'mperadore, e
convertilli a la fede di Cristo. Ancora furono raccontate
alcune sue scritte dinanzi a lo 'mperadore, e furono
commendate da tutti
mirabilmente; i senatori sentiano
di lui grandemente
altissime cose.
Un dì che Paulo predicava in uno solaio entro il
vespro, un giovane ch'avea nome
Patroclo,
donzello di
Nerone e molto amato da lui, acciò che potesse meglio
udire san Paulo per la
moltitudine, salìo in su la
finestra,
e,
addormentandovisi un poco,
cadde a terra e
morì. Udendo
Nerone che quelli era morto,
dolsisene
molto e rimisse un altro ne l'officio suo; e san Paulo,
conoscendo queste cose per ispirito, disse a quelli che
v'erano presenti che
andassero là e
portasserli
Patroclo,
carissimo a lo 'mperadore, lo quale era morto. E portato
ch'elli l'
ebbero, san Paulo lo risucitò e
mandollo
a lo 'mperadore co'
compagni suoi. E elli lamentandosi
de la
morte di colui, "Eccoti
Patroclo giovane venire
a le porte de lo 'mperadore" fu
detto a lo 'mperadore.
Udendo
Nerone che
Patroclo era vivo, lo quale
aveva
cotanto
amato, udito poco dinanzi ch'elli era morto,
isbigottito tutto e' non lasciò
entrare dentro a sé; ma
a la perfine
confortato da gli
amici, il lasciò
entrare.
Al quale disse
Nerone: "
Patroclo, or
se' tu vivo?"
E quelli disse: "Sono vivo". Disse
Nerone: "E chi
t'ha fatto
vivere ?" Al quale rispuose
Patroclo: "Messere
Jesù Cristo, re di tutt' i secoli" Adirato
Nerone
disse: "Adunque egli regnerà ne' secoli e risolverà
tutt' i reami del
mondo?" Disse
Patroclo: " Mai sì,
imperadore". Allora
Nerone gli
diede una grande gotata,
e disse: "Dunque
se' tu
cavaliere fatto a quello
re?" E quelli rispuose: "Ma
die pur sì, ched elli mi
svegliò da la
morte". Allora
cinque
donzelli de lo
'mperadore, che gli stavano
continuamente innanzi,
dissero
a lui: "Perché tu imperadore,
batti il giovane
savio, che risponde veracemente ? Noi altressì siamo
cavalieri di quello re che non si può vincere". Udendo
ciò
Nerone, sì li
rinchiuse in pregione, acciò che
tormentasse
molto
coloro i quali molto ha
amati innanzi.
Allora fece
cercare per tutt'i
cristiani per
punirli per
forti tormenti, tutti, sanza veruna
domanda.
Allora Paulo fu
menato dinanzi a
Nerone, preso tra
gli altri. Al quale disse
Nerone: "O uomo, servo del
grande re, il quale
se' mio pregione, perché mi sottrai
tu i
cavalieri miei e
ragunili a te?" Al quale disse
Paulo: "Non solamente de la tua
corte ho
raccolti
cavalieri,
ma di tutto il
mondo, a i quali il re nostro
farà
donamenti che mai non verrano meno, e
cacceranno
via ogne
povertà. A costui se tu vorrai essere
suggetto, sarai salvo; il quale ha tanta
potenzia che
verrà a giudicare tutti e risolverà per
fuoco la
figura
di questo
mondo". Udendo queste cose
Nerone, e acceso
d'
ira, tutti i
cavalieri di Cristo
comandò che fossero
arsi in
fuoco, e Paulo, sì come offenditore de la maestade
imperiale, perdesse la testa. Allora fu uccisa tutta la
moltitudine di
cristiani, ché 'l popolo di Roma, per sua
vertù, ruppe il palazzo de lo 'mperadore e, levando rumore
contra lui, gridavano tutti: "
Ponci modo, Cesare,
tempera il
comandamento; de' nostri sono quelli che tu
uccidi
difendendo lo 'mperio de' romani". Lo 'mperadore
temendo questo, rimutò il
bando
che non
dovesse toccare i
cristiani infino a tanto che lo 'mperadore
avesse più pienamente sentenziato di loro. Per
la qualcosa Paulo fu
rimenato anche e presentato dinanzi
a lo 'mperadore; lo quale, come
Nerone l'ebbe
veduto,
fortissimamente gridòe: "Levatemi dinanzi il
malfattore,
dicollate questo rio uomo, non lasciate più
vivere lo
'ncolpatore, uccidete il
rimutatore de' sentimenti,
toglietelo d'in su la
faccia de la terra il
cambiatore
de' sentimenti e de le
menti". Al quale disse
Paulo: "
Nerone, poco tempo ti
patirò, ma io
viverò
eternalmente a messere
Jesù Cristo". Disse
Nerone:
"
Toglieteli il capo, acciò che intenda ch'io sono più
forte che il suo re, lo quale io abbo vinto; e veggiamo
sed elli potrà
vivere sempre". Al quale disse Paulo:
"Acciò che tu sappia me
vivere
eternalmente dopo la
morte, quando il capo mio mi sarà tagliato, io t'
apparirabbo
vivo, e allora potrai sapere che Cristo è signore
de la la vita e
non de la
morte". E
dette queste
cose, fu
menato al luogo del tormento. Il quale essendo
menato,
dissero a lui tre
cavalieri che 'l
menavano:
"
Dicci, Paulo, chi è quel re vostro, il quale voi
tanto
amate, che per lui
eleggete anzi morire che
vivere?
e che
merito
avrete voi?" Allora Paulo gli predicò
sì del regno di Dio e de la pena de lo inferno,
che li
convertìo a la fede di Cristo. E quelli
pregandolo
che
andasse liberamente là ove volesse, ed elli rispuose:
"Non voglia Dio, frati miei, che io
fugga, però ch'io
non sono
fuggitivo, ma
legittimo
cavaliere di Cristo;
ché io so bene che per questa vita
passatoia
andròe a
la vita
eternale; e sì tosto com'io sarò
dicollato, uomini
fedeli torranno il
corpo mio. Ma voi segnate il luogo
e venite là
domane, e troverete a lato al sepolcro mio
due uomini, cioè
Tito e Luca, stare in orazione; a i
quali, quando voi
avrete
detto per quale cagione io
v'abbia mandati a loro, ellino vi
battezzeranno e
farannovi
insieme rede del regno
celestiale". E parlando
lui, mandò
Nerone
due
cavalieri per vedere se fosse
ancora morto, e
volendoli egli
convertire,
dissero quelli:
"Da che tu sarai morto e
resurressito, noi
crederemo
quello che tu
di'; ma vieni ora tosto, e ricevi quello
che tu hai
meritato". Ed essendo
menato al luogo de
la passione ne la porta
Ostiense, li venne incontro una
donna che avea nome
Plantilla,
discepola di san Paulo;
la quale secondo Dionisio fu
chiamata d'un altro nome,
cioè
Lemobia - la quale per la ventura ebbe
due nomi -
e questa gli s'inginocchiò a' piedi, e incominciò a raccomandarsi
a le sue orazioni. A la quale disse Paulo:
"Va,
Plantilla, figliuola de la
eternale salute, va,
prestami
il velo con che tu ti
copri il capo, che ne voglio
legare gli occhi miei e poscia lo ti renderò". E quella
credendo a lui,
facevansi
beffe di lei i giustizieri
dicendo:
"Or perché
dai tu a questo reo uomo e mago
così prezioso panno a
perderlo?"
Essendo dunque san Paulo venuto al luogo de la
passione,
distese le mani al
cielo inverso l'oriente, e
oròe a
Domenedio lungamente con
lagrime, con
boce
fioca, e rendette grazie a
Domenedio. Poscia
accomiatandosi
da' suoi frati,
fasciossi gli occhi col velo di
Plantilla e, ponendo
ambodue le ginocchia in terra,
distese il
collo e cosìe fu
dicollato. E incontanente il
capo suo
saltanto da lo 'mbusto, gridòe con
chiara
boce in lingua
ebrea: "
Jesù Cristo", il quale era stato
così
dolce a lui ne la vita sua, e 'l quale
cotante volte
avea nominato. Che si dice ch'elli il
contòe ne le sue
Pistole Cristo, ovvero
Jesù, ovver l'uno e l'altro, da
cinquecento volte. Di quello
colpo uscì fuori latte infino
ne le vestimenta del
cavaliere saltando, e poi scorse
il sangue, ne l'
aere risplendente una luce grandissima,
e del
corpo uscì fuori uno odore soavissimo.
Ma Dionisio, ne la Pistola ch'elli mandò a Timoteo
de la
morte di san Paulo, dice così: "In quell'ora
piena di
tristizia,
fratello mio
diletto,
dicendo il giustiziere
a Paulo che
apparecchiasse il
collo, allora il
beato
apostolo ragguardò in
cielo,
armando il petto suo e la
fronte del
segno de la
croce, e disse: Signore mio
Jesù Cristo, ne le tue mani raccomando lo spirito mio";
e allora, sanza
tristizia e sanza
costrignimento,
distese
il
collo e ricevette la
corona; e percotendo il giustiziere
e
mozzando il capo di Paulo, allora quello
beatissimo
in quello
colpo
ispiegòe il velo e
raccolse il sangue suo
propio col velo e legollo e
inviluppollo e
diedelo a quella
femmina. E ritornato il
cavaliere giustiziere, disse a lui
Lemobia: "
Dove hai tu lasciato il maestro mio Paulo?"
Rispuose il
cavaliere: "E'
giace col
compagno
colà,
fuori de la
città, ne la valle
Pugilii, e del velo tuo è
fasciato il volto suo". E quella rispuose e disse "
Ecco
ch'
entrarono ora ne la
città Piero e Paulo vestiti di
vestimento
chiaro ed aveano le
corone lucenti e splendienti
di luce ne'
capi loro". E trasse fuori il velo
insanguinato del sangue e
mostrollo loro; per la quale
opera molti
credettero a
Domenedio e furono
fatti
cristiani".
Infino qui dice Dionisio.
Udendo
Nerone quelle cose ch'erano intervenute,
fortemente
stupidìo, e
cominciò a ragionare di tutte queste
cose con
filosofi e con gli
amici. E ragionando insieme
di queste cose, venne Paulo stando le porte serrate; e
stando dinanzi a lo imperadore, sì disse: "Imperadore,
ecco che io Paulo,
cavaliere de l'
eternale Re che non
può essere vinto,
almeno ora puo'
credere ch'io non
sono morto, ma vivo; ma tu, misero, morrai di
morte
eternale, per ciò che tu uccidi i santi di Dio ingiustamente".
E
dette queste cose sparve. Ma
Nerone, per
la troppa paura fatto quasi
sciabordito, non sapeva che
si fare, e per
conforto e per
consiglio de gli
amici trasse
di prigione
Patroclo e
Barnaba, e lasciogli andare liberamente
dovunque e' volsero andare.
E quelli
cavalieri, cioè
Longino
capo de' soldati e
Accesto, vennero la mattina al sepolcro di
Pagolo, e
e
vidervi
due uomini, cioè
Tito e Luca, che stavano in
orazione e nel mezzo di loro stava san Paulo; e veggendoli,
Tito e Luca
fortemente spaventati
cominciarono
a
fuggire e san Paulo sparve. E li
cavalieri gridavano
dietro a
coloro e
diceano: "Non
crediate che noi vi
perseguitiamo, ma volemo essere
battezzati da voi, sì
come Paulo ci disse, lo quale noi vedemmo testeso orare con voi".
E quellino, udendo queste parole, tornarono
e con grande
allegrezza gli
battezza
rono.
Il capo di Paulo fu gittato in una valle, e per la
moltitudine de gli altri che v'erano stati morti e gittati,
non si potette trovare. Ma
leggesi ne la
detta
Pistola di Dionisio che una volta,
rimondandosi la
fossa e 'l capo di Paulo
essendone gettato fuori con
l'altra
rimondatura, un pastore di pecore il ricolse in una
sua verga, e quella verga
ficcò in terra presso a le
mandre de le pecore. E vidde per tre
notti
continue
egli e 'l signore suo sopra il
detto capo
risplendere
una luce da non potere
dire. Essendo
annunziato al
vescovo e a'
fedeli, sì
dissero: "
Veramente questo è
il capo di san Paulo". Sì che uscito fuori il vescovo
e tutta la
moltitudine de'
fedeli,
recarone seco quello
capo, e
ponendolo in su una mensa d'oro
apparecchiavasi
di
congiugnerlo al
corpo. Al quale rispuose il patriarca:
"Noi sapemo che molti
fedeli furono morti e
disperse
di qua e di là le
capita loro, onde ho
dubbio di
congiugnere
questo capo al
corpo di San Paulo; ma pognamo questo
capo a' piedi
del corpo e preghiamo Iddio onnipotente
che s'egli è il suo capo, ched e' rivolga sé al
corpo e
congiungasi con esso". La quale cosa essendo piaciuta
a tutti, puosero quello capo a' piedi del
corpo di san Paulo;
ed eccoti, stando tutti in orazione e maravigliandosi,
il
corpo si rivolse per se medesimo e
congiungesi al capo
nel luogo suo. E così
benedissero tutti
Domenedio, e
cognobbero
veramente che questo fosse il capo di san Paulo.
Racconta Gregorio
Turonese,
che visse ne gli anni
di Giustino il giovane, che
disperandosi uno, s'
apparecchiava
d'impiccarsi, ma
chiamando il nome di san Paulo
sempre
diceva: "
Aiutami, santo Paulo!" Allora gli
fu presente una cotale ombra
iscura che 'l
confortò, e
disse: "E'
buono uomo, fa quello che tu
fai e non
dimorare". E quelli sempre
apparecchiando il
lacciuolo,
dicea: "O
beatissimo Paulo,
aiutami!" E
isbrigato il
lacciuolo, fu presente un'altra ombra come d'uomo, e
disse a colui che
confortava l'uomo: "
Fuggi,
cattivissimo,
ché Paulo
avvocato ci viene". Allora
l'ombra
iscura isparve e l'uomo ritornò a sé e gittò
via il
lacciuolo e prese
degna penitenzia.
Ancora in quella medesima Pistola san Dionisio piange
la
morte di san Paulo, suo maestro, con pietose parole;
e dice così: "Chi
darà a gli occhi miei
acque, e a le
luci mie
fontana di
lagrime, ch'io pianga il dì e la
notte il lume de le
chiese, lo quale è spento? Chi non
inducerà pianto e lamento, ovvero chi non si vestirà
di vestimento da piagnere, e spaventato ne la
mente,
non si
maraviglierà? Però che
ecco che Piero,
fondamento
de le
chiese e gloria de' santi
apostoli, s'è partito
da noi e
hanne lasciati
orfani, e Paulo,
domestico de
le genti e
consolatore de'
pericolanti, ci è venuto meno,
e non si trova più il quale fu padre de' padri,
dottore
de'
dottori e pastore de' pastori;
dico di Paulo
abisso
di sapienza, stormento
alte cose sonante, predicatore di
veritade non
fatichevole, Paulo
dico, nobilissimo
apostolo.
Questi
angelo terrestro e uomo
celeste, imagine e
similitudine
de la
deitade e de lo Spirito Santo di
forma
di Dio, ci ha tutti noi
abbandonati, noi,
dico, poveri e
indegni in questo
mondo
disprezzevole e maligno, ed è
entrato a Cristo, Suo Dio e Segnore e
amico. Oimè,
fratello
mio Timoteo,
diletto de l'
anima mia, ov'è il padre
tuo maestro e
amatore? Onde ti manderà elli salute?
Da qui innanzi
ecco che
se'
diventato orfano e rimaso
solo; già non ti scriverà più con la sua mano santissima
dicendoti: "Figliuolo
carissimo, oimè,
fratello
mio Timoteo". Che
tristizia è questa che ci è incontrata
e che tenebra e che
danno che siamo
fatti orfani?
Già non ti verranno le Pistole sue dove sia scritto:
"Paulo, piccolo servo di Gesù Cristo"; già non ne
scriverrà più di te a le
città
dicendo: "Ricevete il
figliuolo mio
diletto". Ripiega
fratello sopra i libri de'
profeti e segna sopra essi, però che non
abbiamo veruno
che ci ispiani le simiglianze e le
scuritadi di quelle
parabole
e fatti e parole.
David profeta piangeva il figliuolo
suo e
dicea: "Guai a me per te, figliuolo mio! Guai a
me!". E io
dico: "Guai a me, maestro mio verace;
guai a me!" Oggimai è rimaso e mancato lo scorrimento
de'
discepoli tuoi vegnenti a Roma e
adomandanciti.
Già non sarà niuno che
dica: "
Andiamo e veggiamo
i maestri nostri, e
domandiamoli in che modo ci
convegna
reggere le
chiese a noi
commesse, e
ispianeranno
a noi le parole di messere Gesù Cristo e le parole de'
profeti.
Veramente guai a questi
figliuoli,
fratello mio
Timoteo, i quali son privati di padre
ispirituale, de'
quali è privata la greggia; e anche a noi, frati, guai!
che siamo privati de' nostri maestri
ispirituali, i quali
aveano
collegato lo 'ntendimento e la iscienza de la
vecchia e de la
nuova legge, e
avevanla
collegata ne
le loro Pistole. Ov'è il
corrimento di Paulo e la
fatica
de' suoi santi piedi? Ov'è la bocca parlante e la lingua
consigliante e lo spirito bene piacente a lo Dio suo ?
Chi non piagnerà e trarrà guai? Ché
coloro che aveano
meritato gloria e onore sì come Dio, come malfattori sono
dati a la
morte. Oimè
che in quell'ora
ragguardai il
corpo santo, insanguinato del sangue innocente! Oimè,
padre mio, maestro e insegnatore, or
fostu peccatore di
cotale
morte? Or dunque
dove t'
andrò io a
cercare,
gloria de'
cristiani e loda de'
fedeli? Chi ha fatto
racquetare
la
voce tua e la
sveglia de le
chiese, o stormento
alte cose risonante,
bischerollo del salterio di
diece
corde?
Ecco che
se'
entrato a
Domenedio, tuo Signore,
lo quale tu
disiderasti e
invaghisti di lui con tutto l'
affetto.
Gerusalem e Roma
con malvagia amistade
son
fatte
iguali nel male: Gerusalem
crucifisse il nostro
Signore
Jesù Cristo, e Roma
dette a
morte
gli
apostoli suoi; ma Gerusalem
servette a colui, lo
quale
crucifisse, e Roma
solennizzando glorifica
coloro,
i quali uccise. E ora,
fratello mio Timoteo,
coloro i
quali tu
amasti e con tutto il
cuore
desideravi,
Saul
dico re e
Gionata, in sua vita non sono sceverati, né
ne la
morte, e io non sono sceverato da messere lo
maestro mio se non quando ti spartirono gli uomini
malvagi e pessimi; e lo spartimento di questa ora non
sarà sempre, però che l'
anima sua
conoscerà gli
amati
sanza ogni cagione che gli parlino, i quali sono testeso
dilungati da lui, ma nel
die de la resurressione generale
sarebbe il grande
danno d'essere spartiti da loro".
Insino a qui dice Dionisio.
E
Joanni Grisostomo, nel
libro de le lode di
Pagolo,
commenda
questo glorioso
apostolo da molte cose
dicendo
così: "Neente al postutto
avrà
errato quelli ch'
avrà nominata
l'
anima di Paulo un prato
dilicatissimo di virtudi,
e un Paradiso
ispirituale. Ma quali segnali saranno
trovati
iguali a le sue lode, con ciò sia cosa che tutt'i
beni che sono ne gli uomini una sola
anima possegga,
e ragunarli tutti pienamente non solamente a li uomini,
ma grande cosa ch'è a
dire, a gli
angeli? Né
basterebbe,
né pertanto li riterremo, anzi che
maggiormente
poche cose
diremo. È certo questa maniera di grandissima
loda, quando la vertude e la grandezza di colui
ch'è lodato soperchia l'
abbondanzia de l'orazione; e
così l'essere vinto è molto più gloriosa cosa a noi,
che spesso avere vinto. Onde dunque prenderemo noi
più utile prencipio de le sue lode, se non che da questo?
Primieramente che noi mostriamo com'elli possiede li
beni di tutti. Abel offerse sacrificio e quindi fu lodato;
ma se noi rechiamo qui il sacrificio di san Paulo, quanto
da la terra al
cielo tanto
apparirà più sovrano. Certo
se medesimo
offerìa per
ciascuno
die, però che in
doppio
modo
offerìa sacrificio, sì nel
cuore sì nel
corpo, d'intorno
portando la mortificazione di quello; non né
offerìa
pecore né
buoi, ma se medesimo
offerìa
doppiamente
in sacrificio; non fu
contento di tutto questo, ma tutto
il
mondo si studiò d'offerire, il quale la terra e 'l mare
e la
Grecia e la Barberia, e quasimente ogne
contrada
ch'è sotto il
cielo andò
cercando, come volando,
de li uomini
faccendoli
angeli, anzi maggioremente essi
uomini quasi di
demoni
faceva
angeli. Quale sagrificio
si trova
iguali a questo, lo quale san Paulo sacrificò
col
coltello de lo Spirito Santo, e
offerselo in quello
altare che è sopra il
cielo
allogato? Ma Abel per inganno
del suo
fratello percosso morìo, ma san Paulo
fu morto da
coloro i quali egli
desiderava di liberare
da infiniti mali. Or vuogli ch'io ti mostri le sue infinite
morti? tante morti fece quanti dì ci visse.
Di
Noè si legge che pur seco
figliuoli
conservò ne
l'
Arca; ma costui da molto più
crudele
diluvio
ondeggiante
liberò tutto il
mondo,
accocciando l'
arca di
belle
tavole, cioè
compognendo le Pistole per tavole, tutto il
mondo
pericolante liberòe del mezzo de la
tempestade.
Ma questa
arca non è posta pure in uno luogo, la quale
comprende le
fini del
mondo, né non s'unsero di
bitume
ovvero di pece le tavole di questa
arca, ma di
Spirito Santo. Questa ricevente
coltivatori d'
animali
poco meno più stolti d'
animali sanza ragione sì li fece
seguitatori de li
angeli. In ciò vinse ancora quell'
arca,
per ciò che quella ricevendo
corbo dentro,
di nuovo
mandò fuori il corvo, e ricevendo il lupo, non
poté
mutare
la salvatichezza sua; ma questa ricevendo sparvieri
e nibbi gli fece come
colombi e,
traendone fuori ogni salvaticume,
misse dentro mansuetudine de lo Spirito Santo.
Di
Abraam si maravigliano tutti, imperò che al
comandamento
di Dio lasciò il paese e'
parenti; ma costui
lasciò tutto il
mondo, anzi il
cielo, e 'l
cielo del
cielo,
e tutte queste cose
disprezzòe, ricevendo Cristo, una
sola cosa
ricercando per tutte queste, cioè la
carità di
Cristo, quando disse: "Né le cose presenti, né quelle
che
debbono venire, né
altezza, né profondo, né altra
creatura mi potrà
iscostare da la
carità di Cristo". Ma
Abraam, mettendosi in
pericolo de' nimici, liberòe il figliuolo
del
fratello; ma Paulo, traendo tutto il
mondo
de la mano del
diavolo,
sostenette innumerabili
pericoli,
e con le propie morti
comperò grandissima
scuritade
a li altri. Volse anche
Abraam sagrificare lo figliuolo,
ma san Paulo sagrificò miglia di volte se medesimo.
In
Isaac si maraviglia altri la
pazienzia, imperò che
le
pozzora ch'elli avea
fatte,
patìa che fossero serrate,
e Paulo veggendo non le
pozzora
ruvinate di pietre, ma
il propio
corpo, non solamente come quegli il
battea, ma
eziandio quelli da' quali
pativa si studiava di portare in
cielo. E quanto più era ruvinata questa
fontana, tanto
rampollava più e più
fiume di sé
spandendo usciva fuori.
De la
longanimitade e
pazienzia di
Jacob si maraviglia
la Scrittura; or quale sia quella persona la quale
possa la
pazienzia di Santo Paolo seguitare? Ché non
sostenne il
servigio di
sette
anni, ma di tutta la vita
per la sposa di Cristo. Non
divampato solamente dal
caldo del dì e dal
gelo de la notte, ma,
sostegnendo
mille tentazioni, è ora impiegato di
battiture, ora
scalfito
con le pietre, e tra le
battaglie, in ogne parte saltando,
le prese pecore traeva de la bocca del
diavolo.
Ancora
Josep
abbellito de la virtude de la
castitade fue,
ed io
temo che non sia già una
beffa a lodare
san Paulo; il quale,
crucifiggendo se medesimo, non solamente
le
bellezze di
corpi
umani, ma eziandio l'
anima
che
pare a le cose
chiara e
bella vedea, a modo come
noi
spregiamo la
favilla e la
cennere, il quale stava
al postutto fermo come 'l morto al morto.
Stupidisconsi tutti gli uomini del fatto di
Job, però
che fue un
combattitore maraviglioso; e san Paulo non
pur mesi, ma molti
anni
perseverando ne la
battaglia,
sì
chiaro ne
risplendette, non radendo le schianze de la
carne con la
zolla de la pietra
aspra, ma eziandio
entrando
ne la bocca di quella
intendenzi
onevole lezione
spesse volte, e
combattendo contra infinite tentazioni,
era più sofferente d'ogne pietra. Il quale non da tre o
da
quattro
amici, ma da tutti gl'infedeli e da i frati
eziandio,
sostenne a vituperii,
sputacchiato e
bestemmiato.
E colui
aveva grande
alberghìa a' poveri; ma
quella rangola e
sollecitudine che quelli avea a'
deboli
quanto a la
carne, cotale l'avea questi a li
animi infermi.
A
chiunque
andava e venìa era
aperta la porta
de la
casa di colui; ma le cose di costui tutte erano
aperte a tutto il
mondo. E certo colui abbiendo pecore
e
buoi sanza novero, era molto
cortese a' poveri; ma
costui non posse
dendo altro che 'l
corpo suo, di questo
servìa
sofficentemente a' poveri
bisognosi; la qualcosa
in alcuno luogo ricorda dove dice: "A le mie
nicissitadi
e a quelli ch'erano meco, servirono queste mani".
Li vermini e le piaghe
facevano
crudeli
dolori a san
Giob, ma se tu
consideri bene la
battiture, la
fame, le
carcere e'
pericoli di san Paulo, le quali
pativa da' suoi
medesimi
domestichi e da li strani e da tutto il
mondo,
la
sollecitudine ch'elli
sostenea per le
chiese, l'
arsione
per li
scandalezzati per
ciascuni dì, vedrai come questa
anima era più
dura d'ogne sasso e vincea di
fermezza
il
ferro e 'l
diamante. Le cose che
Job
sostenne nel
corpo, questi
sostenne ne la
mente, cioè Paulo, lo quale
la
tristizia di tutte quante cose scorrenti più noiosa
d'ogne verme
consumava; onde di lui scorrevano
continue
fontane di
lagrime, non solamente e' dì ma le
notti,
ed
abbondavano in tutti più
fortemente ch'ogne
femmina
partorente, per la qualcosa
diceva: "
Figliuoli
miei, i quali un'altra volta parturisco".
Moisé per la
salute di giudei
elesse d'essere raso del
libro di Dio,
Moisé adunque offerse sé a perire con gli altri, ma Paulo
per gli altri. Non volse elli perire con quelli che perivano,
ma, acciò che gli altri si salvassero, volse
cadere
da l'
eternità de la gloria. Quelli
contrastava a
Faraone,
questi tutto
die al
diavolo; quegli per una gente
combattéa,
questi per l'università del
mondo, non in sudore,
ma in sangue.
Giovanni Batista prendea per
cibo radici e
mele salvatiche,
ma Paulo
conversòe così
riposatamente nel
mezzo
stropiccio del
mondo, come quegli nel
diserto;
non certo pasciuto di grilli
o di miele salvatico, ma
contento di più vile cosa che queste, e
abbisognante
per certo del necessario
cibo per lo
fervente
studio di
predicare. Veracemente di colui
apparve grande
costanzia
contra quella
femmina
Erodiada, e questi non uno
o
due o tre
crudeli tiranni
corresse, ma sanza numero
e
alti in signoria e
potenzia, anzi assai più
crudeli
di colui.
Resta adunque che noi
aguagliamo Paulo a li
angeli,
ne' quali magnifica cosa predichiamo, però che con tutta
rangola obbedìo a
Domenedio. De la qual cosa maravigliandosi
David, sì
dicea: "Potenti in vertude,
faccenti
la parola sua". Di che altra cosa si maraviglia il profeta
ne gli
angeli? Ché
dice: "Il quale fa gli
angeli
sui spiriti e servi suoi
fuoco ardente". Ma in san
Paulo bene possiamo noi trovare ciò; il quale come
fuoco
e spirito andò scorrendo tutto il
mondo, e scorrendo
purgò; ma non avea questi
acquistato il
cielo, e questa
è al postutto maravigliosa cosa, ché cotale
conversava
nel
cielo, essendo ancora
attorneato de la mortale
carne.
Di quanta dunque
condannagione siamo noi
degni, quando
uno uomo raguna in sé tutti i
beni, e noi non ci
brighiamo
di seguitare una minima parte di quelli! Non
ebbe quelli altra natura né altra
anima poi che fu
nato, né non
abitòe altro
mondo, ma, in una medesima
terra e
contrada e sotto quelle medesime
leggi e
costumi
nutricato, tutti gli uomini che ora sono, ovvero
che furono,
trasandòe con la vertude. Ma non è questa
solamente in lui maravigliosa: che per l'
abbondanza
de la
devozione non sentisse
dolori in alcuno modo, ma
eziandio che essa vertude
compensòe per
merito. E noi
per certo per quella,
e n'è proposta a noi la mercede,
combattiamo, la quale elli
abbracciando, eziandio
sanza guiderdone
amava,
sostenendo elli con tutta mansuetudine
tutte le cose le quali per loro
asprezza parea
che
impedimentissero la vertude,
cotidianamente più
alto;
cotidianamente si levava più ardente, e sopravvegnente
a lui i
pericoli, sempre con
nuova
allegrezza
combatteva.
Il quale, veggendosi
sopravvenire la
morte, al
raccomunamento
e
dilettamento de la sua
allegrezza invitava
gli altri,
dicendo: "Godete e
rallegratevi con meco".
Adunque più volentieri
andava a la vergogna e a le
ingiurie, le quali
sostenea per lo
studio del predicare,
ched elli non
faceva a'
dilettamenti de'
buoni, più
appetendo
il
disiderio de la
morte che de la vita, più de la
povertà che de la ricchezza, e molto più le
fatiche che
gli altri riposi dopo le
fatiche, più
eleggendo la
tristizia
e il pianto che gli altri
dilettanza, più studiosamente
orando e più
fruttuosamente per li nemici, che gli altri,
per gli
amici. Una cosa egli era in grande temenza e
paura, ciò era l'offesa di Dio; né non gli era altra cosa
desiderevole se non piacesse a Dio sempre. Non
dico
tanto che non
disiderasse alcuna de le cose presenti,
ma ancora neuna di quelle che sono a venire. Non
andava
mendicando le
merce, le genti, gli osti, le pecunie,
le provincie, le podestadi; però che queste cose
non riputò pure come ragnateli, ma quelle cose che
sono promesse in
cielo; e allora vedrai l'
ardere
amore
di lui in Cristo.
Costui per lo
dilettamento di quello non
disiderò
dignitade
d'
angeli o d'
arcangioli, né cosa simigliante a
queste; quella cosa che era maggiore di tutte, quest'era
l'
amore di Cristo del quale si godea; con questo si tenea
più
beato di tutti; sanza questo non
disiderava d'essere
pure
compagno de le
Dominazioni né de' Principati,
ma con questo
amore
maggiormente essere più di fuori,
anzi del novero de' puniti, che, sanza questo, essere tra
i sommi e gli onori. Quest'era il maggiore e singulare
di tutt'i tormenti da questo
amore
iscostarsi; quest'era
a lui ninferno, quest'era sola pena, questo gli
era infiniti ed intollerabili tormenti; sì come l'usare
l'
amore di Cristo era a lui vita, era il
mondo, era regname,
pure la
promessione
parealli
beni sanza
numero. Così
sprezzava tutte le cose che noi tegnamo
e temiamo, come si vuole
sprezzare l'
erba ch'è già
fracida. Li tiranni e' popoli che soffiavano
furore così
gli stimava come fossero cotali
zanzare; la
morte e
mille tormenti pensava che fosse quasi come un giuoco
di
fanciulli; pure che alcuna cosa
sostenesse per Cristo,
a lui parea essere onorato; da ch'elli era incatenato
più che se fosse stato incoronato; però che quando elli
era ristretto ne la
carcere,
abitava in
cielo, e più volentieri
ricevea le
battiture e le
fedite ch'altri non
facea
il
palco, e
amava non meno i
dolori che i
doni. Con ciò
fosse
cosa che esso
dolori prendea in luogo di
doni, e
per ciò quelli
dolori
appellava grazie, imperò che quelle
cose che sono a noi cagione di
tristizia, a lui
parturivano
grandissima
dilettanza.
E di
tristizia grandissima
ardeva, per la quale cosa
diceva: "Chi è
scandalezzato che io non
arda?" E se
in
tristizia
dica alcuno che sia alcuno
diletto, però che
molti, i quali sono piagati de le morti de' loro
figliuoli,
alcuna
consolazione hanno quando sono lasciati bene
piangere, e più si
dogliono quando sono
dinegati di
dolersi;
e così Paulo la notte e 'l
die ricevea
consolazione
con le
lagrime. Non piagne neuno con tanto
affetto
i mali proprii con quanto elli piagnea gli altrui.
In che modo pensi tu che fosse afflitto quand'elli piagnea
il
perdimento de gli altri; il quale, acciò ch'elli si salvassero,
desiderava d'essere messo di fuori da la gloria
de' santi, e, non essendo salvati,
estimava più
acerba cosa
che se medesimo perire?
Adunque a quale cosa potrà altre
aguagliare costui,
a quale
ferro, a quale
diamante? Chi non
appellerà
quella
anima d'oro,
avvero
maggiormente
diamantina,
però ch'elli era più
forte d'ogni
diamante, e più prezioso
ch'oro e che
gemme,
e altra materia
avanzava
per
fermezza, altra per preziositade? A quale dunque
cosa sia
aguagliata da altrui l'
anima di costui? Al
quale di quelle che sono al postutto non ha veruna.
Che se a l'
auro fosse
dato la
fortezza del
diamante, o
al
diamante fosse
dato l'onore de l'oro, allora per la
ventura l'
aguagliamento di quello si potrebbe per alcuno
modo
convenirsi a l'
anima di san Paulo. Ma perché
dunque reco il
diamante e l'oro a la simiglianza di
Paulo? Se tu
peserai da l'altro lato tutto quanto il
mondo, allora vedrai
apertamente
chinare giù il peso di
Paulo sanza
anima; adunque del
mondo, e di tutte le
cose che nel
mondo sono,
diciamo che Paulo è più
degno
e più nobile. Se dunque il
mondo non è
più degno di
lui, ma per la ventura n'è il
cielo? Ma questo è trovato
più
basso.
Se non solamente il
cielo, ma le cose che
sono nel
cielo,
pospuose a l'
amore
divino, come non
maggiormente
il Segnore, il quale è tanto più
benigno che
Paulo, quanto la
bontade
avanza la malizia, giudica lui
più
degno che
cieli sanza numero? Però che non ci
ama Dio tanto quanto elli è
amato da noi, ma tanto
più
diffusamente, quanto
dire non si potrebbe in parole.
E
Domenedio rapì costui nel Paradiso e
levollo insino
al terzo
cielo; e non fu sanza cagione che Paulo
conversando
in terra così si portava in tutte le cose come
s'elli
avesse la
compagnia de li
angeli. Ché, essendo
ancora legato al
corpo, godeva de la perfezione loro e,
sottoposto a tante
fragilitadi, in niuna cosa si sforzava
d'
apparire più
basso che le vertudi disopra. Però che
come uccello pieno di penne per tutto il
mondo volòe
ammaestrando; e come persona che non
avesse
corpo
sprezzòe le
fatiche e'
pericoli, e, come già quasi possedesse
il
cielo, tutte le cose
terrene al postutto
disprezzòe;
e quasi come
abitante con quelle vertudi che sono
sanza
corpo vegghiòe per
continua intenzione de la
mente. E certo a li
angeli è spesse volte
commesso la
sollicitudine di
diverse genti, ma neuno di loro governò
così il popolo a sé creduto, come governò Paulo tutto
il
mondo. E sì come alcuno
perdonatissimo padre è afflitto
inverso il figliuolo compreso de la
farnesia dal
quale, quanto più è vituperato e percosso, tanto gli ha
più misericordia e
piagnelo; così Paulo a
coloro da i
quali era afflitto
aggiugnea maggiori
nutrimenti di pietade.
Però che spesse volte per
coloro che l'
aviano battuto
cinque volte e
disideravano di
bere il sangue suo,
fortemente
lagrimava e si
dolea e per loro orava,
dicendo:
"Frati, certo la
volontà del
cuore mio
ecc
.."
Fortemente
sì mordea
e ben addentro si sbranava vedendo
costoro perire. Ché come il
ferro messo nel
fuoco tutto
diventa
fuoco, così Paulo, acceso de l'
amore, tutto era
diventato
amore. Il quale, come fosse
comunale padre a
tutto il
mondo, in tale guisa ne l'
amore di tutti seguitava
essi loro padri e
madri; anzi
avanzava tutt'i padri di
sollicitudine e di pietade, non solamente i
carnali, ma
eziandio gli spirituali. Che ogni uomo al postutto
disiderava
di
dare a
Domenedio, quasi com'elli
avesse ingenerato
tutto il
mondo;
e così si studiava di
metterli
tutti nel reame di Dio, mettendo elli il
corpo e l'
anima
per loro, i quali
amava in
Domenedio.
Questo uomo non gentile di sangue, ma un lavorante
il quale
fecea prima l'
arte de le pelli, in tanta vertude
venne che in meno
spazio di trenta
anni, i Romani e '
Persii e ' Medi e '
Parchi, e quelli d'
India e Scizia e d'
Etiopia,
e ' Sarmati
e ' Saraceni, e tutta al postutto l'umana
generazione, misse sotto il
giogo de la veritade; e come
il
fuoco messo ne la
stipa e nel
fieno guasta tutto, così
questi
consumava tutte l'opere de'
dimoni.
Consonando
Paulo con la lingua e sopravvegnendo più
fortemente
d'ogni
fuoco,
davano luogo tutte le cose che
fuggiano
e il
coltivamento e le minacce de' tiranni e li
aguàiti
de'
dimestichi. Ma
generalmente, sì come nascendo i
razzi del sole le tenebre sono
scacciate e li
adolteri e '
ladri si
nascondono per le fosse, li scherani vanno via
e ' micidiali
fuggono a le spelonche e tutte le cose
diventano
lucenti e
chiare,
alluminando i razzi disopra
la terra, così seminando san Paulo il Vangelo in ogni
parte era scacciato l'
errore e ritrovava la veritade, gli
avolteri e l'altre cose
villane a
dire vennero meno e
consumarsi
apparendo questo
vapore di
fuoco.
Tra cotale paglia e
chiara
fiamma di veritade
risurgea
tra queste cose molto splendientemente, saliendo
infino a l'
altezza del
cielo; e da questi
massimamente
fu
sollevata, i quali parea che la
premessono; né
pericoli,
ovvero
impeto, potero impedire il suo
andamento. Ma l'
errore
ha questa
condizione che, non abbiendo neuno
contrasto,
invecchia e viene mancando. Ma la verità fa tutto
il
contrario, ché, essendo da molti
combattuta, è risuscitata
e viene
crescendo. Però dunque che Dio ha così
annobilito
la nostra generazione, studiamoci
di divenire simiglianti
a quello; e non pensiamo sia impossibile, però che
cotale
corpo ebbe elli chente noi, e cotale
anima e cotali
cibi; un medesimo è quelli che
formòe te e lui e com'elli
è suo Dio così è tuo. Vuo' tu
conoscere i
doni di Dio in santo
Paulo? I vestimenti suoi
davano
spaventamento a'
demoni.
Ma questo è più da maravigliare, ché quando san
Paulo si mettea tra i
pericoli, non potea essere ripreso di
mattezza, né quand'elli gli
fuggìa, poteva essere ripreso
di
codardia. Elli
amava la vita presente per lo guadagno del
predicare e da l'altre parte la
spregiava molto per la
filosofia,
a la quale il
contento del
mondo l'avea trasportato.
A la perfine quando tu vedrai Paulo
fuggire i
pericoli,
non ti maravigliare men di lui, che quando elli
s'
allegrava di mettersi contra i
pericoli. Ché come questo
è da
fortezza, così quelle è da savere; e quando tu
il vedrai
dire di sé alcune cose, simigliantemente te ne
maraviglia come se tu il vedessi
spregiare se medesimo.
Ché come quello viene da umilitade, così questo
viene da grandezza d'
animo. Più dunque
meritava parlando
di sé che tacendo non volere essere lodato; però
che, s'elli non
avesse fatto questo, più sarebbe
colpevole
a
coloro che loro medesimi hanno impreso a lodare.
Ma elli non si sarebbe
gloriato sed elli i peccatori
avesse
perduto,
coloro che s'erano
creduti a lui, imperò che
quando si fosse umiliato più si sarebbe
esaltato. Tanto
meritò san Paulo
ingloriandosi, quanto un altro
celando
le propie lode. Né non fu mai veruno che tanto
pro
facesse
celando i suoi
meriti, quanto san Paulo
manifestandosi.
Grande male è a
dire alcuna grande cosa di sé; e
maravigliosa e somma mattezza è, non sopravvegnendo
alcuna necessità di fatto e per isforzata necessitade,
volere essere onorato de le propie lode. Ché a parlare
secondo Dio ciò si è anzi
segno di mattezza; per ciò
che questa cosa toglie ogni
merito
acquistato per
fatiche.
Ad
esaltare altri sé in parole è vantamento e
desiderio
d'onore di se medesimo, ma
dire solamente quelle cose
che sono necessarie a la presente cagione è
amore di
frutto e pensamento di rimedio di molti, sì come fece
Paulo; il quale essendo
compreso da un
falso predicatore,
fu costretto di
dire de le sue lode e di mostrare
massimamente la sua
dignitade, ma le più
celòe e le
maggiori. "Io verrò, ciò disse, a le visioni e a la revelazioni
del Signore
ecc
.. ma io perdono ch'alcuno non
pensi di me più che ne veggia, ovvero oda di me più che
ne veggia, e acciò che la grandezza de le revelazioni
non mi
faccia insuperbire
ecc
.."
Tanti parlamenti grandi e spessi ebbe san Paulo con
Domenedio, quanti non ebbe mai veruno de' profeti o de
li
apostoli; e per quelli ne
diventava più umile. Veduto
fu temere piaghe, sì che tu
diresti che secondo natura
essendo uno de la più gente, per la
volontà non solamente
era sopra molti uomini, ma
eziando uno de li
angeli era. E certo temere piaghe non è
degno di reprensione
de li
angeli, se per paura de le piaghe non fa cosa
che non sia da fare. In ciò che colui teme le piaghe,
il quale non è vinto in
battaglia, più s'è maraviglioso
mostrato, che colui che non teme. Secondamente che
a piagnere non è cosa di
colpa, ma per lo piagnere o
fare, o
dire alcuna di queste cose che
dispiacciono a
Dio. Qui si mostra chente Paulo fosse, il quale vivendo
in cotale natura fu posto in alcuno modo sopra natura,
e sed elli teméo la
morte, certo elli non la ricusava.
Avere cotale natura suggetta ad infermitadi e non servire
a le infirmitadi, non è cosa di peccato, acciò che
degnamente sia tenuto maraviglioso chi la
debolezza
de la natura
avrà vinta con la virtù de la
volontade;
e sed elli sceverò da sua
compagnia
Joanni, il quale era
anche
chiamato Marco, ciò fece elli
dirittissimamente;
però che ne l'offizio de la predicazione non
conviene
che l'uomo sia molle o risoluto, ma
forte e robusto
per tutte cose.
E non
dee neuno
aggiugnere ad usare questo
chiaro
dono se non è apparecchiato di
dare mille volte l'
anima
a la
morte e a'
pericoli. Chi non è di così fatto
animo,
molti altri si perderanno per lo suo
essempro, e più gli
sarebbe utile se si stesse in pace e intendesse pure a
sé. Non
conviene dunque a colui c'hae a governare e
comuni, ovvero a chi ha a
combattere con
fiere salvatiche,
ovvero colui ch'è mandato al giuoco de le spade,
ovvero a qualunque avere l'
anima così
apparecchiata
e
disposta a'
pericoli e a le morti, come
conviene avere
a colui che piglia l'officio del predicare. Però che i
pericoli sono assai maggiori a questi cotali e gli
avversari
sono più
crudeli, né non si
combatte al postutto
in alcuno luogo in simigliante
condizione. Il
cielo gli è
posto innanzi per guiderdone e 'l
fuoco de l'inferno
per tormento. Ma se neuno
commovimento fu tra loro,
non pensare che ciò fosse peccato; però che
commuoversi
altri non è male, ma
commuoversi sanza ragione
sì è male, e
commuoversi non richiedendo ciò n'è non
ragionevole fatto. Questo cotale
affetto mise il savio
creatore
in noi per
destare de la pigrizia e da l'
ozio l'
anime
che
dormono e che sono
disolate. Ché come Dio puose
nel
coltello il taglio, così puose
ne la mente nostra
l'
aguzzamento de l'
ira per usarla quando fia mestiere.
Però che la
benignitade non sempre è
buona, ma quando
il tempo la richiede; ma quando il tempo non è, allora
è viziosa. E così san Paulo spesse volte usòe l'
affetto,
e a
coloro che parlavano fuori di
temperamento era
migliore adirato. Ma questa cosa era in lui maravigliosa,
ché, con tutti i legami e
battiture e piaghe, era assai
più splendiente di
coloro che
risplendono de la
corona
e de la porpore; e quando era menato legato, così s'
allegrava
come se fosse
menato a un grandissimo imperio.
E poscia che fu
entrato in Roma non si
contentòe
di starvi, ma ne la Spagna n'andò scorrendo; non lasciò
passare pure un
die di stare ozioso o in
riposo, ma ne
l'
ardore del predicatore più che esso
fuoco era ardente;
né di
pericoli ebbe temenza, né di schernie ebbe vergogna.
Ma questa è ancora maraviglia che, essendo così
ardito e sempre
armato, come per
combattere, e soffiante
quasi
fuoco di
battaglia, da l'altro lato si rendeva umiliato
e inchinevole a gli altri. Ché i suoi
congiunti,
ovvero maggioremente servitori, quando
comandassero
ch'
andasse in Tarso,
nol
disdisse; e
disserli che
convenìa
che fosse
collato a terra de le
mura, e
sofferselo.
E questo
faceva elli per soprastare più lungamente a la
predicazione, e
credendo molti per questo ch'elli
andasse
a Cristo.
Temea per certo che per la ventura non si
partisse quinci povero de la salute di molti. Quando quelli
che
combattono sotto uno
capitano e elli li vedranno
dare le grandi
fedite e
scorrerli il sangue d'addosso,
né per tutto questo
dare luogo a' nemici neente, ma
stare bene
forte e
crollare la lancia
e per spessi
colpi
cadere li nemici, né non perdonare ad ogne
dolore, sanza
dubbio con tutta
allegrezza si sottomettono volentieri a
così
buono
capitano; e così
addivenne in san Paulo, che
veggendolo legato con
catene e neente di meno predicare
ne la
carcere,
veggendolo anche piegato e pertanto
predicare a quelli che 'l
batteano, per certo grande
fidanza prendeano in lui.
Elli medesimo
significandolo, disse: "Sì che molti
de' frati,
confidandosi ne' legami miei, più
abbondantemente
ardiscono sanza paura predicare la parola di
Dio". E allora prendea elli più
certa
allegrezza e più
fortemente s'
animava contro a' nemici, però che, come
il
fuoco
caggendo spesse volte in
diverse materie s'
accresce
più e
acquista
accrescimenti, così la lingua di
san Paulo a qualunque si
commovesse, a sé immantanente
li traeva. E' suoi
combattitori
diventavano pasto
spirituale a questo
fuoco, imperò che per loro
crescea
maggioremente la
fiamma de la predicazione". Queste
cose
dice san Giovanni Grisostomo.
Cominciano le
feste del mese di Luglio.
cap. 86, Felicita e sette martiri
Sette
fratelli che furono figliuoli di santa Felicita, i
nomi de' quali sono questi: Januario, Felice,
Filippo,
Silvano,
Alessandro, Vitale e Marziale; tutti questi con
esso la madre loro, per
comandamento d'Antonio imperatore,
comandò
Publio prefetto che fossero
chiamati
a sé, e
confortòe la madre che dovesse avere misericordia
di sé e di suoi figliuoli. La quale disse: "Né
con le tue
lusinghe potrò essere tratta, né con tue paure
e minacce mi potrai rompere, perch'io son sicura de
lo Spirito Santo che abbo, di mantenermi
viva, e meglio
vincerabbo stando uccisa". E rivolgendosi a' figliuoli,
e' disse: "Vedete, figliuoli
carissimi, il
cielo e guatate
in su, ché Cristo v'
aspetta lassù.
Combattete
forte per
Cristo e rendetevi
fedeli de l'
amore di Cristo". Udendo
ciò il prefetto
comandò che le fossero
date molte gotate.
E stando la madre e ' figliuoli
costantissimi ne la fede,
tutti
furono morti per
diversi tormenti, veggendoli la
madre loro
e confortandoli ne la fede.
Questa santa Felicita san Gregorio la
chiama più che
martire, imperò che
sette volte fu
martirizzata in
sette
suoi
figlioli e l'ottava volta nel suo propio
corpo. Ne
l'Omelia dice così: "
Beata santa Felicita, la quale,
credendo, fue
ancella di Cristo e, predicando, fu fatta
madre di Cristo;
sette figliuoli temette lasciare
vivi in
carne dietro a sé, sì come le
carnali
madri sogliono
temere di non
metterlisi innanzi morti;
partorette in
ispirito quegli ch'ella avea parturito in
carne, acciò che
predicando parturisse a Dio i suoi figliuoli, i quali avea
parturiti in
carne al
mondo; e
coloro i quali ella sapea
ch'erano sua
carne, non potea sanza
dolore
vederli
morire, ma era una
forza dentro d'
amore che vinceva
il
dolore de la
carne.
Dirittamente dunque ho
detto questa
femmina essere più che martire, la quale tante volte
ne' suoi figliuoli è
disiderosamente morta. Da che non
ha temuto il martirio di molti, ella ha vinta la vittoria
del martirio, però che per l'
amore di Cristo la sua
morte sola non
bastòe". Ricevettero passione costoro
intorno a gli
anni
Domini
CX.
cap. 87, S. Teodora
Teodora, gentile
femmina e
bella, al tempo di Zeno
imperadore,
presso Alessandria avea
marito che
temea
Domenedio ed era uno ricco uomo. Sì che il
diavolo
avendo invidia a la
santità di
Teodora,
accese uno
altro ricco uomo a l'
amore di costei, e
davale molta
molestia con ispessi messaggi e
doni ch'elli le mandava
perch'ella gli
consentisse. Ma ella rifiutava i messi
e
spregiava i
doni. E quelli la
molestava tanto, che non
le lasciava avere posa, ma pareva poco meno ch'ella
venisse meno.
A la perfine le mandò una incantatrice, la quale la
confortava molto ch'ella
avesse misericordia di colui e
consentisseli. E quella
dicendo che dinanzi
agli occhi
di Dio, il quale vede tutte le cose, non
commetterebbe
sì grave peccato giammai, la 'ndovina rispuose: "Ciò
che si fa di
die Dio il sa bene e vede; ma quello che
si
commette da vespro innanzi, e da che il sole è tramontato,
Dio
nol vede". Disse la
fanciulla a la incantatrice:
"Or
di' tu il vero?" E quella rispuose: "Mai
sì,
dico vero". Sì che ingannata la
fanciulla per le
parole di questa ria
femmina, disse che nel vespro facesse
venire l'uomo, e
compierebbe la
volontà sua. Quando
quella l'ebbe
detto a l'uomo, quegli,
rallegrandosi molto,
venne a quell'ora che quella avea
detto e giacque con
lei e partissi. E
Teodora, ritornando poi a sé medesima,
piagnea
amarissimamente e
batteasi il volto,
dicendo:
"Oimè! oimè! c'ho perduta l'
anima mia, e
distrutto
lo vedere de l'
anima mia la
bellezza!"
Il
marito tornando a
casa e veggendo la moglie così
sconsolata piagnere e non sappiendo la cagione, si sforzava
di
racconsolarla, ma ella non volea ricevere neuno
consolamento. Sì che venuta la mattina quella se
n'
andòe a uno monasterio di
donne, e
domandò la
badessa
se Dio poteva sapere un grave peccato ch'ella
avea
commesso nel vespro del
die. E la
badessa disse:
"Neuna cosa si può nascondere da
Domenedio. E' sa e
vede ciò che si fa a qualunque ora si
commette". E
quella, piagnendo
amaramente, disse: "
Datemi il
libro
del santo Vangelio, che vo' sortire me medesima".
E
aprendo il
libro trovò questa parola:
"Quod scripsi,
scripsi". Sì che tornata che fu a
casa, non essendovi
il
marito, un
die, tagliandosi le treccie de'
capelli e prese
le vestimenta del
marito e
misselesi indosso ratto,
s'affrettò
in via ad uno monasterio di monaci che stava
da lungi
VIII miglia, e
domandò d'essere ricevuta co'
monaci. Ed ebbe la sua
domanda
compimento e,
domandata
del nome, disse ch'era
chiamata
Teodoro. Quella
adunque
facea tutti gli uffici umilemente, e lo suo
servigio era molto
caro a tutti. Sì che dopo
alquanti
anni l'
abate
chiamò
frate
Teodoro e
comandolli che
accoppiasse i
buoi e recasse de l'olio da la
città.
E 'l
marito di lei piagnea temendo ch'ella non se ne
fosse
andata con altro uomo. Ed eccoti l'
angelo di Dio,
e disse a lui: "Levati
domattina e sta ne la via del
martirio di Piero
apostolo, e quella che ti verrà incontro,
quella è la moglie tua". E fatto ciò,
Teodora venne
con li
cammelli, e vedendo il
marito suo e
riconoscendolo
disse fra se stessa: "Oimè,
marito
buono, quanto m'
affatico
per essere libera dal peccato ch'io
commisi in
te!" E
approssimandosi a lui, sì lo salutò e disse:
"Dio t'
allegri, segnore mio". Quegli al postutto non
la
conobbe, ma
aspettando elli lungo tempo e gridando
elli ch'era ingannato,
venneli una
boce e disse: "Quegli
che ti salutò ieri mattina era la moglie tua".
Di tanta
santitade fue
Teodora che molti miracoli
fece. Uno uomo ch'era lacerato da la
bestia, sì 'l
campò
e co' suoi
prieghi il risucitò, e tenendo dietro a quella
bestia sì la maladisse e quella subitamente
cadde morta.
E 'l
diavolo non potendo
sostenere la sua
santitade, sì
l'
apparve e disse: "
Ai! meretrice sopra tutte l'altre
e
adoltera, tu lasciasti il
marito tuo per venire qua ed
ispregiare me; per le vertudi mie da tremare io
susciterò
in te la
battaglia e s'io non ti
farò
rinnegare il
crucefisso acciò che tu sappi ch'io sono". Ma quella
si fece il
segno de la santa Croce, e 'l
dimonio sparve
immantanente.
Una volta ch'ella tornava da la
città co'
camelli,
essendo
albergata in alcuno luogo, una
fanciulla venne
a lei e disse: "
Dormi con meco". E quella
rifiutandola
andò ad un altro, che giaceva nel
detto
albergo, e
concepette di lui. E
ingrossandole il ventre, fue
domandata
di cui
avesse
conceputo, e quelle disse: "Quello
monaco
Teodoro giacque con meco". Sì che, nato il
fanciullo, i
parenti il mandarono a l'
abate del monasterio
e l'
abate riprendendo
Teodoro, e elli
domandandone perdonanza,
puoseli il
fanciullo in su le
ispalle e
cacciollo
fuori del monasterio.
E quella, così
cacciata rimase
sette
anni fuori del
monasterio e nutricò quello
fanciullo del latte de le
bestie.
Ma il
diavolo
avendo invidia a tanta
pazienza di
costei,
trasfigurossi nel
marito suo, e disse a lei: "Che
fa' tu,
donna mia?
Ecco che io languisco per te, e non
ricevo veruna
consolazione. Vienne dunque, luce mia, ma
se tu
se' giaciuta con altro uomo, io sì lo ti perdono".
E quella,
credendo che fosse il
marito suo, sì li disse:
"Unquemai non istarò teco, però che 'l figliuolo di
Giovanni
conte giacque con meco, e io voglio fare penitenzia
del peccato che io
commisi in te". Ed abbiendo
orato isparve immantanente; e quella
conobbe allora
ch'era stato il
demonio.
Un altra volta la volle il
diavolo spaventare, e vennero
i
demoni a lei in
similitudine di
fiere salvatiche terribili;
e uno uomo gl'
inizzava e
diceva: "
Manicate questa
meretrice". Quella si puose a orazione, e sparvero.
Un'altra
volta venne una schiera di
cavalieri, e uno
prencipe
andava loro innanzi, e tutti gli altri l'
adoravano.
Dissero i
cavalieri a lei: "
Teodora leva su, e
adora il prencipe nostro". E quella rispuose: "Io
adoro
Domenedio". Essendo ciò
detto, el prencipe
comandò
ch'ella li fosse menata dinanzi e tanto fosse tormentata
ch'ella fosse pensata morta, e poscia sparve tutta
quella turba.
Anche un'altra volta vidde quiviritto molto oro, e
quella, faccendosi il
segno de la santa Croce,
fuggi quindi
e
accomandossi a Dio.
Un'altra volta vidde uno che le recava uno
canestro
pieno d'ogne maniera di
cibi, e disse a lei: "Mandati
a
dire quello prencipe che ti
battéo, che tu tolghi e
mangi, imperò che ti
battéo non sappiendo che si fare".
Quella si segnò e quelli isparve.
Compiuti che furono i
sette
anni, l'
abate,
considerando
la
pazienzia di costui, sì la
riconciliò e rimisela
nel monasterio con 'l
fanciullo. Nel quale luogo, quando
ebbe
compiuti poi
due
anni in vita lodevole, tolse il
fanciullo
e
rinchiusesi con lui ne la
cella sua. Essendo ciò
rapportato a l'
abate,
mandovvi alcuni monaci che
ascoltassono
diligentemente quello ch'ella parlasse con lui.
E quella,
abbracciando il
fanciullo e
baciando, sì li
disse: "Figliuolo
dilettissimo, il termine de la vita mia
ne viene, io ti lascio a
Domenedio. Lui
abbi per padre
e per
aiutatore, figliuolo
dolcissimo; starai in
digiuni
e in orazioni, e servirai
divotamente a i tuoi frati".
E
dicendo queste parole rendette lo spirito a Dio e
dormì
in santa pace
ne gli anni Domini CCCCLXX. Veggendo
ciò, il
fanciullo
cominciò
fortemente a piagnere.
In quella notte fu mostrato a l'
abate una così fatta
visione che si
apparecchiavano grandissime nozze; e
vennero gli ordini de gli
Angeli e de' profeti e de gli
apostoli e di tutt'i santi; ed eccoti nel mezzo di loro
una
femmina sola,
attorneata di gloria che non si potrebbe
dire, e venne infino a le nozze e sedette sopra
letto e tutti quelli d'intorno l'
adoravano. E venne la
voce e disse a l'
abate: "Questo
è l'abate Teodoro e
fu
accusato di
falso del
fanciullo, e
sette
anni furono
imposti sopra lui; ella è gastigata perché vituperò il
letto del
marito suo".
Isvegliato l'
abate andò ratto co' frati suoi a la
cella
di costei, e trovolla già morta; ed
entrando dentro e
scoprendola,
trovò che era
femmina, sì che l'
abate
mandò per lo padre de la
garzonetta ch'avea
infamata
costei, e sì li disse: "Il
marito de la figliuola tua sì
è morto". E levando il vestimento seppe ch'ell'era
femmina. Sì che venne una grande paura sopra
coloro
che vidono ciò, e l'
angelo di Dio parlò a l'
abate, e
disse: "Leva su tosto, e sali a
cavallo, e va in
città, e
chiunque ti viene incontro,
piglialo con teco e
menalo".
E
andando l'
abate, uno uomo gli venne incontro
correndo,
e quegli il
domandò dove
corresse. Rispuose l'uomo:
"La moglie mia è morta e io la vo a vedere".
Allora l'
abate si misse in groppa il
marito di
Teodora,
e venendo al monasterio piansero molto e
seppellirla
con molte lode. E 'l
marito prese la
cella di
Teodora,
sua moglie, e stettevi entro, e a la perfine
dormìo in
santa pace. E 'l
fanciullo tenne la via di
Teodora sua
balia in ogne onestà di
costumi intanto
crescendo che,
morto l'
abate del monasterio, tutti
chiamarono ad una
boce costui per
abate del monasterio.
cap. 88, S. Margherita
La sua leggenda scrisse
Teodimo, glorioso uomo e
santo.
Margherita de la
città d'Antiochia fu figliuola di
Teodosio
patriarca de' pagani. Costei fu
data a
balia e, vegnendo
a l'
etade puerile, fu
battezzata; e per questo era
molto in odio al padre. E da ch'ella ebbe
compiuti li
XV
anni, un
die, guardando ella le pecore de la
baila con altre
donzelle, il prefetto
Olibrio passava per quella
contrada, e
vedendo così
bella
fanciulla, incontanente fu preso di lei e
tostamente le mandò suo sergenti,
dicendo a loro: "
Andate
e sì la pigliate, acciò che s'ella è libera, io la mi tolga
per moglie, e s'ella è
ancella, sì la mi tegna per
amica".
Essendo dunque
appresentata a lui dinanzi, sì la
domandò
de la sua schiatta e del nome e de la
setta.
Quella rispuose che era di nobile schiatta e avea nome
Margherita e era de la ischiatta de'
cristiani. A la quale
rispuose il prefetto: "Le
due prime cose ti si
confanno
troppo bene, però che tu
se' tenuta nobile e
se' provata
d'essere Margherita
bellissima; ma la terza cosa non ti
si
confà, cioè che una
fanciulla così nobile e
bella abbia
per
Domenedio uno
crucifisso". E
affermandogli
santa Margherita come
spontaniamente era stato
crocifisso
per lo nostro ricomperamento, ma ora viveva
eternalmente,
adirato, il prefetto
comandò ch'ella fosse
messa in pregione.
E 'l seguente dì la si fece venire dinanzi, e sì le
disse: "O vana
donzella,
abbi misericordia de la tua
bellezza e
adora li nostri
dei, acciò che tu
abbi bene".
E quella rispuose: "Io
adoro colui del quale triema la
terra, e temonlo il mare e' venti, e tutte le
creature".
E 'l prefetto disse: "Se tu non mi
consentirai, io
farò
isquarciare lo tuo
corpo". Al quale Margherita rispuose:
"Cristo
diede se medesimo per me a la
morte, e però
non
dubito io
di
siderare la morte per Cristo". Allora
il prefetto
comandò ch'ella fosse sospesa in alto e
squarciata sì
crudelmente
prima con le verghe, di poi
con i pettini di ferro sino a la nudità de l'osso, che
del
corpo suo usciva il sangue come di purissima
fontana.
E piagneano
coloro che erano quivi presenti, e
dicevano
a Margherita: "Noi ci
dogliamo di te, però che
vedemo il tuo
corpo essere così
crudelmente isquarciato.
Oi che
bellezza tu hai perduta per la tua miscredenza!
almeno
credi ora, acciò che tu viva". A' quali ella rispuose:
"Oi mali
consiglieri, partitevi da me, questo
tormento de la
carne è salvamento de l'
anima". Poscia
disse al prefetto: "
Disvergognato
cane e non
saziabile
leone, tu hai podestà ne la mia
carne, ma Cristo
si riserba l'
anima". E 'l prefetto
ricoprìa la
faccia
col mantello, ché non
patìa di vedere tanto
spandimento
di sangue.
Poscia la fece porre a terra, e
fecela
rinchiudere ne
la
carcere,
e un mirabile lume rifulse. Nel quale luogo
essendo pregò il Signore che le
dimostrasse il nimico
visibilemente, il quale
combattea con lei. Ed eccoti
apparire
iventro un grande
drago e, ponendo la bocca
sopra il capo di colei e la lingua sotto il
calcagno, sì
l'ebbe
tranghiottita; ma quando ella vidde ch'elli la
volea tranghiottire, sì si
armò col
segno de la Croce; e
però il
drago, per vertù de la Croce, sì
crepò, e la vergine
n'uscì fuori sanza male. Ma questo che si dice
del
divoramento del
dragone e del suo
criepamento è
tenuto che sia
favole. E 'l
diavolo un'altra volta, per
poterla ingannare, sì si
trasfigurò in ispezie d'uomo;
e ella
vedendolo si
diede a l'orazione; da che fu levata,
il
diavolo andò a lei, e tenendole la mano sì le disse:
"
Bastiti quello che tu hai fatto, guardati oggimai da
la mia persona". E quella il prese per lo capo e
gittollo
a terra e sotto a sé, e puose il piè
diritto sopra il
collo
suo, così
dicendo: "
Cadi giù, superbo
dimonio, sotto i
piedi de la
femmina". E 'l
dimonio gridava: "O
beata
Margherita, io sono vinto! Se un giovane m'
avesse vinto,
io non ne
curerei, ma
ecco che sono vinto da una
tenera
donzella, e quindi mi
duole più, ché 'l padre e la
madre tua furono miei
amici". E quella il
costrinse
di
dire perché in tante guise tentava gli
cristiani. E
quelli rispuose che naturale odio era a lui incontra gli
uomini vertudiosi; e avvegna che da loro sia spesse
volte
cacciato, pur del
disiderio di
ringannare rimane
molesto; e però ch'elli ha invidia a l'uomo de la
beatitudine
la quale elli
perdette,
avvegnadio che non la
possa ricoverare, ma pure elli si sforza di
torla a gli altri.
E disse che Salamone
rinchiuse una infinita
moltitudine
di
dimoni in uno vasello, e di quello vasello traeva
fuoco, e li uomini,
credendo che v'
avesse grande
tesoro entro, sì lo ruppono e le
demonia
uscendone fuori
riempierono l'
aere.
Dette queste cose la vergine Margherita
sollevò il piede
e disse: "Fuggi misero". E 'l
demonio
sparve immantanente. Sì che
divenne sicura, però che
da ch'ella avea vinto il prencipe, sanza
dubbio vincerebbe
il ministro.
E 'l seguente
die ragunato il popolo, fu menata dinanzi
al giudice; e non volendo sacrificare fu spogliata,
e con
faccelline
accese le sue
carni furono
abbronzate
in tale guisa che tutti si
maravigliavano come così tenera
fanciulla potesse patire tanti tormenti. Dopo questo
la fece legare e, legata, mettere in una grande
tina piena
d'
acqua, acciò che per lo
cambiamento de le pene,
crescesse
il
dolore, ma subitamente si
commosse la terra e,
stando tutti in paura, la vergine n'uscì fuori netta sanza
male veruno.
Allora
crederono in Cristo
cinque milia uomini e, per
lo nome di Cristo, ricevettono la sentenzia de la testa.
E temendo il prefetto che gli altri non si
convertissono,
tosto fece
dicollare santa Margherita. E ella
accattòe
spazio d'orare per sé e per li suoi persecutori, e anche
per
coloro che
facessero memoria di lei e che si
raccomandassero
devotamente a lei, e che qualunque
femmina
avesse
pericolo di parto e ella la
chiamasse, ch'ella mandasse
fuori la
criatura sanza veruno male. E venne la
voce da
cielo
e disse com'ella sarebbe
esaudita ne le
sue orazioni.
E levandosi da l'orazione, disse al giustiziere: "
Frate,
tolli la spada tua e sì mi percuoti". E quelli percotendo, a
uno
colpo l'ebbe tagliato il capo; e così ricevette la
corona
del martirio. Passionata fue
XVIII dì fra Luglio come
dice la
sua leggenda. Ma
altrove si truova
XIII dì
entrante Luglio.
Di questa vergine dice così un santo: "Santa Margherita
fu ornata de la
perseveranza, del timore di Dio,
adorna di religione, sparta in
compunzione, lodevole
d'onestate, singulare ne la
pazienzia, e nulla cosa si
trovava in lei
contraria a la religione de'
cristiani. Fu in
odio al padre suo, fu innamorata di messere
Jesù Cristo".
cap. 89, S. Alessio
Alessio fu figliuolo di
Eufemiano, gentilissimo romano
e più innanzi ne la
corte de lo imperadore. Al quale
servivano innanzi tre milia
donzelli che aveano tutti
scaggiali d'oro e vestimenta di
seta. Ed era il
detto
Eufemiano uno uomo ch'era molto misericordioso, e
ciascheduno
die ne la
casa sua s'
apparecchiavano
tre
mense a' poveri,
orfani, pellegrini e vedove, a i quali
valentremente servìa; e ne l'ora de la nona egli con
uomini religiosi prendeva il
cibo nel timore di Dio. E
avea moglie ch' era
chiamata
Aglaes,
ed era de la
stessa religione e costumi; e non
avendo figliuolo
veruno, per li loro
prieghi
concedette
Domenedio loro un
figliuolo e, poi che l'
ebbero, da indi innanzi si
fermarono
di
vivere in
castitade.
E posto il figliuolo a lo
studio de la lettera e a le
sette
arti, essendo già
fiorito in tutte l'
arti de la
filosofia
e venuto a
etade di
XIII anni, sì li fue scelta
una
donzella de la
casa imperiale, e
fugli
data per
moglie.
Or venne la notte ne la quale si ritruova in
camera
con la sposa; allora il santo giovane
cominciò ad
ammaestrare
la sua sposa nel timore di Dio e
inducerla a
castitade di
verginità; poscia le
diede a serbare l'
anello
suo de l'oro e 'l capo de lo scheggiale ch'elli avea
cinto, e disse così: "Tolli queste cose e serbale quanto
a Dio piacerà, e 'l Signore sia tra noi".
E poi tolse de l'avere suo e vassene al mare e,
entrando
nascosamente ne la
nave, venne infino in Laodicea;
poscia si mosse indi e
andonne in
Edessa,
città
di Sorìa, là
dove è la imagine del nostro Signore
Jesù
Cristo, fatta sanza opera d'uomo in uno
bello panno.
E giunto che fu là, ciò che avea portato seco
diede a'
poveri, e, mettendosi
vili vestimenti, con gli altri poveri
cominciò a sedere sotto il portico de la gloriosa Vergine
Maria. De le
limosine ricevea quanto li potea
bastare e
l'altro
dava a' poveri.
Il padre
doloroso de la partenza del figliuolo mandò
suoi
donzelli per tutte le parti del
mondo che
andassero
cercando di lui
diligentemente. De' quali,
essendone
venuti alcuni a la
città di
Edissa, furono bene
conosciuti
da lui, ma ellino non
conobbero lui, e
diederli
limosina
con gli altri poveri; la quale ricevendo, fece grazia a
Dio, e disse: "Grazie ti rendo, Signore mio, che
m'hai fatto ricevere
limosina da' servi miei".
Ritornati dunque i
donzelli
annunziarono al padre che
non l'aveano potuto trovare in parte veruna; e la madre
sua, dal
die de la partenza,
distese uno panno di
sacco in sul letto suo, nel quale luogo piagnendo
dava
lamentevoli
voci,
dicendo: "Qui starò io sempre in
pianto infino a tanto ch'io
avrò ricoverato il figliuolo
mio". E la sposa disse a la suocera sua: "Infino a
tanto ch'io udirò
novelle de lo sposo mio
dolcissimo,
starommi solitaria a modo di tortora".
Essendo dunque stato
Alessio in quel luogo
XVII
anni al
servigio di Dio, a la perfine la imagine ch'era
iveritto de la
beata Vergine, disse al guardiano de la
chiesa: "Fa venire dentro l'uomo di Dio, però ch'egli
è
degno del reame del
cielo, e lo spirito di Dio si riposa
sopra lui, però che l'orazione sua
sale come incenso
nel
cospetto di Dio". E non sappiendo il guardiano di
cui
dicesse, un'altra volta li disse la imagine: "Colui
che siede fuori ne la piazza è esso".
Allora il guardiano uscì ratto fuori e
menollo dentro
ne la chiesa. Il quale fatto essendo
palesato a tutti e
avuto in reverenzia da tutti, volendo
fuggire la gloria
de gli uomini partissi quindi, e
vennene in Laodicea, e ivi
entròe in
nave e, volendo andare in Tarso di Cilicia,
la
nave, per
dispensazione di Dio menata da' venti,
capitò
in porto romano.
Vedendo ciò
Alessio, disse fra se stesso: "Io mi starò
in
casa di mio padre sanza essere
conosciuto, e non
darò
fatica altrui di me". Ed incontrossi nel padre che
venìa dal palazzo,
attorneato di
moltitudine di sergenti,
e
cominciolli a gridare dietro e
diceva: "Servo di Dio,
ricevi me pellegrino in
casa tua e
fammi nutricare de'
minuzzoli de la mensa tua, acciò che Dio abbia misericordia
del tuo pellegrino".
Udendo ciò il padre, per
amore del figliuolo suo
comandò
che fosse ricevuto, e
assegnatoli luogo propio in
casa sua e un propio servigiale. Ma elli
perseverava
in orazioni, e
macerava il
corpo suo con
digiuni e con
vigilie.
E'
fanti de la
casa sua
facieno molte scherne di lui e
rivesciavagli ispesse
volte l'
acqua in capo de le
masserizie
di
cucina, e
facevangli molti rincrescimenti, ma
elli era
paziente a tutte queste cose.
Sì che
XVII anni
stette, così non
conosciuto, in
casa del padre.
Veggendo dunque per ispirito che la fine sua s'
appressimava,
adimandò una
carta da scrivere e inchiostro,
e
scrissevi entro tutto l'ordine de la vita sua.
E la
Domenica vegnente,
dette le
Messe, venne una
voce da
cielo nel santo luogo, e disse: "Venite a me tutti
voi che v'
affaticate e siete
caricati e io vi
satollerò".
Udendo ciò tutti,
caddero tutti isbigottiti in terra
boccone;
ed eccoti la
voce da
cielo la seconda volta, e disse:
"
Cercate l'uomo di Dio che
preghi per Roma".
Cercandone
coloro e non
trovandolo, fu
detto un'altra volta:
"
Cercate in
casa d'
Eufemiano".
Dimandatone quelli,
disse che non ne sapeva veruna cosa. Allora gl'imperadori
Arcadio e Onorio vennero insieme con papa
Innocenzio
a la
casa del
detto uomo, ed eccoti il servigiale
d'
Alessio venire al segnore suo, e disse: "Guarda, messere,
che non sia quello pellegrino nostro, ched egli è
uomo di grande vita e di grande penitenzia".
Corse
dunque
Eufemiano e
trovollo morto e vidde il volto suo
risplendiente com'un
angelo; e volle torre la
carta che
teneva scritta in mano, ma non la poteo avere. Uscendo
dunque
fuora ed abbiendo raccontato ciò a l'imperadori
e al papa,
coloro
entrarono ne la
casa e
disse
ro: "
Avvegnadio
che noi siamo peccatori, pur siamo governatori
del reame e costui ha
cura universale del
reggimento
pastorale;
dacci dunque la
carta sì che noi sappiamo
quello che ci è entro scritto". Allora andò il papa e
tolseli la
carta di mano, e elli la lasciò, e fu fatta
leggere
dinanzi a tutto il popolo e a tutta la
molti
tudine e
al padre di lui.
Eufemiano udendo queste cose,
conturbato per troppa
paura,
estupidìo e
diventòe tramortito e,
venutoli meno
la
forza,
cadde in terra. E quando fu ritornato
alquanto
a se medesimo squarciò le vestimenta sue e
cominciossi
a
divellere i
capelli suoi
canuti del capo suo e
pelarsi la
barba e
dirompersi tutto quanto, e
cadendo
sopra il
corpo del figliuolo gridava: "Oimè, figliuolo
mio, perché m'hai tu così
contristato, e per
cotanti
anni
m'hai
dato pianto e
dolore? Oimè misero, che ti veggio
guardiano de la vecchiezza
mia, giacere in uno letticello
e non mi parli! De! Che
consolazione potrò io
avere da quinci innanzi?"
E la madre sua udendo queste cose, come leonessa
rompente la rete, così, con le vestimenta
squarciate e
scapigliata, si levò ritta e levava gli occhi a
cielo; e
non potendo per la grande
moltitudine andare al santo
corpo, gridava
dicendo: "
Fatemi luogo e acciò, uomini,
ch'io veggia il figliuolo mio, ch'io veggia la
consolazione
de l'
anima mia, che
poppòe il petto mio!" Ed
essendo pervenuta al
corpo, gittandosi sopra esso, gridava:
"Oimè, figliuolo mio, lume de gli occhi miei,
perché la ci hai così fatta, perché ti
se' portato con
esso noi così
crudelmente? Tu vedevi lagrimare il padre
tuo e me, misera, e non ci ti mostravi? I servi
tuoi ti
faceano ingiurie, e tu le
sostenevi?" E anche più
e più si gittava sopra 'l
corpo, e or vi
spandeva sopra
le
braccia, ora le toccava il volto
angelico con le mani,
e
basciando gridava: "Piangete con esso meco tutti voi
che siete qui presenti, però che
diciasette
anni l'ho
tenuto in
casa mia, e non l'ho
conosciuto ched e' fosse
uno solo mio figliuolo; i servi suoi li
facevano villania,
e
davanli le gotate! Oimè, chi
darà a gli occhi miei
fontana
di
lagrime, acciò ch'io pianga il dì e la notte il
dolore de l'
anima mia?".
E la sposa sua, vestita di nero,
corse là piagnendo
e
dicendo: "Oimè, ch'io sono oggi sconsolata e
appaio
vedova; già non abbo in cui guardare, né in cui levare
gli occhi; ora è rotto lo
specchio mio, è perita la speranza
mia; oggimai è
cominciato il
dolore che non ha
fine!"
E 'l popolo vedendo queste cose
lagrimevolemente
piagnevano. Allora il papa con l'imperadori puosero il
corpo in uno onorato
cataletto e
menarlo nel mezzo de
la
città; e fu
annunziato al popolo ched era trovato
l'uomo di Dio, lo quale tutta la
città
andava
caendo, e
tutti
andavano incontro al
corpo suo.
I
ciechi ricevettono lo vedere, gl'indemoniati erano
liberati e tutti gl'infermi, da qualunque infermità gravati
fossero, toccato che aveano il
corpo santo erano
sanati. E gl'imperadori, vedendo tante maraviglie,
cominciarono
per loro medesimi a portare il letto con esso
il papa, acciò che
fossono santificati da quello
corpo
santo.
Allora gl'imperadori
comandarono che fosse gittato
oro e
argento in
buona quantità ne le piazze, acciò che
le turbe fossero occupate de l'
amore de la pecunia e
lasciassero portare il
corpo santo a la chiesa. Ma il popolo
puose da l'uno lato l'
amore de la pecunia e più
che più
correvano a toccare il
corpo santissimo, e così,
con grande
fatica, il portarono al tempio di santo Bonifazio
martire, e per
sette dì permagnendo ne le lode
di Dio.
In quello cotale luogo lavorarono uno monimento d'oro
e di
gemme e di pietre preziose, e
misservi entro con
grande reverenzia il
corpo santissimo a
XVII dì del
mese di Luglio. E di quello monimento usciva sì soavissimo
odore che a tutti pareva che fosse pieno di spezie.
E morì
XVII dì fra Luglio nel
CCCXCVIII.
cap. 90, S. PrassedePrassede vergine fu serocchia di santa Potenziana
vergine, le quali furono serocchie di santo Donato e di
santo Timoteo apostolo, i quali furono ammaestrati da
li apostoli ne la fede. Questi, quando era la grande persecuzione
de' cristiani, avendo seppellito le corpora di
molti cristiani e dato l'avere l'oro a' poveri, a la perfine
morirono in pace, intorno a gli anni Domini CLXV
sotto Marco e Antonio Nero.
cap. 91, S. Maria MaddalenaMaria Maddalena,
dinominata dal
castello Magdalo,
nacque di gentile
legnaggio, sì come di
discendenti di
schiatta di re; il cui padre ebbe nome Siro e la madre
Eucaria. Costei col
fratello suo
Lazzaro e con la
serocchia
sua Marta avea in possessione il
castello ch'era
chiamato
Magdalo, ch'è presso a
Genesaret a
due miglia, e anche
Betania, ch'è presso a Gerusalem,
e grande parte possedeva
di Gerusalem. Le quali possessioni
divisero tutte
così tra loro che Maria ebbe il
castello di Magdalo,
onde ella è
dinominata, e
Lazzaro ebbe la parte de la
città di Gerusalem, e Marta ebbe
Betania. E con ciò
fosse
cosa che Maria si
desse tutta a le
delizie del
corpo
e
Lazzaro intendesse il più a
cavalleria, Marta, savia,
governava
valentremente la parte de la
sirocchia e
quella del
fratello e la sua, e
serviane a'
cavalieri e a'
fanti suoi e a' poveri ne' loro
bisogni. Ma tutte queste
cose vendettero dopo l'
ascensione di Cristo e gittarono
lo prezzo a' piedi de gli
apostoli.
E
abbondando la Maddalena in ricchezza, però che
con l'
abbondanza de le cose v'ha per
compagno il
diletto
del
corpo, quant'ella
risplendea di ricchezze e di
bellezza, tanto sottomisse il
corpo suo a
diletto, ond'ella
avea già perduto il suo propio nome e
soleasi
chiamare
la peccatrice. Ma predicando Cristo quivi e
altrove, ella,
per
volontà di Dio
ispirata, andò a
casa di Simone lebbroso,
là ov'ella udì che Cristo mangiava; e non essendo
ardita, come peccatrice, di stare fra le sante persone,
stettesi di dietro a' piedi del Signore, e ivi gli lavò
con le
lagrime e
forbilli co' suoi
capelli e unse con
unguento prezioso; però che gli
abitanti di quella
contrada
per la grande
arsura del sole usavano unguenti
e
bagnora. E con ciò fosse
cosa che Simone
fariseo
pensasse così fra se medesimo: "Se costui fosse profeta,
neente si lascerebbe toccare a la peccatrice", il
Signore il riprese de la sua superba giustizia e a la
femmina perdonòe tutt'i peccati. Questa è dunque quella
Maria Maddalena a la quale il Signore fece così grandi
beneficii e mostrò sì grandi segni d'
amore; però che
cacciò da lei
sette
demonia e,
accesala tutta nel suo
amore,
fecelasi
famigliarissima e sua
albergatrice, e
volsela avere per sua
procuratrice in
viaggio, e sempre
la
scusòe
dolcemente. Imprima la
scusòe al
fariseo, che
dicea ch'ell'era
immonda; e
scusolla a la
serocchia che
dicea ch'ell'era oziosa; e a Giuda che
dicea ch'ell'era
una scialacquata.
Vedendola Cristo piagnere, non
poté
tenere le
lagrime. Per lo cui
amore risucitò il suo
fratello,
ch'era stato
quattro dì morto; per lo cui
amore
liberò Marta, sua
serocchia, dal
flusso di sangue ch'ella
avea patito
sette
anni; per li cui
meriti fece
degna
Martilla,
cameriera de la
sirocchia, di
dire così
beata e
dolce parola come fu quella ch'ella gridando disse a
Cristo: "
Beato il ventre che ti portò". Ché secondo
il
detto di santo
Ambruosio, ella fue Marta, e questa
fue sua
cameriera.
Questa è adun
que colei che lavò i piedi al Signore
con le
lagrime e
rasciugogli co'
capelli e unse con lo
unguento; la quale nel tempo de la grazia fu la prima
che fece
solenne penitenzia, la quale
elesse l'ottima
parte, la quale sedendo a' piedi del Signore udì le parole
sue, la quale unse il capo del Signore, al quale fue a
lato a la
croce di Cristo ne la Passione, la quale
apparecchiò
gli unguenti per ugnere il
corpo suo, la quale
non si partì dal monumento partendosene i
discepoli, a
la quale Cristo, risuscitando,
apparve di prima e
fecela
apostola de li
apostoli.
Adunque dopo l'
Ascensione del Signore, ciò il quarto
decimo de la passione di Cristo,
avendo già i giuderi
morto santo Stefano e
cacciati via i
discepoli da
tutt'i
confini de la provincia di Giudea, i
discepoli
andarono
per
diverse
contrade de' pagani seminandovi la
parola di Dio. Ora era da quello tempo con gli
apostoli
san
Massimino, uno de'
settantadue
discepoli di Cristo,
al quale la Maddalena era stata raccomandata da san
Piero. Sì che in questo spargimento san
Massimino e
Maria Maddalena e
Lazzaro, suo
fratello, e Marta, sua
serocchia, e
Martilla,
cameriera di Marta, e anche santo
Cedonio, il quale
cieco da la nascita era stato
alluminato
da Cristo, tutti questi insieme, e molti altri
cristiani, furono
messi in una
nave da l'infedeli e
abbandonati al
pelago, sanza veruno
argomento di
nave, acciò che
tutti v'
affogassero
entro; ma per
volontà di Dio a la
perfine
capitarono a Marsiglia. Nel qual luogo, non
trovandovi
persona che li volesse ricevere, stavansi sotto
uno portico ch'era tempio de l'idolo di quella gente de la
terra. Veggendo santa Maria Maddalena
correre il popolo
a quello tempio per fare sacrificio a l'idoli, levossi in
piede col volto piacevole e con la
faccia
chiara, con la
lingua pulita e
ritraevali da l'
adorare gl'idoli e predicava
Cristo
costantissimamente; e
maravigliansi tutti
per lo
bello parlare di lei e per la
dolcezza de le sue
parole. E non era da maravigliare se la bocca ch'avea
dato così piatosi
basci e così
belli a' piedi del
Salvatore,
desse maggiore odore che tutti gli altri de le parole
di Dio.
Poscia eccoti venire il
prenze de la
provenza con
la moglie sua, per fare sacrificio a l'idole, acciò che
potesse avere figliuolo. A i quali santa Maria Maddalena
fece una predica e
confortolli di
non fare sacrificii.
Infrattanto, rivolti
alquanti dì,
apparve in visione la
Maddalena a quella
donna, così
dicendo: "Per quale
cagione, con ciò sia cosa che voi
abbondiate in tante
ricchezze, lasciate morire i santi di Dio di
fame?" E
dicendo ancora, la minacciò
fortemente sed ella non
confortasse
il
marito suo di
sollevare la
povertà di santi,
ché incorrerebbe ne l'ira di Dio onnipotente. Ma ella
temette di
dirlo a lo
marito suo la visione. Vegnente
l'altra notte
apparve a lei medesima
dicendole simigliante
parole, ma ancora fu nigligente a
palesarlo al
marito suo. La terza volta, entro la mezza notte,
apparve
ad
abendue, molto accesa e
adirata con uno volto
infiammato, come tutta la
casa
ardesse, e disse: "
Dormi
tu, tiranno,
membro del padre tuo satanas, con la
serpentina
moglie tua, la quale non t'ha voluto
dire le
parole mie?
Ripositi tu nemico de la Croce di Cristo,
avendo
satollato la
ghiottornia del ventre tuo di
divisate
maniere di
vivande, e lasci morire i santi di Dio di
fame e di
sete? Giaci tu nel palazzo involto ne' panni
di
seta, e vedi quelli sconsolati e sanza
albergo e
lascili
passare oltra? Non
andrà così, malvagio, non ne
camperai così netto, che tu non ne sia bene pagato, ché
tu ti
se' tanto
indugiato a fare loro bene!" Così parlòe
e partissi.
Quando la
donna fu
svegliata
cominciò a
sospirare e
a tremare e, sospirando il
marito suo per quella cagione
medesima, sì li disse: "Signore mio, or vedesti tu il
sogno che ho veduto io?" E quelli disse: "
Ben l'ho
veduto io, e non
cesso di
maravigliarmi e di temere;
che ne
faremo?" Rispuose la moglie: "Più utile è
ubbidire che incorrere ne l'
ira di quello Signore, lo quale
ella predica". Per la quale cosa gli ricevettero ad
albergo
e
apparecchiarono loro tutte le cose che
faceano
loro
bisogno.
Sì che predicando uno
die santa Maria Maddalena, il
detto prencipe le disse: "
Credi tu potere
difendere la
fede, la quale tu predichi?" E quella disse: "Certo
sì, sono
apparecchiata per
difenderla sì come fede
fortificata
per
cutidiani miracoli e per la predicazione del
maestro nostro san Piero, lo quale è vescovo di Roma".
Allora le disse il prencipe con la moglie sua: "
Ecco
che noi
siamo apparecchiati ad ubbidire in tutto a'
tuoi
detti, se tu ci
accatti uno figliuolo da quello
Domenedio
che tu predichi". Disse la Maddalena: "Per
questo non rimarrà". Allora santa Maria Maddalena
pregò il Signore per loro che
degnasse di
dare loro uno
figliuolo, e fu
esaudita da Dio, e
concepette la
donna.
Allora il
marito incominciò a volere andare a san Piero
per provare s'egli era così la verità come Maria avea
predicato di Cristo. Al quale disse la moglie: "Che è,
signore mio, che pensi tu andare sanza me? Non
andrà
ella così; se tu ti partirai, io mi partirò; se tu
andrai, io
verrò; se poserai, io poserò". A la quale disse il
marito:
"Non sarà così, madonna, però che con ciò sia cosa che
tu sii gravida e nel mare siano infiniti
pericoli, potresti
agevolemente
pericolare; riposati dunque a
casa e
abbi
cura a le possessioni". E ella pure
contrastava seguitando
costume
femminile, e con
lagrime e
gittandolisi
a' piedi; a la perfine ebbe quello ch'ella
domandava.
Sì che Maria puose in su le spalle loro il
segno de la
Croce, acciò che l'
antico nemico non
desse loro
impedimento
ne la via in neuna cosa. Sì che
incaricato la
nave molto bene di tutte cose necessarie, e tutte l'altre
cose ch'aveano lasciarono a guardia di Maria Maddalena
e
cominciarono ad andare. E
compiuto già il
corso
di
due dì ed una notte,
cominciò il mare molto a
gonfiare,
e 'l vento a soffiare, sì che tutti, e
massimamente
la
donna gravida e
debole, per così
crudele traboccamento
de l'onde commossi erano da gravissime
angoscie
costretti, sì che in lei venne subitamente lo
dolore del parto, e tra per l'
angoscia del ventre e per
le tribulazioni del tempo parturì il
fanciullo e morìe.
Nacque dunque il
fanciullo e palpitava per volere
cercare d'avere
sollazzo de le mammelle de la madre,
e mettea fuori pianti di lamento. E odi guai! nato è
il
fanciullo micidiale de la madre, e lui
conviene morire,
non essendo quivi chi gli
desse nutricamento di vita!
Che
farà il pellegrino, vedendo la moglie morta e 'l
fanciullo piangere
cercando le mammelle de la madre
con
lamentevoli
voci? Lamentavasi molto questo uomo
e
diceva: "Oimè, misero, oimè, che
farai? Io ho
disiderato
d'avere figliuolo, e ho perduto la madre col
figliuolo!" I nocchieri gridavano, e
diceano: "Sia gittato
in mare questo
corpo, anzi che noi
pericoliamo con
esso; mentre che sarà con esso noi, questa
tempesta
non rimarrà". Ed
avendo preso il
corpo per gittarlo in
mare, il pellegrino disse: "Perdonate, perdonate e se
non volete perdonare né a me né a la madre,
almeno
abbiate misericordia del
fanciullo che piagne, lasciate
stare un poco,
sostenetevi un micolino se per la ventura
la
donna tramortita potesse respirare ancora".
Ed eccoti
apparire, non di lungi da la
nave, una
collina,
la quale, poi che l'
ebbero veduta, giudicarono che fosse
il meglio a portare là il
corpo e 'l
fanciullo che
metterlo
a
divorare a le
bestie marine. E a grande pena
impetròe da' nocchieri per
prieghi e per prezzo d'
arrivare
colà. E non potendosi per la
durezza essere
cavato
una
fossa quivi, tolse il
corpo e
allogollo in una
più segreta parte de la
collina, con uno mantello ivi
sotto e ponendo il
fanciullo a le mammelle de la madre
sua, sì disse con
lagrime: "O Maria Maddalena, perché
a
crescere mia
perdezza e mia miseria
arrivasti ne le
parti di Marsiglia? Perché io, sciagurato, per lo tuo
ammonimento
presi a fare questo
viaggio? Or
domandasti
tu al Signore che questa mia
femmina
concepesse,
acciò ch'ella perisse?
Ecco ch'ella
concepette, e partorendo
l'è venuta la
morte, e
conceputa è nato acciò
che perisca, non essendo chi lo notrichi. Ecco quello
ch'io ho
avuto per lo tuo
priego! Io ti raccomandai tutte
le cose, e al tuo
Domenedio raccomando: s'Egli è potente
che si ricordi de l'
anima de la madre, e per lo
tuo
priego abbia misericordia che 'l
fanciullo nato non
perisca". Allora
coperse col mantello suo il
corpo e il
fanciullo da ogne lato, e poscia salette ne la
nave.
Ed essendo venuto a san Piero gli venne incontro
e, veduto che l'ebbe il
segno de la Croce postogli in
su le spalle,
dimandò chi e' fosse e onde venisse. E quegli
gli venne
contando tutte le cose per ordine. Al quale disse
san Piero: "Pace sia a te, bene sia venuto e a utile
consiglio
credesti, né non avere a grave se la moglie
tua
dorme e se 'l
fanciullo si posa con lei, però che
'l Signore è potente a fare
doni a cui E' vuole, e torre
le cose
date e rendere le cose tolte e
mutare lo tuo
pianto in letizia". Sì che san Piero il menò in Gerusalem,
e
mostrogli tutte le luogora dove Cristo predicò
e dove E' fece i miracoli e 'l luogo dove fu morto e
donde salette in
cielo. Ed essendo ammaestrato
diligentemente
ne la fede da san Piero, passati
due
anni,
entròe
ne la
nave, e missesi a ritornare in suo paese. E navicando
elli per ordinamento di Dio presso a la Collina,
giunsero dove elli avea posto giù il
corpo de la moglie
col
fanciullo, e fece tanto con
priego e con prezzo,
ch'ellino
arrivarono
colàe. E il
fanciullo era
conservato
quiviritto da la
beata Maria Maddalena sano e salvo, e
andava spesse volte a la riva del mare, e usava di
trastullarsi quiviritto con le
petruzze e con la
ghiaia,
come è usanza di fare i
fanciulli. Ed essendo
arrivato,
vide il
fanciullo giucare con le
petruzze a la riva del
mare, come soleva fare, e,
non rimagnendosi di maravigliare
che ciò fosse,
discese de la
nave a terra. E 'l
fanciullo vedendo costui, e non
avendo mai veduto così
fatta cosa, ebbe paura, e ricorrendo a l'usate mammelle
de la madre,
celatamente si
nascondea sotto 'l
mantello. E 'l pellegrino, per vedere più
manifestamente,
andò là e trovò il
fanciullo
bellissimo che succiava le
mammelle de la madre. E tollendo il
fanciullo, disse:
"O
beata Maria Maddalena, come sare' io inventurato
e come mi sarebbero venute tutte le cose
prosperevoli,
se la
femmina respirasse e potesse ritornare meco nel
nostro paese! Io so per certo, e sanza
dubbio il
credo,
che tu che n'hai
dato questo
fanciullo e
nutricatolo per
due
anni in questa ripa, potrai col tuo
priego
ristituire
la madre ne la prima santade". A queste parole la
donna
rispirò, e come si svegliasse dal sonno, sì disse:
"O
beata Maria Maddalena gloriosa, di quanto
merito
tu
se'
appo Dio, lo quale ne le tribulazioni del mio parto
usasti officio di
baila, e in tutte le necessitadi hai
compiuto
il
servigio a l'
ancella tua!"
Udite queste parole il pellegrino, maravigliandosi,
disse: "Or
se' tu viva, moglie mia
amata?" E quella
disse: "Sì, son viva, e ora, di prima, vegno del pellegrinaggio
donde tu
se'venuto; e come san Piero menò
te in Gerusalem e
mostrotti tutt'i luoghi dove il Signore
fu passionato e morto e seppellito, e molti altri luoghi,
così io vi sono stata con voi per guida e
compagnia di
beata Maria Maddalena, e tutte le luogora viddi, e, vedute,
sì lo riposte ne la
mente". E cominciandosi a
tutt'i luoghi
ne' quali Cristo patì, e' miracoli che 'l
marito avea veduti, tanto bene gli spianò e ridisse, che
non
erròe pure uno punto. Allora il pellegrino prese la
moglie e 'l
fanciullo, ed
entròe
allegro ne la
nave, e
poco poscia
arrivarono ne le parti di Marsiglia. Ed
entrando
ne la
città trovarono santa Maria Maddalena che
predicava con esso
discepoli suoi e
gittaronlisi a' piedi
con lagrime, e
narrarono a lei tutte le cose ch'erano
a loro intervenute, e ricevettono il
battesimo da san
Massimino.
Allora ne la
città di Marsiglia furono
distrutti tutti i
tempii de l'idole, e ordinarono le
chiese di Cristo, e tutti
in
concordia
elessero san
Lazzero per vescovo di quella
cittade. A la perfine, per
volontà di Dio, vennero a la
città d'
Achissi, e recarono quello popolo per molti
miracoli a la fede di Cristo; nel quale luogo san
Massimino
fue ordinato vescovo.
Infrattanto
beata santa Maria Maddalena,
disiderosa
de la
contemplazione disopra,
domandò uno
ermo
asprissimo,
e in luogo apparecchiato per mano d'
angeli stette
trenta
anni sanza essere
conosciuta. Nel quale luogo non
era né
fiumi d'
acque, ne
sollazzo veruno d'
arbori o
d'
erbe, acciò che per questo si manifestasse che 'l Redentore
nostro l'avea ordinato di saziare non di mangiare
di terra, ma solamente de le
vivande del
cielo.
Ciascuno
die a le
sette ore
canoniche era levata da
gli
angeli in
aere, e udìa eziandio con gli orecchi del
corpo glorioso
canti de le schiere del
cielo, onde ogni
die saziata di questi soavissimi mangiari e riposta per
quelli medesimi
angeli a luogo propio, non avea
bisogno
in veruno modo di
nutrimenti
corporali.
E uno prete,
disideroso di fare vita solitaria, fecesi
una
cella presso al
detto luogo per
XII stadia; sì che
uno
die
aperse il Signore gli occhi del
detto prete, e
con gli occhi
corporali vidde
manifestamente come gli
angeli
discendevano al
detto luogo nel quale santa Maria
Maddalena
dimorava, e
sollevavala in
aere, e, dopo
spazio
de l'ora la
reduceano al
detto luogo con
divine lode.
E volendo il prete
conoscere la verità di così maraviglioso
vedimento, raccomandandosi con
prieghi al suo
Criatore,
andava al
detto luogo con
disiderosa
divozione, e,
appressimandosi
ad una
gittata di pietra,
cominciarono le
gambe sue a
risulversi, e, per la
forte paura,
cominciarono
le 'nteriora sue infino a le midolla
ad agitarsi
tutte. E ritornando indietro, le gambe insieme co'
piedi
davano l'uso de l'andare, ma se si volesse rivolgere
per andare al
detto luogo, il
languidore di tutto il
corpo e la
debolezza
de la mente in tutt'i modi il
vietava. Intese dunque l'uomo di Dio che sanza
dubbio
quello era
celestiale sacramento, al quale non potea andare
sperimento d'uomo. Invocato dunque il nome del
Salvatore, gridòe e disse: "Io ti scongiuro per Dio, che
se tu
se' uomo o
creatura ragionevole ch'
abiti in
codesta
spelonca, che tu mi risponda e
spianami la verità".
E abbiendo
ripetuto tre volte queste parole, santa
Maria Maddalena gli rispuose: "Vieni più presso, e
potrai vedere e sapere la verità di tutto quello che
disidera
l'
anima tua". Ed essendosi quegli
tremante
appressimato infino a la metà del termine, ella disse a
lui: "Ricorditi tu, per lo Vangelio, di quella
famosissima
peccatrice c'ha nome Maria, la quale
bagnòe di
lagrime i piedi del
Salvatore e
rasciugogli co'
capelli e
guadagnòe perdonamento de' suoi peccati?" A la quale
disse il prete: "Bene me ne
raccordo, e più di trenta
anni sono rivolti che questo fatto fosse,
crede e
confessa
la santa Chiesa". E quella disse: "Io sono quella essa
la quale, per tutto quello
spazio di tempo che tu hai
ricordato, sono stata qui, non
conosciuta a tutti gli
uomini; e come ti fu
promesso ieri di vedere, così ogne
die è
sollevata per mani d'
angeli, e
sette volte per
ciascuno
die son fatta
degna d'udire con gli orecchi del
corpo il
dolcissimo giubilare de le schiere del
cielo. Però
dunque che m'è rivelato dal Signore ch'io mi
debbo
partire di questo
mondo,
vattene a santo
Massimino, e
brigati di
dirli questo, che la più prossimana
domenica
di
Risurresso, quando egli è usato d'andare al mattutino,
entri solanato ne l'oratorio, e
troverammi essere iveritto
per
servigio de gli
angeli". Il prete udiva la
voce
sua come d'uno
angelo, ma non vedea persona. Sì che
andò tosto a san
Massimino, e
narrolli tutte cose per
ordine; e san
Massimino, ripieno di molta
allegrezza,
fece grandi grazie al
Salvatore, e in quello dì e ora che
gli era
comandato d'
entrare nell'oratorio solanato, sì
vi
entrò e vidde santa Maria Maddalena stare ancora
nel
coro de li
angeli che l'
avevano menata. Ed era levata
da terra per
ispazio di
due
cubiti stante nel
miluogo
de gli
angeli, con le mani
stese e pregante il Signore.
E temendosi san
Massimino d'andare a lei,
rivolesi ella
a lui e sì li disse: "Vieni qua, padre, più da presso, non
fuggire la figliuola tua!" E
approssimandosi lui, come
si legge ne i libri del
detto san
Massimino, in tale maniera
risplendeva il volto suo per lo
continuo e
lungotano
vedimento de gli
angeli, che più tosto potrebbe
altri vedere i razzi del sole che la
faccia sua.
Ragunato dunque tutto il
chericato e 'l
detto prete,
santa Maria Maddalena ricevette dal vescovo il
corpo e
'l sangue di Cristo con molta
abbondanza di
lagrime;
poscia
distese tutto il
corpicello dinanzi a la volta de
de l'
altare per terra, e quella santissima
anima n'
andòe
a
Domenedio.
Dopo l'uscita de la quale, tanto odore di soavitade vi
rimase che poco meno per
sette dì era sentito da
coloro
che
entravano ne l'oratorio. Il cui santissimo
corpo san
Massimino
seppellìo onorevolemente,
conciandolo con
divisate
maniere di spezie, e
comandòe che dopo la sua
morte
fosse seppellito a lato a lei.
Egisippo, ovvero secondo
alcuni
libri
Giosefo, s'
accorda assai con la pre
detta storia;
ché
dice in uno suo trattato che Maria Maddalena,
dopo l'
Ascensione di Cristo, per l'
ardore de la
carità di
Cristo e per lo
tedio ch'ella avea, non volea mai vedere
uomo; ma poi ch'ella fu venuta al territorio d'
Achissi,
se n'andò nel
diserto e
XXX anni vi stette non
conosciuta;
nel quale luogo, sì come
dice,
ciascuno
die ne l'ore
canoniche era levata da gli
angeli in
aere. Disse ancora:
"Un prete essendo venuto a lei, sì la trovò
rinchiusa ne
la
cella, e quella gli
chiese un vestimento ed ebbelo, e
vestillosi,
e andò a la chiesa con lui, e ivi
comunicata levò
le mani in orazione lunghesso l'
altare, e
dormìe in pace".
Ma al tempo di
Carlo Magno, cioè ne gli
anni
DCCLXIX, Gerardo
duca di Borgogna, non potendo avere
figliuoli de la moglie, con larga mano
dava de'
beni
suoi a' poveri e
facea molte
chiese e monasterii. Abbiendo
dunque fatto il monasterio in
Zabasse, mandò
egli e l'
abate di quello monasterio, uno monaco con
dicevole
compagnia a la
città d'
Achissi per recarne de
le reliquie di Santa Maria Maddalena, se potesse.
Vegnendo dunque il
detto monaco a la
detta
città,
trovandola
disfatta insino al
fondamento da' pagani,
per alcuno
caso gli venne trovato uno sepolcro, la cui
sepoltura di marmo
dimostrava che 'l
corpo di santa
Maria Maddalena v'era riposto dentro, però che in
quello sepolcro era scolpita di maravigliosa opera la
storia di lei. Sì che venne una notte e ruppelo e tolse
le reliquie e portolle a l'
albergo.
In quella medesima notte
apparve santa Maria Maddalena
al
detto monaco, e sì li disse che non temesse
neente, ma che
compiesse quello ch'elli avea incominciato.
Ritornando dunque al monasterio, ed essendovi presso
a una mezza lega, per veruno modo non poteva muovere
quindi le reliquie, mentre che non venne l'
abate e '
monaci con la processione e
ricevetterle con molto onore.
Uno
cavaliere, il quale solea venire ogni
anno al
corpo di santa Maria Maddalena, fu morto in
battaglia;
il quale essendo pianto da'
parenti, pietosamente si
rammaricavano a la Maddalena, com'ella avea lasciato
morire il
devoto suo sanza
confessione e sanza penitenzia.
Allora subitamente colui ch'era morto si levò
ritto, maravigliandosi tutti, e fecesi
chiamare il prete,
ed essendosi
confessato il
cavaliere e preso il
corpo di
Cristo, incontanente morìo in pace.
Una
nave che era
carica d'uomini e di
femmine,
si ruppe. Eravi dentro una
donna pregna. Vegendosi
quella
pericolare nel mare,
chiamava quantunque potea
la Maddalena,
promettendole che s'ella
campasse di
quello
pericolo e partorisse il figliuolo, ella il
donerebbe
al suo monasterio. Immantanente l'
apparve una
femmina
da riverenza in ispezie e in
abito, e
presela per
lo
mento, quando gli altri perivano, e
menolla a la riva
sana e salva. E quella parturì poscia il figliuolo, e
compiette
fedelmente il
detto suo.
Dicono alcuni che Maria Maddalena fosse
disposata
a san Giovanni
Vangelista, e
aveala menata allora
quando Cristo il
chiamò da le nozze; ed ella indegnata
perché Cristo le tolse il
marito, andò e
diedesi ad ogne
diletto. Ma perché non era
convonevole cosa che 'l
chiamare di Giovanni fosse cagione de la
dannazione
di colei, il Signore la
convertì
misericordievolemente a
penitenzia; e però ch'elli la
rimosse da sommo
diletto
carnale, la riempì sopra tutti gli altri
di sommo diletto
spirituale, il quale
diletto è ne lo
amore di Dio. E
ciò
confessano alcuni di san Giovanni, che però le
diede
il Signore ad avere
dolcezza de la sua
famigliaritade
perch'elli il
rimosse dal
detto
dilettamento. Ma queste
cose son riputate che sieno vane da alcuni.
Uno uomo che avea meno il lume de gli occhi,
andò al monasterio
Vigiliaco per vicitare il
corpo di
santa Maria Maddalena,
e dicendoli la guida sua che
vedea già la chiesa sua,
cominciò il
cieco a gridare a
grandi
boci: "O santa Maria Maddalena, Dio il voglia
ch'io
meriti alcuna volta vedere la chiesa tua!" Immantanente
gli occhi gli furono
aperti.
Alcuno scrisse in una
cedola tutti i suoi peccati,
e
puosela sotto il panno de l'
altare di santa Maria
Maddalena,
pregandola ch'ella gli
accattasse perdonanza.
E ponendo poscia
mente la
cedola, trovò ispenti i suoi
peccati di quella
cedola.
Essendo messo uno in pregione per
debito,
chiamava
spesse volte santa Maria Maddalena in suo
aiuto;
ed eccoti una
voce e
apparilli una
bella femmina la
quale gli rispuose, e ruppeli i
ferri di gamba e
aperse
l'uscio de la prigione e
comandogli che
fuggisse. E
quelli vedendosi sciolto, immantanente
fuggìo.
Uno
cherico di
Fiandra, che avea nome Stefano,
era caduto in tante
moltitudine di
fellonie, che tutte
maniere de' peccati usando, non solamente guardandosi
di fare quelle cose ch'erano da fare di salute, ma
elli non volea pure udire. Ma
cotanto
facea ch'elli avea
in grande
divozione santa Maria Maddalena, sì che
digiunava
la sua
vilia e guardava la sua
festa.
Visitando
lui il sepolcro suo, ed essendo venuto là e stando
iveritto, che né bene
dormìa né al tutto vegghiava,
la Maddalena gli
apparve in ispezie d'una
bella
donna,
e parea che
avesse gli occhi tutti lagrimosi, e
sostenevanla
due
angioli da la parte ritta e da la manca,
e disse a colui: "De! Stefano, or perché mi
fai tu
cose che non sono
degne di miei
meriti? Perché non
ti muovi tu a
contrizione a la
perseveranza de le mie
labbra? Certo che da poi che tu m'hai
avuta in
devozione,
sempre ho
pregato Iddio per te
perseverantemente;
leva su dunque e
pentiti, e io non ti
abbandonerò infino
a tanto che tu sarai
racconcio in
Domenedio".
sì che quegli immantanente si sentì
infondere tanta
grazia ne la
mente, che rinunziò al secolo ed
entrò in
religione e fu di perfettissima vita. A la cui
morte fu
veduta santa Maria Maddalena
appresso al
cataletto
istare con gli
angeli, e portare l'
anima sua come
una
colomba
bianca con molte lode in
cielo.
cap. 92, S. ApollinareApollinari,
discepolo di san Pietro
apostolo, fu mandato
da lui da Roma a Ravenna; nel quale luogo, poi
che ebbe sanata la moglie del tribuno,
battezzò lei e
'l
marito con tutta la loro
famiglia. La quale cosa fu
nunziata al giudice e
Apollinare fu
menato innanzi; ed
essendo menato al tempio di Jove per fare sacrificio,
dicendo lui a'preti de l'idoli che l'oro e l'
argento
appiccato a l'idoli sarebbe meglio che si
desse a' poveri
anzi che
appiccarlo così
davanti le
demonia, fu
immantanente preso e battuto con
bastoni tanto, che
fu lasciato per mezzo morto. Poscia fu ricolto da'
discepoli
e fu
menato in
casa d'una vedova e stettevi
sei mesi a guarire.
Indi si mosse, e andò a la
città di Classe per guarire
làe uno gentile uomo ch'era
mutolo. Ed
entrando
ne la
casa, una
fanciulla che avea lo spirito maligno
sopra sé, gridòe e disse: "Partiti quinci, servo di Dio,
ch'io ti
farò con i piedi legati tirarti fuori di questa
città". E santo Apollinari prese il
demonio e
costrinselo
che uscisse di lei. Ed abbiendo
chiamato il nome
di Cristo sopra il
mutolo, ed essendo guarito,
credettero
in Cristo più di
cinquecento uomini.
E i pagani, poi che l'
ebbero battuto con
bastoni, sì
gli vietarono che non ricordasse
Jesù Cristo; ma elli
giacendo in terra gridava ch'Egli è verace Iddio. Allora
lo
fecero stare a piedi ignudi sopra la
bracia; ma pure
predicando ancora
costantissimamente, sì 'l
cacciarono
fuori de la
città.
A quello tempo essendo
Rufo patricio
capitano di
Ravenna, avea una figliuola inferma; a la quale essendo
invitato santo Apollinari a guarirla, sì tosto
com'elli le fu
entrato in
casa, la
fanciulla morìo. Al
quale disse
Rufo: "
Volesselo Iddio che tu non
fossi
mai
entrato in
casa mia, però che gli
Dei grandi se
ne sono
crucciati, e non hanno voluto sanare la figliuola
mia; ma tu che le potrai fare?" Al quale disse Apollinari:
"Non avere tu paura; giurami tu che se la
fanciulla risucita, che tu non la
vieterai di seguitare
il suo
criatore". Abbiendo ciò fatto, fatta l'orazione
del santo, la
fanciulla si levò
viva e sana, e,
confessando
ella il nome di Cristo, ricevette il
battesimo con
la madre e con grande
moltitudine, e rimase vergine.
Udendo ciò lo 'mperadore, scrisse al prefetto de la
corte che od e' facesse sì che Apollinari sacrificasse,
od elli il mandasse a'
confini. Sì che non volendo elli
sacrificare, il prefetto il fece
battere con
bastoni, e
comandò che fosse
disteso in su la
colla e tormentato.
Nel quale luogo predicando elli Cristo
costantissimamente,
gli fece gittare l'
acqua
bogliente ne le sue
piaghe recenti; e così con ciò il volea mandare a'
confini legato d'uno grave peso di
ferro. Ma veggendo
li
cristiani tanta
empiezza, infiammati ne l'
animo,
levaronsi a romore
contr'a' pagani, e ucciserne più di
CC uomini. Vedendo ciò il prefetto, sì si
nascose e misse
Apollinari in una
strettissima pregione; poscia lo
'ncatenò
e misselo in un
nave con tre
cherici che 'l seguitavano,
e
mandollo a'
confini, là
dove, pure con
due
cherici e
due
cavalieri, scampando il
pericolo de la
tempestade,
battezzò quelli
cavalieri. Poscia ritornòe a
Ravenna, e fue preso da' pagani, e menato al tempio
d'
Apollo, e veggendo quello idolo sì 'l maladisse e
subitamente
cadde. Vedendo ciò e' pontefici sì 'l menarono
dinanzi a Tauro giudice, il quale giudice, quando
il santo gli ebbe
alluminato un suo figliuolo ch'era
cieco, sì
credette e
fecelo stare
IV anni in uno suo
podere.
Dopo queste cose
abbiendo
lo i pontefici
accusato a
Vespasiano, e
Vespasiano mandò a
dire che
chiunque
facesse ingiuria a li
dei, od elli satisfacesse od elli
fosse privato de la
città, però che non è giusta cosa
che noi medesimi
vendichiamo gli
dei, ma ellino se ne
vendicheranno bene se s'
adi
reranno.
Allora
Demostenes da che quelli non volea sacrificare,
sì 'l misse in mano d'uno
conostabile di
cento
cavalieri,
il quale era già
cristiano, per lo cui
preghiero andò a
stare
colà
dove stavano i malati per
nascondersi
dal
furore de' pagani. E li pagani gli tennono dietro e
preserlo e
batterorlo
durissimamente infino a la
morte.
Nel quale luogo
sopravvisse
sette dì e,
ammonendo li
discepoli suoi, rendette lo spirito suo a Dio. E fu seppellito
onorevolemente da'
cristiani in quel luogo intorno
a gli
anni
Domini
LXX, sotto
Vespasiano imperadore.
Di questo martire dice così santo
Ambrosio nel
Profazio:
"Apollinari
degnissimo vescovo, dal prencipe
de gli
apostoli Piero fu mandato a Ravenna a predicare il nome
di
Jesù Cristo a quelli che non
credevano; il quale,
faccendo
là maravigliosi segnali di vertudi a
coloro che
credeano in Cristo, con
crudeli tormenti di
battiture
fue
attritato spesse volte, il
corpo già invecchiato fu
squarciato da li
empi con orribili tormenti.
Ma perché
i
fedeli non temessero de le sue
angosce fra i tormenti,
compié i segnali
apostolici ne la vertù del nome di
Jesù Cristo, risucitando la
donzella morta, rendendo
chiaro vedere a'
ciechi e 'l parlare al
mutolo, liberando
la
'mperversita dal
dimonio, purgando le malattie
appiccaticce
e sanando le
dissolute
membra de la 'mfermitade
pestilenziosa,
abbattendo l'idolo insieme col tempio
.
O
degnissimo vescovo d'
ammirazione, di lode, il
quale con la
dignità del Papa
meritòe di ricevere l'
apostolicale
podestade! O
fortissimo
combattitore di Cristo,
il quale
raffreddando già in lui il
calore naturale,
costantemente
ne le pene predicòe
Jesù Cristo redentore
del
mondo!"
cap. 93, S. Cristina
Cristiana, nata di nobilissimi padre e madre in Tiro
città di Italia, fu messa in una torre dal padre suo
con
XII cameriere; e avea seco
dei d'oro e d'
argento.
Ed essendo
bellissima e
adomandata da molti in maritaggio,
li
parenti non la voleano
concedere a veruno,
volendo ch'ella permanesse vergine ne la
coltivatura
de li
dei. Ma ella,
ammaestrata da lo Spirito Santo,
avea in orrore i sacrificii de l'idoli, e lo 'ncenso che
si
deve sacrificare a li
dei sì lo nascondea entro la
finestra. E vegnendo il padre a lei, le
cameriere li
dissero: "La tua figliuola, nostra
donna,
contende
di sacrificii e di sacrificare a li
dei nostri, e anche
dice che è
cristiana". E 'l padre, lusingandola, la
'nvitava ad onorare li
dei. Al quale ella disse: "Non
mi chiamare tua figliuola, ma di colui al quale si
confà sacrificio di laude; però che non si
confà d'offerire
sacrificio a li
dei mortali, ma a
Domenedio del
cielo". Al quale disse il padre: "Non offerere solamente
a un Dio sacrificio, acciò che gli altri non
s'
adirino con teco". E quella disse: "Bene hai
detto,
non sappiendo te la veritade. Io offero sacrificio al
Padre e al Figliuolo e a lo Spirito Santo". Al quale
disse il padre: "Se tu
adori
tre idei, perché non
adori
tu anche gli altri? "E quella disse: "Quelli tre sono
una
deitade".
Dopo queste cose
Cristiana
ispezzò tutti li
dei, e
l'oro e l'
argento
diede a' poveri. Ritornando il padre
per
adorare li
dei ma non trovandogli, e udendo
dire
a le
ancelle quello che
Cristiana avea fatto, adirato di
ciò, sì la fece spogliare e
battere a
XII uomini, intanto
ch'eglino venìano già meno. Allora disse
Cristiana al
padre: "O sanza onore e sanza vergogna e
abbominevole
a
Domenedio,
coloro che mi
battono vegnono
meno,
adomanda per loro la vertude da li idei tuoi, se
tu puoi". Allora la fece mettere incatenata in pregione.
Udendo queste cose la madre
istracciò le vestimenta
sue e
andonne a la
carcere e gittossi a' piedi de la
figliuola,
dicendo: "Figliuola mia,
Cristiana, lume de
gli occhi miei,
abbi misericordia di me!" E quella le
disse: "Perché mi
chiami tu tua figliuola non sai
tu ch'io abbo il nome di Dio?" E non potendola la
madre
confortare di nulla, tornò al
marito e
dissegli
quello ch'ella l'avea risposto. Allora il padre la
fe' menare
dinanzi a la sua sedia. A la quale disse: "Fa
sacrificio a li
dei, e se non sì, sarai
afflitta da molti
tormenti, e non sarai
detta mia figliuola". E quella
disse: "Grande grazia m'hai
donata, ché tu non mi
chiami figliuola del
diavolo
però che ciò che nasce di
demonio, sì è
demonio; tu
se' padre di quel satana".
Allora lo padre le fece radere le
carni con
unghiali e
dirompere le sue
membra
tenerelle; e quella tolse de
le
carni sue e
gittonne nel volto del padre, così
dicendo:
"Togli, tiranno e manuca la
carne che tu ingenerasti".
Allora il padre la puose a una ruota e misevi sotto
fuoco e olio, ma la
fiamma ne saltò fuori, e uccise
MDuomini. E 'l padre suo,
imponendole ch'ella facesse
queste cose per
arte di magi, sì la fece anche mettere
in pregione e, fatta la notte,
comandò a'
fanti suoi che
legassono una grande lapida al
collo e
gittasserla nel
mare. Quando quelli l'
ebbero ciò fatto, immantanente
vennero gli
angeli e sì la ricevettoro, e Cristo
discese
a lei e
battezzolla nel mare, così
dicendo: "Io ti
battezzo
in Dio padre mio, e in me
Jesù Cristo, suo figliuolo,
e ne lo Spirito Santo". E
commisela a san Michele
Arcangelo, il quale la
rimenò a terra. Udendo ciò
il padre
battessi la
fronte sua e disse: Che malìe sono
queste che tu
fai, ch'
adoperi le malìe tue nel mare?"
E quella li disse: "Stolto e
disavventurato, io ho
avuto
questa grazia da Cristo". Allora la misse in pregione
comandando che la mattina dovesse essere
dicollata.
Ma in quella notte
Urbano, suo padre, fu trovato morto.
Dopo costui succedette uno malvagio giudice ch'avea
nome
Elius; il quale fece
apparecchiare una
culla di
ferro accesa con olio e con resina e con pece, e
facevelavi
gittare entro, e fece menare la ruota a
quattro
uomini, acciò che si
consumasse più tosto. Allora
Cristiana
loda
Domenedio di ciò che lei, rinata
novellamente
un'altra volta, che fosse menata in
culla com'una
fanciullina. Allora il giudice
adirandosi le fece radere lo
capo e menarla ignudanata insino a l'idolo d'
Apollo;
al quale
comandò e
cadde in terra e tornò in
polvere. Vedendo
ciò il giudice isbigottìo tutto quanto e morìo.
Dopo costui succedette Giuliano, il quale fece
accendere
una
fornace e gittarvi entro
Cristiana. Nel quale luogo
stette
cinque dì senza neuno male,
cantando e
attorniando
con gli
angioli. Udendo ciò Giuliano e impognendo
a l'
arte de' magi, fece
isciogliere e
ammetterle
due
serpenti
aspidi e
due vipere e
due serpenti
colabri. Ma
i serpenti leccano i piedi suoi, gli
aspidi le s'
appiccavano
a le mammelle non
nocendole di nulla, i
colubri
le s'
avvolgeano al
collo leccando il sudore suo. E
Giuliano disse a lo
'ncantatore: "Or non
se' tu mago?
Annizza le
bestie".
Faccendo quelli ciò,
fecero i serpenti
assalto contra lui, e sì l'uccisero. Allora
Cristiana
fece
comandamento a' serpenti, e
fecegli andare a luogo
diserto, e risucitò l'uomo morto. Allora Giuliano le fece
mozzare le mammelle, de le quali uscì latte per sangue;
poscia le fece
mozzare la lingua, ma non
perdette però
la
favella, e tolse l'
amoccatura de la lingua e gittolla
ne la
faccia di Giuliano, e,
percotendone l'occhio suo,
sì l'ebbe accecato. Adirato Giuliano lasciale andare
due
saette e
ficcogliele per mezzo il
cuore e una nel lato;
e così quella, percossa, rendette lo spirito a
Domendio,
intorno a gli
anni
Domini
CCLXXXVII.
cap. 94, S. Jacopo maggioreÈ
detto Jacopo Maggiore, come l'altro è
detto Minore,
primieramente per ragione del
chiamamento, però
che fu
chiamato di prima da Cristo; secondariamente
per ragione
de la familiaritade, però che maggiore
familiaritade
pare che Cristo
avesse con costui, che con
l'altro. E ciò si mostra in quanto elli il ricevea a le sue
credenze, come fue al
risucitamento de la
donzella e a
gloriosa
trasfigurazione. Nel terzo luogo è
detto Maggiore
per ragione de la passione, imperò che fu il primo
tra gli altri
apostoli che ricevesse passione. Adunque sì
com'elli è
detto Maggiore di quell'altro in ciò che prima
fu
chiamato a la grazia de l'
apostolato, così può essere
detto Maggiore in ciò che prima fu
chiamato a la gloria
de la
eternitade di
Jesù Cristo.
Jacopo, figliuolo di
Zebedeo, dopo l'
ascensione di
Cristo predicando per Samaria e per la provincia di
Giudea, a la perfine se n'andò ne la Spagna per
seminare
làe la parola di Dio. Ma vedendo ched elli non vi
facea
prò veruno e che solamente
nove
discepoli v'avea
acquistati,
lasciovvene
due per predicarvi e gli altri
sette
tolse seco, e ritornòe in Giudea. Ma il maestro Giovanni
Beleth
dice che solamente uno ve ne
convertìo. Predicando
lui dunque in Giudea la parola di Dio, un mago,
ch'avea nome
Ermogene, mandò a Jacopo il
discepolo
suo, ch'era
chiamato
Fileto, con esso i
farisei, acciò che
quello
Fileto
convincesse Jacopo dinanzi a' giudei che
la sua predicazione fosse
falsa. Ma
abbiendolo l'
apostolo
convinto lui
ragionevolemente dinanzi a tutti e fatto
molti miracoli dinanzi a lui, tornò
Fileto ad
Ermogene e
appro
vando dinanzi a lui la
dottrina di san Jacopo
e raccontandoli i miracoli ch'elli avea
fatti, disse che
volea essere suo
discepolo, e anche
confortava il maestro
che
diventasse altressì suo
discepolo.
Allora
Ermogene, adirato, per sua
arte
magica il fece
sì stare fermo che non si potesse muovere,
dicendo così:
"Or vedremo se 'l tuo Jacopo ti potrà
isciogliere!" La
quale cosa quando l'ebbe mandato a
dire a san Jacopo
per uno
fanciullo, san Jacopo gli mandò il sudario e
disse: "Tolga questo sudario e
dica questo verso: "Il
Segnore rilieva i
caduti, il Signore
iscioglie gl'
inferriati".
Sì tosto com'elli fue tocco dal sudario, fu sciolto
da' legami e fece
assalto di parole a l'
arti magiche e
venne a san Jacopo. Sì che adirato
Ermogene
chiamò i
demoni e
comandò loro che li
menino legato san Jacopo
con esso
Fileto insieme, acciò che si
vendichino di loro,
sì che i
discepoli suoi non
ardiscano per innanzi a fare
assalto contra lui. E venendo i
demoni a san Jacopo,
incominciarono a urlare per l'
aere entro,
dicendo: "Jacopo
apostolo,
abbi misericordia di noi, però che noi
ardiamo innanzi che 'l tempo nostro venga". A i
quali disse san Jacopo: "Perché siete voi venuti a
me?" E quelli
dissero: "
Ermogene ci ha mandati che
noi
menassemo te e
Fileto a lui; ma
comunque noi venimmo
a te, l'
angelo di Dio ci rilegò con
catene di
fuoco e malamente siamo tormentati". Al quale disse
san Jacopo: "
Disciolgavi l'
angelo di Dio, e tornate da
lui e
menatelomi legato, ma sanza male neuno".
Quelli
andarono e
presoro
Ermogene e
legaroli le
mani dietro e
menarolo
gravemente legato a san Jacopo,
così
dicendo: "Tu ci mandasti
colà
dove noi siamo
incesi, e
gravemente tormentati".
Dissero le
demonia
a san Jacopo: "
Dacci signoria sopra lui, sì che noi
possiamo vendicare le 'ngiurie che t'ha
fatte e l'incendi
che ci ha
dati". A i quali disse san Jacopo: "Ecco
Fileto che v'è innanzi, perché
nol tenete?" E quelli
gli
dissero: "Noi non possiamo, né potremo pure toccare
la
formica che ti va per
camera, con mano".
Disse san Jacopo a
Fileto: "Acciò che noi rendiamo
bene per male, come Cristo
ammaestrò.
Ermogene legò
te, sciogli tu lui". Sciolto,
Ermogene stette vergognoso,
e santo Jacopo gli disse: "Va
diliberamente
dovunque
vuogli, però che non è di nostra
dottrina che veruno si
converta se non bene volentieri". Disse a lui
Ermogene:
"Io so come i
demoni s'
adirano, onde se tu non
mi
desse alcuna cosa di che ellino
avesseno paura, ellino
m'uccideranno". Al quale disse san Jacopo: "Togli
il
bastone mio". Quelli andò e tutt'i libri suoi d'
arte
magica recòe a l'
apostolo per
arderli; e san Jacopo gli
fece gettare in mare acciò che, per
avventura, l'odore
de l'
arsura non turbasse li non
avveduti. Gettati ch'ebbe
Ermogene i libri, tornò a l'
apostolo, e tenendo le piante
sue, sì li disse: "O tu liberatore de l'
anime, ricevi
il pentuto, il quale tu hai
sostenuto per
adrieto, portante
invidia a te e
dicendo male di te". Sì che
cominciò
ad essere perfetto nel timore di Dio, intanto che
molti miracoli si
faceano per lui. Vedendo i giudei
Ermogene
ch'era
convertito, movendosi da invidia,
andarono
a san Jacopo e, con ciò fosse
cosa che predicasse
Jesù Cristo
crocefisso,
ripreserlone; ma elli provava
loro per le Scritture, l'
avvenimento e la passione di
Cristo
apertamente, sì che molti ne
credettono.
Allora Abitar, ch'era papa di quello
anno, misse il popolo
a romore e, mettendo una
fune in
collo a l'
apostolo
e sì lo fece menare ad
Erode
Agrippa. Essendo
menato
l'
apostolo ad essere
dicollato di
comandamento d'
Agrippa,
uno paralitico che giaceva ne la via, gridòe a lui che
gli
donasse santade. Al quale disse san Jacopo: "Nel
nome di
Jesù Cristo, per la cui fede io sono
menato ad
essere
dicollato, leva su sano, e
benedici il
creatore tuo".
E levossi ritto subitamente sano e
benedisse Dio.
Allora uno de li scribi che gli avea messo la
fune
in
collo e
traevalo, il quale avea nome
Josia, vedendo
queste cose, sì li si gettò a' piedi e,
chiedendo perdonanza
de l'offese, e
domandò d'essere fatto
cristiano. Vedendo
ciò
Abiatar, sì il fece tenere, e disse a lui: "Se tu
non
maladirai il nome di Cristo, tu sarai
dicollato con
esso Jacopo". Al quale disse
Josia: "Maledetto
sie tu,
e tutti i tuoi sono maladetti, ma il nome di
Jesù
Cristo sia
benedetto in
secula seculorum". Allora
Abiatar gli fece
dare de le pugna entro la bocca, e
mandato ch'ebbe
ambasceria ad
Erode per costui
impetròe
che fosse
dicollato con san Jacopo. E
dovendo
essere
dicollati
ambidue, san Jacopo
domandò uno
orciuolo
d'
acqua al giustiziere, e
battezzonne incontanente
Josia; e poscia fu
mozzo il capo a
catuno di
coloro e
compierono il martirio.
E fu
dicollato santo Jacopo
VII d'uscente Marzo, il
die de l'
annunziagione de la nostra
Donna e
VII dì
uscente Luglio fue traslatato a
Compostella, e
XXVIII dì
dicembre fue seppellito, per ciò che l'opera del suo sepolcro
si penò a fare da Luglio infino presso a Gennaio.
Sì che
ordinò la Chiesa che si facesse la
festa sua
VII
dì uscente Luglio, cioè in tempo più
convenevole universalemente
per tutto il modo.
Dicollato che fu san Jacopo, li
discepoli suoi, sì come
dice
Joanni
Beleth, il quale
ditermina
diligentemente
questa traslazione, si
tolsoro di notte il
corpo suo per
paura di giuderi, e misserlo in una
nave e,
commettendo
a la
divina
potenzia e provvedenza dove dovesse
essere seppellito,
entrati ne la
nave senza nessuno governamento,
e per guida de l'
angelo di Dio,
arrivarono
in Galizia, nel reame di Lupa. Ché avea in Ispagna una
reina, ch'era così
chiamata e per nome e per operazione
di vita. Sì che ponendo quello
corpo fuori de la
nave,
sopra uno grande sasso, quello sasso incontanente
diede
luogo al
corpo, come fosse stato terra, e
adattossi
mirabilemente al
corpo in luogo di
fossa.
E
entrando dunque i
discepoli a la reina Lupa, sì le
dissero: "Messere
Jesù Cristo sì ti manda il
corpo del
discepolo suo, acciò che quello che tu non volesti ricevere
vivo, sì lo riceva morto". E
narrandole il miracolo
com'elli erano
capitati quivi sanza governamento
di
nave,
adimandarono luogo
convenevole a la
sepoltura.
Udendo queste cose la reina, come
dice il maestro
Giovanni
Beleth, sì li mandò
maliziosamente ad uno
crudelissimo uomo, ovvero come vogliono
dire altri, al
re di Spagna per avere il
consentimento di lui sopra
questo fatto. E quelli gli prese e
rinchiuseli in prigione.
E stando lui a mensa, venne l'
angelo di Dio, e
aperse la
carcere, e lasciogli andare
deliberamente. Quando quelli
il seppe, mandò loro dietro
cavalieri i quali gli prendessono.
E quando quelli
cavalieri passavano uno ponte,
il ponte ruppe, e tutti
caddero nel
fiume e
annegarono.
Udendo ciò quelli fu pentuto e, temendo il
pericolo a sé
e a la sua gente, mandò loro dietro,
pregandoli che
tornassero a lui, e
avrebbero ciò che
volessero a loro
senno.
Coloro tornarono e
convertirono il popolo de la
città a la fede di Cristo. Udendo ciò, la reina Lupa fu
fortemente
dolente e, tornando i
discepoli a lei e
manifestando
loro il
consentimento del re, quella rispuose:
"Togliete i
buoi che io abbo in cotale monte, e mettetegli
al
carro e portateli al
corpo del Segnore vostro e,
comunque voi volete, sì
edificate il luogo". Ma questa
Lupa
diceva queste cose pensando
lupinamente, però
ch'ella sapeva che quelli
buoi erano non
domati e salvatichi;
e imperò pensò che non si potessero giugnere
insieme né
porrerli al
giogo, o, se si giugnessero,
discorebbero
qua e là, e gitterebbero il
corpo e
coloro
ucciderebboro. Ma contra Dio non è sapere.
Coloro non
pensando la malizia salirono in su lo monte, e uno
dragone
che soffiava
fuoco e venìa loro addosso, ponendo
contra lui la Croce, si
crepò per lo
diritto mezzo. Fatto
che
ebbero anche il
segno de la Croce sopra i tori, immantanente
diventarono mansueti come
agnelli, e
accoppiandoli
insieme puosero in sul
carro il
corpo di san
Jacopo, con esso la lapida sopra
cui elli era posto.
Allora i
buoi sanza veruno governamento, portarono il
corpo nel
miluogo del palagio di Lupa. Quella vedendo
ciò e
maravigliandosene,
credette in Dio e
diventò
cristiana,
e
diede loro tutto ciò che
domandarono e,
consegnando
il palagio per la chiesa al santo,
magnificamente
la
dotòe, ed ella
finìe la vita sua in
buone opere.
Uno uomo, ch'avea nome Bernardo, del vescovado
di Modena
sì come dice Calisto papa, essendo preso
e incatenato e messo in uno
fondo di torre,
chiamando
sempre messere san Jacopo, egli gli
apparve, e disse:
"Vieni e seguitami in Galizia". E rotte le
catene
essendo
disparito, quelli con li legami
appiccati al
collo,
salìo in su l'
altezza de la torre, e indi fece uno salto
sanza veruno male, con ciò fosse
cosa che la torre fosse
alta
LXcubiti.
Uno
come dice Beda avendo fatto un
villano peccato,
laonde il vescovo temeva di prosciogliere
confessandolo,
egli mandò quello uomo a san Jacopo con esso
una
cedola ne la quale era scritto quello peccato. E
abbiendo posto la
cedola in su l'
altare, ne la
festa
del santo, e pregando santo Jacopo che
distruggesse
quello peccato per li suoi
meriti, poscia
aperse le
cedola
e trovolla spenta di quello peccato. Rendette grazie
a Dio e a messere santo Jacopo e
palesòe il fatto
a tutta gente.
Trenta uomini
di Lorena, sì come dice Uberto Bisuntino,
intorno a gli
anni
Domini
MLXX andando a
san Jacopo tutti quanti, trattone uno, sì promissero
insieme di fede di servire l'uno l'altro. Sì che l'uno
di loro essendo infermato, fu
aspettato
XV dì da'
compagni,
ma la perfine fu
abbandonato da tutti, e da quello
compagno che non avea
promesso la fede fu guardato
a piede del monte san Michele; ma vegnendo il vespro
del
die l'uomo morìo. Ma il vivo ebbe grande paura
per la
solitudine del luogo e per la presenzia del morto
e per la imminente oscurità de la notte e per la ferocia
de la gente barbara; ma incontanente v'
apparve san
Jacopo in ispezie di
cavaliere a
cavallo, e
consolando sì
il disse: "
Dammi questo morto, e tu mi sali in groppa
in sul
cavallo". E così in quella notte, anzi la levata
del sole,
compierono
XV giornate e giunsero ad uno
monte ch'è presso a san Jacopo ad una mezza lega;
e san Jacopo gli puose iveritto
amendue, e
comandò al
vivo che invitasse i
calonaci di san Jacopo che venissero
a seppellire il pellegrino morto, e
dicesse a'
compagni
suoi, che per la fede ch'elli aveano rotta al
pellegrino, il pellegrinaggio non valeva loro nulla. E
quelli
adempiette il
comandamento; e maravigliandosi
i
compagni del suo
viaggio, disse loro quello che san
Jacopo avea
detto loro.
Nel
MXX andava uno
tedesco,
sì come dice Calisto
papa con uno suo
figliolo a san Jacopo; e
andando
a la
città di Tolosa per
albergarvi, fu
innebbriato da
l'oste suo, e fue messo
nascosamente ne la
bonetta di
costui uno nappo d'
argento. E uscendo fuori la mattina,
l'oste tenne loro dietro come
fosseno ladroni, e quando
gli ebbe giunti, sì
appuose loro ch'elli aveano involato
uno nappo d'
argento. E
dicendo loro che li
farebbe punire
se potesse trovare loro il nappo de l'
argento, fu
aperta la
bonetta, e iventro il nappo, onde furono
menati a la
corte. Sì che fu
data la sentenzia che ciò
che aveano, fosse de l'
albergatore e l'uno di loro fosse
impiccato. Ma volendo il padre morire per lo figliuolo
e 'l figliuolo per lo padre, a la perfine il figliuolo fu
impiccato, e 'l padre n'andò piagnendo a san Jacopo.
Sì che dopo
XXXVI dì tornando e rivolgendosi al
corpo
del suo figliuolo e mettendo
boci di grande lamento, ed
eccoti il figliuolo impiccato il
cominciò a
racconsolare
dicendo: "
Dolcissimo mio padre, or non piagnere, ché
io non
ebbi mai tanto bene, però che infino ad ora san
Jacopo mi
sostenta e
pascemi de la
celestiale
dolcezza".
Udendo ciò il padre,
corse a la
città, e venne il popolo,
e
ispiccò il figliuolo del pellegrino sano ed
allegro, e
l'
albergatore fu impiccato.
Racconta Ugo di san Vittore che ad uno che
andava
a san Jacopo
apparve il diavolo in figura di san
Jacopo, e
ricordandoli molto la miseria de la presente
vita disse che sarebbe
beato sed elli s'uccidesse per
l'onore suo. Sì che il pellegrino prese il
coltello e uccise
se medesimo. E con ciò fosse
cosa che quelli nel cui
albergo era
albergato fosse
avuto per sospetto, e temesse
molto di morire, colui, il quale era morto, risucitò immantanente,
e
affermava che quando il
demonio il quale
l'avea
confortato de la
morte, il menava al tormento,
san Jacopo
corse immantanente e
trasselo di mano al
dimonio e
menollo innanzi a la sedia del giudice e,
accusandolo
le
demonia, san Jacopo
accattò grazia che fosse
rimenato al
mondo.
Uno giovane del
distretto di Leon sopra Rodano,
sì come racconta Ugo abbate di Clunì, il quale solea
spesso con grande
divozione andare a san Jacopo, una
volta che volea andare là, in quella notte
cadde in
fornicazione.
Sì che
andando lui una notte, gli
apparve
il
diavolo in
figura di san Jacopo, e sì li disse: "Sa'
tu ch'io sono?"
Dicendo quegli che no, disse il
diavolo:
"Io sono l'
apostolo san Jacopo, lo quale tu
se'
uso di visitare ogni
anno. Sappi che molto m'
allegrava
de la tua
divozione, ma ora
novellamente, uscendo de
la
casa tua,
cadesti in
fornicazione e, non
confesso,
se'
stato
prosuntuoso di venire a me, quasi come il tuo
pellegrinaggio piacesse a Dio e a me. Non si
conviene
fare così, ma
chiunque
desidera di venire a me pellegrinando,
primamente
dee
aprire i suoi peccati per la
confessione e poscia gli
dee punire pellegrinando". E
dette queste parole il
demonio isparve.
Allora il giovane
angosciato si ponea in
cuore di
reddire a
casa e
confessare i peccati suoi, e poscia
ricominciare il
viaggio. Ed eccoti il
diavolo
apparirli un'altra
volta in
figura de l'
apostolo e
confortollo di tutte
queste cose,
affermandoli che quello peccato non gli sarebbe
dimesso se non si tagliasse prima li
granelli suoi;
e più
beato sarebbe sed elli si volesse uccidere ed essere
martire per lo suo nome. Sì che il giovane in quella
notte,
dormendo i
compagni, tolse uno
coltello e tagliossi
li
granelli, poscia col
coltello medesimo si
trafisse per
lo ventre.
Isvegliati i
compagni videro questo fatto, e
avendo
paura d'essere
avuti per sospetti di micidio,
fuggirono
ratto ratto. E quando venne che la
fossa s'
apparecchiava,
colui ch'era morto si rilevò a vita, e
fuggendo
tutta la gente e maravigliandosi, raccontò loro tutto ciò
che gli era intervenuto; e
diceva così: "Quando io per
inganno del
dimonio m'
ebbi ucciso, i
dimoni mi presono
e
menavanmi verso Roma, ed ecco immantanente
correrci
dietro san Jacopo, e riprese molto i
demoni de lo
'nganno; e quando
ebbero molto
conteso insieme,
costrignendone
san Jacopo, venimmo ad uno prato là
dove
la
beata
Vergina stava a parlare con molti santi. A la
quale quando san Jacopo si fue lamentato per me, ella
riprese molto i
demoni e
comandò ch'io
fossi
rimenato
a vita. Sì che san Jacopo mi ricevette e rendemmi a
la vita, sì come voi vedete". E dopo tre dì, rimagnendo
in lui sol le margini, missesi la via tra ' piedi ed ebbe
trovati i
compagni co' quali
narrò tutte le cose per
ordine.
Un
francesco,
sì come dice Calisto papa, intorno
a gli
anni
Domini
MC,
andava a san Jacopo con la moglie
insieme e co' figliuoli, sì perché volea
fuggire la mortalità
ch'era in Francia, sì perché
disiderava di visitare
messere san Jacopo. Ed essendo venuto a la
città di
Pampilonia, la moglie morì, e l'oste tolse a costui tutta
la pecunia sua e la
giumenta che portava e'
fanciulli
suoi. Quelli
andando isconsolato, alcuni de'
fanciulli si
puose in su le spalle, alcuni menava a mano. Al quale si
fece incontro uno uomo con uno
asino e,
avendo
compassione
di costui, prestogli l'
asino per portarvi suso i
fanciulli. Quando fu giunto a san Jacopo, vegghiando lui
in orazione, gli
apparve san Jacopo e sì li disse: "
Cognoscimi
tu?" Quegli
dicendo che no, disse l'uomo:
"Io sono Jacopo
apostolo, che ti prestai l'
asino mio, e
anche il ti presterò insino a la tua tornata, ma prima
vogli che tu sappia che l'oste tuo,
cadendo a terra del
palco, si morrà, e tu riavrai tutto quello che ti tolse".
Ed essendo intervenuto ogni cosa così, quelli tornò lieto
a
casa, e,
scaricato ch'ebbe l'
asino, sparve immantanente
l'
asino, e lasciò e'
fanciulli.
Uno
mercante era spogliato e rubato da uno tiranno
ingiustamente, e anche il tenea in pregione, il quale
chiamava
di notte san Jacopo in suo
aiuto. Al quale sa' Jacopo
apparve, vegghiando le guardie, e
menollo insino al
sommo de la torre. Immantanente la torre s'inchinò tanto
che 'l sommo fu pari con la terra; de la quale scendendo
sanza salto
fuggìo sciolto, e le guardie tenendoli dietro,
avvegna che
andassono a lato a lui e' non lo vedeano.
Andando
tre
cavalieri,
sì come dice Uberto Bisuntino,
del
distretto di Leon sopra Rodano a messere san
Jacopo, l'uno di loro
pregato da una
femminella che le
portasse
per l'amore di san Jacopo un suo
sacchetto in
sul
cavallo, poscia trovando uno infermo che venìa
meno ne la via, sì 'l puose in sul
cavallo suo, e elli tolse
il
bordone de lo infermo, e 'l
sacchetto de la
femminella
e tenea dietro al
cavallo. Ma essendo rotto, tra per lo
caldo del sole e per la
fatica de la via, quando fu giunto in
Galizia gli venne una gravissima infermitade, ed essendo
pregato da'
compagni de la salute de l'
anima sua, tre
dì stette
mutolo, ma il quarto dì,
aspettando i
compagni
ched e' morisse,
suspiròe
gravemente, e disse: "Io
rendo grazie a Dio e a messere san Jacopo che per li
suoi
meriti sono liberato. Ché quando io voleva fare
quello di che voi m'
ammunivate, i
demoni vennero a
me, e
costrignevammi sì
gravemente che io non poteva
parlare cosa neuna che si
permettesse a salute". Udiva
la
boce, ma non potea rispondere; ma ora san Jacopo
ci è
entrato, e porta ne la mano manca il
sacchetto de
la femmina e ne l'altra il
bastone del povero, li quali
io
aveva
aiutati ne la via, sì che il
bordone tenea per
lancia, e 'l
sacchetto per iscudo; e
assalendo quasi
le
demonia, levò alto il
bastone e spaventò le
demonia e
missele a
fuggire. Sì che ora la grazia del
beato Jacopo
sì m'ha liberato e renduta la
favella.
Chiamatemi dunque
il prete, però ch'io non
posso lungo tempo stare in
questa vita. E rivolgendosi a l'uno di loro, sì li disse:
"
Amico mio, non volete più essere
cavaliere del Signore
tuo terreno, però ch'egli e
veramente
dannato, e de'
fare di qui a poco
mala
morte". Seppellito costui, quando
quelli ebbe
detto al signore suo il fatto, per neente il
tenne e non si volse
amendare, sì che poscia ad una
battaglia gli fue
dato d'una lancia, laonde ne morìo.
Un uomo da
Vicilaco,
sì come dice Calisto
papa,
andando a san Jacopo gli venne meno moneta,
sì che vergognandosi lui d'andare mendicando, missesi
a riposare sotto uno
albore, e sognava che san Jacopo
gli
dava
manicare. Da che fue
isvegliato trovossi a capo
un pane
cotto sotto la
cennere, del quale e' visse
XV dì
tanto che fu tornato a
casa. Ogne
die ne manicava
due
volte quanto gli
bastava, l'altro
die il trovava tutto
intero nel
sacchetto.
Racconta
Calisto papa, che un
cittadino di
Barcellona,
ne li
anni
Domini
MC andando a messere san
Jacopo, solamente una cosa si dice che
domandasse: ciò
fu che indi innanzi non fosse preso da
veruni nemici.
Sì che tornando per Sicilia fu preso in mare da' Saracini
e più volte fu venduto da loro per le
fiere, ma
pure le
catene di che elli era legato sempre si scioglievano.
Ed essendo già venduto
XIII volte e ristretto con
doppie
catene,
dimandando elli l'
aiuto di san Jacopo,
egli gli
apparve e disse: "Imperò che stando te ne la
chiesa mia, lasciasti stare la salute de l'
anima e
domandasti
solamente la salute del liberamento del
corpo,
però
se' tu caduto in questi
pericoli; ma perché il Signore
è misericordioso, sì m'ha mandato a te perché
io ti ricomperi". Immantanente gli si ruppero le
catene,
ed elli andò per le terre e per la
castella de' saracini,
portando una parte di
catene in testimonianza di questo
miracolo, e
veggendolo tutti e maravigliandosi intorno
a la terra sua. Quando alcuno il voleva pigliare, vedendo
la
catena,
fuggìa immantanente spaventato, e
anche quando i leoni e l'altre
fiere
bestie,
andando lui
per li
diserti, si rivolgeano contra lui, veduta ch'aveano
la
catena erano commossi da grande
spaventamento e
ratto si mettevano a
fuggire dinanzi a lui.
Ne gli
anni
Domini
CCXXXVIII la
vilia di santo
Jacopo in uno
castello, c'ha nome Prato, che è tra
Firenze e Pistoia, uno giovane ingannato d'una
villana
semplicitade, andò a mettere
fuoco ne le
biade d'uno
suo
manovaldo, però che quelli gli volea torre il suo
retaggio. Fu preso e messo in mano de la
corte e,
confessato
che ebbe, fu giudicato ad essere trascinato a
coda di
cavallo e poi
arso. E quelli
confessò i peccati
suoi e
botossi a messere san Jacopo. Ed essendo trascinato
su per la terra petrosa in sola la
camicia lungo
spazio di via, non sentìo né nel
corpo, né ne la
camiscia,
alcuno
danno. A la perfine fu legato a un palo, e ragunate
le legne da ogne parte e,
abbiendovi messo entro
fuoco, le legne e ' legami
arsero; ma
chiamando lui sempre
l'
aiuto di santo Jacopo, né ne la
camiscia, né nel
corpo non gli si trovò male veruno. E
volendolo un'altra
volta gittare nel
fuoco, fu liberato dal popolo e 'l
Segnore fu
magnificamente lodato nel suo
apostolo.
cap. 95, S. Cristoforo
Cristofano, di gente
Cananea, fu d'una lunghissima
statura e d'un volto terribile:
XII cubiti era lungo.
Leggesi
di lui in alcune sue storie che, stando lui con uno
re de'
Cananei, gli venne in
cuore d'andare
caendo il
maggiore signore che fosse nel
mondo e d'andare a
dimorare con lui. Sì che venne ad un grandissimo re,
del quale era generale
fama che 'l
mondo non
avesse
uno maggiore di lui. E 'l re,
veggendolo,
ricevettelo molto
volontieri e
fecelo stare ne la sua
corte. Or venne che
alcuna volta un trastullatore
contava una
canzone dinanzi
al re, ne la quale si
contava spesse volte il
diavolo.
E 'l re, perché avea la fede di Cristo, quantunque udìa
nominare il
diavolo, immantenente si
facea ne la
fronte
il
segno de la Croce. Veggendo ciò
Cristofano si
maravigliava
molto perché il re facesse ciò e che volesse
dire quello cotale fatto. E
domandandone il re di questo
fatto, ed elli non
volendoglile manifestare, disse a lui
Cristofano: "Se tu
nol mi
dirai, io non
starabbo più
con teco". Per la qualcosa il re fu costretto di
dirgliele,
e disse così: "Quantunque io odo nominare il
diavolo, sì mi
armo di questo
segno, temendo ch'elli
non prendesse podestade in me e
nocessemi". Allora
disse
Cristofano: " Se tu temi il
diavolo che non ti
noccia, adunque si
conviene ched elli sia maggiore e più
potente di te, lo quale tu mostri di così temere. Ingannato
sono dunque de la speranza mia, che mi
credeva avere
trovato il maggio e 'l più potente signore del
mondo.
Ma sta sano, ch'io voglio andare
caendo quello
diavolo
per
prenderlo per mio segnore e per
diventare suo servo".
Sì che si partì da quello re e
andava
caendo il
diavolo.
Andando lui per uno gran
diserto, vidde una gran
moltitudine di
cavalieri, l'uno de' quali, che era un
fiero
cavaliere e terribile, venne a lui e
dimandollo dov'elli
andava. Al quale rispuose
Cristofano: "Io vo
caendo
messere lo
diavolo per
prenderlo per mio signore". E
quelli disse: "Io sono colui che tu vai
caendo". Rallegrato
Cristofano,
obbligossi a lui in servo perpetuale e
ricevettelo per suo segnore.
Andando dunque
abendue insieme ed
avendo trovato
una
croce rilevata ad un
crocicchio di via, sì tosto come
il
diavolo vidde quella
croce,
fuggìo spaventato e, lasciando
la via, menò
Cristofano per uno
diserto
asprissimo
e poscia il
rimenò ne la via. Veggendo ciò
Cristofano
e
maravigliandosene,
domandollo perch'elli avea tanto
temuto, ch'avea lasciata la via piana e
sviatosi per
così
aspri
diserti. E non
volendoli il
diavolo
dire per
veruno modo,
Cristofano li disse: "Se tu non lo mi
dirai, tosto mi parto da te". Per la qualcosa costretto
il
diavolo, sì gliele disse: "Uno uomo che ha nome
Cristo, fu
confitto in su quella Croce; de la quale Croce
quando io veggio il
segnale, ho grande paura e
fuggone
spaventato". Al quale disse
Cristofano: "Dunque è
quello Cristo maggiore di te e più potente, il cui
segno
tu temi tanto? Indarno dunque mi sono
affaticato e
ancora non ho trovato il maggiore e 'l più potente prencipe
del
mondo. Or ti sta, ch'io ti voglio
abbandonare
ed andare
caendo quello Cristo".
Quando ebbe molto
cercato chi gli sapesse
insegnare
Cristo, a la perfine
capitò ad uno
romito, il quale gli
predicò di Cristo e
ammaestrollo
diligentemente ne la
sua fede. E disse il
romito a
Cristofano: "Questo re
al quale tu
desideri di servire, richiede cotale
servigio
che ti
conviene spesse volte
digiunare". Rispuse
Cristofano:
"Altro mi richeggia, ché questa cosa non
posso
io fare". Anche disse il
romito: "Molte orazioni li ti
converrà anche fare". Rispuose
Cristofano: "Non so
che si sia questo, né non
posso fare così fatto
servigio".
Disse il
romito: "Sa' tu il cotale
fiume nel quale
molti che vi passano vi muoiono entro?" Rispuose
Cristofano:
"Sì, so bene". Disse i'
romito: " Da che tu
se' di lunga statura e di grande
forza, se tu stessi a lato
a quello
fiume e
valicassevi la gente, molto sarebbe a
grado al re Cristo, al quale tu
disideri di servire, e
credo
ched elli ti si
manifesterebbe lì". Rispuose
Cristofano:
"Certo questo
servigio bene
posso io fare e
promettolomi
bene servire in ciò". E così andò a quello
fiume, e
facevisi
una
abitazione, e portando seco una
bertica in luogo
di
bastone col quale si sostenea, tenendola ne le mani
entro l'
acqua, tutta gente valicava sanza rimanersi.
Sì che passato il tempo di molti dì, riposandosi lui
ne la
casetta sua, udì una
voce d'un
fanciullo che
chiamava
e
diceva: "
Cristofano vieni fuori che mi valichi".
Cristofano saltò immantanente fuori e non trovò
persona; sì che si tornòe ne la
casetta sua. E anche
s'udìo
chiamare, e anche
corse fuori, ma non trovò persona.
La terza volta
chiamato, uscì fuori e trovò un
fanciullo a lato a la riva del
fiume, il quale pregò
strettamente
Cristofano che 'l valicasse. Sì che
Cristofano
si puose il
fanciullo in su la spalla e, togliendo la
pertica
sua,
entrò nel
fiume per valicarlo. Ed eccoti l'
acqua
del
fiume
gonfiare a poco a poco e 'l
fanciullo
pesava gravissimamente come piombo, e quanto più
andava
innanzi, tanto più
cresceva l'
acqua, e 'l
fanciullo
più e più
aggravava con peso da non poter portare gli
omeri di
Cristofano, intanto che a
Cristofano parea che
fosse posto una grande
angoscia, e
temevasi molto di
pericolare. Ma essendo appena scampato e valicato il
fiume, puose il
fanciullo in su la riva, e disse a lui:
"O
fanciullo, in grande
pericolo m'hai posto e pesi
tanto che se io
avessi
avuto addosso tutto il
mondo,
appena
avrei sentito maggiori pesi!" E 'l
fanciullo
rispuose: "Non ti maravigliare,
Cristofano, imperò che
non solamente hai
avuto sopra te tutto il
mondo, ma
eziandio colui il quale
creò tutto il
mondo hai portato.
Ché io sono il re tuo Cristo al quale tu servi in
questa operazione e, acciò che tu pruovi ch'io
dica il
vero, quando tu sarai passato di là,
ficca in terra il
bastone tuo a lato a la
casetta tua, e la mattina il troverai
ch'
avrà messo
foglie e
frutti e
fiori". E immantanente
isparve da gli occhi suoi. Sì che venne
Cristofano
e
ficcò il
bastone in terra. La mattina quando si levò,
trovò che avea messo
fronde e
datteri a modo di palma.
Dopo queste cose venne a una
città di Licia c'ha nome
Samon; nel quale luogo non intendendo la loro lingua,
pregò
Domenedio che li
desse ad intendere quella lingua.
E stando lui nel popolo, i giudici
credendo ched e'
fosse un matto, sì 'l lasciarono stare.
Accivito
Cristofano
quello ch'elli
domandava,
coprendo il volto suo,
venne a' luoghi de la
battaglia, e
confortava in
Domenedio
li
cristiani che erano tormentati. Allora l'uno de'
giudici il
percotéo entro la
faccia, al quale
Cristofano scoprendo
la
faccia, sì disse: "Se io non
fossi
cristiano,
tosto vendicherei la mia ingiuria". Allora
Cristofano
ficcò la verga sua in terra, e pregò
Domenedio ch'ella
mettesse
fronde, acciò che 'l popolo si
convertisse. La
quale cosa essendo fatta, immantanente
VIII milia uomini
credettero. E 'l re gli mandò
CC cavalieri, che 'l
menassero
a lui. E
abbiendolo trovato orare e temendosi
di
dirli queste cose, anche ve ne mandò
altrettanti, i
quali
trovandolo orare, misersi ad orare con lui insieme.
Levandosi
Cristofano da l'orazione, disse loro: "Chi
domandate voi?" Quelli veggendo il volto suo, sì li
dissero: "Il re ci ha mandati che noi ti
meniamo preso
a lui". A' quali disse
Cristofano: "S'io mi vorrò, né
legato né sciolto, mi potrete menare a lui". E quelli
gli
dissero: "E se tu non vuogli, va liberamente
dovunque
tu vuogli; e noi
diremo al re che noi non t'abbiamo
trovato". "No, disse quegli, io verrò pure con
voi". E missesi a
convertirli a la fede e,
convertì che
furono, fecesi legare le mani di dietro e
appresentare
così legato al re.
Il re
veggendolo ebbe paura, e
cadde incontanente a
terra de la sedia. Poscia essendo rilevato da'
donzelli
suoi,
dimandollo del nome suo e del paese. Rispuose
Cristofano: "Innanzi al
battesimo era
chiamato Reprobo,
ma ora sono
chiamato
Cristofano; innanzi al
battesimo
era
cananeo, ma ora sono
cristiano". Al quale disse il
re: "Sozzo nome ti ponesti, cioè di Cristo che fu
crucifisso,
il quale né a sé fece
prode, né a' te il potrà fare.
Ma tu,
cananeo malfattore, perché non sacrifichi a li
dei nostri?" Rispuose
Cristofano: "
Dirittamente
se'
chiamato
Dagno, però che tu
se'
morte del
mondo e
compagno
del
diavolo e li
dei tuoi sono lavorii di mani
d'uomini". Al quale disse il re: "Tra le
bestie
se'
nutricato, e non puoi parlare se non cose
bestiali e non
sapute a gli uomini; ma ora, se tu sacrificherai, riceverai
da me grandissimi onori e, se non, sì sarai
consumato
con
crudeli tormenti". Non volendo dunque
sacrificare,
comandò che fosse messo in
carcere; e
quelli
cavalieri, ch'erano stati mandati a
Cristofano,
fece
dicollare per lo nome di Cristo. Poscia fece
rinchiudere
due
belle
donzelle,
una de le quali avea nome
Nicea e l'altra Aquilina, insieme con
Cristofano entro
la
carcere, promettendo a loro molti
donamenti se 'l
traessero a peccare con seco. Vedendo ciò
Cristofano
incontanente si
diede ad orazione. Ma essendo costretto
da le
donzelle col toccare e con
abbracciamenti, levossi
ritto e disse loro: "Che
cercate voi e per quale cagione
ci siete voi messe dentro?" Quelle spaventate
per la
chiaritade del volto suo, sì li
dissero: "
Abbi
misericordia di noi, messere santo di Dio, acciò che noi
possiamo
credere in quello Dio lo quale tu predichi".
Udendo ciò il re
fecelesi venire innanzi e disse loro:
"Dunque siete voi anche ingannate? Io vi giuro per
li
dei, che se voi non sacrificherete, voi
morrete di
mala
morte". Quelle rispuosono: "Se tu vuoli che noi sacrifichiamo,
comanda che le piazze siano purgate e
tutti si ragunino al tempio". Fatto ciò, quand'elle furono
entrate nel tempio,
scinsensi la
cintura loro e
puorsela
a i
colli de li
dei e, tirandoli a terra, li
fecioro
tornare in
polvere, e
dissero a
coloro ch'erano presenti:
"
Andate a
chiamare i medici che vi guariscano li
dei vostri".
Allora per
comandamento del re, l'una, che avea
nome
Aquilina, fu sospesa in alto; e
legatole a' piedi
uno grande sasso, tutte le sue
membra
ruppeno. Quand'
ella fu
andata di questa vita a
Domenedio, la
serocchia
sua, ch'avea nome
Nicea, fu gittata nel
fuoco;
ma,
uscendone sanza veruno male, fu incontanente
dicollata.
Dopo queste cose
Cristofano fu
appresentato al re, il
quale
comandò che fosse battuto con verghe di
ferro;
e
feceli mettere in capo uno
cappello d'
acciaio tutto
affocato; poscia fece fare una sedia di
ferro, e
fecevi
legare
Cristofano e
feceli
accendere d'intorno un
fuoco
e gittarvi entro la pece. Ma la
scranna si spezzò a
modo di
cera, e
Cristofano n'uscì fuori sanza veruno
male. Poscia il fece legare ad uno legno e saettare a
quattrocento
cavalieri. Ma le saette stavano tutte sospese
ne l'
aere e
nol
potettono toccare veruna.
Il re pensando che quelli fosse
saettato da'
cavalieri,
dicendo loro villania, subitamente una de le saette vegnendo
de l'
aere si rivolse indietro e percosse il re entro
uno
degli occhi, sì che gliele
acciecò. Al quale disse
Cristofano: "
Domane in quello dì
debbo io
compiere
la vita mia, onde tu, tiranno,
farai
loto del sangue
mio e
ugnerattene l'occhio, e riceverai santade". Allora
per
comandamento del re fu
menato a
dicollare e in
quello luogo, fatta l'orazione, fu
dicollato. E il re togliendo
un poco del sangue suo e ponendone sopra l'occhio,
disse: "Al nome di Dio e di santo
Cristofano"
e incontanente
diventò sano. Allora
credette il re e misse
bando che
chiunque
bestemmiasse Iddio o san
Cristofano
tosto morrebbe con la spada.
cap. 96, Sette DormientiE'
sette
dormienti nacquero ne la
città d'
Efeso.
Decio
imperadore, perseguitando li
cristiani, quando fu venuto
in
Efeso, fece
edificare templi nel mezzo de la
cittade,
acciò che tutti si
mischiassono con lui ne' sacrificii de
l'idoli. Abbiendo dunque fatta inquisizione di tutti i
cristiani, e incatenati che fossero, li
costrignea o di
sacrificare o di morire, sì che tanto era lo
spaventamento
de le pene a tutti, che l'uno
amico
rinnegava
l'altro, e 'l padre il figliuolo, e 'l figliuolo il padre.
Allora furono trovati in quella
città
sette
cristiani:
Massimiano,
Malco,
Marciano, Dionisio,
Joanni, Serafino
e
Costantino, i quali vedendo queste cose si
doleano troppo.
Ed essendo de' maggiorenti del palazzo,
spregiando i
sacrificii de l'idoli,
celavansi in
casa loro,
soprastando
a'
digiuni e orazioni.
Accusati dunque costoro,
furonli
presentati dinanzi e, fatta la pruova che fossero
veramente
cristiani, fu
dato loro
spazio di rispondere infino
a la tornata di
Decio. E quelli intanto vennero
dando
il
patrimonio loro a' poveri di Dio e,
avuto
consiglio insieme,
cansaronsi nel monte
Celion e ivi si
fermarono
di stare più
certamente. Standosi dunque così
nascosti
un grande tempo, l'uno di loro servìa gli altri, e quante
volte
entrava ne la
città, sì si vestiva in
abito e
figura
d'un povero ch'
andasse mendicando.
Essendo dunque
Decio tornato ne la
città, e fatto il
comandamento che fosse
cercato per loro per
fargli sacrificare,
Malco, loro servigiale, spaventato ritornò
a'
compagni e
dimostrò loro il
furore de l'imperadore. I
quali essendo
gravemente ispaventati,
Malco puose loro
innanzi il pane che avea
recato loro, acciò che
confortati
per lo
cibo, fossero più
forti a
combattere. E poi che
ebbero
cenato, seggendo e ragionando in pianto e in
lagrime,
subitamente, come
Domenedio volle, s'
addormentaro.
Quando venne la mattina, essendo
cercati e non trovati,
Decio n'era molto
dolente d'avere perduti cotali
giovani, sì che furono
accusati ch'erano stati nascosti
infino a quell'ora nel monte
Celion; e
avendo
dato tutto
il loro a'
cristiani poveri,
perseveravano ne lo loro proponimento.
Comandò dunque
Decio che
parenti loro fossero
presenti e minacciogli de la
morte sed e' non
dicessero
tutto, cioè che sapessono di
coloro. Sì che costoro
gli
accusarono altressì ch'eglino aveano
dato tutto il
loro a' poveri
rammaricandosene a lo 'mperadore. Allora
pensando
Decio quello che dovesse fare di loro, per
volontà
di Dio,
comandò che la bocca de la spelonca fosse
turata, acciò che
rinchiusivi entro
morissono di
fame
e di
povertà. La quale cosa i servi de lo imperadore
sì
fecero, e
due
cristiani,
Teodoro e Ruffino, iscrissero
il loro martirio e puosero la scrittura
saviamente tra
le pietre.
Morto dunque
Decio e tutta quella generazione, dopo
CCCLXXII anni, ne l'
anno trentesimo di
Teodogio imperadore,
rampollòe la
resia di
coloro che negavano la
resurressione de' morti. Onde contristato
Teodogio,
cristianissimo
imperadore, ché vedea così
empiamente malmenare
la fede, vestissi di
cilicio e, sedendo in
basso
luogo, piagnea ogne
die. La qualcosa veggendo, il misericordioso
Iddio volle
consolare i
dolorosi e
confermare
la fede de la resurressione de' morti, ed
aprendo il
tesoro de la sua pietade in questo modo sucitò i
detti
martiri. Ché misse in
cuore ad un
borghese de la
città
d'
Efeso d'
edificare in quello monte
stalla a' pastori
suoi.
Aprendo dunque i maestri la spelonca, levaronsi
i santi e, salutandosi insieme, una sola notte pensavano
avere
dormito e,
ricordandosi de la
tristizia del
dì dinanzi,
dimandarono
Malco, il quale avea servito
loro, quello che
Decio
avesse
fermato di loro. E quelli
disse: "Com'io vi
dissi, noi
fummo
cercati ieri sera
per
farci sacrificare a l'idoli; ecco quello che lo imperadore
pensa di noi". Rispuose
Massimiano: "E
Dio il sa che noi non sacrificheremo". E
avendo
confortato
i
compagni disse a
Malco che
andasse a la
città
per
comperare dal pane e, recando più pane che non
avea
recato ieri, tornasse a
dire quello che lo 'mperadore
avesse
comandato. Togliendo dunque quello
Malco
V
soldi, uscì de la spelonca, e, veggendo le pietre,
maravigliossi;
ma pensando altro, pensò poco per le pietre.
Vegnendo dunque pauroso a la porta de la
città,
maravigliossi
molto vedendovi posto su il
segnale de la Croce,
e
andando a l'altra porta e
trovandovi quello medesimo
segnale,
maravigliossi vieppiù. Veggendo dunque a tutte
le porte posto il
segno de la Croce e
armata ne la
cittade,
segnando se medesimo, ritornò a la prima
porta e
credevasi sognare. Onde
confermandosene se medesimo
e vegnendo a' venditori del pane col volto
coperto,
entrò ne la
cittade, e udì gli uomini parlare di Cristo
e,
stupedito più che di prima, disse fra se stesso: "Che
è ciò che ieri non osava niuno di nominare Cristo, e
ora tutti
confessano Cristo? Io mi
credo che questa
non sia la
città d'
Efeso, imperciò ch'ella è
altrimenti
edificata,
ma io non so altra
città così fatta". E
abbiendo
domandato e udito che questa era
Efeso, pensossi
veracemente
errare, e pensò di ritornare a'
compagni
suoi; ma pure andò a quelli che vendevano il pane e,
quando ebbe
dato loro i
fiorini d'
ariento, maravigliandosi
i venditori del pane,
dicendo l'uno a l'altro: "Quello
giovane ha trovato un
antico
tesoro!" e
Malco veggendoli
parlare insieme, pensava ch'elli il volessono
tirare a lo 'mperadore e, spaventato, elli sì li pregò che
il
lasciassono e
tenessensi i pani e '
danari. Ma quelli
il tennero, e sì li
dissero: "Onde
se' tu, c'hai trovati i
tesori de li
antichi imperadori? De!
mostralci e saremo
compagni insieme e
terrémoti
celato, ch'
altrementi tu
non puoi
celare". E
Malco non trovava che
dicesse
loro per la paura che avea.
Coloro veggendo costui tacere,
misserli una
fune in
collo, e
strascinavallo per le rughe
infino al
miluogo de la
cittade; e uscì la novella a tutti
i
cittadini che un giovane avea trovato
tesori. Raunati
dunque
tutta la gente a lui e
scongiurandolo, volea
satisfare
loro che non ne avea trovato nulla; e pognendo
mente a tutti, da neuno potea essere
conosciuto, e ragguardando
il popolo, volea
conoscere alcuno de'
parenti
suoi e' quali e' pensava
veramente che fossero
vivi e,
non trovandone neuno, stava come matto nel mezzo
del popolo de la
città.
La quale cosa abbiendo udita san Martino vescovo
e
Antipater proconsolo, il quale era venuto
novellamente
ne la
città,
comandarono a'
contadini che 'l
menassono
saviamente a loro e recassero la moneta d'
ariento
ch'elli avea. Ed essendo tirato da' ministri a la chiesa,
pensavasi essere menato a lo 'mperadore. Sì che il vescovo
e 'l proconsolo, maravigliandosi de la moneta
d'
argento,
domandarollo dove
avesse trovato il
tesoro
non saputo. E quelli rispuose ch'al postutto non avea
trovato nulla, ma che del sacchetto de'
parenti suoi avea
avuto i
detti
danari. E
dimandato di quale
città fosse,
rispuose: "
Ben so io ch'i' sono di questa
città, se questa
è la
città d'
Efeso". Disse il proconsolo: "Fa trovare
i
parenti tuoi, che
deano testimonianza di te". E
quando gli ebbe
contati per nome, e non era chi ne
conoscesse veruno,
dicevano ched elli s'infignea per
iscampare per alcuno modo. E disse il proconsolo: "Come
crediamo noi che questo
argento fosse de'
parenti tuoi,
con ciò sia cosa che la scrittura sua abbia più di
trecentosettantadue
anni, e fosse di primi
dì di
Decio
imperadore, e in niuna cosa sono simiglianti a'
fiorini
nostri d'
ariento? E come furono i
parenti tuoi, già è
cotanto tempo, e tu giovane vuogli ingannare i savi e
gli
antichi d'
Efeso? Però
comando che tu sia
dato a
le
leggi, infino a tanto che tu
confessi quello che tu hai
trovato". Allora inginocchiandosi
Malco dinanzi a loro,
disse: "Per Dio, signori,
ditemi quello di che io vi
domando, e io vi
dirò quello ch'io abbo in
cuore.
Decio
imperadore, che fu in questa
città,
dove è elli?" Il vescovo
disse: "Figliuolo mio, non è oggi in terra chi sia
chiamato
Decio, elli fue imperadore già lungo tempo".
Disse
Malco: "Messere, in ciò mi
maraviglio io molto, e
non è chi lo mi
creda; ma venite dopo me,
mosterrabbovi
e'
compagni miei che sono nel monte
Celion, e allora
credete.
Questo so io bene, che noi
fuggimmo da la
faccia
di
Decio imperadore, e iersera vidi che
Decio imperadore
entrò in questa
cittade, se questa è la
città d'
Efeso".
Allora il vescovo, pensando in se medesimo, disse
al proconsolo che questa era visione che Dio vuole
mostrare in questo giovane.
Andarono dunque con lui
grande
moltitudine de la
cittade, e
entrò prima
Malco
a i
compagni suoi, e,
entrando il vescovo dopo lui, trovòe
tra le pietre lettere
suggellate di
due
suggelli d'
ariento.
E raunato il popolo sì le lesse, e intendendole e maravigliandosi
tutti e veggendo i santi sedere ne la spelonca
e le
facce loro
fiorite come rose, gittaronsi in terra,
e
diedono gloria a
Domenedio. E immantanente mandò il
vescovo e 'l proconsolo a
Teodosio imperadore,
pregandolo
che venisse tosto a vedere i miracoli mostrati
novellamente.
Il quale si levò immantanente di terra e del
sacco
dov'elli piagneva e, glorificando Iddio, venne da Costantinopoli
in
Efeso, e
incontrandosi a lui tutti, salirono
tutti insieme a la spelonca a' santi. E sì tosto come i
santi
ebbero veduto lo 'mperadore,
risplendettoro le
facce
loro come sole, ed
entrato lo 'mperadore gittossi dinanzi
a' piedi loro, glorificando Iddio. E levandosi gli
abbracciò
tutti e sopra
catuno pianse, così
dicendo: "Io veggio
voi, come s'io vedessi il Signore
risucitare
Lazzaro".
Allora disse santo
Massimiano a lui: "
Credi a noi che
a le tue
cagioni ci ha risucitati il Signore, innanzi al gran
die de la resurressione, acciò che tu
creda sanza veruno
dubbio che la resurressione, de li morti sì è. Però che
veramente siamo risuscitati e viviamo, e come il
fanciullo
sta nel ventre de la madre non sentendo offensione e vive,
così siamo stati
vivi,
giacendo e
dormendo e non sentendoci".
E
dette queste cose, veggendo tutti quanti, inchinarono
i
capi in terra e
dormirono in pace, e rende
rono
gli spiriti loro secondo il
comandamento di Dio.
E levandosi lo 'mperadore
cadde sopra loro,
piagnendoli
e
basciandoli; ed abbiendo
comandato che si
facessero
casse d'oro ne le quali si mettessono, in quella
notte
apparvero i santi a lo 'mperadore, e
disserli che
sì come da indi a drieto erano giaciuti in terra e levatesi
di terra, così gli lasciasse stare infino a tanto che
Iddio gli risucitasse un'altra volta.
Comandò dunque
lo 'mperadore che in quello luogo, fosse
adorno di pietre
dorate, e tutti i vescovi che
confessavano la resurressione
fossero
assoluti.
In ciò che si dice ched elli
dormissono
CCCLXXII anni
può essere
dubbio, imperciò che si rilevarono ne gli
anni
Domini
CCCCXLVIII, e
Decio regnòe pure uno
anno,
e tre mesi, ciò fu ne gli
anni
Domini
CCLII, e in questo
modo non
dormirono se non
centonovantaquattro
anni,
ovvero
CLXXXXIII anni.
cap. 97, Ss. Nazario e CelsoLa vita e la passione di costoro si dice che santo
Ambrosio trovasse nel
libricciuolo di san
Gervasio e
Protasio;
ma in alcuni libri si truova scritto che un
filosofo
divoto a Santo
Nazario scrisse la sua passione, e
Cerasio,
il quale avea seppellito le
corpora di questi
due
santi, la puose a' capo loro.
Nazario, figliuolo d'un gentilissimo uomo ch'avea
nome
africano ma era giudeo, e di santa
Perpetua
cristianissima
donna e nobilissima fra ' Romani,
battezzata
da san Piero
apostolo, quando avea
nove
anni si
maravigliava
molto a vedere il padre suo e la madre sua
isvariarsi l'uno da l'altro così
disguagliatamente ne
l'osservamento de la fede loro, in ciò che la madre sua
seguitava la legge del
battesimo e 'l padre la legge del
sabato. Onde
dubitava molto a quale si dovesse più
accostare,
con ciò fosse
cosa che l'uno e l'altro si sforzasse
di
ritrarrelo a la sua fede. A la perfine, per volere
di Dio, s'
accostò a le vie
della madre, e ricevette il
battesimo di santo Lino papa. Intendendo ciò il padre,
sì 'l
cominciò a
rimuovere dal santo proponimento e
spianare per ordine le maniere de' tormenti che si
davano
a'
cristiani. (In ciò che si dice ched e' fue
battezzato
da san Lino papa, intendesi forse, non di quegli
ch'era papa allora, ma di quello che
dovea essere).
Nazario dopo il
battesimo, come si manifesta più
giù,
sopravvisse molti
anni; il quale ricevette martirio
da
Nerone ch'uccise san Piero,
faccendolo
crucifiggere
l'ultimo
anno del suo imperio; e santo Lino fu papa
dopo la
morte di san Piero. Non
consentendo
Nazario
al padre, ma maggioremente predicando Cristo con grande
costanzia, a'
prieghi de'
parenti, i quali temevano che
non fosse morto, uscette di Roma e tolse
VII muli
carichi
de le ricchezze de'
parenti e venne per le terre
d'Italia
dando ogne cosa a' poveri. E 'l
decimo
anno
de la sua partenza da Roma venne a Piacenza e poi a
Melano, là
dove trovòe
sostenuti in
carcere san
Gervasio
e san
Protasio. Udendo il prefetto che
Nazario incoraggiava
i
detti martiri, tosto fu
menato al prefetto
e,
perseverando in
confessare Cristo, fu battuto con
bastoni,
e così fu
cacciato di quella
città.
E
andando elli di terra in terra, la madre sua, che
era già morta, gli
apparve e,
confortando il figliuolo
suo, sì l'
ammonìo ch'
andasse in Francia. Ed essendo
venuto a una
città di Francia c'ha nome Gemello,
e
convertitivene molti, una
donna gli offerse un suo
figliuolo,
bel garzone il quale avea nome
Celso, e
pregollo
che 'l
battezzasse e
menasselo seco. Udendo ciò
il prefetto di Francia,
rinchiuselo col
fanciullo insieme
in pregione con le mani di dietro legate e con la
catena
in
collo per
farlo l'altro dì tormentare. Allora la moglie
gli mandò a
dire ch'ella
affermava che fosse non giusto
giudicio ch'elli uccidesse gl'innocenti e
ardisse di vendicare
gli
dei onnipotenti. Per le quali parole
corretto
quello segnore
assolvette e' santi, e
ammonìo e interdisse
che non vi dovesse predicare.
E venne a la
città di
Croa in
Treveri, e ivi predicò
Cristo di prima e,
convertendovene molti a la fede
di Cristo, e' sì vi fece una chiesa. Udendo ciò Cornelio
vicario
mandollo a
dire a
Nerone, il quale mandò
cento
cavalieri a
pigliarlo. E quelli,
trovandolo lungo l'oratorio
che s'avea fatto, legarli le mani, così
dicendo:
"Il grande
Nerone ti fa
chiamare". Rispuse
Nazario:
"Il non
composto re hae
cavalieri non
composti;
perché dunque vegnendo voi, non
diceste onestamente:
"
Nerone ti fa
chiamare? e sarei venuto". Sì che il
menarono legato a
Nerone, e 'l
fanciullo piagnente
battéro
Celso
dandoli le gotate e
costrignendolo che li tenesse
dietro. Quando
Nerone gli ebbe veduti,
fecegli
rinchiudere in pregione infin a tanto che pensasse di
che tormenti gli uccidesse.
Infrattanto
Nerone
avendo mandato
cacciatori a predare
fiere salvatiche, uscì subitamente fuori una
moltitudine
di
fiere, e
entrarono nel
giardino di
Nerone; nel
quale luogo
lacerarono molte persone e molte n'uccisono,
intanto che
Nerone turbato
fuggìo e,
fedito il piede,
appena
poté giugnere al palagio, e molti dì giacque per
lo
dolore di quella
fedita. A la perfine si ricordò di
Nazario
e di Celso, e pensò che li
Dei
fossono
adirati
contro a lui perché gli avea lasciati tanto
vivere
coloro.
Sì che per
comandamento de lo 'mperadore, i
cavalieri
trassero di pregione
Nazario,
percotendolo con
calci e
battendo il
fanciullo e
menandoli dinanzi a lo 'mperadore.
Vedendo
Nerone la
faccia di
Nazario a modo di
sole, pensossi essere beffato per
fantasie, e
disseli che
ponesse giù l'
arte magiche, e
comandolli che sacrificasse
a li
Dei. Menato
Nazario al tempio, pregò che
tutti
dovessero uscir fuori, e così,
stanto lui in orazione,
tutti gl'idoli si spezzarono.
Udendo ciò
Nerone
comandò che fosse gittato in mare,
e
comandò che s'elli
campasse per
avventura, che 'l
perseguitassono e poi l'
ardessono nel
fuoco e la
polvere
sua gittassono in mare. Sì che
Nazario e 'l
fanciullo
Celso furono
messi in una
nave e, quando furono
menati
nel
miluogo del pelago, ivi furono traboccati nel
mare; ma incontanente si
commosse d'intorno a la
nave una
forte
tempestade, e d'intorno a' santi si vedea
grande
bonaccia. E temendosi
coloro di
pericolare e pentendosi
de' mali ch'aveano
commessi ne i santi, eccoti
Nazario col
fanciullo
Celso andare sopra l'
acqua, e
apparve
a
coloro col volto
allegro e salìo in su la
nave,
credendosi già quelli
pericolare, e con la sua orazione
aumiliò il mare, e
capitò con loro ad uno luogo presso a
la
città di
Genova per
secento passi. Nel quale luogo
quand'ebbe lungamente predicato, a la perfine venne a
Melano, là
dove avea lasciati san
Gervasio e
Protasio.
La quale cosa abbiendo udito Cornelio prefetto,
mandollo
a'
confini, rimagnendo
Celso in
casa d'una
donna.
Sì che
Nazario, se ne venne a Roma e,
trovandovi il
padre suo ch'era già vecchio e
cristiano, sì 'l richiese
in che modo s'era
convertito. E que' disse che Piero
apostolo gli
apparve, e
ammunillo che seguitasse la via
de la moglie e del figliuolo che li
entravano innanzi
a Cristo.
Poscia fu costretto da' pontefici de' templi di tornare
con molta ingiuria a la
città di
Melano,
dond'elli era
stato
isbandeggiato e mandato a Roma; nel quale luogo
fu presentato al preside col
fanciullo
Celso. Poscia fu
menato fuori de la porta Romana in uno luogo che si dice
"Tres Muri", e ivi fu
dicollato col
fanciullo
Celso.
I
corpi de' quali quando i
cristiani gli
ebbero rubati
e
riposti ne l'ortora loro, in quella notte
apparvero i
santi ad uno c'ha nome
Cerazio, e sì li
dissero che seppellissero
le
corpora loro più profondo in
casa sua per
paura di
Nerone. E quelli disse a loro: "
Sanicate prima,
segnori, la figliuola mia paralitica". La quale, come
l'
ebbero sanata, incontanente tolse le
corpora loro e
seppellille sì come quelli
comandarono.
E dopo lungo temporale rivelò
Domenedio questi
corpi
a santo
Ambruosio, e, lasciando
Celso nel luogo suo,
tolse
Nazario ch'era così intero e sanza veruna
corruzione,
co'
capelli e con la
barba, con maraviglioso odore,
e parea che in quella medesima ora fosse seppellito, e
traslatollo a la chiesa
de li apostoli, e ivi il rispuose
onorevolemente.
Passionati furono intorno a gli
anni
domini
LVII a
IV dì uscente Luglio. Di questo martire dice così
santo
Ambruosio nel
Profazio: "Il martire santo
alluminato
di
rossichente sangue, cioè
Nazario, fu
meritevole
di salire al
celestiale regname. Il quale, essendo
angosciato per tormenti sanza novero, con la
fermezza
de la fede soperchiòe la rabbia de' tiranni. Né non
poté
dar luogo a le minacce che li
facevano i persecutori,
imperò che quello
accrescitore de la vittoria, Cristo Signore,
difendea colui che
combattea per lui. Fu
menato
a fare sacrificio a l'idoli scomunicati, le maravigliose
cose de' quali egli armato de l'
aiuto di Dio, sì tosto come
entrò nel tempio, recò tutto in
polvere. E per questo
essendo gittato ne le liquide
acque del mare, lungi da
terra, per
servigio di
dono
angelico,
fermi passi ponea
fra l'onde.
O
beato e glorioso
combattitore di Dio, il quale,
assalendo
il prencipe del
mondo, innumerabile
moltitudine
di popolo
accompagnòe a la vita
eterna!
O grande e ineffabile sacramento, che la chiesa s'
allegri
maggiormente de la salute di
coloro i quali il
mondo s'
allegra d'avere morti!
O
beata madre, glorificata de' tormenti de' figliuoli
suoi, i quali non mandò al ninferno con pianto e con
lamento, ma passanti a i regni
celestiali si proseguita
di perpetuale loda!
O testimonio
adornatissimo,
stella
splendiente di
celestiale
splendore, il cui inestimabile odore
avanza tutte
le spezie di
Sabeiciti!".
Lo quale
Ambruosio trovando sì l'ha
dato in perpetuale
padrone e medico, de la fede
propugnatore,
combattitore
di santa
battaglia.
cap. 98, S. Felice
Felice fue
eletto papa in luogo di
Liberio e fu ordinato;
però che non volendo il
detto
Liberio papa
consentire
a la
resia d'Ario, fu mandato a'
confini da
Costanzio,
figliuolo di
Costantino, e
vi stette tre
anni. Per
la qualcosa tutto il
chericato di Roma
ordinò Felice in
suo luogo,
lo stesso Liberio volente e consenziente.
Il quale Felice, ragunato ch'ebbe il
concilio dinanzi a
quarantotto vescovi,
condannòe
Costanzio imperadore,
ariano ed
eretico, e
due preti che 'l
favorivano. Onde
Costanzio, indegnato, sì
cacciò Felice del vescovado suo
e fece
rivenire
Liberio a cotale
patto, che solamente
ricomunicasse
Costantino e
coloro che Felice avea
condannati.
Sì che
Liberio, afflitto per
tedio, soscrisse lo
sbandeggiamento in
eresia; e così
crebbe intanto la persecuzione
che molti sacerdoti e
cherici erano morti
entro la chiesa, non
vietandolo
Liberio. E Felice, scacciato
del vescovado suo,
abitando in un suo podere,
funne tratto fuori e
meritòe il martirio,
essendoli tagliato
il capo intorno a gli
anni
Domini
CCCXC.
cap. 99, Ss. Simplicio, Faustino e Beatrice
Simplicio e
Faustino,
fratelli, per non volere sacrificare
sotto
Diocliziano, molti tormenti
sostennero a Roma.
A la perfine, essendo
data sopra loro la sentenzia, furono
dicollati, e gittate le
corpora loro nel Tevere. E
la
serocchia loro, ch'avea nome Beatrice, trasse le
corpora loro del
fiume e
sepellille onorevolemente.
Lucrezio
prefetto e 'l vicario suo,
desiderando d'avere il
podere suo, sì la fece pigliare e
comandolle che sacrificasse
a l'idoli. Quella non vogliendo,
Lucrezio la fece
strangolare di notte a' servi suoi; il cui
corpo tolse
Lucina vergine, e
seppellillo a lato a'
fratelli suoi.
Poscia
entròe
Lucrezio in quello podere nel quale,
avendo fatto il
convito a gli
amici suoi,
dicendo villania
de' martiri, un
fanciullo da latte,
fasciato in panni,
gridòe del grembo de la madre la quale era ivi presente,
udendolo chi volle, e disse così: "Or odi,
Lucrezio, per
ciò che tu hai ucciso e
assalito,
ecco che
se'
dato in
possessione del nimico". Immantanente
Lucrezio temendo
e tremando fue preso dal
demonio, e fue per
tre ore tanto
angosciato che morì in quello
convito. La
qualcosa veggendo,
coloro che erano presenti
convertirsi
a la fede, e
narravano a tutti che la passione di
santa Beatrice vergine era vendicata entro il
convito.
Furono passionati ne gli
anni
Domini
CCLXXXVII.
cap. 100, S. MartaMarta,
albergatrice di Cristo, il cui padre ebbe nome
Siro e la madre
Eucaria, di schiatta reale
discese. Il
padre suo fu
capitano di molte terre di Soria e di marittima;
tre terre possedea Marta con la
serocchia per
ragione de l'
ereditade de la madre, cioè
Maddalo e
Betania e parte di Gerusalem. Non si legge che mai
avesse
marito o che
avesse
avuto
compagnia d'uomini;
ma servìa la nobile
albergatrice di Cristo a Cristo, e
volea che la
serocchia servisse con lei insieme, però
che le parea ch'a servire a così grande oste, com'era
Cristo, non
basterebbe tutto il
mondo.
Dopo l'
ascensione di Cristo, essendo partiti gli
apostoli
per lo
mondo, ella col suo
fratello
Lazzaro e con
la
serocchia sua Maria Maddalena e anche san
Massimino
che l'avea
battezzate e a cui elle erano state
raccomandate da lo Spirito Santo, e molti altri, levando
via remi e
vele e altri governamenti e tutti gli
alimenti
di
nave, furono
messi in
nave da l'infedeli; e,
per guida del Segnore,
capitarono a Marsiglia. A la perfine
vennero nel terreno d'
Achissi e ivi
convertirono il
popolo a la fede. Ed era santa Marta molto
bella parlatrice
e graziosa a tutti.
Ora v'era in quel tempo, sopra Rodano, in un
bosco
tra Avignone e Arli, un
dragone ch'era mezzo
animale
e mezzo pesce, più grosso che un
bue e più lungo
d'uno
cavallo, e avea i
denti
arrotati come spada e
le
corna da
ambo latora. Il quale,
nascondendosi nel
fiume, uccideva tutti i viandanti, e le
navi
subissava.
Ed eravi venuto per lo mare entro di Galizia d'Asia, ingenerato
da
Leviathan, ch'è un serpente
acquatico e
ferocissimo, e da
Onaco,
animale il quale ingenera la
contrada di Galizia, il quale saetta lo sterco suo per
ispazio di volta di
buoi dietro a
coloro che 'l vanno
perseguitando, e ciò che tocca
abbrucia come
fuoco.
Santa Marta, essendo
pregata dal popolo, andò là e
trovollo in uno
bosco
manicare uno uomo e, gittandogli
l'
acqua
benedetta addosso, e
mostrolli una Croce. E 'l
dragone incontanente vinto, stette fermo come pecora,
e lasciatosi legare a santa Marta con la sua
cintura,
e' fu morto iveritto dal popolo con le
lance e con le
pietre. Ed era
chiamato quello
drago da li
abitanti de
la
contrada
Tarascone, onde, in
ricordanza di ciò, si
chiama quello luogo da quello
drago
Tarascone, che
prima si
chiamava
Nerluc, cioè luogo nero, però
che quivi erano le
boscora ombrose e nere. Sì che in
quello luogo rimase santa Marta con parola di
Massimino
suo maestro, e de la
serocchia, standosi quivi
d'allora innanzi in
digiuni ed orazioni sanza
cessare.
Poscia sì vi ragunò uno grande
convento di
donne,
cioè suore, e
fecevi una chiesa ad onore de la
beata
Vergine, ne la quale menòe assai
aspra vita, ché, ischifando
carne e ogni grassume e uova e
cascio e vino,
una sola volta mangiava il
die e
cento volte s'inginocchiava
il
die e
altrettante la notte.
Una volta predicando lei tra Avignone e 'l
fiume di
Rodano, un giovane, stando di là dal
fiume e
desiderando
d'udire le sue parole, non
abbiendovi naviglio,
ispogliossi
ignudanato e incominciò a notare, ma la
gran
forza del
fiume il rapìo e subitamente
affogò. Il
cui
corpo, a grande pena trovato il secondo dì, fu portato
a' piedi di santa Marta per
risucitarlo. Quella si gittò in
terra in modo di Croce, ed orò in questa guisa: "
Adonai,
messere
Jesù Cristo, il quale
risuscitasti di qua
indrieto il mio
fratello
diletto, pon
mente, oste mio
caro,
a la fede di
coloro che sono qui intorno, e risuscita
questo garzone". E presa che gli ebbe la mano, immantanente
si levò vivo e sano, e ricevette il santo
battesimo.
Racconta
Eusebio nel quinto
libro de le Storie
Ecclesiastiche
che la femmina
emorroissa, la quale fue sanata
ne la
corte, ovvero nel
giardino suo, sì fece una statua
de la imagine di Cristo col vestimento e con l'
orlo, sì
com'ella l'avea veduto, e molta reverenza le
faceva,
e l'
erbe che
crescevano sotto a quella statua, le quali
non aveano prima neuna vertude, quando
agiugnevano
a l'
orlo, erano di tanta vertude che molti infermi n'erano
sanati. Quella
emorroissa, la quale il Signore
sanòe, santo
Ambrosio
dice che fue Marta.
Racconta san
Geronimo, ed è ne la Storia
Tripertita,
che Giuliano apostata levò indi quella imagine, la quale
emorroissa avea fatta, e portolla in
isola, e ivi l'
acconciòe, la quale si ruppe per la percossa del
fulmine.
La
morte sua revelò
Domenedio a lei uno
anno dinanzi;
nel quale
anno, essendo gravata di
febbri, innanzi
l'ottavo dì del suo uscire di questo
mondo, udìe
cori
de li
angeli che ne portavano in
cielo l'
anima de la
sua
serocchia; e quella
raunòe incontanente il
convento
de' frati e de le suore sue, e disse loro: "
Compagni
miei e
dolcissimi
balii miei, io vi
priego che voi vi
rallegriate con meco, però ch'io veggio i
cori de gli
angeli che ne portano con grande
allegrezza a le sedie
del
cielo l'
anima de la mia
serocchia. O
bellissima e
diletta mia,
vivere
possi tu col maestro tuo e oste mio
in sedia
beata". Incontanente santa Marta, sentendo
pressimare l'uscita sua,
ammunì la gente sua che
vegghiassero
intorno a sé con le
lumora accese, ed entro
la mezzanotte, innanzi al
die del suo passare, essendo
gravate dal sonno quelle persone che la guardavano,
venne un vento terribile e spense tutte le
lumora, e
quella, veggendo la turba di maligni spiriti, incominciò
ad orare e disse: "Padre mio Eli, oste mio
caro,
ragunati sono a
divorarmi gl'ingannatori miei, tegnendo
le scritture in mano de' mali ch'io ho fatto. Eli, non
ti
dilungare da me, ma sia in mio
aiuto!"
Dicendo
queste cose, eccoti venire la
serocchia a lei che tenea
una
faccellina in mano con la quale
accese i
cerotti e
le lampane, e
chiamandosi per nome insieme l'una
l'altra, eccoti venire Cristo, e disse: "Vienne,
diletta
ospita mia, e dove sono io, sarai tu là con esso meco.
Tu mi ricevesti nel tuo
albergo, io ti riceverò nel mio
cielo, e
coloro che ti
chiameranno,
esaudirabbo per tuo
amore". E
appressimandosi l'ora del suo passamento
sì si fece portare fuori per potere vedere il
cielo, e
fecesi porre in terra in su la
cennere, e fecesi tenere
la Croce dinanzi, e fece cotale orazione: "Oste mio
carissimo, guarda questa tua poverella! Come tu
degnasti
d'
albergare in mia
casa, così mi ricevi nel tuo
albergo del
cielo". E fecesi
leggere innanzi il Passio
secondo Luca; e quando si
diceva: "Padre ne le
mani tue raccomando lo spirito mio" e quella mandò
fuori lo spirito.
La
Domenica seguente, faccendosi l'officio al
corpo
suo intorno a l'ora de la terza, stando san
Frontonio
a
Pettagorica, e
dicendo la
Messa, dopo la Pistola
dormendo lui in
caffera, il Signore gli
apparve, e sì li
disse: "
Diletto mio
Frontonio, se tu vuogli
adempiere
quelle cose, che tu
promettesti a l'ospita nostra, di
qua dietro leva su tosto, e seguitami".
Quegli
compiendo il
comandamento, subitamente vennero
abendue a
Tarascone, e intorno al
corpo suo salmeggiando,
tutto l'ufficio
compierono
ambedue, rispondendo
gli altri; e con le loro mani missero il
corpo
nel sepolcro. E quando venne che a
Pettagorica fu
finito il
canto dopo la Pistola, il
diacano che avea a
leggere il Vangelio,
dimandando la
benedizione,
destòe
il vescovo ed egli, appena
isvegliato, rispuose: "
Frate
mio, perché m'hai
desto? Il mio Signore Gesù Cristo
m'ha
menato al
corpo di Marta, sua
albergatrice, e
avemela messa nel sepolcro. Mandatevi tosto messaggi,
che ci rechino l'
anello nostro de d'oro, e i guanti
grigi, le quali cose,
acconciandomi me a seppellire
il
corpo, sì le raccomandai al
sagrista e io per
dimenticanza le lasciai perché sì tosto mi
svegliaste".
Mandati che furono i messaggi e, trovando così queste
cose né più né meno come san
Frontonio avea
detto,
recarne l'
anello e l'un guanto solamente, e l'altro si
ritenne il
sagrista in testimonianza di questo fatto.
E
aggiunse anche san
Frontonio questo fatto, e disse:
"Quando dopo la
sepoltura noi uscivamo de la chiesa,
un
frate di quello luogo, savio di lettera,
venendoci
dietro,
domandò il segnore com'elli
avesse nome. E
quelli non rispondendo nulla, mostrò un
libro che tenea
aperto in mano, nel quale non era scritto veruna altra
cosa se non questo
versolino: "In memoria
eternale
saràe l'ospita mia, e nel sezzaio
die non
avrà paura
de la ria udita". E rivolgendo il
libro per tutti i
fogli,
trovò scritta la
detta parola. E con ciò fosse
cosa che
a l'
avello suo si
facessono molti miracoli,
Clodoveo,
re di Francia,
diventòe
cristiano; e poi che fue
battezzato
da san
Remigio, gli venne un gran
duolo ne le
reni; e quelli andò al sepolcro di costei, e
riportonne
santade
compiutamente. Per la qualcosa
dotòe quello
luogo e
diedegli ville e
castella e terra da l'una parte
e l'altra del Rodano per
ispazio di tre miglia, e
francheggiò
quello luogo. E
Martilla, sua
cameriera, scrisse
la vita sua, e poscia se n'
andòe in
Ischiavonia e, predicando
quivi il Vangelo di Cristo
diece
anni dopo la
morte di santa Marta, e poscia morìo in pace.
cap. 101, Ss. Abdon e Sennen
Abdon e
Sennen
furono martirizzati sotto
Decio
imperadore. Abbiendo
Diecio imperadore vinta Babilonia
con l'altre province, sì ci trovò alcuni
cristiani, i quali
ne menò seco a la
città di
Cordova, e ivi gli fece morire
per
diversi tormenti. E le
corpora loro tolsero
due
sorregoli, ciò furono
Abdon e
Sennen a seppellire. Onde
accusati e
appresentati dinanzi a
Decio, furono
menati
a Roma dietro a lui legati con
catene.
Poscia, quando furono a Roma, furono
menati dentro al
palazzo dinanzi a lui, e al sanato di Roma, ed
ebbero
comandamento
che od elli
sacrificassero, e riceverebbero
liberamente le cose loro, od ellino sarebbero
divorati da'
morsi di
bestie.
Disprezzando dunque il
comandamento
e
sputando ne l'idolo, furono
menati a la grande piazza,
e furono
ammessi loro
due leoni e
quattro
orsi, i quali
non toccarono i santi, ma
guardavalli. Allora missono
mano a le
coltella e con esse gli uccisero. Poscia legarono
i piedi loro e
trascinarli e gittarli dinanzi a
l'idolo del sole. E quando vi furono gittati e giaciuti tre
dì, Quirino suddiacono gli ricolse, e
seppeglili in
casa
sua. E furono passionati ne gli
anni
Domini
CCLIII.
cap. 102, S. GermanoLa sua vita scrisse
Costantino prete, e
mandolla
scritta a san
Censurio, vescovo d'
Altissiodoro.
Germano fu di gentilissimo
legnaggio, nato ne la
città d'
Altissiodoro e molto ammaestrato de le
sette
arti. A la perfine andò a Roma ad imprendere la scienzia
di
ragioni di
leggi, là ove ebbe tanta
dignitade che 'l
senato il mandò in Francia per
acquistare l'
altezza del
ducato di tutta Borgogna.
Governando dunque lui la
città d'
Altissiodoro più
diligentemente che gli altri, avea nel
miluogo de la
cittade un'
albore, che si
chiamava pino, a i rami de
la quale
appiccava le
capita de le
fiere salvatiche per
maraviglia de la
cacciagione. Ma
riprendelne di cotale
vanitade il santo vescovo Amatore di quella
cittade, e
ammonendolo spesse volte che facesse tagliare lo
detto
albore, acciò che di quello fatto non
avvenisse veruna
mala cagione a'
Cristiani, quegli per veruno modo non vi
volle
acconsentire. Sì che una volta, non essendovi Germano,
il vescovo tagliò l'
albore e
missela tutta ad
ardere.
La quale cosa udendo Germano,
dimenticatosi de la
religione
cristiana, venne là
attorneato di molti
cavalieri,
e minacciò il vescovo de la
morte. Ma il vescovo
cognoscendo per la revelazione di Dio che Germano
dovea essere vescovo dopo lui,
diede luogo al
furore,
e
andonne ad
Agostodano. Poscia ritornò ad
Altissiodoro e
rinchiuse Germano scaltritamente entro la
chiesa, e iveritto gli
diede la prima tonsura, e predisse
a lui che gli
dovea succedere nel vescovado. E così fue.
Ché poco tempo poscia morì quello vescovo in pace, e
tutto il popolo
adomandò Germano per loro vescovo. E
quegli
diede tutto il suo a' poveri, e de la moglie fece
suora, e
afflisse tanto il
corpo suo per
ispazio di
XXX
anni, che giammai non
manicò pane di grano, né
bevve
vino, né
aceto, né olio, né legume, né
sale per sapore;
ma
due volte l'
anno, cioè per
Risurresso e per
Natale,
bevea vino, salvo che tanta
acqua vi mettea, che poco
sapeva di vino. Al mangiare primieramente
mescolava la
cennere, poi prendea pane d'
orzo; sempre quando
digiunava
non mangiava mai se non a vespro. Di state
e di verno non tenea mai altro indosso che
cilicio e
tonica, ovvero
cocolla, il quale vestimento, se per la
ventura non l'
avesse
donato altrui, tanto il portava,
che tutto era raso da potere rompere. Il letto suo era
ornato di
cennere e di
cilicio e di
sacco, neuno
piumaccio
teneva a capo, ma sempre stava in pianto e portava a
collo le reliquie de' santi. Non si spogliava mai, rade
volte si scalzava e rade volte si
scigneva; sopra natura
d'uomo fue ciò che fece. Tal fue la sua vita che
se non
avesse
fatti miracoli parrebbe cosa
incredibile.
Tanti furono i miracoli che, se non fosse
andato innanzi
la
santità, sarebbero
creduti
fantastichi.
Albergando elli in alcuno luogo, vedendovi
apparecchiare
un'altra volta la mensa dopo
cena, maravigliandosi
di ciò,
domandò perch'eglino
apparecchiavano più.
Essendosi
detto: "Per quelle
buone
femmine che vanno
di notte", in quella notte
ordinò san Germano che vegghiasse,
ed
ecco che vidde una gente di
demoni, in
forma d'uomini
e di donne,
porrersi a mensa, e
comandando
loro che non si partissono,
isvegliò tutti quelli
de la
famiglia, e
domandavalli se
conoscessero quelle
persone. E quelli
dicendo ch'erano tutti loro vicini e
vicine, mandò a le
case di
ciascuno, e a'
demoni
comandò
che non si partissono; ed
ecco che furono trovati
tutti ne' letti loro. E scongiurati
coloro che mangiavano,
dissero che erano
demoni che ingannavano
così la gente.
A quello tempo era in grande
nominanza santo Lupo
vescovo di
Trettafina; la cui
città
assediando il
re
Attila, santo Lupo sì si puose in su la porta e
gridava chi fosse quegli che
dava loro
angoscia. E
quelli rispuose: "Io sono
Attila,
flagello di Dio". Contra
'l quale l'umile vescovo piagnendo disse: "E io sono
Lupo, che guai a me sono guastatore de la greggia di
Dio e molto
degno de la
battitura di Dio!" E incontanente
fece
aprire le porte e quegli,
acciecati da Dio,
passarono da l'una porta a l'altra, sanza vedere e
sanza fare male a persona.
Sì che san Germano prese per
compagno il
detto
santo Lupo e
andonne in Brettagna dove gli
eretici
erano
rampollati. Ed essendo nel mare, nacque una
grandissima
tempesta, e a l'orazione di san Germano
divenne grande
bonaccia; e furono ricevuti onorevolmente
da' popoli, l'
avvenimento de' quali li
demoni
avieno già
detto dinanzi, li quali san Germano
cacciò
da le
corpora
ingombrate. E quando
ebbero
convinti gli
eretici, tornarono a
casa loro.
Essendo egli infermo in alcuno luogo,
avvenne che
a tutta quella ruga de le
case dov'elli era, s'
apprese
il
fuoco, e
ardeva ogne cosa. Quegli, essendo
pregato
d'essere portato
altrove per
campare dal
fuoco, puosesi
incontro a l'
arsura, e,
ardendo la
fiamma di qua e di
làe, l'
albergo suo non toccòe niente.
Tornando lui un'altra volta in Brettagna per
confondere
gli
eretici, uno de' suoi
discepoli gli tenea
dietro molto ratto; il quale essendo infermato ad un
luogo che si chiama
Cormandoro, morìo là. Tornando
quindi san Germano, fece
aprire il sepolcro di colui, e
chiamollo del proprio nome, e
dimandollo quel che facesse
e se
desiderava d'essere anche più
cavaliere con
seco. Quelli, incontanente rizzandosi a sedere, rispuose
ch'elli
aveva tutta soavitade e che non volea essere
richiamato più qua. Allora
accennandoli il santo ched
elli si posasse, e quelli
pose giù il capo e
dormì anche
in pace.
Predicando lui in Brettagna,
abbiendogli il re di Brettagna
disdetto
albergo a lui e a'
compagni, il
bifolco
del re, tornato da la pastura, tolse la prebenda nel
palazzo e portolla a la
capanna sua, e vidde san Germano
e'
compagni che si morivano quasi di
fame e di
freddo; i quali elli li ricevette
benignamente in
casa
sua, e uno solo
vitello ch'elli avea,
comandò che fosse
morto e apparecchiato per lui e per li
compagni. E fue
fatta la
cena, e,
mangiato, santo Germano fece
raggiugnere
insieme tutte l'ossa del
vitello e, a l'orazione
sua, il
vitello si levò ritto sanza
dimoranza.
Il seguente
die san Germano andò in
fretta incontro
al re e
dimandollo
apertamente perché gli avea
negato
l'
albergo. Allora il re
fortemente spaventato non
poté
rispondere a lui, e quelli disse: "
Esci fuori de la signoria
e lascia istare il reame a migliore di te". Sì
che san Germano, per
comandamento di Dio, fece venire
il
bifolco con la moglie e, maravigliandosi tutta la gente,
il fece re; e d'allora i re
cominciarono a uscire di
schiatta di
bifolco e signoreggiano la gente di
Brettoni.
Stando a
campo quelli di
Sassonia contra i
Brettoni,
e vedendo ch'erano pochi,
chiamarono i santi che passavano
in d'oltre; ed essendo predicati da' santi, a
pruova
andavano tutti a la grazia del
battesimo; sì che
il
die de la
Pasqua per
fervore de la fede gittate via
l'
arme, si puosono in
cuore di
combattere
fortemente.
Quelli udendo ciò,
arditamente
andavano contra
disarmati;
ma san Germano,
nascondendosi co' suoi, sì li
ammonì tutti che quando egli gridasse: "
Alleluia",
tutti quanti gli
rispondessono ad una
boce. La qualcosa
essendo fatta, tanta paura venne addosso a
coloro
ch'erano nemici, che, gittando via tutte l'
arme, non
solamente pensavano ch'e' monti, ma che 'l
cielo
cadesse
loro addosso, e tutti
fuggirono.
Una volta passando lui per
Agostodomo,
capitòe a
l'
avello di san Cassiano vescovo, e
domandollo com'elli
stesse. Quegli immantanente,
udendolo tutti, rispuose
de l'
avello, e disse così: "Con
dolce
riposo mi godo e
aspetto l'
avvenimento del Redentore". E quelli disse:
"Or ti posa in Cristo per lungo tempo e per noi
adora
attentamente, acciò che noi
meritiamo d'avere l'
allegrezze
della santa resurressione".
Essendo
capitato una volta a Ravenna fu ricevuto con
grande onore da la reina Placida e dal suo figliuolo
Valentiniano.
Quando venne l'ora de la
cena, la reina gli
mandò un vasello d'
argento
ampissimo, pieno di
cibi
dilicatissimi, e quelli il ricevette in questo modo che i
cibi
dette a li
donzelli, e 'l vasello de l'
argento si
ritenne per li poveri. E in quel luogo di guiderdone mandò
a la reina una scodella di legno con pane d'
orzo iventro.
Quella il ricevette
allegramente, e
coperse poscia d'
ariento
quella scodella.
Un'altra volta che la
detta reina l'avea invitato a
convito, quegli,
consentendo
benignamente, da l'
albergo
suo insino al palagio de la reina fu portato in su l'
asino,
imperò ch'era molto
macero per
digiuni e per
fatiche.
Ma, mangiando lui, l'
asino di san Germano morìo.
Udendo ciò la reina fece presentare al vescovo il
cavallo
proprio di molta mansuetudine. Quelli
veggendolo, disse:
"Siami presentato l'
asino, che quelli che mi recòe
qua, sì me ne porterà". E
andando a l'
asino morto,
sì li disse: "Leva su, torniamo a l'
albergo nostro".
Incontanente l'
asino si
sollevò e
scossesi tutto quanto
e, come non
avesse
avuto neuno male, ne riportò san
Germano a l'
albergo.
Ma anzi che uscisse di Ravenna predisse che non
dimorerebbe lungo tempo in questo
mondo. Poco stante
il prese la
febbre, e il settimo
die morìo in pace; e 'l
corpo suo fue trasportato in Francia, com'elli avea
domandato da la reina. Morìo intorno a gli
anni
Domini
CCCCXXX.
Abbiendo san Germano
promesso a santo
Eusebio, vescovo
di
Vercella, che a la sua tornata li
sagrerebbe la
chiesa ch'es
so ave
a fondata, intendendo
Eusebio che
san Germano era uscito del
corpo, fece
accendere
ceri
per
consegrare elli la chiesa sua; ma quanto più s'
accendevano,
tanto più si spegnevano a mano a mano.
Veggendo ciò
Eusebio intese per questo che o la sagra
si
convenisse fare ad altro tempo, o
serbarla a fare ad
altro vescovo. Essendo dunque il
corpo di san Germano
portato a
Vercelle, fu incontanente messo entro la
detta
chiesa e tosto, per miracolo di Dio, furono infiammati
tutt'i
ceri. Allora santo
Eusebio si ricordò de la
promessione
di santo Germano, e quello che avea
promesso di
fare vivendo
cognobbe ch'avea fatto stando morto.
Questo fatto si vuole così pigliare, che non s'intenda
del grande
Eusebio
vercellese; che ciò
addivenisse al suo
tempo, però ch'elli morìo sotto Valente imperadore, e
da la
morte di lui infino a la
morte di san Germano
corsono più di
L anni. Adunque è un altro
Eusebio
al tempo del quale questo fatto si narra che
avvenisse.
cap. 103, S. Eusebio
Eusebio fue sempre vergine; essendo elli ancora
catecumino,
ricevé da
Eusebio papa il
battesimo e il
nome: nel quale
battesimo furono vedute mani d'
angeli,
i quali il levarono del santo
fonte. Una
donna
presa di lui per la sua
bellezza, volendo ella andare
ne la
camera sua, per gli
angeli che la guardavano non
poté
entrare, onde la mattina vegnente gli si gittò a'
piedi, e con grande lamento gli
domandò perdonanza. Poi
che fu ordinato prete tanta
santità fu in lui che ne la
Messa gli
appariva tra le mani il misterio
angelico.
Dopo queste cose
macchiando la
pestilenzia
ariana
tutta Italia,
favoreggiando a la
detta
eresia lo 'mperadore
Costanzio, Julio papa
consegrò
Eusebio
per vescovo di
Vercelle, la qual
città a quello tempo
teneva principato tra l'altre
città d'Italia. Udendo ciò
gli
eretici
feceno serrare tutte le porte de la chiesa.
Eusebio,
entrato ne la
città, inginocchiossi dinanzi a
l'uscio de la chiesa maggiore, la quale è de la Vergine
Maria, e con la sua orazione
aperse immantanente tutte
l'uscia. E
cacciò del vescovado Assentio vescovo
di
Melano, corrotto di
resia e in suo luogo
ordinò Dionisio
cattolico. E così
Eusebio tutta la Chiesa
de l'occidente
e Atanasio tutta la Chiesa de l'oriente purgavano
de la
pestilenzia de li
ariani.
Arriano fu un prete d'Alessandria, il quale
dicea che
Cristo era pura
criatura,
affermando che era quando non
era, e per noi fu fatto, acciò che Dio
creasse noi per lui,
sì come per
istrumento. E però
il grande Costantino fece
ragunare il
consilio a
Nicea, là ove il suo
errore fue
condannato. Ed elli morì poscia d'una miserabile
morte,
però che tutte le 'nteriora e le
budella gittò disotto.
E
Costanzio, figliuolo di
Costantino, fu
corrotto
da quella
eresia, per la qualcosa
Costanzio imperadore,
indegnato contra
Eusebio, ragunòe il
concilio di molti
vescovi e fece venire Dionisio, e molte pistole mandò
a
Eusebio che dovesse venire. Il quale sappiendo che
la malizia potea più ne la
moltitudine,
dispregiòe di
venire e
appuose la sua vecchiezza. Onde lo 'mperadore
Costanzio, contra quella
scusa,
ordinò che 'l
concilio
si facesse ne la
città di
Melano, che v'era presso.
Nel quale luogo vedendo lo imperadore ch'
Eusebio v'era
meno,
comandò che li
ariani scrivessono la fede loro, e
a quella fede fece
soscrivere Dionisio vescovo di
Melano
e
XXXIII vescovi. La qualcosa udendo
Eusebio,
uscì de la
città sua per andare a
Melano, e predisse
molte cose
sosterrebbe. Ed essendo venuto ad un
fiume
per andare a
Melano, la
nave essendo da lungi da l'altra
parte del
fiume, al suo
comandamento venne a lui, e
portò lui e'
compagni di là dal
fiume, sanz'altro governatore.
E allora il
detto Dionisio gli si fece incontro,
e
gittandolisi a' piedi
domandò perdonanza.
Non potendo dunque
Eusebio essere piegato né per
minacce, né per
lusinghe da lo 'mperadore, disse dinanzi
a tutti: "Voi
dite che 'l figliuolo è minore che
'l padre, perché dunque
soprapponete a me il mio figliuolo,
e
discepolo? Ché il
discepolo non è sopra il maestro,
né
il servo sopra il signore suo, né il figliuolo sopra il padre".
Per la quale ragione
coloro
commossi, offersero a
lui la
carta ch'elli aveano scritta e ne la quale aveano
soscritto Dionisio. Ed elli disse: "Neente mi scriverrò
dopo il figliuolo, al quale io
soprastoè per
autorità, ma
ardetela e
scrivetene una
nuova, se voi volete ch'io
mi vi
soscriva". E così, per
volontà di Dio, fu
arsa
la
carta ne la quale s'avea
soscritto Dionisio e gli altri
XXXIII vescovi, e
funne fatta una
nuova e
data ad
Eusebio e gli altri vescovi che vi si
soscrivessoro. Ma
essendo tutti
animati da
Eusebio, per neuno modo vi
vollono
acconsentire, e incominciarsi molto a rallegrare
in ciò che vedeano al postutto
arsa la
carta, ne la quale
per
costrignimento s'
avevano
soscritti. Allora adirato
Costanzio, misse
Eusebio in mano de li
ariani che ne
facessero ciò che
volessero. E quelli
traendolo tra gli
altri vescovi, e
flagellandolo
duramente, sì 'l
tranarono
per li gradi del palazzo disopra infino disotto, e anche,
disotto infino disopra. E quand'ebbe sparto molto sangue
per lo capo tutto
flagellato, non
consentendo ancora,
legarolli le mani di dietro al
dosso, e con la
fune in
collo
lo
trascinavano. Ed elli
faccendo grazie a Dio,
diceva
che era apparecchiato di morire per la
confessione de
la fede
cattolica. Allora
Costanzio fece mandare a'
confini
Liberio papa e Dionisio e
Paulino e tutti gli altri vescovi
ch'erano stati
animati per lo
essemplo di colui. E
gli
ariani menarono
Eusebio a
Scitopoli,
cittade di Palestina,
e
rinchiuserlo in uno luogo sì
strettissimo ch'era
più piccolo di lunghezza di lui, e più
stretto per l'
ampiezza,
in tal maniera che inchinato non potea
stendere
li piedi, né
volgersi in altro lato, e stando col capo
abbattuto,
con le spalle solamente e le
gomita potea muovere.
Morto
Costanzio, Giuliano regnòe dopo lui e, volendo
piacere a tutti,
comandò che i vescovi isbanditi fossero
ribanditi e che s'
aprissono i templi de li
Dei e fosse
pace sotto la legge qualunque
catuno volesse. E così
Eusebio uscendo quindi, venne ad
Atanasio, e
contolli
quante cose avea
patite. Morto Giuliano e regnando
Joviniano,
addormentati gli
ariani,
Eusebio tornòe a
Vercelle, e 'l popolo il ricevette con grande
allegrezza.
Ma regnando
anca Valente, gli
ariani ricominciarono a
rampollare e
attorneando la
casa d'
Eusebio e
traendolo
fuori di
casa, rivescione per terra con le pietre l'uccisero,
e così passò
beatamente a
Domenedio, e fue
sepolto ne la chiesa ch'elli avea fatta fare. E
dicesi
ch'elli
accattò questa grazia da
Domenedio a la sua
città
per suoi
prieghi che niuno
ariano vi potesse
vivere. E
visse,
almeno secondo la
Cronica,
LXXXVIII anni.
Finìo
intorno a gli
anni
Domini
CCCL.
cap. 104, Maccabei
Li Maccabei sono
sette
fratelli con la loro madre
da
riverire e con
Eleazaro sacerdote, i quali per
non volere mangiare
carne di porco per osservare la legge,
sostennero
generazioni di tormenti che non furono mai
uditi, secondo che pienamente si
contiene nel secondo
libro de' Maccabei.
Ed è da notare che la Chiesa de
l'oriente fa
festa d'
abendue Testamenti, ma quella de
l'Occidente non fa
festa de' santi del Vecchio Testamento,
però che discesero a l'inferno, trattone che
de li Innocenti, però che
in ciascuno di loro fu morto
Cristo, e anche di Maccabei.
E
assegnasi
quattro
ragioni perché la Chiesa fa
festa
di questi Maccabei, avvegna che scendessero al limbo
de lo inferno. La prima si è per lo
vantaggio del martirio;
ché perch'elli
sostennero più che gli altri santi
del Vecchio Testamento tormenti che mai non furono
uditi per adrieto, però sono privilegiati che la loro passione
degnamente si
celebri da la Chiesa. Questa ragione
si pone ne le Storie
Scolastiche.
La seconda si è per la rappresentazione del misterio,
però che
sette è numero d'universitade. Son significati
in costoro tutti i Padri del Vecchio Testamento i
quali furono
degni d'essere fatto
festa di loro, però
ch'avvegna che la Chiesa non
faccia
festa di loro perché
scesero al limbo, impertanto perché la
moltitudine di
novelli è
entrata, in queste sette fa reverenza a tutti,
perché
sette, sì come è
detto è, significa università.
La terza si è per l'
essemplo del patire, però che
son posti per
essemplo a i
fedeli, acciò che per la
loro
costanzia i
fedeli siano più
animati al
zelo de
la fede, e siano più
fortemente
armati a
sostenere per
la legge del Vangelio, sì come quegli per la legge di
Moisé.
La quarta ragione si è per la cagione del tormento,
però che per
difendere la legge loro,
sostennero cotali
tormenti, sì come i
cristiani
sostegnono per
difendere
la legge del Vangelio. Queste tre sezzaie
ragioni
assegna
il maestro Giovanni
Beleth ne la Somma de li
Offici
capitolo V.
cap. 105, S. Pietro in VincoliLa
festa di San Piero
apostolo, che
dice
ad Vincula,
per
quattro
ragioni si crede che fosse ordinata, cioè: in
ricordanza de la liberazione di san Piero, in
ricordanza de
la liberagione d'
Alessandro, per
distruggere il
costume
de' pagani e per impetrare l'
assoluzione de li spirituali
legami. La prima cagione è in
ricordanza de la liberagione
di san Piero; però che, sì come
dicono le Storie
Scolastiche,
Erode
Agrippa ritornò a Roma e là fue molto
familiarissimo a Gaio, nipote di
Tiberio 'mperadore. Un
die, stando
Erode nel
carro con Gaio, levò le mani a
cielo e disse: "Dio 'l volesse che io vedesse la
morte
di questo vecchio, e te segnore di tutto 'l
mondo".
Queste parole udìo il
carradore d'
Erode, e
manifestolle
incontanente a
Tiberio. Per la qualcosa indegnato
Tiberio
imperadore,
rinchiuse
Erode ne la
carcere. Ne la
quale stando un
die
appoggiato a uno
albore, ne le cui
ramora avea un gufo, un de' prigioni ch'era là entro,
il quale sapeva d'indovinare, disse a lui: "Non avere
paura, ché tosto sarai liberato e sarai tanto innalzato,
che se ne
maraviglieranno ad invidia gli
amici e'
conoscenti
tuoi, e in questa
prosperità morrai. Sì tosto come
tu vedrai sopra te l'
animale, di questa maniera non
potrai
vivere oltre
cinque dì". Passato
alcun tempo
Tiberio morìo e Gaio fu fatto imperadore; il quale liberòe
Erode de' legami de la prigione e,
magnificatolo
altamente,
sì 'l mandò per re in Giudea. E poi che fu
venuto, misse mano per
affliggere alcuni de la Chiesa.
E morto ch'ebbe santo Jacopo,
fratello di san Giovanni,
con la spada innanzi a i dì de l'
azzimo, veggendo che
ciò era a grado a' giuderi, ne i dì de l'
azzimo prese san
Piero e
rinchiuselo ne la
carcere, vogliendo dopo la
Pasqua
producerlo al popolo.
Ma l'
angelo di Dio gli
apparve la notte e sciolselo
maravigliosamente de' legami e
fecelo andare liberamente
a l'officio de la predicazione. Ma la malizia del
re non
sostenne indugio di vendetta, ché 'l seguente
die fece venire a sé le guardie, acciò che li
tormentasse
con
crudeli pene per lo
fuggire di san Piero. Ma a
ciò fare fu impedito perché lo
scioglimento di san Piero
non facesse
nocimento altrui; ché andò ratto in Cesarea
e ivi, percosso da l'
angelo, fece
mala
morte. Ché, sì
come racconta
Josefo nel
XIX libro de l'Antichitadi,
essendo venuto a Cesarea e raunati a lui tutti ad un
animo gli uomini di quella provincia, egli vestito d'un
vestimento
risplendiente,
maravigliosamente lavorato ad
oro e
argento, nel
cominciamento del
die andò oltre a
la piazza. Nel quale luogo, abbiendo il vestire de l'
ariento
ricevuti i primai razzuoli del sole,
rimbalzava lo
splendore e
raddiava la luce; a
coloro che ragguardavano
dava
splendore di
metallo tremante,
acciò che il terrore de
lo sguardo
ristrignesse il vedere a'
ragguardanti e che
per questo
mentisse più alcuna cosa di lui d'
arroganza
l'
artefice di quella opera che non era di natura d'uomo.
E incontanente l'
accordano le
boci del popolo lusinghiero,
che
dicea così: "Insino ad ora t'abbiamo noi tenuto
come uomo, ma per questo già
confessiamo che tu
se'
sopra natura d'uomo". E
dilettandosi ne li onori lusinghevoli
e non rifiutando gli onori
divini offerti a sé,
ragguardando un
die sopra una
funicella stare sopra il
capo suo l'
angelo, cioè il gufo, messaggio de la sua
morte prossimana, e ragguardando al popolo disse:
"Oimè,
ecco ch'io mi muoio vostro Dio". E sapea
bene, come lo
'ndivino avea
detto dinanzi, ched elli morrebbe
infra
cinque dì, e, incontanente percosso,
cinque
die
rodendogli i vermini le sue interiora,
cadde morto.
Queste cose
dice
Josefo.
Adunque in
ricordanza di così maravigliosa liberagione
da'
vincoli del prencipe de li
apostoli, e di così
crudele vendetta che seguitòe nel tiranno incontanente,
la Chiesa fa
solenne la
festa di san Piero
a Vincula;
onde ne la
Messa si
canta la Pistola che racconta come
questa liberagione fu fatta. E secondo ciò
pare che
questa
festa si
doverrebbe chiamare di san Piero da'
Vinculi.
La seconda cagione perché questa
festa fu ordinata,
sì è perché
Alessandro papa, il quale fu il
sesto papa
che resse la Chiesa dopo san Piero, e
Ermete prefetto
di Roma, il quale era
convertito a la fede per lo predetto
Alessandro, erano tenuti a guardia di Quirino tribuno,
e da
diversi luoghi. Disse il tribuno ad
Ermete:
"
Maravigliomi di te che
se' tenuto un savio uomo, come
tu lasci l'onore de la prefettura e sogni d'altra vita".
Al quale disse
Ermete: "E io innanzi a questi
anni
scherniva tutte queste
cose, e pensava che non fosse
altra vita che questa". Rispuose Quirino: "
Fammi
dunque provare che tu sappi che sia altra vita, e tosto
m'
avrai per tuo
discepolo". Al quale disse
Ermete:
"Santo
Alessandro, cui tu tieni in pregione, egli il
t'insegnerà meglio". Allora Quirino, maladicendo
Alessandro,
disse: "Io t'ho
detto che tu mi
facci provare
questo, e tu mi mandi ad
Alessandro, lo quale io tegno
incatenato per le sue
follie. Ma io
raddoppierò la pregione
sopra te, e anche sopra
Alessandro; e se io potrò
trovare lui con teco, o te con lui,
veramente
darò fede
a le tue parole e a le sue". Sì che fece quello che
disse, e
fecelo
assapere ad
Alessandro. Stando dunque in
orazione santo
Alessandro, l'
Angelo di Dio venne a lui e
menollo a santo
Ermete ne la
carcere; e
trovandoli Quirino
insieme,
maravigliossi molto; e
narrando
Ermete a
Quirino come
Alessandro avea risucitato il figliuolo suo
morto, disse Quirino ad
Alessandro: "Io abbo la mia
figliuola gozzuta, c'ha nome
Balbina, sì ch'io ti
prometto
di ricevere la fede tua, se tu puoi
accattare da
Domenedio
santade a la mia figliuola". Al quale disse
Alessandro:
"Va ratto, e mena a la mia pregione la figliuola tua".
Disse Quirino: "Da che tu
se' qui, come ti potrò io
trovare ne la tua pregione?" Rispuose
Alessandro: "Va
tosto, ché colui che mi menò qua, mi
rimenerà tosto
là". Sì che andò Quirino, e menò la figliuola sua a
la pregione d'
Alessandro e,
trovandolo iveritto, sì li si
gittò a' piedi. Allora la figliuola sua
cominciò a
basciare
divotamente i legami di santo
Alessandro,
acciò ricevesse
santade. A la quale disse
Alessandro: "Non
basciare, figliuola mia, queste mie
catene, ma
cerca
diligentemente per le
boghe di san Piero, le quali, se
tu
bascerai
divotamente, riceverai santade". Sì che Quirino
fece
cercare
diligentemente per le
boghe di san
Piero ne la pregione dov'elli era stato, e quando l'ebbe
trovate, sì le
diede a
basciare a la figliuola. Quella sì
tosto come l'ebbe
basciate, ebbe incontanente perfetta
santade. Allora Quirino
chiedendo perdonanza, trasse
Alessandro di pregione, ed elli con la sua
figliola e
famiglia e con molti altri, ricevette il
battesimo. Allora
santo
Alessandro
ordinò che si facesse questa
festa in
calendagosto, e fece la chiesa in onore di san Piero, ne
la quale ripuose i
ferri suoi, e
chiamolla san Piero
ad
Vincola. In questa solennitade
corre molta gente a
la
detta chiesa e iveritto
bascia il popolo i legami di san
Piero. La terza cagione perché questa
festa fu ordinata,
dice
Beda questa: "
Ottaviano imperadore e Antonio,
congiunti insieme per parentado,
divisono così tra loro lo
'mperio di tutto il
mondo, che
Ottaviano possedesse
ne
l'occidente la Italia e la Francia e la Spagna, e Antonio
ne l'Oriente l'Asia e Ponto e Africa".
Antonio, ch'era lascivo e
carnale, abbiendo per moglie
la
serocchia d'
Ottaviano, sì le
diede
commiato e
tolse per moglie
Cleopatra, reina d'
Egitto. Per questa
cosa indegnato
Ottaviano, con gente
armata si misse andare
in Africa contra Antonio e
vinselo in tutto. Allora
Antonio e
Cleopatra,
vinti fuggirono e per molto
dolore
s'uccisero loro medesimi. Sì che
Ottaviano
distrusse il
regno d'
Egitto e
fecelo provincia di Roma. Quindi andò
in Alessandria, e spogliandola di tutte ricchezze, sì le
trasportòe a Roma, onde in tanto
accrebbe la repubblica
che per uno
danaio si
desse quello che prima si vendea
quattro. E però che le
civili
battaglie aveano molto
guasta Roma, in tal modo la
rinnovò, che disse:
"Io la trovai a mattoni, io la lascio di marmo". Per
ciò dunque che tanto
accrebbe la Repubblica, prima di
tutti fu
chiamato Augusto; onde da lui sono
detti li
'mperadori Augusti, i quali
soccedettono a lui ne lo
'mperio, sì come da
Giulio Cesare, suo
zio, sono
appellati
Cesari. Onde questo mese d'
Agosto, il quale prima
era
chiamato Sestile, perché il
sesto mese dopo Marzo,
il popolo lo
intitolò del suo nome, e
chiamollo Augusto.
Sì che in
ricordanza di quella vittoria, la quale
Ottaviano
ebbe il primo
die d'
Agosto, tutt'i romani
facevano
molto
solenne questo
die infino al tempo di
Teodogio
imperadore, il quale
cominciò a regnare ne gli
anni
Domini
CCCCXXVI.
Adunque
Eudogia, figliuola del
detto
Teodogio imperadore,
moglie di
Valentiniano, andò in Gerusalem per
boto, là
dove un giudeo l'offerse per grande presente
due
catene, con le quali san Piero
apostolo era stato
legato sotto
Erode. Essendo dunque tornata a Roma e
veggendo i romani fare
festa in
calendagosto per onore
d'uno imperadore pagano,
dolendosi che
cotanto onore
si facesse a uomo
dannato, pensando ancora che non
li potrebbe avere ritratti
leggermente da le usanze,
pensando ordinòe che 'l guardare di quello
die stesse
pure fermo, ma
facessesi per onore di san Piero, e che
tutto il popolo
chiamasse quello
die
ad Vincula.
Avutone
dunque
ragionamento con san
Pelagio papa, indussero
il popolo, con lusinghevoli
confortamenti, che
dimenticassono
la memoria del prencipe de' pagani e
facessesi
festereccia
ricordanza del prencipe de li
apostoli. La
quale cosa essendo piaciuta a tutti, mostrò le
catene
che avea recate di Gerusalem a tutto il popolo. E 'l
Papa mostrò al popolo quella
catena e offerse, con la
quale il
detto
apostolo fue incatenato sotto
Nerone. E
accompagnata questa con quella, sì miracolosamente fu
fatta una
catena di tutte, sì come se fosse stata sempre
una medesima. Onde il Papa e la reina ordinarono a
Roma, che quel che la
'ndiscreta religione de gli
uomi
ni faceva ad uno uomo
dannato pagano,
mutandolo
in meglio, il facesse a san Piero prencipe de li
apostoli. Sì che i
detti legami il papa e la reina puosero
ne la chiesa di san Piero
ad Vincula, e
dotorolla
di molti
doni e grandi privilegii, e
ordinò che 'l
detto
die si
celebrasse per tutto il
mondo. Insino qui dice
Beda;
lo stesso dice Sigberto. Ma di quanta vertude
questa
catena fosse,
apparve negli
anni
Domini
CCCCLXIV.
Un
conte,
parente d'Ottone imperadore, fue sì
crudelemente
dinanzi a gli occhi di tutti tormentato e preso
dal
diavolo, che tutto quanto si lacerava con
denti.
Allora per
comandamento de lo 'mperadore fu
menato
a Joanni papa per
attornearli al
collo la
catena di
san Piero. Ma
essendoli posto un'altra
catena al
collo
di quello
impazzato, e non uscendo di quella veruno
bene di
sanamento, come quella che non avea in sé
vertù veruna, a la perfine fu tratta fuori la vera
catena
e posta al
collo de lo 'ndemoniato. Ma il
diavolo
non potette
sostenere il peso di
cotanta vertude, ma,
gridando, incontanente si partì da lui.
Allora
Teodorico, vescovo di Men, prese quella
catena e
affermò che per veruno modo non la lascerebbe
se le mani non gli fossero mozze. Essendo dunque
nata grande
contenzione sopra ciò tra 'l vescovo da
una parte e 'l papa e gli altri
cherici da l'altra, a la
perfine lo 'mperadore
pacificòe questa tencione, e 'l
vescovo
impetròe dal Papa uno
anello di quella
catena.
Narra
Mileto ne la
Cronica sua,
e ciò si narra anche
ne la Storia Tripartita, che in questi dì
apparve uno
grande
drago ad
Epiro, ne la cui bocca
isputando
Donato
vescovo, il quale era uomo di grande vertude,
immantanente l'uccise; ma prima li
disegnòe la Croce
con le
dita dinanzi a la
faccia sua e
mostrolla a lui,
lo quale appena poterono tirare
sette paia di
buoi
al luogo dove si
dovea
ardere, acciò che per lo suo mal
fiato non si
corrompesse l'
aere.
Anche
dice quei medesimo,
ed è scritto ne la stessa
Storia Tripartita, che
in Creta il
diavolo si puose
allora in
figura di
Moisé, il quale raunando da ogne
parte i giuderi sopra uno grande traboccamento del
monte, sì li menòe presso al mare; e
promettendoli di
menarli a la terra di
promissione con i piedi
asciutti,
andando elli innanzi, sì n'
affogò molti sanza novero.
Onde si crede che 'l
diavolo
indignato perché, a cagione
di giudei
che avevano dato la catena a la regina,
cessòe
il plauso d'
Ottaviano,
vendicossi di costoro. E
molti di loro che
camparono, volaro a la grazia del
battesimo.
E con ciò sia cosa che quello monte
soprastesse
a grande
chinate e
coloro si
rivolgessero, quelli dinanzi
furono morti, sì perché furono
lacerati da pietre taglienti
ed
agute, sì perché
affogarono nel mare. Volendo
gli altri fare quello medesimo e non sappiendo quello
che fosse intervenuto a' primai, ma
alquanti pescatori,
che passavano indi, raccontarono a
coloro il male ch'era
addivenuto a quelli e così quelli si
convertirono. Queste
cose si
contegnono ne la Storia Tripartita.
La quarta cagione perché questa
festa fu ordinata
si è questa: però che 'l Signore
assolvette miracolosamente
san Piero da i legami, e
diede a lui podestade
di legare e d'
assolvere noi che siamo temuti e obbligati
da' legami de' peccatori e
abbisognamo d'essere
assoluti. E però gli
facciamo onore ne la solennitade
che si chiama
ad Vincula che, com'elli
meritòe d'essere
assoluto e come ebbe podestade dal Signore da
potere
assolvere, così elli ci
assolvea da' legami de'
peccati. Che questa ultima cagione che
detta è, fosse
alcuna de le
quattro,
agevolemente se ne puote altri
accorgere chi vede la Pistola che narra l'
assoluzione da
i legami fatta in san Piero
apostolo; e 'l Vangelo
narra la podestà d'
assolvere
conceduta a lui; e l'orazione
de la
festa d'oggi che
addomanda la Chiesa che
noi siamo
assoluti da' legami de' nostri peccati. E che
per le
chiavi ch'elli ricevette
assolva alcuna volta
coloro
che si
debbono
dannare, assai
appare in uno miracolo
che si legge nel
libro de' Miracoli de la Vergine
Maria
e si dimostra.
A la
città di
Colognale nel monasterio di san Piero,
era alcuno monaco lieve e
carnale e lascivo. Costui
morendo di
morte subitana, i
dimoni l'
accusavano e
gridavano contra lui tutte maniere de' peccati. L'un
diceva: "Io sono l'
avarizia tua, per la quale così spessamente
disiderasti contro al
comandamento di Dio".
L'altro
gridava: "Io sono la vanagloria, per la quale
tu t'
aggrandisti
appo gli uomini vantando". L'altro
dicea: "Io sono la
bugia, ne la quale
mentendo peccasti".
E così
faceano gli altri peccati simigliantemente.
E per
contrario alcune
buone opere ch'elli avea
fatte, lo
scusavano e
dicevano: "Io sono l'obbedienza che tu
facesti
a' maggiori
tuoi spirituali; io sono il
canto de'
Salmi che tu
cantasti spesse volte a
Domenedio". San
Piero, di cui questi era monaco, andò a
pregare
Domenedio
per lui. Al quale rispuose il Signore: "Or non disse
il profeta ispirato da me: "Messere, chi
abiterà nel
tabernacolo tuo, ovvero chi si riposerà nel monte santo
tuo? Chi
entra sanza
macchia e
adopera giustizia,
ecc.
Come dunque può essere questi salvo, con ciò sia cosa
che né elli sia
entrato sanza
macola, né non abbia
adoperata giustizia?" Pregando per lui dunque san
Piero e la vergine Maria, madre di Dio, questa sentenzia
vi
diede il Signore ched elli tornasse al
corpo, e
facessivi
penitenzia. Allora immantanente san Piero con la
chiave ch'elli tenea in mano,
ispaventò il
diavolo e
misselo al
fuggire. E l'
anima di colui
diede in mano
d'uno ch'era stato monaco del
detto monasterio, e
comandolli
ch'elli la rimettesse nel
corpo. Il quale monaco
adomandòe per
merito del
rimenamento a colui che tornava
al
corpo, che ogni
die
dicesse per lui il Salmo:
"Misere mei, Deus", e che
nettasse spesso la
sepoltura
sua. E quegli ritornando da
morte a vita, raccontò
a
tutti quelle cose che gli erano intervenute da san Piero.
cap. 106, S. Stefano papaStefano papa, abbiendo
convertiti molti de' pagani
con parole e con
essemplo di vita e abbiendo seppellito
molti
corpi di santi martiri, con sommo
studio fu mandato
caendo da
Valeriano e da
Galieno imperadori, ne
li
anni
Domini
CCLX, per fare sacrificare lui e'
cherici
suoi, od egli
no li
punirebbe
ro con
diversi tormenti. E
missero
bando che
chiunque li manifestasse,
possedrebbe
tutto il loro avere. Per la qualcosa
diece de' suoi
cherici
incontanente furono
presi e, sanza neuna
audienza,
furono
dicollati. E 'l seguente
die fu preso papa Stefano
e menato al tempio di Marte per
farlo
adorare ivi l'idolo,
od elli riceverebbe la sentenzia del capo. Ma quando
fu
entrato nel tempio ed ebbe
pregato il suo
Domenedio
che
distruggesse quello tempio, immantanente
cadde
grande parte del tempio, e tutta la
moltitudine per la
grande paura
fuggìe, ed elli
andòe al
cimiterio di santa
Lucina. La quale cosa udendo
Valeriano, mandò a
lui
cavalieri più che primai, i quali vegnendo a lui, sì
'l trovarono che
dicea
Messa e incontanente lui non
pauroso e
compiente le cose
cominciate
devotamente,
sì lo
dicollarono in su la sedia sua de la
Messa.
cap. 107, Ritrovamento s. StefanoIl trovamento del
corpo del primo martire santo Stefano
si narra che fosse ne li
anni
Domini
CCCCXVII, il
settimo
anno d'Onorio prencipe. E truovasi il trovamento
di lui e la traslazione e 'l
ricongiugnimento. Il
ritrovamento
fue in questo modo. Un prete ch'avea nome
Luciano, nel territorio di Gerusalem, lo quale
Gennadio
ricorda tra li uomini
illustri, scrisse queste cose, e
dice che uno venerdì posandosi nel letto suo e poco
meno che svegliato, un uomo vecchio di lunga statura,
con
bello volto e con la
barba lunga, vestito di
bianco,
nel cui vestimento erano insieme tessute
gemme d'oro
e
croci,
calzato di
calzamenti
dorati disopra, sì
apparve
a lui. Il quale, tegnendo una verga d'oro in mano, sì
'l toccò e disse: "Con grande
diligenzia
appalesa i
nostri
avelli, però che
sconvonevolemente siamo riposti
in
dispetto luogo; or va dunque e
di' a Giovanni, vescovo
di Gerusalem, che ci ripogna in onorevole luogo, però
che, con ciò sia cosa che 'l secco e la tribulazione abbia
conquassato il
mondo, per l'
aiuto di noi hae
Domenedio
ordinato di fare misericordia al
mondo". Rispuose Luciano
prete: "Messere, chi
se' tu?" E quelli disse:
"Io sono
Gamaliel che nutricai Paulo
apostolo e
insegna'gli
la legge a i pie' miei. Colui che
giace meco è
santo Stefano, il quale fu
allapidato da li giuderi, e
gittato fuori de la
città, perché fosse
divorato da le
bestie
e da gli uccelli. Ma quegli il vietò al tutto, al quale
il
detto martire osservòe la fede intera e salva; ma
io lo ricolsi con molta
riverenzia e
seppellilo nel mio
avello
nuovo. L'altro che
giace meco è
Nicodemo, mio
nipote, il quale andò a
Jesù di notte, e ricevette il santo
battesimo da Piero e da Giovanni; per la qualcosa indegnati
contra di lui i prencipi de' sacerdoti l'
avrebbero
morto, se non
avessero lasciato per onore di noi. Ma
pure lo rubarono di ciò ch'elli avea, e
dispuoserlo dal
principato,
affliggendolo di molti tormenti, e
lasciarolo
come per morto. Costui, quando
ebbi
menato a
casa mia,
sopravvisse
alquanti dì, e, morto che fue, sì 'l
feci seppellire
lungo i piedi di santo Stefano. E 'l terzo che
giace meco sì è
Abibas, mio figliuolo, il quale nel ventesimo
anno de la sua
etade ricevette il
battesimo con
meco e, stando vergine,
emprese la legge con Paulo,
mio
discepolo. E la mia moglie
Etea e
Selemias mio
figliuolo, i quali non volsero ricevere la fede di Cristo
neente furono
degni de la nostra
sepoltura, ma
altrove
troverrai che sono seppelliti e i luoghi loro troverai che
sono voti".
Detto questo fatto san
Gamaliel isparve.
Quando Luciano si svegliò, pregò il Signore che se
questa visione fosse fatta in veritade, sì gli
apparisse
anco la seconda volta e la terza. Sì che il seguente venerdì
gli
apparve come di prima, e
dimandollo perch'egli
avea
annighittite queste cose che
dette gli avea. "Messere,
disse quegli, non l'ho
annighittite, ma
pregai
il Signore che se questo fosse da
Domenedio, sì mi
ap
parisse
tre volte". Disse a lui
Gamaliel: "Imperò
che tu hai pensato ne la
mente tua se tu ci trovassi,
come tu potresti
discernere le
relequie di
ciascheduno
per quelle cose ch'io ti propongo per simiglianza, t'
insegnerabbo
i luoghi e le
relequie di
ciascheduno". E
mostrolli
tre panieri d'oro
e uno d'argento, i quali erano
pieni l'uno di rose
vermiglie e gli altri
due di rose
bianche. E 'l quarto paniere mostrò pieno di
gruogo
bianco; e disse
Gamaliel: "Questi panieri sono i nostri
luoghi, e queste rose sono le nostre reliquie. E 'l paniere
di rose
vermiglie è il luogo di santo Stefano, il
quale solo fra noi
meritòe d'essere
coronato per martirii;
gli altri
due pieni di rose
bianche sono i luoghi
di me e
Niccodemo, i quali con puro
cuore
perseverammo
nel
servigio di Cristo e ne la
confessione di lui, e 'l
quarto paniere ch'è d'
ariento pieno di
gruogo
bianco,
si è d'
Abibas, mio figliuolo, il quale fu
fiorito di
bellezza
di
verginità, e netto
uscìe del
mondo".
Dette queste
cose anche isparve.
E 'l venerdì de la seguente
edima sì gli
apparve
adirato, e ripreselo
gravemente de lo indugio e de la
nighienza. Sì che Luciano andò immantanente in Gerusalem,
e raccontòe tutte cose per ordine al vescovo
Giovanni. Sì che
andarono dunque con altri vescovi,
ch'eglino invitarono al luogo mostrato al
detto Luciano,
e quand'
ebbero
cominciato a
cavare, la terra si
commosse,
e un soavissimo odore fu sentito. Al quale
maraviglioso odore, per li
meriti di questi santi,
LXX
uomini furono liberati da
diverse infermitadi, e così con
grandissima
allegrezza trasportarono le
relequie de' santi
ne la chiesa di Sion, la quale è in Gerusalem, là
dove
santo Stefano
arcidiacono usòe l'ufficio suo, e ivi le
rispuosero onorevolemente.
E in quell'ora scese una gran
pioggia. E di questa visione e trovamento fa
menzione
Beda ne la
Cronica sua. Questo trovamento di santo
Stefano fu fatto il
die che si fa
festa de la sua passione,
e la sua passione si dice che fosse fatta ivi in questo
dì. Ma le
feste sono
mutate da la Chiesa per
doppia
ragione. La prima si è Cristo, però nacque in terra,
acciò che l'uomo nascesse in
cielo. E però fue
convonevole
cosa che a la nativitade di Cristo
continuasse
la nativitade di santo Stefano, il quale di prima ricevette
martirio per Cristo, la quale cosa è a nascere in
cielo, acciò che per questo si notasse che l'una seguitasse
da l'altra, onde ne la Chiesa si
canta di lui:
"Ieri fu nato Cristo in terra, acciò che oggi nascesse
Stefano in
cielo".
La seconda ragione si è perché la
festa del trovamento
si facea più solennemente che la
festa de la sua
passione, e questo si facea sì per la riverenza de la
natività di Cristo, e sì per li molti miracoli che 'l Signore
avea mostrati nel suo trovamento. Per ciò dunque
che la sua passione è più
degna che la sua invenzione,
e per questo
dee essere più
solenne, però che la Chiesa
traslatòe la
festa de la sua passione a quello tempo
nel quale s'abbia maggiore reverenzia.
La traslazione sua, come
dice santo Agostino, sì fue
in questo modo che
Alessandro, sanatore
Costantinopolitano,
andò in Gerusalem con la moglie, e fece un
bellissimo oratorio al primo martire Stefano e, dopo la
sua
morte, si fece seppellire a lato al
corpo suo. Sì che
rivolti
sette
anni
Giuliana, sua moglie, volendo ritornare
nel paese suo, come quella che
sosteneva molte ingiurie
da' prencipi de' sacerdoti, sì ne volse riportare seco il
corpo del
marito. La quale cosa quando ebbe
domandata
al vescovo con molti
prieghi, il vescovo l'offerse
due
casse d'
argento, e disse: "Io non so quale si sia di
queste la
cassa del
marito tuo". E quella disse:
"
Ben lo so io". E
facendo un salto,
abbracciòe il
corpo
di Stefano. E così
credendosi torre il
corpo del
marito,
sì le venne tolto il
corpo di Santo Stefano. Ed essendo
entrata ne la
nave col
corpo, furono uditi
cantare
angeli;
e
avevavi uno soavissimo odore; le
dimonia gridavano
e
facevano levare grande
tempesta,
dicendo:
"Guai a noi, ché 'l primo martire Stefano passa quinci
battendoci di
crudele
fuoco". Sì che temendo i nocchieri
che la
nave non rompesse,
chiamarono santo
Stefano per loro
aiuto, e immantanente
apparve loro e
disse: "
Eccomi, non
abbiate paura". E immantanente
fu fatta grande
bonaccia. Allora furono udite
voci di
dimoni gridare e
dire: "
Ispietoso prencipe, incendi la
nave, però che l'
avversario nostro
Stefano sì v'è
dentro". Allora il prencipe de'
demoni mandò
cinque
demoni che
incendessono la
nave; ma l'
angelo di Dio
gli
sospinse entro in mare in profondo; e quando furono
venuti a Calcedonia, le
demonia gridavano: "Il servo
di Dio viene, il quale fu lapidato da malvagi giudei".
E così giunsero in Costantinopoli sani e salvi, e ripuosero
con molta reverenza il
corpo del santo in una
chiesa. Insino qui dice santo Agostino.
Il
congiugnimento del
corpo di santo Stefano con
quello di santo Lorenzo fu in questo modo. Intervenne
che
Eudosia, figliuola di
Teodosio imperadore, era
gravemente
tormentata dal
demonio. La quale cosa essendo
mandata a
dire al padre a Costantinopoli,
comanda
ch'ella fosse menata là per
farla toccare a le reliquie di
santo Stefano primo martire. E 'l
dimonio gridava in lei:
"
Se Stefano non viene a Roma, non
uscirabbo quinci,
ché questo è il volere de li
apostoli". Abbiendo udito
ciò lo 'mperadore, impetrò dal
chericato e dal popolo
di Costantinopoli che
dovessero
dare il
corpo di santo
Stefano a' Romani, e torre quello scambio il
corpo di
san Lorenzo. E sopra ciò scrisse lo 'mperadore a
Pelagio
papa, il quale, di
consiglio di
cardinali,
consentette a la
domanda de lo 'mperadore.
Eletti dunque
cardinali per
mandare a Costantinopoli, acciò che ne portassero il
corpo di santo Stefano a Roma, vennero i Greci per lo
corpo di san Lorenzo.
Traslatandosi dunque il
corpo di
santo Stefano di Costantinopoli, i
Capovani ricevettero
ne la loro
cittade con grandissimo onore il
detto
corpo
santo e, per li loro
divoti
prieghi, impetrarono il
braccio
ritto di santo Stefano; allora
fecero al suo onore la
chiesa
metropolitana. Quando furono giunti
a Roma,
volendo portare il
corpo a la chiesa di san Piero
ad
Vincula, i
portatori stettero
fermi, non potendo andare più
innanzi, e 'l
dimonio gridava per la bocca de la
donzella:
"Indarno v'
affaticate, però che non ha
eletto di
stare qui, ma
appo il suo
fratello Lorenzo". Fue dunque
portato là il
corpo, e al
toccamento di quello, fu liberata
la
donzella dal
dimonio. Allora san Lorenzo, volendo
fare letizia e
allegrarsi de l'
avvenimento del
fratello suo,
cansossi da una parte del sepolcro, e lasciò
vota l'una metà del luogo al suo
fratello Stefano.
Quando i Greci missero mano per torre il
corpo di
san Lorenzo,
caddero a terra come per morti, ma pregando
Iddio per loro il Papa col
chericato e col popolo
di Roma, a grande pena tornarono in sé medesimi a
l'ora del vespro; ma tutti quanti morirono infra
dieci
dì; e'
latini ch'aveano
acconsentito a ciò,
diventarono
farnetichi e non poterono mai essere sanati infino a
tanto che i
corpi de' santi non furono
sotterrati insieme.
Allora fu udita una
voce da
cielo, che disse: "O bene
avventurata Roma, la quale il
corpo di Lorenzo
spagnuolo
e di Stefano di Gerusalem
rinchiudi in uno sepolcro,
pegni gloriosi!" Questo
congiugnimento de'
corpi
fu fatto
VIII dì uscente
aprile
circa ne gli anni Domini
CCCCXXV.
Racconta santo Agostino nel ventidue
simo libro de
la
Città di Dio
sei morti risuscitati al
priego di
santo Stefano. Ciò sono questi: un
fanciullo, il quale
giacendo morto in modo che le
dita grosse già erano
collegate,
chiamato che
ebbero sopra lui il nome di santo
Stefano, immantanente fu risuscitato. Anche uno
fanciullo
tutto
ismicolato da uno
carro, portato che l'ebbe
la madre a la chiesa di santo Stefano, sì lo riebbe sano
e vivo. Anche una monaca essendo in sul trabocchetto
de la
morte, portata ch'ella fu là, mandò fuori lo spirito;
poi incontanente, veggendola tutti e maravigliandosi,
si levò ritta sana ed
allegra. Anche una
fanciulla,
ad
Ippone, la cui gonnella
avendo il padre portata a la
chiesa di santo Stefano, e
gittatola poscia a la figliuola
addosso, ch'era morta, quella incontanente si rilevò.
Anche un giovane a
Ippone,
essendoli unto il
corpo de
l'olio di santo Stefano, incontanente risuscitò. Anche
uno
fanciullo, il quale essendo portato a la chiesa di
santo Stefano morto,
chiamarono l'
aiuto di santo Stefano
sopra lui, e ritornò a vita.
Di questo martire prezioso dice così santo Agostino:
"Questo martire fue revelato da
Gamaliel vestito d'una
bianca stola, fue lapidato da Paulo spogliato, Cristo
involto in pannicelli l'hae
arricchito e
coronato di pietre
preziose". Anche: "In santo Stefano
risplendette la
bellezza del
corpo e 'l
fiore de l'
etade giovenile e
bello
parlare d'uomo predicatore e la sapienzia de la santissima
mente e l'operazione de la
divinitade". Anche
dice quello medesimo: "
Forte
colonna
di Dio
fue santo Stefano quando tra le mani piene di pietre
tenuto come da
forti
tanaglie, stando bene
fondato ne
la fede era infiammato, era preso e percosso, menato,
costretto,
accresciuto, battuto e non soperchiato". Anche
dice elli medesimo sopra quella parola scritta ne
li Atti de li Apostoli "
Dura
cervice": "Questi non
lusinga, ma quindi è prodotto; non tocca, ma trae;
non teme, ma
accende". Anche
dice e' medesimo:
"Pon
mente a Stefano tuo
conservo: uomo era come
se' tu; de la
massa del peccato era, come tu; di quello
medesimo prezzo ricomperato che tu;
diacano era, il Vangelo
leggea, lo quale
leggi tu e odilo, e ivi truovò
scritto:
'Amate i nimici vostri
'. Egli lo 'mprese leggendo,
e
adempiette ubbidendo".
cap. 108, S. Domenico
Domenico,
capitano e padre glorioso de l'Ordine de'
frati Predicatori, secondo la
carne fue natìo de le
contrade
di Spagna d'una villa che si chiama Calaroga del
vescovado d'
Exoma, il cui padre ebbe il suo nome
Felice e la madre Giovanna. La quale madre, innanzi
che questi nascesse, vidde in sogno ch'ella partoriva
nel ventre uno
catello che tenea in bocca una
faccellina
accesa; il quale
catello,
uscendole del ventre, tutta
la
facciata del
mondo incendeva. E anche a una gentile
donna, la quale il tenne al
battesimo, parea che 'l
fanciullo
Domenico
avesse ne la
fronte una
stella
splendiente,
la quale
alluminava tutto il
mondo. E stando
elli ancora
fanciullino e sotto la
cura de la
balia, compreso
fu spesse volte lasciare il suo letto e giacere in
su la terra ignuda. A la perfine mandato a lo
studio a
Palenzia,
diece
anni stette che per l'
amore d'
apprendere
sapienzia non
assaggiò vino. Nel quale luogo, essendo una
grande
carestia venuta e
forte
fame, tutt'i libri e
masserizie
vendéo e 'l prezzo che n'ebbe
diede tutto a' poveri.
Crescendo già la sua
nominanza, il vescovo d'
Exoma
il fece ne la sua chiesa
calonaco regolare, e poi fatto
specchio di vita a tutti, fu ordinato
soppriore di
calonaci.
E intendeva il dì e la notte a
leggere e orare,
pregando Iddio
continuamente ch'elli
degnasse di
dare
questa grazia ched e' si potesse alcuna volta
dare tutto
alla salute del prossimo. E leggendo in grande
studio nel
libro de le
Collazioni de' Santi Padri, molte perfezioni
n'
apprese. Ed
andando col
detto vescovo a Tolosa,
comprese
che l'oste suo era corrotto di
resia, lo quale
convertìo a la fede di Cristo, e allora quasi presentòe a
Domenedio un
covone de la prima ricolta de la mietitura
che
dovea venire.
Leggesi ne' libri che trattano de l'opere de'
conti di
Monforte, che un
die,
avendo predicato san
Domenico
contra gli
eretici, l'
autoritadi, le quali
avea proposte,
sì recò scritte, e
diede quella
cedola ad uno
eretico che
vi dovesse
diliberare suso. Ed essendo in quella notte
raunati gli
eretici al
fuoco, trasse quello
eretico fuori
la
cedola ch'elli avea
avuta da san
Domenico, e i
compagni
gli
dissero che la gittassono nel
fuoco, e se intervenisse
ch'ella
ardesse, la loro fede, anzi
perfidezza,
sarebbe
oscura, ma se non potesse
ardere, la fede
de la romana Chiesa sarebbe vera. Per la quale cosa la
cedola fu gittata nel
fuoco. E stata che vi fu entro
alquanto,
saltonne ratto fuori sanza essere
danneggiata
dal
fuoco. Maravigliandosi tutti, uno più
duro de li altri
disse: "Sievi gittata dentro un'altra volta". E
anche ne saltò fuori non arsa. Anche disse quegli:
"
Siavi gittata la terza volta, e allora sanza
dubbio
conosceremo la fine del fatto". E anche ne saltò fuori
non arsa, né
danneggiata. Ma gli
eretici,
permagnendosi
pur ne la loro
durezza,
fermarono tra loro medesimi
con
distrettissimo
giuramento che neuno
appalesasse
questo fatto. Ma uno
cavaliere, che v'era presente
e
appoggiavasi
alquanto a la nostra fede,
manifestòe poscia
questo miracolo; e questo fue a Monte Reale.
Crescendo il malore de la
resia ne le parti de li
Albigesi,
ed essendo una grande
disputazione a san Giove,
e
diputati uomini da l'una parte e da l'altra che
dovessono
sentenziare, nel quale luogo fu presentato un
libro dov'era scritta la fede di santo
Domenico e da
l'altra parte il
libro de' Paterini. Ma
scordandosi insieme
i sentenziatori, ordinaro tra loro di gittare entro
il
fuoco e' libri de l'una parte e da l'altra, e quello
cotale che venisse che non
ardesse sanza
dubbio
conterrebbe
la vera fede. Gittati adunque in uno grande
fuoco acceso i libri di
ciascuno, il
libro de li
eretici
arse immantanente, ma quello di san
Domenico non solamente
non fue
danneggiato, ma a la lunga saltò fuori
del
fuoco. Gittatovi entro la seconda volta e la terza,
tuttavia ne saltò fuori sanza essere
arso.
Tornando tutti
coloro a
casa loro e morto il vescovo
d'
Osma,
rimasevisi san
Domenico con
alquanti che
s'
appoggiavano a lui per
annunziare
costantemente contra
gli
eretici la parola di Dio. Ma e lo scherniano gli
avversarii de la veritade, gittandoli addosso lo
sputo e
'l
fango e cotali cose
vili, e legandoli la paglia dietro
per ischernie. E quando il minacciava
no de la
morte,
sanza neuna paura rispondeva così a loro: "Non sono
io
degno d'avere gloria di martirio, non ho
meritato
ancora questa
morte". Per la quale cosa, passando per
un luogo dove gli era posto
agguato, non solamente sanza
paura ma
cantando
allegro
andava per la via; e
coloro
maravigliandosi di ciò, gli
dicevano: "Or non hai tu
paura de la
morte che
avresti tu fatto, se noi t'
avessimo
preso?" E quegli rispuose: " Io v'
avrei
pregato
che voi non mi uccidesse subitamente di
morte tostana,
ma che a poco a poco m'
aveste
mozze tutte le
membra,
poscia da che voi m'
aveste poste innanzi a gli occhi
miei le particelle de le
membra così tagliate, e
cavandomi
gli occhi di capo a l'ultimo, essendo il
corpo così
mezzo vivo e mezzo morto, l'
avessi così lasciato
voltolare
nel sangue suo, o io v'
avrei
detto che voi m'uccideste
a vostro senno".
Abbiendo lui trovato uno che,
per la molta povertade
in ch'egli era, s'era,
accostato a le
brigate de'
Paterini,
fermòe di
vendere se medesimo, acciò che del
prezzo ch'
avesse di se medesimo, tollesse via da colui
la cagione de la povertade e
liberasselo venduto sotto
errore. E
avrebbelo fatto; se non che la misericordia di
Dio provvide a colui per altra maniera a la sua povertade.
Un'altra volta ch'una femmina gli
contava d'un suo
fratello con grande lamento,
dicendo ch'era in prigione
de' Saracini e che non l'era rimaso veruno
consiglio
per
camparlo, quegli, per grande
compassione ch'ebbe
proferse se medesimo ad essere venduto per ricomperare
il pregione; ma non lo
permisse Dio, che l'avea preveduto
più necessario a ricomperare spiritualmente molti
pregioni.
Albergando lui una volta ne le parti di Tolosa in
casa
d'alcune
donne ingannate da' Paterini, per mostramento
di
santità tutta la
Quaresima vi
digiunò in un solo pane
e
acqua
fredda e egli e 'l
compagno, acciò che in
questo modo
rintuzzasse così
chiovo con
chiovo. E vegghiando
la notte in orazione, quando la necessitade lo
strignea, l'
affaticate
membra richinava a
dormire in
su una nuda tavola; e così fu fatto che indusse quelle
donne a
conoscimento de la veritade. Poscia
cominciò
a pensare di fare uno Ordine, che
avesse questo officio
d'andare per lo
mondo predicando e
ammonendo de la
fede di Cristo contra gli
eretici.
Essendo dunque stato
X anni ne le parti di Tolosa;
dopo la
morte del vescovo d'
Exoma infino al tempo che
si
dovea fare il
concilio di Laterano,
andòe a Roma al
Concilio generale con esso
Folcone, Vescovo di Tolosa;
e stando a Roma
adomandòe a papa
Innocenzio che
fosse
confermato a lui e a' suoi successori l'Ordine che
fosse
detto de' Predicatori e
avesse il fatto. E mostrandosi
il Papa malagevole a ciò fare, una notte il
detto
Papa vidde in sogno che la Chiesa di Laterano pareva
che volesse ruvinare di subito
gravemente; e veggendo
ciò il Papa con grande tremore, soccorrea da l'altro lato
il servo di Dio
Domenico, e tutto quello
dificio che
dovea
cadere,
sostenea
mettendovi sotto le spalle. Sì
che isvegliandosi, e intendendo la visione quel che volea
dire, mandò per lo servo di Dio
Domenico, e
accettòe
allegramente la sua petizione,
confortandolo che tornasse
a i frati ed
eleggessonsi alcuna regola
approvata;
e così tornando a lui, ne
riprometterebbe la
confermazione
al suo volere. Sì che tornato a' frati suoi,
manifestò
loro la parola del sommo Pontefice. Ora erano per
novero e' frati
XVI, i quali,
chiamando l'
aiuto de lo
Spirito Santo, tutti in
concordia
elessero la regola di
santo Agostino,
dottore e grande predicatore; quelli che
insieme
doveano essere predicatori per nome e per opera
prendendo a sé alcune usanze di più
stretta vita sopra
quella regola; le quali usanze ordinarono d'osservare a
loro per modo di
costituzioni. Ma
infrattanto, morto papa
Innocenzio e messo nel
papato messere Onorio,
impetròe
san
Domenico dal
detto Onorio la
confermazione
de l'Ordine ne gli
anni
Domini
MCCXVI.
Stando dunque a Roma ne la chiesa di san Piero, e
pregando
Domenedio che
dilatasse l'Ordine suo, vidde
venire a sé li gloriosi prencipi de li
apostoli, san Piero
e san Paulo, il primo de' quali, cioè san Piero, parea
che li
desse un
bastone, e san Paulo uno
libro; e
dicevano
a lui: "Or va e predica, ché Dio t'ha
eletto a
questo mestiere". E incontanente quasi in una ora
di tempo gli parea vedere i figliuoli suoi andare per lo
mondo, spargendosi a
due a
due, predicando la parola di
Dio; per la quale cosa, ritornando elli a Tolosa, venne
spargendo i frati suoi e alcuni ne mandò ne la Spagna,
alcuni a Parigi e alcuni a la perfine a Bologna, ed egli
si ritorno a Roma.
Uno monaco innanzi che fosse trovato l'Ordine de'
Predicatori, levato in
estasia, vidde la
beata Vergine inginocchiata
e con le mani giunte, che pregava il figliuolo
suo per l'umana generazione; il quale
dando
sempre
commiato a la pietosa madre, a la perfine quella
pure
perseverando, elli le disse così: "Madre mia, che
posso io, o che
debbo più fare? Io mandai li
patriarci
e ' profeti, e poco s'
ammendarono; venni io a loro; poscia
mandai gli
apostoli, e me e loro uccisero. Mandai
i martiri e '
confessori e '
dottori, e non
consentirono a
loro. Ma però che non è licita cosa che a te sia
detto
nulla di
disdire, io
darò loro i miei predicatori, per li
quali possano essere
alluminati e mondati; e se non mi
varrà, sì
verrabbo contra loro". Una simigliante visione
vidde un altro in quello tempo, che
XII abbati de l'Ordine
di Cestella furono mandati a Tolosa contra gli
eretici. Che quando il figliuolo ebbe riposto, come
detto
è disopra, a la madre che 'l pregava, la madre gli disse:
"
Buono figliuolo, tu non
dei fare secondo la loro malizia,
ma secondo la tua misericordia". Allora il figliuolo
vinto per gli
prieghi de la madre, sì disse: "Al
tuo volere
farò questa misericordia con loro, che io
manderò loro i miei predicatori che gli
ammoniscano e
informino al bene, e se non si
correggeranno, già non
perdonerò loro".
Un
fra' Minore, ch'era stato grande tempo
compagno
di san Francesco, a più frati de l'Ordine de' Predicatori
raccontò questo fatto che,
perseverando san
Domenico a
Roma
appo 'l Papa per la
confermazione de l'Ordine
suo, stando la notte in orazione vidde per ispirito Cristo
stare in
aere, e tenea tre
lance in mano, e
menavale
contra 'l
mondo. E la madre soccorse ratto e
dimandollo
quello che volesse fare, e quelli disse: "
Ecco che tutto
il
mondo è pieno di superbia e di
concupiscenzia e d'
avarizia;
e però voglio uccidere il
mondo con tre
lance".
Allora la Vergine, inginocchiandosi a' piedi, disse: "Figliuolo
carissimo,
abbi misericordia e tempera la tua
giustizia con la misericordia". A la quale disse Cristo:
"Or non vedi quante ingiurie mi son
fatte?" E
quella rispuose: "Tempera, figliuolo mio, il
furore un
pochettino;
abbo il
fedele servo e valente
campione;
il
campione, il quale
discorrendo in ogne parte, vincerà
il
mondo e
metterallo sotto il tuo
dominio. E uno altro
servo gli
darò in
aiuto che
combatterà con esso lui insieme".
E 'l figliuolo le disse: "
Ecco ch'io
aumiliato
ho ricevuta la
faccia tua; ma io vorrei vedere
coloro
che tu vuoli mandare a sì grande officio". Allora ella
presentò santo
Domenico a Cristo.
A la quale Cristo:
"
Veramente è
buono e valente
campione questi, e con
grande
studio
farà quelle cose che hai
detto".
Offerseli
anche santo Francesco, e costui lodò Cristo come avea
lodato il primo.
Considerando adunque san
Domenico ne
la visione sua
diligentemente il
compagno suo, lo quale
e' non avea veduto per innanzi, l'altro
die trovato che
l'ebbe ne la chiesa, per quello ch'avea udito e veduto
la notte sì 'l riconobbe sanza
essergli mostrato, e
gittandolisi
in
braccio e
basciandolo, sì disse: "Tu
se' il
compagno
mio; tu tornerai insieme con meco; perseveriamo
insieme e niuno
avversario
avrà virtù sopra noi". E
contolli per nome la
detta visione; e da quell'ora si
fecero d'un
cuore e d'una
anima in
Domenedio. La
qualcosa
comandaro che s'osservasse ne' loro
discendenti
perpetualemente.
Avendo elli ricevuto a l'Ordine uno
novizio pugliese,
alcuni, ch'erano stati suoi
compagni al
mondo, il
pervertirono
tanto che,
fermandosi di tornare al secolo, per tutti
i modi
domandava i panni suoi
secolareschi. Udendo ciò
san
Domenico incontanente si
diede a l'orazione.
Avendo
dunque già spogliato il
detto giovane de' vestimenti
religiosi e messagli già la
camicia sua, que'
cominciò a
gridare con gran
boce e a
dire: "
Ecco ch'io
ardo
tutto,
ecco ch'io
bollo tutto, oimè!
traetelmi,
traetelmi
questa maladetta
camiscia, che m'
arde tutto quanto!"
Sì che per veruno modo non
poté posare infino a tanto
che non gli trassono la
camiscia, e
rivestillo un'altra
volta i panni di religione, e
rimiserlo ne la
chiostra.
Essendo san
Domenico a Bologna una volta che i
frati erano già
andati a
dormire, un
frate
converso
cominciò
ad essere
angosciato dal
demonio.
Avendo ciò
udito
frate Rinieri
Lausanense, suo maestro,
brigossi
di
dirlo a san
Domenico;
e san Domenico comandò che
fosse portato ne la chiesa dinanzi a l'
altare. Essendovi
a grande pena portato da
diece frati, disse san
Domenico:
"Io ti scongiuro, misero, che tu mi
dichi perché
tu
angosci la
criatura di Dio e 'l perché e 'l come tu
ci
entrasti". E quelli rispuose: "Io il tribolo perché
l'ha
meritato, ched elli
bevve ieri in
città sanza licenza
del priore, e non vi fece il
segno de la
croce; onde
io
entrai allora in lui in ispezie di
beveraggio". E trovato
fue per veritàe che così avea
beuto.
Dette queste
parole fu sonato il primo
cenno a mattutino; udito che
l'ebbe il
diavolo che parlava in lui, sì disse: "Oggimai
non ci
posso più stare da che l'
incappucciati si
levano". E così a l'orazione di san
Domenico fu costretto
d'
uscirne.
Abbiendo lui passato un
fiume ne le
contrade di Tolosa,
i libri suoi non
avendo luogo dove si potessono
conservare, sì
caddero entro il
fiume; e 'l terzo
die uno
pescatore, gittandovi un
amo entro, quando si
credette
avere preso uno grande pesce e quelli ne trasse fuori
que' libri al postutto sì sanza male veruno, come fossero
stati guardati in alcuno
armaro con molta
diligenzia.
Essendo venuto ad uno monasterio, e posandosi e'
frati, per non volere
molestarli, fatta che ebbe l'orazione,
con le porte serrate
entrò dentro al monasterio
con esso il
compagno.
Anche fu trovato quiviritto che, essendo stato con uno
converso de l'Ordine di Cestella in una
battaglia d'
eretici,
una sera essendo venuti ad una chiesa e
trovatola
serrata, fatta ch'ebbe san
Domenico l'orazione,
subitamente vi si trovarono dentro, e tutta quella notte
vegghiarono in orazione.
Dopo la
fatica de l'andare, innanzi che fosse
capitato
a l'
albergo, se per
avventura trovava alcuna
fonte,
costumava di spegnere la
sete, acciò che in
casa de
l'oste per più
bere non
cadesse in veruna
colpa.
Uno
scolaio, ch'era molto
carnale, venne per una
festa a
casa de' frati
di Bologna per udire la
Messa;
e
avvenne ch'allora
diceva la
Messa san
Domenico.
E quando fu venuto il tempo
dell'Offerere, il
detto
scolaio
andò, e
basciolli la mano con molta
divozione. Quando
gli ebbe
dato il bascio, tanto odore ne sentì uscire
fuori di quella mano, quanto mai non avea sentito a
la sua vita, e d'allora innanzi
ristrinsesi
maravigliosamente
in lui il
caldo de la lussuria, che colui che
prima era vano e
sdrucciolente in peccato,
divenne
poscia
continente e
casto. O di quanta
mondizia di puritate
isplendea la sua
carne, il cui odore così mirabilemente
purgava le sozzure de la
mente!
Un prete, vedendo alcuna volta san
Domenico con i
suoi frati così
fervente soprastare a la predicazione,
fermossi
d'
accostarsi a loro, pure ch'elli
avesse il Testamento
Nuovo necessario a lui a predicare. Pensando lui
ciò,
eccotili innanzi un giovane che portava sotto il vestimento
il Testamento
Nuovo vendereccio, e 'l prete il
comperò incontanente con grande
desiderio; ma
dubitando
lui ancora un
pochetto, fece
priego a
Domenedio,
e fatto il
segno
della Croce in su 'l
libro di fuori,
aperse
il
libro del Testamento
Nuovo, e gittando gli occhi al
primo
capitolo che li venne a le mani,
venneli a mano
quella parola che fu
detta a san Piero ne li Atti de li
Apostoli: "Leva su e scendi e va con loro e non
dubitare
di nulla, però ch'io gli ho mandati". E quelli si
levò tosto e
acco
stossi a loro.
Uno maestro in
teologia,
illustre per scienzia e fama,
istando a Tolosa e provvedendo le sue lezioni, una mattina
anzi
die
abbattuto dal sommo, inchinò un poco il
capo in su la
caffera, e
fulli mostrato in visione che
sette stelle gli
fossono
appresentate. Il quale maravigliandosi
molto de la
novità di così fatto presente, subitamente
le
dette stelle
crebbero tanto in lume e in
quantitade di grandezza, che tutto il
mondo
alluminavano.
E quelli isvegliandosi, sì pensava molto che ciò
volesse significare; ed ecco quando fu
entrato ne la
scuola e avea
cominciato a
leggere, san
Domenico e
sei frati con lui di quello
abito,
andarono umilemente al
detto maestro e,
dicendoli il loro proponimento,
dissero di
volere usare la scuola sua. E quelli
ricordandosi de la
visione, non
dubitò che questi non fossero quelle stelle
ch'elli avea vedute.
Una volta che san
Domenico era a Roma, uno maestro
Reginaldo,
diacano di santo Amiano d'Aurelia, il quale
avea già letto
cinque
anni
dicreto in Parigi, era
venuto a Roma col vescovo d'Aurelia per passare lo
mare. Ora avea costui per adrieto in proponimento di
lasciare ogni cosa e d'intendere a predicare, ma non
avea ancora veduto in che modo potesse ciò fare a
compimento.
E abbiendo saputo da uno
cardinale, al quale
elli avea già
manifestato il volere suo, de l'ordinazione
ch'era de l'Ordine de' Predicatori, ed
abbiendosi fatto
venire san
Domenico, e
rivelatoli il suo proponimento,
fermossi da quell'ora d'
entrare in quello Ordine. Non
stette guari ch'una grave infermitade di
febbre gli venne
addosso, e al tutto fue isfidato del guerire. E
perseverando
san
Domenico in orazione e pregando la
beata
Vergine, a la quale sì come a speziale
padrona avea
commessa tutta la rangola de l'Ordine, che
almeno un
poco di tempo
degnasse di
concederli questo maestro,
ed eccoti subitamente la Reina de la misericordia
accompagnata
con
due molto
belle
donzelle, e il maestro
Riginaldo
vegghiando e
aspettandosi di morire, la vidde
venire a sé visibilemente; e con
allegra
faccia disse a
lui: "
Adomandami ciò che tu vuogli e
darolloti". E
pensando lui quello che dovesse
domandare, una de le
dette
donzelle gli disse che non
chiedesse nulla, ma
commettessesi al tutto nel volere de la Reina di misericordia.
Quando quelli ebbe fatto ciò, ella
stese la sua
mano santa e
unsele l'orecchie e 'l naso e la bocca e
le mani e le tempie e le reni e' piedi d'uno unguento
sanicativo ch'ella recòe seco,
dicendo le
form
ole de
le parole a ogni untura. Quando venne a le reni, disse
quella: "Siano
strette le reni tue di
cintura di
castitade".
A i piedi disse: "Io ungo li piedi tuoi ad
apparecchiamento
de l'
evangelo di pace". E disse: "Di
qui a
tre dì ti manderò l'
ampolla che ti
darà pienamente
santade". Allora li mostrò l'
abito de l'Ordine,
e disse: "Ecco, questo è l'
abito de l'Ordine tuo".
Questa medesima visione vidde simigliantemente san
Domenico posto in orazione, tutta quanta. La mattina
vegnente san
Domenico ne venne a lui e
trovollo sano
e intese da lui tutto il modo de la visione e prese l'
abito
che la Vergine gli avea mostrato, ché i frati usavano
prima
pellicce disopra. E 'l terzo dì venne il servo di
Dio e unse tanto il
corpo di
Reginaldo, che non solamente
il
caldo de la
febbre, ma eziandio l'
ardore de
la
concupiscenzia rasciugò sì in lui, che, sì come elli
confessòe poscia, che da quell'ora innanzi non sentì
pure i primai movimenti di lussuria. Questa visione vidde
anche uno religioso de l'Ordine de l'ospedale con i suoi
occhi, presente san
Domenico, e
maravigliossi. Questa
visione
palesò san
Domenico a molti frati,
massimamente
dopo la
morte di colui. Mandato dunque
Reginaldo
a Bologna,
soprastava
ardentemente a le predicazioni e
cresceva il novero de' frati. Poscia fu mandato a Parigi
e poscia pochi dì
morì in pace.
Un giovane nepote di messere Stefano da
Fossa Nuova,
cardinale,
correndo uno
cavallo,
cadde in una
fossa e
funne
tratto morto; e menato che fu a san
Domenico, fue
recato
a la vita di prima per l'orazione di san
Domenico.
Ne la chiesa di san Sisti aveano i frati
pattovito uno
maestro di
case; il quale, lavorando sotto una volta, ruvinò
la volta addosso a costui e tutto quanto lo
smicolò,
e per lungo stare sotto le pietre rovinate si morìo. Ma
il servo di Dio, san
Domenico, poi che quelli fu tratto
del
fondaccio così morto, sì 'l si fece recare a sé e,
per l'
aiuto de le sue orazioni, sì 'l fece tornare a vita
e a santade.
Ne la
stessa chiesa a Roma stando frati intorno a
XL, fu trovato una volta che v'
aveva poco pane, sì che
san
Domenico
comandò che quello
cotanto poco pane si
dividesse e ponessesi in su la mensa; e mentre che
catuno rompea il pezzuolo del pane con
allegrezza, ed
eccoti venire
due giovani d'un
abito e d'una simigliante
forma, e
entrati nel
rifettorio con tovaglie a
collo piene
di pane, lo quale pane poi che l'
ebbero offerto
chetamente
in capo de la mensa del servo di Dio san
Domenico,
sì subitamente si parti
rono, che non fu persona
che potesse sapere da quindi innanzi né donde venissero,
né dove n'
andassero. Allora il santo padre
Domenico,
stendendo le mani, porgea il pane a' frati da
ogne parte,
dicendo loro: "Or
mangiate, frati miei".
Camminando alcuna volta san
Domenico, era venuto un
grande
allagamento di pioggia, ed elli col
segno de
la Croce
cacciò sì da sé e dal
compagno tutta l'
acqua
che, fatto quasi un padiglione de la
croce,
mentre tutta
la terra era innondata d'acqua, una sola gocciola non
li toccò presso a
tre
cubiti
di distanza.
Una volta
avendo elli passato un'
acqua per
nave ne
le
contrade di Tolosa, il nocchiere gli
chiedeva il
danaio
per lo passaggio; al quale promettendo il servo
di Dio lo reame del
cielo per lo
servigio che avea ricevuto
da lui,
dicendoli com'elli era
discepolo di Cristo
e non portava seco né oro né moneta, allora il nocchiere
tirava costui per la
cappa isforzatamente
dicendo:
"O tu mi lascerai, o tu mi pagherai il
danaio".
E 'l servo di Dio levò gli occhi in alto, e orando un
poco fra se medesimo, ragguardando poi in terra e veggendo
uno
danaio in terra, che sanza
dubbio
Domenedio
ve l'avea posto,
ricolselo e
diedelo al nocchiere:
"Or tolli, disse quelli, quello che tu mi
domandi, e
lasciami andare in pace".
Intervenne una volta
camminando il servo di Dio, che
s'
accompagnò con lui uno religioso
domestico di
santità
di
conversazione, ma straniero di linguaggio e di parlare,
sì che
dolendosi che non si potea ricreare con lui a parlare
insieme di
Domenedio, a la perfine
impetròe da Dio
che potesse parlare l'uno il linguaggio de l'altro; e così,
isvariatesi le parole l'uno a l'altro,
tre dì s'intesero, ciò
fue tutto il
viaggio ch'egli aveano a fare insieme.
Una volta gli fu
menato uno imperversato da molte
demonia; quelli tolse la stola e puoselasi a
collo, poscia
l'
avvolse al
collo de lo indemoniato e
comandò a le
demonia che, da indi innanzi, immantanente non l'
angosciassero
più. E le
demonia
cominciarono incontanente
ad essere tormentati nel
corpo de lo imperversato, e
gridavano: "Lasciaci uscire; perché lasci tu tormentare
noi qui e
costrignere?" E quelli disse: "Io non
vi
lascerabbo se voi non mi
date
mallevadori di non
tornarci mai".
Dissero quelli: "Or che
mallevadori ti
possiamo noi
dare?" E 'l santo: "I santi martiri, le
cui
corpora sono in questa chiesa". E le
demonia
dissero:
"Noi non possiamo, però che i nostri
meriti
contradiano". Disse il santo: "E lui
conviene pure
dare,
altrimenti io non vi lascerò liberi di questo tormento".
Rispuosero le
demonia: "Noi ci
brigheremo
di
farlo". Poco stante
dissero: "
Ecco che abbiamo
impetrato, avvegna che non siamo
degni, che i santi
martiri ci
entrino per
mallevadori".
Dimandando lui
che
segnale
avesse di ciò,
dissero: "
Andate a la
cassa
dove sono riposte le
corpora de' santi martiri, e
trovereteli
volti sottosopra".
Cercato fu di ciò, e così fu
trovato come
coloro aveano
detto.
Predicando lui una volta, alcune
donne
pervertite
da li eretici,
gittandolisi a' piedi, li
dissero:
"Servo di Dio,
aiutaci! Se vero è quello che tu hai
predicato oggi, già è lungo tempo che lo spirito de lo
errore hae
accecato le nostri
menti". E quelli disse
loro: "State
ferme e
aspettate un poco, ché vedrete a
quale segnore voi v'
accostate". Immantanente viddero
saltare tra loro e uscire del mezzo di loro uno gatto
nerissimo, maggiore che uno grande
cane, che avea gli
occhi grossi infiammati, la lingua lunga e
lata e sanguinosa
e ritratta infino al
bellico, la
coda avea
corta
e rilevata in su, la sozzura di dietro
dovunque si volgeva,
sì la mostrava là onde usciva puzza da non patire.
Quando si fu molto rivolto qua e là intorno a
coloro,
a la perfine s'
appigliòe a la
fune de la
campana e,
salendo in sul
campanile,
disparìe, lasciandosi dietro
sozze pedate. E quelle
donne renderono grazie a Dio e
convertironsi a la fede
cattolica.
Avendo lui
convinti alcuni
eretici ne le
contrade di
Tolosa, e quelli essendo
condannati ad
ardere, ragguardando
fra loro ne vidde uno, il quale avea nome
Raimondo,
e disse a' giustizieri: "Serbate costui, e non
sia per veruno modo
arso con gli altri". E rivoltosi a
lui, parlò con esso
dolcemente, e disse: "Io so, figliuolo
mio, io so ch'ancora sarai
buono uomo e santo, avvegna
che tardi". Lasciato dunque stare,
XX anni
perseveròe
ne la
resia; a la perfine si
convertìo e
diventòe
frate
Predicatore e menòe laudabile vita in quello Ordine e
finìe
beatamente.
Stando lui in Ispagna con alcuni frati che s'erano
accompagnati a lui,
apparveli per visione un
ferocissimo
drago, che parea che volesse tranghiottire e' frati ch'erano
con lui con la bocca
aperta. Intendendo il servo di Dio
ciò che questo volea
dire,
confortava i frati che
contrastessono
fortemente a le tentazioni. Poco stante tutti quelli
ch'erano ivi, trattone
frate
Adam e
due
conversi, si partirono
da lui.
Domandato l'uno di quelli s'elli se ne volea
andare, rispuose: "Non piaccia, Dio padre, che io lasci
il capo e seguiti e' piedi". Allora si
diede incontanente ad
orazione, e poco meno gli
convertì tutti con l'orazione sua.
Stando lui a san
Sisto a Roma co' suoi frati, subitamente
fatto lo spirito del Signore sopra lui,
chiamòe
e' frati a
capitolo, e
annunziò loro che
quattro frati si
doveano morire di
corto,
due in
corpo e
due in
anima.
Poco stante
due frati
andarono a Paradiso e
due si partirono
de l'Ordine.
Stando lui a Bologna, eravi uno maestro
Currado de
de Magna, del quale aveano grandissima voglia i frati
ch'
entrasse a l'Ordine. Sì che un
die, ciò fue la
vilia
di santa Maria d'
agosto, ragionando san
Domenico col
priore del monasterio
Casa-Maria de l'Ordine di Cestella
per una cotale
dimestica materia, disse a lui: "Io
ti
manifesto, priore, che
nol
dissi ancora a persona, e
tu
nol
dire mentre ch'io
viverabbo, che mai non
dimandai
veruna cosa da Dio in questa vita, ch'io non
l'
avesse al mio senno". E
dicendoli detto priore che
forse morrebbe prima di lui, san
Domenico per ispirito
di
profezia, predisse a quello priore viverebbe lungo
tempo dopo lui; e così intervenne. Allora disse il priore
a san
Domenico: "O padre,
adomandiamo dunque a
Domenedio che ti
dea il maestro
Currado a l'Ordine, la
cui
entrata e' frati
pare che
desiderino
cotanto". E 'l
santo disse: "O
frate mio
buono, malagevole cosa hai
domandato".
Detta la
compieta e
andati i frati a
dormire,
elli rimase ne la chiesa e vegghiò in orazione
come era usato. Sì che raunati i frati a la prima, quando
lo
cantore ebbe incominciato:
"Jam lucis orto sidere",
eccoti subitamente giugnere colui che
dovea essere
nuova
stella di
nuova luce: il maestro
Currado; e gittossi
a' piedi di san
Domenico,
domandandoli l'
abito de
l' Ordine e,
perseverando, sì l'ebbe.
Ora avea il servo di Dio san
Domenico, ne la
mente
sua,
ferma
iguaglianza se non quand'elli si
turbidasse a
misericordia e a
compassione; e perché il
cuore
allegro
rende la
faccia
allegra e piacevole, com'elli era bene
composto dentro, sì 'l manifestava la
benignità di fuori.
Nel tempo del
die stando con i frati suoi
compagni,
salvo il tenore de la sua onestade, niuna era più
comunale
di lui, né più
perseverante ne l'ore de la notte
in vigilie e in orazione; il
die
spendea al prossimo,
la notte a Dio. De' suoi occhi avea quasi fatta una
fontana di
lagrime. Spesse volte quando si levava il
corpo di Cristo a la
Messa, gli si levava tanto la mente,
come s'elli v'
avesse veduto Cristo incarnato presente;
per la quale cosa stette molto tempo che non ne udì
la
Messa con gli altri. Elli
aveva sì in
consuetudine
di stare la notte in chiesa, ch'appena, o rade volte,
parea che
avesse certo luogo a posarsi; e quando per
lassezza fosse costretto del
bisogno del
dormire,
chinava
un poco il capo ovvero dinanzi a l'
altare, ovvero in su
una pietra. Ogni notte si
dava tre
discipline, l'una per
sé e l'altra per i peccatori che
conversano nel
mondo
e la terza per quelli che sono tormentati in
purgatorio;
e ciò facea con esso una
catena di
ferro.
Una volta che fu
eletto per vescovo di
Ceserano,
al postutto rifiuta il vescovado,
affermando d'
abbandonare
anzi la terra ched elli
consentisse a veruna
elezione
fatta di sé.
Fu
domandato alcuna volta perché non stava più
volentieri a Tolosa o di quello
distretto, che a
Carcassona
o di quello
distretto, e elli rispuose: "Perché in
Tolosa truovo molti che fanno onore, ma a
Carcassona
mi fanno tutto il
contradio".
Fu
domandato da uno, in quale
libro elli studiava
più, elli rispuose: "Nel
libro de la
caritade".
Un'altra volta che san
Domenico era a Bologna, stando
là in orazione la notte entro la chiesa, il
diavolo gli
apparve
in
figura di
frate; e
credendo san
Domenico ched e'
fosse uno
frate,
accennavali ch'elli s'
andasse a posare
con gli altri. E quelli, quasi per ischerne, rispondea con
quelli medesimi
cenni. Allora san
Domenico volendo sapere
chi e' fosse quelli che
spregiava così il suo
comandamento,
accese una
candela a la lampana e,
ponendoli
mente ne la
faccia,
conobbe ch'egli era il
diavolo. E
quando il santo l'ebbe
fortemente ripreso, il
diavolo
gli
cominciò immantanente a garrire del rompere del
silenzio, e san
Domenico
affermava che li era licito di
parlare così come maestro de li frati, e
costrinselo ch'elli
dicesse di che elli tentasse più i frati, da ch'ellino
stanno in
coro. E quelli rispuose: "
Folli tardi venire
e tosto uscire". Poscia il menò al
dormentoro e
domandollo
di che elli tentava ivi e' frati; e quelli disse:
"
Folli troppo
dormire e tardi levare, e così gli
fòe rimanere
de l'ufficio
divino, e alcuna volta
do loro sozzi
pensieri". Poscia il menò a
refettorio e
domandollo di
che elli tentava quivi e' frati. Allora il
demonio, saltando
su per le mense,
dicea e spesse volte ripetea: "Or più
or meno, or più or meno". E
dimandollo san
Domenico:
"Che vuole questo
dire?" Quelli rispuose: "Alcuni
frati
tento che mangiano più che non si
conviene e così,
per troppo mangiare, peccano; alcuni
tento che mangiano
meno, e così
diventano
deboli nel
servigio di Dio e ne
l'osservare la regola de l'Ordine". Indi il menò al parlatorio
e
domandollo di che tentava quivi i frati. Allora
quelli,
ravviluppando spesso la lingua, mandava fuori un
suono di
mirabile
confusione. E
domandandolo san
Domenico
che volesse ciò
dire, rispuose: "Questo luogo è
tutto mio; quando i frati si ragunano quivi a parlare, io
mi
brigo di tentarli che parlino
confusamente e che
s'
infraschino in
disutili parole e che non
aspetti l'uno
l'altro". A la perfine il menò al
capitolo, ma quando
il
demonio fue dinanzi a l'uscio del
capitolo, il
dimonio
per niuno modo ci volse
entrare, ma disse: "Qua non
enterrò io mai, perché gli è luogo di mala
dizione
e inferno
per me, e tutto dì ci perdo ch'io guadagno ne gli
altri luoghi. Ché quando io
avrò fatto
fallare alcuno
frate
per alcuna nigligenza, ratto si purga di quella negligenza
in questo luogo di maladizione e dinanzi a tutti
se ne
accusa;
ché qua s'ammoniscono, si confessano,
s'accusano, si percuotono, s'assolvono, e così mi
doglio
d'avere perduto tutto quello di che io era lieto
d'avere guadagnato". E,
dette queste cose, sparve.
A la perfine,
appressimandosi il termine de la sua
pellegrinazione, essendo a Bologna,
cominciò ad infermare
di grave infermità di
corpo; e
fulli mostrato in
visione lo spartimento de l'
anima al
corpo in questo
modo: che li parea vedere un giovane
bellissimo che 'l
chiamava per queste parole e
diceva: "Vieni,
diletto
mio, vieni a godere, vieni".
Chiamò adunque de' frati
del
convento di Bologna infino a
XII, e per non
lasciarli
sanza retaggio né orfani, fece uno cotale testamento e
disse: "Queste sono quelle cose che vi lascio, come
a' figliuoli a possedere per ragione di retaggio:
abbiate
caritade, servate umilitade, possedete povertade di
volontade". E
dinegò loro, con tutto quello
distrignimento
che
poté, che mai veruno non inducesse possessioni
temporali nel suo Ordine, maladicendo da la parte
di Dio onnipotente e da la sua terribilemente colui che
l'Ordine de' Predicatori
ardisse di macchiare con la
polvere de le ricchezze
terrene. E
dogliendosi i frati de
la sua partenza, e non
potendosene
consolare,
racconsolandoli
dolcemente, disse così: "Non vi
conturbi, figliuoli
miei, la mia partenza
corporale; ché sappiate
sanza
dubbio, che voi
avrete più
utilità di me stando
morto che vivo". Essendo poi giunto a l'ultima ora
de la sua vita, morìo in
Domenedio ne l'
anno del Signore
MCCXXI.
Il passamento del quale fue mostrato in quello medesimo
die e ora in questo modo a
frate
Guala, ch'era
allora priore de' frati Predicatori di Brescia e poscia fue
vescovo di quella
cittade. Ché addormentato elli nel
campanile de' frati col capo
appoggiato al
muro d'un
sonno
leggere, sì vidde
aprire il
cielo e
due
scale
bianche
mandare giù a terra; le quali
scale dal lato disopra
tenea Cristo con esso la madre, e gli
angeli giubilando
saliano e scendeano giù e su per esse. E nel mezzo
de le
scale era posto una sedia disotto, in su la sedia
sedea un
frate col capo
coperto;
Jesù Cristo e la Madre
tiravano su queste
scale tanto, che colui che sedea fu levato
infino al
cielo e
messovi dentro, e poscia fu
richiusa
l'
apertura. Sì che vegnendo il detto
frate incontanente
a Bologna seppe e trovò che in quella medesima
die e ora passato
era il santo di questa vita.
Un
frate ch' avea nome
Raone, essendo a Tiburi
in quello medesimo
die e ora che 'l santo Padre uscì
del
corpo, era
andato a l'
altare per
dire
Messa; e abbiendo
udito come il santo Padre era infermato a Bologna,
quando fue al luogo de la segreta dove si fa
menzione de'
vivi, volendo
pregare per la santade
di lui, subitamente levato ne la
mente per
contemplazione,
vidde il servo di Dio san
Domenico incoronato d'una
corona,
d'oro, tutto
risplendiente di
mirabile
splendore,
accompagnato da
due uomini di grande
riverenzia, l'uno
da l'uno lato e l'altro da l'altro, e uscivano fuori di Bologna,
per la via reale. Sì che, notando il
die e l'ora, trovò
che san
Domenico era allora passato di questa vita.
Essendo dunque il
corpo suo giaciuto molto tempo
sotterrato, e spesseggiando li miracoli sanza fine, non
potendosi più occultare la sua
santitade, mossersi li
fedeli
cristiani e
buone persone a
divozione
degnamente
di trasporre il
corpo suo a più alto luogo. Ed essendo
il monimento aperto, ch'appena si
poté rompere con
pali e picconi di
ferro tant'era
forte la
calcina, e
levata via la lapida, tanta
abbondanza di soavissimo
odore n'uscì fuori, che veracemente parve che s'
aprisse
non sepolcro, ma
bottega tutta piena di spezie. Il quale
odore vincea tutti odori di spezie, e non parea che si
pareggiasse a odore di veruna cosa naturale; e non solamente
stava l'odore ne l'ossa, ovvero ne la
polvere
del santo
corpo, ma eziandio ne la terra raccolta d'intorno,
in tale maniera che, essendo portato di quella
cotale terra poi in lontane
contrade, lungo tempo ritenne
quello odore. E
massimamente a le mani de' frati che
toccavano alcuna cosa de le sante reliquie, s'
appiccò
sìe, che quantunque fossero lavate o
stropicciate per
più dì,
davano testimonianza del
conservato odore.
Ne la provincia d'Ungaria era un gentile uomo che
venne, egli con la moglie e con un loro
fanciullino, a
visitare le reliquie di san
Domenico, che n'avea in
Forlì. E 'l figliuolo suo, infermato làe, venne a l'ultimo
de la sua vita e morìo. E 'l padre tolse il
corpo
del
fanciullo morto e,
ponendolo dinanzi a l'
altare di
san
Domenico, incominciò a lamentare e a
dicere: "O
beato
Domenico, lieto ne venni a te col mio figliuolo, e
io me ne vo tristo;
venni col figliuolo e me ne torno
senza. Io ti
domando con
disiderio che tu mi rendi il
mio figliuolo, rendimi la letizia del
cuore mio". Ed eccoti,
entro la mezzanotte, il
fanciullo rivivere, e andò
per la chiesa.
Un giovane che era schiavo d'una gentile
donna, stando
in uno
fiume a pescare,
cadde ne l'
acqua e
affogò, e
non si vedea. E stato che vi fue uno grande
spazio di
tempo, fu tratto del
fondo del
fiume il
corpo suo morto,
e la
donna sua pregòe san
Domenico che risucitasse
questo morto,
promettendoli d'andare a le sue reliquie
a piede
scalzo, e di
donare a
franchigia lo schiavo risuscitato.
Immantanente colui ch'era morto,
veggendolo
tutti, ritorno a vita, e saltò su ritto entro nel
miluogo de
le persone, e la
detta
donna
adempiette il voto suo,
sì com'ella avea
promesso.
Ne la
detta provincia d'Ungaria piangendo uno
amaramente
un suo figliuolo morto, e pregando san
Domenico
che il risucitasse, nel
cantare de'
galli, colui ch'era
morto
aperse gli occhi, e disse al padre: "Che è questo,
padre, che tu hai volto così
bagnato?" Disse il
padre: "Figliuolo mio, son le
lagrime del
babbo tuo, però
che tu
eri morto ed io era rimaso solo senza veruno
sollazzo".
E quelli disse: "Molto hai pianto, padre, ma
san
Domenico,
avendo
compassione a la tua sconsolanza,
impetròe da Dio, per li suoi
meriti, che io ti
fossi renduto
vivo".
Uno infermo che era stato anche
cieco
XVIII anni,
avendo
disiderio di visitare le reliquie di san
Domenico,
levossi del letto provandosi quasi d'andare; e subitamente
si sentìe venire tanta
forza, che
cominciò ad
andare a più ratto passo; e tanto più
megliorava del
male e del lume de gli occhi, quant'elli
andava innanzi
ogne
die nel
viaggio; tanto ch'a la perfine
giugnendo
al luogo dov'elli s'avea posto d'andare, ebbe
perfettamente
il
beneficio de la santade d'
amendue le malattie
ch'egli avea portate tanto tempo.
Ne la
detta provincia volendo una
donna fare
Messa
ad onore di san
Domenico, non trovò il prete a quella
ora che
dovea. Per la qualcosa tolse le tre
candele
ch'elle avea trovate per la
Messa e
involsele in una
tovagliuola netta e ripuosele in uno vasello; e partendosi
un poco e tornando poi, vide le
candele
ardere
con manifeste
fiamme.
Correndo le persone a vedere sì
grande fatto, tanto stettero ivi in tremore e orazione,
ched e' tolsero la tovagliuola che non era
danneggiata
punto.
A Bologna era uno
scolaio ch'avea nome
Niccolaio,
ch'avea sì grande
duolo ne le reni e ne le ginocchia,
che del letto non si poteva levare, e 'l cui pettignone
manco
erasi
infracidato che al tutto era
disperato di
guerire. Sì che,
botandosi elli a Dio e a messere san
Domenico,
quando s'ebbe misurato per lungo col
filo donde
si
dovea fare l'
avignitoio,
cominciossi a
cignere con esso
anche
il corpo, il
collo e 'l petto. A la perfine, quando
s'ebbe
cinto il ginocchio col
filo d'intorno,
chiamando
ad ogni misuramento il nome di
Jesù Cristo e del
beato
Domenico, sentendosi incontanente
allevato, sì gridò e
disse: "Io sono liberato". E levandosi del letto e lagrimando
de la letizia, sanza veruno
appoggio, se ne
venne a la chiesa, dove giaceva il
corpo di san
Domenico.
E in quella medesima
città ha
Domenedio operati
molti molti e quasi senza novero miracoli per lo
servo suo san
Domenico.
In Sicilia, ne la
città d'Agosta, era una
fanciulla che
avea il male de la pietra, e
dovendolesi tagliare, la
madre per lo grande
pericolo che v'è, raccomandò la
figliuola a Dio e al
beato messere san
Domenico. La
notte vegnente
apparve san
Domenico a la
fanciulla che
dormìa, e
puosele in mano la pietra ond'ella era tormentata,
e partissi. La
fanciulla, da che fu
isvegliata e
trovatosi guarita,
diede la
detta pietra a la madre e
spianolle la visione per ordine. E la madre tolse la pietra
e portolla a
casa de' frati, e in
ricordanza di
cotanto
miracolo
appiccarono quella pietra dinanzi a la imagine
di san
Domenico.
Ne la
città di
Palazia in Sicilia una povera femmina
avea uno suo figliuolo ch'era molto afflitto d'una
cotale infermità di
gangole, che i
fanciulli sogliono avere
nel
collo. E non potendo trovare veruno rimedio sopra
ciò,
botossi a Dio e a messere san
Domenico, che s'elli
il ne liberasse, sì 'l
farebbe lavorare in
dono a l'opera
de la chiesa de' frati che si facea allora. La notte
vegnente l'
apparve uno in
abito di
frate, e disse a lei:
"Femmina,
conosci tu queste cose?" E
contolle per
nome
quattro generazioni d'
erbe, cioè bocca verde
e
pilatro e
lapazio e
sugo di porro. Quella
dicendo di
conoscerle, quelli disse: "Va, e tolli queste cose e
mescola
col
sugo de' porri e polle in su la
bambagia in
sul
collo del
fanciullo tuo, e fia liberato". Quella da
che fu
isvegliata fece queste cose, e 'l figliuolo suo,
guerito,
compiéo il voto de la madre.
Uno de le
contrade di Piemonte era
enfiato molto
contraffattamente, sì si
botò a san
Domenico; e
dormendo
lui, san
Domenico gli
apparve, e
sparolli il ventre
sanza
dolore, e
purgollo da ogni
fastidiume, e anche
con la sua mano ugnendo lo
risaldòe, e sanollo
perfettamente.
Ne la
città d'Agosta, per la
festa de la traslazione
di san
Domenico, tornando a
casa alcune
donne ch'erano
state a la solennità de le
Messe ne la chiesa de' frati,
e trovando una femmina
filare a' piè de l'uscio suo,
cominciarolla a riprendere
caritevolemente perché ne
la
festa di così santo Padre non si guardava di lavorare.
Quella,
crucciata di queste parole, rispuose: "Voi che
siete
pizzoche de' frati, guardate la
festa del santo vostro".
Incontanente l'
enfiarono gli occhi, e
vennevi
entro un
pizzicore, e
cominciarne a uscire fuori vermini,
sì che un'altra femmina le trasse de gli occhi
XVIII
vermini in
poca d'ora. Quella venne a la chiesa de'
frati, e
confessossi ivi de' peccati suoi, e fece
boto che
mai non
direbbe male del santo di Dio
Domenico e che
guarderebbe
divotamente le sue
feste. Incontanente fue
sana come di prima.
Una monaca ch'avea nome Maria, ne la
città di Tripoli,
ad uno monasterio che si chiama la Maddalena,
avendo
fortissime infermità, e percossa
gravemente ne
la
coscia,
cinque mesi stette miserabilemente tormentata,
sì che ad ogni ora si temea ch'ella uscisse di
questo
mondo. Quella raccogliendosi fra se medesima,
oròe così: "Signore mio, io non son
degna di
pregarti,
né d'essere
esaudita da te, ma io
priego il signore
mio santo
Domenico, che sia tramezzatore tra me e te,
e
accattimi il
beneficio de la santade". Orando dunque
così lungamente con
lagrime e la
faccia in
estasia, vidde
san
Domenico con
due frati ch'
aperse la
cortina ch'era
a letto di colei, ed
entrando dentro disse a lei: "Perché
hai tu così gran
volontà di guerire?" E quella
disse: "Messere, per potere servire più
divotamente
a lo Iddio mio". Allora quelli trasse di fuori, disotto
a la
cappa, uno unguento di maraviglioso odore, e
unsenele
la gamba, e fu guerita immantanente. E disse a
lei elli: "Questo unguento è molto prezioso, e
dolce,
ma è malagevole". Quando la femmina ebbe
domandato
la ragione perché, quelli disse: "Questo unguento
è
segno d'
amore, il quale è molto prezioso, perché non
si può
comperare per veruno prezzo e perché verso
doni
di Dio non è veruno migliore.
Dolce è, perché niuna cosa
è più
dolce che l'
amore; malagevole è, perché tosto si
perde s'
avvedutamente non si guarda". Elli ancora
apparette a la
serocchia sua che si posava nel
dormentoro,
e sì le disse: "Io abbo sanata la
serocchia
tua". E quella
corre, e trovolla sanata. La quale, sentendo
ancora sensibilemente l'unzione fatta, sì la
forbìa
con la
bambagia con molta
riverenzia. Quella da che
ebbono
contato ogni cosa a la
badessa e al
confessore
e a la
suora, ed ebbe presentata l'unzione ne la
bambagia,
di tanto e di sì nuovo odore furono ripieni che
verune spezierie non vi si potrebbono
appareggiare, e
serbarono quella unzione con molta
riverenzia. Come
sia a grado a Dio il luogo dove si posa il santissimo
corpo del
beato
Domenico,
avvegnadio che per molti
miracoli sia manifesto, ma uno
basti
apporre quie.
Racconta il maestro
Alessandro, vescovo di
Vindonia,
ne le
chiose sue sopra quella parola del Salterio: "La
misericordia e la verità si scontrarono insieme", che uno
scolaio
dimorante a Bologna,
dato a la vanità del
mondo,
vidde una cotale visione: che li parea essere in uno
grande
campo, e ivi parea che li piovesse una grande
tempesta addosso. Quelli,
fuggendo la
tempesta,
capitòe
ad una
casa, e,
trovandola serrata,
bussòe a l'uscio e
domandava d'essere ricevuto dentro. La
donna ch'era
dentro rispuose: "Io sono madonna giustizia, la quale
abito qui, e questa
casa è mia, ma perché tu non
se'
giusto, non ci puoi
abitare
entro". A le quali parole
quelli, piangendo molto, sì si partì e, veggendo un'altra
casa più là, venne ad essa e
bussò l'uscio e
domandava
d'essere ricevuto dentro. La
donna ch'era dentro
rispuose: "Io sono madonna la verità, la quale
abito qui, e questa
casa è mia; ma te non riceverò
io nel mio
albergo, perché la verità non
ama colui il
quale non
ama lei". Quegli si partì quindi, e vidde
un'altra
casa più là, e, vegnendo a quella,
domandava
d'essere ricevuto dentro contra lo
furore de la
tempesta.
Quella che era dentro le rispuose e disse: "Io sono
madonna pascie che
abito qui; i peccatori non hanno
pascie, ma hannola gli uomini c'hanno
buona
volontà;
ma perch'io penso pensieri di pace e non d'
afflizione,
sì ti
do
buono
consiglio: di qua da me si
abita la
serocchia
mia, la quale
aiuta sempre i miseri, or te ne
va a costei, e fa ciò ch'ella ti dice". Quando fu
andato
a quella ch'era dentro, sì rispuose : "Io sono
madonna misericordia, la quale
abito qui; onde se tu
vuogli essere liberato da la
tempesta sopravvegnente,
vattene a
casa de' frati Predicatori da Bologna, e ivi
troverrai la
stalla de la
dottrina, iventro la mangiatoia
de la continenza e il pascolo de la Scrittura, e l'
asino
de la semplicitade col
bue de la
discrizione, e Maria
che t'
alluminerà
e Giuseppe che ti perfezionerà e 'l
fanciullo
Jesù Cristo che ti salverà". Quando il detto
scolaio fue
svegliato venne a
casa
de i frati e,
contando
la visione così per ordine,
dimandò l'
abito de
l'Ordine e
ricevettelo.
Il
beato
Domenico, innanzi che l'Ordine si
cominciasse,
vidde in visione Cristo
cruciato che avea
tre
lance in mano e minacciava con esse il
mondo ch'erano
tutti o giudei, o pagani, o
eretici, o
falsi
cristiani. E
la
beata Vergine gli venne innanzi,
pregandolo per lo
mondo e
dicendo: "Perdona, figliuolo mio, al
mondo;
ecco ch'io abbo uno servo che
ama molto me e te; io
'l manderò per predicatore de la verità, al quale molti
si
convertiranno e seguiteranno la via de la verità".
E così parve a lui ch'esso vi fosse
appresentato, e Cristo
non
assentendo, e
dicendo che non
basterebbe, e ella
gli
appresentò san Francesco, e disse: "Ecco, questi
li sia
dato per
compagno". E Cristo
assentìo a i
prieghi
de la madre. Allora san
Domenico segnò bene la
persona di santo Francesco e la
forma del suo volto, onde
quando andò poscia per alcuno tempo per la
confermazione
de l'Ordine a Roma, sì vi trovò san Francesco e
veggendolo, sì lo
conobbe che non lo avea mai veduto;
al quale disse san
Domenico: "
Ecco che tu de'essere
mio
compagno, ché così e così viddi". E
narrolli la visione
per l'ordine. Queste cose disse san Francesco ad
uno suo
frate, il quale predicò poscia questo ad Ascoli.
cap. 109, S. Sisto
Sisto papa fu natìo de la
città d'
Atenia. Prima
fu
filosofo, poscia fu
discepolo di Cristo. Essendo
chiamato
papa, fue
appresentato con
due suoi
diaconi, Felicissimo
e
Agapito, a
Decio e a
Valeriano. E non
potendolo
Decio inchinare con veruno suoi
comportamenti, sì 'l
fece menare al tempio di Marte perché od elli sacrificasse,
od elli sarebbe messo ne la guardia di
Mamertino.
Ma non volendo sacrificare ed essendo
menato a
quella pregione, san Lorenzo gridava sopra lui e
dicea:
"
Dove vai sanza il figliuolo, padre? Dove vai, prete
santo, sanza il tuo ministro?" Al quale rispuose san
Sisto, e disse: "Non ti lascio, figliuolo mio, né non ti
abbandono, ma a te si
debbono maggiori
battaglie per la
fede di Cristo; dopo tre dì seguiterai me sacerdote e tu
diacono.
Infrattanto prendi li
tesori de la chiesa, e
dispensali
a cui ti
pare". Quando elli gli ebbe
distribuiti a i
cristiani
poveri.
Valeriano prefetto stanziò che
Sisto fosse
menato al tempio di Marte, e se non volesse sacrificare,
ivi li fosse mozzo il capo. Il quale essendo menato,
san Lorenzo gridava dopo lui e
diceva: "Non mi
abbandonare,
padre santo, ch'io abbo già speso i
tesori,
che tu mi
desti". Allora i
cavalieri, udendo
dire i
tesori, presono san Lorenzo, e
dicollarono iviritto san
Sisto e Felicissimo e
Agapito.
In questo dì è la
festa de la
trasfigurazione di
Cristo; e 'l sangue di Cristo si fa di vino
novello, se
trovare se ne puote, in alcune
chiese o
almeno si prieme
alcuna cosa d'uva
matura nel
calice. In questo dì ancora
sì si
benedice il racimolo de l'uva e 'l popolo se
ne
comunica. La ragione si è questa, perché 'l Signore
disse a i
discepoli suoi il dì de la
Cena: "Non
berrò
oggimai di questa generazione di vite, infino a tanto
ch'io
bea de la novella nel reame del Padre mio". Ma
quella
trasfigurazione del Signore, e 'l
novello vino ched
e' disse, ripre
sentano il glorioso
rinnovellamento che
Cristo ebbe ne la risurressione. Né pertanto fue in
questo
die fatta la
trasfigurazione, ma in cotale dì fu
manifestata da gli
apostoli. Ma
dicesi ch'ella fu fatta nel
prencipio de la primavera, ma, per lo vietamento del Signore,
la tennero
celata
cotanto gli
apostoli, e così la
palesaro
oggi. Così si legge in uno
libro che si chiama
Mitrale.
cap. 110, S. Donato
Donato fue ammaestrato e nudrito con Giuliano
imperadore, sì che allora Giuliano fue ordinato a suddiacono;
ma da che fu fatto imperadore, sì uccise il
padre e la madre di
Donato. Ma
Donato si
fuggì ne la
città d'
Arezzo e, standosi con
Ilario monaco, sì vi
fé molti miracoli. Né abbiendo il prefetto de la
città
il figliuolo indemoniato, quando l'ebbe
menato a san
Donato, il
demonio incominciò a gridare e a
dire: "Per
lo nome del tuo Signore
Jesù Cristo non mi
sie molesto che
io
esca di
casa mia;
o Donato perché me ne
costrigni
uscire con tormenti?" Ma orando il santo il
fanciullo
fue incontanente guarito.
Uno uomo, ch'avea nome
Eustagio, il quale era,
esattore de la repubblica in Toscana, lasciò in guardia
a la moglie sua, ch'avea nome
Eufrosina, la pecunia
pubblica. Ed essendo la provincia
costretta da li nemici,
nascose quella pecunia e, vegnendo a
morte,
finì la vita
sua. Il
marito tornò e, non potendo rinvenire la pecunia,
essendo già menato al tormento con i figliuoli,
fuggì a
san
Donato. E san
Donato andò con lui al sepolcro de
la moglie e, fatta l'orazione, sì gridò: "
Eufrosina, io
ti scongiuro per lo Spirito Santo, che tu ci
dica dove
tu ponesti cotale pecunia!" E venne la
voce del sepolcro
e disse: "Ne l'
entrata di
casa mia, ivi la
sotterrai".
E quelli
andarono e
trovaronlavi come la
voce
avea detto.
Dopo
alquanti dì morìo in pace il vescovo
Satiro,
e tutto lo
chericato
elesse
Donato in vescovo. Un
die,
s' come racconta Gregorio ne i Dialoghi, detto la
Messa,
comunicandosi il popolo e 'l
diacono
dando col
calice
in mane il sangue di Cristo a que' ch'erano
comunicati,
subitamente per
suspignimento de' pagani, il
diacono
cadde
e il
calice si ruppe. De la qualcosa essendo
tristo egli e tutto il popolo, san
Donato ricolse i pezzuoli
del
calice rotto, e per la sua orazione il
ristoròe ne la
forma primaia. Ma una particella ne fu nascosta dal
diavolo, la quale mancòe in quello
calice, la quale è per
testimonianza di questo miracolo. E i pagani vedendo
questo miracolo, se ne
convertìo ottanta e furono
battezzati.
Una
fonte era sì macchiata che
chiunque ne
bevea
ne moriva. Sì che
andando là san
Donato in su l'
asino
suo per sanare quell'
acqua per l'orazione ched e' facesse,
uno
dragone terribile e orribile n'uscì fuori e,
avvolgendo la
coda a' piedi de l'
asino, levossi incontanente
erto contro a san
Donato. E san
Donato
battendolo
con una
scurianda, ovvero, come si legge in altro
luogo,
isputandoli in bocca, tosto l'uccise, e fece orazione
a
Domenedio, e tutto il veleno
cacciò via da quella
fonte. Anche vi produsse un'altra
fonte per la sua orazione,
avendo elli co' suoi
compagni molto grande
sete.
Essendo indemoniata la figliuola di
Teodogio imperadore,
menata che fue a san
Donato, elli sì disse:
"
Esci fuori, sozzo spirito, e non volere
abitare più ne
la
criatura di Dio". Al quale disse il
dimonio: "
Dammi
via donde io
esca e dov'io vada". Al quale disse san
Donato: "Donde venisti tu qua?" Disse il
demonio:
"Del
diserto". Rispuose il santo: "Ora là ti
torna".
Disse il
demonio: "Io veggio in te il
segno de la Croce
del quale
esce
fuoco contra me, e per la paura, non so
dove mi vada; ma
dammi luogo d'uscire, ed io n'
esco".
Al quale disse san
Donato: "
Ecco che hai il passaggio,
or
torna al luogo tuo". Quelli n'uscì fuori,
scommovendo
tutta la
casa.
Dovendosi uno morto sotterrare, venne uno con una
scritta
dicendo che quelli gli
dovea
dare
CC soldi, onde
per ciò non lasciava sotterrare. La quale cosa abbiendo
la moglie detto a san
Donato con
lagrime,
aggiugnendo
anche che quell'uomo avea ricevuto tutta quella pecunia,
levossi san
Donato e andò con lei al luogo e, toccando
il morto con mano, sì disse: "Odimi tu". Quelli
disse: "
Eccomi". Disse il santo a lui: "Leva su nel
nome di
Jesù Cristo, e vedi quello che tu hai a fare
con questo uomo, che non ti lascia sotterrare". Quelli
ponendosi a sedere
convinse colui del
pagamento del
debito dinanzi a tutti che v'erano presenti e,
togliendoli
la
carta, sì la stracciarono con mano. Poscia disse
al santo: "
Comanda, padre, ch'io mi riposi anche". E
'l santo disse: "
Vattene oggimai, figliuolo in
riposo".
In quello tempo era stato bene
tre
anni che non
era piovuto, ed essendo così la terra sterile che non menava
frutto, gl'infedeli si ragunarono a
Teo
dogio imperadore,
e
domandarolli che
desse loro
Donato, il quale per
arte di
demoni
avesse ciò fatto. Sì che a
priego de lo 'mperadore
san
Donato pregòe
Domenedio, e
Domenedio
diede
incontanente
piova in
abbondanza; ed essendo tutti
bagnati,
egli si tornò a
casa con le vestimenta
asciutte.
Ma quando i Goti guastavano Italia in quello tempo,
partendosene molti da la fede,
Evadraziano prefetto, essendo
ripreso da i santi
Ilariano e
Donato di ciò ch'elli
era apostata, sì li
cominciò a
costrignere che
sacrificassero
a Dio Jove. Non volendo elli ciò fare, il prefetto
fece spogliare
Ilariano e tanto lo fece
battere ch'elli
rendeo l'
anima a Dio. E
rinchiuse san
Donato in pregione
e poscia il fece
dicollare
sette dì
entrante
agosto,
intorno a gli anni Domini CCCLXXX.
cap. 111, S. Ciriaco
Ciriaco fu ordinato
diacono da san
Marcello papa.
Questi fu preso e
menato a
Massimiano; poscia gli fu
comandato di
cavare la terra con esso i
compagni suoi,
e
dovendola portare in sul
collo loro infino al luogo
dove si
dificava là
dove era san Saturnino
che Ciriaco
e Sesinnio
aiutavano
a portare. A la perfine
rinchiuso
in
carcere san
Ciriaco, il prefetto
comandò che
li fosse menato dinanzi. Sì che
menandolo ad
Aprognano,
subitamente venne una
voce da
cielo con luce, e disse:
"Venite beneditti dal padre mio!". E allora
credette
Aprognano, e fecesi
battezzare e,
confessando Cristo,
venne al prefetto. Al quale disse il prefetto: "Or
se'
tu
diventato
cristiano?" Quelli rispuose: "Guai a me,
c'ho perduti i miei dì!" Disse il prefetto: "
Veramente
hai perduto i dì tuoi". E
fecelo
dicollare. E Saturnino
e
Sisinnio, non volendo sacrificare, furono tormentati
diversamente e, a la perfine,
dicollati.
Ma la figliuola di
Diocliziano, ch'avea nome
Artemia,
essendo tormentata del
demonio, il
demonio
cominciò a
gridare in lei: "Se non ci viene
Ciriaco
diacono, io non
uscirabbo!" Quando fu venuto a lei
comandò al
demonio
che n'uscisse, e 'l
dimonio rispuose: "Se tu vuoli
ch'io n'
esca,
dammi vasello dove io
entri". Disse
Ciriaco:
"Ecco il
corpo mio, se tu puoi,
entraci". Disse
il
demonio: "Non
posso
entrare nel vasello tuo, perch'
io ti veggio da ogne parte
suggellato e
chiuso; ma
se tu ci
cacci quinci, sappi ch'io ti
farò venire in Babilonia".
Essendo dunque costretto d'
uscirne, e
uscitone,
Artemia gridò e disse che vedea quello
Domenedio
che
Ciriaco predicava. Sì che quando
Ciriaco l'ebbe
battezzata, viveasi sicuro di grazia di
Diocliziano imperadore
e de la imperadrice
Serena, sua moglie, in una
casa ch'elli li aveano
data. E standosi così, venne uno
messaggio a
Diocliziano da parte del re di Persia
pregandolo
che li piacesse di mandare a lui
Ciriaco, però
che la figliuola sua era tormentata dal
dimonio. Sì che a'
prieghi di
Diocliziano,
Ciriaco n'
andòe lieto in Babilonia
con esso Largo e
Smaragdo,
fornita la
nave di tutte cose
necessarie a la vita. E quando fue
entrato làe dov'era
la
donzella, il
demonio
per bocca sua disse: "
Se' tu
affaticato,
Ciriaco?" Disse il santo: "Non sono affaticato
però ch'io sono in ogni luogo governato con l'
aiuto
di Dio". Disse il
demonio: "Pure io t'ho
condotto là
ove io voleva". Allora disse
Ciriaco al
demonio: "
Jesù
Cristo ti fa
comandare che tu n'
esca". Immantanente
n'uscì, e disse: "O nome terribile, perché me ne
costrigni
uscire?" E così sanata, la
donzella fu
battezzata
col padre e con la madre e con molti altri. Essendo
offerte molte
donora al santo, non le volse ricevere;
ma
XLV dì stette ivi a
digiunare in pane e
acqua; a
la perfine tornò a Roma.
Ma da indi a
due mesi, morto
Diocliziano, regnòe
Massimiano, suo figliuolo, e
dogliendosi de la sua
serocchia
Artemia
battezzata, fece pigliare
Ciriaco e
fecelo
tranare ignudo e legato con
catene dinanzi a la
carro
suo. Poscia
comandò a
Carpasio vicario che 'l
fecesse
sacrificare con esso i
compagni, od elli l'uccidesse con
diversi tormenti. E quando gli ebbe strutta la pece in
sul capo, e
messolo a la
colla, sì gli fece tagliare il
capo e a' suoi
compagni. E quando
Carpasio ebbe
impetrato
a lo 'mperadore la
casa di san
Ciriaco, ad
eschernie di
cristiani si
bagnava là
dove
Ciriaco
battezzava,
e
faccendovi entro grandi nozze con
XIX suoi
compagni, subitamente vi morirono tutti
entro; e da
quell'ora innanzi, serrato il
bagno,
cominciarono i pagani
ad avere in paura e in
riverenzia gli
cristiani.
cap. 112, S. LorenzoLorenzo martire e
diacono, di gente
spagnuola, fu
menato a Roma dal
beato
Sisto.
Dice
Joanni
Beleth che
essendo
andato san
Sisto in Spagna, sì vi trovòe
due
giovani, cioè Lorenzo e Vincenzio, suo
parente, uomini
bene
composti d'onesti
costumi e
chiari in ogni opera,
e
menolline seco a Roma. De' quali l'uno, cioè Lorenzo,
rimase a Roma, e l'altro, cioè
Vincenzo suo
parente, ritornò
in Ispagna, e là
finì la vita sua per glorioso martirio.
Ma a questa opinione
di Giovanni Beleth contradice
il tempo del martirio de l'uno e de l'altro, però che Lorenzo
fu passionato sotto
Decio, e
Vincenzo, ancora giovane,
sotto
Diocliziano
e Daciano; e tra
Decio e
Diocliziano
scorsono
degli
anni intorno da
XL, e
sette
imperadori v'ebbe in mezzo; onde san
Vincenzo non
potrebbe essere
essuto giovane allora.
Or sì che san
Sisto
ordinò Lorenzo per suo
arcidiacono.
A quello tempo ricevettero la fede
Filippo imperadore
e
Filippo suo figliuolo e,
fatti
cristiani, aveano intendimento
d'
aggrandire molto la Chiesa. Questo
Filippo
fu il primo imperadore che Origene
convertìo a la fede,
ciò si dice, avvegna che
altrove si
legga che san
Ponzio
il
convertìo. E regnòe nel millesimo
anno de le
costruzioni
di Roma, acciò che 'l millesimo
anno fosse anzi
consegrato a Cristo, ch'a gli idoli. Che l'
anno millesimo
fue guardato e onorato da i romani con grande
avvisamento di
giuocora e di cose da vedere. Or avea
Filippo imperadore uno
cavaliere ch'avea nome
Decio,
molto ingegnoso d'
arme e di
battaglie e
famoso uomo.
E rubellandosi Francia in quelli dì lo 'mperadore mandò
là
Decio
cavaliere per sottomettere la Francia ch'avea
rubellato a lo 'mperio di Roma. Quelli andò e,
avuta la
vittoria di Francia, ritornò a Roma. Sì che udendo lo
'mperadore de la sua venuta e
volendolne più
altamente
onorare, sì gli andò incontro da Roma infino a Verona.
Ma perché le
menti de' rei uomini quanto più si sentono
onorare, tanto più
enfiano per superbia,
Decio, levato
in superbia,
cominciò a
desiderare lo 'mperio, e trattare
la
morte del segnore suo. Riposandosi dunque lo 'mperadore
sotto il padiglione, nel letto suo,
Decio
entrò
celatamente nel padiglione e uccise il signore che
dormìa;
e l'oste ch'era venuto con lo 'mperadore trasse a sé
con
priego e con prezzo e con
promessioni, e vennesene
ratto a la
città reale. Udendo queste cose
Filippo
il giovane, ebbe
forte paura, e tutto il
tesoro suo e del
padre suo
come dice Sicardo ne la sua Cronica, raccomandò
a san
Sisto e a san Lorenzo, che se intervenisse
che fosse morto da
Decio, sì 'l
dessono a le
chiese e a' poveri. E non ti muova ciò che i
tesori,
che san Lorenzo
dispensòe non sono
detti de lo imperadore,
ma de la Chiesa, imperò che
poté essere che, con
quelli
tesori
di Filippo imperadore,
dispensòe eziandio i
tesori de la Chiesa. O forse son
detti
tesori de la Chiesa,
i quali avea lasciato a
dispensare
a i poveri.
Dopo queste cose
fuggì
Filippo e
appiattossi
davanti
da
Decio, e 'l sanato di Roma andò incontro a
Decio e
confermarlo per imperadore. Ma perché non paresse
ch'elli
avesse morto il signore suo a
tradimento, ma
per
zelo d'
idolatria,
cominciò a perseguitare
crudelissimamente
i
cristiani,
comandando che sanza veruna
misericordia fossero tutti tagliati a pezzi. In questa
persecuzione furono morti molte migliaia di martiri, intra
i quali fu
marterizzato
Filippo giovane.
Dopo queste cose
cercando
Decio per lo
tesoro del
signore suo,
fugli offerto san
Sisto, sì come uomo che
coltivasse Cristo e
avesse i
tesori de lo imperadore. Allora
Decio il fece mettere in pregione insino a tanto
che per quelli tormenti
rinnegasse Cristo e scoprisse i
tesori. E santo Lorenzo, seguitando, gridava dopo
lui: "
Dove ne vai, padre, sanza il figliuolo?
Dove ne
vai, prete, sanza il ministro? Tu non
eri usato d'offerire
sagrificio sanza il ministro. Qual cosa, che in me
sia, è
dispiaciuta a la tua
paternità? Or haimi provato
tralignante? Or pruova
certamente se tu
eleggesti sofficente
ministro, al quale tu hai
commesso di
dispensare
il sangue di Cristo". E san
Sisto li disse: "Non
ti lascio io, figliuolo mio, né non t'
abbandono; ma a
te si
confanno maggiori
battaglie per la fede di Cristo.
Noi come vecchi
eleggiamo
corso di più lieve
battaglie,
ma te come giovane
aspetta più gloriosa vettoria del
tiranno: dopo tre dì mi verrai dietro, tu
diacono, a me
prete". E
dielli tutti li
tesori, e
comandolli che li
desse
a le
chiese e a' poveri.
E sa· Lorenzo andò
caendo i
Cristiani di dì e di notte
diligentemente, e a
ciascheduno ne
dispensò, secondamente
ch'egli era
bisognoso. E vegnendo a
casa d'una
vedova, ch'avea in
casa sua
nascosti molti
cristiani, la
quale avea lungo
dolore del capo,
puosele la mano in
capo, e liberolla de la infermità, e
lavòe i piedi de' poveri,
e a tutti
diede
limosina. In quella medesima notte
venne a
casa d'un
cristiano, e
trovandovi un
cieco, sì
l'
alluminò col
segno de la Croce.
Non volendo adunque san
Sisto
consentire a
Decio,
né sagrificare a l'idole,
comandò che fosse
menato a
dicollare. E
correndo san Lorenzo là, gridando dopo lui:
"Padre santo, non mi
abbandonare, imperò ch'io abbo
già ispesi i
tesori i quali tu mi
desti", allora i
cavalieri,
udendoli
dire de'
tesori, tennero san Lorenzo, e
diederlo a Partenio tribuno, ed elli il rappresentò a
Decio,
e
Decio imperadore sì li disse: "
Dove sono li
tesori
de la Chiesa, i quali noi abbiamo saputo che sono riposti
appo te?" Quegli non rispondendo nulla,
Decio
il misse in mano a
Valeriano prefetto che 'l facesse o
manifestare li
tesori e sagrificare a l'idole, o
farlo morire
per
diversi tormenti. E
Valeriano il
diede a guardia
d'un prefetto ch'avea nome
Ippolito, e quegli il serrò
ne le pregione con molti altri. Or v'avea uno uomo in
pregione ch'avea nome Lucillo, il quale per lo piagnere
era fatto
cieco; e
dicendoli san Lorenzo ched e' vedrebbe
lume sed elli
credesse in Cristo,
e ricevesse il battesimo,
quelli
domandò incontanente d'essere
battezzato. E togliendo
san Lorenzo l'
acqua, disse a lui: "Tutte le cose
sono lavate ne la
confessione". E da che l'ebbe
domandato
diligentemente de li
articoli de la fede, e quelli
dicendo
che
credeva tutto, gittolli l'
acqua in capo e
battezzollo
nel nome di Cristo, e tosto riebbe il lume. Per
la qualcosa molti
ciechi venivano a lui e tornavansi a
casa
ralluminati. Veggendo
Ippolito queste cose, disse a lui:
"Mostrami i
tesori".
Disseli san Lorenzo: "O
Ippolito,
se tu
crederrai nel Signore
Jesù, e li
tesori ti mosterrò
e vita
eternale ti
prometto". Disse
Ippolito: "Se
tu
accordi il fare col
dire, io
farò quello onde tu mi
conforti". In quella ora
credette
Ippolito e ricevette il
santo
battesimo con tutti quelli di
casa sua. E,
battezzato
che fue, disse: "Io viddi l'
anime de li innocenti
godere molto
allegre".
Dopo queste cose mandò
Valeriano ad
Ippolito, che
li rappresentasse Lorenzo. Al quale disse san Lorenzo:
"
Andiamo insieme, perché
a me e a te è apparecchiata
la gloria". Sì che vennero insieme
al tribunale,
e fu fatta la 'nquisizione de'
tesori, e san Lorenzo
chiese indugio tre dì, e
Valeriano gliene
diede
sotto la
promessa d'
Ippolito. In questi tre dì
raccolse
i poveri e'
zoppi e'
ciechi e
presentolli nel palazzo
Salustiano dinanzi a Cesare, e disse così: "Ecco questi
che sono i
tesori
eternali, che mai non scemano, ma
crescono, i quali si spargono in
ciascuno e in tutti si
truovano, ché le mani di costoro ne portarono i
tesori
in
cielo".
Valeriano, in presenza di
Decio, sì disse a
san Lorenzo: "Perché ti vai tu
infrascando in molte
cose? Sacrifica testeso, e lascia stare questa
arte
magica".
Disse a lui san Lorenzo: "Chi
dee essere
adorato,
o colui ch'è fatto, o colui che fece?" Adirato
Decio
comandò che fosse battuto con
iscorreggiate, e
fecegli recare innanzi ogne maniera di tormenti. E
comandolli
che sagrificasse per iscampare da questi tormenti.
San Lorenzo rispuose: "Oi,
disaventurato te!
Io ho sempre
desiderato queste
vivande". Disse a lui
Decio: "Se queste ti piacciono e
paionti
vivande, or mi
manifesta gli scomunicati tuoi pari, che ne mangino
insieme con teco". Al quale disse san Lorenzo: "Elli
hanno già
dati scritti i nomi loro
in cielo, e tu non
se'
degno de' loro
agguardamenti". Allora per
comandamento
di
Decio fu spogliato
ignudanato e battuto con
bastoni, e piastre
ardenti fossero poste a le sue latora.
E disse San Lorenzo: "Signore Gesù Cristo, Iddio da Dio,
abbi misericordia di me, tuo servo, imperò che sono stato
accusato e non t'abbo
rinnegato, e sono stato
domandato
e ho
confessato te, Cristo". Disse a lui
Decio:
"Io so che per
arte
magica tu hai per niente i tormenti,
ma tu non potrai avere per niente me. Io ti
fo
testimonianza per li
dei e per le
dee che, se tu non
sacrificherai, tu sarai punito per
diversi tormenti".
Allora
comandò che fosse battuto con piombati lungamente.
E san Lorenzo oròe, e disse: "Messere
Jesù
Cristo, ricevi lo spirito mio!". Allora venne una
boce
dal
cielo, la quale
Decio udìe, e disse la
voce: "Ancora
ti sono
apparecchiate molte
battaglie". Allora
Decio, ripieno di
furore, disse: "Uomini romani, udiste
le
demonia
consolare questo maledetto, il quale né non
coltiva li
dei, né non teme i tormenti, né non ha spavento
de l'
ira de' principi". E
comandò che fosse anche
battuto con
iscarpioni. E san Lorenzo sorrise e, rendendo
grazie a Dio, e' pregò per
coloro che gli erano d'intorno.
In quell'ora
credette uno
cavaliere ch'avea nome
Romano, e disse a san Lorenzo: "Io veggio un giovane
stare
bellissimo dinanzi da te, che rasciuga le
membra tua con un panno
delicatissimo, ond'io ti scongiuro
per Dio, che tu t'
affretti di
battezzarmi, e non
m'
abbandonare". Disse
Decio a
Valeriano: "Io mi
credo
che noi siamo già vinti per
arte
magica". Sì che
comandò
che san Lorenzo fosse sciolto da la
catasta e
rinchiuso ne la prigione d'
Ippolito, e Romano recò un
orciuolo d'
acqua e gittossi a' piedi di san Lorenzo e ricevette
da lui il santo
battesimo.
Quando
Decio il seppe, fece
battere Romano con
bastoni;
il quale
confessandosi d'essere
deliberatamente
cristiano, fue
dicollato. In quella medesima notte Lorenzo
fu
menato a
Decio, e, piagnendo
Ippolito e volendo
gridare ch'egli era
cristiano, disse a lui Lorenzo:
"
Nascondi Cristo ne l'
anima dentro, e, quando io griderò,
odi e vieni". Or furono recate dinanzi a
Decio
tutte generazioni di tormenti; e disse
Decio Cesare a
san Lorenzo: "O tu
sagrificherai a Dio, cioè a li
dei
nostri, o questa notte si spenderà in te tormentare".
Rispuosegli san Lorenzo: "La mia notte non hae
oscurità,
ma tutte cose sono
chiarite ne la luce". Disse
Decio: "Sia
recato un letto di
ferro, perché vi si posi
su Lorenzo
contumace". Sì che i ministri lo spogliarono
incontanente, e
disteserlo in su la graticola del
ferro e,
mettendovi la
bracia sotto, con le
forche del
ferro il vi
calcavano su. E disse Lorenzo a
Valeriano:
"
Appara tu, misero, che i
carboni tuoi mi
danno rifrigero,
ma a te tormento
eternale, però che sa bene
il Signore che,
accusato, io non ho
rinnegato lui;
domandato
di Cristo, sì l'abbo
confessato;
arrostito, gli è
fatto grazie e
fo". E disse con la
faccia
allegra a
Decio:
"Ecco, misero, hai
arrostita l'una parte, or ti volgi
l'altra, e mangia". E
faccendo grazie, sì disse: "Grazie
ti
fo, messere, però c'ho
meritato d'
entrare ne le
parte del
cielo!" E
dette queste parole mandò via lo
spirito suo. E vituperato
Decio con
Valeriano lasciò stare
il
corpo sopra il
fuoco e
andonne nel palazzo di
Tiberio.
E
Ippolito rapìo la mattina il
corpo, e con esso
Justino
prete, sì l'unse e
acconciòe con
buone speziaria, e
soppellillo
nel Campo Verano. Sì che i
cristiani
digiunando
e stando tre dì in vigilie, mettevano grandi mugghi e
spandeano molte
lagrime.
Se è vero che san Lorenzo fosse martirizzato da
questo
Decio, molti ne
dubitano, con ciò sia cosa che
ne le
Croniche si
legga che san
Sisto fue dopo
Decio; ma
Eutropio
afferma questo, così
dicendo: "
Decio,
movendo la persecuzione ne i
cristiani, infra gli
altri spense il
beatissimo
diacono e martire Lorenzo".
Ma in una
Cronica, ch'è assai
autentica, si legge che
fue martirizzato non sotto questo
Decio imperadore, il
quale succedette a
Filippo, ma sotto un altro
Decio minore,
il quale fue Cesare, ma non fue imperadore. Per
ciò che tra
Decio imperadore e questo
Decio giovane,
sotto il quale si dice che san Lorenzo fosse martirizzato,
sì furono molti imperadori e
papi. E come si
truova ne la
detta
Cronica, essendo a
Decio imperadore
socceduti ne lo 'mperio
Gallo e
Volosiano, suo figliuolo,
e dopo loro
avendo tenuto lo 'mperio
Valeriano con
Galieno, suo figliuolo, li
detti
Valeriano e
Galieno
fecero
Decio giovane, Cesare ma non imperadore. Ché
anticamente
gl'imperadori
facevano alcuna volta Cesari, ma
non Augusti o imperadori, come si legge
ne le Croniche
che
Diocleziano fece
Massimiano Cesare; poscia di Cesare
il fece Augusto. Adunque questo
Decio,
chiamato Cesare,
non fatto imperadore, fece martire san Lorenzo;
ma
Decio imperadore regnòe pure
due
anni, e fece martire
san
Fabiano papa. A
Fabiano succedette Cornelio
nel
papato, il quale Cornelio fu martirizzato
sotto Valeriano
e Gallo A Cornelio succedette
Lucio, a
Lucio
succedette Stefano;
questi morì sotto
Valeriano e
Galieno, i quali regnarono quindici
anni; a Stefano
Sisto.
Questo si legge ne la
Cronica. E, se ciò è vero,
allora potrebbe essere vero quello che pone il maestro
Joanni
Beleth, ma e' si legge in un'altra
Cronica che
il detto
Galieno è
Decio, e sotto
esso furono
martirizzati
san
Sisto e san Lorenzo, intorno
agli
Domini
CXLVII.
Racconta san Gregorio nel Dialogo, che in Sabina
fu monaca, la quale era
casta del
corpo, ma non
fuggì il vizio de la lingua. Essendo costei sotterrata ne
la chiesa di san Lorenzo, fu menata dinanzi a l'
altare
del martire, e da le
demonia segata per mezzo; e l'una
parte sì rimase non tocca, l'altra parte fu
arsa nel
fuoco, sì che la mattina
apparìa visibilemente l'
arsura
nel marmo.
Ma Gregorio di Torno dice che,
racconciando un
prete la chiesa di san Lorenzo,
avevasi una
trave che
era troppo
corta; quello prete pregò san Lorenzo che,
com'elli avea sovvenuto e nutricato i poveri, così sovvenisse
al suo
bisogno. Subitamente
crebbe sì la
trave
che ve ne soperchiò piccola parte, e quella
cotanta parte
il prete la tagliò e
sanonne molte infermitadi.
Ancora un prete che avea nome
Santolo,
sì come
dice Gregorio nel Dialogo, volendo
racconciare una chiesa
di san Lorenzo, ch'era stata
arsa da' Longobardi,
pattovì
molti maestri. Sì che una volta, non
avendo lui
che
dare loro che
manicare, fece orazione a Dio e a
santo Lorenzo, e
andossene a uno
forno e,
ragguardandovi
dentro,
trovovvi, un pane
bianchissimo; ma non
potendo quello pane appena
bastare ad uno
desinare
di tre persone, san Lorenzo non volendo ch'e' suoi
lavoranti venissero meno, tanto il fece
multiplicare che
bastò a
nutrimento di tutt'i lavoranti per
X dì.
Ne la chiesa di San Lorenzo a Melana,
sì come
dice Vincenzo ne la Cronica, avea un
calice di
cristallo
maravigliosamente
bello; il quale essendo portato
a l'
altare per mano del
diacono, in una grande solennitade,
uscigli di mano e
cadde in terra e tutto si
sminuzzolò. E 'l
diacono, piagnendo, ricolse i
minuzzoli
e,
ponendoli in su l'
altare,
chiamò san Lorenzo
divotamente,
e 'l
diacono riebbe il
calice intero e saldo,
che prima era rotto
cadendo in terra.
Leggesi anche, ne' Miracoli de la
beata Vergine,
che un giudice era a Roma, il quale avea nome Stefano,
che ricevendo volentieri li
donamenti,
pervertia le sentenzie
di molte persone, e partivasi da la giustizia. Costui
tolse tre
case a la chiesa di san Lorenzo e uno
orto di santa
Agnesa vergine, per
forza, e, da che l'ebbe
tolto, sì 'l possedea ingiustamente. Intervenne che morìo
e fu
menato dinanzi al giudicio di Dio. E
vedendolo
san Lorenzo, andò a lui con molta indegnazione, e tre
volte
strinse
durissimamente il
braccio suo, e
tormentollo
di
forte
dolore. E santa
Agnesa con l' altre vergini
non volle riguardare in lui, ma rivolse la
faccia da
lui. Allora il giudice,
dando la sentenzia sopra lui, sì
disse: "Imperò ch'egli ha tolto l'altrui e ha venduto
la verità per
donamenti c'ha ricevuti, nel luogo di Giuda
traditore sia messo Stefano". Allora san
Progetto,
lo quale il detto Stefano avea molto
amato in vita sua
sempre,
andòe a san Lorenzo e a santa
Agnesa a
pregarli
che
perdonassono a costui. Sì che
coloro, e
massimamente
la
beatissima madre di Dio, pregando per
costui,
fulli
conceduto che l'
anima tornasse al
corpo e
facesse penitenzia
XXX dì. Ebbe in
comandamento anche
da la
beata Vergine
che ogne dì de la vita sua
dicesse
il Salmo:
"Beati immaculati". E quando fu
tornato al
corpo, il
braccio era sì livido e
abbronzato
come s'elli
avesse
avute
battiture
entro. Il quale
segnale
gli rimase infino che visse. Rendendo dunque il
mal tolletto e
faccendo la penitenzia, in capo di
XXX
dì n'andò in
cielo.
Leggesi ne la vita di santo
Arrigo imperatore che,
stando insieme vergini elli e
Conegonda sua moglie, abbiendo
egli per tentazione del
diavolo la moglie a sospetto
d'uno
cavaliere, sopra
roventi
bomeri di
XV
piedi, la fece andare a piedi
scalzi. Quella salendovi
suso disse: "
Jesù Cristo, come tu sai ch'io sono pura
e netta da
Arrigo e da tutti gli uomini, così
priego te
che m'
aiuti!".
Ma Arrigo indotto da la vergogna le
dette una gotata. E una
voce le disse: "La vergine
Maria
libererrà te vergine". Sì che per tutta quella
rovente
massa del
ferro andò
attorneando sanza veruno
male.
Quando lo 'mperadore fu morto, una grandissima
moltitudine di
demoni passò dinanzi a la
cella d'un
romito.
Quelli
aperse la
finestra e
domandò il sezzaio che
ciò fosse. E que' rispuose: "Noi siamo una legione di
demoni ch'
andiamo a la
morte de lo 'mperadore, se
per ventura noi trovassimo in lui veruna cosa del nostro".
E lo
romito lo scongiurò che tornasse da lui, e
quelli tornò e disse: "Noi non abbiamo fatto
prò veruno,
ché quando i
beni e' mali erano
messi ne la
bilancia, a l'ultimo venne Lorenzo, quello
arrostito, e
recò una
pentola d'oro di grande peso; e quando parea
che noi
avessimo vinto, da che v'ebbe gittata entro
quella
pentola, pesò molto di più l'altro lato. Allora io
adirato ruppi l'uno orecchio de la
pentola". Il
calice
chiamava
pentola, lo quale
calice lo detto imperadore
avea fatto fare a la chiesa di santo
Anastagio per
onore di san Lorenzo,
il quale era tenuto in speciale
devozione. Il quale
calice per la sua grandezza avea
due orecchie, sì che fu trovato che lo 'mperadore era
morto allotta e l'uno orecchio del
calice era rotto. Racconta
san Gregorio nel Registro che, volendo l'
anticessore
suo megliorare alcune cose al
corpo di san Lorenzo
e non sappiendo dove si fosse il
corpo suo, subitamente
il
corpo suo che non si sapea s'
aperse, e tutti quelli
che v'erano presenti, sì i monaci come gli altri
famigliari
che viddero lo
corpo suo, si morirono infra
diece dì.
Nota ne la passione di san Lorenzo, fra tutte le
passioni de' martiri,
pare che sia
eccellentissima in
quattro
cose, come si
raccolgono de'
Detti di santo Agostino
e di santo Massimo, ovvero, come gli altri vogliono
dire,
di santo
Ambrosio. La prima cosa si è ne l'
acerbitade
de la pena, la seconda ne l'
effetto, ovvero
utilità;
la terza ne la
costanzia, ovvero
fortezza; la quarta
ne la maravigliosa
battaglia e nel modo
della vettoria.
Imprima dunque fu
eccellentissima ne l'
acerbità de
la pena; de l'
acerbità de la quale pena dice così santo
Massimo ovvero, come
dicono i libri, santo
Ambrosio:
"Non fue, frati miei, morto san Lorenzo di
corta, ovvero
d'una passione; ché chi è morto con
ispada, una
volta muore, chi è gittato entro una
fornace infiammata,
in una
sospinta è liberato; ma costui è tormentato di
molte
fatte e di lunghi tormenti, acciò che
morte non li
manchi a tormento, e manchili a la fine. Noi leggiamo
che i santi garzoni
andavano per le
fiamme de le loro
pene, e
scalpitaro i grossi
carboni di
fuoco con i loro
piedi; adunque san Lorenzo non è da
esaltare da minore
gloria.
Coloro
andavano ne le
fiamme de le loro pene,
questi giacette in lato nel
fuoco del suo tormento;
coloro
scalpitaro l'
arsura con le pedate de' loro piedi, costui
ristrinse li
spandimenti de' lati suoi;
coloro, stando ne
la pena, con le mani levate oravano a Dio, costui abbattuto
ne la sua pena pregava Dio con tutto il
corpo. E
nota che san Lorenzo è detto che tenga principato dopo
santo Stefano fra gli altri martiri, non perch'elli
sostenesse
maggiore pena che gli altri martiri - con ciò sia
cosa che molti
sostennero
altrettanta pena e alcuni maggiore -
ma ciò si dice per
sei
cagioni che
corrono insieme.
La prima si è per lo luogo de la passione, ché fue a Roma
martirizzato dov'è la sedia del Papa, e perché Roma è capo
del
mondo; la seconda per l'officio de la predicazione,
lo quale
empìo
diligentemente; la terza per lo lodevole
distribuire de'
tesori de' poveri, i quali
distribuì così
saviamente. Queste tre
ragioni pone il maestro Guglielmo
d'
Altisiodoro. La quarta sì è per l'
a
utenticamento del
suo martirio, ché, se d'alcuni santi si legge che
sostennero
maggiori tormenti, non è così
autentica scrittura,
anzi n'è
dubbio di molti. Ma la passione di costui è
molto
solenne e assai
approvata ne la chiesa, e molti
santi l'
appruovano e
conservano ne le loro scritture.
La quinta si è per la
dignità de l'Offizio, perché fue
arcidiacono di messere lo Papa, e, dopo lui, come vogliono
dire, non se ne levò neuno
arcidiacano ne la sedia
romana. La sesta cagione si è per la
crudelezza de'
tormenti, però che
sostenne gravissimi tormenti come
quelli che fue
arrostito in su la graticola del
ferro.
Onde di lui dice santo Agostino: "Le
braccia e le
membra
minuzzate per
segatura di molte
battiture,
comandò
che fossero
cotte col
fuoco disotto, acciò che per la graticola
del
ferro, la quale per lo
continovo
caldo del
fuoco
avea già vertude e possa d'
ardere, il tormento fosse
più
forte per lo
rimuovere de le
membra rivolte l'uno
con l'altro, e la pena fosse più lunga".
Nel secondo luogo fue
eccellentissima la passione di
costui nel
desiderio, ovvero ne l'
utilitade, però che
quella
acerbità de la pena, secondo il detto di santo
Agostino e di santo Massimo, sì 'l fece alto per
glorificamento,
e onorevole per
fama, e lodevole per
divozione,
e grande per seguitamento. Prima dunque alto
per
glorificamento; onde santo Agostino
dice: "Tu persecutore
incrudelisti contra 'l martire, quando tu
incrudelisti
sì li
accrescesti la vettoria,
raunandoli la pena.
Or no trovo questo luogo tuo a gloria del vincitore,
quando i trionfi e la
crudeltade del tormento passarono
in onore". Anche
dice san Massimo, ovvero santo
Ambrosio secondo il detto d'alcuni libri: "Avvegna
che ne la
favilla si sciolgano le
membra, no pertanto
si scioglie la
fortezza de la fede,
sostiene
danno del
corpo, ma
acquista guadagno di salute". Anche
dice
santo Agostino: "
Veramente
beato quello
corpo, lo quale
il tormento non mutòe de la fede di Cristo, ma la religione
lo 'ncoronò a
riposo".
Nel secondo luogo onorevole per
fama; onde dice
santo Massimo, ovvero santo
Ambruosio secondo alcuni
libri: "Lo
beato martire Lorenzo possiamo
assomigliare
al
granello de la
senape, il quale, posto per
diverse passioni,
meritò di rendere odore del suo misterio per tutto
il
mondo. E colui che prima stando nel
corpo era
basso
e non
conosciuto e vile, poi che fue
angosciato, lacerato,
a tutte le
chiese per lo
mondo spande l'odore de la
sua
utilitade". Anche
dice quello medesimo santo:
"Adunque
degna cosa è, e piacevole a Dio, che noi,
con
ispeziale riverenza, onoriamo il
natale di santo Lorenzo,
per le cui
risplendienti
fiamme insin a questo
die
risplenda la Chiesa di Cristo per tutto il
mondo".
Anche
dice quello medesimo santo: "Di tanta gloria
di martirio fue chiarito che, per la passione sua,
alluminò
tutto il
mondo".
Nel terzo luogo, lodevole per
divozione. Il perché e'
debbia essere ricevuto con
divozione e lodato, santo
Agostino lo mostra per tre
ragioni, e dice così: "Noi
dobbiamo con tutta
divozione ricevere san Lorenzo;
l'una perché
diede il prezioso sangue suo per lo Segnore;
l'altra perch'elli
acquistò non piccolo
vantaggio
appo
Domenedio quando mostra chente
debbia essere
la fede di
cristiani, de la quale
compagnia
meritarono
d'essere martiri; la terza che fue di santa
conversazione,
che trovò la
corona del martirio a tempo di
pace".
Nel quarto luogo il fece grande per seguitamento;
onde santo Agostino
dice: "Questa fu la cagione del
martirio, per lo quale il santo uomo fu sentenziato a la
morte, acciò che
confortasse gli altri che
fossono suoi
simiglianti". In tre cose si fece da
doverlo seguitare.
L'una in
forte
sostenimento d'
avversitadi, onde santo
Agostino
dice: "
Ammaestrare il popolo di Dio di neuna
cosa ci ha più utile
forma che 'l martirio; però che
'l parlare
bello è
agevole a
pregare, la ragione è
efficace
a
confortare; ma più
forti sono gli
esempli che
le parole, e più è ad
ammaestrare con opera che con
voce". Ne la quale
eccellentissima maniera d'
ammaestramento
di che gloriosa
dignitade
risplendesse il
beato
Lorenzo martire, eziandio gli persecutori suoi il poterono
sentire, come fosse maraviglioso quando quella
fortezza
d'animo non solamente non
cedeva, ma eziandio
fortificava gli altrui con l'
essemplo de la sua
pazienzia".
Nel secondo luogo si fece da
dovere essere seguitato ne
la grandezza de la fede e nel
fervore; onde san Massimo
o sant'Ambrogio dice: "Da che con la fede
sua vinse i persecutori per le
fiamme,
mostra a noi
per lo
fuoco de la fede
di superare le fiamme de l'inferno
e che non temiamo il
die giudicio per l'
amore di
Cristo". Nel terzo luogo ne l'ardente
amore; onde dice
quello medesimo santo
o Ambrogio: "Immantanente
alluminò san Lorenzo il
mondo di quello lume donde fu
acceso, e riscaldò e'
cuori di tutti li
cristiani di quelle
fiamme ch'elli
patìo". Di queste tre cose
dice così quello
santo: "Quando rechiamo ad
esemplo il martirio di
san Lorenzo, sì ci
accendiamo a la fede e
riscaldiamoci
a la
divozione".
Nel terzo luogo fue
eccellentissima la sua passione ne
la
costanzia, ovvero
fortezza. De la quale dice così santo
Agostino: "Il
beato Lorenzo stette in Cristo infino a
la tentazione e infino a la
domandagione del tiranno e
infino a la
minaccia
fortissima e infino a la
morte; ne
la quale lunga
morte, perché avea bene
manicato e
bene
bevuto, ingrassato di quello
manicare e innebriato
di quello
beveraggio, non sentìo li tormenti; onde non
vi
diede luogo, ma succedette nel reame. Però che tanto
fu
costante e fermo che non solamente non si sottopuose
a' tormenti, ma eziandio di que' tormenti
sì come
si ha da i Detti del beato Massimo,
diventòe più perfetto
nel timore di Dio e più
fervente ne l'
amore e più
giocondo
ne l'
ardore". Onde quanto a la prima cosa
dice san Massimo: "È
disteso sopra gli
affocati
carboni
di
fiamme, e quanto più spesso v'è voltolato, tanto
più teme Cristo Dio". Quanto a la seconda cosa
dice
così quello santo medesimo,
o secondo alcuni libri Ambrogio:
"Sì come il
granello de la
senape quando si
pesta, sì s'incende, così san Lorenzo quando
patisce, sì
s'infiamma". Anche: "
Novella maniera di maraviglia
altri è quelli che 'l tormenta ed altri, incrudelendo,
compiono
i tormenti; i più
crudeli tormenti
fecero sa' Lorenzo
più
devoto al
Salvatore". Quanto a la terza cosa,
dice così quel santo: "Il
cuore di Lorenzo sì si riscaldòe
di tanta grandezza d'
animo de la fede di Cristo,
che
dispregiando i tormenti del proprio
corpo,
allegro
elli
faceva
beffe del
crudelissimo suo
tormentatore, il
quale si gloriava de' suoi
fuochi".
Nel quarto luogo fue
eccellentissima ne la maravigliosa
battaglia, e nel modo de la vettoria. Però che san Lorenzo,
come si
coglie
da le parole di san Massimo e di santo
Agostino,
patìo
cinque
fuochi di fuori, i quali soperchiòe
tutti
fortemente, e sì li spense. Il primo
fuoco fu quello
del ninferno, il secondo fu il
fuoco materiale de la
fiamma, il terzo fu
fuoco de la
concupiscenzia de la
carne, il quarto
fuoco fu quello
dell'
avarizia
ardentissimo,
il quinto
fuoco fu quello de l'
ira
impazzita. De
lo spegnimento del primo
fuoco, cioè quello del ninferno,
dice così santo Massimo: "Or potea
cedere a l'
arsura
del
corpo che ad un punto, la cui fede spegneva l'
ardore
del
fuoco
eternale?" Anche
dice quello medesimo
santo: "Valicò adunque per lo
fuoco d'un punto e
nerissimo, ma
campòe la
fiamma del
fuoco, che
arde perpetualemente". De lo
spegnamento del secondo
fuoco, cioè de la
fiamma materiale, dice così quello
medesimo santo,
o, secondo alcuni libri, Ambrogio:
"Egli era affaticato de lo incendio
corporale, ma il
divino
amore spense l'
ardore del
corpo". Anche
dice
quello santo: "Avvegna che 'l malvagio re mettesse
le legne sotto e facesse maggiori incendii, impertanto
san Lorenzo, per lo
calore de la fede, non sentì queste
fiamme". Anche
dice santo Agostino: "Non
poté
essere soperchiata la
carità di Cristo per le
fiamme,
e sì fu più
crudele il
fuoco ch'
arse di fuori, che quello
ch'
arse dentro". De lo
spegnamento del terzo
fuoco,
cioè di quello de la
concupiscenzia de la
carne,
dice
così san Massimo: "
Ecco che san Lorenzo passa per lo
fuoco, del quale,
arrostito non temette, ma
alluminato
ne
risplendeo.
Arse, acciò che non
ardesse, e fue
arrostito,
acciò che non fosse
arso". De lo
spegnamento
del quarto
fuoco, cioè de l'
avarizia, in che modo fue
annullata e ingannata l'
avarizia di quelli che
disideravano
li
tesori, dice così santo Agostino: "
Armasi di
doppia
faccia l'uomo
disideroso de la pecunia e nimico
de la veritade: de l'
avarizia, acciò che rapisca oro, e
de la
empiezza, acciò che tolga Cristo; ma nulla ne
tieni, niuna cosa ti giova, o
crudeltà d'uomo; è sottratta
ne' venti tuoi la materia mortale e, san Lorenzo
andandone in
cielo, tu, misero, vieni meno ne
le
fiamme tue". De lo spegnimento del quinto
fuoco,
cioè de l'
ira impazzata, come quello
furore de'
perseguitanti
fu ingannato e
annullato,
dice così santo Massimo:
"Vinti gli
apparecchiatori de le
fiamme, si
ristrinse tutto l'
ardore de la pazzia del
mondo; e
cotanto
giovò a fare la intenzione del
diavolo, che l'uomo
fedele salìo al suo Dio glorioso, e la
crudeltà di perseguitatori
intepidìo piena di
confusione che li suoi
fuochi".
E che l'
ira di
perseguitanti fosse
fuoco, si mostra
quando dice: "Il
furore pagano acceso
à
'pparecchiato
la graticola
affocata per vendicare col
fuoco le
fiamme
de la indegnazione". E non è maraviglia sed e' vinse
questi
cinque
fuochi, però che, come si prende de le
parole di san Massimo, ed elli ebbe
tre rifrigerii dentro e
portò tre
fuochi in
cuore, per li quali potesse spegnere
ogni
fuoco di fuori, e con l'
ardore maggiore vincesse il
minore. Il primo rifrigerio fue il
disiderio de la
celestiale
gloria, il secondo fue la meditazione de la legge
divina, il terzo fue la purità de la
coscienzia. Per questi
tre
rifrigeri ispense ogni
fuoco di fuori e
fecelo
freddo.
Del primo rifrigerio, cioè del
disiderio de la
celestiale
gloria, dice così san Massimo, ovvero santo
Ambrosio
secondo alcuni libri: "Non potea san Lorenzo sentire
i
tormenti del
fuoco ne le sue interiora, il quale possedeva
i
rifrigeri di Paradiso ne' suoi sentimenti".
Lo
stesso: "
Ben
giace la
carne
arrostita a' piedi del tiranno,
e 'l
corpo sanza
anima; non ne
patisce
danno
in terra, il cui
animo
dimora in
cielo". Il secondo rifrigero
fue la meditazione de la legge di Dio, del quale
refrigerio dice così quello santo: "Da che san Lorenzo
pensa i
comandamenti di Cristo, ciò ched elli soffera
sì li è
freddo". Il terzo rifrigerio fue la purità de la
coscienzia, del quale rifrigerio dice così quel santo:
"
Arde per certo in tutte le 'nteriora il
fortissimo martire,
ma
pertrattando il reame del
cielo per lo rifrigero
de la
buona
coscienzia si
rallegra vincitore".
Ebbe neente di meno il santo martire, come
dice quel
santo Massimo, tre
fuochi dentro, per li quali vinse tutt'i
fuochi di fuori per lo maggiore incendio. Il primo
fuoco
fue la grandezza de la fede, il secondo l'ardente
amore,
il terzo il vero
conoscimento di Dio; il quale
conoscimento
l'
alluminò come
fuoco. Del primo
fuoco dice così quel
santo, ovvero santo
Ambruosio: "Quanto l'
ardore de
la fede fu
fervente in lui, tanto la
fiamma del tormento
raffreddò in lui questo e quel
fuoco".
Anche: "Il fervore
de la fede è il fuoco del Salvatore; del quale dice
il Signore nel Vangelio: Io sono venuto a mettere
fuoco in terra. Di questo
cotal
fuoco san Lorenzo infiammato,
non sentìo l'
ardore de le
fiamme". Il secondo
fuoco fue l'ardente
amore; del quale dice così quel medesimo
santo,
ovvero Ambrosio: "
Ardeva di fuori il
martire Lorenzo per l'
arsure del tiranno
crudele, ma la
fiamma dentro de l'
amore di Cristo maggiore sì lo spegneva".
Il terzo
fuoco fue il vero
conoscimento di
Dio, del quale dice così quel santo: "La
crudelissima
fiamma del persecutore non
poté vincere il
fortissimo
martire, però che assai più
ardentemente era scaldata
la sua
mente
accesa da' razzuoli de la verità". Anche
dice quel medesimo santo: "Non d'odio di retade,
ma d'
amore di veritade acceso, la
fiamma che li fu
data di fuori o
nol
disentìo o e' la vinse".
Ma elli ha san Lorenzo fra gli altri martiri tre privilegii
quanto a l'Officio. Il primo si è la
vilia,
però
che solo tra ' martiri ha le vilie. Ma le
vilie de' santi
sono oggi, per le molte
disordinazioni, rimutate in
digiuni,
però che usanza fue, da quinci adrieto, come racconta
Joanni
Beleth, che per le
feste de' santi gli uomini,
con le
mogli loro, e con le
figliuole loro, si ragunavano
a la chiesa, e ivi vegghiavano la notte con le lumiere;
ma perché molti
avolterii si
facevano in queste vigilie,
la chiesa
rimutòe le vigilie in
digiuno, ma pure ritenne
il nome
antico, ché sono
chiamate ancora vigilie e non
digiuni. Il secondo
privilegio sì è che hae ottava, ché
solo egli, e santo Stefano, tra ' martiri, hanno ottava,
com'hae san Martino tra '
confessori. Il terzo
privilegio
è ne' versi de l'
antefane, che l'hanno solamente elli e
san Paulo, ma san Paulo l'hae per l'
eccellenza de la
predicazione, e costui per l'
eccellenza del martirio.
cap. 113, S. Ippolito
Ippolito, poi ch'ebbe soppellito il
corpo di san Lorenzo,
se ne venne a
casa sua e,
dando pace a' servi e a
l'
ancelle sue,
comunicò a tutti del sagramento de
l'
altare, che Giustino prete avea sagrificato a Dio; e
posta poi la mensa, innanzi che prendesse il
cibo, vennero
li
cavalieri, e
pigliarlo e
menarlo a lo 'mperadore.
Veggendolo
Decio Cesare, sorridendo disse a lui: "Or
se' tu fatto mago, che si dice che tu hai tolto il
corpo
di Lorenzo?" Disse
Ippolito: "Questo
feci io, non come
mago ma come
cristiano". Allora
Decio, ripieno d'
ira,
comandò ch'elli fosse
ispogliato de l'
abito ch'usava
come
cristiano, e
datoli ne la bocca con le pietre. Disse
Ippolito: "Tu non m'hai spogliato de l'
abito,
ma
maggiormente m'hai vestito". Disse
Decio: "De!
come tu
se' fatto matto che non ti vergogni d'essere
ignudo? Adunque or sagrifica a li
dei e viverai, acciò
che tu non perisca col tuo Lorenzo". Allora disse
Ippolito:
"Dio il voglia ch'io sia l'
esemplo di san Lorenzo
meritevolemente, lo quale tu, misero,
fosti ardito
[ms.: adirato]
di nominare con la bocca puzzolente". Allora
Decio il fece
squarciare con
bastoni e con pettini di
ferro, e quegli con
chiara
boce si
confessava
cristiano; e
faccendosi
beffe di questi cotali tormenti, sì 'l fece rivestire
del vestimento
cavalleresco, lo quale elli usava
innanzi,
confortandolo di ritenere l'
amistade e la
cavalleria
di prima. E quelli
dicendo che volea essere
cavaliere
di Cristo,
Decio adirato il misse in mano di
Valeriano
prefetto, che togliesse tutte le sue possessioni e uccidesselo
con
duri tormenti. E da che ebbe trovato che tutt'i
suoi
fanti erano
cristiani, furono
menati tutti dinanzi
a la sua presenzia. I quali essendo
costretti di sacrificare,
santa Concordia, la
balia di santo
Ippolito, rispuose
per tutti, e disse: "Noi vogliamo anzi col nostro
Segnore morire con onore, che
vivere con vergogna".
A la quale disse
Valeriano: "La schiatta de' servi
non s'
ammenda se non con
battiture". Allora la fece
tanto
battere con piombati che l'
anima si parti dal
corpo, e ciò fece in presenzia d'
Ippolito; laonde ebbe
molta
allegrezza e disse santo
Ippolito: "Io ti rendo
grazie, Signore mio, c'hai mandata innanzi a' santi
tuoi la
balia mia, col
cospetto tuo". Poscia fece
Valeriano
menare fuori de la porta di Tiburi santo
Ippolito
con la sua
famiglia; e santo
Ippolito,
confortandoli tutti,
sì disse: "Frati miei, non
abbiate paura che io e voi
abbiamo uno Dio". E
comandò
Valeriano che in presenzia
d'
Ippolito a tutti fossero tagliate le teste. Poscia
fece legare i piedi d'
Ippolito a i
colli de'
cavalli non
domati, e
fecelo tanto tirare tra i
cardi e le spine che
rendette l'
anima a
Domenedio
intorno a gli anni Domini
CCLVI. E i
corpi loro tolse Giustino prete, e
seppelligli
a lato al
corpo di san Lorenzo; ma il
corpo di
santa Concordia non
poté trovare, però ch'era stato
gittato in luogo di letame.
Ma uno
cavaliere ch'avea nome
Porfirio,
credendo
che santa Concordia
avesse oro o
gemme ne le vestimenta
sue,
andossene ad uno
letamaio ch'avea nome
Ireneo, il quale era
cristiano nascosto, e disse a lui:
"Tienmi
credenza e trai il
corpo di Concordia del luogo
sozzo, ch'io abbo speranza ch'ella abbia ne le vestimenta
oro e
gemme". E quelli disse: "Mostrami il
luogo, e
tengoti
credenza, e ciò che troverabbo sì ti
mostrerrò". Quando il n'ebbe tratto fuori e non
trovandovi
nulla, quello
cavaliere
fuggì, e
Ireneo
chiamò un
cristiano ch'avea nome Abondo, e portarono quel
corpo
a Giustino prete, ed elli il tolse
divotamente e
seppellillo
a lato al
corpo di santo
Ippolito e de gli altri. La
qualcosa udendo
Valeriano, fece prendere
Ireneo e Abondo,
e
amendue gli fece
affogare
vivi entro la
sentina; e
Giustino tolse i
corpi loro e
seppelligli con esso gli altri.
Dopo queste cose salìo
Decio con
Valeriano in sul
carro
de l'oro per andare a la piazza a tormentare i
cristiani.
Sì che
Decio fu preso dal
Diavolo, e gridava: "O
Ippolito,
tu mi meni legato con
catene di
ferro!" E
Valeriano,
angosciato
crudelmente, simigliantemente grida
va: "O
Lorenzo, tu mi
tiri legato con
catene di
fuoco". E in quella
ora incontanente morì; e
Decio tornòe a
casa e, tre
dì
angosciato dal
demonio, gridava: "Io ti scongiuro,
Lorenzo, rimanti un poco di
tormentarmi"; e così si
morìo.
Udendo ciò la sua moglie
Trifonia
crudele con la sua
figliuola, ch'avea nome
Cirilla, lasciò stare ogni cosa
e
andossene a san Giustino e fecesi
battezzare a lui
con molti altri. E l'altro dì, quando
Trifonia
orava,
rendette l'
anima a Dio; il cui
corpo
seppellìo Giustino
prete a lato al
corpo di santo
Ippolito.
Udendo
XLVII cavalieri che la reina e la figliuola
erano
fatte
cristiane, vennero con le
mogli loro a Giustino
prete per ricevere lo
battesimo; li quali
battezzò
tutti Dionisio, ch'era sacerdote
soccedente a san
Sisto.
Claudio imperadore, non potendo che
Cirilla sacrificasse,
sì li fece
dare d'un
coltello e segare le vene, e
gli altri
cavalieri fece
dicollare. E le
corpora loro furono
seppellite nel campo Verano con esso gli altri.
Di questo martire dice così santo Ambruogio nel
Profazio:
"Il
beato martire
Ippolito,
considerando Cristo
vero
capitano, volse essere suo
cavaliere, lo quale provò
per verace
capitano, e 'l santo martire Lorenzo
dato a
sua guardia, non perseguitato, ma seguitò. Il quale
cercando
per li
tesori de la chiesa, trovò un
tesoro, non
tale che 'l tiranno il togliesse, ma tale che la pietade il
possedesse, trovò il
tesoro onde le
vere ricchezze s'
adomandassero,
dispregiòe il
favore del tiranno per avere
degnamente la grazia del perpetuale re; non temette
che gli fossero
divelte le
membra per non essere
divelte
da i legami
eternali".
Uno
bifolco ch'avea nome Piero, mettendo i
buoi
al
carro per la
festa di santa Maria Maddalena, e
andando
dietro a i
buoi e maladicendo li
costrignea, allora
incontanente furono
inghiottiti da uno
fiume e,
quello Piero che mandava queste
bestemmie, fu
tormentato
più
crudelmente, ché 'l prese un
fuoco intanto
che
consumò e le
membra e la
carne de la
coscia e de
la gamba e rimasero l'ossa inferme; a la perfine
si
sciolse la
coscia da la sua
congiuntura. Allora quelli
se n'andò ad una chiesa de la
beata Vergine Maria, e
nascose quella
coscia in uno
colombaio di quella chiesa,
e pregava la
donna nostra con
lagrime e con
prieghi
che 'l liberasse. Ed eccoti una notte
apparilli la Vergine
Maria in visione con santo
Ippolito; e la Vergine
disse a santo
Ippolito per
comandamento che rendesse
santade a Piero. Incontanente santo
Ippolito tolse la
coscia dentro il
colombaio, e, come fosse innesto d'
albore,
in un punto la
innestò nel luogo suo. Al quale
innestamento
sentìo tanti
dolori che tutta la
famiglia
destòe
con le grida che elli misse. Quelli si levarono, e
accesono il
lume, e trovarono che Piero avea
due
coscie e
due gambe;
ma, pensandosi essere
beffati, sì
ricercarono più e più
volte e trovarono che
veramente
aveva quelle
membra.
I quali
destandolo a grande pena,
domandavalo onde
questo li fosse intervenuto; ma elli,
credendo che
coloro
lo
dicessero per giuoco, a la perfine vide il fatto e
maravigliossi;
ma pure la
coscia
nuova era più tenera che
la vecchia, e non
bastava a
ragguagliarsi a perfetto
sostenemento del
corpo. Onde a
manifestamento del
miracolo
zoppicòe un
anno, e allora gli
apparve un'altra
volta la
Vergine Maria, e disse a santo
Ippolito che
ciò che mancasse al guarire sì li
ricompiesse. Quelli
isvegliandosi e trovandosi al tutto sanato, sì
entrò in
uno
romitorio; al quale il
diavolo
apparìa spesse volte
in
forma d'una femmina ignuda, e,
accostandosi così
ignuda, quanto quelli più
contrastava, tutto li si
ficcava
addosso più
isvergognatamente. Essendo dunque molto
angosciato da lei, a la perfine tolse una stola e
cinsele
il
collo con essa, e 'l
diavolo
fuggìo tosto e lasciovvi un
corpo puzzolente, del quale usciva tanta puzza che neuno
dubitava che non fosse stato
corpo d'alcuna femmina
che 'l
diavolo
avesse preso.
cap. 114, Assunz. Maria
L'
assunzione de la
beatissima Madre di Dio com'
ella fosse, sì s'insegna d'un
libro che non è
approvato,
il quale s'
appropia a san Giovanni
Vangelista.
Spargendosi gli
apostoli per
diverse
contrade del
mondo
a predicare, la vergine Madre di Dio si dice che rimase
in una
casa posta presso al monte Sion; e tutte le luogora
del figliuolo suo, cioè il luogo del
battesimo e del
digiuno e de la passione e de l'orazione e de la
sepoltura
e de la resurressione e de l'
ascensione per
continova
divozione visitava, mentre ch'ella visse; poscia,
secondo dice Epifanio, sopravvisse XXIV anni dopo
l'Ascensione del Figlio suo. E dice
Epifanio che la
beata
Vergine quando
concepette Cristo avea
XIV anni, e ne
li
XV il parturì, e con lui stette
XXXIII, e dopo la
morte del figliuolo suo
sopravvisse
XXIV anni, e così,
quando morìo, avea
LXXII anni. Ma più è vero ch'ella
sopravvisse
XII anni al suo Figliuolo, e così di
LX anni
fosse levata in
cielo, con ciò sia cosa ch'
altrettanti
anni predicassero gli
apostoli in Giudea e in quelle parti,
come si legge ne la Storia
Ecclesiastica.
Sì che un
die,
accendendosi
fortemente il
cuore de
la Vergine nel
desiderio del suo figliuolo, per lo grande
ardore si
commovea l'
animo a grande
abbondanza di
lagrime di fuori, e non potendo più
sostenere con
iguale
animo il tempo di così
dolce figliuolo e i
sollazzi sottratti
a lei, l'
angelo l'
apparve con molto lume, e
salutolla
reverentemente come madre del suo segnore, e
disse: "Dio ti salvi,
benedetta, ricevente la
benedizione
di colui che mandò salute a
Jacob.
Ecco ch'abbo
recato
a te, madonna, uno ramo di palma del Paradiso, la
quale tu
comanderai che si porti innanzi al
cataletto
quando tu sarai al terzo
die ricevuta del
corpo, però
che 'l tuo figliuolo
aspetta te, madre di
riverenzia".
Al quale rispuose la Donna: "Se io abbo trovato grazia
davanti a li occhi tuoi,
priegoti che mi
debbi rivelare
il nome tuo; e anche ti
domando questo, più so o
posso,
che i figliuoli e i
fratelli miei
apostoli si ragunino tutti
insieme a me, sì che io gli vegga innanzi ch'io muoia
e possa essere spogliata da loro
e, loro presenti, rendere
lo spirito a Dio. Anche t'
adomando questo: che, uscendo
l'
anima dal
corpo, non veggia neuno spirito maligno,
e che neuna
potenza di Satanas mi vegna contra". E
l'
angelo le rispuose: "Perché, Madonna,
disideri tu di
sapere il nome mio, lo quale è maraviglioso e grande?
Ecco che tutti gli
apostoli si rauneranno oggi dinanzi
a te, che ti
faranno grande onore a la
morte, e nel
cospetto loro renderai lo spirito al figliuolo tuo. Ché
quello che portò il profeta
anticamente di Giudea in Babilonia
subitamente con un
capello in mano, sì ti potrà
menare in uno punto tutti gli
apostoli. Ma i maligni
spiriti perché hai tu paura di vedere, con ciò sia
cosa che tu abbia
attritato al tutto il capo del
diavolo,
e spogliatolo de la signoria de la sua
potenzia? Ma pure
sia fatta la tua
volontà, come tu hai
domandato".
Dette queste cose l'
angelo con molto lume salìo in
cielo;
e quella palma
risplendea di maravigliosa
chiaritade,
però ch'ella era simigliante a una verga verde, ma le
foglie sue
risplendevano come fa la
stella
Diana. Or
addivenne che, predicando san Giovanni in
Efeso, e lo
cielo tonòe
ripentemente, e una nuvola
bianca sì 'l prese
e
puoselo dinanzi a l'uscio de la Donna, e picchiando
l'uscio
entròe dentro, e salutò la
donna
reverentemente.
E
riguardandolo la
beata Vergine,
fortemente
stupidìo,
e per l'
allegrezza non
poté tenere le
lagrime, e disse:
"Ricorditi de le parole del maestro tuo, ched elli ti
disse quando mi ti raccomandò come madre, e te a me
come figliuolo.
Ecco che
chiamata dal Segnore, pago
il
debito de l'umana
condizione, e 'l
corpo mio raccomando
a te che n'
abbi
cura e
sollecitudine di guardarlo,
però che io abbo inteso che li giuderi hanno fatto
consiglio,
e
dicono:
Aspettiamo voi, uomini frati, tanto
che quella che portò
Jesù muoia, e torremo il
corpo suo
e
arderemlo entro il
fuoco. Sì che allora
farai portare
questa palma innanzi al
cataletto quando voi portate il
corpo mio al sepolcro". Disse
Joanni: "Or lo volesse
Iddio che qui fossero tutti gli
apostoli miei frati, acciò
che noi ti potessimo fare quello onore che ti si
converrebbe,
e renderti
degne laude!"
Dicendo lui queste cose,
tutti gli
apostoli furono rapiti de le luogora là
dove predicavano
da le nuvole, e posti dinanzi a l'uscio de la
Donna
. I quali, vedendosi tutti ragunati insieme, si
maravigliarono, e
dicevano: "Qual è la cagione che 'l
Signore ci ha raunati tutti insieme in questo luogo?"
E san Giovanni uscì fuori a loro, e predisse che Madonna
si
dovea partire dal
corpo, e
aggiunse anche e
disse loro: "Guardatevi,
fratelli miei, che quando ella
morrà veruno non la pianga, sì che il popolo de' giudei
non
corrano qua e
dicano: - Ecco costoro come temono
la
morte, che predicano a li altri la resurressione -".
San Dionigi,
discepolo di san Paolo
apostolo, nel
libro
che fece de' Nomi Divini
afferma questo medesimo, cioè
che li
apostoli si raunarono a la
morte de la
beata Vergine,
e elli simigliantemente vi fu presente, e che
catuno
vi fece sermone a laude di Cristo e de la Vergine Maria.
E dice così parlando a Timoteo: "Noi, come tu sai,
e molti de' santi nostri frati, ci
raunammo a vedere il
corpo de la vita del principe e di colei che ricevette
Dio. Or v'era presente Jacopo,
fratello del Signore, e
Piero,
e la sovrana e
antichissima
altezza di teologi
Paolo". Infino qui dice Dionisio. E quando la
beatissima madre di Dio ebbe veduto tutti gli
apostoli
raunati, sì
benedisse il Signore, e nel mezzo di loro
sedette,
ardendo le lampane e le lucerne. E intorno a la
terza ora de la notte venne
Jesù con gli ordini de li
angeli, e con la
compagnia de'
patriarchi e con le schiere
de' martiri e de'
confessori, e '
cori de le Vergini e, dinanzi
al letto de la Vergine, s'ordinano le schiere, e
spesseggiansi
dolci
canti. Or che officio fu questo, col
ui
lo potrebbe
dire; ché 'l primaio che
cominciò fue
Jesù, e
disse: "Vieni,
eletta mia, e porrò in te la sedia mia,
però ch'io ho
disiderata la
bellezza tua". E quella
disse: "Apparecchiato è il
cuore mio,
Domenedio, apparecchiato
è il
cuor mio". Allora tutti quelli ch'erano
venuti con
Jesù
cantarono
dolcemente,
dicendo: "Questa
è quella che non seppe letto in peccati;
avrà
frutto in
ragguardamento de l'
anime sante". Ed ella di se medesima
cantò e disse: "
Beata mi
diranno tutte le generazioni,
però che 'l Signore m'ha fatto gran cose, il
quale è potente e santo il nome suo". Allora il
creatore
di tutte le cose gridò più
eccellentemente, e disse:
"Vieni del Libano, sposa mia, vieni del Libano, vieni
che sarai incoronata". E quella disse: "
Ecco che vengo,
ché in capo del
libro è scritto di me ch'io
faccia la
volontà tua, segnore Dio, però che lo spirito mio s'è
rallegrato in Dio,
salvatore mio". E così quella santissima
anima uscì del
corpo, e fu ricevuta ne le
braccia
del figliuolo suo, e fu così
diliberata dal
dolore de la
carne, com'ell'era stata
dilibera e
strana da
corruzione.
E disse
a gli apostoli il Segnore: "Maria portate
voi ne la valle
Josafat, e
riponetelo nel monimento
nuovo che voi vi troverrete, e
aspettatemi
tre dì, tanto
ch'io torni a voi". E incontanente fue
attorneata da
fiori di rose e da gigli de le valli; le rose sono i martiri,
e' gigli sono le schiere de gli
angeli e de'
confessori
e de le vergini. E gli
apostoli gridavano dopo lei, e
dicevano: "Vergine prudentissima, or dove ne vai tu?
Ricorditi di noi, o Madonna!" Allora, a
concordanza
di
coloro che
salìano, maravigliandosi le schiere ch'erano
rimase,
andarono
incontrole a processione ratto ratto: e
veggendo il re loro portare in su le
braccia l'
anima
d'una femmina, e
avendo lei
appoggiata a lui, stupiditi
di ciò,
cominciarono a gridare e a
dire: "Chi è questa
che
sale del
diserto, la quale
abbonda di
delizie,
appoggiata
sopra 'l
diletto suo?" E gli
angeli che l'
accompagnavano,
rispuosero: "Questa è la
bella tra le
figliuole
di Gerusalem, come voi la vedeste piena di
caritade e
d'
amore". E così fu ricevuta in
cielo gaudente, e
allogata
a la
diritta parte del figliuolo, ne la sedia di gloria;
e gli
apostoli videro la sua
anima, che era di tanta
bianchezza, che non lo potrebbe
contare lingua d'uomo
veruno. E tre vergini che v'erano presente, quand'
ebbero
spogliato il
corpo per lavarlo, di tanta
chiaritade
risplendette il
corpo che
ben si potea toccare a lavare,
ma vedere al postutto non si potea. E tanto stette così
risplendente il
corpo che fu lavato da le vergini. E gli
apostoli presero
riverentemente il
corpo de la
donna e
puoserlo in sul
cataletto. Disse
Joanni a Piero: "Questa
palma porterai tu, Piero, innanzi al
cataletto, però che
'l Signore ti puose sopra noi e
ordinotti prencipe de le
pecore sue". Disse a lui Piero: "
Maggiormente si
conviene a te di
portarla, però che tu
fosti
eletto vergine
dal Signore, e
degna cosa è
manifestamente che vergine
porti la palma de la Vergine. Tu ancora
meritasti di
posarti sopra il petto del Signore, e più di tutti gli altri
n'
attignesti
fiumi di sapienzia e di grazia; e giusta
cosa
pare che tu, il quale ricevesti dal figliuolo suo più
dono, sì le
facci più onore a tanta vergine. Adunque
dei tu portare questa palma del lume a l'
essequie de
la
santitade, il quale
fosti
abbeverato del
beveraggio de
la luce de la
fontana de la perpetuale
caritade. Ma io
porterò il
cataletto col santo
corpo, e gli altri
apostoli,
nostri frati,
attorneando il
cataletto, rendano lode a
Dio". E disse Paolo
apostolo: "Io, che sono il minimo
di tutti voi, sì 'l voglio portare teco".
Levando dunque Piero e Paulo il
cataletto, Piero
cominciò
a
cantare e a
dire:
"Exiit Israel de Aegypto,
alleluia!" E gli altri
apostoli seguitarono
dolcemente
il
canto, e 'l Segnore
coprìo il
cataletto e gli
apostoli
d'una nuvola, in tal modo che vedere con si potevano,
ma pure la loro
voce s'udiva. E
furonvi gli
angeli a
cantare con gli
apostoli, e riempierono tutta la terra de
l'odore di maravigliosa soavitade. Sì che isvegliandosi
le persone a così fatta
melodia,
escono tostamente de
la
cittade, e
dimandando
diligentemente che ciò fosse
sì che fu uno che disse: "Quella Maria i
discepoli di
Jesù la ne portano morta, e
càntarle d'intorno questa
melodia che voi udite".
Allora
corrono tutti a l'
arme, e
confortavansi insieme,
e
diceano: "Venite, e uccidiamo tutti li
discepoli, e
quello
corpo che
ha portato quello ingannatore, sì
l'
ardiamo entro il
fuoco". E 'l principe de' sacerdoti
vedendo queste cose, sì si
maravigliò e, ripieno d'
ira,
disse: "Ecco il
tabernacolo di colui che
conturbò noi
e la generazione nostra, vedete testeso che onore hae
ricevuto". E
dicendo queste cose, manumise il
cataletto
volendolo travolgere e
abbatterlo a terra. Allora
ambo le
mani gli
diventarono
secche subitamente, e in tale modo
gli s'
appiccicarono al
cataletto, che stava con le pendenti
mani al
cataletto e,
angosciato del gran tormento,
piagnea
lamentevolemente, e l'altro popolo fu percosso
d'
accecaggine da gli
angeli ch'erano ne le nuvole. E
'l principe de' sacerdoti gridava e
diceva: "San Piero,
non mi
spregiare in questa tribolazione, ma
priegoti che
tu
prieghi il Signore per me, ché
ben ti
dee ricordare
come alcuna volta com'io
fui con esso teco e,
accusandoti
l'
ancella
portinaia, sì ti
scusai io". Al quale disse
Piero: "Noi siamo testeso infaccendati al
servigio de
la
donna nostra; non possiamo intendere a
guarirti; ma
se tu
crederrai nel Signore
Jesù Cristo e in Questa che
'l portò, i' ho speranza che tu
guarrai tosto". E quelli
disse: "Io
credo che
Jesù Cristo sia verace figliuolo
di Dio, e costei sua santissima madre". Incontanente
le mani gli si
spiccarono dal
cataletto, ma nel
braccio
era ancora rimasa la
seccaggine, e 'l
forte
dolore non
era
andato. Disse a lui Piero: "
Bascia il letto e
di':
Io
credo in
Jesù Cristo che costei portò nel ventre, e
rimase vergine dopo il parto". Quando quelli ebbe ciò
fatto, incontanente riebbe la santade di prima. E disse
a lui Piero: "Togli questa palma
da la mano del
fratello nostro Giovanni e
ponla sopra il popolo
accecato,
e
chiunque vorrà
credere,
riaverrà il vedere, e chi non
vorrà
credere, non vedrà giammai".
Sì che gli
apostoli portarono Maria e
misserla nel monimento,
e presso lui, sì come il Signore avea detto
loro, vi
sedettoro. E 'l terzo
die venne il Segnore con la
moltitudine de li
angeli, e salutolli
dicendo: "Pace sia
a voi!" E quelli rispuosero e
dissero: "Gloria sia a te,
segnore Dio, che
fai le grande maraviglie tu solo".
Disse il Signore a li
apostoli: "Che grazia e che onore
che vi
pare che si
faccia ora la madre mia?" E quelli
dissero: "Segnore, a i servi tuoi
pare giusta cosa che
sì come tu, abbiendo vinto la
morte, regni ne' secoli,
così
debbi
risuscitare il
corpo de la madre tua, e
collocarla
a la
diritta parte tua
eternalmente". Quelli
acconsentendo,
eccoti venire san Michele
angelo incontanente,
e rappresentò l'
anima de la
donna dinanzi al
figliuolo. Allora il
Salvatore parlò e disse: "Leva su,
parente mia,
colomba,
tabernacolo di gloria, vasello di
vita e tempio; e come tu non sentisti sozzura di peccato,
così non
sostenghi
corrozione di
corpo!". Incontanente
ne venne l'
anima al
corpo, e uscì il
corpo
glorioso del sepolcro, e così fu
assunta in
cielo tutta
gloriosa,
accompagnata dal figliuolo e da le schiere de
gli
angeli. E santo
Tommaso non essendovi,
vegnendovi
poscia e non
credendo, la
cintola con la quale era
cinto
il
corpo di lei, subitamente ricevette da l'
aere, sanza
essere
danneggiata, acciò che per questo intendesse
ch'ella fosse al tutto
assunta.
Tutto questo ch'è detto, è quello non
autenticato, che
san
Geronimo dice ne la Pistola che mandò a
Paula e
ad
Eustochio: "Però che quello
libricciuolo
apocrifo
non è d'avere per verace se non se quanto ad alcune
cose
degne di fede, le quali sono
approvate da' santi;
e sono
nove, cioè quelle cose che sono
date a la Vergine:
Il
consolamento de li
angeli in tutt'i modi, il
raunamento di tutti gli
apostoli, la fine senza
dolore,
la
sepoltura ne la valle di
Josafath, l'
essequiale
devozione
di Cristo, la processione di tutta la
corte
celestiale,
la persecuzione de' giuderi pessimi,
risplendenza di miracoli
in ogne cagione che si
concede, l'
assunzione in
anima e in
corpo insieme. E molte altre cose vi sono
in esse, le quali non sono
vere, come se che san
Tommaso
non vi fosse
e, venendo, abbia dubitato, e altre
simili, con ciò sia cosa che cotali cose non sono da
predicare, ma
maggiormente da lasciare stare". Le
vestimenta sue si dice che rimasono nel sepolcro a
consolazione
de'
cristiani; onde d'alcuna parte di quelle
vestimenta si racconta
avvenuto un cotale miracolo.
Abbiendo il
capitano de'
Normanni
[ms.: Romani] assediata la
città di
Carnotesi, il vescovo di quella
città tolse
la gonnella de la
beata Vergine Maria, la quale si
conservava
quivi, e
puosela in su una
aste a modo di gonfalone;
e,
seguitandolo il popolo, uscì fuori a' nemici, e
incontanente tutta l'oste de' nemici fu percossa da
smemoraggine e da
ciechitade; e stavano in triemito con
tutto il
corpo e sbigottiti ne l'
animo. Veggendo ciò
quelli de la
cittade, per giudicio di Dio
sopraggiungono
i nemici e uccisergli
crudelmente; la quale cosa fu provato
che
spiacesse molto a la Vergine, però che incontanente
sparve quella gonnella, e l'oste riebbe il vedere.
Ne la Revelazione di santa
Elisabetta si legge, ch'essendo
ella una volta rapita in ispirito,
vidde in uno
luogo molto
rimoto un sepolcro
attorneato di molto lume,
e una
figura quasi di femmina iventro, la quale
attorneava
una grandissima
moltitudine d'
angeli, e, poco
stante, fu levata dal sepolcro in alto con quella
moltitudine
che le stava innanzi; ed
eccoleti venire incontro
uno uomo da
cielo, maraviglioso e glorioso, e portava
in mano ritta il gonfalone de la Croce, e con lui infinite
migliaia d'
angeli, e, così ricevendola
allegramente,
con grande
canto la ne menarono in
cielo. Da ivi a
poco tempo
Elisabetta
domandò l'
angelo, col quale ella
spesse volte parlava, che visione quella fosse. E quelli
disse: "Mostrato t'è come, sì in
corpo come in
anima,
la Donna nostra sia
assunta in
cielo".
Dice anche che
le fu revelato in quelle Revelazioni che, dopo
XL dì del
suo passamento, ella fue
assunta nel
corpo; e la
beatissima
madre di Dio, ragionando con lei, sì disse: "Dopo
l'
ascensione del Signore un
anno intero e
cotanti dì
quanti sono dal dì de l'
Ascensione insino al dì de la
mia
assunsione,
sopravvissi; tutti
apostoli furono presenti
a la mia
morte, e 'l
corpo mio seppellirono
riverentemente,
ma poi in capo de'
XL dì risuscitai". E
domandandola
Elisabetta sed ella dovesse ciò manifestare
o tenere
celato, ella rispuose che: "Non era da
manifestarlo a i
carnali e a' miscredenti, né da
celarlo
a i
devoti e a'
fedeli".
Da notare è adunque che la gloriosa Vergine Maria
fu
assunta interamente, onorevolemente,
allegramente e
eccellentemente.
Assunta è interamente in
anima e in
corpo, sì come
crede pietosamente la Chiesa. La qualcosa
molti de' santi non solamente
affermano, ma eziandio
si sforzano di provarlo per
aperte
ragioni. Ché quello
che si legge che disse san Bernardo, è una de le
ragioni,
e prendesi
per minore: "Se
Domenedio i preziosi
corpi de' santi, e
massimamente de li
alti santi come di
san Piero e di san Jacopo, ha
fatti così gloriosi e venerabili,
e
halli
esaltati di sì grande e maraviglioso
onore, che a loro sia
diputato luogo che si
convegna a
la loro
onorificanza, che tutto il
mondo trae a
riverire i
loro
corpi; non mostra che 'l
corpo de la Donna nostra
sia sopra la terra, da poi che non è
frequentato per
divota
divozione de'
fedeli, né non l'è
diputato veruno
luogo d'onore, ch'altrimenti parrebbe che Cristo
avesse
disprezzato l'onore del
corpo de la madre, da ch'elli
fa
cotanto onore a'
corpi de' santi. Anzi se 'l
corpo de
la Donna nostra fosse in terra, di peggiore
condizione
sarebbe che 'l
corpicello di veruno santo; ché appena è
veruno santo che 'l suo
corpo non sia onorato d'alcune
persone, e se 'l
corpo de la
beata
donna al postutto
non si sa, né non è onorato da alcuni, adunque
pare
ch'al postutto sia
anneghiettito dal figliuolo, la quale
cosa non è così da
credere. Resta adunque a
dire per
certo che il
corpo de la Vergine Maria, il quale non
avea veruno onore in terra, che sia fatto grandissimo
onore in
cielo".
Ancora
dice san
Geronimo che a dì
XV d'
agosto
santa Maria salìo in
cielo; ma in ciò che elli dice
de la
corporale
assunsione di Maria è anzi pietosamente
da
dubitare che da
determinare alcuna cosa. Mattamente
non niega il salire de la Vergine; ma pruova
maggiormente ched e' fosse,
avvegnadio che non lodi
quello che non è
autentico, e dice che per la scrittura
non è certo; onde ne le parole che seguitano il pruova
così: "Non mancano di quelli che
dicono che in
coloro
i quali risucitarono con Cristo sia già
compiuta la resurressione;
e alcuni sono che
credono che 'l guardiano
de la Vergine,
Joanni
Evangelista, gode con Cristo in
carne glorificata, la quale cosa non
dubitiamo noi fatta de
la
beata Vergine però che quelli che disse: Onora
il padre tuo e la madre tua; e: Non venni a rompere
la legge, ma
adempierla, per lo certo
onoròe la
madre sua sopra tutti".
E santo Agostino non solamente
afferma ciò, ma
pruovalo per tre
ragioni. E la prima dice, ch'è l'unione
de la
carne di Cristo e de la Vergine. E dice così: "La
puzza e 'l vermine è vituperio de la
condizione umana,
dal quale non
campa persona nessuna, trattone
la natura di Maria, la quale è provato che Cristo prese
di lei". La seconda ragione si è la
dignità del
corpo
suo, onde dice: "La sedia di Dio, la
camera del Signore,
il
tabernacolo di Cristo,
degna cosa è che sia com'elli,
però che così prezioso
tesoro è più
degna cosa che sia
serbato in
cielo che in terra". La terza ragione si è la
perfetta integritade de la
carne
verginale; e dice così:
"
Rallegrati, Madonna, di letizia da non potere
dire,
esaltata in
corpo e in
anima nel proprio figliuolo e
presso al tuo figliuolo, però che non
debba seguire miseria
di
corruzione quella che, parturendo figliuolo, non
seguìo neuno
corrompimento di
verginitade, acciò che
sia sempre incorrotta colei che tanta grazia riempì;
vivendo sia intera, la quale ingenerò la intera e la
perfetta vita di tutti; sia con lui, lo quale ella portò
nel suo ventre; sia
appo lui quella che lo
'ngenerò e
allattò e nutricòe, Maria,
ministratrice e servitrice di
Dio, sia
colà
dove Cristo sta. De la quale perch'io non
ardisco sentire
altrimenti, non
prosummo di
dire alcuna
cosa". Acciò fa quello che nobile versificatore disse:
"Scandit ad aethera virgo puerpera, virgula Jesse
non sine corpore [sed] sine tempore tendit adesse".
Ciò sono a
dire: "Passa a l'
aere la vergine partorente,
verga di
Jesse, non sanza il
corpo, ma sanza tempo
va ad essere".
Nel secondo luogo fu
assunta onorevolemente, però
che esso Gesù e l'
esercito di tutta la
cavalleria
celestiale
ben venne incontro.
Dice san
Gironimo: "Chi
basterebbe a pensare come gloriosamente la reina del
mondo n'
andasse oggi, con quanto
effetto di
devozione
tutta la
moltitudine de le schiere del
cielo le venne incontro
a processione, chi lo
direbbe in parole con quanti
cantari ella fue menata a la sedia, con che piacevole
volto, con che
chiara
faccia, con che
divini
abbracciamenti
ella fue ricevuta e sovr'ogne
creatura è
esaltata?".
Anche
dice elli medesimo: "Nel dì d'oggi è
da
credere che venne incontro con grande
festa la
cavalleria
del
cielo a la madre di Dio, e
attorniolla d'un
grande lume, e menarla infino a la sedia con laudi e
con
canti spirituali, e che tutta la
cavalleria del
cielo
s'
allegrò allora d'una indicibile letizia, e
giubilòe con
tutta
allegrezza. Imperò che questa
festa si rivolge a
noi ogni
anno in questo
die, a tutti
coloro è fatta
continua,
credesi ancora che esso
Salvatore per sé tutto
festereccio le venisse incontro, e
allogolla seco in sedia
con
allegrezza. Altrimenti come
avrebbe
compiuto quello
comandamento, cioè onora il padre tuo e la madre
tua?"
Nel terzo luogo fu
assunta
allegramente. Di ciò
dice
così
Gherardo, vescovo e martire, ne le sue Omelie:
"Oggi la vergine
beata ricevettoro i
cieli
rallegrando,
gli
Angeli gaudendo, gli
Arcangeli giubilando, li Troni
esultando, le
Dominazioni salmeggiando, li Principati
armonizzando, le Podestadi
ceterando, li
Cherubini e '
Serafini
innizando e
menandola infino a la sedia de la
supernale maestade di Dio".
Nel quarto luogo fue
assunta
eccellentemente, onde
dice san
Geronimo: "Questo è quello
die, lo quale la
intemerata madre e Vergine procedette
a l'altezza del
trono, e, innalzata ne la sedia del reame, dopo Cristo
siede gloriosa".
Come ne la celeste gloria sia stata
sublimata e onorata anche
dice
Gherardo vescovo ne
le Omelie sue: "Solo il Signore
Jesù Cristo
poté così
magnificamente magnificare la madre sua, sì come
fece, che da quella maestade
continuamente abbia lode
e onore, murata da i
cori de li
angeli,
affossata de le
torme de gli
arcangeli, posseduta da le
giubilazioni
de' Troni,
cinta intorno da'
balli de le
Dominazioni,
assepata intorno da li
servigi de' Principati,
abbracciata
da li
abbracciamenti de le Podestadi,
ingraziata
de li onori de le Virtudi,
attorneata di lode di
Cherubini,
da ogne parte posseduta da ineffabili
cantamenti
di Serafini. Ancora essa,
ineffabilissima Trinitade, con
perpetuale
ballo le
fae letizia e,
crescendo la sua grazia
tutta in lei, tutti gli fa
attendere a lei. Lo
splendentissimo
ardore de l'ordine de li
apostoli con ineffabile
loda sì l'
agrandisce, la
moltitudine de' martiri in tutt'i
modi s'inchina a
cotanta madonna, l'oste de'
confessori
le fa
continovo
canto, la
candidissima
brigata de
le vergini le fa
continuamente
ballo a sua gloria. Ancora
i luoghi infernali malvolentieri le fanno
urlato, e '
superbissimi
demoni gridano".
Uno
cherico,
divoto de la
beata Vergine Maria, contra
il
dolore de le
cinque piaghe di Cristo si studiava
quasi di
consolarla per queste parole ogni dì
dicea:
"
Rallegrati, madre di Dio, Vergine sanza
macchia;
rallegrati tu, che ricevesti
allegrezza de l'
angelo;
rallegrati
tu che
'ngenerasti la
chiaritade del lume
eternale;
rallegrati tu, madre di Dio,
rallegrati, santa
genitrice di Dio vergine, tu sola madre non
corrotta, te
loda ogne
creatura, madre de la luce,
preghiamti che
sia sempre
avvogada per noi". Sì che costui per molta
infermità corrotto, venne quando a l'ultima ora de la
sua vita, incominciò ad avere gran paura e
perturbazione.
Al quale
apparendo la
beatissima Donna, sì li
disse: "Perché, figliuolo mio, hai
cotanta paura, che
m'hai
cotante volte
annunziato
allegrezza?
Rallegrati
dunque tu, e acciò che tu t'
allegri
eternalmente, vienne
meco".
Ed era uno monaco molto
carnale, ma
divoto
molto a la gloriosissima madre di Dio. Sì che una notte
andando al peccato usato, passando dinanzi a l'
altare,
salutò la
beata Vergine Maria, e così uscendo de la
Chiesa, da che volea valicare un
fiume,
caddovi entro
e fue
affogato. La cui
anima abbiendo rapita i
demoni,
furono presenti gli
angeli per
liberarla. A i quali
dissero
le
dimonia: "Perché siete voi venuti qua? Voi
non
avete niente in questa
anima!" Ed eccoti immantanente
la Donna del
mondo; e pur volendo quelli rapire
l'
anima sua, la Donna gli rispuose e riprese. E
quelli
dissero: "Noi lo trovammo
finire in ree opere".
E quella disse: "Voi
dite gran
falsità; io so bene che
quando elli
andava in veruno luogo, sì mi salutava imprima,
e così
faceva a la tornata; e se voi
dite che vi
sia fatto
forza,
mettiamla nel giudicio di Dio". E
contendendo
di ciò dinanzi al Segnore, piacque che l'
anima
tornasse al
corpo e
pentessesi de le sue opere.
Infrattanto
i frati, veggendo indugiare il mattutino,
domandarono
il
sagrestano e,
andando al
fiume, ritrovarono
colui
attuffato ne l'
acqua; ed abbiendo tratto il
corpo
del
fiume,
maravigliansi come questo fatto fosse
andato;
ed eccoti subitamente colui tornare a vita, e disse
ciò che era intervenuto, e
finìo la sua vita in
buone
opere.
Uno
cavaliere molto potente e ricco, abbiendo
iscialacquato tutti i suoi
beni, venne a tanta povertade
che elli, il quale soleva
donare le grandi cose, già
cominciava
ad avere
bisogno de le piccole. Ora avea questi
una femmina, sua moglie, che era
castissima e
divota
molto de la Vergine Maria. Sì che
approssimandosi una
grande solennitade ne la quale il detto
cavaliere solea
fare molte
donora, non
avendo già che
donare, per la
grande
confusione e vergogna, tanto che in quella
festa
passasse, se n'andò in uno
diserto luogo, acciò che vi
piagnesse la sua sciagura e schifasse la vergogna. Ed
eccoti subitamente venire a lui uno
cavallo molto terribile
con un
cavalcatore più terribile; e venne a costui,
e
dimandò la cagione di tanta
tristizia; e quando quelli
ebbe narrato tutto ciò che gli era intervenuto, que'
disse: "Se tu mi vorrai ubbidire in poco cosa, io ti
farò avere più ricchezze ed onore che tu non
avevi
prima". Quelli rispuose al
diavolo di fare volentieri ciò
che
comandasse, pure che elli
adempia la
promessa. E
'l
diavolo disse: "
Andra'tene a
casa tua, e
cerca in
cotale luogo, e troverrai
cotanti pesi d'oro e d'
argento,
e
cotante pietre preziose, e tu mi
farai questo che tu
mi
menerai
mogliata in cotale luogo". E 'l
cavaliere
tornò a
casa sotto cotale
promessione, e trovò ogne cosa
come il
diavolo li disse, sì che tosto
comperò
palagi e
donò grandi
doni, ricomperò i poderi e
comperò ischiavi;
e,
appressimandosi il dì ch'era ordinato, disse a la moglie
sua: "Salite a
cavallo, ché vi
conviene un poco
venire meco a lungi". Quella con grande paura e tremore,
ma non volendo
contradire al
marito, raccomandossi
devotamente a la
beatissima Madre di Dio, e
cominciò
andare dietro al
marito. E quando furono
andati
bene oltre
allungati, trovarono una chiesa tra via; la
donna iscese dal
cavallo, e
entrò ne la chiesa, e 'l
marito
l'
aspettava di fuori. Ed ella raccomandandosi
divotamente
a la gloriosa Vergine Maria, subitamente s'
addormentòe,
e la Madre di Dio pietosissima, per tutto
simigliante a la
detta
donna, in
abito e in
agguaglianza,
uscì da l'
altare e venne fuori e salì a
cavallo,
dormendo
la
donna ne la chiesa. E 'l
cavaliere
credendo che
quella fosse la
donna sua, cioè la moglie, sì andò oltre.
E quando fu giunto al luogo
diterminato, ed eccoti venire
il
diavolo con grande
impeto, e,
approssimandosi al
luogo, incominciò a tremare e avere troppo tremore e
paura, sì che non vi fu ardito d'andare, ma disse al
cavaliere: "O
infedelissimo de gli uomini, perché hai
fatte tante scherne di me, e per
cotanti
beneficii m'hai
commesse tante
frode? Io t'avea detto che tu mi
menassi
mogliata, e tu m'hai menata la madre di Dio;
io voleva
mogliata, e tu m'hai menata Maria. Però che
faccendomi la moglie tua molte ingiurie, io mi volea
vendicare di lei, e tu m'hai
menato costei perché mi
tormenti e
mettami in inferno". Udendo l'uomo queste
cose,
maravigliosamente venne stupefatto, e per la grande
paura non potea parlare. E la Donna del
mondo disse
al
diavolo: "Per lo quale
ardimento, malvagio spirito,
hai tu voluto
dare la
morte a la
devota mia? Ma tu
non
andrai netto di questa opera; or io ti
do questa
sentenzia: che tu
discenda a lo
'nferno, e ad alcuno che
mi
chiami con
divozione non
sie mai ardito di nuocere".
Sì che quelli si partì con grande pianto, e quell'uomo
scese da
cavallo, e gittossi a' piedi de la Donna. E la
Donna il riprese, e
comandolli che tornasse a la moglie
che
dormìa ne la chiesa, e che gittasse via tutte le
ricchezze del
diavolo. Sì che tornòe e
destòe la moglie
e
narrolle tutto ciò che gli era intervenuto. E quando
furono tornati a
casa, ed
ebbero gittato via tutte le
ricchezze, stettero
divotamente ne la lode de la Vergine,
e ricevettero poscia molte ricchezze per
cortesia de la
Donna nostra.
Uno in visione fu rapito al giudicio di Dio,
il quale era molto
aggravato di peccati. Ed eccoti venire
il
diavolo, e disse a
Domenedio: "Voi non
avete
veruna propia cosa in questa
anima, ella è tutta ne
la mia signoria, ché io n'hoe la
carta
piuvica". Al
quale disse il Signore: "Ov'è la
carta tua?"
Ed
egli: "Io n'abbo la
carta che tu
dittasti con la tua
propia bocca,
e decretasti di durata eterna, però che
tu
dicesti: "A qualunque ora voi ne mangerete, sì
morrete di
morte". Adunque, essendo costui di quella
schiatta
che mangiò il frutto proibito dee morire meco
per ragione de la
carta
piuvica". Disse
Domenedio:
"O v'ha mo' chi risponde per te". Quelli stette
mutolo. Disse anche il
demonio: "Ella è anche mia,
per la ragione ch'io
l'abbo posseduta già
XXX anni, e
hammi ubbidito come schiavo proprio". E a queste parole
stette anche come mutolo. Allora disse il
demonio:
"Ancora è mia, però ched elli fece alcuni
beni; li mali
sanza
comperazione vincono i
beni". E 'l Signore non
volendo
dare tosto la sentenza contra di lui,
concedettegli
termine
otto dì, che in capo d'
otto dì
comparisse
dinanzi a lui a rispondere di tutte queste cose. E partendosi
da la presenzia del Signore con grande tremore
e
tristizia, uno gli venne incontro, e richieselo de la
cagione di tanta
tristizia. Quando quegli gli ebbe
contato
ogne cosa, sì disse: "Non temere ch'io sì te ne
aiuterò
francamente". E
domandandolo quelli come
avesse nome, disse: "Ho nome verità". Trovò anche
il secondo che l'impromisse d'
atarlo
efficacemente;
domandato del nome, disse che avea nome giustizia. Sì
che l'ottavo dì
rivenne al giudicio, e 'l
demonio gli
appuose
la prima
cosa. A questo disse la verità:
"Noi sappiamo bene ched e' sono
due morti, cioè quella
del
corpo e quella de lo
'nferno, ma quella
carta che
il
dimonio
allega,
dice de la
morte del
corpo, non di
quella de lo
'nferno; la qualcosa si manifesta in ciò,
che essendo tutti inchiusi in quella sentenzia, non
muoiono però tutti nel
fuoco de lo
'nferno". Allora
vedendo il
demonio che per quello have perduto,
appuose
a la seconda cosa; e la giustizia rispuose per lui:
"Avvegna che tu
l'
abbi posseduto per servo molti
anni, ma pure sempre la ragione
contradisse, e
dolevasi
di servire a cotale segnore, e però non
correva
sopra lui la
prescrizione". A la terza cosa non ebbe
neuno
aiutatore; disse il Segnore: "Sia recata
la stadera, e siano pesati tutti i
beni e' mali".
La veritade e la giustizia
dissero al peccatore: "Ricorri
con tutta la
mente a la madre de la misericordia,
la quale siede a lato al Segnore, e
brigati di
chiamarla
che t'
aiuti". Quando ebbe ciò fatto, la Madre
de la pietade sovvenne incontanente nel suo
aiuto, e
puose la mano sopra la stadera da quella parte dove
erano i pochi
beni, e 'l
diavolo si sforzava di trarre
da l'altra parte, ma la madre de la misericordia
poté
più di lui, e liberòe il peccatore. Sì che l'uomo essendo
tornato a sé,
mutò la vita in migliore
condizione.
Ne la
città di
Barunti, intorno a gli
anni
Domini di Cristo
DXXVII,
comunicandosi li
cristiani il
dì de la
Pasqua, uno
fanciullo giudeo andò tra '
fanciulli
cristiani a l'
altare, e prese con loro il
corpo di Cristo.
Ritornato il
fanciullo a
casa, essendo
domandato dal
padre onde venisse, rispuose ch'era
andato a la chiesa
co'
fanciulli
cristiani co' quali
andava a la scuola, ed
erasi
comunicato con loro. Allora il padre ripieno di
furore, prese il
fanciullo e
gittollo entro uno
forno ardente
che era ivi presso. E incontanente la santissima
Madre di Dio gli
apparve in
forma d'una vergine, la
quale il
fanciullo avea veduto sopra l'
altare, e
guardollo
dal
fuoco. E la madre del
fanciullo
chiamòe con
sue grida molti de'
cristiani e de' giudei, i quali, vedendo
il
fanciullo nel
forno, e non ne avea male veruno,
sì nel trassero fuori, e
domandandolo com'era
campato,
quelli rispuose: "Quella Donna
reverenda che sta in
su l'
altare, sì mi vidde e sì mi
diede
aiuto e
cacciò
da me ogni
arsura". Allora i
cristiani, intendendo che
quella era la imagine
della Donna nostra, presero il padre
del
fanciullo, e
gittarollo entro il
forno, e incontanente
vi fue
arso e
consumato.
Alcuni monaci stavano anzi
die lungo il
fiume
ed ivi si ragionavano loro
favole e altre parole
disutili,
ed
eccoliti udire nocchieri, che navicavano per lo
fiume
con grande
impeto; a i quali
dissero li monaci:
"Chi siete voi?" Quelli
dissero: "Noi siano
demoni
che ne portiamo a lo
'nferno l'
anima d'
Ebroino, proposto
de la
casa de' re di Francia, il quale fue apostata
del monasterio di san
Gallo". Udendo ciò, e' monaci
temettero
fortemente, e
cominciarono a gridare ad
alte
boci: "Santa Maria, ora per noi!" E le
demonia
dissero
loro: "Voi
avete
chiamato santa Maria, e però
siete voi
campati; ché noi vi volavamo
sommergere,
per ciò che noi v'
avevamo trovati
favoleggiare
dissolutamente
fuori d'ora". Sì che i monaci ritornarono al
monasterio, e le
dimonia se n'
andarono in inferno.
Una femmina
sostenea molta
molestia dal
demonio,
che
apparìa a lei visibilemente in
forma d'uomo. E
molti rimedii vi
dava la femmina, or con l'
acqua
benedetta,
or con questo, or con quello; e non se ne rimaneva
con tutto ciò. Sì che un santo uomo la
consigliò
che quando venissero, ella, con le mani levate, gridasse:
"Santa Maria,
aiutami!" Quand'ella l'ebbe fatto, il
diavolo, quasi percosso d'una pietra, ispaventato stette
fermo, e poco stante disse: "Il mal
diavolo
entri in
bocca di colui che lo t'insegnò". E incontanente sparve,
e none andò più a lei.
Nota che uno miracolo è ne la fine de la leggenda di santo
Ippolito, per ciò che vi si tocca in parte di santo
Ippolito.
cap. 115, S. Bernardo
La sua vita scrisse
Guiglielmo,
abbate di santo
Teodorico,
compagno di san Bernardo, e
Ernaldo
abbate di
Buona Valle.
Bernardo fu nato in Borgogna in Castel
Fontane, di
nobili e religiosi padre e madre. Il cui padre ebbe nome
Celestino,
cavaliere
valoroso al
mondo e non meno religioso
a Dio, e la madre fu
chiamata
Aaleth, Costei
ingenerò
sette figliuoli: i
sei maschi e una femmina;
li maschi che
doveano essere tutti monaci, e la femmina
monaca. Sì tosto com'ella
partorìa il
fanciullo, con le
sue propie mani l'offeriva al Segnore: non volea che
fossero nutriti d'altro petto che del suo,
credendo quasi
col latte materiale
dare loro la natura del bene materiale.
Quando il
fanciullo fu
cresciuto, quanto tempo
ella l'ebbe a sua mano,
maggiormente nutricava a
l'
eremo e lui e gli altri ch'ella non facea a la
corte
secolaresca,
pascendoli di
cibi grossi e
comunali, quasi
com'elli dovesse mandare ratto a l'
ermo. Quando ebbe
ingenerato il terzo figliuolo, cioè Bernardo,
portandolo
ella ancora nel ventre, vidde un sogno, ch'era
profezia di quelle cose che
doveano essere di lui, cioè
un
catello
bianco, e nel
dosso tutto cotale come rosso,
e
latrante parea ch'ella
avesse nel ventre. La quale
cosa quando ella ebbe
detta ad uno santo uomo, quelli,
quasi profetando, le rispuose: "D'uno ottimo
catello
sarai madre, il quale sarà guardiano de la
casa di Dio,
e
abbaierà grandemente contra li nemici, e saràe un
nobile predicatore, e molti ne guarrà con la grazia di
Dio, con la sua lingua medicinale".
Essendo dunque Bernardo ancora molto
fanciullo, e
avendo gran
duolo nel capo, venne una
femminella a
lui per mitigarli il
duolo co' suoi incantamenti, ed elli
con grande
ira sì la
caccia via da sé,
gridandole addosso.
Sì che al
fanciullo di
buon
zelo non venne meno la
misericordia di Dio, ma, levandosi incontanente,
conobbe
ched elli era liberato. Ne la santissima notte de la
nativitade del Signore,
aspettando il
fanciullo Bernardo
l'officio del mattutino ne la chiesa,
desiderando di
sapere a quale ora de la notte il Signore fosse nato,
apparveli il
fanciullo
Jesù, quasi un'altra volta dinanzi
a gli occhi suoi nascente del ventre de la madre. Onde,
mentre che visse, sempre pensò che questa fosse l'ora
che il Signore nacque. Sì che da quell'ora innanzi, in
quello che s'appartiene a quello sacramento, gli fu
dato
il sentire più profondo, e il parlare più
copioso, onde poi
a laude de la
'ngeneratrice de' suoi trattati,
compuose
quella
solenne operetta, ne la quale
ispianòe quella lezione
del Vangelio: "Mandato fu l'
angelo
Gabriello".
Vedendo l'
antico nemico che il
fanciullo avea così
buono proponimento, ebbe invidia al proponimento de
la sua
castità, e
contrappuoseli molti
lacciuoli de la
tentazione
carnale. Ché abbiendo elli alcuna volta tenuti
gli occhi
fissi a guardare ad una femmina per
alquanto tempo, vergognossi incontanente di se medesimo,
e,
faccendone di sé
crudele vendetta, gittossi entro
un'
acqua
agghiacciata, e tanto vi stette entro, che
diventòe
poco meno morto, sì che per la grazia di Dio
rifrigeròe tutto dal
calore de la
concupiscenzia de la
carne.
Intorno a quello tempo per opera del
diavolo,
dormendo
elli nel letto, sì si trovò a lato una pulcella ignuda,
la quale elli sentendo, con tutta pace e silenzio, le lasciò
quella parte del letto ch'ella
aveva preso, e rivolsesi a
dormire ne l'altro lato. Ma quella
cattiva,
sostegnendo
e
aspettando alcuno
spazio di tempo, poscia
toccandolo
e
puntellandolo, a la perfine vedendo che pure stava
fermo, quella, avvegna che fosse
isvergognatissima, sì
ebbe un poco di vergogna, e, per lo grande
errore e
maraviglia, sì si levò di letto e
fuggìo.
Albergando lui in
casa d'una
donna, quella
vedendolo
un giovane
bello a vedere, fu presa
fortemente di
lui e,
abbiendoli fatto
acconciare uno letto ispartito da
gli altri, ella
isvergognatamente e
quietamente si levò
la notte e andò a lui. Quando elli l'ebbe sentita, incontanente
gridò e disse: "Al ladro, al ladro!". A la
quale
voce la femmina
fuggì. La
famiglia si leva, e la
lucerna fu
accesa, e
cercarono per lo ladro; ma non fu
trovato. Tornando tutti a
dormire, gli altri si posarono,
ma quella misera non si posava, ma lievasi un'altra
volta per
assalire il letto del giovane, ma elli gridò
ancora: "Al ladro! Al ladro!".
Cercarono del ladro
ancora, ma quelli solo che 'l sapeva non lo volle
dimostrare.
E anche la terza volta la ria femmina
fu così
cacciata. A la perfine vinta o per paura o per
disperazione,
appena si rimase. Il seguente
die
camminando
lui, i
compagni il ripresono, e
domandavallo perché tante
volte
aveva sognati i ladroni. A i quali elli disse:
"
Veramente questa notte abbo
sostenuto
agguati di
ladroni, però che l'oste nostra si sforzava di
torrermi
il
tesoro de la
castità, che non si puote ricoverare".
Veggendo dunque che non era sicura cosa
abitare
col serpente,
cominciò a pensare di
fuggire, e da quell'
ora sì
fermò d'
entrare ne l'Ordine di Cestella. La
quale cosa saputa da'
fratelli, e ritraendolo a loro podere
di questo proponimento, tanta grazia gli
diede
Domenedio,
che non solamente
non era ritratto da'
fratelli,
ma elli li guadagnò tutti a
Domenedio a religione, e
molti altri. Ma Gerardo, suo
fratello,
pro'
cavaliere,
pensava che fossero vane queste parole del
fratello, e al
postutto si gittava di dietro i suoi
ammonimenti. Allora
Bernardo, già acceso ne la fede e per
zelo disopra,
in ispirito, in maraviglioso modo disse a lui: "Io so,
fratello mio, io so che sola turbazione
darà intendimento
a l'udire". E
ponendoli il
dito al
costato, disse: "E
verràe
die, e tostamente verrà, quando la lancia
forerà
questo
costato, e
darà via al
cuore tuo al
consiglio che
tu
caccia via". Sì che da ivi a pochi dì
Gherardo fu
preso da' nemici, e in quello luogo dove il
fratello
avea
posto il
dito, gli fu
dato d'una lancia, e con essa ne
fu menato e messo in pregione. E Bernardo andò a lui
e, non essendo lasciato
parlarli, gridò a lui e disse:
"Sappi,
fratello
Gherardo, che di
corto
dovemo
andare a
entrare nel monasterio". In quella notte li
caddero le
bove de le gambe, e, aperto l'uscio per se
medesimo,
fuggì lietamente, e
dimostrò che
aveva
mutato
proponimento, e volevasi fare monaco.
Sì che ne l'
anno de la 'ncarnazione del Signore
MCXII anni, ne l'
anno da la
costituzione de la
casa
di Cestella
XV, il servo di Dio Bernardo, essendo di
XXII anni,
entrò ne l'Ordine di Cestella con più di
XXX compagni. Ed uscendo Bernardo co'
fratelli suoi
di
casa
del padre,
Guido, il maggiore de' figliuoli di
tempo, veggendo il suo
fratello più minore
Nevardo,
giuocare ne la piazza con gli altri
fanciulli, sì li disse:
"
Ai,
fratello
Nevardo, a te solamente rimane tutta la
terra de la nostra possessione!" Al quale rispuose il
fanciullo, ma non
fanciullescamente: "Dunque
avete
voi il
cielo, e a me solamente lasciate la terra?
Questa
divisione non è fatta per
iguale parte". Sì che
poco tempo rimase col padre, e poi seguitòe li
fratelli.
Entrato dunque ne l'Ordine il servo di Dio Bernardo,
in tale maniera fue tutto
mutato in ispirito e
dato del
tutto a
Domenedio, che già non parea che
avesse sentimenti
di
corpo. Quando ebbe già
compiuto l'
anno ne
la
cella de'
novizi, non sapeva ancora se la
casa
avesse
volta. Molto tempo
entrando ne la chiesa e uscendo,
nel capo, dove erano tre
finestre, pensava che fosse
pure una. Sì che l'
abbate di Cestella mandò
due frati
ad
edificare la
casa di Chiaravalle, e puose sopra loro
Bernardo per loro
abbate. I quali
abitavano là molto
tempo in molta
povertà, sì che spesse volte
facevano
la
cucina di
foglie di
faggio e manicavano pane
d'
orzo e di veccia. E vegghiava il servo di Dio
oltra podere umano, però che neun tempo
dicea di
perdere più che quello che elli
dormìa, e riputava assai
sufficiente
comparazione del sonno e de la
morte, che
così paiono quelli che
dormono morti
appo gli uomini,
come
appo Dio quelli che sono morti
pare che
dormano.
Onde se per
avventura udisse che alcuno
ruttasse
duramente,
o giacesse men che
compostamente, in
pazienzia
nol potea
sostenere, ma ponea che quello cotale
dormisse
carnalemente e
secolaremente. Al mangiare
non era tratto mai per
diletto d'
appetito, ma per sola
paura di non venire meno; così
andava a prendere il
cibo, com'elli
andasse al tormento. Dopo il
cibo sempre
era usato di pensare quanto mangiasse, e se per alcuna
volta s'
accordasse che
avesse
trasandata la misura,
non lasciava passare sanza pena. Però che 'n tale maniera
avea levato le
dilettanze de la
gola, che grande
parte avea perduto il
conoscere de' sapori; ché
essendoli
dato a
bere l'olio per
errore, sì 'l prese a
bere, e
non lo
conobbe se non quando si trovò unte le
labbra.
Ancora il saime
crudo offerto a lui per
errore,
molti dì il mangiò per
butirro. So
lo l'
acqua
diceva che
gli sapea buono, in ciò che quando elli la
beveva sì
lo
raffredava le gote e 'l gozzo.
Ciò che avea
apparato ne le Scritture, tutto
confessava
d'avere
appreso ne le selve e ne le
campora per
meditazione, e che mai non avea
avuti
veruni maestri
se non le
querce e'
faggi; così solea
dire tra gli
amici.
A la perfine
confessòe che alcuna volta
meditando lui,
ovvero orando, tutta la santa Scrittura
apparve a lui
com'ella sta, ovvero
sposta. Alcuno temporale, sì come
elli racconta ne' Cantici, con ciò fosse
cosa che fra
il parlare di queste cose che li
dittava lo Spirito,
pognanche
con non infedele, ma pur con
fidato
animo,
riserbasse per innanzi, per avere che
dire a fare uno
altro trattato, eccoti venire una
voce a lui, e
disseli:
"Mentre che tu ti riterrai quello, non
ricevera' altro".
Ne le vestimenta sempre li piacea la povertade, ma
le
sozzure non giammai, però che
dicea che le sozzure
od erano per giudicare altrui, o per negligenzia, o per
vanagloria di se medesimo, o per essere lodato da le
persone. Onde a quello proverbio avea elli sempre in
bocca e spesso in
cuore: "Chi fa quello che non fa
neuno altro, tutti si maravigliano". Onde molti
anni
portò il
cilicio, e tennelo
celato tanto quanto poteo;
ma sì tosto come ebbe sentito che era saputo, incontanente
il lasciò, e prese le cose
comunali. Non rise
mai, che non gli
convenisse fare anzi
forza a ridere
che a
ristringersi del ridere, e al ridere suo poneva
piuttosto puntura che
freno. Solea
dire, quando era
domandato,
che
tre parti sono quelle de la
pazienzia, cioè
ingiuria di parole,
danni di cose e offensioni di
corpi.
Tutte queste cose provò d'avere in sé per questi
essempli.
Abbiendo elli mandato una lettera ad uno vescovo,
ammonendolo
amichevolemente, quelli,
fortemente
desdegnato,
riscrisse a lui una
amarissima lettera,
dicendo
così nel principio: "Salute e
non spirito di
biastemmia",
come se quello santo gli
avesse scritto da spirito
di
biastemmia. A la quale cosa rispuose il santo:
"Io no mi
credo avere spirito di
biastemmia, né avere
maladetto persona veruna, e né soe ch'io mi voglia
avere maladetto
massimamente il prencipe del popolo
mio".
Uno
abbate gli mandò
DC marchi d'
ariento per
far
fare uno monasterio, ma tutta la pecunia fu rubata da'
ladroni, quando era recata. Quando san Bernardo ebbe
ciò udito, non disse nulla altra cosa se non: "Benedetto
sia Dio, che ci ha levato questo
carico d'addosso".
Anche disse, che a
coloro che recarono la pecunia, ne
possono avere più lievemente
pazienzia, sì perché la
cupidigia de gli uomini la tolse da loro, e sì perché la
grande pecunia misse in loro grande
ardimento.
Ancora uno
calonaco regolare venne a lui, e
pregollo
con molta
preseveranza, che 'l ricevesse per monaco.
Al quale elli non
acconsentendo, ma
confortandolo
che tornasse a la chiesa sua, disse quello
calonaco:
"Adunque perché hai tanto lodata la perfezione ne'
libri tuoi, se non la vuoli
dare a colui che n'ha
disiderio?
Ora
avessi io tra mano quelli tuoi libri, ch'io al
postutto gli squarciasse!" Al quale rispuose il santo:
"In neuno di quelli hai letto che tu non possa essere
perfetto nel tuo
chiostro. Io lodo ne' libri miei che
l'uomo s'
ammendi de'
costumi, non che
muti luogo".
Allora quegli,
veramente pazzo, fece
assalto contra al
santo di Dio, e
diedegli una grande
mascellata, tale
che
diventò rossa ed
enfiata. Allora que' che v'erano
presenti volendo mettere mano a quello maladetto, il
servo di Dio si
parò loro dinanzi, gridando e scongiurandoli,
per lo nome di Cristo, che per veruno modo
non fosse toccato, né
fattoli ingiuria veruna.
A i
novizî che soleano o voleano
entrare, soleva così
dire: "Se voi v'
affrettate a le cose che sono dentro,
lasciate, qui di fuori, i
corpi che voi
avete recati del
mondo. Solo lo spirito ci
entri, però che la
carne non
fa
pro veruno".
Il padre suo, perch'era rimaso solo a
casa, andò al
monasterio, e quivi dopo alcuno tempo morìo in
buona
vecchiezza. Ma la
serocchia sua, maritata nel secolo,
con ciò fosse
cosa che ne le ricchezze e ne le
dilettanze
del secolo
pericolasse, una volta
andòe al monasterio
a visitare i
fratelli suoi, ed essendo venuta con
compagnia e con grande pompa, elli l'ebbe in
abbominio
sì come rete del
diavolo
acconcia a prendere l'
anime,
né none
acconsentìo per veruno modo d'uscire
fuori a
vederla. Veggendo quella che neuno de'
fratelli
non le si
faceva innanzi, anzi da uno de' monaci, che
era allora portinaio, fu
chiamata sterco imbrattato, tutta
quanta si
risolvette in
lagrime, e disse: "Se io sono
peccatrice, per cotali morìo Cristo; e perch'io mi sento
peccatrice, sì
adomando i
consiglio e 'l parlare de'
buoni.
Adunque, se il
fratello mio hae a
dispregio la
carne
mia, non abbia a schifo il servo di Dio l'
anima mia;
vegna e
comandi, e ciò che
comanderà sì
adempierò".
Sì che udendo il servo di Cristo questa impromessa,
uscì a lei co'
fratelli suoi, e però che non la poteva
spartire dal
marito, prima le interdisse tutta la gloria
del
mondo, e
imponendole che seguitasse la
forma de
la madre, e sì la lasciò andare. Quand'ella fue tornata
a
casa, in tal modo si mutò, che stando nel secolo,
faceva vita di
romita, e tutta fu
straniata dal
mondo.
A la perfine con molti
prieghi vinse il
marito e, prosciolta
da lui,
entrò nel monasterio.
Una volta che 'l servo di Dio era infermo, quando
parea già che volesse fare licenzia, cioè li sezzai tratti,
fu levata la
mente sua, e fu
menato e presentato dinanzi
a la sedia di Dio. Allora vi fu presente il
diavolo
da l'altra parte,
accusandolo
fortemente. Quando il
diavolo ebbe detto ciò che volea
dire, ed e' toccava a
dire al servo di Dio, per la parte sua non ispaventato,
ovvero turbato di nulla, disse così: "Io
confesso ch'io
non son
degno, né
posso per li miei
meriti
acquistare
il reame di
cielo; ma il Signore mio l'hae
acquistato
per
doppia ragione, cioè per lo retaggio del suo padre,
e per lo
merito de la passione, sì che elli si sta
contento
de l'una, e
dona a me l'altra; per lo cui
dono,
acquistandolo
elli a me, di ragione non me ne vergogno".
In questa parola vituperato il nemico e vinto, l'uomo
di Dio fu sciolto e ritornò a sé. Di tanta
astinenzia e
fatica e vegghiare
maceròe il
corpo suo che, languendo
di gravissima e quasi
continua
infermitàe, appena potea
seguitare il
convento.
Una volta essendo lui infermo gravissimamente,
istando i frati
perseverantemente in orazione per lui,
alquanto si sentì megliorato, e a' frati raunati disse
così: "Perché tenete voi il misero uomo? Voi siete
più
forti e
avete più potuto di me; or mi perdonate,
pregovene,
perdonatemi e lasciatemi partire".
Essendo lui
chiamato vescovo da molte
cittadi, e
massimamente
da la
città di
Genova e di
Melano, essendo
adomandato e non
acconsentendo, ma rifiutando, al
tutto
diceva così: "Io non sono mio, ma sono
diputato
al
servigio altrui". Ed i frati, per
consiglio del servo
di Dio, s'
avieno proveduto, ed erano bene
forniti da
l'
autorità del Sommo Pontefice, che neuno potesse
torre loro quella loro
allegrezza. Adunque ad un tempo
abbiendo lui
visitati i frati di
Cartugia, ed elli
essendone
molto
edificati da lui in tutte cose, una cosa fue
quella che mosse
alquanto il priore del detto luogo:
cioè che la sella, dov'elli sedeva
cavalcando, era troppo
anneghittita e non poco
trasandava la
povertà. La
qualcosa il detto priore quando ebbe
detta a l'uno de'
tre, e quelli al servo di Dio, il servo di Dio,
maravigliandosene
non meno,
domandava chente era la sella,
però che da Chiaravalle insino a
Cartugia era venuto, e
pertanto non sapea chente si fosse la sella.
Andando altressì lungo lago di
Lausano il
viaggio
di tutto uno
die, al postutto
nol vidde,
ovvero non
s'accorse di vederlo. Ché quando venne la sera i
compagni
ragionavano di quello lago, ed elli gli
domandò
dove quel lago fosse, e
coloro, udendo ciò, molto se ne
maravigliarono.
Vincea sanamente in lui il nome de l'
altezza l'umiltà
ch'egli avea nel
cuore, né
nol potea tanto tutto il mondo
levare in alto, quando elli più s'
abbassava solo. Per
sovrano uomo era
domandato da tutti; ma elli si riputava
basso, e colui lo quale tutti si metteano innanzi,
elli non si mettea innanzi a veruno. A la perfine, sì
com'elli
confessava, tra i sovrani onori e
favori de'
popoli gli parea essere rimutato in uno altro uomo, e
maggiormente si riputava non
esservi, come s'imaginasse
che fosse un sogno. E quando si trovava fra i
più semplici frati, sempre gli
leceva usare con essi
amichevole
umilitade, e
rallegravasi che si trovava quivi
essere ritornato ne la propia persona. Sempre era trovato
ad alcuni di questi
esercizii orare o
leggere o scrivere o
pensare o
edificare li frati per parole.
Una volta predicando lui al popolo, veggendo che
tutti stavano
attenti e
divoti a udire le sue parole, ne
l'
animo suo
entrò una cotale tentazione: "
Veramente
predichi testeso troppo bene, e da tutti
se' udito volontieri
e tenuto savio da tutti". Ma l'uomo di Dio sentendosi
essere menato da tale tentazione, stette fermo
un poco, e
cominciò a pensare s'egli
andasse innanzi
o s'e' facesse fine. E incontanente per l'
autorio di Dio
confortato, rispuose
chetamente al tentatore: "Né per
te incominciai, né per te
lascerabbo"; e così procedette
in su la predicazione infino a la fine.
Un monaco il quale era stato al secolo rubaldo e
giocatore, fue tentato dal nemico di volere tornare al
secolo e, non
potendolo san Bernardo ritenere,
dimandollo
di che viverebbe. Quelli disse: "Io so giucare a
zara, che me ne potrò
vivere". Disse il santo: "Se io
ti
commetto il
capitale, vuo' tu tornare ogn'
anno a me,
e
dividere meco il guadagno?" Quelli udendo ciò, sì
si
rallegrò, e
promissegli di
farlo volentieri. Sì che li
fece
dare
XX soldi, e quelli si partì con essi. E questo
faceva l'uomo di dio per
poterlo richiamare ancora, sì
come poscia
addivenne. Quelli andò e, da che ebbe perduto
ogne cosa, ritornò
confuso a la porta del monasterio.
Udendo ciò, l'uomo di Dio uscì fuori lieto a lui,
e
parò il grembo per
dividere con lui il
prode. E quelli
disse: "Niuna cosa ho guadagnato, padre, anzi hoe
perduto il
capitale vostro; se volete me per quello cotale
capitale, sì mi togliete". Al quale rispuose il santo
benignamente: "Se così sta il fatto, meglio è che io
ti riceva, che perdere l'uno e l'altro insieme".
Una volta che l'uomo di Dio
cavalcava una
giumenta
per andare in alcuno luogo, parlando con esso un
villano,
caddeli in
forma di
condolersi a lui de la
mobilezza del
cuore ne l'orazione. Quegli udendo ciò, incontanente
il
disprezzò, e disse di sé che avea il
cuore fermo e
stabile ne le sue orazioni. E
volendolo il santo
costrignere
de la sua
presunzione, sì li disse: "
Cansati un
poco,
frate, da noi, e
di' il
Paternostro con tutta quella
attendanza che puoi; e se tu il puoi
dire sanz'altra
vacazione
di
cuore insino a la fine, incontanente sanza
dubbio, la
giumenta dov'io seggio, sarà tua. Ma tu mi
prometterai che se tu vi penserai veruna altra cosa,
che tu
nol mi terrai
celato". L'uomo fu lieto, ché si
tenea d'avere guadagnata la
giumenta; e
arditamente
si
cansa e,
raccogliendo se medesimo, incominciò a
dire
il
Paternostro. Appena ebbe
compiuta di
dire la metà,
ed
eccolti venire in
cuore uno
impronto pensiero di quella
sella, sed e' la dovesse avere con la
giumenta. Quando
se ne fu
accorto, tornò ratto al santo, e
dimostrolli quel
ch'elli avea pensato
sollicitamente in quella orazione,
e non ebbe poscia come prima
matta
presunzione di se
medesimo.
Frate Ruberto, monaco di san Bernardo e, secondo la
carne, suo
parente, ne la sua
gioventudine ingannato
per male
conforto d'alcuni,
si portò a Clunì. E 'l venerabile
santo poi che si fue infinto di non
saperlo alcuno
temporale,
manifestamente ordinòe di
richiamarlo
per la lettera; la quale,
dittando elli a la scoperta e
scrivendola un altro monaco di sua bocca, subitamente
e non pensatamente venne una grande
piova, e colui
che scriveva
cominciò a ripiegare la
carta; e 'l santo
li disse: "Egli è opera di Dio, none avere paura di
scrivere". Sì che scrisse la lettera nel
miluogo de la
pioggia, e, piovendo da ogne parte, impertanto quivi non
fece
danno la
piova
scacciata da la virtù de la
carità.
Avendo occupato una grande
moltitudine di
mosche
da non potere
credere uno monasterio, che 'l servo di
Dio
aveva ordinato, in tale modo che grave noia
facevano
a tutti, e l'uom di Dio disse: "Io le scomunico".
Sì che la mattina le trovarono tutte morte.
Essendo mandato dal sommo Pontefice a
Melano per
riconciliare lo 'mperadore con la Chiesa, ed essendo già
tornato a Pavia, uno gli menò la moglie sua indemoniata,
e incontanente il
demonio, per bocca di quella
misera femmina, gli
cominciò a
dire villania, e
diceva:
"Non mi
caccerai da l'
uccellina mia, tu che mangi
i porri, e
divori le
brasche". E l'uomo di Dio la rimandò
a la chiesa di san Siro; e san Siro volle fare
onore a l'ospite suo, né non le fece veruna
cura di
guerire; e così fu
rimenata a l'uomo di Dio un'altra
volta. Allora il
diavolo
cominciò a
dire: "Non me ne
caccerà
Sirello, né Bernardo". E 'l servo di Dio disse:
"Né Siro, né Bernardo ti
caccerà, ma messere
Jesù
Cristo". E quando ebbe fatta l'orazione, il
diavolo
disse: "De! come io uscirei volentieri di questa
uccellina
essendo
gravemente tormentato in lei! Ma non
posso, perché non vuole il grande Signore
Jesù Nazareno!"
E 'l santo disse: "E chi è il gran Signore?"
E que' rispuose: "
Jesù Nazareno". E il servo di Dio
disse: "Or
vedestilo tu mai?" Il
diavolo disse: "Maie
sì". Disse il santo: "Or dove il vedesti?" Disse il
demonio: "In gloria". Disse il santo: "Or
fosti tu
mai in gloria?" Que' disse: "Sì
fui". Disse il santo:
"Come n'uscisti?" Rispuose il
demonio: "Con esso
Lucifero ne
cademmo molti". E tutte queste cose parlava
il
demonio con
voce di pianto per bocca de la femmina
vecchierella,
udendolo tutti. Disse a lui l'uomo
di Dio: "Or vorresti tu tornare in quella gloria?"
E quelli
cominciò a fare le maggiori risa del
mondo, e
disse: "Egli è tardi". Allora, orando il servo di Dio,
il
demonio uscì di quella femmina; ma quando il santo
si fu partito quindi, il
diavolo
entrò un'altra volta in
lei, e 'l
marito de la femmina
corse dietro al santo e
contolli quello ch'era intervenuto. E quelli gli fece legare
una
cordellina al
collo, che v'era scritto entro queste
parole: "Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, ti
comando,
dimonio, che tu non
ardischi di toccare oggimai
questa femmina". Quando ciò fue fatto, non fu
ardito di tornare mai poscia a lei.
In Aquitania era una femmina misera, la quale era
miseramente
angosciata da uno
demonio lussurioso e
soprastante, che
sei
anni l'usòe in mal modo e
angosciandola
d'
incredibile lussuria.
Veggendola elli l'uomo di Dio, il
demonio minacciò
fortemente la femmina che non
andasse a lui, però che
non le potrebbe giovare, e da che si fosse partito, se
prima era stato suo
amatore,
diventerebbe
crudelissimo
perseguitatore. Ma ella andò
sicuramente a l'uomo di
Dio, e
contolli con molto pianto quelle cose che ella
patìa. E 'l santo le disse: "Tolli questo mio
bastone
e
mettilo nel letto tuo, e se può fare nulla, sì 'l
faccia".
Quando ella l'ebbe fatto, e
fussi posta a riposare
nel letto suo, que' venne incontanente, ma non fu ardito
né d'andare a l'usata opera, né pure a letto, ma
minacciolla
agramente che, quando il santo si partisse, si
vendicherebbe
crudelmente di lei. Quand'ella l'ebbe udito,
il disse al santo; e elli ragunò il popolo e
comandò
che tutti
avessero le
candele accese in mano, e con
tutti quelli che v'erano presenti
iscomunicòe il
demonio,
e
interdisseli che non
andasse mai più a lei. E così
ella fu liberata al tutto da cotale illusione.
Con ciò fosse
cosa che 'l santo fosse mandato per
legato ne la
detta provincia per
pacificare il
duca d'Aquitania
con la Chiesa, ed elli al tutto rifiutasse la
pace, il santo di Dio andò a l'
altare per
dire la
Messa,
aspettandosi il detto
duca dinanzi a le
regge de
la chiesa, sì come uomo ch'era scomunicato. E quando
ebbe detto:
"Pax Domini" ne la
Messa, puose il
corpo
di Cristo in su la
patena, e
portollo seco, e uscì così
fuori con una
faccia infiammata, con gli occhi
ardenti,
e
assalette quello
conte con terribili parole, e disse:
"Noi t'abbiamo
pregato assai, e tu ci hai
spregiati;
ecco ch'è venuto ora a te il figliuolo de la Vergine,
il quale è signore de la Chiesa, la quale tu perseguiti.
Egli è presente il giudice tuo nel cui nome ogne ginocchio
si piega; è anche presente il
Domenedio tuo a
le cui mani
capiterà l'
anima tua. Or
ispregera' Lui,
come tu
fai i suoi servi? Or li
contasta, se tu puoi!"
Incontanente il
duca
cadde tutto a terra e,
discioltelesi
tutte le
membra, si gittò a' piedi suoi. Il santo il toccò
col
calcio, e
comandolli ch'elli si levasse, e udisse la
sentenzia di Dio. Quegli si levò con tremore, e ciò che
'l santo di Dio gli
comandò, sì
adempié incontanente.
Essendo l'uomo di Dio
entrato nel reame di Germania
per
pacificare una grande
discordia, uno
arcivescovo
gli mandò uno venerabile
cherico. E
dicendoli
il
cherico com'egli era stato mandatoli incontro, l'uomo
di Dio rispuose: "Altro segnore t'ha mandato".
Quelli, maravigliandosi,
affermava pure che non era
mandato da altro segnore che dal suo. E da l'altra
parte
dicea il santo: "Tu se 'ngannato, figliuolo, tu
se' ingannato! Maggiore segnore è quelli che t'ha
mandato, cioè Cristo". Il
cherico intendendo la parola,
sì disse: "Or pensi ch'io voglia essere monaco? Non
piaccia a Dio! Non l'ho pensato, né non mi viene in
cuore; non ci
diciamo più parola". In quello
viaggio
li fece lasciare il secolo, ed ebbe l'
abito di monaco
dal santo di Dio.
Avendo lui ricevuto a l'Ordine uno
cavaliere molto
nobile, ed elli seguitando l'uomo di Dio alcuno tempo,
cominciò a essere tentato d'una gravissima tentazione.
E
veggendolo uno de' frati suoi molto tristo,
domandò
quale fosse la cagione di tanta
tristizia. E quelli li
rispuose: "Io so ciò, disse, io so ch'io non sarò giammai
lieto". La quale parola quando quello
frate ebbe
contata a l'uomo di Dio, sì pregò
Domenedio per lui
attentamente. Incontanente quello
frate ch'era
così
gravemente tentato e così tristo, fu
cotanto più lieto,
e
giocondo
apparve più che gli altri quando elli era
prima più tristo che gli altri. Onde quando il detto
frate
gli rimproverava
amichevolemente la parola di
tristizia
che quelli avea
detta, quelli disse così: "E s'io il
dissi, ora
dico così: che giammai non sarò tristo".
Essendo santo Malachia, vescovo d'Irlanda, la cui
vita piena di vertudi il santo di Dio scrisse, passato di
questa vita e
andatone
beatamente a Cristo, offerendo
per lui il santo di Dio l'ostia santa a la
Messa,
cognobbe,
per revelazione di Dio, la gloria di colui e,
spirandolo
Domenedio,
mutò dopo la
comunione la
forma
de l'orazione con
allegra
voce, così
dicendo: "
Domenedio,
il quale il
beato Malachia hai
agguagliato a le
merita de' tuoi santi,
preghiamti che tu ci
doni che
raccordando la
festa de la
morte sua preziosa, seguitiamo
l'
essemplo de la sua vita". E
accennandoli il
cantore ched elli
errava, quelli disse: "Non
ero no;
ben so che mi
dire". Poscia andò per
basciare le sue
sante pedate.
Infra 'l tempo de la
Quaresima essendo elli
visitato
da molti
baroni, sì gli pregò che
almeno in quelli santi
dì s'
astenessero de le vanitadi e de le lascivie del
mondo.
Coloro non
acconsentendoli per veruno modo,
fece
mescere lo vino loro, così
dicendo: "
Bevete il
beveraggio de l'
anime".
Beuto che l'
ebbero, sì si
partiro subitamente mutati, e quelli ch'
avevano
negato
piccolo tempo,
diedero tutto il tempo de la vita loro a
Domenedio.
A la perfine il santo padre,
appressimandosi a la
morte,
disse a' frati suo': "
Tre cose vi lascio ad osservare,
le quali mi
raccordo avere osservato nel
corso de la
presente vita al mio potere. A neuna persona ho voluto
fare
scandalo e, se alcuna volta vi sono caduto, sì l'ho
pacificato al mio potere. Sempre ho
creduto meno
al mio senno, ch'a l'altrui. Di colui che m'offendesse,
non
domandai giammai vendetta.
Ecco dunque che vi
lascio
caritade e umilitade e
pazienzia".
A la perfine, poi ch'ebbe
fatti molti miracoli, e ordinati
CLX monasterii, e
composti molti libri e molti trattati,
compiuto il tempo de la vita sua, nel torno di
LXIII anni, ne li
anni
Domini
MCLIII, morìo in
Domenedio,
tra le mani de' suoi figliuoli.
E dopo la
morte sua
manifestò la gloria sua a molti.
Ch'egli
apparve ad uno
abbate in alcuno monasterio, e
ammunillo che 'l seguisse. E quei
seguitandolo, disse
a lui il santo: "
Ecco che verremo al monte del Libano,
e tu starai qui infermo, ma io monterò lassù". E
domandato da lui a che fare volesse salire: "Sì, disse,
io voglio
apprendere". Quelli si
maravigliò, e disse:
"Or che vuoli imprendere, padre, al quale non
crediamo
che veruno sia dopo te in iscienzia?" E 'l
santo rispuose: "Niuna scienzia e qui, e niuno
conoscimento
di verità, ma là suso è la plenitudine de la
scienzia, là suso è il
conoscimento de la verità". E
detta
questa parola, isparve. Colui che vidde questa visione
notòe il
die, e trovò che allora san Bernardo era
uscito del
corpo. Molti altri miracoli, e quasi sanza numero,
fece
Domenedio per lo servo suo santo Bernardo.
cap. 116, S. Timoteo
Timoteo essendo
gravemente tormentato dal prefetto
di Roma, e poi essendo sparta la
calcina
viva sopra le
piaghe sue, ed egli in queste cose rendendo grazie a
Domenedio,
due
angeli gli stettero dinanzi, e sì li
dissero:
"Leva su il capo, e poni
mente il
cielo". E,
ragguardando, vidde il
cielo aperto e
Jesù Cristo che
tenea una
corona di
gemme in mano, e
diceva a lui:
"Questa riceverai tu di mia mano". La qualcosa veggendo,
uno uomo che avea nome Apollinari, fecesi
battezzare.
Laonde il prefetto gli fece
decapitare
abendue,
perseverando loro ne la
confessione del nome di
Jesù
Cristo,
intorno a gli anni Domini LVII.
cap. 117, S. Sinforiano
Sinforiano nato ne la
città d'Agosta, essendo
ancora giovane,
risplendeva di tanta gravezza di
costumi,
che pareva che trasandasse la vita de' più vecchi.
Faccendo dunque i pagani la
festa da Venus, e
portandolo
l'idolo suo dinanzi ad
Eraclio prefetto,
Sinforiano
vi fu presente e, non volendo
adorare, fu battuto lungamente
e messo in prigione. Essendo poi tratto di
pregione e costretto a sacrificare e
promessogli molti
doni, sì disse: "Lo Dio nostro secondamente ched elli
sae rimunerare i
meriti, e così sa punire i peccati;
adunque la vita che noi siamo tenuti di rendere a
Cristo per lo
debito,
rendiamogliele per
desiderio.
Tardo
pentimento è sotto giudicio avere temuto il
cospetto. I
doni vostri, che testeso paiono
coloriti, mischiati di
dolcezza
di
mele, a le mal
crudeli
menti parturiscono veleno.
La
cupidezza vostra abbiendo tutto, possiede nulla;
però che è obbligata da l'
arti del
diavolo e temuta da
i legami del misero guadagno, e le vostre
allegrezze a
simiglianza del
vetro, quando
cominciano a
risplendere,
sì si spezzano". Allora il giudice, ripieno d'
ira e
data
la sentenzia,
comandò che fosse morto. Il quale essendo
menato al luogo del martirio, la madre sua gridando
dal
muro, sì le disse: "Va, figliuolo mio, nel reame di
vita
eterna; ragguarda suso, e vedi colui che regna
nel
cielo; a te non è tolta la vita, ma
etti migliorata".
Sì che tosto come fu
dicollato, fu tolto il
corpo suo
da'
cristiani, e seppellito onorevolemente. Al cui sepolcro
tanti miracoli si
facevano, che eziandio da' pagani era
avuto in grande reverenzia.
Racconta Gregorio
Turonese che di quello luogo dove
il sangue suo fu sparto, uno
cristiano ne tolse tre
petruzze,
ch'erano
imbagnate nel sangue suo, e ripuosele
in una
cassa d'
argento
innasserata di fuori di legname.
La quale
cassetta abbiendo
allogata in uno
castello, e
quello
castello fu
consumato per
fuoco, ma del mezzo
del
fuoco fu tratta la
cassa intera e sana. E fu passionato
intorno a gli
anni
Domini
CCLXX.
cap. 118, S. BartolomeoDe la sua sapienza dice così san Dionisio ne la
Figurativa
Divinità: "Il
divino
Bartolomeo
dice che
la Teologia è molta e
poca, e che 'l Vangelio è lato e
grande e che 'l
corso sia tagliato. E vuole san
Bartolomeo
mostrare, seguitando la 'ntenzione di san
Dionisio, che per una
considerazione si possono tutte le
cose
affermare di Dio, ovvero per altra
considerazione
si possono tutte le cose più propiamente negare di lui,
levato da l'
amore del
mondo.
Bartolomeo
apostolo vegnendo a l'
India, la quale
è ne la fine del
mondo,
entròe in un tempio dov'era
l'idolo ch'avea nome
Ascaroth, e
cominciò a starvi
entro come uno pellegrino, in questo tempo. E uno
demonio
abitava in questo idolo, il quale
diceva che guarìa
l'infermi; ma non sovvenìa
sanandoli, ma rimanendosi
da l'
offenderli. Essendo il tempio pieno d'infermi,
e non potendo avere riposta veruna da l'idolo,
andarono
ad un'altra
cittade, dove s'
adorava uno altro idolo,
che avea nome
Berith, e
domandollo perché
Ascaroth
non li
dava loro risposta. Rispuose
Berith: "Il
domenedio
nostro è costretto di
catene di
fuoco, sì che non
può
fiatare, né parlare da l'ora innanzi che l'
apostolo
di Dio,
Bartolomeo,
entrò ne la
città di Sion".
Coloro:
"Chi è questo
Bartolomeo?" Disse il
demonio: "Egli
è
amico di Dio onnipotente, e però è venuto in questa
provincia per
votarla di tutti gli
dei
de l'India".
Dissero
coloro: "
Dicci i segnali di lui, che noi il possiamo
trovare". E 'l
demonio disse loro: "I
capelli suoi
sono neri e
crespi, e la
carne
bianca, gli occhi grandi,
le nari
iguali e
diritte, la
barba lunga con pochi;
peli
canuti; la statura è
iguale; è vestito d'un
diaspo
bianco
con
chiovi di porpora lavorato; è vestito d'uno mantello
bianco che ad ogne
cantone hae
gemme di porpora.
Ventisei
anni sono che le vestimenta sue e le pianelle
non sono invecchiate, né sozzate;
cento volte il
die
con le ginocchia in terra e
cento volte la notte fa orazione.
Gli
angioli di Dio vanno sempre con lui che non
lasciano mai né
affaticare, né avere
fame. Sempre sta
d'un modo
allegro nel volto e ne l'
animo; tutte le
cose vede dinanzi, tutte le cose sa bene, di tutte le
genti sa le lingue
e intende, e sa già che io parlo con
voi. E quando
cercherete di lui, se vorrà, sì si lascerà
trovare, e, se non vorrà, non si lascerà trovare. E
priegovi
quando voi l'
avrete trovato, che voi il preghiate
che non ci vegna, acciò che i suoi
angeli non
facciano
quello a me, ch'elli hanno fatto già al
compagno mio".
Con ciò dunque fosse
cosa che
cercassono
due dì
sollicitamente
per lui e non lo trovarono, un
die gridava uno indemoniato,
e
diceva: "
Apostolo di Dio
Bartolomeo, me
incendono l'orazioni tue". Disse a lui l'
apostolo: "Sta
mutolo, e
esci da lui". E incontanente fu liberato.
Udendo ciò
Polimio, re di quella
contrada,
avendo la
figliuola, la qual'era lunatica, mandò pregando l'
apostolo
che venisse a lui a sanare la sua figliuola. Essendo
l'
apostolo venuto a lei, e
vedendola legata con
catene, per ciò che
chiunque
andava a lei mordea
fortemente,
sì
comandò ch'ella fosse sciolta, e, none essendo
arditi i ministri d'
andarle presso, l'
apostolo disse loro:
"Il
dimonio, il quale era in lei, tegno io già legato,
e voi temete?" E incontanente fu sciolta e liberata.
Allora il re fece
caricare molti
cammelli d'oro e d'
ariento
e di pietre preziose, e fece
cercare per l'
apostolo,
e in niuna maniera fu trovato. Ma la mattina
seguente
apparve l'
apostolo al re, stando ne la
camera
solo, e disse a lui: "Perché mai m'hai tu fatto
andare tutto dì
caendo con oro e con
argento? Questi
doni sono necessari a
coloro che vanno
caendo
le cose
terrene, ma io non
disidero neuna cosa terrena,
né di
carne". Allora san
Bartolomeo il
cominciò ad
ammaestrare molto del modo del nostro ricomperamento;
mostrandoli infra l'altre cose, come Cristo vinse il
diavolo per
mirabile
convegnenza,
potenzia, giustizia e
sapienzia. Imperò che
convonevole cosa fue che colui
il quale avea vinto il figliuolo de la vergine, ciò era
Adamo fatto di terra, essendo ella ancora vergine, fosse
vinto dal Figliuolo de la Vergine. E
potentemente il
vinse, quando de la sua signoria il
cacciò
potentemente,
la quale il
diavolo s'avea presa per lo
discagimento del
primo uomo. E sì come il vincitore d'alcuno tiranno
manda i suoi
compagni ad
esaltare in ogne parte i suoi
titoli e
abbassare quelli del tiranno, così Cristo vincitore
manda in tutte parti i messaggi, che
anneentiscono
l'onore del
diavolo, e ordini quello di Cristo.
Ancora giustamente, acciò che colui il quale, vincendo
l'uomo
mangiante, sì 'l tenea preso, essendo vinto da
l'uomo
digiunante, non tenesse più l'uomo. Ancora
saviamente,
quando il
diavolo usòe questa
arte, che
come lo sparviere prende l'uccello nel
diserto, così elli
credette prendere Cristo nel
diserto; in questo modo che
seguitando non
avesse
fame, sanza
dubbio sarebbe Dio,
ma se
avesser
fame, così vincerebbe lui per
cibo, come
avea vinto il primo uomo. Ma non potette essere
conosciuto
per
Domenedio, però ch'ebbe
fame; né vinto
non potette essere, perché non
diede luogo a la tentazione
di colui.
Avendo dunque l'
apostolo predicato il
re de' sagramenti de la fede, sì li disse che se si volesse
battezzare, sì li mosterrebbe il
domenedio suo
legato con
catene.
Sì che il seguente
die sagrificando i pontefici a
l'idolo, per
volontà del re, il
demonio
cominciò a gridare,
e a
dire: "Rimanetevi,
cattivi, di sacrificare a noi,
acciò che non
sostegnate peggio di me, che sono rilegato
con
catene di
fuoco da li
angeli di
Jesù Cristo, il
quale i giuderi
crucifissono, pensando loro che fosse tenuto
da la
morte. Ma elli
empregionò quella
morte,
quella ch'è nostra reina, e legòe con le mani co' legami
di
fuo
co quello nostro prencipe,
autore di
morte". E
incontanente missero le
funi per mandare a terra l'idolo,
ma non poterono. E l'
apostolo
comandò al demonio che
uscisse de l'idolo e tutto lo
stritolasse; il quale n'uscì
incontanente e, per se medesimo,
spezzò e ruppe tutti
l'idoli del tempio. E poi fatta l'orazione de l'
apostolo,
tutti gl'infermi furono incontanente guariti. Allora l'
apostolo
consegròe il tempio a
Domenedio, e al
demonio
comandò che se ne
andasse nel
diserto. Allora l'
angelo
di v'
apparve e, volando intorno al tempio, a le
quattro
cantora
scolpìo la
croce col
dito suo, così
dicendo:
"Questo dice il Signore: Sì come io v'ho tutti
gueriti da le infermitadi vostre, così questo tempio sarà
purgato da ogne sozzura e da l'
abitatore suo, lo quale
l'
apostolo
comandò che
andasse in
diserto luogo. Ma
io sì lui
mosterrabbo, lo quale veggendo voi non temiate
di nulla, ma
fatevi ne le
fronti cotale
segno
chente
i' hoe scolpito in queste pietre".
Allora mostrò loro uno saracino più nero che la
fuliggine,
con la
faccia
aguta e con la
barba lunga e con
la
capegliatura infino a' piedi, con gli occhi infiammati
come
ferro
rovente, che mandavano fuori
faville, e per
la bocca e per gli occhi soffiava
fiamme di
solfo, e
avea legate le mani di drieto con
catene di
fuoco. Al
quale disse l'
angelo: "Imperò che tu hai udito il
comandamento
de l'
apostolo, e
spezzasti tutti gl'idoli
del tempio, io sì ti
scioglierò, e va in tale
luogo dove neuno uomo stea, e ivi sta di qui al
die
del giudicio". Quando quegli fu sciolto, con grande
strepito e urlamento sì
disparve, e l'
angelo di Dio
volòe in
cielo,
veggendolo tutti. Allora il re si
battezzò
con la moglie e co' figliuoli e con tutto il popolo e,
lasciando il regname,
diventòe
discepolo de l'
apostolo.
Allora tutti i pontefici de' tempî si ragunarono ad
Astrage
re,
fratello di colui, e lamentarsi a lui del
perdimento
de li
dei suoi e del
sovvolgimento del tempio
e del re ch'era ingannato per
arte di
demoni; e tutto
questo
opponeano a l'
apostolo. Sì che il re
Astrage, adirato,
mandò mille uomini
armati a prendere l'
apostolo.
Il quale
essendoli menato dinanzi, disse il re a lui:
"Or
se' tu quelli che hai
pervertito il mio
fratello?"
Disse l'
apostolo: "Io non l'ho
pervertito, ma
convertito".
Al quale disse il re: "Sì come tu hai
fatto lasciare al
fratello mio il
Domenedio suo e
credere
al tuo, così io ti
farò
abbandonare il tuo
Domenedio
e sacrificare al mio". Al quale disse l'
apostolo:
"Io abbo legato il
Domenedio che 'l tuo
fratello
adorava,
e hollo mostrato legato, e sì 'l
costrinsi di spezzare
l'idolo; se tu potrai così fare al mio
Domenedio,
tu mi potrai trarre a l'idolo tuo, e se non, io ti
atterr
errabbo
gli
dei tuoi, e tu
credi al
Domenedio mio".
Dicendo
lui queste cose fu
dinunziato al re che il
Domenedio
suo Baldac era caduto e
minuzzato. Udendo ciò
il re, sì si stracciò la porpora che avea indosso, e
comandò
che l'
apostolo fosse battuto con
bastoni e scorticato
vivo. Allora i
cristiani tolsero il
corpo suo e
seppellirollo
onorevolemente. E 'l re
Astrage e' pontefici de' tempî
furono
presi da le
demonia, e morirono. E 'l re
Polimio
fu fatto vescovo, e resse la chiesa
XX anni laudabilemente,
e poi morì in santa pace, pieno di virtudi.
Del modo de la passione di questo
apostolo sono
diverse
openioni, però che santo
Doroteo dice ched e' fue
crocefisso; e dice così: "
Bartolomeo predicò a l'Indiani,
e
diede loro il Vangelio secondo
Matteo ne la loro propia
lingua, e morìo ne la
città Albana de l'Armenia maggiore,
e fu
crocifisso col capo disotto". Ma san
Teodoro
dice ched e' fu scorticato; e in alcuni altri libri si
legge che e' fue pure
dicapitato. Questa
contrarietà sì
si scioglie in questo modo:
diremo che prima fue
crocifisso,
poscia, anzi che morisse, fue
disposto de la
croce
e, per maggiore tormento, fu scorticato; a la perfine gli
fu tagliata la testa.
De gli
anni
Domini di
Jesù Cristo
CCCXXXI li saracini
andavano
assalendo la Sicilia, guastando l'
isola
Liparitana, là
dove era il
corpo di san
Bartolomeo; e
spezzarono il sepolcro suo, e
spanderono l'ossa sue. A
questa
isola si racconta che 'l
corpo suo venne de l'
India
in questo modo. Udendo li pagani per molti miracoli
essere
riverito molto il
corpo suo, adirati di ciò, lo
missero in una
cassa di piombo e gittarolo in mare; il
quale per
volontà di Dio
capitò a la
detta
isola. Sì che
quando i saracini
ebbero sparte qua e là l'ossa, da che
si
partìano,
apparve l'
apostolo ad uno monaco, e sì li
disse: "Leva su, e ricogli l'ossa mie, che sono sparte".
Disse il monaco: "Per quale ragione le
dobbiamo noi
raccogliere, e
farti onore veruno, ché ci hai lasciati perire
e
dileguare, né non ci hai
dato
aiuto neuno?" E
'l santo rispuose, e disse: "Molto
spazio di tempo ha
Domenedio perdonato a questo popolo per li miei
meriti,
ma
multiplicando i loro peccati, e gridando insino al
cielo, non ho potuto
accattare loro più perdonanza".
E
dicendo il monaco a lui: "Come
conoscerò io
l'ossa tue fra
cotante, e l'ossa altrui?", l'
apostolo
disse: "
Anderai di notte a
raccoglierle, e quelle che
tu vederai
risplendere come
fuoco, sì le ricoglierai".
Quegli trovando ogne cosa come l'
apostolo avea detto,
tolse l'ossa sue ed
entrando in una
nave e
trasportandole
a
Benevento,
città di Puglia.
Avendo una femmina
recato uno vasello pieno
d'olio per mettere ne la lampana de l'
apostolo, quantunque
ella inchinasse il vasello sopra la lampana, non
usciva nulla; Mettendo le
dita nel vasello, e
cercando, e
trovando che l'olio era molle, incominciò uno allora a
gridare, e disse: "Io mi
credo che questo olio non piace
molto a l'
apostolo ched e' si metta in sua lampana!"
Sì tosto come l'ebbe detto, l'olio n'uscì fuori.
San
Teodoro
abbate e grande
dottore, tra l'altre
cose
dice così di questo
apostolo: "L'
apostolo di Dio
Bartolomeo primieramente predicò in
Liconia, poscia in
India, a la perfine ne la
città d'Albana de l'Armenia
maggiore, là
dove prima fu scorticato, e poi tagliatoli
la testa, e seppellito in quella terra. Il quale essendo
mandato a predicare dal Signore, udì questo, ciò mi
penso: "Va,
discepolo mio, a predicare, e
esci fuori a
la
battaglia, apparecchiati a i
pericoli. Io
compietti l'opera
del mio padre, e
diventai primo testimonio de la verità,
e voi
adempiete quello ch'è mestiere. Seguita il maestro
tuo, seguita il Signore tuo, da' il sangue al sangue per
noi, la
carne per la
carne, e
patisci quello che ho patito
io per te.
Abbi questa
arme: la
benignità ne' sudori,
la mansuetudine tra ' malfacenti, la
pazienza in quelle
cose che periscono". Non
contradisse l'
apostolo a queste
cose, ma come
fedele servo
consentette al
comandamento
di Dio: ne va
allegro sì come luce del
mondo per
alluminare gl'
intenebrati, sì come
sale di terra per insalare
gli
scipidi uomini e
femmine, sì come lavoratore
per
compiere lo spirituale lavorìo.
Piero
apostolo
ammaestra le genti, ma
Bartolomeo
dopo lui va
cercando i vizii; Piero
adopera gran
fatti,
ma
Bartolomeo fa miracoli
forti; Piero è
crocifisso col
capo disotto,
Bartolomeo, poi ched è scorticato vivo, sì
gli è tagliato la testa. A quanti ministerii prendere volle
san Piero, a
cotanti vale trapassare
basta
Bartolomeo;
i
gualmente come san Piero, riempie costui la chiesa;
per
iguali
bilancia ebbe anche gli altri
doni da Dio. Costui,
del
divino novero di
dodici, in mezzo da l'una e
da l'altra parte
dà il suono del sermonare di Dio; ché
sì come ne la
cetera tutte le
corde
danno suono d'
armonia,
così gli
apostoli,
dividendo fra loro tutto il
mondo
e
fatti
banditori del sommo re,
diedero suono d'
armonia
in tutte parti. A costui fu
dato in parte il maggiore
luogo de l'Armenia, d'
Ejulat infino a
Gabaot.
Vedilo dunque andare
faccendo i solchi per le ville
con l'
aratro ragionevole de la lingua, andare
ripognendo
la parole
della fede nel profondo del
cuore, andare piantando
il paradiso e la vigna del Signore in tutte parti,
andare
medicinando e
dando rimedio ad ogne infermità,
andare
divellendo le spine sanza intendimento, andare
tagliando le selve de la
impietade in tutte parti e andare
compognendo le siepe
domestiche. Ma chente
meriti ricevette per tutte queste cose!
Cercò per onore
disonore, per
benedizione maladizione, per
doni pene, per
vita di
riposo morte d'
amaritudine. Ché poi che questo
beato
apostolo ebbe
sostenuto tormento da non potere
patire, sì fu scorticato da
coloro; né ancora, poi che fu
partito di questo
mondo,
anneghiettìo i micidiali di sé,
ma invitava co' miracoli
coloro che gli erano perduti, e
attraeva con maraviglie
coloro che gli erano
contradi.
Ma non era nulla che
costrignesse le
menti
bestiali,
niuna cosa era che li riavesse dal male. E che
fecero
più innanzi? Intorno a quel santo
corpo incrudeliscono,
l'infermi risucitati il medico
cacciano via, colui che
guida il
mondo i
ciechi
cacciano via, e ' rotti nel mare
cacciano via il guidatore e 'l governatore, i morti
cacciano via il
risucitatore. E questo come? Ché gittano
nel pelago il
corpo santo.
Mossesi dunque con grande
impeto de le
contrade
d'Armenia l'
arca con altre
quattro d'altri martiri, le
quali, per simigliante modo e
faccendo maraviglie, furono
gittate in mare; e per tanto
spazio di mare
andarono
innanzi queste
quattro
arche, ed essendo quasi come
servigiali che
facessero per uno cotale modo
servigio a
l'
apostolo, sì vennero ne le parti d'Asia e di Sicilia,
in una
isola che si chiama
Liparis, sì come revelato
fue al vescovo d'Ostia, il quale v'era allora presente.
Venne dunque
a la
contrada poverella il
tesoro ricchissimo,
venne a la non nobile la preziosissima margherita,
venne a l'
oscuro luogo lo
splendentissimo luminare.
Andando dunque l'altre
quattro
arche a
diverse
terre, lasciarono il santo
apostolo ne l'
isola predetta;
e 'l santo
apostolo, lasciandosi indietro i
quattro martiri,
l'uno ch'avea nome
Papino, sì mandò in una
città
di Sicilia, l'altro ch'avea nome Luciano, sì mandò a
Messina, e gli altri
due sì mandò ne la terra di Calavra,
i' uno, cioè Gregorio, ne la
città c'ha nome Colonna, e
l'altro, cioè
Acazio, ne la
città che si chiama Cale, ovvero
Scalea, la quale insino al dì d'oggi è splendiente
del suo
aiuto. Sì che fu ricevuto l'
apostolo con molti
inni e laude e con assai
candele, e
fugli fatta una
magnifica chiesa. E 'l monte che a lato ha l'
isola
di Vulcano suole essere
nocevole con li
abitanti in ciò
che mettea
fuoco, incontanente quasi per
sette stadia
si
dilungòe invisibilemente, e sta sospeso intorno al mare,
sì che insino al
die d'oggi a
coloro che 'l veggiono
appare
quasi
figura di
fuggente
fuoco. Or ti salvi Iddio, ottimo
Bartolomeo
tre volte beato, il quale se
'splendore de
la
divina luce, pescatore de la santa Chiesa e prenditore
di pesci ragionevoli,
dolce
frutto, vivo tralce,
piagatore
del
diavolo
piagante il
mondo con suo ladroneccio;
rallegrisi il sole de la ritondità de la terra ch'
allumina
tutte le cose, bocca di Dio, lingua infiammata, sapienzia
manifestante,
fontana che
continovamente
rampolla
sanitadi; il quale santificasti il mare con maravigliosi
andamenti, il quale
facesti la terra
imporporata del tuo
sangue, il quale passasti il
cielo là
dove tu
se' risplendente
nel mezzo de la
divina schiera ne lo
splendore de la
incorruttibile gloria, in
allegrezza de la insaziabile
gioconditade
rallegrandoti,
eccetera". Queste cose disse
Teodoro.
cap. 119, S. Agostino
La sua vita
compuose
Possidio vescovo di
Calome, come
dice
Cassiodoro nel
libro che fece di Nobili Uomini.
Augustino,
dottore nobile, nacque ne la provincia
d'Africa, ne la
città di Cartagine, di molto onesti
parenti
ingenerato, di padre ch'ebbe nome Patricio e di
madre ch'ebbe nome
Monica. Ne l'
arti liberali
fue sufficentemente
ammaestrato, s' ch'era tenuto sommo
filosofo
e maestro
alluminatissimo. Però che i libri d'Aristotile
e tutti i libri de l'
arti liberali, quantunque poteo
avere, per se medesimo gli
apparò e intese, sì come
elli medesimo dice nel
libro de le Confessioni: "Tutt'i
libri de l'
arti che si
chiamano liberali, essendo allora
reissimo e servo de le rie
cupidezze, per me medesimo
gli lessi e 'ntesi, qualunque io potei
leggere". Anche
dice in quello medesimo
libro: "Ciò ch'è de l'
arte di
parlare e di quistionare, ciò ch'è de l'
arte del misurare
de le
figure e del
canto e de' numeri, sanza grande
malagevolezza e sanza
ammaestramento di veruno uomo
sì lo 'ntesi. Tu sai, Signore mio
Domenedio, che la
vaccenza de lo intendere e l'
aguzzamento de lo 'mprendere,
sì è tuo
dono, ma io non te ne sacrificava, Messere;
ma imperò che la scienzia sanza la
caritade
giammai non
edifica, ma
enfia,
caddi ne l'
errore de'
Manicei i quali
affermavano che Cristo ebbe
corpo
fantastico,
e
negano che noi
dobbiamo
risucitare in
carne.
E in quello
errore istetti
nove
anni, stando ancora giovane".
E in tante
beffe venne che, quando era
colto
il
fico o la
foglia da l'
albore,
dicea che quello cotale
arbore piangea.
Essendo dunque di
XIX anni e leggendo uno
libro
d'alcuno
filosafo, nel quale era scritto come la vanità
del
mondo era da
disprezzare
e la filosofia da desiderare,
in ciò gli
pacque molto quello
libro; ma perché
il nome di
Jesù Cristo, lo quale elli avea udito da la
madre, non v'era scritto,
cominciossene
forte a turbare;
e la madre piagnea molto per lui, e sforzavasi di riducerlo
a l'unitade de la fede. Sì che una volta, come si
legge nel
libro
[III] de le Confessioni, la madre sua si
vidde stare in un
filare,
avvegnadio che trista e
dolorosa,
e uno
bellissimo giovane le stette innanzi, e
dimandolle
perché fosse
cotanto trista. Quella
dicendo che piangeva
il
perdimento del figliuolo suo Agustino, quelli rispuose:
"Sta
sicuramente, ché
colà
dove
se' tu, sarà elli".
Incontanente
ecco che si vidde stare a lato il figliuolo
suo. Quella raccontando queste cose al figliuolo Agustino,
questi disse: "Tu
se' ingannata, madre mia, non
ti fu così detto, ma, dove sono io, sarai tu". Quella
pure
dicea contra: "Non, figliuolo mio, non mi fu detto:
"Là
dove elli è, sarai tu", ma: "Dove tu
se',
sarà elli". Pregava dunque la madre
continua, quasi
con
improntezza, uno vescovo, sì come si legge in quello
libro
de le Confessioni, che
degnasse di
pregare
Domenedio
per lo figliuolo suo. E quelli in cotale modo
vinto da tanta
improntitudine, con
voce di
profezia sì
disse: "Va sicura, ché impossibile cosa è che 'l figliuolo
di tante
lagrime si perda".
Abbiendo lui letto molti
anni la rettorica a la
città
di Cartagine e
ammaestratola,
celatamente, sanza saputa
de la madre, se n'andò a Roma e raunovvi molti
discepoli.
A questi tempi
dimandaro i Melanesi da
Simmaco,
prefetto de' romani, che mandasse loro uno maestro in
rettorica. Or v'era allotta
arcivescovo santo
Ambruosio,
uomo di Dio, e a'
prieghi de' Melanesi fu mandato là
Agustino. E la madre sua non possendo posare, con molta
malagevolezza venne a lui, e
trovollo già che non era
né
veramente
maniceo, né
veramente
cattolico. E
cominciò
Agustino ad
accostarsi a santo Ambruogio, e
udire spesso le sue prediche. Or
istava molto sospeso
ne la predicazione, che veruna cosa non fosse
detta contra
quella
eresia de' Manicei, ovver per quella
eresia. Sì
che una volta santo Ambruogio
disputò lungamente
contra quella
resia, e
vituperolla per tanti
ragioni e
autoritadi,
sì che al postutto quello
errore fu
scacciato dal
cuore d'Agostino. Ma quello che l'intervenisse dopo
queste cose, e' medesimo il mostra nel
libro de le Confessioni,
così
dicendo: "Quando io t'
ebbi
cognosciuto
da prima, Signore, tu
ribattesti la 'nfermità del mio
guardamento, radiando in me
fortemente, onde io tremai
per l'
amore e per lo
errore, e
trova'mi essere di lungi
da te ne la
contrada de la
dissimiglianza, sì com'io
udissi la tua
boce da
cielo: "Io son
cibo de' grandi,
cresci e
manichera'mi, né tu mi
muterai in te come
cibo de la
carne tua, ma tu ti
muterai in me". E con
ciò fosse cosa, sì com'elli dice in quel medesimo
libro,
che la via di Cristo gli piacesse, ma ancora gli rincrescesse
d'andare per cose
strette, misseli il Segnore in
cuore d'andare a
Simpliciano, nel quale era la grazia
di Cristo, acciò che ragionandosi con lui gli
contasse i
fervori suoi, e imprendesse quale fosse aperto modo di
vivere ad andare ne la via di Dio, per la quale altri
andava così e altri così. Però che a lui
dispiaceva ciò
che facea nel
mondo per la
dolcezza di Dio e per la
bellezza de la
casa sua, la quale
amava. E
Simpliciano
il
cominciò a
confortare, e elli
cominciò a
confortare
se medesimo, e
diceva: "Quanti
fanciulli e
fanciulle
servono a Dio entro la Chiesa sua! Or non potrai tu
tanto quanto questi e queste? Ma questi e queste possono
tanto in loro medesimi, anzi
non maggiormente
nel
Domenedio loro? Perché
stai in te, e non
stai in
Lui? Gittati in
Domenedio, ed elli ti riceverà e
sanicheratti".
Fra questi ragionamenti venne loro in memoria
il fatto di
Vittorino; onde
rallegrandosi,
Simpliciano
raccontòe come quegli, essendo ancora pagano, per
la sua sapienzia e ragione avea
meritato d'avere statua
a Roma, la qualcosa era tenuta a quel tempo un gran
fatto, e come spesse volte
diceva ch'era
cristiano. E
dicendoli
Simpliciano: "Non
credo nulla, mentre che non
ti veggio ne la chiesa"; quelli dice a così per giuoco:
"Or fanno le pareti l'uomo
cristiano?" A la perfine,
quando fu venuto a la chiesa, e
dando a lui sì come a
vergognoso
celatamente il
libro dov'era scritto il "
Credo
in Dio", egli montò ad
alti, e
pronunziollo ad
alta
boce.
Allora venne d'Africa anche uno
amico d'Agustino,
il quale avea nome
Ponziano, e
raccontolli la vita e '
miracoli di quello grande Antonio, il quale era morto
nuovamente ne l'
Egitto al tempo di
Costantino imperadore.
Per li
essempli di costui Agostino fu
fortemente
acceso in tal modo che, turbatosi ne la
mente come nel
volto,
assalette il
compagno suo
Alipio, e gridò
fortemente:
"Che
patiamo, che udiamo noi? E
lievansi
cotali
sciocconi e rapiscono il
cielo, e noi con le nostre
dottrine
profondiamo nel ninferno; or è vergogna a
seguitare
costoro perché ci siano
entrati innanzi,
e
non è vergogna non seguirli?" E
correndo in uno orto,
gittossi sotto uno
fico, sì come elli ricorda nel detto
libro de le Confessioni, e piangendo
amarissimamente
metteva guai di lamento, e
diceva: "Quanto tempo?
Quanto tempo? Domane e domane? Se non ora, se non
un poco". L'ora non avea modo e, se non poco, sì s'
allungava.
Di questo suo
tardare se ne lamentava molto,
sì come elli medesimo dice nel detto
libro de le Confessioni:
"Guai a me, ciò
dice, come
se' tu alto, Segnore
Dio, ne le cose
alte, e profondo ne le cose profonde,
e non ti parti
altrove e appena ti troviamo. Fa, Signore,
adopera,
destane e
richiamaci. Vieni e rapisci; da' odore
e
addolcisciti". Così temeva d'essere
spacciato da tutti
gl'impedimenti com'elli è da temere d'essere impedimentito.
Tardi t'ho
amato,
bellezza sì
antica e sì
novella,
tardi t'ho
amato, tu
eri dentro e io di fuori, e
qui ti
cercava e
lasciavami
cadere in queste
belle cose
che
facesti tu di fuori. Tu
eri meco e non io teco; tu
chiamasti e gridasti e rompesti la
sordaggine mia,
alluminasti
e
risplendesti e
cacciaste via la
cechità mia,
odorasti e
conchiudesti lo spirito, e sospiro a te,
assaggiai
e ho
fame e
sete di te. Tu toccasti me, e io m'
accesi
ne la pace tua". E piangendo lui
amarissimamente,
udì una
voce
dicente a sé:
"Tolle, lege; tolle, lege".
Ed incontanente
aperse il
libro de l'
apostolo, e
ragguardandol
con gli occhi al primo
capitolo che gli venne
a le mani, gli venne trovato questa parole: "Vestitevi
del Signore Gesù Cristo", e incontanente
fuggirono da
lui tutte le tenebre di
dubitamento.
Infrattanto
cominciò
ad essere tormentato di sì
fortissimo
dolore de'
denti, che poco meno che non si
diede a
credere, sì
come elli dice, l'openione di Cornelio
filosofo, che puose
il sommo bene de l'
anima nel sapere, e 'l sommo bene
del
corpo in non sentire veruno
dolore. E fu sì
forte
quello
duolo che eziandio la
favella ne
perdette; onde,
sì come
dice elli in quel
libro de le Confessioni, scrisse
in
tavolelle di
cera che tutti pregassero Iddio per lui,
che
miticasse quello
dolore. Ed elli s'inginocchiò con
gli altri, e subitamente si trovò guerito.
Fece dunque
assapere al servo di Dio Ambruogio
per lettere il
disiderio suo, acciò che li mostrasse qual
de' libri santi fosse più da
leggere per
acconciarsi meglio
a la fede
cristiana. E quelli li
comandò che leggesse
Isaia profeta, in ciò che
pare più
acconcio
dimostratore
del Vangelo e del
chiamamento de' pagani.
L'incominciamento
del quale
libro non
intendendolo Agostino,
credendosi
che tutto il
libro fosse
cosìe fatto,
indugiossi di
leggerlo insino a tanto ched elli fosse più
esercitato ne'
libri santi.
Approssimandosi dunque il tempo de la
Pasqua,
Agustino, essendo di
XXX anni, col suo figliuolo
Diodato,
fanciullo molto ingegnoso, lo quale Agostino
in sua
gioventudine avea ingenerato essendo ancora
filosafo
pagano, e anche con
Alipio suo
amico, per li
meriti
de la madre e per la predicazione di santo Ambruogio,
ricevette il santo
battesimo. Allora, sì come
si racconta,
santo Ambruogio sì disse:
"Te Deum laudamus".
E Agustino sì disse:
"Te Dominum confitemur".
E così
abendue questo inno, l'uno
dicendo
l'uno verso, e l'altro l'altro, insino a la fine il
cantarono.
Ed incontanente
confermato mirabilemente
ne la fede,
abbandonò ogne speranza ch'egli avea nel
secolo, e rinunziò le scuole de li altri de l'
arti liberali.
E di quanta
dolcezza del
divino
amore elli godesse
di
fino allora, e' medesimo il mostra nel
libro de le
Confessioni, quando dice: "
Avevi
saettato il
cuore mio
tu de l'
amore tuo; e portava le parole tutte
trafitte ne
le interiora mie; e li
essempli de' santi tuoi, i quali
tu
avevi
fatti di neri
bianchi e di morti vivi, ho portati
nel
seno de' pensieri miei;
ardeva e riceveva gran
dolore
e salendo de la valle del pianto,
cantando
canzona
de' gradi,
avevi
dato saette
agute e
carboni
guastatori. Né non mi saziava in que' dì: era preso da
mirabile
dolcezza
considerando l'
altezza del
consiglio
divino sopra la salute de la generazione umana. Quanto
piansi ne gl'inni e ne'
canti tuoi,
commosso
allegramente
da le
voci de la sonante e soave chiesa! Ché
quelle
voci
entravano ne l'orecchie mie, e
alliquidìa la
verità tua nel
cuore mio, e
correvano le
lagrime, ed io
avea bene con esse. Però che allora ne la chiesa di
Melano
s'
ordinò di
cantare queste cose. E gridava col
cuore alto del
cuor mio: "O in pace, o in quel
medesimo! O que' che disse:
dormirò e prenderò sonno!
Tu
se' quello, qual medesimo, il quale non ti
mute; in te
riposo che si
dimentica di tutte le
fatiche". Io leggeva
tutto quel Salmo e
ardeva, il quale era istato
abbaiatore
amaro e
cieco contra le lettere
melate del
cielo,
del lume tuo luminoso, e sopra queste cotali scritture sì
venìa meno. O
Jesù Cristo,
aiutatore mio, come m'è
subitamente fatto soave a mancare de le soavità de le
ciancie mie, e quelle
dond'io avea paura di perdere,
già avea letizia di lasciarle. Però che tu le
cacciavi da
me, il quale
se' vera e somma soavitade; tu le
cacciavi;
entravi in luogo di quelle tu che
se' più
dolce d'ogni
soavitade, ma non a
carne e a sangue;
se' più chiaro
d'ogni luce, ma più
addentro d'ogni segreto;
se' più
alto d'ogni onore, ma non a
co
loro che sono
alti in sé".
Dopo queste cose prendendo seco
Nebrodio ed
Enodio
e la madre ritornavansi in Africa; ma quando furono
ad Ostia la pietosa madre sua si morìo. Dopo la cui
morte Agustino ritornò a le possessioni sue, nel quale
luogo, con
coloro che s'
accostavano a lui, servìa a Dio
in
digiuni ed orazioni, scrivea libri e
ammaestrava i
non sapienti. La
nominanza sua si
spandeva in tutte
parti, e in tutt'i libri suoi e ne l'opere era tenuto maraviglioso.
E
guardavasi d'andare ad alcuna
città dove
non fosse vescovo veruno, per non
esservi impedimentito
nel detto offizio.
In quello tempo era ad
Ippone uno uomo di grandi
ricchezze, il quale mandò
dicendo ad Agustino che s'elli
andasse a lui, e elli udisse la parola de la bocca sua,
sì
rinunzierebbe al secolo. La qualcosa
comunque Agustino
il seppe, tanto tosto andò là a lui. E udendo
Valerio
vescovo d'
Ippone la
fama sua, sì lo
ordinò prete
ne la sua chiesa,
avvegnadio che molto
contradiasse.
E alcuni interpretavano
soperbiamente le
lagrime sue
e, quasi
consolandolo e
dicendo che il luogo del
pretato,
avvegna ch'elli fosse
degno de' maggiori, impertanto
s'
appressimava a vescovado. E Agustino incontanente
ordinò il monasterio de'
cherici, e incominciò a
vivere
secondo la regola ordinata sotto i santi
apostoli; del
quale monasterio so
no stati eletti
diece vescovi. E perché
il detto vescovo era greco e sapea meno di lingua
latina e di lettere,
diede la podestade ad Agustino che,
contro a l'usanza de la chiesa orientale, predicasse ne
la chiesa dinanzi da sé. Onde
biasimandolne molti vescovi,
elli non
curava di ciò, purché per colui fosse fatto
quello che per sé fare non si potea.
A quel tempo
convinse e tolse via e
cacciò
Fortunato,
prete
maniceo, e altri
eretici e
massimamente
ribattezzat
ori
Donatisti e Manicei. E
cominciò
Valerio a temere
molto che Agustino non li fosse tolto e
domandato
per vescovo da altra
cittade. Però che alcuna volta li
sarebbe stato tolto se non l'
avese mandato al luogo
segreto, acciò che non si potesse trovare. Sì che
impetròe
da l'
arcivescovo di Cartagine di
dare luogo al vescovado
e promovesse Agustino in vescovo d'
Ippone.
Ma ricusando Agustino queste cose, al postutto pure
essendone costretto, sì si sottomisse e ricevette lo
'ncarico.
La qualcosa non
essendoli
dovuta essere fatta che,
vivendo il suo vescovo, fosse ordinato, e
disselo e
scrisselo
per lo vietamento del
Concilio generale, lo quale
seppe ch'era fatto dopo l'ordinazione, e' non volle che
fosse fatto a gli altri quello di che elli era
dolente ch'era
fatto a sé. Ma sforzavasi che nel
Concilio de' vescovi
s'ordinasse che tutti gli statuti de' padri,
coloro ch'ordinano
dovesse
ro manifestare a
coloro che si
debbano
ordinare. E di lui si legge che disse poscia: "In niuna
cosa mi sento il Segnore così adirato come in questa
che, essendo me indegno d'essere posto a reggere, sì
m'ha posto a grandigia ne l'
altezza de la regione de
la Chiesa a reggere".
Le vestimenta sue e '
calzamenti e altri ornamenti né
troppo gli avea
belli, né molto sozzi, ma di temperato
abito. E
leggesi di lui che elli disse: "Io
confesso bene
ch'io mi vergogno del prezioso vestimento, e però quando
m'è
dato, sì 'l vendo, acciò che da che 'l vestimento
non può essere
comunale, il prezzo sia
comunale".
Sempre usòe la mensa
comune e sempre scarsa, e tra
'l
camangiare e i legumi per li
forestieri e per l'infermi,
spesse volte mettea de la
carne, e in quella mensa
amava più la lezione o la
disputazione, che non facea
il mangiare, e contra la
pistelenzia del
dire male d'altrui
avea così scritto in quella:
"Qualunque persona
ama il rodere la vita de' lontani con parole.
Sappia che questa mensa non si fa a lui."
Ed alcuna volta
alcuni vescovi
famigliarissimi a lui,
stando con lui a la mensa e abbiendo isfrenata la lingua
a
dire male d'altrui, sì
duramente gli riprese che disse
che, se non se ne rimanessero, od elli spegnerebbe quelli
versi od elli si partirebbe da la mensa.
Una volta
avendo invitati elli a
desinare alcuni suoi
famigliari, un di
coloro più
curioso de gli altri
entrò in
cucina, ed
avendo trovato ogni cosa
fredda, tornò ad
Agostino e
domandollo quello ch'elli avea apparecchiato
da mangiare, elli ch'era padre de la
famiglia, a
coloro
che
doveano
desinare. E Agustino, né mica
curioso di
cotali
vivande, sì li rispuose: "E io con esso voi non
lo so".
Tre cose si
diceva avere
apparato da santo Ambruogio.
L'una che ma' non
domandasse di
dare moglie
ad altrui; la seconda che chi si volesse fare
cavaliere
nol ne lodava; la terza che invitato a
convito non
v'
andasse, La cagione del primo si è acciò che non si
convegnano bene insieme e
bestemm
iano colui; la cagione
del secondo si è acciò che quelli non
faccia ingiuria
altrui ed altri
dea la
colpa a chi 'l
consigliò di
fare
cavaliere; la cagione del terzo si è acciò che per
la intemperanza del mangiare e del
bere, per
avventura
non perdono il modo.
Di tanta puritade e umiltade fue che i peccati, i quali
appo noi paiono nulla o molto
piccolini, sì come elli
dice nel
libro de le Confessioni, sì li
confessava in quello
dì, e
accusavasene umilemente dinanzi al Segnore.
Onde quiviritto s'
accusa che: da ch'egli era
fanciullo,
giuocava a la
palla quando
dovea
ire a la scuola; anche
di ciò: che non volea
leggere od imprendere, se per
forza non era costretto dal maestro o da'
parenti; anche
di ciò: ch'elli leggea volentieri le
favole de'
poeti, sì
come la
favola d'
Enea, essendo ancora
fanciullo, e piagnea
Didone morta per
amore; anche di ciò: ch'elli
imbolava del
celliere de'
parenti, ovvero d'alcuna mensa
per
dare a'
fanciulli che giucavano; anche di ciò: ched
elli, nel giuoco de'
fanciulli
adoperava inganno nel vincere;
anche: che quando era di tempo di
XVI anni imbolòe
de le pere d'un pero, ch'era da lato a la vigna
sua; anche s'
accusa di quel picciolo
diletto che sentiva
nel mangiare alcuna volta, e dice così: "Sì m'hai
insegnato, che io vada così a prendere il
nudrimento
come la medicina. Ma quando io per gravezza di
bisogno
passo il
riposo del
saziamento, in quel passamento mi
mete
guaito il
lacciuolo de la
concupiscenzia, però che
quello passare è un
diletto, e non è altro luogo per lo
quale si passi, per lo quale eziandio la necessità
costrigne
d'andare, e con ciò sia cosa che salute sia la
cagione del mangiare e del
bere,
aggiugnevisi come
donzello la
pericolosa
gioconditade, e che spesse volte
si sforza di precedere, cioè che si
faccia per cagione
di quella cosa la quale o
dico o voglio fare per
cagione di salute. L'
ebreitade è di lungi da me;
avra'mi
misericordia che non s'
appressimi a me. Il troppo mangiare
non fu mai nel servo tuo;
avraimi misericordia,
acciò che sia fatto di lungi da me. E chi è quelli, Segnore,
che non sia tratto alcuna volta fuori de' termini
de la
nicissitade? Messere, qualunque è quegli, certo
egli è grande;
aggrandisca il nome tuo! Ma pure io
non sono cotale, però ch'io sono peccatore". Ha sì
eziandio sospetto de l'
odorato, quando dice: "O Segnore,
al diletto de li odori non mi sforzo troppo, quando
non gli sento; non gli vo
cercando quando gli sento;
sì gli rifiuto e sempre sto apparecchiato a non averli; così
pare a me, ma forse m'inganno, però che neuno
dee
stare
sicuro in questa vita, la quale è
detta vita tentazione.
Ché chi può essere di peggiore migliore, non
diventi di migliore peggiore". Anche de l'udire si
confessa
e dice: "I
dilettamenti de l'orecchie
tenacemente
m'aveano impacciato e sottomesso, ma tu, Signore,
m'hai sciolto e liberato. Che quando m'interviene
che più mi muova il
canto, che non fa la cosa che si
canta,
penalmente mi
confesso avere peccato, e allora
vorrei anzi non udire colui che
canta". Anche s'
accusa
del vedere, sì come di ciò: ch'alcuna volta vidde
troppo volentieri
correre il
cane, e di ciò: che passando
per alcuno
caso per le
campora puose
mente volentieri
il
cacciatore, e di ciò: che standosi a
casa ragguardòe
attentamente i
ragnoli pigliare le
mosche ne' loro ragnateli.
E però si
confessa di queste cose dinanzi al Signore,
sì come
dice in quello
libro, perché alcuna volta
rimuovono altrui da'
buoni pensieri e rompono l'orazioni.
Anche s'
accusa de l'
appetire lode e del
movimento
de la vanagloria; e dice così a
Domenedio:
"Chi vuole essere lodato da gli uomini
vituperandol te,
non sarà
difeso da gli uomini giudicandol te, né liberato
dannandol te. È lodato l'uomo per alcuno
dono che tu
gli hai
dato, e pertanto vuole essere più lodato elli che
'l
dono. Noi siamo tentati
continuamente di queste tentazioni
sanza
rimanercine; una
cotidiana
fornace è la
nostra lingua umana. Ma io non vorrei ch'
almeno m'
accrescesse
l'
allegrezza d'alcuno bene mio l'
aiuto de la
bocca altrui; ma io
confesso che non solamente l'
accresce,
ma 'l vituperare lo scema. Ed io mi
contristo
alcuna volta da le mie lode, quando quelle cose sono
lodate in me ne le quali io
dispiaccio a me medesimo,
ovvero quando i piccioli
beni e leggeri son più stimati
che non sono da stimare".
Questo santo uomo
confondea
fortissimamente gli
eretici
in tale maniera che ellino tra loro medesimi predicavano
che non era peccato d'uccidere Agustino, lo
quale
dicevano ch'era ad uccidere come lupo, e
affermavano
che a gli
ucciditori erano da perdonare tutti i
loro peccati da
Domenedio. Sì che molti
agguati
sostenne
da loro, intanto che, quando elli
andava per alcuna via,
gli ponevano
agguati; ma per la provvedenza di Dio
ingannati de l'
erro
re de la via non lo poteano trovare.
I poveri avea sempre a la
mente e
dava loro
diliberatamente
di quello ched elli poteva, ché alcuna volta
facea rompere de le vasella del Signore per li poveri e
per li pregioni e
faceale
colare e
dispensare a' poveri
bisognosi.
Casa o
campo o villa giammai non volse
comperare,
e molti retaggi rifiutòe che gli erano lasciati,
però che
dicea che queste cotali cose si
doveano anzi
lasciare a' figliuoli, ovvero a' più prossimani de le persone
morte. E in quelle cose che la Chiesa possedeva,
non era inteso, ovvero impacciato, d'
amarle, ma
dì e
notte pensava de le Scritture e de le cose
divine. De
lavorii
nuovi non ebbe giammai
studio, schifando d'avervi
impaccio l'
animo suo, lo quale volea sempre libero da
ogne impaccio e da ogne gravezza
corporale, acciò che
liberamente potesse intendere a la
continenzia e a la
meditazione e a la
continua lezione. Non pertanto vietava
egli
coloro che voleano
edificare
nuovi lavorii, se
non li vedesse
avanzare il modo; e lodava molto
coloro
ch'aveano
disiderio di morire, e sopra ciò ponea cotali
essempli
di tre Vescovi. Ché essendo santo Ambruogio
in su la
stremità de la vita, e
pregandolo i
cherici suoi
che s'
accattasse prolungamento di vita per suoi
preghieri,
elli rispuose loro così: "Non sono sì vissuto che
mi sia vergogna di
vivere tra voi, né non
temo di morire,
però che noi
avemo
buono Segnore". Questa risposta
santo Agustino la
gradiva molto
maravigliosamente.
Dicea ancora d'un altro vescovo, al quale essendo detto
ch'egli era molto necessario a la Chiesa, e
dicevano che
'l Segnore il
diliberrebbe, quelli disse: "S'alcuna volta
mi
conviene morire, or perché non ora?" E d'un altro
vescovo
dicea che Cipriano raccontava che,
avendo
una grave infermitade, pregava Iddio che gli rendesse
santade. Al quale
apparendo uno
bellissimo giovane,
con grande indegnazione pianse, e sì li disse: "De
le pene di miseria non volete uscire, or che vi
farò
dunque?"
Femm
ina neuna giammai non
permise
abitare seco,
né ancora la sua
serocchia
carnale, ovvero le
figliuole
del suo
fratello, le quali serviano
igualmente a
Domenedio.
Però che
dicea che se de le
serocchie o de le
nepoti non può nascere neuna ria sospicione, ma perché
cotali persone non possono stare sanza l'altre necessarie,
e verrebbono eziandio de l'altre a loro, potrebbono i più
infermi o essere commossi da tentazioni umane, o infamati
per rie sospecioni d'uomini. Con femmina non
volea giammai parlare solo, se non fosse già alcuna cosa
sagreta, o che si volesse
confessare. A i
parenti
dava
in tal modo che né ricchi fossero, né troppo
abbisognassero.
Rade volte volea
pregare altrui per alcuno o per
lettere o per parole,
ricordandosi d'alcuno
filosafo, il
quale per
accrescere sua
fama, non
donava molto a gli
amici, e spesse volte
diceva che "La podestà ch'è
domandata
spesse volte prieme". E quando ciò facea in
tal maniera, temperava la materia in tal modo che non
desse altrui
carico, ma
meritasse d'essere
esaudito per
cortesia di parlare. Volea anzi tra non
conosciuti che
tra gli
amici udire i pianti,
dicendo che fra loro
potea liberamente
conoscere il torto; ma tra gli
amici,
l'uno
dovea essere sempre nemico, contra 'l quale elli
desse sentenzia con ragione.
Da molte
chiese era invitato di predicarvi la parola
di Dio, e molti ne
convertìa de li
eretici. Alcuna volta
usava ne la predicazione partirsi da la proposta, e allora
diceva che Dio l'avea ordinato a
utilitade de la salute
d'alcuno, secondamente ch'
apparve in uno mercatante
de' Manicei, il quale si
convertìo ad una predicazione
di santo Agustino, ne la quale, partendosi da la proposta,
avea predicato contra questo
errore.
In quello tempo
avendo i Goti presa Roma,
coloro
ch'
adoravano gl'idoli e gl'infedeli
dicevano molta villania
a li
cristiani di ciò che patiano cotali cose da i
pagani; per la qualcosa santo Agustino
compuose il
libro
de la
Città di Dio, nel quale
libro mostròe che i giusti
doveano essere premuti in questa vita, e i rei
doveano
fiorire. Nel quale
libro tratta de le
due
cittadi, cioè di
Gerusalem e di Babilonia e del loro re, ché 'l re di Gerusalem
si è Cristo, e 'l re di Babilonia si è il
diavolo. Le
quali
due
cittadi fanno a sé
due
amori, sì come elli
dice in quel luogo; ché la
città del
diavolo sì si fa
l'
amore di se medesimo
crescente infino a lo
spregio
di Dio, e la
città di Cristo sì si fa l'
amore di Dio
crescente
infino al
dispregio di sé.
E ne' dì suoi, cioè ne gli
anni
Domini
CCCCXL, gli
Guandali occuparono tutta la provincia d'Africa, non
perdonando né a maschio, né a femmina, né a
etade,
né a ordine, né a persona veruna. Poi vennero a la
città d'
Ippone ad
assediarla con potente
forza. Sotto
questa tribolazione Agustino, sopra tutti gli altri de la
sua vecchiezza, menòe
amarissima vita e
lamentevole, e
furo a lui le
lagrime pane di
die e di notte, vedendo altri
morti, altri
scacciati, le
chiese spogliate de' preti, le
città
disfatte insino al
fondamento. Ma infra
cotanti
mali usava per
consolazione la sentenzia d'un savio,
che
dice così: "Non sarà grande chi pensa gran cosa,
ché i legnami
caggiono e le pietre, e che gli uomini
muoiono, i quali naturalemente sono mortali". E
chiamato
ch'ebbe i frati, disse loro: "
Ecco che abbo
pregato
il Segnore che od E' ci liberi da questi
pericoli, od
Elli ci
dea
pazienzia, od E' mi riceva di questa vita, acciò
ch'io non sia costretto di vedere tante miserie". Ed
ecco che, impetrata la terza
domanda, che nel terzo mese
de l'
assedio gli venne la
febbre addosso; e gittossi in
sul letto; ed intendendo che s'
approssimava lo
sceveramento
de l'
anima
dal
corpo, fecesi scrivere i
sette
Salmi penitenziali, e sì li fece porre nel luogo che gli
era a rimpetto ne la parete; e giacendosi nel letto sì
li leggeva, e in
abbondanza
continovamente gittava
lagrime.
E acciò che potesse più liberamente intendere a
Dio e la sua intenzione non potesse essere impedimentita
da neuno,
diece dì anzi la sua
morte, non si lasciò
entrare veruno in
camera, se non quando
entrasse il medico
o
fossegli portato mangiare.
Uno infermo venne a lui, e
pregavalo
attentamente
ch'elli ponesse la mano sopra lui e guarisselo de la
infermitade. E 'l santo gli rispuose: "Che è quello che
tu dì, figliuolo mio? Or non
credi tu che s'io potessi
fare
cotal cosa, ch'io la
facessi a me medesimo?" E
quelli
istava pure fermo, e
diceva avuto per
comandamento
di venire a lui e ricevere santade. Veggendo
santo Agustino la fede sua, pregò il Signore per lui e
quelli ricevette santade. Molti indemoniati
curòe, e molti
altri miracoli fece.
Nel
XXII capitolo del
libro de la
Città di Dio racconta
due miracoli
fatti di sé sì come fossero
fatti d'un
altro, e dice così: "Io so una vergine
ipponese ch'era
indemoniata, la quale poi che s'ebbe unta d'olio, un
prete pregò
Domenedio per lei con
lagrime, e incontanente
fu sanata". Anche
dice così nel detto
libro: "So
anche un vescovo che pregò una volta per un giovane,
lo quale elli non avea mai veduto, ed era indemoniato;
incontanente fu sgombrato". Non
pare
dubbio a neuno
ched e' non parli di sé, ma per umiltade non volse
porre il nome suo.
Anche
dice in quello
libro che
dovendosi tagliare un
male ad uno infermo, e temendosi molto de la
morte
per la
tagliatura, pregando lo 'nfermo il Segnore, con
molte
lagrime oròe con lui e per lui Agostino, e incontanente,
sanza
tagliatura veruna, si trovò guerito.
A la perfine,
approssimandosi a la
morte, questo ne
diede per
ammaestramento di
ricordanza: che neuno
uomo, quantunque sia d'
eccellente
merito,
debbia passare
di questa vita sanza essere
confessato e
comunicato.
E vegnendo a l'ultima ora, saldo di tutte le
membra
del
corpo suo, con intero vedere ed udire, ne gli
anni de
la sua
etade
LXXVII, e del suo vescovado
XL, dinanzi
a' frati che gli erano presenti, stando loro in orazione,
passò di questa vita a
Domenedio. Testamento veruno
non fece, però che non ebbe onde
farlo il povero di Cristo.
Fiorìo la vita sua intorno a gli
anni
Domini
CCCC.
Adunque Agostino lume
chiaro di sapienzia,
bertesca
di veritade e
armadura di fede, tutt'i
dottori de la Chiesa
vinse sì d'ingegno come di scienzia, sanza
comperazione
neuna
fiorendo sopra gli altri, sì per
esempli di
vertudi come d'
abbondanza d'
ammaestramenti. Onde
santo
Remigio,
ricordando san
Geronimo e alcuni altri
dottori,
conchiude così: "Tutti costoro vinse Agostino
con lo ingegno e con la scienzia sua, e
avvegnadio che
san
Geronimo
dica d'avere letto seimilia
volumi di libri
d'Origene, pur costui ne scrisse tanti, che non solamente
scrivere il dì e le
notti potrebbe alcuno, ma pure
leggere
non li
poté". E Volusiano parla così di lui in una
Pistola: "A la legge di Dio mancòe ciò che intervenne
ch'Agostino non sapesse". E san
Geronimo scrisse
così a santo Agustino in una pistola: "A
due tuoi
libri
ammaestratissimi e d'ogne
splendore di
bello parlare
splendienti, non ho potuto rispondere;
certamente
ciò che s'è potuto
dire, e prendere per ingegno, e
attignere
de le
fonti de le Scritture, sì è posto e
disputato
da te; ma
domando a la reverenzia tua che tu
sostegni
un poco ch'io lodi lo
'ngegno tuo". Ancora nel
libro
di
XII dottori scrisse così di lui: "Agostino vescovo,
volando per l'
altezza de' monti come
aquila e non
considerando
quelle cose che sono ne le radici de' monti,
con
chiare parole pronunzia i molti
spazii de'
cieli
e luoghi de le terre e 'l
cerchio de l'
acque".
A la perfine in quanta
divozione e
amore san
Geronimo
l'
avesse, manifestasi per le pistole ch'elli li
mandò; ne l'una de le quali dice così: "Al Segnore
santo Padre e
beatissimo Agostino,
Geronimo. D'ogne
tempo, con quello onore chente ti si fa, ho avuto in reverenza
la
beatitudine tua e
amato in te l'
abitante Segnore
salvatore; ma ora, se fare si puote,
aggiugnamo alcuna
cosa al monticello, e
compiamo pienamente, acciò che
pure un'ora non lasciamo passare sanza
ricordo del nome
tuo". Anche
dice in un'altra pistola a lui medesimo:
"Di lungi sia da me ch'io sia ardito di toccare nulla
de' libri de la tua
beatitudine;
bastimi di provare le mie
cose e di non prendere l'altrui". E san Gregorio in una
pistola la quale mandò ad
Innocenzio, prefetto d'Africa,
de' libri d'Agustino
dice così: "In ciò ch'
avete voluto
che vi sia mandata la
sposizione del
libro di san
Giob,
del vostro
studio siamo
allegri, ma se voi volete
ingrassarvi
del
dilicato pasto, leggete l'opere del vostro
cittadino,
beatissimo Agustino, e a
comperazione di quella
netta
farina non
andate
cercando la nostra
crusca".
Dice anche e' medesimo nel Registro così: "
Leggesi che
santo Agustino non
consentìo con la
serocchia,
dicendo: "Quelle che stanno con
serocchia mia, non
sono mie
serocchie". Adunque la guardia del savio
uomo
dee essere a noi più
ammaestramento". E nel
Profazio di santo
Ambruosio si legge così: "La magnificenzia
tua
adoriamo ne la mortificazione d'Agustino,
adoperando la vertù tua in tutte le cose, sì che
l'uomo acceso del suo spirito non fosse vinto per
impromesse
di
lusinghe ingannevoli, per ciò che tu l'
avevi
sì pieno di generazione di pietade, acciò ched elli fosse
a te
altare e sacrificio e tempio e prete". E san
Prospero
dice così di lui nel
libro terzo de la Vita
Contemplativa:
"Santo Agustino, vescovo
aguto d'ingegno,
soave in parlare, di
mondana scienzia ammaestrato e
ne le
fatiche
ecclesiastiche operoso, ne le
cotidiane
disputazioni
chiaro, in ogne operazione
composto, in solvere
le questioni
aguto, in
convertire gli
eretici
accorto,
ne la
sposizione de la fede nostra
cattolico, in
assemplare
le Scritture
regolari savio". E san Bernardo
scrive così di lui: "Agustino questi è
fortissimo martello
de li
eretici".
Dopo queste cose, abbiendo quella gente
barberesca
occupato la terra santa e vituperato le luogora sante,
i
fedeli
cristiani presero il
corpo di santo Agostino e
traslatarolo in Sardigna. E passati
CCLXXX anni da
la
morte sua, intorno a gli
anni
Domini
DCCXVIII,
Liprando,
re di Longobardi,
divoto uomo, udendo che la
Sardigna era guasta da' Saracini, sì vi mandò
solenni
ambasciatori che recassero a Pavia le reliquie del
dottore
santo Agostino; i quali,
datone grande prezzo, tolsero
lo
corpo suo e
portarolo infino a
Genova. Udendo ciò
il
devoto re
andolli infino là incontro con grande
allegrezza,
e
ricevendolo
reverentemente. E volendone la
mattina portare via il
corpo, non se ne
poté muovere
per neuno modo, mentre che 'l re non ebbe fatto
boto
che, se se ne lasciasse menare quindi,
farebbe quiritto
una chiesa a suo nome. E quando ebbe fatto il
boto,
incontanente sanza neuna malagevolezza ne fu portato.
E 'l re
comandò che fosse fatta la chiesa, sì come elli
avea fatto il
boto; la quale fece venire a
compimento
ad onore del santo. Simigliante miracolo
addivenne il
seguente
die in una villa, che si chiama le Castelle,
del vescovado
Tridonese; e per lo detto modo il detto
re vi fece una chiesa ad onore del santo. Ancora quella
villa con tutte le sue
pendice
donòe in possessione
perpetuale a
coloro che servissono a la
detta chiesa. E
perché vidde che piacea al santo che,
dovunque il
corpo
stava la notte, ivi facesse la chiesa, sì fece che in
ogni luogo dove
albergasse la notte col
corpo facesse
la chiesa al suo onore, però che
temea molto che non si
eleggesse luogo
altrove che a Pavia. Adunque con grande
onore fu
menato a Pavia e posto onorevolemente ne la
chiesa di san Piero, la quale è
detta
Cieloro.
Uno mugnaio, che avea speziale
divozione in santo
Agostino,
avendo ne la gamba una grande infermitade,
la quale si dice
flemma salsa,
chiamava il santo nel
suo
aiuto. Al quale santo Agustino
apparve in visione
e,
toccandoli la gamba con la sua mano,
rendelli incontanente
piena santade. Il quale quando fu
isvegliato
trovossi guerito, e rendette grazie a Dio e al santo.
Uno
fanciullo il quale avea il male de la pietra,
e
dovendosi tagliare per
consiglio de' medici, la madre,
temendo il
pericolo de la
morte sua,
chiamò
devotamente
santo Agostino in
aiuto del suo figliuolo. Incontanente,
fatta l'orazione, il
fanciullo gittò la pietra con
l'orina e ricevette piena santade.
Nel monastero che si dice
Lemosina un monaco,
ne la villa di santo Agustino rapito in ispirito, vidde
una nuvola splendiente venuta da
cielo, ed Agostino
sedea sopra quella
adornato di vestimenti
vescovili; gli
occhi del quale come
due razzuoli del sole
alluminavano
tutta quella chiesa e
venivavi grande odore. San
Bernardo, stando una volta al mattutino,
addormentossi
ne la chiesa, le lezioni d'alcuno trattato di santo Agustino
leggendosi, vidde un giovane
bellissimo stare
quiveritto,
de la cui bocca usciva tanto
scorso d'
acque
abbondanti,
che parea che tutta la chiesa se ne
empiesse.
Ed egli non
dubitò che quelli fosse Agustino, il quale
de la
fontana de la
dottrina ha
bagnata tutta la Chiesa.
Uno ch'
amava molto santo Agostino,
andossene
ad uno monaco ch'era guardiano de la chiesa e del
corpo suo, e
promiseli moneta s'elli li
desse uno de'
diti di santo Agustino. E 'l monaco tolse la moneta e
andò, e sì li
diede un
dito d'un'altra persona morta,
inviluppato in
zendado, mostrandogli per infignimento
che fosse il
dito di santo Agostino. E quelli il tolse
reverentemente,
adorandolo sempre
devotissimamente, e
ponealsi a la bocca e a gli occhi e spesse volte lo si
strignea al petto. E
Domenedio, vedendo la fede sua,
gittò via quel
dito, e
maravigliosamente gli
diede tutto
un
dito di santo Agostino. Il quale uomo quando fu ritornato
ne la terra sua, questo
dito facea là molti miracoli,
onde la
nominanza n'andò infino a Pavia. Ma
dicendo quel monaco che quello
dito era d'uno morto,
andaro ad
aprire il sepolcro, e trovarono che v'era meno
uno di quelli
dita; onde l'
abbate
riconosciuto ch'ebbe
la malizia, rimosse il monaco da quello officio e
afflisselo
gravemente.
In Borgogna ad uno
manasterio che si dice
Fontaneto,
era uno monaco ch'avea nome Ugo, molto
devoto
di santo Agostino; il quale con maraviglioso
disiderio
era pasciuto ne le scritture sue, e
avealo
pregato spesse
volte che non lasciasse passare di questa vita se none
il
die de la sua santissima solennitade. Sì che
XV dì
anzi la sua
festa
cominciossi a riscaldarsi di sì
dure
febbri, che ne la
vilia sua il puosero in terra come persona
che morisse. Ed eccoti
entrare in quello monasterio
molti
belli e splendienti uomini, vestiti a
bianco, e
seguitavali
uno venerabile vescovo, adornato
vescovilmente.
E uno monaco stando ne la chiesa e vedendo
questo, sì si
maravigliò e
domandò chi fossero o dove
andassero. E l'uno di loro li disse ch'era santo Agustino
co' suoi
calonaci che va al
devoto suo che si
muore, per portare l'
anima sua a gloria. Dopo queste
cose quella venerabile processione
entrò ne la infermeria,
là
dove quando fu stato
alquanto, quella santa
anima si partìo dal
corpo, la quale il
dolce
amico fece
sicura da gli
agguati de' nemici, e
menolla ne l'
allegrezza
del
cielo.
Leggesi che vivendo santo Agostino ancora in
carne e
rileggendo alcune cose, viddesi valicare dinanzi
uno
demonio che portava
libro in
collo. E quegli
lo scongiurò che li manifestasse quelle cose che v'erano
scritte
entro. Que' disse che v'erano scritti entro e'
peccati de li uomini, ch'e' va
raccogliendo da ogne parte
e
ripolli iventro. Allora gli
comandò che li mostrasse
se v'
avesse scritto alcuno de' peccati suoi.
Mostratoli
dunque il luogo, neuna cosa vi trovò scritta di sé, altro
che d'una
compieta ch'elli avea lasciata per
dimenticanza.
E
comandando al
diavolo ch'
aspettasse la sua
tornata,
entrò ne la chiesa e disse
devotamente la
compieta
e
compiette l'usate orazioni; e, tornato che fu,
disse al
demonio che li mostrasse quel luogo che volea
rileggere un'altra volta. Quelli ravvolgendo spesso le
carte e a la perfine
avendo trovato voito quel luogo,
adirato il
demonio di ciò disse al santo: "Tu m'hai
ingannato, io mi
pento ch'io ti mostrai il
libro mio,
per ciò che tu hai spento il tuo peccato con la vertude
de le tue orazioni". E,
dette queste cose, così vituperato sparve.
Sostenendo ingiuria una femmina da
alquanti maliziosi
uomini, quella se n'andò a santo Agostino per
chiedere
consiglio da lui. Quella
trovandolo studiare e
salutandolo
reverentemente, egli non le puose
mente, né
rispuosele a nulla. Quella pensando che forse per troppa
storpia, non volea ragguardare in
faccia di femmina,
andò di dietro, e
spianolli
diligentemente il fatto suo. Ma
elli né non si rivolse a lei, né non le rispuose a nulla,
onde quella si partì con molta
tristizia.
L'altro
die
cantando santo Agustino la
Messa ed essendovi
la
detta
donna, dopo la levata del
corpo di Cristo,
rapita in ispirito, viddesi posta dinanzi a la sedia de
la santissima Trinitade, là
dove vidde Agustino con la
faccia
chinata
disputare
attentissimamente e sottilissimamente
de la gloria de la Trinitade. E venne la
voce
a lei, e sì le disse: "Ieri quando tu
andasti ad Agustino,
elli
disputava così
attentissimamente de la gloria
de la Trinitade, e però non s'
accorse al postutto che
tu vi
fossi; ma ritorna
sicuramente a lui, però che tu
il troverrai pietoso e
daratti sano
consiglio". E così
fue.
Dicesi anche che uno uomo rapito in ispirito, veggendo
i santi ne la gloria e non veggendovi Agustino,
domandò uno de' santi là
dove Agustino fosse. E quelli
rispuose: "Agustino sta in alto, là
dove
disputa de la
gloria de l'
eccellentissima Trinitade".
Essendo tenuti in pregione alcuni
Pavigiani dal
marchese de'
Malespini, fu interdetto loro al postutto ogne
beveraggio, per potere scuotere da loro grande avere.
Onde molti di loro erano già
trafelati, e molti
beveano
l'orina sua. E avea tra loro un giovane che avea grande
divozione in santo Agustino, e
chiamavalo in suo
aiuto.
Allora santo Agostino gli
apparve entro la mezzanotte,
e
prendendolo per la mano ritta, sì 'l menò infino al
fiume
Gravelon, e
bagnato che l'ebbe quivi ne l'
acqua,
una
foglia di vite in tale modo
refrigerò la lingua sua;
con che quegli che
disiderava di
bere l'orina sua, già
non
curava di
bere stelladia.
Il proposto d'una chiesa, il quale avea grande
divozione di santo Agustino, essendo caduto in una grande
infermitade per tre
anni, intanto che del letto non si
potea levare, sì che veggendo la
festa di santo Agostino,
quando
sonava la
vilia al vespro, con tutta
devozione
si misse a
pregare il santo per sé. Al quale
apparendo
santo Agustino in vestimento
bianco,
tre volte il
chiamò
del propio nome, e sì li disse: "
Eccomi presente tante
volte da te
chiamato, levati dunque tosto e
dira'mi il
vespro". Quegli si levò sano e, maravigliandosi tutti,
entrò in chiesa, e disse
divotamente il vespro.
Essendo nato ad un pastore tra i
vitelli un malore
molto
crudele, intanto venne
crescendo quello malore,
che già gli era venuto meno tutta la
forza. Pregando
costui il santo che l'
aiutasse, sì gli
apparve in visione,
e ponendo la mano sopra il male, e sì lo sanò
perfettamente.
Questo medesimo uomo per innanzi
perdette
il lume de li occhi, e pregando
continuamente il santo,
sì gli
apparve un
die entro la meriggia e,
forbendogli gli
occhi con le mani, sì li rendeo la santade di prima.
Intorno a gli
anni
Domini
DCCCCXII alcuni uomini
gravemente infermi, ch'erano più di
XL di Germania
e di Francia,
andavano a Roma a visitare gli
apostoli.
De' quali v'avea altri che si portavano in
catini
chinati
per terra; altri s'
andavano
appoggiando a'
bastoni;
altri ch'aveano meno gli occhi, si tiravano dietro a gli
altri; altri
andavano abbiendo le mani e' piedi
attratti.
I quali, passando i monti, giunsero ad uno luogo che si
dice la Carbonaia. Essendo presso che venuti ad uno
luogo, che vi si dice la Cana, ch'è di lungi a Pavia
a
tre miglia, santo Agostino vestito d'
abito vescovile,
uscendo d'una chiesa fatta ad onore di san
Cosma e
Damiano, sì
apparve loro, e
salutandoli sì gli
domandò
là
dove
andavano.
Coloro
abbiendoli risposto, il santo
disse: "
Andate a Pavia, e
domandate del monasterio di
san Piero, il quale è detto
Cieloro, e là troverrete la misericordia
che voi
andate
cercando".
Coloro lo
domandarono
del nome, e quelli disse: "I' ho nome Agustino,
di
quandrieto vescovo d'
Ippone". E tosto sparve da gli
occhi loro.
Coloro,
andando a Pavia, quando furono venuti
al detto monasterio ed
ebbero saputo che là entro
era il
corpo di santo Agustino, incominciarono tutti
insieme a gridare ad una
boce: "Santo Agustino,
aiutaci!"
Al quale grido i
cittadini e ' monaci
commossi
correvano a
avedere questa cosa; ed eccoti per lo
distendere
de le
nerbora,
cominciò a scorrere molto sangue,
intanto che de l'
entrata del monasterio infino al sepolcro
del santo, tutta la terra parea
bagnata di sangue.
E quando furono giunti al sepolcro, tutti interamente
furono sanati come se mai non
avessero avuto veruno
male le loro
corpora. Allora incominciò a
crescere la loro
fama di santo Agustino, e venire la
moltitudine de l'infermi
al sepolcro suo, i quali
riportandone i
benefici de
la santade, lasciavano il pegno de la loro salute; e così
avvenne che tanta
moltitudine de'
detti pegni v'erano
ragunati, che tutto l'oratorio
di santo Agostino e 'l
portico n'erano pieni, sì che grande
impedimento
davano
d'andare e di reddire. Per la qualcosa li monaci,
costretti per necessitade, sì li ne
fecero
rimuovere.
Da notare, è con ciò sia cosa che
tre cose siano
quelle che s'
appetiscono da gli uomini del
mondo, cioè
ricchezze,
diletti ed onori, questo uomo santo fu di
tanta perfezione che
disprezzò le ricchezze, rifiutò gli
onori ed ebbe in
abbominazione i
diletti. Che ciò fosse
ched elli
dispregiasse le ricchezze, elli medesimo il dice
nel
libro del
Soleloquio, dove la ragione il
domanda e
dice: "
Disideri tu
verune ricchezze?" Agostino risponde:
"Io non le rifiuto or di prima, però che essendo
io già di trenta
anni, egli è presso che
XIV anni che
io mi rimasi di volere queste cose, né non v'ho
cercato
altro che la necessità del
vivere; un solo
libro di
Cicerone
mi
confortòe che per neuno modo erano da
appetire
le ricchezze". E con ciò fosse
cosa che sì rifiutasse
gli onori, in quello medesimo
libro il dice là
dove la
ragione
adomanda: "Che
di' tu de gli onori?" Agustino
risponde: "Io
confesso che ora, o poco meno a questi
dì, mi sono rimaso di
desiderarli". Li
diletti e le
dilicatezze
sprezzòe, e quanto al giacere e quanto al mangiare.
Quanto al primo il
domanda la ragione: "Che
di' di moglie? Or non ti
diletta s'ell'è
bella e
casta e
bene
costumata e ricca, e
massimamente se tu
se' certo
di non
sostenere veruna gravezza da lei?" Ed Agustino
risponde: "Quantunque tu vuogli
dipignere e ornarla
di
buoni
costumi, niuna cosa m'ho
fermato così da
fuggire, come la
corruzione". Disse la ragione: "Io
non vo
caendo quello che tu t'hai
fermato, ma se tu
ti
diletti in cotali cose". E Agustino risponde: "Niuna
cosa al postutto vo
caendo in queste cotali cose, niuna
ne
disidero; ma con
gravezza e
errore e con
spregio
me ne ricorda". Quanto a la seconda cosa il
domanda
la ragione e dice: "Che mi
di' de'
cibi?" Rispuose
Agustino: "O vuoli di mangiare o di
bere o
di
bagnora o d'altri
diletti del
corpo non me ne
domandare;
però che in queste cose
domando pure tanto
quanto mi può essere
donato ad
aiuto de la santade".
cap. 120, Decollaz. Giov. Battista
La
decollazione di san Giovanni Batista per
quattro
ragioni
pare che fosse ordinata, come si truova scritto
nel
Mitrale de Offizio. La prima per la sua
decollazione,
la seconda per l'
arsura de l'ossa sue e per
lo raccoglimento, la terza per lo trovamento del capo
suo, la quarta per lo
traslatamento del
dito suo, e
per la sagra de la chiesa. E se
condo ciò questa
festa
s'
appella da alcuni in
diversi modi, cioè
dicollazione,
raccoglimento, trovamento e sagra.
Imprima dunque si fa questa
festa per la
dicollazione
sua, la quale fue in questo modo.
Dicono le Storie
Scolastiche
che
Erode
Antipas, figliuolo del grande
Erode,
andando a Roma, e
faccendo passamento per le terre
del suo
fratello
Filippo, fece
patto con
Erodiade, moglie
di
Filippo e, secondo il detto di
Gioseffo,
serocchia
d'
Erode
Agrippa, che a la tornata sua
caccerebbe la
moglie e prenderebbe lei per sua moglie. La qualcosa
non fu
celata a la moglie sua, cioè
Darete figliuola del re
di
Damasco. Onde non
aspettando la tornata del
marito, il più tosto che
poté tornò al padre.
Ritornardo
dunque
Erode, tolse
Erodiade a
Filippo, e recossi a nemici
Areta re e
Agrippa e
Filippo; e
Joanni Batista lo
riprendea di ciò perché, secondo la legge ch'elli avea
ricevuta, non gli era licito d'avere la moglie altrui,
cioè del
fratello suo, vivendo lui. Veggendo dunque
Erode
che
Joanni il riprendea sì
duramente, e che per lo
battesimo
e per la predicazione, secondo il detto di
Gioseffo,
ragunava grande popolo, e sì 'l fece mettere in
pregione, volendo piacere a la moglie e temendo il
danno
del popolo che seguitava Giovanni. E volselo uccidere;
se non che temette il popolo.
Disiderando dunque
Erode
insieme con
Erodia di trovare cagione per la quale potessero
uccidere
Joanni,
pare che tra loro medesimi
insieme
dicessero che
Erode facesse
festa del
die del
suo
natale dinanzi a' maggiorenti di Galilea, e che
fermasse
di
dare sotto
giuramento
alla
fanciulla che saltasse,
figliuola d'
Erodiada, ciò ch'ella
domandasse;
ed
ella richiedendo il capo di Giovanni Batista, lo quale
converrebbe ch'elli le
desse per lo
giuramento fatto, ma
ch'elli s'infignesse d'esserne tristo e
dolente del
giuramento
fatto. E che questa malizia e infignimento
avesse,
pare che si dimostri ne le Storie
Scolastiche, là
ove dice così: "
Creditoia cosa è che
Erode sotto questa
cagione trattasse prima sagretamente de la
morte di
Joanni come si dovesse fare". Anche
dice san
Geronimo
ne la Chiosa: "Per ciò forse
giurò per trovare cagione
d'uccidere; ché se colei
avesse
chiesta la
morte del padre
o de la madre,
Erode non l'
avrebbe
acconsentito".
Ordinato dunque il
convito, la
fanciulla saltò dinanzi
a tutti, piacque a tutti, e 'l re le
giurò di
dare tutto
ciò ch'ella
domandasse; e quella,
ammaestrata dinanzi
da la madre,
domandò il capo di Giovanni. Ma il malizioso
Erode s'infinse d'essere contristato per lo saramento,
però che, come
dice
Rabano, mattamente
avrebbe
giurato quello che gli
convenisse fare. Ma mostravasi
tristo ne la
faccia, con ciò sia cosa che s'
allegrasse ne
la
mente;
iscusa la
follia col
giuramento, acciò che
diventasse
crudele sotto cagione di misericordia. Fue
dunque mandato il giustiziere e, tagliato il capo di Giovanni,
fu
dato a la
fanciulla, e da la
fanciulla fu presentato
a la madre
adoltera. Santo Agostino per cagione
di questo
giuramento narra nel sermone che fece de la
dicollazione di Giovanni Batista un cotale
essemplo:
"Un uomo, ciò
dice, fue
innocente e fedele persona,
dal quale io udii quel ch'io
narro; che
negandoli uno
quelli ch'elli gli avea prestato,
commosso quegli sì l'
accese
a giurare. Sì che quegli sì
pergiurò che non gli
dovea
dare nulla, e questi
perdette il suo. Or
dicea
costui che in quella notte fu
menato al giudice e
dimandato
da lui per queste parole: "Perché
facesti tu
giurare l'uomo, da che tu sapevi che
dovea giurare
falso?" E quelli disse: "Elli mi
disdisse il mio".
Disse il giudice: "Meglio ti venìa a perdere il tuo, che
uccidere l'
anima sua con
falsa ragione". Sì che l'uomo
fu messo in terra e
fugli
dato tante
battiture che,
da che si fue
isvegliato,
appareano le segni de le
battiture
in sul
dosso. Ma
fugli perdonato da che si fue
ammendato". Insino qui dice Agustino.
Ma in questo
die
Joanni non fue
dicollato, ma intorno
a la
Pasqua, l'
anno dinanzi a la Passione di Cristo.
Convenne dunque per li sacramenti del Signore, che 'l
minore
desse luogo al maggiore. Quinci grida Grisostomo,
e dice: "Giovanni, scuola di virtudi, ma
esercizio di
vita,
forma di
santitade, regola di giustizia,
specchio
di
verginitade,
titolo di pudicizia,
essempro di
castitade,
via di penitenzia, perdonanza di peccati,
disciplina de la
fede; Giovanni, maggiore uomo
iguale a gli
angeli,
somma de la legge, stanziamento del Vangelio,
voce de
gli
apostoli,
acchetamento de' profeti, lucerna del
mondo,
precursore del giudice e mezzo di tutta la Trinitade. E
costui ch'è cotale uomo, è
dato al peccatore, è
conceduto
a l'
adoltera, è messo in mano de la
ballatrice".
Ma
Erode non andò impunito, ma fu
condannato a
bando.
Ché, come si truova ne le Storie
Scolastiche, l'altro
Erode
Agrippa essendo uno valentre uomo, ma povero,
disperandosi per la troppa povertade,
entròe in una torre
per
morirvi entro di
fame. Abbiendo ciò udito
Erodiada,
sua
serocchia, pregò il
marito suo, ciò fue
Erode
Antipas,
Tetrarca, che 'l nel traesse fuori. Quando quegli
ebbe ciò fatto, mangiando una volta
abendue insieme,
Erode
Tetrarca, da che fu bene riscaldato di vino,
rimproveròe ad
Erode
Agrippa che l'avea
campato da
la
pistilenza de la
fame; laonde quegli si
dolse
fortemente
e,
andandone a Roma, fu tanto innalzato da Gaio
Cesare, che gli
diede
due
tetrarchie, cioè quella di
Lisania
e quella d'
Abilina, e
mandollo per re in Giudea,
posta che gli ebbe la
corona in capo.
Veggendo
Erodiade che 'l
fratello suo avea nome di
re, con molto
molestevoli
prieghi
sollecitava il
marito
suo che
andasse a Roma e
comperassesi nome di re. Ma
egli,
abbondando di molte ricchezze, si voleva riposare,
più
amando l'
ozio che l'onore. Il quale con
fatica
finalmente vinto per li
prieghi de la moglie, andò a
Roma con esso lei.
Udendo ciò
Agrippa, mandò lettere a Cesare significandoli
che
Erode ha fatto
amistade col re de' Parti e
ha intendimento di ribellarsi a lo 'mperio di Roma; e
in
argomento di ciò sì li significò che ne le
cittadi sue
avea tante
arme che
basterebbero a
LXX milia d'
armati.
Sì che Cesare quando ebbe
letta la
lettera,
cominciandosi
quasi
altronde,
domandòe
Erode de lo stato suo,
e, fra l'altre cose, il
domandòe sed e' fosse tanta
abbondanza
d'
arme ne le
città sue, quanta
avìa udito che vi
era. E quegli non lo negò. Allora Gaio,
credendo che
fosse vero quello che
Agrippa gli avea scritto, sì 'l
mandò a'
confini, e a la moglie, perch'era
serocchia
d'
Agrippa, lo quale spezialmente
amava, sì
diede di
potere ritornare ne la terra sua. Ma ella volse anzi
accompagnarsi
al
marito suo a'
confini,
dicendo che colui
col quale avea
partecipato ne le
prosperitadi,
participerebbe
simigliantemente ne l'
avversitadi. Furono adunque
portati a Leone sopra Rodano, e là
finito la vita
loro in molta miseria. Queste cose sono ne le Storie
Scolastiche.
La seconda ragione sì è per l'
ardimento de le sue
ossa e per lo raccoglimento, le quali in questo
die furono
arse, come vogliono
dire alcuni, e parte ne furono
raccolte.
Onde
sostenne quasi il secondo martirio quando
ne le sue ossa fu
arso; e però fa la Chiesa questa
festa
come il secondo martirio suo. Che così si legge nel
XII
libro de le Storie
Ecclesiastiche: "
Avendo
i
discepoli di
Joanni Batista seppellito il
corpo suo a
Sebaste,
cittade di Palestina, in mezzo tra
Eliseo ed
Abdia, e faccendosi molti miracoli a l'
avello suo, per
comandamento di Giuliano apostata li gentili sparsero
l'ossa sue; e non rimanendosi i miracoli, quell'
ossa furono
raccolte ed
arse nel
fuoco e tornate in
polvere e
ventolate per le
campora. Così si legge ne le
Storie
Scolastiche. E
Beda
dice ne la
Cronica sua che quell'ossa per alcuno modo
raccolte, sì
si sparsero più
distesamente, e così
pare che
sostenesse
il secondo martirio. Questa
festa rappresentano
coloro
che non sanno, i quali ne la sua nativitade
ardono l'ossa
da ogne parte
raccolte. E mentre che le si raccoglievano
per
ardere, come
dicono le Storie
Scolastiche
e Beda
ne testimonia, vennero monaci di Gerusalem e
mischiaronsi
celatamente tra loro che raccoglievano, e
tolserne
gran parte di quelle ossa, e
portarle a
Filippo vescovo
di Gerusalem, il quale le mandò poscia a santo
Atanasio,
vescovo d'Alessandria. E poi
Teofilo, vescovo
di quella
cittade, sì le ripuose nel tempio di
Serapis,
purgato da le
suzzure, e
consacrollo per chiesa di santo
Giovanni. Queste cose sono
in Beda e ne la Storia
Scolastica.
Ma poi furono traslatate a
Genova, là ove
devotamente
sono riverite, sì come
Alessandro terzo e
Innocenzio
quarto, saputa la veritade del fatto,
approvarono
con loro privilegii. E secondamente che
Erode, il quale
fece tagliare il capo di Giovanni,
patìo pene de le sue
fellonie, così Giuliano apostata, il quale
comandò che
s'
ardessono l'ossa sue, fu percosso da la
divina vendetta.
Ma di ciò è detto più su ne la leggenda di san
Giuliano, che seguita dopo la
conversione di san
Paulo.
Di questo Giuliano apostata siamo
ammaestrati pienamente
ne la Storia
Tripertita, e quanto al
nascimento
e quanto a lo 'mperio e a la
crudeltade e a la
morte.
Ché
Costanzio,
fratello del grande
Costantino, d'uno
medesimo padre, sì ebbe
due figliuoli,
Gallo e Giuliano.
Morto
Costantino,
Costanzio suo figliuolo, fece
Gallo
Cesare e poscia l'uccise. E Giuliano temendo di ciò,
diventò monaco, e
cominciò ad avere
consiglio con gl'
incantatori
se potesse essere ancora imperadore. Dopo
queste cose
Costanzio fece Giuliano Cesare, e
mandollo
in Francia, là
dove ebbe molte vettorie. E una
corona
d'
alloro stando
appiattata tra
due
colonne, ruppesi la
funicella, e
caddeli in capo passando quind'oltre, e
incoronollo
molto
acconciamente, gridando tutti che questo
era
segnale d'imperio. E sendo
chiamato da'
cavalieri
Augusto, e non essendovi ancora
corona con la quale
fosse incoronato, fu uno che tolse un
fregio ch'avea a
collo e
puoselo in capo a Giuliano; e così fu fatto imperadore
da loro. Allora gittò via il
componimento d'essere
cristiano, e
aprendo le
chiese de l'idoli e sacrificando
a loro,
chiama
vasi pontefice de' pagani e
disfaceva il
segno de la Croce
dovunque si trovasse. Una volta gli
cadde sopra capo e sopra le vestimenta di lui, e de gli
altri ch'erano con lui, la rugiada, e ogni gocciola si
trasformò in
segnale di Croce.
E volendo piacere a tutta gente, morto
Costanzio, volse
che
catuno a qualunque Dio più gli piacesse, a quello
servisse, e de la
corte sua
cacciò fuori
castrati e
barbieri
e
cuochi.
Castrati, però che la moglie era morta, poi ch'altra
non avea menata;
cuochi, perch'elli usava grossi
cibi;
barbieri, perché
diceva che uno
bastava a molti. Molti
libri
dittòe
nei quali
lacerò tutti i prencipi dinanzi a sé.
In ciò che
cacciò tutt'i
cuochi, e'
barbieri, fece opera di
filosofo, ma non d'imperadore; in ciò che
biasimò e
lodòe
i prencipi, non fece come
filosafo, né come imperadore.
Sacrificando alcuna volta Giuliano a l'idoli, ne le interiora
de la pecora sacrificata gli fu mostrato il
segnale
de la Croce
attorniato di
corona. La qualcosa veggendo
i ministri
ebbero grande paura, e interpretarono che la
Croce
dovea avere veritade e vettoria e non
dovea avere
né termine, né fine. E Giuliano gli
confortò e disse che
questo era
segno che la
dottrina
cristiana
dovea essere
costretta, e non si
dovea
stendere fuori del
cerchio.
Sacrificando Giuliano in Costantinopoli a la Fortuna
del mare, il vescovo di Calcidonia, il quale per vecchiezza
avea perduto il vedere, sì andò a lui, e
appellollo
sanza Dio e
crudele e apostata. Al quale Giuliano disse:
"Né il Galileo tuo non t'ha potuto guerire". E
quelli disse: "Di ciò
fo io grazie al Segnore mio, ched
E' m'ha tolto il lume, acciò ch'io non ti veggia uomo
sanza pietade". E Giuliano non
risponden
dogli
altro, sì si partìo. E
andonne in Antiochia, e
raccolse
i vaselli santi e le
paramenta, e gittandole in terra vi
sedette suso, e disse molta villania e
aggiunse
vergogne;
e incontanente in que' luoghi
cominciarono a uscire
fuori i vermini, e
rodevalli le
carni; dal quale male
non
poté essere liberato mentre che visse. E Giuliano
prefetto, abbiendo al
comandamento di Giuliano imperadore
tolti i vasi de le
chiese,
pisciandovi suso sì disse:
"Ecco in che vaselli si serve al figliuolo di Maria".
E subitamente la bocca gli si
convertì in
culo, e
diventòe
la bocca
membro di gittare fuori.
Entrando Giuliano Apostata ne' tempii de la Fortuna,
e spargendo i ministri del tempio l'
acqua perché fossero
mondi
coloro che
intravano,
Valentiano vidde una gocciola
di quello spargimento in sul mantello, e adirato di
ciò,
diede un gran pugno al ministro che spargea,
dicendo
ch'elli era quindi anzi macchiato, che mondato. Vedendo
ciò lo 'mperadore,
comandò che fosse messo in
pregione e mandato a l'
ermo, però ch'egli era
cristiano,
il quale per guiderdone
meritò d'essere poi imperadore.
Ancora per odio de'
cristiani fece Giuliano
riconciliare
il tempio di giuderi,
dando a'
detti giudei le spese
a la larga; ma quando
ebbero apparecchiato una grande
abbondanza di
calcina trita, subitamente venne uno gran
vento, e tutta la sparse qua e là; poscia venne uno
grande terremuoto; poscia eccoti uscire un
fuoco dal
fondamento,
il quale n'
arse molti. E l'altro
die
apparve il
segnale de la Croce in
cielo, e le vestimenta de' Giuderi
furono ripiene di
croci di
colore nero.
Andando lui in Persia e venuto a la
città di
Ctisifonte,
puosesi ad
assediare il re; e il re gli proferse
parte del suo paese se si partisse da lui; ma egli non
v'
acconsentìo per veruno modo, però che si
credea, secondo
il detto di
Pitagora e la sentenzia di
Platone, per
mutamento de'
corpi avere l'
anima d'
Alessandro, ovvero
essere
maggiormente
in un altro
corpo un altro
Alessandro.
Ma subitamente venne una lancia e
dargli per
lo
fianco entro, per la quale piaga ne ricevette il termine
de la vita. Ma chi si fosse colui che
diè la
fedita
non si sa, perché adrieto altri
dicono che fu uno di
quelli che non si veggiono, altri
dicono che fu uno de'
pastori Ismaeliti, altri che fu un
cavaliere affaticato
di
fame e d'andare. Ma o uomo o
angelo che fosse,
cosa palese è, ch'elli ubbidìo al
comandamento di Dio.
Ma
Calisto suo
famigliare dice che fue percosso dal
demonio. Queste cose sono ne la Storia
Tripertita.
La terza ragione è per lo
ritrovamento del capo suo.
Però che in questo
die vogliono
dire alcuni che fu trovato
il capo suo; ché, sì come
dice ne l'
XI libro de la
Storia
Ecclesiastica, Giovanni fue in uno
castello d'
Arabia,
c'ha nome
Macheronta, legato in pregione e
tagliatali
la testa, ed
Erodia fece portare il capo suo in Gerusalem,
e guardingamente il fece seppellire a lato al
sepolcro d'
Erode, temendo che non risucitasse profeta
se col
corpo fosse seppellito il capo. E al tempo di
Marziano prencipe
ne l'anno Domini CCCLIII Joanni
revelò il capo suo a
due monaci che veniano in Gerusalem,
come
dice la Storia
Scolastica; i quali monaci
andando al palazzo che era stato d'
Erode, trovarono il
capo di Giovanni inviluppato in
cilicio;
credo che fossero
le vestimenta di che era vestito nel
diserto. I quali
ritornando con quello capo a le
contrade loro, uno de la
cittade d'
Imisse
na, il quale
fuggiva povertade, s'
accompagnò
a loro. E portando costui la tasca col capo
santissimo,
ammonito di notte da san Giovanni,
fuggì
costoro e
entròe ne la
città d'
Imisse
na col santo capo;
sì che mentre che visse tegnendo il detto capo in una
spelonca con molta reverenza, in molta
prosperitade ne
venne. E morendo lui sì 'l
manifestòe ad una sua
serocchia
sotto fede, e secondo quello modo tra loro medesimi
fecero i successori loro. E dopo molto tempo san
Giovanni rivelòe il capo suo a san
Marcello,
abitante
monaco ne la
detta spelonca, in questo modo. Ché gli
apparea
dormendosi che molte turbe
andassero
cantando
e
dicendo: "Ecco san Giovanni Batista che ne
viene!" Poscia vide san Giovanni che 'l guidava da
man ritta, e un altro da mano manca, e tutti veniano
a lui, e elli il
benedicea. E quando
Marcello fu venuto
a lui, si levò ritto e
preselo per lo
mento,
dandoli
bascio
di pace. Allora
Marcello il
domandò e disse: "Segnore
mio, onde
se' tu venuto a noi?" E quelli rispuose:
"Son venuto di
Sebasten". Sì che quando
Marcello fu
isvegliato, e
maravigliatosi molto di questa visione,
un'altra notte venne uno a lui quando e'
dormìa, e sì
'l
destò e,
destato lui, ed elli vidde una
stella splendiente
stare ne l'uscio de la
celletta. E quelli levandosi
per
volerla toccare, subitamente si trasportòe in altra
parte. Elli
cominciò andare dopo lei infino che la
stella
stette nel luogo dov'era il capo di Giovanni Batista; e
cavando quivi,
trovovvi uno vasello, e iventro il capo
santo. E uno non
credendo ciò, puose la mano al vasello,
ma la mano
diventòe incontanente
arida e secca;
e orando i
compagni suoi, trasse a sé la mano, ma la
mano rimase inferma. E santo Giovanni gli
apparve
e disse: "Quando il capo mio fia
diposto ne la chiesa,
toccherai il vasello e riceverai sanitade". E quegli il
fece e ricevette sanitade perfetta. Quando
Marcello ebbe
questo fatto
indicato a Giuliano, vescovo di quella
città,
ambedue tolsero il capo, e
portarlo ne la
città. E
da quell'ora innanzi
cominciò in quello
die a
farsi
festa
de la
dicollazione di santo Giovanni ne la
detta
cittade,
sì come
dicono le Storie
Scolastiche, cioè in quel
die
che 'l capo fu levato.
Il quale fu poi traslatato a Costantinopoli.
Ché sì come
dice la Storia
Tripertita,
avendo
comandato
Valente imperadore che 'l santo capo si ponesse
nel
carro, e
portassesi in Costantinopoli, quando furono
venuti intorno a Calcedonia, il
carro per veruno modo
si potea tirare, quantunque i
buoi fossero
puntecchiati
con
ferruzzi; e per ciò furono
costretti di
porlo in terra.
Ma poi
volendolo
Teodogio levare quindi, ed abbiendo
trovato una
donna vergine
diputata a la guardia di quel
capo, sì la pregò iveritto che lasciasse portare via quello
corpo santo; e ella
consentìo,
credendo che non si lasciasse
rimuovere quindi, come avea fatto al tempo di
Valente imperadore. Allora il
divoto imperadore
abbracciando
il capo con la porpore sua, si trasportòe in Costantinopoli,
ed ivi li fece una
bellissima chiesa. Queste
cose sono ne la Storia
Tripertita. E quindi fu poscia
traslatato in Francia a
Pitavia, al tempo del re
Pipino;
nel quale luogo per li suoi
meriti molti morti sono
risucitati.
E secondamente che fu punito
Erode, che fece
dicollare
Giovanni, e Giuliano apostata, che
arse l'ossa sue,
così fu punita
Erodiada, che
confortò la
fanciulla che
domandasse il capo, e anche la
fanciulla medesima che
'l
domandò.
Dicono alcuni che
Erodiada non fu
condannata
a
bando, né non vi morìo, ma tenendosi in mano
il capo di
Joanni e
rallegrandosi ad esso e
dicendoli
rimprovero molto, per
volontà di Dio quello capo le soffiò
nel volto, e quella
cadde morta incontanente. Questo si
dice
volgaremente; ma più è vero quello che detto è:
ched ella morì a'
confini con
Erode in molta miseria,
però che i santi il
dicono ne le
Croniche, e così
par che
sia da tenere. E la figliuola sua andò su per lo
ghiaccio;
sott'essa il ghiaccio sì si strusse, e quella
affogòe
incontanente ne l'
acqua.
Ma ne la
Cronica dice che la terra la
'nghiottì
viva.
Ma questo si puote intendere come di quelli d'
Egitto,
i quali
affogarono con
Faraone nel Mare Rosso, che si
dice che la terra gli
divoròe.
La quarta ragione si è per lo
traslatamento del
dito
suo e per la sagra de la chiesa.
Ché il dito suo col
quale egli mostrò Cristo, come
dicono alcuni, non si
poté
ardere, onde quello
dito fu trovato da'
detti
monaci; lo quale
dito, come
dicono le Storie
Scolastiche,
santa
Tecla il portòe poi ne l'Alpe, e
puoselo ne la
chiesa di santo
Marino. Questo dice anche il maestro
Joanni
Beleth, che quello
dito non
poté
ardere, santa
Tecla il portò d'oltre mare in
Romania, e ivi fece
la chiesa ad onore di san Giovanni, la quale chiesa,
sì come
dice nel detto
libro, alcuni
dicono ch'ella è oggi
sagrata. Onde da messere lo Papa fu ordinato che questo
dì fosse avuto per grande
festa in tutto il
mondo per
lo suo onore.
In una
città di Francia, la quale ha nome
Maurien,
una
donna v'avea ch'era grande
devota di
san Giovanni Batista e pregava Iddio
perseverantemente
che le
donasse alcuna cosa de le reliquie sue. E veggendo
che non le giovava nulla il
pregare,
strinsesi a
giuramento che, s'ella non
avesse quello ch'ella
domandava,
da indi innanzi non mangerebbe. E
avendo
digiunato
alcuni dì, vidde in su l'
altare un
dito grosso,
maravigliosamente
bianco, e ella
allegra ricevette il
dono
di Dio. E tre vescovi
correndo là,
catuno volea partire
quello
dito, e ellino videro tre gocciole di sangue
stillare
in sul panno che v'era sotto, e
catuno s'
allegrò d'avere
guadagnato la sua gocciola.
Teodolina, reina de' Longobardi, fece una nobile
chiesa ad onore di santo Giovanni Batista presso a
Melano
in uno luogo che si chiama
Modice, e sì le fece
gran
dote. Sì che passato alcuno temporale, come
dice
Paulo ne la Storia di Longobardi,
Costantino imperadore,
volendo liberare Italia da' Longobardi,
dimandò un santo
uomo ch'avea spirito di
profezia, che fine dovesse avere
la
battaglia. Il quale stette la notte in orazione, e la
mattina rispuose a
Costantino, e disse: "La reina di
Longobardi fece la chiesa di san Giovanni Batista, e però
egli prega
continuamente per loro, e però non possono
essere vinti; ma verrà tempo che in quel luogo fia
disprezzato,
e allora saranno vinti". La qualcosa
avvenne
al tempo di
Carlo.
Avea uno di grande vertude, come
dice
Gregorio nel
Dialago, il quale avea nome
Santolo; il
quale, abbiendo ricevuto in guardia uno
diacono preso da'
Longobardi a cotale
patto che, s'egli
fuggisse, elli
sosterrebbe
per lui la sentenzia del capo,
costrinse dunque
il detto
Santolo quello
diacono che
fuggisse e
liberassesi.
Per la qualcosa
Santolo era menato a essere
dicollato; e a ciò fare fue
eletto uno
fortissimo giustiziere,
del quale non era
dubbio che 'n uno
colpo gli
tagliasse il capo. E
disteso il
collo, quando quello giustiziere
ebbe levata
alta la spada con grande
forza per
dare il
colpo, e
Santolo disse: "San Giovanni
ricevila!"
Incontanente il
braccio del percotitore perché il
vigore e, stando la spada levata inverso il
cielo, stette
fermo che non si potea torcere. E fatto saramento che
giammai non percoterebbe veruno
cristiano, l'uomo di
Dio fece orazione per lui, e quegli incontanente puose
il
braccio a terra e fu sanato e libero.
cap. 121, Ss. Felice e AdauttoFelice prete e 'l
fratello, ch'avea simigliantemente
nome Felice, prete, furono
menati dinanzi a
Diocliziano
e
Massimiano. L'uno de' quali, il più vecchio, essendo
menato al tempio di
Serapis per
farlo sacrificare, soffiò
ne la
faccia de l'idolo, e incontanente
cadde. Fu
menato simigliantemente a l'idolo di Mercurio; e anche
vi soffiò entro, e tosto
cadde. Fu
menato la terza volta
a l'idolo de la
Diana, e fece il somigliante. Quando fu
tormentato a la
colla, fu
menato la quarta volta a l'
albore
consegrata al
demonio per
farlovi sacrificare; e elli
puose le ginocchia in terra e, soffiando ne l'
albore,
enabissolla infino a le radici, e
sminuzzò l'idolo con l'
altare
e col tempio e con l'
albero
caggente. La quale cosa
avendo udito il prefetto,
comandò che quivi fosse
dicollato
e lasciatovi il
corpo a'
cani e a' lupi. Allora si levò
subitamente uno nel mezzo di tutti, e
confessò liberamente
ch'egli era
cristiano. Sì che
basciandosi insieme,
abendue simigliantemente furono
dicollati; e li
cristiani
non sappiendo il nome di colui, sì li puosero nome
Adaucto,
cioè a
dire Aggiunto, però che s'
aggiunse a san Felice
a ricevere la
corona del martirio. I quali furono seppelliti
da'
cristiani entro la
fossa che l'
albore avea fatta;
ma i pagani
vogliendolne scavare, incontanente furono
presi dal
diavolo. E furono
martirizzati costoro intorno
a gli
anni
Domini
CCLXXXVII.
cap. 122, Ss. Saviano e SavinaSaviano e Savina furono figliuoli di Savino, uomo
nobilissimo, ma pagano, il quale ingenerò de la prima
moglie Saviano, e de la seconda ingenerò Savina, e
ambedue gli
chiamòe del nome suo.
Leggendo Saviano quello verso che
dice:
"Adsperges
me, Domine, yssopo et mundabor",
domandava che ciò
fosse, ma non 'l potea intendere. Onde
entrando ne la
camera puosesi a giacere in
cennere e
cilicio, e
dicea
che volea anzi morire che none intendere il senno de la
parola. Al quale
apparendo l'
angelo, sì li disse: "Non
t'
affliggere infino a la
morte, però che tu t'hai trovata
la grazia di Dio, e
comunque tu sarai
battezzato, sarai
più
candido che la
neve, e allora intenderai quello
che tu ora tu vai
caendo". Partendosi l'
angelo, costui
diventò
allegro; e non vogliendo da quinci innanzi
adorare
gl'idoli, era molto
rampognato dal padre. Sì che
dicendoli il padre spesse volte: "Meglio è, da che tu
non
adori gli
dei, che tu solo muoia innanzi che tu
c'
invogli tutti insieme ne la
morte tua,
fuggìo
nascostamente
e
capitòe a la
città di
Treci. E quando
fu venuto sopra il
fiume
Secana, pregò
Domenedio
d'essere
battezzato.
Dissegli il Segnore: "Ora hai tu
trovato quella cosa per la quale
cercando tanto ti
se'
affaticato". E incontanente
ficcò il
bastone dinanzi
a molti ch'erano ivi presenti
e, fatta l'orazione, il bastone
menòe
frondi e
fiori, sì che
MCVIII uomini
credettero
in
Domenedio.
Udendo queste cose lo 'mperadore
Aureliano, mandò
molti
cavalieri per
prenderlo, i quali
trovandolo stare in
orazione
ebbero temenzia d'andare a lui; onde lo 'mperadore
ve ne mandò più che quelli di prima, i quali
vegnendo tutti insieme in orazione stetteno con lui; e
levandosi lui da l'orazione, sì li
dissero: "Lo 'mperadore
t'ha voglia di vedere". Il quale ed essendo venuto
a lo 'mperadore e non vogliendo sacrificare, sì gli
fece legare le mani e' piedi e
batterlo con
catenacci di
ferro. Al quale disse Saviano: "
Arrogi tormenti, se
puoi". Allora
comandò che fosse legato sopra una
scranna nel mezzo de la
cittade e
messovi de le legne
sotto, e sparto de l'olio sopra, e così fosse
arso in questo
fuoco. E ponendo
mente il re,
viddelo nel
miluogo de la
fiamma stare ritto e orare; sì che isbigottito
cadde ne
la
faccia sua, e levandosi poi disse a lui: "
Fiera
pessima,
or non ti
bastano l'
anime che tu hai ingannate,
se tu non ti sforzi d'ingannare noi per
arte di
demoni?"
Al quale rispuose Saviano: "Ancora
debbono molt'
anime,
e tu medesimo,
credere per me". Udendo ciò, lo 'mperadore
bestemmiò il nome del Signore, e l'altro dì
comandò
che fosse legato ad uno legno e fosse
saettato;
e le saette pendevano in
aere da parte ritta e da manca,
e non li fece male veruno. L'altro
die venne lo imperadore
a lui, e sì li disse: "Ov'è il
Domenedio tuo?
Ora vegna dunque, ora sì ti liberi di queste saette!"
Incontanente volòe una di quelle saette e
diede ne l'occhio
al re, sì che in tutto l'
accecò. Adirato il re,
comandò
che fosse messo in pregione e 'l seguente
die fosse
dicollato. E 'l seguente
die Saviano pregò Iddio che 'l
trasportasse al luogo là
dove era stato
battezzato. Incontanente
si ruppero le
catene, e
aperonsi l'uscia, e venne
là passando per lo mezzo de'
cavalieri. Udendo ciò lo
'mperadore,
comandò che fosse giunto là e tagliatoli la
testa là. Veggendo Saviano i
cavalieri che 'l perseguitavano,
andò sopra l'
acqua come sopra pietra, infino che
venne al luogo del suo
battesimo. Sì che quando i
cavalieri
valicavano, temendo che quelli non perisse, elli
disse loro: "
Sicuramente mi percotete, e del sangue mio
portate a lo 'mperadore, acciò che riceva il lume e
cognosca la virtù di Dio". Quando fu percosso, tolse il
capo suo di terra e
portollo
XLIX passi. E quando lo
'mperadore ebbe unto gli occhi di quello sangue e fue
guerito, incontanente sì disse: "
Veramente è
buono e
grande il
Domenedio de'
cristiani!". Udendo ciò uno
ch'era fatto
cieco
XL anni, fecesi portare a quel luogo
e, fatta l'orazione, incontanente riebbe il vedere del
lume. E fu martirizzato i
X dì uscente gennaio
intorno
a gli anni Domini CCLXXIX.
Ma però si pone qui, per
congiugnerla questa storia
a quella de la
serocchia de la quale si fa questa
festa.
Or dice che questa sua
serocchia piagnea tutto dì
questo suo
fratello, e pregava gl'idoli per lui; a la
perfine
dormendo lei, l'
angelo di Dio l'
apparve e disse:
"Savina, non piagnere, ma lascia stare ciò che tu hai, e
troverrai il
fratello
tuo posto in grande onore". Quella
si svegliò e disse a la
balia sua: "
Amica mia, or sentisti
tu nulla?" Quella rispuose: "Ma sì, madonna;
io viddi uno uomo parlare teco, ma non so che si
dicea".
Savina disse: "Non mi
accusare tu!" La
balia disse:
"Non piaccia Dio, madonna; fa ciò che tu vuogli, non
t'uccidere tu". E così si partirono
ambedue l'altra mattina.
Con ciò dunque fosse
cosa che 'l padre n'
avesse
fatto
cercare gran tempo e non l'
avesse trovata, levò
le mani al
cielo e disse: "Se tu
se'
Domenedio potente
nel
cielo,
ispezza gl'idoli miei, che non hanno potuto
salvare i miei figliuoli". Allora mandò
Domenedio uno
tuono, e
spezzò tutti gl'idoli; udendo ciò molta gente
credettero in
Domenedio.
E vegnendo santa Savina a Roma fu
battezzata da
Eusebio papa e,
sanandovi
due
ciechi e
due
attratti,
cinque
anni vi stette e,
dormendo lei, l'
angelo l'
apparve
e disse a lei: "Savina che è quello che tu
fai, che
hai lasciate le
divizie tue, e staiti ora qui in
dilizie?
Leva su, e fa che vadi ne la
città di
Treci,
e troverrai il
fratello tuo". Sì ch'ella disse a la
fante
sua: "Non ci
conviene stare più qui". E quella disse:
"Ora dove ne vuo' tu
ire, madonna?
Ecco che qui
t'
amano tutti assai, e tu hai voglia d'andare e di
morire?" E quella disse: "Iddio ci
provvedrà". E togliendo
uno pane d'
orzo,
capitòe a la
città di Ravenna,
e vegnendo a
casa d'uno ricco uomo, la cui figliuola
si piagnea come per morta,
domandava a la
fante de
la
casa d'
esservi ricevuta ad
albergo. E quella rispuose:
"Madonna mia, come puo' tu
albergare qui che si muore
la figliuola de la
donna mia, e tutti stanno in grande
afflizione?" E la santa disse: "Per me non morrà
ella". Sì che
entrando ne la
casa prese per mano la
fanciulla, e levolla da giacere sana e lieta; e
vogliendola
coloro ritenere, non v'
acconsentìo per veruno modo.
Essendo dunque venuta presso a
Treci a uno miglio,
disse a la
fante sua: "Riposiamci un poco". Ed eccoti
venire un gentile uomo de la
città, il quale avea nome
Licerio, e disse a
coloro: "Onde siete voi?" E Savina
rispuose: "Noi siamo quinci di questa
cittade". E
quelli disse: "Perché
mentisti tu? Il parlare tuo mostra
che tu
se' pellegrina". E quella rispuose: "Messere,
veramente sono pellegrina, e vo
caendo il mio
fratello
Saviano, già fa lungo tempo ismarrito". E quelli disse:
"Quell'uomo cui tu vai
caendo, è poco tempo che fu
dicollato per Cristo, e seppellito in cotale luogo". Allora
si gittò quella in orazione, e disse: "O Segnore, che
m'hai sempre
conservata in
castità, non mi lasciare
più
affaticare in
crudeli
viaggi, né muovere più il
corpo
mio di questo luogo! Io ti raccomando la
fante mia, la
quale ha
sostenuto
cotanto per tuo
amore, e
fammi
degna di vedere il
fratello mio nel regno tuo, da che io
non l'ho potuto vedere qui". E,
finita l'orazione, passò
di questa vita: al Segnore suo se n'andò. Veggendo ciò
la sua
fante incominciò a piagnere, però che non v'avea
quelle cose che
faceano
bisogno a seppellire.
E 'l detto
cavaliere mandò un
banditore per la terra,
che tutti venissono a seppellire la femmina pellegrina.
I quali vennero e
seppellirla onorevolemente. In questo
medesimo dì si fa
festa di santa Sabina, che fu moglie
di
Valentino
cavaliere, la quale, non volendo sacrificare
a l'idoli, fu
dicollata sotto la signoria d'
Adriano imperadore.
cap. 123, S. LupoLupo d'
Orlies, nato de la schiatta del re,
risplendendo
di tutte le virtudi, fu
eletto
arcivescovo di Senso. Il
quale
dando ogni cosa quasi a' poveri, un
die invitòe
molta gente a
convito, e udendo che 'l vino vi mancava,
rispuose così al
servidore: "Io
credo che
Domenedio,
il quale pasce gli uccelli,
compierà la nostra
caritade".
E detto questo, ed eccoti uno messaggio che disse che
a la porta erano recate
cento moggia di vino.
Con ciò fosse
cosa che tutti quelli de la
corte
dicessero
male di lui, ched elli
amava troppo e fuori di misura
la vergine di Dio, figliuola de l'
antecessore suo, dinanzi
a
coloro che 'l ne
biasimavano prese quella vergine e
dielle un
bascio, così
dicendo: "Neuno
nocimento fanno
l'altrui parole a l'uomo, il quale la propia
coscienzia
non
macola". Ché perch'elli l'avea
conosciuta ardente
ne l'
amore di Dio, sì l'
amava con purissima
mente.
Essendo
entrato il re di Francia, il quale avea nome
Clotario, in Borgogna, mandò il siniscalco suo contra
Senso per
assediare la
cittade. Vedendo ciò santo Lupo
entrò ne la chiesa di santo Stefano, e incominciò a sonare
la
campana; la quale udendo i nimici, tanta paura gli
prese, che
fuggirono tutti, e non si pensarono di potere
campare da
morte. A la perfine avuto il reame di Borgogna,
quando il re ebbe mandato un altro siniscalco
a Senso, perché santo Lupo non gli si fece incontro con
donamenti, se n'
adiròe sì malamente ched elli
infamòe
tanto
appo
il re, che 'l re gli mandòe a'
confini;
il quale
risplendette nel detto luogo in
dottrina e in
miracoli.
Infrattanto quelli di Senso uccisero un vescovo che
s'avea preso il luogo di santo Lupo, e pregarono il re
che
ribandisse santo Lupo da i
confini. Il quale, quando
l'
ebber fatto ritornare,
veggendolo
infiebolito, in tale
maniera fu
mutato da Dio, che si gittò in terra dinanzi
da lui per
chiederli perdonanza, e
rendello a la sua
cittade
accresciuto di molti
donamenti. E ritornando a
Parigi, una grande turba d'
incarcerati gli venne incontro
con l'uscia
aperta e co'
ferri sciolti. Un
die di
domenica
dicendo lui la
Messa, da
cielo venne una gemma nel suo
santo
calice; la quale gemma il re la ripuose tra le sue
sante reliquie.
Il re
Clotario, udendo che la
campana di santo Stefano
aveva nel sonare una
mirabile
dolcezza, mandò che
fosse portata a Parigi, acciò che l'udisse più spesso;
ma essendo ciò
dispiaciuto a santo Lupo, sì tosto come
fu tratta de la
città di Senso, sì
perdette la
dolcezza
del suono suo. Udendo ciò, il re
comandò che incontanente
fosse renduta e, renduta che fue, riebbe il suono,
che
sette miglia s'udìa
dilungi da la
città, sì che santo
Lupo l'andò incontro, e ricevette con onore quello ch'egli
avea perduto con
dolore.
Una notte orando lui, per operazione del
diavolo
avendo
una grande setata,
comandò che li fosse recata
acqua
fredda. E intendendo che era inganno del nimico, puose
il
piumaccio suo sopra il vasello, e quivi
rinchiuse il
diavolo, il quale non fece tutta notte altro che urlare.
E venuta la mattina quegli ch'era venuto per tentare,
sì si partìo con vergogna il
die.
Una notte
faccendo lui la
cerca per le
chiese de la
città com'era usato, tornando a
casa, udì i
cherici
rampognarsi
insieme di ciò che voleano peccare con
femmine.
Ed egli
entrando in chiesa fece orazione per loro,
e incontanente ogne tentazione si partìo da loro e, venendo
innanzi lui,
domandarono perdonanza. A la perfine
egli, chiaro di molte vertudi, morìo in pace, e fue intorno
a gli
anni
Domini
DCX,
al tempo d'Eraclio.
cap. 124, S. Mamertino
Mamertino imprima pagano,
adorando una volta gl'idoli
perdette l'uno occhio e
seccollisi l'una mano. Il
quale pensandosi d'avere offeso gli
dei, e
andando al
tempio per
adorare là gli
dei, incontrossi in uno religioso
che avea nome Savino, il quale il
domandò onde tanta
infermità gli fosse incontrata. Ed elli disse: "Io abbo
offeso li miei iddei, e però gli vado a
pregare che quello
che m'hanno tolto con
ira, sì mi rendano con misericordia".
Al quale disse Savino: "Tu
erri,
frate, tu
erri se tu
credi che le
demonia siano
dei, ma
vattene
a san Germano, vescovo d'
Altissiedoro, e se tu t'
atterrai
al suo
consiglio, incontanente sarai sano". E
costui si misse la via tra ' piedi, e vennesene al sepolcro
di santo Amadore vescovo e di molti santi
vescovi, e
cansossi per la
piova quella notte a la
cella, ch'era
sopra l'
avello di san
Concordio.
Essendovisi addormentato,
sì li
apparve una
mirabile visione: che uno uomo
venne a l'uscio di quella
cella, e
chiamò santo
Concordio
che venisse a la
festa che
faceano san Pellegrino e
santo Amadore con gli altri vescovi. Al quale rispuose
colui de l'
avello: "Io non
posso venire ora, però che
mi
conviene guardare uno ospite che non sia roso da'
serpenti, ch'
abitano qui". Quegli andò, e disse quello
che avea udito, e ritornato disse: "O santo
Concordio,
leva su e vieni, e mena teco Viviano
suddiacano e
Juniano
accolito, ché
facciano l'ufficio, e
Alessandro guardi
l'ospite tuo". E
apparve a
Mamertino che san
Concordio
il prendesse per la mano e
menasselo seco; ed
essendo venuti a lui, disse santo Amadore a santo
Concordio:
"Chi è costui, che è
entrato teco?" E quelli
rispuose: "Egli è l'ospite mio". E quelli disse: "
Caccialo
via però ch'egli è sozzo, e non può stare con esso
noi". Il quale quando era
cacciato, gittossi in terra
dinanzi a loro, e impetrò grazia da santo Amadore,
il quale gli
comandò ch'
andasse tosto a san Germano.
Sì che isvegliandosi venne a san Germano, e gittossi in
terra dinanzi a lui,
chiedendoli perdonanza. E
narrogli
quelle cose che gli erano intervenute, e
andarono
abendue
a l'
avello di san
Concordio; e levata una lapida che
v'era,
viddervi serpenti entro, ch'erano lunghi
più di
dieci piedi l'uno e,
fuggendo tutti, san Germano
comandò loro ch'
andassero in tale luogo, ché "da
quinci innanzi non
nociate a persona veruna". E così
Mamertino fu
battezzato e sanato, e
diventòe monaco
del monasterio di san Germano, nel quale luogo fue
abbate
dopo santo Allodio.
Al cui tempo, cioè di
Mamertino, fue nel suo monasterio
santo
Marino, la cui ubbidienza volendo
Mamertino
provare, sì li
commise il più vile officio del monasterio,
ché 'l fece pastore de le
bufole. Sì che guardando
lui volentieri in una selva i
buoi e le vacche, di tanta
santità era che eziandio gli uccelli salvatichi che veniano
a lui, sì li nutricava con la sua propia mano. E ancora
il porco salvatico, il quale era
fuggito a la sua
cella,
sì 'l liberòe da'
cani, e
fecelo partire
sicuro. Alcuni
scherani
abbiendolo spogliato, partendosi da lui col vestire
suo che ne portavano seco, solo il mantello gli
lasciaro; il quale gridòe incontanente dopo loro, e disse:
"Ritornate, signori miei, io abbo trovato uno
danaio
legato nel
mantelluccio mio, lo quale
danaio vi sarà
forse
bisogno".
Coloro ritornando sì li tolsero il mantello
con esso il
danaio, e lasciarollo al tutto ignudo;
e
andandosene in
fretta a le loro
cavernelle, tutta notte
andando, in quella sera tardi sì si ritrovarono a la
celletta
di lui. I quali egli salutò, e ricevetteli
benignamente
ne la
cella, e lavò loro i piedi, e
apparecchiò loro
quanto potette di quelle cose ch'erano necessarie. I
quali stupiditi, si
dolsono di quello ch'aveano fatto, e
convertirsi a la fede.
Una volta che alcuni monaci che stavano con lui, i
quali erano più giovani, aveano tesi
lacciuoli ad un'
orsa
che mettea guato a le pecore, e l'
orsa in quella
notte era
caduta nel
lacciuolo e presa. La quale cosa
sentendo san
Marino levossi del letto, e
trovandola
disse a lei: "Che
fai tu misera? leva su e
fuggi, acciò
che tu non sia presa". E
sciolsela e lasciolla andare.
E quando fu passato di questa vita,
volendolo portare
il
corpo suo in
Altissiodoro, quando furono in una villa,
per veruno modo
nol poterono muovere, infino a tanto
ch'uno
incarcerato non uscì di pregione co'
ferri rotti
subitamente e venne al
corpo suo. E
portaronlo
infino a la
cittade con gli altri, e là fu seppellito onorevolemente
ne la chiesa di san Germano.
cap. 125, S. Egidio
Egidio d'
Atenia fu ingenerato di schiatta reale, e
ammaestrato da
piccolino de le sante Lettere, e
andando
lui un
die a la chiesa,
diede la gonnella sua a uno
infermo che si giaceva ne la piazza e
domandava
limosina.
La quale gonnella quando lo 'nfermo la s'ebbe
messa indosso, incontanente fu sano
perfettamente. Dopo
questo, essendo morto il padre e la madre in pace, del
patrimonio suo fece
reda Cristo. Tornando questo santo
uomo un
die da la chiesa, iscontrossi in uno uomo ch'era
stato morso dal serpente, ma fatta l'orazione, incontanente
cacciò via ogne veleno. Anche
sanòe una indemoniata
che si stava ne la chiesa e con sue grida
conturbava i
cristiani ch'erano con lei. Ma temendo il
pericolo del
favore de li uomini,
nascosamente se n'andò
a la riva del mare, e vedendo alcuni nocchieri che
pericolavano
in mare, fece orazione per loro, e
acquetòe la
tempesta, e non
ebbero mal veruno. E
arrivando i nocchieri,
e udendo che costui voleva andare a Roma,
rendendoli
grazie ch'erano liberati per li suoi
meriti, e'
promisergli di
portarlo seco in
dono.
Essendo dunque venuto il santo di Dio ad
Arelate,
stette là
due
anni con san
Cesario, vescovo di quella
città, e
sanovvi uno che
tre
anni avea
avuta la
febbre;
poi
disiderando l'
ermo, partissi
celatamente e stette lungo
tempo con
Veredonio
romito,
famoso di
santità; nel quale
luogo
cacciò via la sterilità de la terra per li suoi
meriti.
Faccendo dunque l'uno e l'altro miracolo, temendo
il
pericolo de la loda de gli uomini, lasciò colui e passò
più addentro per lo
diserto. Nel quale luogo trovando
una spelonca e una
fontanella e anche una
cerbia apparecchiata
da Dio, sì v'ebbe per nutrice, quale a
certe
stagioni li
dava
nudrimento del latte. Ma
cacciando per
quella
contrada i
donzelli del re, da ch'
ebbero veduta
questa
cerbia, lasciarono stare l'altre
bestie e tennero
dietro a questa
cerbia con i
cani; da i quali essendo
fortemente
costretta,
fuggìo a' piedi del suo
balio. E
quegli maravigliandosi perché la
cerbia mugghiava fuori
di sua usata, uscì fuori e vidde i
cacciatori. Allora
pregò il Signore che gli guardasse la nudrice, ch'elli gli
avea
data. De'
cani non fu niuno ardito d'
appressimarvesi
ad una gittata di pietra, ma con grande
urlato
ritornavano a'
cacciatori. Sopravvegnendo dunque la
notte, tornarono a
casa, e l'altro
die ritornando
colà,
indarno tornarono anche a
casa.
Udito ciò il re, ebbe
sospezzone come il fatto stesse,
e andò là col vescovo e con la
moltitudine di
cacciatori;
ma non essendo i
cani
arditi d'andare là come
di prima, anzi tornavano tutti adrieto urlando, e'
cacciatori
col signore e con tutta la gente
attornearono
il giro di quello luogo che non vi si potea
accedere
per la
moltitudine de' pruni; e uno
cavaliere
dirizzò una
saetta non
saviamente per
cacciare quindi la
cerbia, e
diede una grave
fedita al servo di Dio che pregava
Iddio per la
cerbia. Ma i
cavalieri vennero
faccendo una
viottola con i
ferri, e
capitarono a la spelonca di costui;
e vedendo il vecchio vestito de l'
abito monacile, e per
la
canutezza e per l'
etade parea uomo di reverenza,
vedendo ancora la
cerbia che gli stava tra le ginocchia,
solo il vescovo e 'l re
andarono a lui a piede,
comandando
a gli altri che stessono adrieto. Sì che 'l
domandarono
chi e' fosse e donde venuto fosse e perché fosse
entrato così
adentro nel
diserto, e chi fosse stato ardito
di
fedirlo così
gravemente. Il quale abbiendo risposto
a
catuna di quelle cose, ed eglino abbiendo
domandato
perdonanza da lui, umilemente
promissergli i medici
per sanare la piaga, e offersonli molti
donamenti; ma
elli né non volle medici, né non ragguardò a'
donamenti,
anzi gli ebbe in
dispregio; ché sappiendo che la vertù è
perfetta ne la infermità, pregò il Segnore che
nol facesse
mai sano a sua vita, com'egli era prima. Ma
visitandolo
il re spesse volte, e ricevendo da lui
nudrimento
di salute, sì gli offerse
ismisurate ricchezze, ma egli
al postutto le rifiutò di ricevere, ma sì lo ne
ammonìo
che n'ordinasse uno monasterio nel quale s'osservasse
la vita e la
disciplina de l'ordine
monacile. La qualcosa
abbiendo fatta il re, san
Gidio vinto per
lagrime
e per
priego, poi ch'ebbe molto rifiutato, ricevette la
cura di quello monasterio.
Quando il re
Carlo ebbe udito la
nominanza di costui,
impetrato ch'ebbe il suo
avvenimento, sì lo ricevette
reverentemente e, infra gli altri ragionamenti ch'elli
ebbe con lui di salute d'
anima, il re il pregò che
degnasse
di
pregare
Domenedio per lui, però ch'elli avea
commesso uno sozzo peccato che none
ardirebbe di
confessarlo
mai a neuno, neanche al detto santo. Sì che
la seguente
domenica,
dicendo san
Gidio la
Messa e
pregando
Domenedio per lo re, l'
angelo di messere
Domenedio
apparve al santo, e puose una
cedola sopra
l'
altare, ne la quale
cedola era scritto per ordine il
peccato del re, e come gli era già perdonato per li
prieghi
di san
Gidio, a tale che, pentuto e confesso di quello
peccato e de gli altri, s'
astenesse da quello peccato da
quindi innanzi. Ed era così aggiunto ne la fine, che
chiunque
chiamasse san
Gidio per alcuno peccato
commesso,
qualunque peccato fosse, se si rimanesse da
quello cotale peccato, non
dubitasse che li fosse perdonato
per li
meriti suoi. Mostrata dunque la
cedola al
re, il re da ch'ebbe
conosciuto il peccato suo, domandonne
perdonanza umilemente, e san
Gidio ritornando
con onore a la
città di
Nerimas, risuscitò il figliuolo
del prencipe che era morto.
Allora, dopo
alquanto tempo,
previdde san
Gidio che il
monasterio suo non starebbe molto che sarebbe tramazzato
da i nemici. Allora andò a Roma e
accattò dal Papa
privilegi a la chiesa sua, e
due uscia d'
arcipresso, là
dove
erano scolpite le imagini de li
apostoli; ed elli puose
quelle uscia nel Tevere e
accomandolle al governamento
di Dio. E ritornando al monasterio rendeo l'
andamento
a uno
attratto a
Teverone. E quando fue al monasterio
trovòe le
dette uscia al porto e, rendendo grazie a Dio,
che le avea
conservate sanza
danno fra tanti
pericoli
di mare, sì le rizzò ne le
reggiuole de la chiesa sua,
ad onore e a tenimento del
patto de la sedia romana.
A la perfine il Segnore gli rivelò per Ispirito Santo
che gli era presso il dì de la sua
morte; la quale cosa
dicendo elli a' frati e
confortatili che pregassono per
lui, morì in
Domenedio
beatamente. Nel quale luogo
testimoniaron molti d'avere udito i
cori de li
angeli
portarne l'
anima sua in
cielo; e fu ne gli
anni
Domini
DCC.
cap. 126, Natività Maria
La natività de la gloriosa Vergine Maria ebbe
nascimento
de la ischiatta di Juda e de la schiatta del
re
David. San
Matteo e santo Luca scrissero non la
generazione de la Vergine, ma quella di
Gioseppo, il
quale de la
concezione di Cristo fu al postutto straniero;
però ch'è usanza di
compilare non le generazioni de le
femmine, ma de gli uomini. Ma pertanto fu verisimile
che la
beata Vergine
discese de la reale ischiatta di
David, che manifesto è, e certo secondo la Scrittura,
ch'ella
discese del seme di
David. Ma Cristo prese
carne solamente de la Vergine, adunque di
David
discese
la madre Vergine,
e ciò de la catena di Nathan.
David
fra gli altri figliuoli n'ebbe
due, ciò furono
Nathan e
Salamone. De la
catena di
Nathan, come
dice
Jovanni
Damasceno, furono questi figliuoli di
David; ché Levi
ingenerò
Melchi e
Pantar;
Pantar ingenerò
Barpantar;
Barpantar ingenerò
Joachim;
Joachim ingenerò la Vergine
Maria. De la
catena di Salamone
Nathan ebbe
moglie, de la quale ingenerò
Jacob; e, morto
Nathan,
Melchi
discese de la schiatta di
Nathan, il quale, come
detto è, fu figliuolo di Levi e
fratello di
Pantar; prese
per moglie la moglie che rimase di
Nathan, la madre
di
Jacob, e ingenerò di lei Eli.
Fatti son dunque
fratelli
d'un
corpo
Jacob e Eli,
Jacob de la
catena di Salamone,
e Eli de la
catena di
Nathan. Morto Eli sanza figliuoli,
Jacob, suo
fratello, tolse la moglie, e
suscitò seme al
fratello suo, e ingenerò
Joseph.
Joseph nacque così secondo
natura figliuolo di
Jacob del
discendimento di Salamone,
ma secondo la legge fue figliuolo di Eli
che
discese di Nathan. Però che il figlio che nasceva per
natura
era del generante, ma secondo la legge del morto.
Queste cose dice il Damasceno.
Nel primo modo scrive santo
Matteo la sua generazione,
nel secondo modo santo Luca. Adunque la vergine
Maria fu figliuola di
David per
Nathan, ma
Joseph, secondo
natura,
discese di Salamone e, secondo legge, di
Nathan. Ma sì come
dice la Storia
Ecclesiastica, e
Beda il testimonia ne la sua
Cronica, con ciò sia cosa
che tutte le generazioni de li
ebrei e de li stranieri si
conservassero ne le più segrete armari del tempio,
Erode
le
fe' tutte incendere, pensandone parere nobile se vegnendo
meno le pruove, la schiatta sua si
credesse che
si
appartenesse al Israel. Ma furono alcuni ch'erano
chiamati
Domenichi per lo parentado di Cristo, i quali
furono da Nazaret; i quali insegnavano l'ordine de la
generazione di Cristo, parte come aveano saputo da'
bisavoli, e parte come
avevano avuto da alcuni libri, i
quali aveano a
casa, quantunque potevano sì lo insegnavano.
Che
Joachin prese per moglie
Anna, la quale ebbe
serocchia ch'avea nome
Ismeria.
Questa Ismeria ingenerò
Eliud ed
Elisabeth, la quale
Elisabeth ingenerò
Giovanni Batista. D'
Eliud nacque
Eminen, d'
Eminen
nacque santo
Servasio, il cui
corpo è nel
castello di
Tragetto sopra il
fiume di
Mosari, nel vescovado di
Leodicen. D'
Anna si dice ch'
avesse
tre mariti, ciò
furono
Joachino e
Cleofa e
Salomè. Del primo
marito,
cioè di
Joachino, s'ingenerò la vergine Maria, Madre
di Dio, la quale
diede per moglie a
Joseph, la quale
ingenerò Cristo Signore. Morto
Joachino, maritossi a
Cleofa,
fratello di
Joseph, e di lui ebbe un'altra figliuola,
che la
chiamò anche Maria, e poscia si
rimaritò ad
Alfeo, la quale ingenerò di lui
quattro figliuoli, cioè
Jacopo minore,
Joseppo giusto, il quale fu
chiamato per
altro nome
Barsaba, e Simone e Giuda. Morto
Cleofa,
Anna si maritò a
Salomè, del quale ingenerò un'altra
figliuola, la quale
chiamò anche Maria, e
diella per
moglie e
Zebedeo, del quale ebbe
due figliuoli, cioè Jacopo
maggiore e Giovanni
Vangelista. Onde di ciò son versi:
Anna solet dici tres concepisse Marias.
Quas genuere viri Joachim. Cleophas Salomeque.
Has duxere viri Joseph, Alpheus, Zebedaeus.
Prima parit Christum, Jacobum secunda minorem.
Et Joseph justum peperit cum Symone Judam.
Tertia malorem Jacobum volucremque Johannem.
Ma
pare maraviglia come la santa Vergine
poté essere
parente d'
Elisabeth, madre di Giovanni Batista, come
detto è disopra; però che manifesta cosa è che,
Elisabetta,
come detto è disopra, sì fu moglie di
Zacheria,
il quale era de la ischiatta e de la
famiglia di Levi, e,
secondo la legge,
ciascuno
dovea torre moglie de la sua
schiatta e
famiglia; e santo Luca dice che questa
Elisabetta
fu de le
figliuole d'
Aron.
Ma Anna fu secondo
Geronimo di Betleem, che era tribù di Giuda. Ma da
sapere è che quello
Aron e
Joiada, sommo sacerdote,
ambedue menarono
mogli de la ischiatta di Giuda; onde
la schiatta de' sacerdoti e de' re pruovasi che simigliante
furon
congiunte insieme per parentado. Potesi anche,
come
dice
Beda, questo
congiugnimento fare a più
novel
tempo,
date a
marito le
femmine di schiatta in schiatta,
acciò che fosse manifesto che la vergine Maria, la quale
discese che la reale schiatta,
avesse avuto parentado
con la schiatta de' sacerdoti. E così la
beata Vergine
era da l'una e da l'altra schiatta; sì che per l'una
fu madre e per l'altra padre. Volle
Domenedio che
queste schiatte privilegiate si
mischiassero per lo
grande misterio, però che di quelle
doveva nascere il
Segnore, il quale
dovea essere
veramente re e sacerdote,
acciò perch'elli era prete,
offerese se medesimo
per noi, e perch'era re reggesse e' suoi
fedeli
combattenti
ne la
cavalleria di questa vita, e dopo la vettoria
di questo
mondo, sì li incoronasse. La quale cosa eziandio
si dimostra per lo nome di Cristo, lo quale è detto
unto, però che solamente i sacerdoti, e ' re, e ' profeti
s'ugnevano ne la vecchia legge, onde noi siamo
detti
cristiani da Cristo, e siamo
appellati generazione
eletta
e reale sacerdozio. Ma quello che si
dicea che le
femmine
si
congiugnevano pure a gli uomini de la sua
schiatta, manifesta cosa è che ciò fosse, acciò che la
distribuzione de le sorti non si
confondesse. E perché la
schiatta di Levi non avea veruna sorte tra l'altre schiatte,
le
femmine di quella schiatta si poteano maritare a cui
volevano.
Ma la storia de la nativitade de la
beatissima Madre
di Dio san
Geronimo, sì come
dice nel Prolago, essendo
ancora giovanetto, sì la lesse in uno
libricciolo; ma dopo
molto tempo,
pregato di
traslatarla, sì la scrisse come
si ricordòe ch'avea letto in quello
libricciuolo.
Jovachino
di Galilea e de la
città di
Nazarette, tolse per moglie
santa
Anna de la
città di Betleem.
Ambedue costoro
erano giusti e
andavano per la via de'
comandamenti di
Dio sanza riprensione, ché ogne loro possessione sì
divideano
in tre parti: l'una parte al tempio e a' servitori
del tempio; l'altra parte
davano a' pellegrini e a' poveri;
la terza la
riserbavano a sé e a la loro
famiglia per loro
uso. Stando dunque insieme
XX anni sanza avere figliuoli,
fecero voto a Dio che s'elli
desse loro figliuolo
veruno, che 'l metterebboro al
servigio di Dio. Per la
qualcosa
andando per tutti gli
anni in Gerusalem per le
tre
feste principali, ne la
festa de la sagra
Jovachino
montòe in Gerusalem con quelli de la schiatta sua, e
andando a l'
altare con gli altri, volse offerere l'offerta
sua.
Veggendolo il sacerdote sì lo
cacciò via con grande
turbazione, e ripreselo perch'elli avea avuto
ardimento
d'andare a l'
altare,
affermandoli che non era
convonevole
cosa che colui che avea
avuta la maladizione de
la legge, offeresse offerta al Segnore de la legge, né
stesse tra
coloro che
menavano figliuoli, colui che non
ha
cresciuto il popolo di Dio. Sì che
Jovachino, veggendosi
così vituperato, per la vergogna non volse ritornare
a
casa, acciò che non
patisse
cotanto
disonore
simigliantemente da'
parenti suoi, i quali aveano udito
queste cose.
Cansandosi dunque,
andossene a' pastori
suoi; essendovi stato
alquanto, un
die, stando solo, l'
angelo
di Dio gli
apparve con grande
chiaritade e, turbato
de la visione de l'
angelo, s' l'
ammonìo
che non temesse
dicendo a lui: "Io sono l'
angelo di Dio mandato
a te per
annunziarti ch'e'
prieghi tuoi sono
esauditi, e
le
limosine tue sono salite nel
cospetto di Dio, però ch'io
abbo veduta la vergogna tua e udito il
brobbio de la
tua sterilitade
apposto a te non con ragione; però che
Dio fa vendetta del peccato, e non de la natura, ché
quando Iddio
chiude il ventre d'alcuna, però il fa, acciò
che poscia
appara quello un'altra volta più
maravigliosamente,
e che non sia di lussuria quello che nasce, ma
conoscasi che sia da
dono di Dio. Però che la prima femmina
de la nostra gente, Sara, or non
sostenne ella il
brobbio de la sterilitade infino al
novantesimo
anno, e
pertanto ingenerò
Isaac, al quale era
ripromessa la
benedizione di tutte le genti? Anche
Rachel or non
stette grande tempo sterile, e pertanto ingenerò
Joseph,
il quale ebbe la signoria di tutto l'
Egitto? Chi fu più
forte di Sansone, o più santo che
Samuel? E pertanto
le
madri di costoro furono sterili. Adunque
credi a la
ragione e a li
essempli, ché
concepimenti lungo tempo
indugiati e parturimenti de le sterili sogliono essere più
maravigliosi. Onde
Anna, tua moglie,
ti partorirà una
figlia la quale
chiamerai Maria. Costei, come tu hai
promesso, fia da
piccolina consegrata al Segnore, e,
stando ancora nel ventre de la madre sua, sarà piena di
Spirito Santo, né non
dimorerà di fuori fra i popolari,
ma nel tempio di Dio, acciò che non si pensi di lei cosa
disdicevole. E sì come ella nascerà di sterile madre,
così sarà ingenerato
maravigliosamente di lei il figliuolo
de l'
Altissimo, il cui nome sarà
Jesù, imperò che per
lui saran salvate tutte le genti. E questo ti sia per
segnale,
che quando tu perverrai a l'
aurina porta in Gerusalem,
sì ti verrà incontro
anna tua moglie, la quale
essendo ora sollicita del tuo
tardare, allora si
rallegrerà
nel cospetto tuo". E
dette queste cose l'
angelo si
partì da lui; e
Anna piagnendo
amaramente e non sappiendo
dove il
marito si fosse
andato, il detto
angelo
apparve a lei e
manifestolle quelle medesime cose,
come avea detto al
marito suo,
dicendole ancora per
segnale, che di ciò
andasse in Gerusalem a la porta
aurina, e ella sì si
iscontrerebbe nel
marito suo ritornante.
Adunque appresso il
comandamento de l'
angelo,
iscontrandosi
ambedue insieme,
rallegraronsi del vedersi
insieme e,
sicurati de la
promissione fatta loro,
adorato
ch'
ebbero il Segnore, ritornarono a
casa, e
aspettavano
allegramente la
promessa di Dio. Sì che
Anna
concepette
e parturì figliuola la quale
chiamòe Maria.
Compiuti dunque li tre
anni, cioè quando l'
ebbero
del latte levata,
menarolla la Vergine
benedetta al tempio
di Dio con esse l'offerte. Ora avea il tempio
XV gradi,
secondo
XV Salmi graduali, che, perché il tempio era
posto in monte, a l'
altare del sagrificio che era di fuori
non potea neuno andare se non per quelli
XV gradi. E
posa la vergine Reina nel primaio scaglione di questi, sì
gli salì in tal maniera tutti sanza
aiuto di persona, come
s'ella fosse d'
etade
compiuta. Fatta dunque l'offerta,
lasciaro la
beata figliuola nel tempio con l'altre vergini,
e tornaro a
casa. E la Vergine graziosa a Dio
andava sempre di bene in meglio in tutta
santitade, e
godevasi
cotidianamente de la visione di Dio.
Allegrati dunque,
allegrati, e anche t'
allegra,
degnissima
sopra tutte le
criature ordinata, e a ricevere sì
grandissimi
doni anzi che fosse
criato il
mondo, e noi tuoi
servigiali raccomanda al tuo
amantissimo figliuolo!
E 'l quartodecimo
anno de la sua
etade, ovvero il
duodecimo,
il pontefice
dinunziò piuvicamente che le vergini
che s'
ammaestravano nel tempio e
avevano
compiuto
il tempo de la loro
etade, ritornassero a
casa loro e
maritassersi
legittimamente. Al cui
comandamento
avendo
tutti ubbidito, solo la vergine nettissima
rispuose che
non potea ciò fare, sì perché i
parenti suoi l'aveano
messa al
servigio di Dio, e sì perch'ella avea fatto voto
a Dio de la sua
verginitade. Allora il pontefice
angosciato
ne fue, di ciò che non volea rompere la Scrittura,
che
dice: "
Fate voto e
rendete"; né non era ardito di
recare a la gente
costume non usato. Vegnendo dunque
la
festa di giuderi, ebbe
ragionamento di ciò e co' più
antichi, e tutti
diedero sentenzia che in cosa così
dubbiosa
fosse
domandato il
consiglio di Dio. Stando dunque
in orazione, ed essendo
andato il pontefice a
consigliarsi con
Domenedio, incontanente del luogo de
l'orazione, cioè de l'oratorio, udendo tutti quelli ch'erano
presenti, venne una
voce e disse che qualunque de la
casa di
David acconci da fare matrimonio non fossero
ammogliati,
catuno con la sua verga in mano, sì le portassero
a l'
altare, e la cui verga
fiorisse e ne la vetta,
secondo la
profezia d'Isaia, si posasse lo Spirito Santo
in ispezie di
colomba, quegli sanza
dubbio fosse colui
al quale la vergine
dovea essere isposata. Or v'era tra
gli altri de la
casa di
David uno ch'avea nome
Gioseppo,
al quale con ciò fosse
cosa che paresse
sconvonevole
uomo di tanto tempo togliesse per moglie
una così tenera vergine, portando tutti gli altri la verga
loro, elli solo
sottrasse la sua verga. Onde non
apparendo
neuna cosa che si
concordasse a la
voce di Dio, il pontefice
andò un'altra volta a
consigliarsi con
Domenedio;
il quale rispuose che solo quegli che non portò la verga
sua, era colui al quale la vergine
dovea essere
disposata.
Adunque il detto
Gioseppo da poi ch'ebbe portata
la verga sua, ed ella ebbe
messi i
fiori, e ne la sua
vetta fue
discesa la
colomba e
riposatavisi suso,
apertamente
fu manifesto a tutti che a lui
dovea essere
disposata la vergine.
Disposata a
Gioseppo la Donna del
mondo, ritornossi
Gioseppo ne la sua
cittade di Betleem
a ordinare la
casa sua, e a provvedere de le cose ch'erano
necessarie a le nozze; e la Vergine
beata tornòe a Nazaret
a
casa i
parenti suoi, accompagnata da
sette
vergini di quella medesima
etade e nutricate insieme,
le quali ella avea ricevute dal Sommo sacerdote per
dimostramento del miracolo. E stando la
beata Vergine
a
casa sua in quel dì, orando lei, sì l'
apparve
l'
angelo
Gabriello, e
annunziolle che 'l figliuolo di Dio
dovea nascere di lei.
Il dì del
nascimento de la Donna nostra fu
celato
alquanto tempo a i
cristiani. Intervenne che,
sì come
rapporta Joanni Beleth, un santo uomo, stando in
continua
contemplazione, ogne
anno stando lui in orazione
otto dì fra settembre,
audìa gli
angeli che
faceano grandissima
solennitade; e
domandando lui
divotissimamente
che li fosse revelato perché
ciascheduno
anno solamente
in quel
die e non in altro udisse questo, ebbe risposta
da Dio che la Vergine gloriosa in cotale
die era stata
nata nel
mondo, e però manifestasse questo a la Chiesa,
acciò che siano
concordevoli in questa
festività de la
celestiale
corte. E abbiendo
annunziato ciò al Papa e a
gli altri, eglino si
diedero a
digiuni e orazioni; e
avendo
saputo e trovata per le Scritture e per le testimonanze de
l'
antichitadi de la veritade, ordinaro che questo dì fosse
da guardare in onore de la natività de la
beatissima Vergine,
per tutto il
mondo universalemente. Ma l'ottava
di questa natività non si solea già fare, se none che
l'ordinòe messere
Innocenzio quarto, natìo di
Genova, e
ciò fece per questa cagione. Morto papa Gregorio nono, i
cardinali di Roma si rinchiusero in una
camera per provvedere
più tosto a la Chiesa di
buono pastore; ma non
potendosi per più dì
accordare, e
sostenendo molte noie
da li romani,
botaronsi a la Reina del
cielo che, se per
li suoi
meriti s'
accordassero per potersi partire liberi,
sì
ordinerebbero che da indi innanzi si
celebrasse l'ottava
de la nativitade sua, lungo tempo
anneghiettita. E
così s'
accordarono in messere Celestino. A la perfine
morto lui, infra
alquanti dì è
eletto
Innocenzio quarto;
per lui
compiettero i
cardinali il
boto loro. Adunque
nota che di tre nativitadi fa solennità la Chiesa, cioè
di Cristo, di santa Maria e di santo Giovanni Batista;
le quali tre significano tre nativitadi spirituali, e sono
queste: con Giovanni
rinasciamo ne l'
acqua per lo
battesimo, con Maria ne la penitenzia, e con Cristo ne
la gloria. Con ciò dunque sia cosa che la
contrizione
convegna che vada innanzi a la nativitade del
battesimo,
e simigliantemente a quella de la gloriosa gloria
ne gli uomini d'
etade, per ciò hanno quelle
degnamente
vigilie; ma con ciò sia cosa che la penitenzia sia tutta
per vigilia, non
convenne che la nativitade de la Vergine
avesse vigilia; ma tutte hanno ottava, per ciò che
tutte s'
aspettano a la gloria de la resurressione.
Uno
cavaliere molto valentre e gran
devoto de
la
beatissima Vergine,
andando a la
giostra,
entròe primieramente
in uno monasterio che trovò nel
viaggio,
lo quale era
edificato ad onore de la vergine Maria,
per udire
Messa. Sì che dicendosi dopo l'una
Messa
l'altra, ed elli non volendone lasciare veruna per onore
de la Vergine, a la perfine uscendo del monasterio
andava
ratto al luogo
determinato. Ed eccoti
coloro che
ne tornavano lo scontrarono, raccontandoli com'elli
s'era portato
valentrissimamente; e ciò
affermavano
tutti
coloro che v'erano stati, profferendosi ancora a
lui alcuni, che
diceano ch'erano stati
presi da lui.
Accorsesi
il
discreto uomo che la Reina
cortese l'avea
onorato
cortesemente per
cortese modo, e allora dinanzi
a tutti disse quello che gli era intervenuto, e ritornando
al monasterio, da indi innanzi fu
cavaliere del
figliuolo de la Vergine.
Uno vescovo, il quale avea in grande
divozione la
vergine Maria,
andava per
divozione una notte ad una
chiesa de la nostra Donna entro la mezzanotte; ed eccoti
la Vergine de le vergini, accompagnata da tutto
il
coro de le vergini, venire incontro a l'uomo che
venìa a la chiesa sua e, ricevutolo con grande onore,
cominciò a
menarlo a la chiesa là ov'elli
andava,
cantando
innanzi
due
donzelle del
coro de le vergini e
dicendo;
Cantiamo al Segnore, compagne, cantiamo onore,
Il dolce amore di Cristo risuoni ne la pietosa bocca.
I quali versi tutto l'altro
coro de le vergini
ripigliava
cantando. E le
dette
due
cantatrici seguitavano,
per ordine,
due altri versi che seguitano qui:
Il primo superbo cadde a basso de la grande luce,
E così il primo uomo quando enfiòe per la superbia, sì cadde a basso.
E in questo modo
menaro l'uomo di Dio con cotale
processione infino a la chiesa,
cominciando sempre le
due dinanzi, e rispondendo l'altre.
Una femmina
abbandonata dal
sollazzo di suo
marito, avea un suo figliuolo, lo quale
amava molto
teneramente. Una volta questo suo figliuolo fu preso
da' nemici e legato in prigione. Quella udendo ciò, piagneva
sanza veruno
racconsolamento, e pregava la
beatissima
madre di Dio, a la quale ella era molto
devoto,
che le liberasse il
fanciullo suo, con importuni
prieghi.
Finalmente veggendo che non giovava nulla, così
entròe
solanata ne la chiesa ne la quale era scolpita la imagine
de la
donna, e stando ritta dinanzi a la imagine,
sì le parlò in questo modo e disse: "Vergine
beata,
io t'ho
pregata spesse volte perché tu liberi il figliuolo
mio, e ancora non hai soccorso a la misera madre.
Abbo
domandato il tuo
aiutorio per lo figliuolo mio, e
ancora non ho sentito veruno
frutto. Adunque sì come
il mio figliuolo m'è tolto, così ti torrò io il tuo, e porrollo
in guardia per
stadico del mio figliuolo". E
dicendo
ciò andò più
dappresso, e levando quindi la
imagine del
fanciullo che la
beata Vergine portava in
grembo,
andossene a
casa, e tolse quella cotale imagine
del
fanciullo, e sì lo involse in uno
mondissimo panno,
e ripuoselo ne la
cassa, serrandola
diligentemente con
la
chiave,
rallegrandosi d'avere
buono pegno per lo
figliuolo suo, e guardando quello pegno
diligentemente.
Ed eccoti la seguente notte la
beata Vergine
apparve
al giovane e,
aprendo la porta de la pregione,
comandolli
che n'uscisse fuori, e sì li disse: "Figliuolo,
dirai
a tua madre che mi renda il mio figliuolo, da che io
l'ho renduto il suo". Quegli uscì fuori, e venne a la
madre, e
contolle come la Reina del
mondo l'avea liberato.
E quella,
rallegrandosi molto, andò e tolse l'imagine
del
fanciullo, e andò a la chiesa con esso, e sì 'l
rendeo a la gloriosissima Vergine, così
dicendo: "Grazie
vi rendo, Madonna, che m'
avete renduto il mio solo
figliuolo; ora vi rendo io il vostro figliuolo per ciò che io
confesso d'avere riavuto il mio".
Fue un ladro che spesse volte facea ladronecci, ma
avea molto in
divozione la venerabile Madre di Cristo,
e
salutavala spesse volte. Sì che una volta, togliendo
lui alcune cose per
furto, fu preso e
condannato a le
forche. E stando impiccato la santissima Madre gli
venne innanzi incontanente e, standovi su tre dì, pareali
ch'ella il
sostenesse con le sue sante mani, sì
che neuno male sentìo. E
coloro che l'aveano impiccato,
passando quindi per
avvenimento, sì 'l trovarono
vivo e col volto
allegro, e pensando che non gli
avessono
stretta bene la
gola col
capestro, isforzaronsi d'
ucciderlo
col
coltello; ma la santissima Vergine ponea la
mano al
coltello del percotitore, sì che
coloro non gli
potevano nuocere in veruna cosa.
Conoscendo dunque
per lo raccontamento di lui che la pietosa Donna l'
aiutava
cosìe, maravigliandosi molto di lui, sì 'l puosero
abbasso, e lasciarollo andare sano e sicuro per
amore
de la
beata madre di Dio. Quegli andò ed
entrò in uno
monasterio e, mentre che visse,
perseverò nel
servigio
de la Madre di Dio.
Fue uno
cherico il quale
amava molto la Donna
nostra e
diceva
continuamente l'ore sue. Sì che morendo
il padre e la madre sua, e non
avendo altra
reda,
lasciarolli una grandissima
ereditade. Sì che costretto
da gli
amici che togliesse moglie e governasse la
casa
sua, un
die
andando lui per fare le nozze, tro
vò una
chiesa ne la via e,
ricordandosi del
servigio che soleva
fare a la Reina del paradiso,
entrò ne la
detta chiesa,
e incominciò a
dire l'ore sue. Ed eccoti la Donna del
mondo
apparire a lui, e quasi
aspramente gli disse:
"O misleale e stolto, or perché lasci tu me, tua
amica
e sposa, e mettimi innanzi altra femmina?" Quegli
udendo ciò fu
contrito, e tornando a i
compagni, e non
mostrando loro nulla di questo fatto,
compiette le nozze,
e poi entro la mezzanotte
fuggìo
abbandonatamente, e
abbandonòe tutte le cose, e
entròe nel monasterio, e
servìo
divotamente a la vergine Maria.
Un prete d'una
cappella, il quale era d'onesta
vita, non sapeva
dire veruna
Messa altra che de la vergine
Maria, la quale al suo onore
diceva
continuamente.
Sì che costui
accusato al suo vescovo, fu tostamente
citato da lui, e
confessando dinanzi da lui di non sapere
dire veruna altra
Messa, il vescovo, lo riprese quasi
per ingannatore e
duramente, e
sospeselo de l'Officio,
interdicendolo che non sia più ardito da quinci innanzi
di
dire
Messa. Sì che la seguente notte la sagratissima
Madre di Dio
apparendo al vescovo, sì lo riprese molto,
e
dimandollo per quale cagione avea così male trattato
il suo
cancelliere, e
aggiunsegli che in capo di
XXX dì
morrebbe se non lo
ristituisse ne l'Officio suo. Allora
il vescovo
intrementito, fecesi venire lo prete, e
domandolli
perdonanza, e sì li
comandò che neuna altra
Messa
debbia
dire che quella che sapeva di santa Maria.
Uno
cherico
era il quale era molto vano e
carnale,
ma molto
amava la madre di Dio e
diceva li suoi Offici
santi
divotamente e
allegramente, sì che una notte
in visione viddesi dinanzi a la sedia di Dio, e lo Signore
diceva a
coloro che stavano d'intorno: "Di colui che
vi guata così, di che giudicio sia
degno, voi medesimi
il
dichiarate, lo quale io ho
cotanto tempo
sostenuto,
e non ho trovato veruno
segnale di
correzione". Allora
il Segnore
diede la sentenzia sopra lui, che fosse
dannato,
approvandola tutti; ed eccoti venire la Madre di
tutta pietade e disse al figliuolo suo: "Per costui
priego
io la tua misericordia, pietoso figliuolo, che tu rivochi
sopra lui la sentenzia de la
dannazione.
Priegoti,
dolcissimo
figliuolo, ched elli
viva per lo mio
amore, il quale
per li proprii
meriti è giudicato a la
morte". E 'l Signore
le disse: "Madre pietosa, io il
dono a le tue petizioni,
s'
almeno io vedrò che si
correggia ora". Sì
che la santa Vergine rivolta a l'uomo, sì li disse: "Va
e non volere più peccare, acciò che non ti intervenga
peggio". Isvegliato dunque, colui mutòe vita ed
entrò
in religione e
finìo in
buone operazioni.
Ne gli
anni
Domini
DXXXVII in Sicilia fue uno
uomo che avea nome
Teofilo, vice
cancelliere d'un vescovo,
ciò
dice
Fulberto vescovo di
Carnote; il quale
Teofilo
dispensava sì
saviamente sotto il vescovo le
cose de la Chiesa che, morto il vescovo, tutto il popolo
gridava ch'egli era
degno del vescovado. Ma elli
contento
de l'officio ch'avea, volle anzi che un altro fosse
ordinato per vescovo.
Finalmente
disposto da quello officio
a
mala sua voglia
da quel vescovo, in tanta
impazienzia ne venne che, a ricoverare quella
dignitade,
ad uno giudeo che facea malie n'
adomandò
consiglio;
sì che quelli
chiamò il
diavolo.
Chiamato, venne a lui
ratto.
Teofilo per
comandamento del
demonio
rinnegò
Cristo e la sua Madre e rinunziò il
battesimo, e del
detto
rinnegamento e rinunziamento scrisse la
carta
con il suo propio sangue; e, scritta la
suggellò col
suo
anello, e così suggellata, la
diede al
diavolo e
diputossi
al suo
servigio. Sì che l'altro
die procurò il
diavolo tanto che
Teofilo fu ricevuto in grazia del vescovo
e rimesso ne la
dignità del suo officio. A la perfine
ritornato in se medesimo, piange molto di quello ch'avea
fatto e, con tutta
divozione de la
mente,
ricorse a la
Madre di Dio e di misericordia che li fosse in
aiuto. E
la pietosa madre sì li
apparve in visione, e ripreselo di
ciò che fatto
aveva, e
comandolli che
rinunciasse al
diavolo, e
fecelo
confessare Cristo figliuolo di Dio, e ogne
proponimento di
Cristianesimo. E così lo ricevette in sua
grazia e del figliuolo, e a
dimostranza de la
conceduta
perdonanza,
apparendo un'altra volta, sì li rendéo la
carta ch'elli avea fatta al
diavolo, e
puoselile al petto,
acciò che non temesse che fosse servo del
diavolo, ma
rallegrandosi
d'essere liberato da la vergine Maria. E
Teofilo
da ch'ebbe riavuta la
carta,
rallegrossi
fortemente,
e dinanzi al vescovo e a tutto il popolo raccontò quello
che gli era intervenuto. E maravigliandosi tutti e lodando
la Vergine gloriosa, egli dopo il terzo
die morìo
in pace.
Uno uomo e una sua moglie
avendo una sola
figliuola, sì la
diedero per moglie ad uno giovane, e
per
amore de la loro figliuola sì si tenevano il genero
in
casa loro. E la madre de la
fanciulla
amava tanto
diligentemente il genero per
amore de la figliuola, che
non era maggiore l'
amore de la
fanciulla al giovane,
che de la suocera al genero. Infra queste cose i maliziosi
cominciarono a
dire che ciò non facea per
amore
de la figliuola, ma che ella si
mischiava a lui per la
figliuola. Con ciò dunque fosse
cosa che tanta
falsitade
avesse
commosso l'
animo de la
donna, temendo d'essere
infamata fra la gente, parlò segretamente a
due
villani, a' quali
promisse di
dare
XX soldi a
catuno sed
e' volessono
occultamente
strangolare il genero. Sì che
un
die
rinchiudendoli ne la
cella que'
villani, mandò ingegnosamente
il
marito suo ad alcuno luogo, e anche
la figliuola mandò
altrove. Allora il giovane per
comandamento
de la
donna sua
entrò ne la
cella per
attignere
del vino, ma incontanente lo
strangolarono quelli
assessini.
Allora la suocera il portò nel letto de la figliuola
sua e, come
dormisse, sì 'l
coperse con panni. Tornando
dunque il
marito e la figliuola, e posti a mensa, la madre
disse a la figliuola che
andasse a
destare lo
marito, e
che 'l
chiamasse a
manicare. Quella
trovandolo morto,
e raccontando ciò tostamente, tutta la
famiglia si
commosse
a pianto, e la femmina micidiale, quasi come si
dolesse, piagnea con gli altri. A la perfine la femmina
fu
dolorosa del
commesso peccato, e
confessòe ogni cosa
per ordine al prete suo. Dopo
alquanto tempo nacque
una tencione tra la femmina e 'l prete, e dal prete le
fu
apposto il micidio del genero. Udendo ciò i
parenti
del giovane, trassono a la
Corte, e la femmina fu sentenziata
ad essere
arsa. Allora quella, vedendo che s'
appressimava
la sua fine,
convertissi a la Madre di misericordia,
ed
entrando ne la sua chiesa, gittossi in orazione
con
lagrime. Poco stante fu
costretta d'
uscirne e, gittata
nel gran
fuoco, tutti quanti la videro stare entro
con gli occhi loro
allegra e sanza offendimento veruno
di suo
corpo. Ed e'
parenti del giovane,
credendo che
quello fosse piccolo
fuoco,
ricorsero a'
sermenti e
gittarollivi
entro. Vedendo dunque che né per questo modo
fosse
danneggiata,
cominciaronle a saettare de le
lance
e de'
dardi. Allora il giudice, il quale era presente, si
maravigliò
fortemente, e
ristrinse
coloro da
farle più
battaglia, e
considerando
diligentemente colei, non trovò
in lei veruno
segno d'
arsura se non solamente le
fedite
de le
lance. E con ciò fosse
cosa che i
parenti di lei
la se ne
menassero a
casa e
recreasserla con unguenti
e con
bagnora, non vogliendo Dio ch'ella fosse
avuta
più in sospecione, dopo il terzo
die
perseverando lei ne
le lode de la vergine Maria, sì la
chiamò di questa
vita.
Adunque con tutte le midolle del
cuore
amiamo questa
Donna del
mondo, uscita di schiatta reale, la quale si è
madre e figliuola del sommo Dio, gloria de gli
angeli
e
corona di tutti i santi, perdonanza de' peccatori, letizia
de' giusti e pietosissima
avogada di tutti; e
ricerchiamla
con puri
affetti ed
onoriamla come potemo con
degne
lode, però che questa è quella Vergine che
tritòe il capo
de l'
antico serpente, questa è quella Vergine che con
le
beate mani ha
sostentato i
lacciuoli sospesi ne le
forche. Questa è la Vergine la quale gli uomini smozzicati
con le
coltelle ha riserbati a penitenzia, né non
gli ha lasciati passare di questa vita sanza penitenzia.
Questa è la Vergine la quale
coloro ch'erano già morti e
sentenziati già al
fuoco de lo
'nferno
vuole siano già
fatti
ristituire a vita e
accattato loro grazia di pentersi.
Questo
dico a la santa Vergine, la quale gli uomini
disperati,
fatti servi del
diavolo,
rinnegati di Cristo figliuolo
di Dio,
vuole sia loro riparata la fede in grazia,
e
liberatili de le mani del
diavolo.
Quale dunque fia quelli che non
ami così
benigna
Donna? Chi non servirà a così
buona
avvocata? Chi
non si
farà servo di così
alta reina? Solo quelli s'
astenga
da le sue lode che,
chiamandola ne le tribulazioni, non
sarà
esaudito da lei. Onde dice san Bernardo: "O qualunque
setta che ti intendi tempestare ne l'
allogamento
di questo
mondo, tra l'onde del mare, anzi ch'andare
per terra, non
rimuovere gli occhi da lo
splendore di
questa
stella, se tu non vuogli
affondare ne l'onde. Se
tu dunque
se' commosso da l'onde de la soperbia o de
l'
ambizione o de la
detrazione, ragguarda la
stella
chiama
ta Maria, però ch'ella è quella che
dà la via
nel mare e tra l'onde
fermissimo sentiere e sicuro
d'ogni porto".
cap. 127, S. Adriano
Adriano
sostenne martirio da
Massimiano imperadore.
Ché sacrificando a l'idoli il detto
Massimiano ne la
città di
Nicomedia, fatto il
comandamento di
cercare per
li
cristiani, altri per paura di pena, altri per
amore de
la pecunia impromessa, traevano al tormento l'uno vicino
l'altro, e l'uno pressimano a l'altro; intra quali, presi
XXXIII da
coloro che
andavano
cercando, furono
menati
dinanzi dal re. A i quali il re disse: "Non
avete voi
udito che pena sia imposta contra li
cristiani?"
Coloro
rispuosero: "Noi l'
aviamo udito, e
aviamo schernito
il
comandamento de la tua stoltizia". Allora il re adirato
comandò che fossero
battuti con
crudeli
nerbi e
scatuzate le loro
bocche con le pietre e, fatto scrivere
la
confessione di
ciascheduno,
comandò che fossero
inferriati
e
messi in pregione. Veggendo la loro
fermezza
Adriano, priore de l'Officio de la
cavalleria, disse a
loro: "Io vi scongiuro per lo
Domenedio vostro, che
voi mi
diciate qual è il guiderdonamento che voi
aspettate
per questi tormenti". E li santi
dissero: "Occhio
non vidde mai, né orecchie udìo, né non salìo in
cuore d'uomo, quelle cose che Dio hae
apparecchiate a
coloro che l'
amano". Allora
Adriano si gittò nel mezzo
di costoro, e disse: "
Scrivetemi con costoro, però
ch'io sono
cristiano".
Avendo ciò udito lo 'mperadore,
e veggendo che quelli non volea sacrificare,
inferriollo
e misselo in pregione. E
Natalia, sua moglie, udendo
che 'l
marito suo era incarcerato, stracciò le vestimenta
sue, piangendo e urlando molto. Ma quando ebbe
apparato
che ciò era per la fede di Cristo, ripiena d'
allegrezza,
corse a la pregione, e
cominciò a
basciare i
legami del
marito suo e de gli altri, però ch'ella era
cristiana, ma non s'era
palesata per la persecuzione.
Disse dunque al
marito suo: "
Beato
se' tu, signore
mio, però che tu hai trovato tali ricchezze, le quali
non ti lasciarono i
parenti tuoi, de le quali
abbisognano
coloro che
posseggiono molte cose. Queste sono le
veraci
ricchezze che
aiutano l'uomo
allor che non sarà tempo
di prestare ad usura, né di torre in prestanza, quando
niuno liberrà l'altro di pena, né il padre lo figliuolo,
né la madre la figliuola, né il servo lo signore, né l'uno
amico l'altro, né le ricchezze del
mondo il loro possessore".
E quando l'ebbe
ammonito che
dispregiasse
tutta la gloria terrena e gli
amici e'
parenti, e
avesse
sempre il
cuore a le cose del
cielo, disse a lei
Adriano:
"Vanne,
serocchia mia; al tempo de la passione nostra
manderabbo per te, acciò che tu veggia la mia fine".
E così raccomandando il
marito a gli altri
compagni,
cioè che 'l
confortassono, ritornò a
casa sua. Udendo
poscia
Adriano che 'l
die de la sua passione era presente,
dando i
doni a le guardie e i santi ch'erano
con seco per
mallevadori,
andòe a
casa per
chiamare
Natalia, sì come elli avea
promesso a lei con
giuramento,
ched ella fosse presente al loro martirio. Uno
che 'l vidde
corse ratto innanzi, e disse a
Natalia:
"
Assoluto è
Adriano, ed
eccolo che ne viene". Quella
udendo queste parole, non le
credea, ma disse: "E
chi 'l
poté
assolvere da i legami? Non mi intervenga
ched elli sia
assoluto da' legami e sceverato da li santi!"
E parlando lei queste cose, eccoti venire un
fanciullo,
domestico di lei, e sì le disse: "Ecco il Signore
mio ch'è lasciato!" Quella
credendo che
avesse
fuggito
il martirio, piagnea
amarissimamente; e quando
l'ebbe veduto levossi ratto e
andolli a serrare l'uscio,
e disse: "Di lungi sia fatto da me quelli ch'è caduto
da
Domenedio; non m'
addivegna ch'io parli a quella
bocca, la quale ha
negato il Signore suo". E rivolgendosi
ella a lui, sì li disse: "O
disavventurato e misero
sanza Dio, chi ti
costrinse di prendere quello che tu non
hai potuto
compiere? Chi t'ha sceverato da li santi?
Ovvero chi t'ha ingannato, che tu ti partissi dal
convento
di pace?
Dimmi perché
fuggisti prima che fosse la
battaglia?
Perché prima che tu vedessi chi ti
contrastesse?
Come
se' tu piagato, non essendo ancora
scoccato il
balestro? Ed io mi
maravigliava se di gente sanza Dio
veruno fosse martire! Oi me, sciagurata e misera me,
che sono
congiunta a costui de la schiatta de' rei! Non
m'è
conceduto
spazio pure d'un'ora che io
fossi
chiamata
moglie di martire, ma ora sarabbo
detta moglie
di
trasgressore; certo un poco di tempo mi fue
allegrezza,
ed
ecco che sarò vituperata per tutti i secoli!"
Udendo
Adriano queste cose
fortemente si rallegrava,
maravigliandosi d'una femmina giovanetta nobile e
bella,
e prima a
XIV mesi maritata, come potesse parlare
cotali cose. Onde per questo,
diventato più
fervente al
martirio, udiva molto volentieri le parole sue; ma
vedendola
così
affliggere, disse a lei: "
Aprimi,
donna
mia, non
credere tu ch'io abbia
fuggito il martirio, ma
sonti venuto a
chiamare, com'io ti
promissi". Ma quella
non
credendolo, sì li disse: "Vedi come mi crede ingannare
il
trasgressore, come
mente l'altro Juda!
Fuggi
da me, misero, già m'ucciderò, perché tu ti
sazi".
Dimorando dunque molto ad
aprire, sì le disse più
apertamente: "
Ecco che me n'andrò, e non mi vedrai
più innanzi, e poscia piagnerai perché tu non m'hai
veduto anzi ch'io muoia. I' ho
dato per
mallevadore i
santi martiri, e se i
berrovieri m'
andranno
caendo e
non mi troveranno, i santi
sosterranno i loro tormenti
insieme con noi". Udendo queste cose
Natalia, sì
li
aperse, e gittaronsi in terra
abindue ad un'
otta, e poi
vanno insieme a la
carcere. Sì che
Natalia stette
VII
dì che non fece altro che
forbire le piaghe de' santi
martiri con preziosi panni di lino. E 'l
die che era ordinato,
comandò lo 'mperadore che li fossero
menati dinanzi.
I quali, risoluti per le pene, erano portati da i
cavalieri, però che non potevano andare per loro medesimi,
e
Adriano gli seguitava con le mani legati dietro.
Poscia fu presentato
Adriano a Cesare, portandosi a sé
il tormento, e
Natalia s'
accostava a lui e
dicea: "Vedi,
signore mio, or non avere temenza quando tu
vederrai
li tormenti che tu
patirai poco ora, ma incontanente ti
rallegrerai
eternalmente con gli
angeli". Sì che
Adriano
non vogliente sacrificare, fu battuto gravissimamente;
e
correndo
Natalia con
allegrezza a i santi
ch'erano
ne la carcere,
dicea loro: "
Ecco che 'l Segnore mio ha
incominciato il martirio". E
ammonendolo il re che non
biastemmiasse li
dei, quelli disse: "Se io sono così tormentato
per
biastemmiare
coloro che non sono
dei, come
sarai
tormentato tu, il quale
biastemmi Iddio vivo?"
Al quale disse il re: "Queste parole t'hanno insegnate
quelli ingannatori". Disse
Adriano: "Perché gli
chiami
tu ingannatori, i quali sono
dottori di vita
eterna?"
Allora
corse
Natalia per
annunziare con
allegrezza
a gli altri queste risposte del
marito suo. Allora il re
lo fece
battere gravissimamente a
quattro
fortissimi
uomini, e tutte le pene e le
domande e le risposte
rapportava
Natalia a gli altri martiri, ch'erano ne le
carcere. E intanto fu battuto
Adriano che le sue interiora
si
spandevano. Allora fu inferriato e
rinchiuso
ne la
carcere con gli altri. Ed era
Adriano un giovane
molto
dilicato e piacevole di ventotto
anni. Veggendo
Natalia il suo
marito giacere rivescione in terra e
tutto lacero, misseli la mano sotto il capo, e
dicea:
"
Beato
sei, signore mio, il quale
se' fatto
degno de la
compagnia de' santi;
beato
se', lume mio, che tu
sostenga
per colui, il quale
sostenne per te! Va testeso,
dolce mio, a vedere la gloria di colui che t'ha fatto!"
Ma udendo lo 'mperadore che molte
donne serviano a'
martiri ne la
carcere,
comandò che non fossero lasciate
entrare a loro. La qualcosa intendendo
Natalia
tondette
se medesima, e prese
abito d'uomo per servire a' santi
ne la
carcere; e ancora col suo
essemplo indusse l'altre
a ciò fare. E pregò il
marito che, quando fosse ne la
gloria, facesse cotale
priego per lei che la guardasse
da ogne mal
toccamento, e
chiamassela tosto di questa
vita. E udendo il re ciò che le
donne aveano fatto,
fece portare una
ancudine, acciò che,
spezzatevi suso
le gambe de' santi, più tosto
morissono. Ma temendo
Natalia che il
marito suo si spaventasse per li
tormenti de gli altri, pregòe i ministri che si
cominciassero
da lui.
Mozzateli dunque i piedi, e
rottogli le
gambe,
pregollo
Natalia che si lasciasse mozzare la
mano, acciò ch'egli fosse
iguale a gli altri santi, i quali
avevano
sostenuto più cose. Fatto ciò,
Adriano rendette
lo spirito a Dio, e gli altri procedendo i piedi innanzi,
passarono di questa vita a
Domenedio. E 'l re
comandò
che le loro
corpora
fossono
arse, ma
Natalia nascose
nel
seno suo la mano del suo
marito. E gittandosi nel
fuoco le
corpora de' santi,
Natalia si volle gittare nel
fuoco con esso loro; ma subitamente venne una grandissima
piova e, spegnendo il
fuoco,
conservò i
corpi
de' santi sanza veruna
lesione. E li
cristiani fatto
ch'
ebbero
consiglio,
fecero trasportare le loro
corpora
in Costantinopoli, insino a tanto che renduta pace a la
Chiesa ne fossero riportati con onore. E furono
martirizzati
intorno a gli
anno
Domini
CCLXXX. Ma
Natalia,
rimanendosi a
casa, ritenne a sé la mano del
marito
suo, la quale si tenea sempre a capo del letto per
sollazzo
de la vita sua e per
consolazione.
Dopo queste cose il tribuno, veggendo
Natalia così
bella e così ricca e nobile, di
volontà de lo 'mperadore
mandò a lei oneste
donne per
farla
consentire in suo
maritaggio. A le quali cose disse
Natalia: "Chi mi
potea
dare tanta grazia, ch'io fosse
congiunta a così
fatto uomo? Ma io
domando tre giorni d'indugio
per potere fare mio
apparecchiamento".
Questo diceva,
acciò potesse fuggire. Con ciò dunque fosse
cosa che questo
spazio di tempo ella pregasse il Signore che la
conservasse
netta, subitamente s'
addormentò, Ed eccoti
apparire
a lei uno martire e,
consolandola
dolcemente,
comandolle
che vegna al luogo dov'erano i
corpo de' martiri.
Sì che isvegliandosi dal sonno, e togliendo seco solo
la mano d'
Adriano, con molti
cristiani
entrò ne la
nave. Udendo ciò il tribuno, sì le tenne dietro per
nave
con molti
cavalieri; ma levandosi il vento
contradio,
molti di loro ne fece
pericolare, e a la perfine gli
costrinse
di tornare indietro. Ed entro la mezzanotte il
diavolo in
forma d'uno nocchiero, con una
nave
fantastica,
apparve a
coloro ch'erano con
Natalia, e quasi
con
voce di nocchiere disse a loro: "Onde venite, o
dove
andate?" E que' risposero: "Noi vegnamo di
Niccodemia, e
andiamo in Costantinopoli". E quelli
disse a loro: "Voi
avete
errata la via; tenete a mano
manca per andare più
diritto". Questo
diceva elli
acciò che si mettessero nel pelago e perissono. E,
mutando
loro le
vele, subitamente
apparve loro
Adriano
seggente ne la navicella, il quale gli
ammunì che navigassero
come di prima, e che il
diavolo era suto quegli
ch'avea loro parlato; e ponendosi innanzi loro, sì
andava
loro innanzi e mostrava loro la via. E vedendo
Natalia che
Adriano
andava innanzi, fu ripiena di grande
allegrezza, e così giunsero in Costantinopoli anzi che
fosse
die chiaro. Ed essendo
entrata
Natalia ne la
casa
dove erano i
corpi de' martiri, ed
avendo posta la mano
d'
Adriano al suo
corpo, e
addormentata dopo l'orazione,
Adriano l'
apparve e, salutandola, sì le
comandò ch'
andasse
seco ne l'
eternale pace. Quella quando fu
svegliata
ed ebbe raccontato il sogno a
coloro ch'erano
ivi presenti, e
accomiatatosi da tutti, rendette lo spirito
a
Domenedio, e li
cristiani tolsero il
corpo suo, e puoserlo
a lato a'
corpi de' martiri e del suo
marito.
cap. 128, Ss. Gorgonio e Doroteo
Gorgonio e
Doroteo a la
città di
Niccomedia, i maggiorenti
nel palazzo di
Diocleziano imperadore,
rinunziaro
a la
cavalleria
antica per seguire più liberamente
Cristo loro re, e con manifesta
voce
confessano d'essere
cristiani. Udendo ciò lo imperadore,
angosciavasene
molto,
avendo molto a noia di perdere cotali uomini, li
quali nudriti nel palazzo, di gentilezza di
costumi e di
sangue erano
adornati. Non movendosi dunque dal loro
proponimento né per minacce, né per
lusinghe, furono
messi al tormento, e squarciato tutto il
corpo con
correggiati
e con
unghiali, e fu gittato l'
aceto e 'l
sale
ne le loro interiora poco meno che scoperte; e con ciò
fosse
cosa ch'ellino
sostenessono
allegramente queste
cose, sì furono
arrostiti ne la graticola, là
dove parea
loro stare come in uno letto di
fiori, e non sentire mal
veruno. Poi, per
comandamento de lo imperadore, furono
impiccati e lasciati i
corpi loro a i
cani e a' lupi; ma
non essendo tocchi da loro, furono ricolti da'
cristiani.
E furono
martirizzati intorno a gli
anni
Domini
CCLXXX.
Dopo molti
anni il
corpo di santo
Gorgonio fu traslatato
a Roma; ma ne li
anni
Domini
DCCLXIII il vescovo
di Meta, nepote del re
Pipino, sì 'l traslatòe in
Francia, e
allogollo nel monasterio di
Giorgense
per sua
divozione.
cap. 129, Ss. Proto e Giacinto
Proto e
Giacinto furono
donzelli e
compagni a lo
studio de la
filosofia d'
Eugenia, figliuola di
Filippo,
nobilissima romana. Il quale
Filippo fu fatto dal senato
di Roma prefetto d'Alessandria, e làe menòe seco
Claudia
sua moglie, e
Avito e Sergio suoi figliuoli, e
Eugenia
sua figliuola. Sì che
Eugenia era
ammaestrata
perfettamente
ne l'
arti liberali in tutte. E con lei aveano
studiato
Proto e
Giacinto, ed erano pervenuti a perfezione
di tutte le scienze. Sì che
Eugenia, stando in
etade di
XV anni, fu
domandata per moglie da Aquilino,
figliuolo d'Aquilino
console. E quella disse: "
Marito
non si
dee
eleggere da grande
legnaggio, ma da
grandi
costumi". Or le venne a le mani la
dottrina di
san Paulo, e
cominciò ad essere ne l'
animo
cristiana.
Ed era
permesso a'
cristiani d'
abitare presso ad Alessandria,
onde quella, quasi
sollazzandosi,
andava a la
villa, e passando per una
contrada udìo
cristiani che
cantavano questo verso: "Tutti gli
dei de' pagani
sono
demonia, ma il Signore ha fatto i
cieli". Allora
disse a'
donzelli suoi, cioè a
Proto e a
Giacinto, ch'aveano
studiato seco: "Con
scrupoloso
studio siamo
andati per questi sillogismi de'
filosofi, ma gli
argomenti
d'Aristotile, e l'idea di
Platone, e gli
ammonimenti
di
Socrate, e,
brievemente, ciò che
canta il
poeta, ciò che
dice il savio
Tullio, e ciò che 'nsegna
il
filosafo in questa sentenzia si
raccoglie; la presa
podestà m'ha fatto a voi
donna, ma la sapienzia m'ha
fatta a voi
sorella; siamo adunque
fratelli, e seguitiamo
Cristo". Piacque a tutti il
consiglio, ed ella
prese
abito d'uomo, e venne a uno monasterio del
quale era
abbate uno santo uomo, che avea nome
Eleno,
che non si lasciava venire neuna femmina. Il quale
ancora
disputando con uno
eretico una volta, e non potendo
sostenere la
forza de gli
argomenti, fece
accendere
uno grande
fuoco, acciò che chi v'
entrasse e
non
ardesse, fosse provato d'avere la verace fede.
Acceso dunque il
fuoco, egli fu il primaio che v'
entrò
entro, e
uscinne fuori sanza
danno; e l'
eretico non
vogliendovi
entrare, fu
cacciato via da tutti. Essendo
adunque venuta a costui
Eugenia, e
dicendosi d'essere
uomo,
disse: "Dici giusto, imperò che essendo femmina,
fai opere d'uomo".
Poi che la sua condizione
gli fu revelata da Dio. E da lui ricevette l'
abito
monachile
insieme con
Proto e con
Jacinto, e fecesi chiamare
da tutti
frate Eugenio. Veggendo il padre e la
madre il
carro d'
Eugenia essere tornato a
casa così
voito, piangendo e
dolorando
fecero
cercare per la loro
figliuola; ma neente la poterono trovare. A la perfine
domandono gl'indovini quello che fosse fatto de la loro
figliuola; i quali
dissero che li
dei l'aveano trasportata
in
cielo, fra le stelle. Laonde il padre fece fare una
imagine de la figliuola, e
comandò che fosse
adorata
da tutti; ma ella co'
compagni rimase nel timore di
Dio, e, morto l'
abbate, fu fatto
abbate ella.
Ora avea a quello tempo in Alessandria una gentile
donna e ricca, ch'avea nome
Melanzia, la quale santa
Eugenia unse d'olio e
curolla da la
febbre
quartana
nel nome di
Jesù Cristo, ond'ella le mandò molti presenti,
ma non ricevette nulla. Sì che la
detta
donna,
credendo che
frate Eugenio fosse uomo, sì 'l vicitava
spesse volte. Veggendo dunque la piacevolezza de la
gioventudine e la
bellezza del
corpo, fu
fortemente
presa del suo
amore, e
cominciò a pensare
angosciata
per quale modo potesse avere a fare con lei. E infignendosi
d'essere
ammalata, mandò
dicendo che venisse
a lei. Quando quella fu venuta, costei le disse com'ella era
presa del suo
amore, e come
disiderava in tutto di giacere
con essa,
pregandola che si dovesse
congiugnere insieme
carnalmente. E incontanente la prese ad
abbracciare e
basciare e
confortare a peccato. Lo quale fatto
Eugenia
ebbe in
abbominazione, e sì le disse: "
Direttamente
se'
chiamata
Melanzia, imperciò che tu, ripiena di retade
di nerezza,
se' nera ed
oscura figliuola de le tenebre,
amica del
diavolo, e guidatrice di
corrompimento,
fomento di lussuria,
sirocchia di perpetuale
angoscia
e figliuola di
morte sempiternale". Sì che quella trovandosi
ingannata, e temendo che
nol manifestasse
altrui, volle ella prima scoprire il fatto, e incominciò
a gridare ch'Eugenio la volea sforzare.
Andossene dunque
a
Filippo prefetto e,
richiamandose a lui, sì li
disse: "Un giovine, perfido
cristiano,
entrato a me
per cagione di
medicarmi,
gittandomisi addosso, svergognatamente
m'ha voluto
corrompere, e se non m'
avesse
aiutata una de le
ancelle ch'era dentro in
camera,
avrebbe fatto di me la sua
volontade". Udendo queste
cose il prefetto fue infiammato d'
ira, e mandòe una
grande
moltitudine di
scorridori, e fecesi menare legata
con
ferri
Eugenia e gli altri servi di Cristo, e puose
un
die nel quale
dovessono essere
dati a mangiare a
le
bestie. E
fattilisi venire dinanzi, disse ad
Eugenia:
"
Dicci, scelleratissimo,
avvi insegnato Cristo queste
cose, che voi
diate opera a le
corruzioni, e
corrompiate
le gentili
donne con
isfacciata mattezza?" Allora
Eugenia,
stando con la
faccia
chinata per non essere
conosciuta, sì li disse: "Il Signore nostro n'ha insegnato
di
mantenere la
castitade, e a
coloro che
mantengono
verginitade ha
promesso vita
eterna. Ma questa
Melanzia possiamo mostrare che sia
falsa testimonia, ma
meglio è che noi
patiamo pena, che da poi ch'ella
fosse
convinta, fosse punita, e così perderemmo il
frutto
de la nostra
pazienzia. Ma
faccia venire qua quella
ancella, ch'ella dice che
testimonierà la nostra
fellonia,
acciò che de la sua bocca possano essere
comprese
le
bugie". Quando l'
ancella fu venuta, come la
donna
l'
aveva
ammaestrata,
costantemente l'
appuose che quelli
volea
corrompere la
donna sua, e
affermando quello
medesimo fatto tutti quelli de la sua
famiglia, sì
come quelli che n'erano ingannati,
Eugenia disse:
"Egli è passato il tempo da tacere, ed è venuto
il tempo da parlare; io non voglio che la non
casta
impogna peccato a' servi di Cristo e poscia si glorii
de la
bugia; acciò dunque che la verità soperchi
la
bugia, e 'l sapere vinca la malizia, io
mostrerabbo
la veritade, non per vantamento, ma per la gloria di
Dio". E
dicendo queste cose
isquarciossi i panni dal
capo infino a' piedi, e
apparve d'essere femmina, e
disse al prefetto: "Tu
se' mio padre, e
Claudia è mia
madre, e questi
due che
seggiono teco sono miei
fratelli,
Avito e Sergio; io sono
Eugenia, tua figliuola,
questi
due che sono meco, sì è
Proto e
Jacinto". La
quale cosa udendo il padre e
cominciando a riconoscere
la figliuola, egli e la madre le si gittarono in
braccio,
e
cominciarono a spandere molte
lagrime; sì che
Eugenia
fue immantanente vestita di vestimenti
dorati e
levata in alto, e venne il
fuoco da
cielo e
consumò
Melanzia con tutti i suoi. Allora
convertìo
Eugenia a
la fede di Cristo il padre e la madre e tutta la
famiglia,
per la qualcosa il padre fu
disposto de la
prefettoria
e fatto vescovo da li
cristiani; onde li pagani l'uccisero
stando lui in orazione, e
Claudia si ritornò a Roma
co' figliuoli e con
Eugenia, e là ne
convertiano molti a
Cristo. Onde a
Eugenia per
comandamento di Cesare
le fu legato uno grande sasso al
collo e gittata nel
Tevere; ma il
legame si ruppe, e
andava sopra l'
acqua
sana ed
allegra. Allora fu gittata in una
fornace ardente;
ma sì tosto com'ella vi fu entro, si spense la
fiamma e
avevasi rifrigerio. Poi fu
rinchiusa ne la
carcere tenebrosa; ma uno splendi
dissimo lume vi fu
veduto
risplendere dentro, ed essendovi stata
diece dì
sanza
cibo, il
Salvatore sì l'
apparve e, porgendole uno
pane
bianchissimo, sì le disse: "Prendi 'l
cibo di mia
mano, però ch'io sono il
Salvatore tuo, lo quale tu hai
amato con tutta la intenzione de la
mente; e in tale
die ti riceverò io a me, il quale io
discesi a terra".
Sì che nel
die del
nascimento del Signore, il giustiziere
le tagliò il capo. La quale
apparve poi a la madre, e
predissele che 'l dì de la
comunità la seguiterebbe. Vegnendo
adunque quella
domenica,
Claudia, posta in orazione,
rendette lo spirito a
Domenedio; ma
Proto e
Jacinto
essendo tirati al tempio, fatta l'orazione,
abbatterono
l'idolo e, non volendo sacrificare, per
mozzatura de le
teste
compierono il martirio. E furono
martirizzati sotto
Valentiano e
Galieno, ne li
anni
Domini
CCLVI.
cap. 130, Esaltazione CroceL'
esaltazione de la santa Croce si è
detta perché
in cotale
die la fede e la santa Croce fu molto
esaltata.
È anche da notarsi che innanzi la passione del
Signore il legno de la Croce fue legno di viltade, però che
si
apparecchiava di legni
vili; anche era legno sanza
frutto, per ciò che quantunque fosse piantato nel monte
di
Calvaria, non facea
frutto veruno; anche fue legno di
bassezza, però ch'era tormento di ladroni; anche fue
legno d'
oscuritade, però ch'era sanza ogne
bellezza;
anche fue legno di morte, però che gli uomini v'erano
dati a morire; anche fue legno di puzza, però ch'era piantato
nel mezzo de'
corpi morti. Ma dopo la passione di
Cristo fue per molti modi
esaltata, ché la viltade è trapassata
in preziositade, onde dice santo Andrea: "Dio
ti salvi Croce preziosa!" Anche la
sterelitade era passata
in
abbondanza, come
dice la Cantica, nel settimo
capitolo:
"Io monterò in su la palma, e prenderò de'
frutti
suoi". Anche la
bruttezza in
altezza, onde santo Agostino:
"La Croce, ch'era tormento de' ladroni, trapassa
a le
fronti de li imperadori". Anche la
scuritade in
chiaritade,
onde dice Grisostomo: "La Croce e le margini
di Cristo saranno al
die giudicio più
chiarite che i razzi
del sole". Anche la
morte in
perpetuitade di vita, onde
si
canta ne la
Messa: "Acciò che donde la
morte nascerà,
quindi si rilevasse la vita". Anche la puzza in
suavitade d'odore, onde dice la Cantica: "Essendo il
re nel
dormire suo, l'
erba mia
nardo,
cioè la santa
Croce,
diede soavitade d'odore sovrano".
L'
esaltazione de la santa Croce solennemente si
celebra da la chiesa, però che la fede fu molto
esaltata
in quella; ché ne gli
anni
Domini
DCXV,
permettendo
Cristo
flagellare il popolo suo per la
crudelezza de' pagani,
Cosdroe, re di Persia, sottomisse al suo imperio
tutti i reami de la terra; ma vegnendo in Gerusalem,
spaventato del sepolcro di Cristo, tornò indietro, ma
pure ne portòe via la parte de la santa Croce, che
santa
Elena v'
aveva lasciata. E volendo essere onorato
da tutti come Dio,
edificò una torre d'oro e d'
argento
e di
gemme
tralucenti, e
allogovvi entro le imagini del
sole e de la luna e de le stelle, e per sottili e
celati
fori
ordinò
condotti d'
acqua, e parea che piovesse
acqua,
come
Domenedio; e in una spelonca sotterrata
andavano
cavalli che traevano
carri a
quattro ruote d'intorno
a la torre, e vi infignevano
romore quasi di truono.
Avendo dunque
dato il reame al figliuolo suo, esso
maladetto si puose a sedere in così fatto luogo, e
ponendosi a lato il legno de la Croce di Cristo,
comandò
che tutti il
chiamassero
Domenedio,
e sì come si legge
nel libro Mitrale, che sedendo elli ne la sedia, sì come
padre, puosesi al lato
diritto il legno de la Croce, in
luogo del figliuolo, e 'l
gallo dal lato manco in luogo
de lo Spirito Santo, e
comandò che tutti l'
appellassono
padre. Allora
Eraclio imperadore ragunò grande oste, e
venne a
combattere contra 'l figliuolo di
Cosdroe, a
lato al
fiume di
Danubio. E quindi piacque a l'uno ed
a l'altro prencipe ch'
ambedue
combattessero insieme
in sul ponte, e quale fosse vincitore, quello cotale si
togliesse lo 'mperio, sanza
danno da l'una oste e da
l'altra. Ancora fu messo il
bando che quale fosse colui
ch'
ardisse d'
aiutare il principe suo, sì li fossero tagliate
le
braccia e le gambe, e gittato incontanente
nel
fiume. Allora
Eraclio si
diede tutto a
Domenedio,
e raccomandossi a la santa Croce con tutta quella
divozione
che
poté. Sì che
durando
abendue ne la
battaglia,
diede
Domenedio la vettoria ad
Eraclio, e sottomisse
tutto l'oste al suo imperio, intanto che tutto il popolo
di
Cosdroe si sottomisse a la fede
cristiana, e ricevettero
il santo
battesimo. Ma
Cosdroe non sapea nulla
de l'uscita de la
battaglia, però che essendo
odiato da
tutti, non gliele fece
assapere persona. Ma
Eraclio
venne a lui, e
trovandolo sedere in sedia d'oro, sì li
disse: "Per ciò che tu hai onorato il legno de la santa
Croce secondo il tuo modo, se tu vuogli ricevere la
fede di Cristo e 'l
battesimo, potrai ancora ricoverare
la vita e reame per pochi
stadichi che tu mi
dea; ma
se tu
spregerai d'
aempiere ciò, io ti ucciderò col mio
coltello". Non volendo dunque quelli
acconsentire, trasse
fuori il
coltello, e tagliogli incontanente la testa; e per
ciò ch'era stato re,
comandò che fosse seppellito, e
uno suo figliuolo di
X anni, lo quale elli trovò con lui,
sì 'l fece
battezzare, e
ricevettelo de le sante
fonti,
e lasciogli il regno del padre. E
facendo
disfare la
torre di colui,
diede l'
argento per preda a l'oste, e
l'oro e le
gemme riserbò a
racconciare le
chiese, che
quello tiranno avea
distrutte. Togliendo dunque la santa
Croce, sì la ne riportò in Gerusalem, e scendendo lui
di monte Uliveto, e volendo
entrare col
cavallo reale
e con gli ornamenti imperiali vestito, per la porta, onde il
Signore era
entrato
andando a la passione, subitamente
le pietre de la porta
discesero, e
congiunsersi insieme
come una parete. E maravigliandosi tutti sopra questo
cotal
fatto, l'
angelo di Dio
apparve sopra la porta tegnendo
il
segnale de la Croce in mano, e disse: "Quando il
re del
cielo
entrava per questa porta per andare a la
passione, non
entrò con
ornamento reale, ma
cavalcando
l'umile
asinello, lasciò l'
assemplo de l'umilitade a
tutt'i suoi seguaci". E,
dette queste parole, l'
angelo
salìo in
cielo. Allora lo 'mperadore bagnato di
lagrime,
iscalzòe se medesimo, e spogliossi le vestimenta infino
a la
camicia e, togliendo la
croce del Signore, sì la
portò infino a la porta umilemente. Ed incontanente la
durezza de le pietre sentìo il
comandamento dal
cielo,
e la porta tostamente si levò in su e fece libera
entrata
e tratta a
coloro che voleano
entrare. E 'l suavissimo
odore che s'era partito da la Croce in quel
die e in quel punto che
Cosdroe l'avea tolta, si
ritornò allora, e
saziolli tutti di maravigliosa soavitade.
E 'l re
devotissimo misse mano a laudare la Croce in
questo modo: "O Croce, più splendiente che tutte le
stelle del
mondo,
solenne a gli uomini, molto
amabole,
più santa di tutte l'altre, la quale sola
fosti
degna di
portare il
talento del
mondo,
dolce legno,
dolce spada,
dolce lancia che portasti i
dolci
chiavelli e '
dolci pesi,
salva la presente
compagnia raunata oggi a le tue lode
e segnata de tuo gonfalone!" E così fu
riposta nel
suo luogo la preziosa Croce, e
rinnovellarsi gli
antichi
miracoli, però che allora
risucitòe uno morto, e
quattro
paralitici furono guariti, e
dieci lebbrosi mondati, quindici
ciechi
alluminati,
cacciate le
demonia, e liberati
molti da
diverse infermitadi. Riparando adunque lo 'mperadore
le
chiese e
dotandole di reali
donamenti ritornò
a
casa.
Ma ne le
croniche si racconta questo fatto per altro
modo. Ché vi si dice che, occupando
Cosdroe tutta Gerusalem,
avendo preso
Zaccaria patriarca e 'l legno de la
Croce, e volendo
Eraclio
far pace con lui, giuròe che
non
farebbe pace con li romani mentre che non
rinnegassero
il
Crocefisso e
adorassero lui solo. Allora
Eraclio armato del
zelo di Dio,
commosse
l' esercito
contro a lui, e per molte
battaglie andò guastando la
Persia, e
costrinse
Cosdroe di
fuggire insino a
Tessifonte.
A la perfine
Cosdroe
cadde nel male del sangue
disotto, e volse
incoronare
Medasa, suo figliuolo, in re.
Udendo ciò
Sirois, suo figliuolo primogenito, fece
patto
con
Eraclio e, perseguitando il padre co' nobili,
sì 'l misse in pregione, e
sustentandolo col pane de la
tribulazione e con l'
acqua de l'
angoscia, a la perfine
il fece saettare e uccidere. Poscia mandò ad
Eraclio
tutti gl'
incantatori col patriarca e col legno de la Croce,
e quegli portò il prezioso legno de la Croce in Gerusalem,
e poscia nel portò in Costantinopoli. Queste cose
si leggono in molte
Croniche.
Di questo legno de la Croce dice così la Sibilla
appo i pagani, sì come
dice la Storia
Tripertita:
"
Adora il
beato legno nel quale Iddio fu
disteso e
confitto".
In Costantinopoli fue uno giudeo, il quale
entrò
ne la chiesa di santa Sofia, là
dove vidde una imagine
di Cristo. Il quale giudeo vedendovisi entro solo,
die'
di mano ad uno
coltello, e
approssimossi a la imagine,
e percosse Cristo ne la
gola. Incontanente n'uscì il
sangue e
immollò il capo e la
faccia del giudeo. Colui
spaventato, prese la imagine e gittolla nel
pozzo, e
incominciò a
fuggire. Uno
cristiano il vide
fuggire, e
sì li disse: "
Donde vieni tu, giudeo? Tu hai morto
alcuno uomo!" Quelli disse: "Non è vero". Disse
il
cristiano: "
Veramente tu hai morto uomo, e però
se' bagnato di sangue". Disse il giudeo: "
Veramente
il
Domenedio di
cristiani è grande, e per tutto si pruova
che la sua fede è
ferma; neente ho percosso uomo
ma la imagine di Cristo, e incontanente n'uscì il sangue
de la sua
gola". E
menollo al
pozzo, e
trassene
fuori la santa imagine; e trovarono la piaga ne la
gola
di Cristo, la quale si vede insino al dì d'oggi come
disse il giudeo, e
diventò
cristiano.
In
Suria, ne la
città di
Berich, uno
cristiano tolto
uno
albergo a pigione, nel quale
aveva
acconcia la
imagine del
Crocifisso ne la parete contra la
faccia
del letto, ed ivi
faceva
continovamente le sue orazioni.
Compiuto l'
anno, tolse un'altra
casa e, tramutando
là le cose, lasciò per
dimenticanza la
detta imagine ne
la prima
casa; e uno giudeo la ritolse a pigione, e non
s'
accorse de la imagine. Sì che un
die invitò a mangiare
uno de la sua gente, il quale, fra 'l mangiare,
vide quella imagine e, acceso d'
ira contro a colui che
l'avea invitato, sì 'l
riprese, perch'egli era tanto adirato,
di tenere la imagine del Nazareno. Ma non
avendo
colui ancora veduto la
detta imagine,
affermava con
quelli sacramenti ched elli potea, che non sapea al
postutto come quella vi si era. Allora quegli infingendosi
appagato,
accomiatossi da costui, e
andossene a li
prencipi de la gente sua, e
accusòe quello giudeo de la
imagine. Sì che ragunòe gli giudei a
casa di colui e,
veduta la imagine,
afflissero colui con molti tormenti,
e
cacciaronlo per mezzo morto fuori de la sinagoga e,
iscalpitando la imagine con i piedi, tutti i vituperi de
la passione di Cristo
rinnovellarono in quella. E quando
vennero a
forare il
costato con la lancia, incontanente
uscì fuori sangue e
acqua
abbondevolmente, e
empiessene
il vasello postovi sotto. Li giudei stupiditi di ciò,
portarono quel sangue a le sinagoghe, e tutti gl'infermi
che v'erano tocchi incontanente erano sani. Allora i
giudei
narrarono tutte queste cose per ordine al vescovo
de la
cittade, e ricevettero tutti ad uno
animo il
battesimo
e la fede di Cristo. E 'l vescovo
conservòe quello
sangue in
ampolle di
cristallo e di
vetro, e fecesi venire
quello
cristiano, e
domandollo chi avea
composto così
bella imagine. E colui disse: "
Niccodemo la
compuose,
il quale vegnendo a
morte la lasciò a
Gamaleel,
Gamaleel
a
Zaccheo, e
Zaccheo a Jacopo, e Jacopo a
Simone, e così stette in Gerusalem infino a tanto ch'ella
fu
distrutta; poscia, di quindi fu portata da'
cristiani
nel reame d'
Agrippa, e quindi fue recata al paese mio
da'
parenti miei; a me e
vennemi per ragione di retaggio.
Fatte furono tutte queste cose ne gli
anni
Domini
DCCL. Allora gli giudei tutti
consegrarono le loro
sinagoghe in
chiese e, da quell'ora innanzi,
crebbe questa
usanza di
consecrare le
chiese, però che prima si
consegravano solamente gli
altari. Per questo miracolo
ordinò la Chiesa che
quattro dì uscente novembre sì
si facesse memoria de la passione del Signore. In altro
luogo si legge
VIII dì
entrante novembre. Onde a Roma
è una chiesa
consecrata ad onore del
Salvatore, ne la
quale si
conserva una
ampolla con quello cotale sangue,
e
favvisi
solenne
festa in quel
die.
Ancora si
dicerne che la vertù de la Croce è
grandissima
appo gl'infedeli, ché, come Gregorio santissimo
dice nel terzo
libro del
Dialago, Andrea, vescovo
de la
città di
Fonda,
permettendo
abitare seco una
donna monaca,
confidandosi de la
santitade sua e di
lei, l'
antico nemico
cominciò a mettere in piacere ne
gli occhi di colui la
bellezza de la femmina in tal
maniera che nel letto già pensava male. Sì che un
die
vegnendo uno giudeo a Roma, e veggendo che 'l
die
venìa meno, e non trovando dove potere
albergare,
missesi a posare in uno tempio de' pagani. E temendo
molto di starvi,
avvegnadio che non
avesse la
fede di Cristo, pure si fece il
segno de la santa Croce.
E isvegliandosi entro la mezzanotte, vidde una grande
gente di maligni spiriti, ch'
andavano innanzi quasi in
servizio d'una podestade, e colui ch'era sopra tutti si
puose a sedere nel mezzo di loro, e
cominciò ad
esaminare
l'opere e le
cagioni di
ciascheduno spirito di
quelli ch'erano al suo
servigio,
per trovare sino a
quanto avesse operato male ciascuno. Ma il modo di
questa
disaminazione san Gregorio se ne passa
brievemente,
ma puossi sapere per uno cotale
essemplo simigliante
che si pone in vita di santi Padri. Ché essendo
entrato uno in un tempio d'idoli, vidde Satana sedere,
nel cospetto suo stare tutta la sua
cavalleria. E vegnendo
uno de li spiriti, sì lo
adorò. Al quale disse il
demonio
maggiore: "Onde vien tu?" Quelli rispuose: "In
cotale provincia sono stato, là
dove
sucitai molte
battaglie,
e
feci molte
perturbazioni, e sparsi assai sangue,
e ora sono venuto per
dirloti". Disse Satana:
"In quanto tempo il
facesti?" E quelli disse: "In
XXX dì". Disse Satana: "Perché vi mettesti tanto
tempo?" Poi disse a quelli ch'erano presenti: "
Andate,
e sì lo
battete
duramente". Venne il secondo,
lo adorò e disse: "Messere, io era nel mare, e
commossi
molte
tempeste, e
feci perire molte
navi, e
abbovi
fatto perire molti uomini". Disse Satana: "In quanto
tempo l'hai tu fatto?" E quelli rispuose: "In
XX
dì". E
comandò
simigliatamente che costui fosse bene
battuto, così
dicendo: "In sì piccolo fatto hai lavorato
cotanto tempo?" E venne il terzo e disse: "In una
città
fui, e commossi
briga in uno paio di nozze, e
molto sangue v'ho sparto, e quello sposo uccisi, e sono
venuto per
dirloti". Disse Satana: "In quanto tempo
l'hai fatto?" E quelli rispuose: "In
X dì". Disse
Satana: "Non hai fatto più cose in
cotanti dì?" E
comandò che fosse battuto come gli altri. Venne un
altro, e disse: "Io sono stato ne l'
ermo
XL
anni, e sommi affaticato contra uno monaco, e a grande
pena il
feci ieri
cadere in peccato di
carne". Udendo
ciò Satana levossi de la sedia, e
cominciollo a
basciare
tutto quanto e, levandosi la
corona di capo, e sì la
puose in capo a colui, e
fecelosi sedere a lato, così
dicendo: "Grande cosa hai fatta,
fortemente ti
se'
portato, e più hai lavorato che tutti costoro". Sì che
questo
poté essere lo modo di quella
disaminazione che
san Gregorio lascia andare. Che raccontando
ciascuno
spirito quello che avea fatto, levossi uno nel mezzo e
sì disse in quanta
communcione di
carne avea messo
l'
animo del vescovo Andrea,
aggiungendo che ieri nel
vespro il fece venire a tanto che, per
lusinga,
diede de
la mano in sul
dosso a quella femmina. Allora il
diavolo
confortò colui che mettesse ad
esecuzione quello
che avea incominciato, acciò che per la ruina di colui
tenesse simigliante vittoria infra gli altri, e
comandò
che
cercassero qual fosse colui ch'era ardito di giacere
nel tempio predetto. E con ciò fosse
cosa che quelli
temesse più
fortemente, e gli spiriti il vedessono segnato
del
segno de la Croce, spaventati di ciò,
cominciarono
a gridare: "Guai, guai! è vasello voito, ma segnato".
A la quale
voce tutta quella turba di maligni spiriti
isparve, e quello giudeo venne ratto al vescovo, e
contolli tutte queste cose per ordine. La qualcosa
quegli udendo, pianse
fortemente, e sceverò da sé incontanente
ogni
compagnia di femmina, e
battezzò
quello giudeo.
Racconta ancora san Gregorio, nel
libro del
Dialago,
ch'una monaca
entrando ne l'orto e vedendovi
una lattuga, sì ne
inghiottornio, e
dimenticandosi di
benedirla col
segno de la santa Croce, sì la prese a
mordere
disiderosamente; ma il
diavolo sì la
imperversòe
e
cadde. Ed essendo venuto a lei santo
Equizio, il
diavolo
cominciò a gridare: "Che abbo io fatto? Che
abbo io fatto? Io mi sedeva in su la lattuga, quella
venne, e sì mi morse". Ma al
comandamento del detto
santo uomo uscì tosto da lei, e fu liberata.
cap. 131, S. Giovanni CrisostomoGiovanni, il cui sopranome
è Grisostomo d'Antiochia,
fu figliuolo di Secondo e d'
Anthura, nobili persone; la
cui vita e generazione e
conversazione e persecuzione
si
dichiara pienamente ne la Storia
Tripertita. Il quale
essendo
dato a lo
studio de la
filosofia,
finalmente lasciandolo,
intendea a
leggere le
divine cose. Il quale,
essendo ordinato prete, per
zelo de la
castitade era tenuto
più
crudele, e servìa più al
furore che a la mansuetudine
e, per la
dirittura de la vita
disavveduto,
non sapea ragguardare a quelle cose che
doveano venire.
Nel
ragionamento era
creduto che fosse
arrogante da
coloro che
nol
conoscevano, in
ammaestramento era
specialissimo, in
isposizione valente, in
costrignere li
rei
costumi ottimo. Regnando dunque
Arcadio ed Onorio
imperadori, essendo ne la romana sedia
Damaso papa,
fu fatto vescovo. Il quale volendo di subito
correggere
la vita de'
cherici, tutti gl'infiammò in odio di sé, e
tutti il
fuggivano come persona
furiosa, e a tutti
dicevano
male di lui; e perché none invitava mai niuno a
desinare, né non volea essere invitato, eglino sì
diceano
ch'egli il facea perché mangiava
bruttamente. Altri
predicavano ched egli il
faceva per l'
eccellente e
squisito
uso de'
cibi, e certo per l'
astinenzia spesse volte
si
dolea de lo
stomaco e de la testa, e però schifava
le
vivande de'
desinari. Ma il popolo l'
amava molto
per li
belli
sermoni ch'egli
faceva ne la chiesa, e per
nulla avea tutto ciò che l'invidiosi parlassono di lui o
contra lui. Missesi ancora a riprendere alcuni di nobili,
e però fu
accesa maggiore invidia contra lui. Ancora
fece altro che
commosse molto tutti. Ciò fu che
Eutropio,
proposto de lo 'mperadore, il quale avea la
dignità di
consolo, volendosi vendicare in alcuni che
fuggìano a
la chiesa, studiossi che lo 'mperadore ponesse tal legge
che niuno
fuggisse a la chiesa; anzi, che
coloro i quali
vi fossero
fuggiti per adrieto ne fossero tratti fuori.
Da ivi a pochi dì,
avendo
Eutropio offeso il re,
fuggì
tosto a la chiesa, e 'l vescovo udendo ciò andò a lui
che stava nascoso sotto l'
altare, e
faccendo omelia di
riprensione contro a lui, sì 'l riprese
durissimamente.
Laonde n'offese molti in ciò, che a uomo
disavventurato
non solamente non volesse fare misericordia, ma
sopra tutto questo non si rimase di riprenderlo. Sì che
lo 'mperadore prese
Eutropio e tagliolli il capo. Adunque
per
diverse
cagioni riprendea con maggiore
fidanza
molti uomini, e però era odiato da molti. E
Teofilo,
vescovo d'Alessandria, voleva
disporre Giovanni, e
disiderava
di
mettervi un prete che avea nome
Isidoro, e
però
cercava
diligentemente le
cagioni da
disporlo. Ma
il popolo
difendeva Giovanni, e pascevasi de la sua
dottrina con
mirabile
disiderio. E
costrignea Giovanni i
preti che vivessono secondo gli ordinamenti
ecclesiastici,
dicendo che non
dovea usare onore di pretatico chi
dispregiasse
di seguitare la loro vita. E non solamente
governava la
città di Costantinopoli
valorosamente, ma
eziandio più province d'intorno ordinava con l'
autorità
de lo 'mperio per savie
leggi; e
avendo saputo che ne
la
città di
Fenice sì si
faceano ancora sacrificii a le
demonia, mandò là
cherici e monaci, e fece
disfare
tutti i tempii de gli idoli.
A quello tempo era uno che avea nome
Gaimas,
celtico di nazione,
barbaro di
consiglio,
fortemente rigoglioso
di
studio di tiranno,
maliziato de la
resia
d'Ario, ma pertanto era fatto maestro di
cavalieri.
Costui pregò lo 'mperadore che dentro a la
città
desse
una chiesa a sé e a' suoi. Quegli
avendola
promessa,
pregò Giovanni che li
concedesse una chiesa, acciò che
in questo modo
rifrenasse la sua
tirannidezza. E Giovanni,
fortissimo ne la virtude e tutto infiammato di
zelo, disse: "Non volere, imperadore, permettere queste
cose, né
dare la santa cosa a'
cani; e non temere
questo
barbero, ma
comanda ch'
ambedue noi siamo
chiamati dinanzi a te, e
quetamente odi quelle cose
che si
diranno tra noi. Però ch'io
raffrenerò in tal
modo la sua lingua, che non
ardirà a
domandare queste
cose". Udendo ciò lo 'mperadore fu
allegro, e l'altro
die fece chiamare l'uno e l'altro. E
domandando
Gaimas
uno oratorio per sé, disse Giovanni: "A te è
aperta la
casa di Dio in modo che neuno ti vieta d'
adorarvi".
E quelli disse: "Io sono d'un'altra
setta,
e uno tempio
adomando d'avere con loro. Io ho prese
molte
fatiche per lo
comune di Roma, e però non
debbo
essere
spregiato ne la mia
adomandazione". Al quale
rispuose Giovanni: "Tu hai ricevuti molti
donamenti,
e che
trasandono le tue
battaglie; tu
se' fatto maestro
de'
cavalieri, e sopra tutto questo
se' adornato de la
guarnaccia
di
consolo, e però sì ti
conviene
considerare quello
che tu
se' stato per adrieto, e quello che tu
se' veduto
ora, che
povertà di prima e che ricchezza ora, che
vestimenti tu
usavi e di che tu t'
adorni ora. Adunque
perché
poche sono le
fatiche che t'hanno fatto
grandi guiderdoni, non essere
sconoscente a colui che
ti fa onore". Per queste parole gli
chiuse la bocca, e
costrinselo che tacesse.
Governando dunque Giovanni la
città di Costantinopoli
valentremente, il detto
Gaimas
disiderando lo 'mperio,
da che di
die non poteva fare nulla, di notte mandò
gente
barbaresca che
ardessono il palazzo de lo imperadore.
Allora fue mostrato
apertamente come san Giovanni
guardava la
cittade; però che a'
barberi
apparve una
grande
moltitudine d'
angeli
armati, i quali aveano
grande
corpo, e
cacciarono via quelli
barbari incontanente.
La qualcosa abbiendo
coloro nunziato al Signore,
diessene grande maraviglia, sappiendo che l'
esercito
de'
cavalieri era sparto per altre
cittadi. Sì che
rimandandoli
anche la seguente notte, furono simigliantemente
spaventati da la visione de li
angeli. A la perfine uscì
fuori egli e, vedendo il miracolo, sì
fuggìo e pensossi
che
cavalieri stessono
celati di
die, e la notte guardassono
la
città. Uscito dunque indi,
andonne a Tracia, e
ragunata grande oste, ogne cosa
andava guastando,
temendo tutti la
crudelezza de'
barbari. Sì che lo 'mperadore
impuose lo
'ncarico de la legagione al santissimo
Giovanni, ed egli,
dimenticando la
nimistade, andò
allegramente.
Sì che
Gaimas
conoscendo la
fidanza di colui,
per
petade ricevuta, lunga via gli venne incontro,
e a' suoi propii occhi puose intorno la mano
diritta di
colui, e
comandò che i suoi figliuoli
baciassero le sante
ginocchia di colui. Però che Giovanni ebbe tale vertude
che,
coloro che erano molto terribili e
aspri, sì
costrinse
d'umiliarsi e di temere.
In quello tempo si mosse una quistione se Dio
avesse
corpo; de la quale quistione si levarono
contenzioni
e
battaglie. Altri
dicevano questo, e altri
dicevano
quello, ma spezialmente la gente de' monaci semplici
fu ingannata,
dicendo che Dio fosse
distinto in
forma
corporale. Ma
Teofilo, vescovo d'Alessandria, sentìa
il
contradio, sì che
spregiava ne la chiesa
coloro ch'
affermavano
che Dio
avesse
forma
corporale, e predicava
che Dio fosse sanza
corpo. La qualcosa
conoscendo i
monaci de l'
Egitto,
abbandonarono le loro
abitazioni,
e vennero in Alessandria
commovendo grande rumore
di popolo contra
Teofilo, sì che
isforzavano d'
ucciderlo.
Quegli
conoscendo e temendo ciò, disse a loro:
"Così veggio voi come vedesse il volto di Dio". E
coloro
dissero: "Se vero è quello che tu
di' che han
volto di Dio, e che
pare a te così, or sì
iscomunica
i libri d'Origene, che
contradicono a la nostra openione;
e se tu
nol
farai, sanza
dubbio
sosterrai da
noi quello che si
confà a'
rubelli de l'imperadori e
a' rubelli di Dio". E quelli rispuose: "Non incrudelire
contra di me, io
fo quelle cose che vi
piaccono". E
così trasse i monaci dal loro
furore. Ma gli
essercitati
e perfetti monaci non furono ingannati in questo; ma
li semplici, per l'
ardore de la fede, si levarono contra
i frati che sentivano il
contrario, e
fecerne molti uccidere.
Facendo dunque queste cose ne l'
Egitto, Giovanni
fioriva di
dottrina in Costantinopoli, ed era tenuto maraviglioso
da tutti. Ma
rampollando molto gli
ariani,
ed abbiendo chiesa fuori de la
cittade, il sabato e la
domenica si raunavano dentro a le porte e a' portichi
de la
cittade, e
cantavano la notte gl'inni e l'
antefane,
e la mattina per tempo uscivano per le porte,
passando per lo mezzo de la
cittade con quelle
antefane,
e ritornavano a la loro chiesa. E non
rimagnendosi di
ciò fare a vituperio de la fede
cattolica,
cantando spesse
volte: "Ove son quelli che
dicono uno in tre virtudi?"
Giovanni temendo che i semplici non fossero tratti per
questi cotali che
cantavano,
ordinò che 'l popolo de'
fedeli
soprastesse a gl'inni de la notte, acciò che l'opera
di
coloro fosse
intenebrita, e la
confessione di
fedeli
fosse
ferma; e fece
croci d'
argento, che si portavano
con
ceri d'
argento. Allora gli
ariani, accesi di
zelo
d'invidia, sì si levarono infino a la
morte; sì che una
notte fu percosso
Brison,
donzello de lo 'mperadore,
il quale era
disputato da Giovanni a
cantare gl'inni;
ma ancora ne furono morti parecchi e da l'un parte
e da l'altra. Per queste cose si mosse lo 'mperadore,
e
vietòe
coloro che
cantavano gl'inni
palesamente, cioè
gli
ariani.
A quello tempo venne in Costantinopoli
Severiano,
vescovo di
Gabale, onorevole
appo molti
baroni, e molto
amato da quello imperadore e da la imperadrice, e fue
ricevuto da Giovanni graziosamente e, con ciò fosse
cosa che Giovanni fosse
andato in Asia, raccomandò
la chiesa sua a colui. E quegli non
fedelmente
commendava
Giovanni, ma
commendava se medesimo al
popolo.
Serapione,
cherico di Giovanni, si
brigò di
farlo
assapere a Giovanni. Passando
Severiano per la via non
gli si levò
Serapione; quegli
disdegnandosene gridò e
disse: "Se
Serapione
cherico non fia morto, Cristo in
umana natura non è nato". Udendo Giovanni queste
cose, ritornò e
cacciollo fuori de la
città come
bestemmiatore.
La qual cosa
dispiacque molto a lo 'mperadore,
e
fecelo richiamare, pregando san Giovanni che lo
riconciliasse
a sé.
In quello medesimo tempo
Teofilo, vescovo d'Alessandria,
cacciò via ingiustamente
Dioscoro, uomo santissimo,
e
Isidoro prima molto suo grande
amico. I quali
erano in Costantinopoli per
contare al prencipe
e a Giovanni i
fatti di colui; e Giovanni facea loro
onore, ma innanzi che
conoscesse la cagione non volea
partecipare con loro. Ma una
falsa novella andò a
Teofilo,
che Giovanni
comunicava con loro, e
dava loro
aiuto. E
Teofilo
disdegnato di ciò, non solamente s'
armava
di fare vendetta contra loro, ma ancora
fortemente
di
disporre Giovanni.
Celando dunque la intenzione
sua, mandò
dicendo a' vescovi di
ciascuna
città ched
e' volea
dannare i libri d'Origene; e
mandollo a
dire
ad
Epifanio vescovo di Cipri,
uomo santissimo, e innamicossi
colui,
pregandolo che elli simigliantemente
dannasse
i libri d'Origine.
Epifanio per la
santità sua non
attendendo le
fallace di colui, ragunò i vescovi suoi in
Cipri, e interdisse la lezione d'Origene, pregando Giovanni
per sue lettere che si
sospendesse de la lezione
di questi cotali libri e
confermasse quello ch'era ordinato.
Ma Giovanni,
avendo a schifo queste cose, lavorava
ne la
dottrina de la Chiesa, e
fioriva in essa,
non
curando nulla cosa di quelle che si pensavano
contra di lui.
Finalmente
Teofilo
manifestòe l'odio
celato,
e mostròe che voleva
disporre Giovanni. Incontanente
i nimici di Giovanni e molti
cherici e
baroni del
palazzo, veggendo il tempo apparecchiato a ciò,
isforzavasi
che contra Giovanni si facesse
consiglio a Costantinopoli.
Dopo queste cose venne
Epifanio a Costantinopoli,
e recò seco la
dannazione de' libri d'Origene,
e
fuggìo la
'nvitata di Giovanni per cagione di
Teofilo.
E alcuni per la riverenza d'
Epifanio
soscriveano a la
dannagione de' libri d'Origene, e molti
ricusavano di
farlo; de' quali fu l'uno
Teotino, vescovo di Siria,
uomo nominatissimo di
dirittura, il quale rispuose così,
e disse: "O
Epifanio, io non
sostegno
igualmente le
ingiurie di quella cosa che per adrieto è bene stata
riposata, né non
presumo di tentare cosa che
biastemmi;
domando quelle cose che i nostri
antecessori non hanno
voluto rifiutare, né io non veggio veruna
mala
dottrina
ne i libri di colui.
Coloro che a queste cose fanno ingiurie,
non
conoscono lor medesimi". E
Atanasio,
difenditore
del
concilio di
Nocea,
appella questo uomo testimonio
de la sua fede contra gli
ariani, e
congiugne i
libri di colui a' suoi, e dice così: "Il
maraviglioso e
affaticatissimo Origene
dae questa testimonianza del
figliuolo di Dio,
affermandolo insieme
eternale al Padre".
Ma Giovanni
non s'indegnòe perché
Epifanio
avea sanza regole fatto ordinazione ne la chiesa sua;
ma pertanto sì 'l pregava che tra ' vescovi stesse con
lui. Ma quegli rispuose di non stare con lui, né orare
con lui, se non
cacciasse via
Dioscoro, e non
soscrivesse
a la
dannazione de libri d'Origene. Non vogliendo
ciò fare Giovanni, gl'invidiosi suoi
commossero
Epifanio
contra lui. Onde
Epifanio
dannò e' libri d'Origene e
sentenziò
Dioscoro, e
cominciò a
biasimare Giovanni sì
come
difenditore di costoro. Al quale mandò a
dire Giovanni:
"Contra molte regole hai fatto, o
Epifanio;
primieramente perché tu
facesti ordinazione ne la chiesa,
ch'era sotto mia ragione, poscia perché per tua propia
autorità vi
dicesti la
Messa; ancora perché tu, essendo
invitato, non volesti venire, e ora anche perché ti
confidi
in te medesimo; per la qualcosa ti guarda che
non si lievi romore nel popolo, e tu riceva
pericolo di
questo fatto". Udendo queste cose
Epifanio partissi e,
dovendo ritornare in Cipri, mandò così
dicendo a Giovanni:
"Io abbo speranza che tu non morrai vescovo".
E Giovanni gli rimandò
dicendo: "Io abbo speranza
che tu non tornerai al tuo paese". E così intervenne;
ché
Epifanio morì nel
viaggio, e Giovanni, poi
disposto
del vescovado,
finìo la vita sua a i
confini. Al sepolcro
di questo
Epifanio, uomo santissimo, sono
cacciate le
demonia. E fue uomo di maravigliosa
cortesia a' poveri;
il quale abbiendo una volta
data tutta la pecunia de
la chiesa a' poveri, e non sendogli rimaso nulla, venne
uno subitamente, e sì gli offerse uno
sacchetto di molta
pecunia, e partissi; né non fu saputo né donde venisse,
né onde
andasse. Volendo una volta ingannare alcuni
poveri che elli
desse loro alcuna cosa, l'uno di
coloro
si gettò rivescione in terra, e l'altro gli stava addosso,
e
piagnealo per morto, e gridava con
lamentevoli
voci
che none avea onde
sotterarlo. Sì che
Epifanio sopravvenne,
e pregò
Domenedio che quegli morisse in pace,
e
diede quello ch'era necessario a la
sepoltura. E da
ch'ebbe racconsolato quell'uomo, partissi, ma quelli
bussava e
diceva: "Leva su tosto, oggi godiamo de
le
fatiche tue". Quando l'ebbe assai
bussato, ed ebbe
conosciuto ch'egli era morto,
corse ad
Epifanio e
contogli
ciò che gli era intervenuto
e cominciò a pregarlo
che lo resuscitasse. Egli con bontà lo consolò; ma
nol
volse
risucitare, acciò che non si facesse
leggermente
schernie de' servi di
Domenedio. Quando
Epifanio si fu
partito,
rapportato fu a Giovanni che la imperadrice
Eudogia avea commosso
Epifanio contra di lui. E infiammato
Giovanni per solo
zelo, fece un sermone al
popolo, il quale
contenea in sé vituperamento di tutte
le
femmine, in tutt'i modi. Questo sermone fu ricevuto
da tutti, quasi come fosse detto contra la 'mperadrice.
Quand'ella l'ebbe saputo,
condolsesene a lo 'mperadore,
e disse che la ingiuria fatta a la moglie tornava
maggiormente a lui. Mosso lo 'mperadore a queste
cose,
ordinò
concilio del
chericato contra Giovanni; e
Teofilo ragunò in grande
fretta i vescovi; e traevano
allegramente i nemici di Giovanni
chiamandolo superbo
ed
empio. Essendo dunque tutti i vescovi in Costantinopoli,
non trattavano già de' libri d'Origene, ma levavansi
manifestamente contra Giovanni. Mandando
dunque per Giovanni, sì 'l
citarono; il quale gli vietò
come
aperti nemici, e gridòe che si facesse universale
chericato; e
coloro il
citarono anche
quattro volte; il
quale,
rifuggendoli e gridando che si facesse il
chericato,
sì 'l
condannarono, non
incolpandolo d'altro, se non
che essendo
citato, non volse ubbidire. Udendo ciò il
popolo levossi a romore, e
nol lasciava trarre de la
chiesa, ma gridava che questo tornasse a maggiore
concilio. E 'l
comandamento del prencipe
costrignea che
ne fosse tosto
cacciato fuori, e mandato a'
confini.
Giovanni temendo che non nascesse
scandalo nel popolo,
sanza saputa del popolo,
diede se medesimo ad essere
mandato a'
confini. Quando il popolo l'ebbe saputo,
uno
scandalo da non potere
sostenere ne nacque, sì
che ancora molti de' nemici di Giovanni, movendosi a
misericordia,
diceano che a lui era fatta ingiuria, lo
quale poco di prima
disideravano di
verderlo
disposto.
E
Severiano, del quale parlato è disopra,
biasimava
Giovanni ne la chiesa, così
dicendo: "Pognamo che
non
avesse veruno altro peccato, pur la sua superbia
era sofficente cagione di
disporlo". Nata dunque tra
lo 'mperadore e contra vescovi grande
sturbagione nel
popolo, la 'mperadrice pregò lo 'mperadore che facesse
rimenare Giovanni da'
confini. Ancora
assalette un
grandissimo tremuoto la
città,
dicendo tutti che ciò
intervenìa per la ingiustizia e non giusta cagione de lo
scacciamento di Giovanni. Sì che furono mandati
ambasciadori
a Giovanni,
pregandolo che tosto tornasse.
e con le sue orazioni
succorresse la
città che periva, e
pacificasse il romore levato nel popolo. Ed altri
ambasciadori
furono mandati dopo
coloro, e anche altri che
'l
costrignessero di tornare tosto. Il quale non vogliente
tornare, fu
rimenato a
casa sua,
faccendolisi incontro
tutto il popolo con
ceri e con
luminari. Ma elli non
voleva stare ne la sedia vescovile,
dicendo che ciò si
convenia fare per sentenzia del
chericato, e che
coloro
che l'aveano
condannato
ritrattassero da loro sentenzia.
Ma il popolo s'
accendeva con maraviglioso
modo di
verderlo sedere ne la sedia vescovile e udire
le parole del
dottore. Ebbe dunque vettoria il popolo, e
fu costretto di fare sermone al popolo, e sedere ne la
sedia
cattedrale. E
Teofilo
fuggìo quindi, il quale essendo
venuto in
Jerapoli, morìo il vescovo di quella
città,
e fue
eletto
Giulamen, santissimo monaco. Ma
elli l'
andava pur
fuggendo, e
Teofilo il
confortava che
consentisse a la sua
elezione. Allora il monaco
promisse
così, e
disse: "
Domane sarà fatto quello che piace
al Signore". Sì che quel domane venne
Teofilo a la
cella di costui a
pregarlo che ricevesse
il vescovado.
E que' disse: "Oriamo prima a
Domenedio". Ed orando
il monaco, incontanente con quella orazione ricevette il
termine de la sua vita. Sì che Giovanni
soprastava ad
ammaestrare
continuamente. In quello tempo era ordinata
ne la piazza, lungo la chiesa di santa Sofia, una
statuta d'
argento,
attorniata d'uno mantello, ad onore
di
Eudogia imperadrice; nel quale luogo i
cavalieri e '
nobili
faceano palesi giuochi e trastulli. La qualcosa
dispiacea molto a Giovanni, con ciò fosse
cosa che
questo si pertenesse ad ingiuria de la chiesa.
Prendendo Giovanni l'usata
fidanza,
armòe anche la
lingua sua; e quando gli
convenìa inchinare i principi
con parole di
preghiero, che si rimanessero da cotale
giuoco,
nol fece, ma con l'
impeto de l'uso del suo
parlare lacerava
coloro che
comandavano di fare cotali
cose. E ancora la 'mperadrice il si recava a noia, e
un'altra volta si
brigava di fare raunare il
chericato
contra di lui. Sentendo ciò Giovanni, pronunziòe ne la
chiesa quella
famosissima omelia, che
comincia così:
"Ancora s'
angoscia
Erodia, ancora si turba, un'altra
volta salta, un'altra volta
disidera d'avere in
talliere
il capo di Giovanni". La quale cosa
commosse più ad
ira la 'mperadrice. E volendo uno uccidere Giovanni, fu
preso dal popolo e
dato a giudicare, ma fu liberato da
quel santo, acciò ched elli non fosse morto.
Ancora un
fante d'un prete,
faccendo
assalto contra
lui, sì si sforzò d'
ucciderlo; il quale essendo tenuto
da uno, percosse colui che 'l tenea, e un altro che si
stavi ivi presente, e anche il terzo. Allora per lo grido
che vi fue,
correndovene molti, sì uccise molte persone.
Da quello tempo innanzi il popolo guardava Giovanni,
armando la
casa sua di
die e di notte. Sì che per
conforto
de la 'mperadrice, li vescovi si ragunarono in
Costantinopoli, e gli
accusatori di Giovanni
cominciarono
a soprastare
fortemente. Ed essendo sopravvenuta la
festa del
Natale, lo 'mperadore mandò a Giovanni che,
se prima non si spogliasse de' peccati, non dovesse
comunicare con lui. E li vescovi non trovarono nulla
in lui, se non che dopo il
disporre suo era stato presuntuoso
di sedere ne la sedia vescovile sanza
dicreto
di
concilio, e in questo modo di
condannarono.
Appressimandosi
a la perfine la solennità de la
Pasqua,
mandolli
a
dire lo 'mperadore che non potea stare con lui
ne la chiesa, con ciò fosse
cosa che
due
concilii l'
avessono
condannato. Sì che Giovanni si
cessava, e non
discendeva ne la chiesa.
Coloro ch'erano in
aiuto a
Giovanni, sì erano
chiamati
Giovanniti. Dopo queste
cose
fece
lo lo 'mperadore
cacciare fuori de la
cittade,
e menare a'
confini in una piccola
cittadella, dove sono
i termini di Ponto e de lo 'mperio de' romani, i quali
luoghi sono prossimani a'
crudeli
barbari. Ma il piatoso
Iddio non lasciò lungo tempo
dimorare il
cavaliere suo
in cotali luoghi.
Udendo queste cose papa
Innocenzio, sì 'l si recava
a noia, e volendo fare
concilio, scrisse al
chericato di
Costantinopoli che n
on ordinassono alcuno che fosse
successore a Giovanni.
Andando dunque Giovanni al
concilio, essendo affaticato per lungo
viaggio, e tormentato
fortemente del capo del suo
duolo,
non sostenendo
ancora lo
'mportabile
ardore del sole, quella
santa
anima si partì dal
corpo ne la
città di
Cumana,
XIV dì di Settembre. Morto lui, una
forte gragnuola
venne in Costantinopoli e in tutte le villate intorno,
dicendo tutti che ciò era fatto per l'
ira di Dio, di ciò
che Giovanni era stato ingiustamente
condannato. A le
quali parole fece fede la
morte de la 'mperadrice, che
venne dietro, però che
quattro dì dopo la gragnuola,
morìo quella. Morto dunque il
dottore di tutte le terre,
li vescovi d'Occidente non volsero per neuno modo
comunicare con quelli d'Oriente, infino a tanto che non
puosono il nome di quello santissimo uomo tra i vescovi.
Ma
Teodoro,
cristianissimo figliuolo del detto
Arcadio,
il quale avea il nome e la pietade de l'
avolo suo, fece
trasportare le sante reliquie di questo
dottore ne la
cittade reale, del mese di Gennaio; e 'l
fedelissimo
popolo li si fece incontro con
ceri e con lampane. E
Teodogio
adorò umilemente le sue reliquie, e
pregollo
per
Arcadio e per
Eudogia, suoi padre e madre, che
perdonasse loro, i quali aveano
fallato contra lui per
ignoranza. Però che già erano morti questo suo padre
e sua madre. Questo
Teodogio fu pietosissimo intanto
che non giudicava mai a
morte neuno che l'offendesse,
anzi
diceva così: "
Volesselo Dio ch'a me fosse possibile
di rivocare a vita eziandio
coloro che sono morti!"
La sua
corte parea monasterio, levavasi la notte a
dire mattutino, leggea i libri santi. Questi avea moglie
ch'avea nome
Eudogia, la quale fece versi
eroici,
[ms.: di Gerico]
ed ebbe una figliuola ch'ebbe nome
Eudogia, la quale
diede per moglie a
Valentiniano, lo quale elli avea
fatto
imperadore. Tutte queste cose son
fatte e tratte de la
storia
Tripertita. Morìo intorno a gli
anni
Domini
CCCC.
cap. 132, Ss. Cornelio e CiprianoCornelio papa, successore di san
Fabiano, fu mandato
co' suoi
cherici a'
confini de
Decio imperadore, e là
ricevette lettere di
conforto da san Cipriano, vescovo
di Cartagine. A la perfine levato da'
confini e presentato
a
Decio, stando bene fermo ne la fede, sì 'l fece
battere con piombati, e
comandò che fosse menato al
tempio di Marte, acciò o ched elli sacrificasse quivi,
od elli ricevesse la sentenza de la testa. Essendo dunque
menato là, uno
cavaliere il pregò che venisse a
casa
sua e facesse orazione per la sua moglie
Sallustia, la
quale giaceva
cinque
anni paralitica. La quale essendo
sanata a l'orazione di costui,
XX cavalieri con lei e
col
marito suo,
credettoro in Dio; i quali, per
comandamento
di
Decio, tutti furono
menati al tempio di
Marte e,
sputando ne l'idolo, furono
dicollati con santo
Cornelio. E fue martirizzato a gli
anni
Domini
CCLIII.
E san
Cirpiano, vescovo di Cartagine, ne la
detta
città
fu presentato dinanzi a Paterno proconsolo. Il quale
non potendo essere rimutato da la fede, fu mandato a'
confini, e ribandito di là da
Galerio proconsolo, il
quale era socceduto a Paterno, ricevette sentenzia de la
testa. E
letta la sentenzia disse Cipriano: "Io
credo
grazie a Dio". Ed essendo venuto al luogo del martirio
comandò a' suoi che
dessero
XV fiorini d'oro al giustiziere
per la
fatica sua, e tolse un panno e
fasciossi con
la sua mano gli occhi, e in questo modo ebbe la
corona.
E fu martirizzato intorno a gli
anni
Domini
CCLVI.
cap. 133, S. Eufemia
Eufemia, figliuola del senatore, al tempo di
Diocliziano
veggendo sì
duramente i
cristiani tormentare,
andonne
al giudice
Prisco, e
confessando Cristo
pubblicamente,
confortava eziandio gli
animi de gli uomini con l'
essemplo
e con la
'mprontitudine de la sua
fortezza. Con
ciò dunque fosse
cosa che 'l giudice uccidesse così per
ordine li
cristiani, facea stare gli altri presenti, acciò
ch'
almeno spaventati per le pene
sacrificassero, veggendo
così
crudelmente
isquarciare gli altri. Veggendo
dunque
Eufemia così
agramente
isvembrare i santi, infiammata
più per la loro
costanzia, gridava che
sostenea
ingiuria dal giudice. Allora il giudice s'
allegrò
credendo
ch'ella volesse sacrificare. Onde da che l'ebbe
domandata
che ingiuria le facesse, quella disse: "Con ciò
sia cosa ch'io sia di nobile generazione, perché mi
metti tu innanzi gli uomini non
conosciuti e
avveniticci,
e
fai li primai
aggiugnere a Cristo e pervenire a la
gloria?" E 'l giudice le disse: "Io mi
credea che tu
fossi tornata a la
mente, e
rallegravami che ti
fossi
ricordata de la tua gentilezza, ovvero de la tua
chiaritade".
Rimenata dunque ne la
carcere, e menata poi
il seguente
die sanza i
ferri con gli altri pregioni dinanzi
al giudice, ancora si lamentò gravissimamente perché
contra le
leggi de li 'mperadori a lei sola erano perdonati
i legami. Allora le furono
date
dimolte e grande
gotate, e poi
rinchiusa ne la
carcere. E 'l giudice ingannato
di lussuria la volse oppriemere, ma,
contrastando
ella vigorosamente, la vertù de l'
Altissimo
contrasse la mano di colui. Allora le mandò il proposto
de la
casa,
promettendoli molte cose se la facesse
consentire. E quelli non potette per veruno modo
aprire
la
carcera serrata, né con
chiavi, né con le
scuri
spezzare,
tanto che 'l
demonio il prese, e gridando e
squarciando
se medesimo, appena scampòe. Poscia ne fu
tratta fuori, e posta sopra una ruota, i cui serragli
erano pieni di
carboni; e l'
artefice di quella ruota
diede
un tale
segnale a
coloro che la
menavano dentro a la
ruota che, quando ella facesse suono, tutti insieme
menassero, e così uscendo il
fuoco, i serragli
gustaterebboro
il
corpo de la vergine. Ma per
volontà di Dio il
serramento col quale si temperava,
caggendoli di mano,
fece suono, e incontanente menando
coloro la ruota,
si spezzò tutta insieme con l'
artefice, e
Eufemia stando
sopra quella rimase sanza
danno. Allora i
parenti de
l'
artefice lamentandosi, missero
fuoco sotto la ruota
e
volserla
ardere con lei insieme; ma
arsa la ruota e
isciolta
Eufemia da l'
Angelo, fu veduta stare in uno
luogo alto, sana ed
allegra. Sì che
Appelliano giudice
disse: "La vertù de'
cristiani non si vince se non
con
ferro, onde io vi
consiglio che la
facciate
dicollare".
Sì che rizzate le
scale, volendo uno mettere la mano
per
prenderla, incontanente tutto
dissoluto di
parlasia,
a gran pena ne fu levato mezzo vivo.
Un altro ch'avea nome
Sostenese,
saliendovi su, incontanente
mutato da lei,
domandolle perdonanza, e col
coltello isguainato, gridòe al giudice che più volentieri
ucciderebbe sé che lei, la quale gli
angeli
difendevano
che non la toccasse.
A la perfine per sua
volontade rimossa quindi, il
giudice disse al
cancelliere suo che facesse venire a
lei tutti i lussuriosi, i quali tanto la straziassero che
per
fatica venisse meno. Ma quegli
entrando a lei, e
veggendo molte vergini
splendentissime orare d'intorno
a lei, per gli
ammonimenti suoi incontanente
diventòe
cristiano. E 'l preside fece
impiccare la vergine per li
capelli, ma stando lei pur ferma ne la fede, la fece
mettere in pregione, e
comandando che non le sia
dato
nulla da mangiare, acciò 'l settimo
die fosse
istretta e
macinata tra
quattro grandi sassi come uliva. Ma ella
cotidianamente accompagnata da l'
angelo, essendo
nel settimo
die posta tra
durissimi sassi, a l'orazione di
colei i sassi furono
convertiti in sottilissima
cennere.
Onde il preside vergognandosi d'essere così vinto da
una
fanciulla, s' la
fe' gittare in una
fossa, là dov'
erano tre
bestie tanto
feroci che ogni uomo
inghiottivano.
E quelle incontanente
ischerzando,
corsono a la
vergine e,
raggiugnendo insieme quasi le
code loro, sì
le
diedero quasi una
caffera da sedere, laonde
fecero
più vergognar il giudice che vedeva queste cose. Per
la qualcosa il giudice morendo poco meno de l'
angoscia,
il giustiziere si gittò entro la
fossa, e per vendicare
l'onta del signore suo e, mettendole uno
coltello per
lo
fianco, sì la fece martire.
E 'l giudice gliele rendette quello
merito, che 'l
vestìo d'un
zendado con
fregio d'oro tutto intorno; ma
uscendo lui de la
fossa così
addobbato, fu preso da
leone, e in uno punto quasi
divorato. Onde li
parenti
suoi
cercando lungo tempo per lui, appena ritrovarono
poco de le sue ossa col vestimento stracciato e col
fregio
de l'oro.
E il giudice Prisco, mangiando se stesso, fu
trovato morto. E santa
Eufemia fue con onore seppellita
in Calcedonia, e
credettono in Cristo per li suoi
meriti tutti i giudei e ' pagani di Calcedonia. E fu martirizzato
intorno a gli
anni
Domini
CCCLXXX.
Santo Ambruogio
dice nel
Profazio così di questa
vergine: "La vergine santa
triunfatrice
Eufemia, ritegnendo
la mitera de la
verginitade,
meritòe d'essere
coronata di passione, per li cui
prieghi il nemico è vinto,
il preside
avversario è soperchiato, dal
fuoco de la
fornace è tratto l'uomo sano, le
dure pietre si
convertirono in
polvere, le
fiere salvatiche
diventarono
mansuete e sottomettono il
collo, e tutt'i tormenti de
le pene per la sua orazione sono soperchiati. A la perfine
forata con la punta del
coltello, lasciando la
chiusura
del
corpo,
allegra si
congiunse al
coro
celestiale.
Questa santa vergine, Segnore Dio, raccomandi a te la
Chiesa tua; questa interceda per noi peccatori; questa,
come verga
fresca,
doni a te i nostri
desiderii che siano
non
corrotti".
cap. 134, S. Lamberto
Lamberto di nobile
legnaggio, ma più nobile per
santità
di vita, da principio de l'
etade sua ammaestrato
di lettera, era tanto
amato da tutti per la sua
santità,
che
meritòe d'essere fatto vescovo di Tresi dopo la
morte del vescovo
Teodardo, suo maestro. E 'l re
Childerigo
l'
amava molto, e tenealo sempre caro sopra
tutt' i vescovi. Ma
crescendo la malizia de l'invidiosi,
cacciandolo via gli
empi uomini, sì 'l privarono del
debito onore sanza cagione, e missero
Feramondo ne
la sua sedia. E
Lamberto
entrò in uno monasterio e
sette
anni vi
conversòe in santa vita. Sì che una
notte levandosi ad orazione, per ignoranza fece suono
ne lo smalto; udendo ciò l'
abbate sì disse: "Qualunque
fece questo suono, vada ratto a la Croce". Allora
Lamberto
a piedi
scalzi
corse incontanente a la Croce vestito
di
cilicio, e tanto vi stette
fiso ne la
neve e nel
ghiaccio, infin che riscaldandosi i frati dopo il
mattotino,
l'
abbate seppe che non v'era presente. E udendo da un
frate che quegli era suto ch'era
andato a la Croce, sì
lo fece mettere dentro, e
domandolli l'
abbate perdonanza
con esso i monaci. Ed egli non solamente
perdonò loro
misericordevolemente, ma predicolli del bene de la
pazienzia
molto
altamente. Passati
sette
anni
Feramondo
fu
cacciato, e san
Lamberto per
comandamento del re
Pipino fu rimesso ne la sua sedia. E
risplendendo come
di prima per parole e per
essempli,
due maligni si levarono
contra di lui, e
cominciarollo
gravemente a perseguitare,
i quali gli
amici del pontefice uccisero sì
come ne furono
degni.
In quel tempo
Lamberto riprese il re
Pepino d'una
meretrice ch'elli tenea; ed uno ch'avea nome
Dodo,
parente di
coloro ch'erano stati morti,
fratello de la
meretrice,
famigliare de la
magione del re, ragunò una
grande oste, ed ebbe
assediata la
casa del vescovo
da ogne parte, vogliendo vendicare la
morte di
coloro
in santo
Lamberto. Con ciò dunque fosse
cosa che uno
fanciullo l'
avesse
annunziato questo fatto al santo
uomo posto in orazione, el
li confidandosi in
Domenedio
di
convincerli, misse mano ad uno
spuntone; ma
ritornandosi in se medesimo, gittò il
coltello di mano,
giudicando che meglio fosse a vincere
sostegnendo e
morendo, che macchiare le sagrate mani del sangue de
li
empii. Allora l'uomo di Dio
ammonette i suoi che
confessassero i peccati loro, e
sostenessero la
morte
pazientemente. E quellino incontanente gli
corsono addosso
e uccisero il santo posto in orazione e, partendosi
coloro, alcuni de' suoi frati scampando tolsero il
corpo suo
nascosamente, e
portarollo a la chiesa maggiore,
e con molta
tristizia de la
cittade sì 'l missero
ne la
sepoltura, intorno a gli
anni
Domini
DCXX.
cap. 135, S. Matteo
Matteo è detto
apostolo. Predicando in
Etiopia in
una
città che si dice
Nadaber d'
Etiopia, sì vi trovò
due magi, ch'avea nome l'uno
Zaroes e l'altro
Arfasat,
i quali con loro
arti
ismentavano sì gli uomini, che a
chiunque
volevano, parea che tollessero l'offizio de le
membra e la santade; ed erano
divenuti in tanta superbia
che si
faceano
adorare quasi per
due
dei da tutti.
Sì che
Matteo
apostolo,
entrato ne la
città e
capitato ad
albergo a
casa d'un
donzello de la reina
Candace, che
san
Filippo avea
battezzato,
iscopriasi gl'inganni di
questi magi, che ciò che quelli
faceano a gli uomini in lor
morte, tutto il facea tornare in lor salute. E
dimandando
il
donzello l'
apostolo come parlasse
cotante lingue e intendesse,
l'
apostolo gli rispuose come,
discendendo lo Spirito
Santo sopra loro, aveano ricevuto il
conoscere di tutte
le lingue, acciò che secondamente che quelli che per
superbia voleano
edificare la torre infino al
cielo, per
la
confusione de le lingue si rimasero de l'
edificare;
così gli
apostoli per lo
conoscere di tutte le lingue
faceano
torre non di pietra, ma di vertudi, per la qual
torre tutti i
credente salgono in
cielo. Allora venne uno
che
dicea che quelli magi erano venuti con
due
dragoni,
i quali mettendo
fuoco di
solfo per la bocca e
per le nari, uccideano gli uomini; e l'
apostolo,
armandosi
col
segno de la Croce, uscì fuori
sicuramente a
loro. E sì tosto come i
dragoni l'
ebbero veduto, incontanente
gli si gittarono a' piedi e
dormirono. Disse l'
apostolo
a li magi: "
Dove è l'
arte vostra?
Detestateli, se
voi potete: ma se io non
avessi
pregato
Domenedio,
quello che voi
avete pensato da fare a me, sì
avrebbero
fatto a voi". Ed essendo ragunato il popolo, nel
nome di
Jesù l'
apostolo
comandò a'
dragoni che si
dovessono
partire, e così si partirono incontanente, senza
far male a persona. Allora
cominciò l'
apostolo a fare un
lungo sermone al popol, predicando de la gloria del paradiso
terrestro, come quel luogo è più alto che tutti i
monti e prossimano al
cielo, che non v'
aveva spine né
pruni,
ammaestrando che quivi non
infracidavano né rose
né gigli, e che mai non v'
aveva vecchiezza, ma sempre
vi stava l'uomo giovane, che sempre vi suonano gli
organi, gli uccelli
chiamati incontanente ubbidiscono là.
Di questo paradiso terrestro disse che l'uomo era
cacciato
fuori, ma per lo
nascimento di Cristo era richiamato
al paradiso
celesto. Perseguendo dunque questa
materia, eccoti levare uno grande romore; ché si piagnea
uno morto, lo figliuolo d'uno
re, lo quale non
potendo i magi
risucitare,
confortavano il re ched egli
era rapito a la
compagnia de li
dei, e però
convenìa
ch'elli fosse fatto l'idolo e 'l tempio. E 'l detto
donzello,
faccendo guardare li magi,
chiamò l'
apostolo e,
fatta l'orazione, incontanente risucitò quel morto. Per
la qualcosa il re
Egippo, il quale avea così nome, veduto
ciò, mandò
dicendo per tutte le sue province che
venissero a vedere
Domenedio, ch'era in simiglianza
d'uomo; sì che vennero con
corone d'oro e con
diverse
maniere di sacrificii per
volerli sacrificare. I quali
l'
apostolo
costrinse, così
dicendo: "Uomini, che
fate
voi? Io non sono
Domenedio, ma sono servo del Signore
Jesù Cristo". Sì che quellino
de l'oro e de l'argento
che avevano recato, per suo
comandamento
fecero una
grande chiesa, la quale
compiettero fra
spazio di
XXX
dì, ne la qual chiesa l'
apostolo fu vescovo
XXXIII anni,
e
convertìo tutto l'
Egitto e la fede di
Jesù Cristo. Il
re
Egippo dunque fu
battezzato con la moglie, e con
tutto il popolo, e
Efigenia, la figliuola del re, sì fece
priora sopra più di trecento vergini.
Dopo queste cose
Irtaco succedette al re, e invaghito
de la
detta vergine
promisse a l'
apostolo la metà del
reame se la facesse
consentire in suo maritaggio. Al
quale l'
apostolo disse che, secondo 'l
mondo de l'
antecessoro
suo, venisse la
domenica a la chiesa in presenza
d'
Ifigenia con l'altre vergini, e udirebbe come
siano
buoni i giusti matrimonii. Sì che il re s'
affrettò
d'andare là con
allegrezza, pensando che quelli volesse
confortare
Efigenia di maritaggio. Adunque san
Matteo,
da poi ch'ebbe ragunato tutto il popolo e le vergini, e
parlato lungamente del bene del matrimonio, fu molto
lodato dal re,
credendo che
dicesse queste cose per sé
e per
Ifigenia. Poscia che fu
comandato che ogni persona
stesse in silenzio, l'
apostolo
ripetette il sermone,
e disse: "
Buono è il matrimonio se s'
attiene salvo il
peccato; ma s'alcuno de' servi
ardisse di prendere la
sposa del re, non solamente
incorrerebbe ne l'offesa del
re, ma eziandio sarebbe
degno di
morte; non perché quelli
menasse moglie, ma perché togliendo la sposa del signore
suo, sì si
conviene d'avere rotto il suo matrimonio;
e così tu, re, sappiendo che
Ifigenia è
diventata
sposa del re
eternale e
consegrata dal santo velo, come
potrai tu torre la sposa del più potente di te
congiugnerla
al tuo matrimonio?" Da che il re ebbe udito
questo,
impazzòe de l'
ira, e partissi molto
furioso;
ma l'
apostolo rimase fermo e sanza paura, e
confortò
tutta la gente a
pazienzia e a
costanzia di
mente, e
benedisse
Efigenia con l'altre vergini de la paura abbattuta
in terra dinanzi da lui. E dopo la solennità de
le
Messe, il re mandò un giustiziere; il quale trovando
l'
apostolo stare appresso l'
altare in orazione con le
mani
stese al
cielo, misseli un
coltello per le spalle di
dietro, e
fecelo martire a Cristo. Udendo ciò il popolo,
correa ratto al palagio del re per
ardere ogni cosa, ma
fu rattenuto con gran pena da' preti e da'
diaconi, e
del martiro de l'
apostolo fu fatto solennità con
allegrezza.
E 'l re non potendo mutare l'
animo d'
Efigenia,
né per grande
donne mandate a lei, né per li magi in
veruno modo, fece
accendere un gran
fuoco d'intorno
a la
casa di colei, acciò che l'
ardesse con tutte le
vergini. Ma l'
apostolo
apparendo a lei,
rimosse tutto il
fuoco de la sua
casa; il quale
fuoco
dirompendosi
assalette
al palazzo del re, e
consumòe ogne cosa,
scampandone
a grande pena il re con un solo figliuolo.
E
subito il figliuolo fu
compreso dal
demonio, e
confessando
i peccati del padre, andò ratto al sepolcro de
l'
apostolo; e 'l padre
diventato un sozzissimo lebbroso,
non potendo essere
curato con la sua propia mano,
s'uccise col
coltello. E 'l popolo fece re il
fratello
d'
Efigenia,
battezzato da l'
apostolo, il quale regnò
LXX
anni, e
sustituendo in suo luogo lo suo figliuolo,
dilatò
molto la fede di Cristo, e
riempiette tutta la provincia
d'
Etiopia de le
chiese di Cristo. Ma
Zaroes e
Arfasat,
da quello
die innanzi che l'
apostolo risucitò il figliuolo
del re, sì si
fuggirono in Persida, ma i santi
apostoli
san Simone e san
Taddeo sì li vinsero là.
Nota che in san
Matteo si
considerano
quattro cose.
Principalmente la prima si è
affrettamento d'ubbidienza,
però che, sì tosto come Cristo il
chiamò, lasciò stare
il
bando da tenere ragione, e non solamente non temendo
i
segnori suoi lasciò non
compiute le
ragioni de'
passaggi, ma
accostossi a Cristo
perfettamente. Per
questo
affrettamento d'ubbidienzia presero alcuni a sé
cagione d'
errore, come
dice san
Geronimo ne l'Originale
sopra quel luogo; e dice così: "Riprendono in
questo luogo
Porfirio e Giuliano imperadori il poco savere
de lo storiale che
menta, ovvero la stoltizia di
coloro
che tostamente seguirono il
Salvatore, quasi
irragionevolemente
seguitassero
ciascuno uomo che
chiamasse.
Con ciò fosse
cosa che
cotante vertudi e
cotanti segnali
andassero innanzi, le quali non è
dubbio che gli
apostoli
vedessero innanzi che
credessono. Anche quello
splendore e la maestade
occultata de la
divinitade che
risplendea ne l'umana
faccia di Cristo,
poté nel primo
sguardo trarre a sé
coloro che venìano. Che se la
pietra magnete hae questa vertude, come si dice che
trae e
congiugne a sé gli
anelli e le
festuche, quanto
maggiormente il signore di tutte le
criature
poté trarre
a sé cui E' voleva!" Insino qui dice san
Geronimo.
La seconda cosa fue la sua
cortesia, imperò che incontanente
fece uno grande
convito in
casa sua.
Avvegnadio
che quello
convito fosse così grande non solamente
per lo grande
apparecchiamento, ma fu grande
primieramente per l'
affetto, però che con grande
affetto
e
disiderio il ricevette. Secondariamente fue grande
per ragione del misterio, però che quel
convito fu
dimostrativo
di
grande misterio. Lo quale misterio si
spone ne la Chiosa sopra il Vangelo di santo Luca; e
dice la Chiosa: "Chi riceve Cristo ne la
casellina dentro,
è pasciuto di grandissimi
diletti, di traboccanti
dilettanze". Nel terzo luogo fu grande per ragione de li
ammaestramenti, però che quivi
ammaestrò gran cose,
come quando disse: "Misericordia voglio e non sacrificio",
e: "Non hanno
bisogno e' sani di medico, ma
coloro che hanno male". Nel quarto luogo fu grande
per ragione de l'invitati, imperò che 'l gran signore,
cioè Cristo, co' suoi
discepoli fue invitato.
La terza cosa fue la sua umiltade, la quale
apparve
in
due cose. L'una si è che si manifestòe d'essere
stato pubblicano. Gli altri
Vangelisti, come
dice la Chiosa,
non pongono per la vergogna
e per onore del Vangelista,
il suo
volgare nome; ma elli sì, secondamente
che
dice la Scrittura: "Il giusto nel
cominciamento
è
accusatore di se medesimo". Sì si chiama
Matteo
pubblicano a mostrare che niuno
convertito si
disperi
de la salute, con ciò sia cosa che di pubblicano fu fatto
subitamente
apostolo e
vangelista. La seconda cosa fu
in ciò che mostrò e manifestò chi era stato
paziente
de le ingiurie a lui
fatte, però che
mormorando li
farisei
che 'l Signore s'era inchinato ad un uomo peccatore,
potrebbe avere detto loro san
Matteo: "Voi
maggiormente siete miseri e peccatori, i quali,
credendovi
essere giusti,
fuggite il medico; ma io non
posso
già essere detto peggiore, il quale
ricorro al medico de
la salute, e non gli
nascondo la mia propia
fedita".
La quarta cosa lo spesseggiamento del suo Vangelio
ne la Chiesa; però che 'l suo Vangelio, tra gli altri
Vangeli, sì
spesseggia ne la Chiesa, sì come i Salmi
di
David e l'Epistole di san Paulo sopra l'altre scritture
si raccontano ne la Chiesa. La ragione di ciò è
questa, imperò che, come
dice san Giacomo, tre
sono le generazioni di peccati, a' quali si riducono tutt' i
mali, però che ciò ch'è nel
mondo o è
concupiscenza
di
carne, o è
concupiscenzia d'occhi, o è superbia di
vita. Del peccato de la superbia peccò Paulo, onde
elli per superbia sopra modo perseguitava le Chiesa di
Dio. Del peccato de la lussuria peccò
David, il quale
commise
avolterio, e per quello uccise il
fedelissimo
cavaliere
Uria. Del peccato de l'
avarizia peccò
Matteo,
per ciò che per
avarizia intendea a' guadagni temporali.
Adunque
avvegnadio che questi
fossono peccatori,
pure la loro penitenzia piacque tanto a
Demenedio che
non solamente che perdonasse loro le loro
colpe, ma
elli
multiplicòe i
doni suoi in loro; però che del
crudelissimo
persecutore fece
fedelissimo
redictore, de l'
adolterio
e micidiale fece profeta e salmista, del
passaggere
fece
Vangelista ed
apostolo. Però dunque ci si
raccontano spesse volte a noi
detti di questi tre, acciò
che veruno, il quale si voglia
convertire, non si
disperi
del perdono, quando che così grandi peccatori ricevettono
cotanta grazia.
Da notare è ancora, secondo il detto di santo Ambruogio,
che intorno al
convertimento di santo
Matteo,
alcune cose si possono
considerare da la parte del medico,
alcune da la parte de lo 'nfermo sanato, alcune
da la parte del modo del sanare. Nel medico furono tre
cose, cioè savere, per lo quale
conobbe la radice de la
infermità;
bontade, per la quale
diede la medicina; e
potenzia, con la quale sì subitamente il mutòe. Di queste
tre cose parla santo Ambruogio in persona di san
Matteo,
e dice così: "Costui puote torre via il
dolore del
cuore
mio e la pallidezza de l'
anima, il quale
conosce le
cose occulte". Ecco la prima. "Ho trovato medico
che
abita in
cielo, ed
espande le medicine in terra".
Ecco la seconda. "Questi solo può sanare le piaghe
mie, il quale non
conosce le sue". Ecco la terza. In
quello infermo sanato, cioè in san
Matteo, si possono
considerare simigliantemente tre cose, le quali il detto
santo Ambruogio mostra: ched egli si spogliò
perfettamente
de la 'nfermità e fu
conoscente del medico, e
ne la infermità ricevuta sempre si
conservò puro. Onde
dice santo Ambruogio: "San
Matteo seguitava già
lieto e avea
allegrezza dentro così
dicendo: Già non
pubblicano porto i
pubblichi
fatti, già non porto Levi,
io m'ho spogliato Levi, da poi che io mi vestìo Cristo".
Ecco la prima cosa. "Io abbo in odio la schiatta mia,
fuggo la vita mia, solo te seguito, Signore
Jesù, il quale
sanichi le piaghe mie". Ecco la seconda cosa. "Chi
partirà me da l'
amore di Dio, il quale è in me?
Trubulazione?
No.
Angoscia? No.
Fame? No". Ecco la
terza cosa. E 'l modo del sanare, secondo che
dice santo
Ambruogio, fue in tre maniere. Imprima il legò Cristo
co' suoi legami, secondariamente lo
'ncese, nel terzo
luogo il purgò da ogne sozzura. Onde santo Ambruogio
in persona de l'
apostolo
dice così: "Legato sono con
li
chiovi de la fede e con le
buone
bove de l'
amore;
tolli via, Segnore
Jesù, le sozzure de' miei peccati, da
che tu mi tieni stretto de' legami de l'
amore; taglia
ciò che tu truovi vizioso". Questo è quanto al primo.
"Ogne tuo
comandamento
terrabbo come
ferro impresso
in me; e se
arde lo 'ncendio del
comandamento, impertanto
consuma la putredine de la
carne, acciò che
non si lievi
appiccamento; e se la medicina pugne, impertanto
rimuove il vizio del malore". Questo è quanto
al secondo. "Vien tosto, Signore, e taglia l'occulte e
isvariate passioni,
apri la piaga acciò che non sia soperchiante
il
nocevole omore, purga ciò ch'è sozzo col
pellegrino lavamento". Questo è quanto al terzo. Il
suo Vangelio ch'elli scrisse di sua mano fue trovato
con l'ossa di san
Barnaba ne gli
anni
Domini
D; lo
quale Vangelio san
Barnaba portava seco, e
ponendolo
sopra gl'infermi, tutti gli guariva incontanente, sì per
la fede di san
Barnaba, come per li
meriti di san
Matteo.
cap. 136, S. Maurizio
Maurizio è detto che fu
capitano ne la sagratissima
schiera la quale fu
detta Tebaida; e furono
detti
Tebei da la
città loro, che si chiama
Tebea. È questa
contrada ne le parti d'oriente, oltr'a'
confini de la
Arabia,
la qual
contrada è piena di ricchezze,
abbondevole de'
frutti e
dilettevole d'
arbori. E gli
abitanti di quella
contrada son
detti d'essere grandi del
corpo e valentri
d'
arme,
fortissimi in
battaglia, scalteriti d'ingegno,
pieni di sapienzia. Quella
città ebbe
C porte, e fu ordinata
sopra il
fiume
Nile, che
esce di Paradiso
ed è
detto Gyon. De la qual
città
dice questo verso: Ecco
la vecchia
Tebea che
giace ruvinata di
cento porte". A
questa gente predicò santo Jacopo minore, e
ammaestrolli
perfettamente de la fede di Cristo. Ma
Diocliziano e
Massimiano,
che regnarono ne l'anno Domini CCLXXVII,
voglienti al postutto spegnere la fede di Cristo, mandaro
così
fatte lettere per tutte le province, là dov'erano li
cristiani: "Se si
convenisse
determinare o sapere alcuna
cosa, e tutto il
mondo fosse da una parte, e sola Roma
rimanesse, ne la quale è il lume de la scienzia, sì si starebbe
a quella Roma che la
difinisse. Perché dunque
voi, picciolo
popoletto, le
contrastate e li suoi
comandamenti
e insuperbite così mattamente contra li statuti
suoi? Adunque, o voi riceverete la fede de li
dei
non mortali, o e' sarà
data di voi sentenzia non mutevole".
E li
cristiani ricevendo queste lettere, rimandarono
i messaggi voiti. Allora
Diocliziano e
Massimiano
commossi da
ira, mandarono per tutte le province
dicendo
che venissero a Roma uomini con
arme da
combattere,
acconci a ciò per
soggiogare tutt'i rubelli de
lo imperio di Roma. Sì che le lettere de li 'mperadori
furono portate al popolo de'
Tebei; i quali, secondo il
comandamento di Dio, volendo rendere quelle che
sono di Dio a Dio, e
quelle che sono di Cesare a Cesare,
ragunaro la scelta legione di
cavalieri, ciò furono
sei milia
LXVI, e
mandarli tutti a lo 'mperadore,
che l'
aiutassero ne le
battaglie giuste, ma contro
a i
cristiani non movessero
arme, ma
maggiormente li
difendesseno. Di questa sagratissima legione era
capitano
il glorioso uomo
Maurizio; gonfalonieri n'erano
Candido,
Innocenzio,
Essuperio, Vittore e
Costantino. Sì
che
Diocliziano prese
Massimiano, lo quale elli avea
tolto per
compagno de lo 'mperio, e
mandollo con infinita
oste contra Francia, e
accompagnogli la legione
Tebea. Costoro furono
ammaestrati da san
Marcellino
papa che anzi si lasciassero uccidere con le
coltella,
ched ellino rompessero la fede di Cristo, ch'ellino aveano
ricevuta. Abbiendo dunque tutta l'oste passate le montagne
de l'Alpe,
e essendo giunti ad Ottodoro lo 'mperadore
fe'
comandamento che tutti quelli che erano seco
sacrificassero a l'idole, e
facessono insieme
congiurazione
contra rubelli e
massimamente contra i
cristiani.
Vedendo ciò i santi
cavalieri
cansaronsi da costoro per
ispazio d'
otto miglia di lungi da l'oste, e puosersi in
uno luogo
dilettevole
detto Agano sopra Rodano. Udendo
ciò
Massimiano mandò là i
cavalieri,
comandando a
quegli che s'
affrettassero di venire a' sacrifici de li
dei
con gli altri
compagni. I quali rispuosono che nel poteano
fare, come quelli che aveano la fede di Cristo.
Allora lo 'mperadore infiammato d'
ira
disse: "È
giunta al mio
dispetto la 'ngiuria del
cielo, e meco
è
spregiata la romana religione; senta il
contumace
cavaliere che non solamente
a me, ma a' miei
dei
posso
dare vendetta". Allora lo imperadore mandò loro,
comandando pe' suoi
cavalieri che o ellino li
costrignessoro
di sacrificare, od elli
no dicollassero incontanente
d'ogne
diece uno. Sì che i santi con
allegrezza
paravano il
collo loro, e l'uno si sforzava d'andare
innanzi a l'altro, e di venire prima a la
morte. Allora
santo
Maurizio infra l'altre cose
arringòe in questa
maniera: "Io mi
rallegro a voi, però che siete apparecchiati
di morire tutti per la fede di Cristo; li vostri
compagni ho patito che sieno morti, perch'io vi vidi
apparecchiati a la passione per Cristo. Ancora ho servato
il
comandamento del Signore, il quale disse a san
Piero: "Rimetti il
coltello tuo ne la guaina"; per
ciò dunque che noi siamo
attorneati de le
corpora de
nostri
compagni, e abbiamo
bagnate le vestimenta del
sangue de'
compagni seguitiamo noi loro al martirio.
Adunque, se vi piace, rimandiamo cotale risposta a lo
'mperadore: "Imperadore, noi siamo tuoi
cavalieri, e
avemo prese l'
armi per
difender le repubblica; non è
in noi
tradimento, non paura; ma la fede di Cristo per
veruno modo non lasceremo". Abbiendo il tiranno udito
ciò,
comandò che anche uccidessero de'
diece l'uno
Fatto ciò
Essuperio gonfaloniere, prendendo il gonfalone
e stando ritto tra i
cavalieri, sì disse: "Il glorioso
capitano nostro
Maurizio ha parlato de la gloria de' nostri
cavalieri, né per ciò
Essuperio, vostro gonfaloniere,
ha preso queste
arme per
contrastare noi a così
fatte
persone; gettino via le nostre mani
diritte queste
arme
carnali, acciò che v'
armiate di vertudi; e se piace
a voi rimandiamo cotali risposte a lo 'mperadore: "
Cavalieri
siamo, o imperadore, tuoi,
ma servi
anche,
i quali liberamente ci
confessiamo di Cristo. A te
dovemo
cavalleria, a lui innocenzia; da te
avemo ricevuto
il soldo de la
fatica, da Colui il prencipio de la vita;
tutt' i tormenti siamo apparecchiati di ricevere per Lui,
e mai non ci
partiemo da la sua fede". Allora l'
empio
imperadore
comandò che l'oste sua
attorneasse tutta
quella legione, sì che uno solo non ne potesse scampare.
Furono dunque i
cavalieri di Cristo
assediati da li
cavalieri
del
diavolo e tagliati tutti a pezzi da le scomunicate
mani, scalpitati da' piedi de'
cavalli e
consegrati
a Cristo preziosi martiri. E furono passionati intorno a
gli
anni
Domini
CCLXXX.
Ma per
volontà di Dio molti ne scamparono e, vegnenti
ad altre
contrade, predicarono il nome di Cristo,
ed
ebbero gloriosa
battaglia in altri luoghi. De' quali
si dice che fue
Aventore,
Solutore e
Ottavio a
Taurino,
Alessandro a
Pergamo,
Sotulo ovver Secondo a
Ventimilio,
e ancora san
Costanzio e Vittore e
Urso e molti
altri. E
dividendo i
carnifici la preda, e mangiando insieme,
un vecchio ch'avea nome Vittore, il quale per
avventura passava in d'oltre, sì lo
'nvitarono a mangiare
seco. Ma elli
cominciò a
dimandare come fra
cotante migliaia d'uomini morti potessono con
allegrezza
mangiare. Ed
avendo inteso da uno che quelli erano
morti per la fede di Cristo, suspirando elli
fortemente
cominciò a piagnere, gridando sé
beato se con
coloro
fosse stato morto. Ed
avendo saputo che quelli era
cristiano,
fecero
assalto contra di lui, e sì lo uccisero.
Dopo queste cose
Massimiano a
Melano, e
Diocliziano a
Niccomedia, in uno
die
finirono la vita loro per fare
vita privata, e li più giovani, cioè
Costanzio e Massimo
e
Galerio, i quali elli aveano
fatti Cesari, furono imperadori.
Ma volendo
Massimiano regnare a modo di tiranno,
fu perseguitato da
Costanzio,
suo genero, e
finìo
la vita sua
impeso per la
gola. A la perfine il
corpo
di santo
Innocenzio di questa legione, gittato ne l'
acqua
de' Rodano e poi ritrovato da
Domiziano
Genavese,
da
Agrato
Augustano e
da Protasio, vescovi di quella
contrada, fu seppellito con altri ne la chiesa loro. Ne la
cui opera era uno lavorante pagano, il quale lavorava
solo in quella opera,
faccendo
festa gli altri. Al quale
apparve l'
esercito de' santi, e fu rapito, battuto e ripreso
ched elli come scomunicato lavorava il dì de la
Domenica, e quando elli
dovea intendere a le cose di Dio
si
dava a lavorii di mani. E così gastigato
corse a la
chiesa, e
domandò d'essere fatta
cristiano.
Una femmina
diede un suo figliuolo a l'
abbate
del monasterio, dove i
corpi di questi santi erano riposti,
per istruirlo; e poco vi stette ched elli morìo,
lo quale la madre piagnea sanza veruno rimedio. A la
quale san
Maurizio
apparve, e
domandolla perché piagnea
il figliuolo suo. Quella disse che mentre che vivesse
non
cesserebbe di piagnere. E 'l santo le rispuose:
"
Nol piagnere come morto, ma sappi ch'elli
abita con
esso noi; la qualcosa se provare lo vuoli,
domani e
per tutto il tempo de la tua vita, quando tu ti leverai
a mattutino, potrai udire la
boce sua tra quelle de' monaci
che
cantano". Quella il fece sempre, e udìo la
voce del figliuolo,
discernendola bene da l'altre.
Il re di
Gaturania,
avendo
abbandonato tutte le
pompe del
mondo e
dato tutti i
tesori suoi a' poveri e
a le
chiese, mandò uno prete che gli
apportasse de le
reliquie di costoro. Il quale essendo con le reliquie nel
mare entro in una
nave, nacque una
tempesta, e
perìa
ne l'onde del mare. Allora quegli
contrappuose
la
cassa con le reliquie a l'onde del mare, e
seguinne
incontanente grande
bonaccia.
Ne gli
anni
Domini
DCCCLXIII alcuni monaci
avuta
la licenzia da
Carlo,
avendo
impetrato da papa
Niccolaio
i
corpi di santo
Urbano papa e santo
Tiburtino martire,
ritornando loro a
casa,
visitarono la chiesa di questi
santi martiri, e impetrarono da l'
abbate e da' monaci
di trasportare il
corpo di san
Maurizio e 'l capo di santo
Innocenzio ad
Altissiodoro, ne la chiesa la quale san Germano
per adrieto
aveva
consecrata a'
detti martiri.
Racconta Pietro
Damiano che in Borgogna era un
cherico superbo e
ambizioso, il quale s'
aveva
arrappata
una chiesa di san
Maurizio per l'
aiuto d'uno molto
potente
cavaliere. Sì che
cantandosi un
die la
Messa,
e dicendosi ne la fine del Vangelio: "Ogn'uomo che
s'
esalta sarà umiliato, e chi si
aumilia e' sarà
esaltato",
schernìo quello misero quella parola, e disse:
"
Falsa parola è, ché se io mi fossi
aumiliato a' miei
nemici, non
averei oggi tante ricchezze". Ed eccoti immantinente
venire una saetta
folgore a modo di
coltello,
ed
entròe ne la bocca di colui che avea
dette le parole
di
biastemmia, e subitamente l'uccise.
cap. 137, S. Giustina
Giustina vergine de la
città d'Antiochia, figliuola del
sacerdote de l'idole, seggendo
cotidianamente a la
finestra,
udìa
Proclo
diacono
leggere il Vangelio, del
quale
finalmente fu
convertita. La quale cosa
avendo
raccontata la madre al padre nel letto, ed essendo
addormentati
abendue, Cristo con gli
angeli
apparve loro,
e disse: "Venite a me,
darovvi il reame del
cielo".
I quali isvegliandosi incontanente, si
fecero
battezzare
con la figliuola loro. Sì che
Justina vergine,
molestata
molto da Cipriano,
finalmente ella il
convertìo a la fede.
Copriano da sua
fanciullezza era stato mago, però che
in
sette
anni fu
consecrato a'
demoni dal padre e da
la madre. Questi adunque servìa a l'
arte de'
demonii,
e parea che
convertisse le
donne in
bestie, e molte cotali
maladizioni usava. Infiammato dunque in
amore di
Giustina vergine,
diedesi ad usare in ciò l'
arte de
demoni
per
poterla avere o per sé, o per un altro ch'avea
nome
Acladio, il quale era simigliantemente infiammato
ne l'
amore di colei. Sì che
chiama il
demonio che vegna
a lui e per lo
demonio possa avere colei. Venne il
demonio,
e sì li disse: "Perché m'hai
chiamato?"
Que' rispuose: "Io
amo la vergine de' galilei; potresti
tu fare ch'io l'
avessi e
compiessi la
volontà mia
con lei?" E 'l
dimonio disse: "Io che
cacciai l'uomo
di Paradiso, e
feci che
Caino uccise il suo
fratello, e io
procurai d'
ucciderlo
e feci uccidere da i giudei Cristo
e perturbai li uomini, non potrò io fare che tu
abbi una
fanciulla e usila al tuo piacere? Piglia questo unguento,
e
spandilo intorno a la
casa sua di fuori, e io sopravvegnendo,
accenderò il
cuore suo in
amore di te, e
farollati
consentire". Sì che la seguente notte il
demonio
venne a lei, e sforzossi di movere l'
animo suo ad
amore non lecito. Quella sentendo ciò,
accomandossi
devotamente
a
Domenedio, e
armò tutto il
corpo suo col
segno de la Croce tre volte. Al qual
segno il
diavolo
fuggìo spaventato, e venne a Cipriano, e stette
dinanzi da lui. Al quale Cipriano disse: "Perché non
la m'hai tu menata?" E 'l
demonio disse: "Io viddi
in lei un
segnale ch'io n'
ebbi paura, e ogni mia
forza
mi venne meno". Sì che Cipriano lasciò stare costui,
e
chiamò uno più
forte
demonio. E 'l
dimonio gli disse:
"Io abbo udito il
comandamento tuo, e ho veduto il
non potere del
compagno nostro, ma io
amenderabbo e
compierabbo la
volontà tua; io uscirò fuori, e
piagherabbo
il
cuore suo d'
amore di lussuria, acciò che tu
l'abbia al tuo piacere".
Entrando dunque a lei il
diavolo,
sì si
forzava di
confortarla e d'infiammare il
cuore suo ad
amore non licito. E quella raccomandandosi
a
Domenedio
divotamente, col
segno de la Croce
cacciò via ogne tentazione e, soffiando nel
demonio,
incontanente il
cacciò via, e 'l
demonio si partì
confuso,
e stette innanzi a Cipriano. Al quale
Cirpiano disse:
"E ove è la vergine a la quale io ti mandai?" E 'l
demonio disse: "Io mi tegno vinto, e 'l come ho paura
di
dire, però ch'io viddi in lei un cotale
segno terribile,
e tosto
perdetti ogni
forza". Allora Cipriano si fece
beffe di lui e
lasciollo stare, e missesi a chiamare il
principe di
demoni. E quando fu venuto, disse a lui:
"Che virtude è la vostra così piccola, che vi lasciate
vincere a una
fanciulla?" E 'l
dimonio li disse: "
Eccome
che uscirò fuori, e
conturberolla di
diverse
febbri,
e
infiammerò
ardentemente in
amore l'
animo suo, e
rispargerò tutto il
corpo suo di
forte
ardore, e
farolla
diventare
farnetica, e poi le mostrerrò
divisate
fantasie,
e ne la mezzanotte la ti
menerabbo". Allora il
diavolo si
trasfigurò in
forma d'una vergine e, vegnendo
a lei, sì le disse: "
Ecco ch'io vegno a te
perch'io ho
disiderio di
vivere teco in
castità, ma io
ti
priego che tu mi
debbia
dire che
merito noi
averemo
de la nostra
battaglia?" E la vergine li disse: "Il
merito fia molto, la
fatica fia piccola". E 'l
dimonio
disse: "Che è quello che
Demenedio
comandò: "
Crescete
e
multiplicate e riempiete la terra?" Sì che io
temo, o
buona
compagna, che se noi permarremo in
verginitade,
faremo vana la parola di Dio e, come
spregianti
e
disubbidienti, e
cadremo in grave giudicio, e
colà onde noi
dovavamo
aspettare guidardone
cadremo
in grave tormento". Allora si
cominciò il
cuore de la
vergine a
commuovere di rei pensieri, e infiammarsi
fortemente d'
ardore di
carne, intanto che già levando
sì si volea andare via.
Allora la santa vergine per la
divina grazia tornò a
sé, ed intendendo chi fosse quelli che parlava con lei,
armossi incontanente col
segno de la Croce e, soffiando
nel
demonio, sì 'l
colòe a modo di
cera, e incontanente
si sentì liberata da ogne tentazione. Dopo queste cose
il
diavolo si
trasfigurò in
forma d'uno
bellissimo giovane,
ed
entrando ne la
camera sua, missesi nel letto
con lei
isvergognatamente e volsela
abbracciare. Quella
vedendo ciò e
conoscendo che era il
diavolo, fecesi incontanente
il
segno de la santa Croce, e
fecelo
colare
come
cera. Allora il
diavolo per
permissione di Dio
affaticandola
di
febbre, e uccidendo molti uomini con le
sue gregge ed
armenti, predicea per bocca de l'indemoniati
che grande mortalità
dovea venire in tutta
Antiochia se
Justina non
consentisse in matrimonio. Per
la qualcosa tutta la
cittade infermata si ragunò a la
porta de'
parenti di
Giustina, gridando che maritassono
Giustina e liberassono la
città da
cotanto
pericolo. Ma
non
consentendo quella per veruno modo, e
annunziandole
la
morte per questa cosa, nel settimo
anno de la
mortalità ella pregò per loro, e
cacciò via da loro ogne
pestilenzia. Vedendo dunque il
diavolo che per tutto
questo non giovava nulla, sì si trasformò in
forma di
Justina per sozzare la
fama di lei, e per
ischernire Cipriano,
vantandosi d'
averli menata
Justina. Andò dunque
il
diavolo in
forma di
Justina a Cipriano, e
corse a lui,
e volselo
basciare quasimente come languisse del suo
amore. E quegli veggendola, e
credendo che fosse
Justina,
fu ripieno d'
allegrezza, e disse a lei: "Bene
sia venuta,
Justina, più
bella di tutte le
femmine!"
Sì tosto come Cipriano ebbe nominato
Justina, il
diavolo
non
poté patire d'udire quello nome, ma come
fummo sparve immantanente. Sì che Cipriano vedendosi
beffato rimase tristo; onde maggioremente acceso ne
l'
amore di colei, vegghiò lungo tempo a l'uscio di lei,
e
trasformandosi per
arte
magica talora in femmina,
talora in uccello, come parea, e vegnendo cosìe mutato
infino a l'uscio de la vergine, quando era là non
pare
femmina né uccello, ma pure Cipriano. E
Acladio per
arte
magica così mutato in passera, quando fue volato
a la
finestra di
Justina, sì tosto come la vergine l'ebbe
veduto, none
apparve che fosse passera, ma fosse
Acladio.
Elli
cominciò ad
angosciarsi molto ed a tremare,
però che né
fuggire potea, né saltare. Temendo dunque
Justina ched e' non
cadesse e
crepasse, sì 'l fece
collare
giù per una scala,
ammonendolo ched e' si rimanesse
de la sua mattezza, acciò che secondo le
leggi
non fosse punito come malfattore.
Sì che il
diavolo essendo vinto per tutto, tornò a
Cirpiano e stette
confuso dinanzi da lui. E quelli li
disse: "Or
se' tu vinto? Or che virtude è la vostra,
miseri, che non potete vincere una
fanciulla, né avere
potenzia inverso di lei, ma ella per contra vince voi,
e
abbattevi così miserabilemente? Ma io ti scongiuro
che tu mi
dica in che sta la grande vertude sua". E
'l
dimonio disse: "Se tu mi giurerai di non mai partirti
da me, io ti
manifesterò la virtù de la vittoria di
colei". E
Cripriano disse: "Per cui vuoli ch'io il ti
giuro?" Disse il
demonio: "
Giuralomi per le virtudi
mie grandi, che tu non ti partirai giammai da me".
E Cipriano disse: "Io ti giuro per le virtudi tue grandi,
che giammai non mi partirò da te". Allora il
diavolo
quasi
sicuro di lui, sì li disse: "Quella
fanciulla sì
si fece il
segno del
Crucifisso, ed io partii incontanente,
e
perdetti ogni mia virtude; e come fa le
cera
dinanzi dal
fuoco, così venni meno". E Cipriano disse:
"Dunque il
Crucifisso è maggiore di te?" Disse il
dimonio: "Certo sì ch'egli è maggiore di tutti; e noi
e tutti quelli che inganniamo qui la gente, metterà ad
essere tormentati nel
fuoco da mai non
espegnere". E
Cipriano disse: "Dunque voglio io
diventare
amico del
Crucifisso, acciò ch'io non
caggia mai in tanta pena".
E 'l
diavolo gli disse: "Tu m'hai giurato per le virtù
del mio
esercito che mai non ti partirai da me,
per le quali virtù neuna persona si può spergiurare".
E Cipriano disse: "Io
spregio te e tutte le tue virtudi
affumicati, e rinunzio te e tutte le tue virtudi e le
tue
demonia, e
armomi del salutevole
segno del
Crucifisso".
E incontanente il
diavolo si partì
confuso e
vinto da lui. Allora Cipriano se n'andò al vescovo.
Veggendolo il vescovo, e
credendo che fosse venuto per
mettere li
cristiani in
errore, sì li disse: "
Bastinti
quelli che sono di fuori; non potrai niente contra la
Chiesa di Dio, però che la vertù di Cristo non si può
vincere".
E Cipriano disse: "Sono sicuro che la virtù
di Cristo non si può vincere". Sì che Cipriano
narrò
al vescovo tutto quello che gli era intervenuto, e fecesi
battezzare da lui; e poi
megliorandosi in iscienzia come
in vita, morto il vescovo, fu fatto vescovo egli, e puose
quella vergine
Justina in monasterio, e
fecela quivi
badessa
sopra molte sante vergini. E mandava san Cipriano
le pistole spesse volte a' martiri, e
confortavagli
ne la
battaglia.
Ma il
conte di quella
contrada udendo la
fama di
Cirpiano
e
Justina, sì li si fece
appresentare innanzi, e
richieseli se volessono sacrificare. I quali stando
fermi
ne la fede di Cristo,
comandò che fossero
messi in una
caldaia piena di pece e di
cera e di
sugna, la quale
diede loro grandissimo rifrigero, né non fece loro veruno
tormento. E 'l prete de l'idole disse al prefetto:
"
Comanda ch'io stea dinanzi a la
caldaia, e incontanente
vincerabbo tutta la loro vertude". Essendo dunque
venuto presso a la
caldaia, sì disse: "Grande se è il
Domenedio
Ercules, e 'l padre de li
Dei
Jupiter!"
Ed eccoti incontanente uscire il
fuoco, e al tutto il
consumòe. Allora Cipriano e
Justina furono tratti de la
caldaia e,
data la sentenzia, furono
dicollati
ambedue.
Ed essendo lasciate le
corpora loro a i
cani per
sei dì,
furono portate poi a Roma; ma ora si riposano ne la
città di
Patera. E furono
martirizzati
VII dì uscente
settembre,
ne gli anni Domini CCLXXX sotto Diocleziano.
cap. 138, Ss. Cosma e Damiano
Cosma e
Damiano,
fratelli
carnali, furono nati ne
la
città d'
Egea di religiosa madre, ch'avea nome
Teodota. Questi
ammaestrati ne l'
arte de la medicina,
tanta grazia
ebbero da lo Spirito Santo, che tutte le
'nfertadi
cacciavano non solamente da gli uomini,
ma eziandio da le
bestie,
faccendo tutto in
dono. Una
donna ch'avea nome
Palladia,
avendo
consumato tutto
in medicine, vennesene a i santi di Dio, e ricevette
santade da loro pienamente. Allora quella mandò un
presente a san
Damiano, e quelli non
volendolo togliere,
ella lo
scongiuròe con sagramenti terribili che 'l dovesse
togliere. E così quelli il tolse non per
amore del
dono,
ma per la
devozione del
donante, e perché non paresse
che
avesse a schifo il nome del Signore per lo quale
egli si vedea così scongiurare. La qualcosa quando san
Cosma ebbe inteso,
comandò che 'l
corpo di colui non
fosse insieme riposto col suo; ma la seguente notte
apparve il Signore a san
Cosma, e
scusòe lo
fratello
del
dono che avea ricevuto.
Udendo la
fama loro il proconsolo
Lisia, sì li si fece
venire innanzi, ed incominciogli ad
adomandare de' loro
nomi e del paese e de la ventura loro. I santi
dissero:
"I nomi nostri sono
Cosma e
Damiano, ed altri
tre
fratelli abbiamo, c'hanno nome
Antimo,
Leonzio,
Euprepio; il nostro paese sì è
Arabia; da l'altra parte,
ventura non sanno i
cristiani che si sia". Sì che il
proconsolo
comandò che e'
menassero i
fratelli loro, e
simigliantemente
sacrificassero a l'idole; ma non volendo
al postutto sacrificare,
comandò che fossero
duramente
tormentati ne le mani e ne' piedi. E
faccendo
i santi schernie de' suoi tormenti,
comandò che fossero
legati con una
catena e gittati in mare; ma tosto
furono da l'
angelo liberati del mare e poi
menati dinanzi
al preside. I quali il preside
considerando, sì disse:
"Per li
dei grandi vincete con le malie, però che voi
spregiati i tormenti e
acquetate il mare. Insegnate dunque
a me queste cose, ed io vi seguiterò nel nome del
mio Iddio
Adriano".
Detta questa parola vennero
tosto
due
demoni, e
batterollo entro la
faccia. Quegli
gridò e disse: "Io vi
priego,
buoni uomini, che voi
oriate per me al
Domenedio vostro". E orando i santi,
li
demoni sì si partirono. E 'l preside disse: "Or vedete
come gli
dei miei sono indegnati contra di me,
perch'io pensava d'
abbandonarli; già dunque non
sosterrò
io che voi
biastemmiate gli
dei miei". Allora
comandò che fossero gittati in uno grande
fuoco; ma
non fece loro male veruno, anzi saltòe la
fiamma fuori
e uccise molti di quelli ch'erano presenti. Furono dunque
fatti mettere al tormento, ma guardandoli l'
angelo,
affaticati molti i servigiali nel
tormentare, furono posti
giù i santi sanza verun male dinanzi al preside. Sì
che il preside fece i tre
fratelli mettere in
carcere, e
Cosma e
Damiano fece
crucifiggere e lapidare al popolo,
ma le pietre tornavano tutte sopra
coloro che le gittavano
e
fedianne molti. Allora il preside ripieno di
furore, fece trarre di pregione gli altre
tre
fratelli, e
stare a lato a la
Croci, e
comandò che
Cosma e
Damiano,
stando in su le
croci, fossero
saettati da
quattro
cavalieri; ma le saette tornavano tutte adrieto, e
fedienne
molti, ma a' santi non
faceano male veruno.
Vedendosi dunque il preside in tutto
confuso e
angosciato
infino a la
morte, tutti e
cinque
fratelli fece
insieme
dicollare. E
ricordandosi li
cristiani de la parola
che santo
Cosma avea
detta, che non fossero seppelliti
insieme, pensavano in che modo o in che luogo i santi
martiri volessono essere seppelliti, ed eccoti subitamente
venire uno
cammello e, gridando con
boce d'uomo,
comandò che i santi fossero seppelliti in uno luogo.
Martirizzati
furono intorno a gli
anni
Domini
CCLXXXVII
sotto lo 'mperio di
Diocliziano.
Uno
villano standosi nel
campo dopo la
fatica de
la mietitura e
dormendo a bocca
aperta, un serpente
gli
entrò nel ventre. E isvegliandosi costui e non sentendo
nulla, tornò a
casa. Venuta la sera sentissi gravissimamente
dolorare, sì che mandava grandi strida,
e
chiamava san
Cosma e
Damiano in suo
aiuto. Ma
crescendo sempre ancora il
dolore,
ricorse a la chiesa
di questi santi, e,
dormendovi lui subitamente, come il
serpente gli era
entrato per la bocca, così n'uscìo.
Uno uomo volendo andare a lungi, raccomandò la
moglie a san
Cosma e
Damiano,
dandole alcuno
segno
al quale incontanente dovesse
assentire, eziandio se per
alcuno la
chiamasse a sé. Sappiendo poi il
diavolo il
segno che 'l
marito l'avea
dato, sì si
trasfigurò in
uno uomo, e mostrando a la moglie il
segnale del
marito,
sì le disse: "Il
marito tuo m'ha mandato da
quella
cittade, che io ti meni a lui". Sì che quella
avendo ancora paura d'andare, sì li disse: "Io
conosco
bene il
segno, ma però ch'io sono
accomandata a santo
Cosmè e
Damiano, giura sopra l'
altare loro, che tu
mi
menerai sicura, e così verrò teco". Colui
giurò incontanente
come quella
domandòe, sì che andò
sicuramente
con lui. Ed essendo venuti ad un luogo segreto,
il
diavolo la volse
far
cadere a terra de la
bestia per
ucciderla. Ma quella sentendo ciò,
cominciò a gridare e
disse: "O Iddio di san
Cosmè e
Damiano
aiutami! Io
credetti a voi, e
tennemi dietro a costui". Incontanente
v'
apparirono con
moltitudine d'
imbiaccati e
liberarla,
e 'l
diavolo sparve
incontanente, e
dissero a lei:
"Noi siamo
Cosma e
Damiano, al cui
giuramento tu
credesti,
e però ci
affrettammo di
venirti in
aiuto".
Felice papa,
bisarcavolo di san Gregorio papa,
fece fare una nobile chiesa ad onore di santo
Cosmè e
Damiano in Roma. In questa chiesa servìa a' santi uno
uomo al quale era già
consumata tutta la gamba per
lo male del
granchio. Ed eccoti
dormendo lui, i santi
gli
apparvero come a uno loro
divoto, e portarono seco
unguenti e
ferramenti; e
diceva l'uno a l'altro: "Onde
torremo noi
buone
carni, per rimettere nel luogo voito,
onde noi trarremo la puzzolente?" Allora disse l'altro:
"Nel
cimiterio di san Piero ad
Vincola è seppellito
oggi di
fresco uno saracino; va,
recane di colui per
riempiere il luogo". E così andò a quello
cimiterio, e
reconne la
coscia di quello saracino e, tagliando la
coscia de lo 'nfermo,
innestarono la
coscia di quello
saracino nel detto luogo e, ugnendo la piaga,
diligentemente
riportarono la
coscia de lo 'nfermo al
corpo del
saracino morto. Quando colui si svegliò dal sonno, sentendosi
sanza
dolore, puose la mano a la
coscia, e non
vi trovò male veruno, e
alluminandovi con la
candela
e non vedendo male veruno ne la gamba, pensava
sed elli fosse quel medesimo che era, o se fosse altri.
E tornando a se medesimo, per la letizia saltò fuori del
letto, e
narrò a tutti quello che avea veduto in sonno,
e come era stato sanato. E mandarono tosto a lo
avello
del saracino, e trovarne levata la
coscia sua, e riposta
in quello luogo la
coscia inferma di colui.
cap. 139, S. Foreseo
Foreseo vescovo, la cui storia si crede che
Beda scrivesse,
essendo splendiente d'ogne vertude
e bontade,
quando fu venuto a l'ultima ora, passò di questo
mondo.
E vide
due
angeli venire e
portarne l'
anima sua, e un
altro terzo ne vidde andare innanzi a sé, armato con
uno scudo
bianco e con uno
coltello di
folgore;
[ms.: di solfo]
poscia udìo gridare le
demonia e
dire: "
Andiamli innanzi,
e moviamo
battaglie contra di lui". Ed essendosi
messi loro innanzi,
rivolgeansi e gittavano saette di
fuoco contra lui, ma l'
angelo che gli
andava innanzi
sì le ricevea entro lo scudo e
spegnevale incontanente.
Allora i
demoni
appuosero a gli
angeli, e
dissero:
"Costui disse spesso parole oziose, e però non ne
dee
andare così impunito in vita
beata". E l'
angelo rispuose
loro: "Se voi non
apporrete contra lui i principali
vizii, per li minimi non
periràe". E 'l
diavolo
disse: "Se
Domenedio è giusto, questo uomo non si
salverà; però che la Scrittura dice: "Se voi non vi
convertirete come
pargoli, non
interrete nel reame del
cielo". E l'
angiolo
scusandolo, disse al
demonio: "Egli
ebbe l'umiltade nel
cuore, ma tenne l'usanza di fuori
de la sua gente". E 'l
dimonio disse: "Secondamente
ch'elli fece il male per usanza, così ne riceva la vendetta
dal giudice disopra". E l'
angelo disse: "Siamo
al giudicio dinanzi da Dio".
Combattendo dunque
l'
angelo
furo
contriti gli
avversari. Allora disse il
demonio:
"Il servo che sa il voler del signore suo e non
l'
adopera, sarà battuto di molte piaghe". E l'
angelo
gli disse: "Qual cosa non
adempiéo costui del volere
del signore suo?" E 'l
demonio disse: "Ricevette i
doni de' rei uomini". E l'
angelo li disse: "Elli
credette
che
catuno di loro
avesse fatto penitenzia". E
'l
demonio disse: "Prima
dovea elli provare la
perseveranza
de la penitenzia, e così ricevere i
frutti".
L'
angelo rispuose: "Sianne el giudicio dinanzi da Dio".
Ma il
demonio fu vinto. Ancora si levò a
combattere
e disse: "Infino ad ora
credavamo noi che Dio fosse
verace, perché ogne peccato che non si purga
promisse
di
punirlo
eternalmente, sì che questo uomo ricevette
una vesta d'uno usuraio e non è stato punito; dunque
dov'è la giustizia di Dio?" E l'
angelo gli disse:
"State
cheti che voi non
conoscete gli
occulti giudici di
Dio; però che per quanto tempo s'hae speranza di pentere,
tanto
accompagna l'uomo la misericordia di Dio".
E 'l
demonio disse: "Non è qui luogo di
pentimento".
E l'
angelo disse: "Voi non sapete nulla de la profondità
de' giudicii di Dio". Allora il
diavolo il percosse sì
gravemente che poi, ritornato a vita, sempre ritenne la
'nsegna di quella
percossura. E questa percossa
permisse Iddio
dare a colui per questa vesta che ricevette.
Ma l'altro
demonio disse: "Ancora li rimane
una
stretta porta, per la quale noi vinceremo:
ama il
prossimo tuo come te medesimo". E l'
angelo gli disse:
"Questo uomo hae
adoperato
beni inverso prossimi".
Disse il
diavolo: "Non
basta questo, sed elli non l'
ama
come sé". E l'
angelo li disse: "Il
frutto de l'
amore
si è
adoperare bene, però che
Domenedio rende a
ciascuno
secondo l'opere sue". E 'l
diavolo disse: "Ma perch'
elli non ha
adempiuta la parola de l'
amore, sì è da
essere
dannato". Sì che
combattendo la turba maladetta,
i santi
angeli rimasono vincitori. Disse ancora il
demonio:
"Se
Domenedio non è malvagio e 'l
trapassamento de
la sua parola li
dispiace, questo uomo non
camperà
netto de le pene; però che
promisse di rinunziare al secolo,
ma elli per
contradio hae
amato il secolo contro
a quello che
dice la scrittura: "Non
amate il
mondo,
né quelle cose che sono nel
mondo". E l'
angelo li
disse: "Elli non
amòe a sé le cose che sono di questo
mondo, ma
amolle di
dispensare a le persone
bisognose".
E 'l
diavolo disse: "In
cheunque modo elle
sono
amate,
è contra 'l
comandamento di Dio". Sì che
vinto in ciò l'
avversario
diavolo,
diè di mano a
scaltrite
accuse, e disse così: "Egli è scritto: "Se tu non
annunzierai al malvagio la malvagità sua, io richiederò
il sangue suo di tua mano; ma costui non
annunziò
degnamente la penitenzia a
coloro che peccano". E
l'
angelo li disse: "Quando gli uditori
ispregiano la parola
di Dio, la lingua del predicatore s'impedisce, quando
vede che la predicazione udita è
spregiata; onde il
savio: Quando non è tempo da sapere, sì è da tacere".
Ma in tutta la
contradizione de'
demoni fue una
forte
battaglia infino a tanto che per sentenzia del Signore
vincenti gli
angeli e soperchiati gli
avversari, da grande
chiaritade fue
attorneato l'uomo di Dio. Allora disse a
lui un de gli
angeli, sì come
dice
Beda: "Ragguarda
il
mondo". E quegli ragguardando, vidde una valle
tenebrosa e
quattro
fuochi in
aria
dilungi
alquanto
l'uno da l'altro. E l'
angelo li disse: "Questi sono
quattro
fuochi che
ardono il
mondo. L'uno è il
fuoco
de la
bugia, quando quello che gli uomini hanno
promesso
di rinunziare al
diavolo e a tutte le pompe sue
nel
battesimo non lo servono. Il secondo
fuoco è quello
de l'
avarizia, quando le ricchezze del
mondo si mettono
innanzi a l'
amore de le cose
celestiali. Il terzo
fuoco si è quello de la
discordia, quando non temono
d'offendere gli
animi de' prossimi ne le cose
sopravane.
Il quarto
fuoco si è quello de l'
empiezza, quando
coloro
che sono più
deboli hanno per neente di spogliarli
e d'ingannarli". Poscia quelli
fuochi s'
approssimano insieme,
e tornarono in uno, e
appressimavansi a lui. E
quelli temendo disse a l'
angelo: "Messere, il
fuoco
s'
appressa inverso di me". E l'
angelo disse: "Quello
che tu non
accendesti, non
arderà in te, però che questo
fuoco
disamina secondo i
meriti di
ciascuno l'opere loro;
che sì come il
corpo
arde per
diletto non licito, così
arderà
per
debita pena".
Finalmente l'uomo fu
rimenato
al propio
corpo,
piagnendolo i
parenti, che lo stimavano
per morto. E quelli
sopravvisse poi
alquanto tempo e
finìo la vita sua laudabilemente in
buone operazioni.
cap. 140, S. MicheleMichele è interpretato: chi è come Dio, e per quante
volte, come
dice san Gregorio, quando alcuna cosa si
fa da maravigliosa vertude,
dicesi che Michele vi si
mette, acciò che per quella operazione
e per lo nome
sia
dato a 'ntendere che neuno puote fare quello che
può fare esso Dio; e per ciò ad esso Michele sono
attribuite
quelle cose che soni di maravigliosa vertude.
Imperò ched elli, sì come
afferma
Daniel, nel tempo
d'Anticristo si leverà e, come
difensore, starà per
combattitore
per gli eletti. Egli
combattéo col
dragone e
con gli
angeli suoi, e
cacciollo di
cielo con esso i suoi,
e fece grande vettoria. Egli
contese col
diavolo del
corpo
di
Moisé, di ciò che 'l
diavolo volea manifestare il
corpo
suo perché gli giudei l'
adorassono per
Domenedio. Egli
ricevé l'
anime de' santi, e
menallene nel paradiso d'
allegrezza;
egli fu
anticamente prencipe de la sinagoga
de' giudei, ma ora è prencipe de la chiesa de'
cristiani.
Di lui si dice ched elli
diede le piaghe a quelli d'
Egitto,
e
divise il mare rosso, e
menòe il popolo per lo
diserto,
e misselo in terra di
promessione. Egli è gonfaloniere
tra le schiere de gli
angeli; egli al
comandamento di
Cristo ucciderà Anticristo
potentemente, stando lui nel
monte Uliveto. Ancora a la
voce di questo
arcangelo
Michele li morti si rileveranno; egli nel dì del giudicio
appresenterà la Croce, e '
chiavelli e la lancia, e
la
corona de le spine, e le
ferze.
La santa solennitade de l'
arcangelo san
Nichele sì
è
detta
apparizione, vettoria, sagra e memoria. L'
apparizione
sua è in molte guise. La prima si è come
apparve nel monte
Gargano. In Puglia si ha un monte
che si dice
Gargano presso a la
città che si chiama
Siponto. Sì che ne gli
anni
Domini
CCCXC avea in
Siponto
uno uomo ch'avea nome
Gargano, dal quale il
detto monte avea preso il nome, ovvero, secondo alcuni
libri, elli avea preso il nome da quello monte; il
quale uomo possedea infinita
moltitudine di pecore e di
buoi. E con ciò sia cosa che le gregge passassero intorno
a le latora del detto monte, intervenne che un toro lasciò
stare gli altri, e salìo in su la vetta di quello monte.
Non essendo dunque tornato a
casa da che li altri tornavano,
il signore suo
raccolse la
moltitudine de' servigiali,
e
ricercandolo per fuori di vie, sì lo ritrovò ne la
vetta del monte a lato a l'uscio d'una spelonca. Sì che
mosso ad
ira perché 'l vedea così andare vagando, solo
misse mano a
saettarli una saetta
avvelenata, ma incontanente
la saetta, come fosse ritorta dal vento,
rimbalzò
e percosse colui che l'avea mandata.
Conturbati
sopra ciò li
cittadini, vannosene al vescovo e
richeggiolo
sopra sì maraviglioso fatto; e quegli impuose loro
a
digiunare tre dì, e
ammaestrolli che ne
domandassero
consiglio da Dio. Allora venne una
boce e disse:
"Sappiate che quello uomo è stato così percosso da la
sua saetta per mio volere, però ch'io sono Michele
arcangelo,
il quale m'ho tolto ad
abitare in questo luogo
in terra, e di guardarlo sicuro, e questo ho voluto provare
per
dimostramento che io sono ragguardatore e
guardiano del detto luogo". Allora incontanente il vescovo
e'
cittadini
andarono a quello luogo con processione
grande, e non essendo
arditi d'
entrarvi dentro,
istavansi
in orazione dinanzi a l'uscio.
La seconda
apparizione è quella che si dice che venne
intorno a gli
anni
Domini
DCCX, in luogo che si dice
la Tomba, presso al mare,
dilungi
sei miglia da
Benevento.
San Michele
apparve al vescovo de la
detta
cittade, e
comandolli che v'ordinasse una chiesa nel
detto luogo e, secondamente che si fa nel monte
Gargano,
così si facesse in memoria di lui. E 'l vescovo
dubitando del luogo dove dovesse ordinare la chiesa, fue
ammaestrato da lui che la facesse
colà
dove trovasse un
toro
appiattato da' ladroni; e
dubitando ancora de la larghezza
del luogo,
comandolli che prendesse il modo in
ampiezza de la statura, tanto quanto vedesse che 'l toro
avesse
iscalpitato co' piedi in giro. Or v'avea
due grandi
sassi, i quali per vertù d'uomo in veruno modo si poteano
muovere quindi. Allora san Michele
apparve a uno
uomo e
comandolli che
andasse al detto luogo e movesse
quelli grandi sassi. Quelli andò, e mosse sì
leggermente
quelli sassi, che non parea che
avessero peso veruno.
Sì ch'
edificata quivi la chiesa,
recaronvi dal monte
Gargano parte del panno che san Michele avea posto in
su l'
altare, e parte del marmo sopra il quale era stato.
Ed
avendo quindi grande
povertà d'
acqua, per
ammonizione
de l'
angelo
fecero una
fossa in uno sasso, e
tanta
abbondanza n'uscìo incontanente che infino ad
ora ne sono per suo
beneficio
sostentati d'
acqua
abbondevolemente.
E di questa
apparizione si fa
solenne
festa nel detto luogo,
XVI dì
entrante ottobre. Nel detto
luogo si dice che venne un grande miracolo
degno di
ricordanza. Ché quello monte sì è
attorniato tutto dal
mare maggiore, ma
due volte il dì di san Michel s'
apre
per
dare via al popolo.
Andando dunque la grande gente
a la chiesa, intervenne che una femmina gravida e
prossimana al parto andò insieme con loro; ed eccoti
con grande romore ritornare l'
acqua, e tutta la gente
commossa di paura
fuggirono a la riva; ma sola la
femmina pregna non
poté
fuggire, ma fu presa da
l'onde del mare. E san Michele
arcangiolo la guardò
sanza
danno, sì che nel mezzo del pelago partorìo il
figliuolo e,
ricevendolo in
braccio, sì l'
allattòe, e
dandole
via il
mare, sì n'uscì fuori lieta.
La terza
apparizione è quella che si legge che
avvenne
a Roma al tempo di san Gregorio papa. Ché
faccendo
la processione con le Letane maggiori il detto
san Gregorio per la
pistolenza de l'
anguinaia, e pregando
divotamente per lo popolo, vidde sopra il
castello,
che si
chiamava per adrieto Memoria
Adriani, l'
angelo
di Dio che
forbìa una spada insanguinata e
rimetteala
ne la guaina. Onde san Gregorio, intendendo per questo
che i suoi
prieghi erano
esauditi da Dio, sì fece
quiviritta una chiesa ad onore de gli
angioli; onde
quello
castello insino al dì d'oggi si chiama
castello
Santangiolo. E questa
apparizione, con l'altra che li
apparve nel monte
Gargano e con quella di
Siponto
che
diede vittoria, sì se ne fa
festa
VIII dì di
maggio.
La quarta
apparizione si è quella che permane ne le
gerarchie di quelli
angeli; ché la prima gerarchia è
detta
apparizione disopra, la mezzana
apparizione di
mezzo, quella disotto
apparizione disotto. E
ciascuna
gerarchia
contiene tre ordini; quella disopra
contiene
Serafini,
Cherubini e Troni; quella di mezzo, secondo
Dionisio,
contiene le
Dominazioni e le Vertudi e le Podestadi;
l'ultima, secondo ch'
assegna quello medesimo,
contiene i Principati e gli
Arcangeli e gli
Angeli. E
l'ordinamento e la
disposizione di costoro si può vedere
per simiglianza ne li signori del
mondo; però che i ministri
che sono sotto il re, alcuni
adoperano sanza
mezzo intorno a la persona del re, come sono
camerieri,
consiglieri e
assensori. A costoro sono
assimigliati gli
angeli de la prima gerarchia. Alcuni hanno officii
a reggere tutto il reame in
comune, non diputati a
questa provincia o a quella, come sono li signori de la
corte del re,
baroni,
cavalieri e giudici de la
corte. A
costoro sono simiglianti gli
angeli de la gerarchia di
mezzo. Alcuni sono soprapposti a reggere alcuna parte
del reame, come sono proposti,
balii e cotali minori ufficiali.
E a costoro sono simiglianti li
angeli de la gerarchia
disotto. Sì che in tre ordini de la gerarchia disopra
sì si prendono secondo ciò che sempre stanno dinanzi
da Dio, e a lui si
convertiscono. E a queste tre cose sono
necessarie, cioè: sommo
amore, appresso 'l quale si piglia
l'ordine de' Serafini, i quali sono
interpretati plenitudine
di scienzia; perpetuale
comprendimento, ovvero
usamento, appresso del quale si piglia l'ordine de'
Troni, che sono
detti sedie, però che in essi siede Iddio
e
riposavisi, mentre che loro fa riposare in se medesimo.
E li tre ordini de la gerarchia di mezzo sì si prendono
in quanto hanno a soprastare e reggere l'università
de gli uomini in
comune. E questo
reggimento sta
in tre cose: primieramente in soprastare, ovvero
comandare;
questo s'appartiene a le
Dominazioni, a le
quali s'appartiene di soprastare a tutti quelli disotto,
e di
rizzarli in tutt'i ministerii
divini, e
comandare a
colore tutte le cose; la qualcosa si mostra in
Zaccaria
V
capitolo, dove dice che uno
angelo
comandò a un altro:
"
Corri tosto e parla a questo garzone, e
dira'li così e
così". Secondariamente in operare, e questo s'appartiene
a l'ordine de le Virtudi, a li quali niuna cosa è
loro impossibile mandare ad
esecuzione, che sia loro
comandata,
però che a loro è
dato da potere sopra tutte
le cose malagevoli che si
appartengono al misterio
di Dio; e però è
attribuito a
coloro di fare miracoli.
Nel terzo luogo in
costrignere, cioè che quelle cose che
deano
briga o
impedimento sì siano
costrette, e questo
s'appartiene a le Podestadi, a le quali s'appartiene
di
costrignere le
contradie Podestadi; la qualcosa fu
significata in Tobia
VIII capitolo, dove dice che Raffael
rilegòe il
demonio nel
diserto
de l'Egitto disopra. E li
tre ordini de la gerarchia disotto sì si pigliano secondo
che hanno
raggimento
determinato e limitato. Ché alcuni
di loro
soprastanno ad una provincia; e questi sono
de l'ordine de' Principati, sì come era il prencipe di
Persia che
soprastava a la provincia di Persia, come
si legge in
Daniel,
decimo
capitolo. Alcuni sono
diputati
al
reggimento di
moltitudine, sì come d'una
città,
e questi sono
detti
Arcangeli. Ed alcuni sono
diputati
a reggere
singulari persone, e questi sono
detti
Angeli.
Onde si dice che
annunziano maggiore cose, però
che 'l bene de la
moltitudine è più nobile che 'l bene
d'uno uomo. Ma ne l'
assegnamento de gli ordini de
la prima gerarchia, san Gregorio e san Bernardo se
n'
accordano con san Dionisio, però che si piglia appresso
il loro godimento, il quale
stae nel
fervente
amore quanto a i Serafini, nel profondo
conoscimento
quanto a'
Cherubini, nel perpetuale ritenimento quanto
a' Troni. Ma nel
dire che fanno de la mezzana e de
l'ultima gerarchia,
pare che si
scordino in
due ordini,
cioè nel Principato e ne la Virtude. Ma san Gregorio
e san Bernardo altra
condizione
ebbero, cioè secondamente
che la gerarchia di mezzo si prende appresso
la prelazione ultima e appresso la ministragione.
La prelazione ne li
Angeli si è in tre modi, però che
angeli
soprastanno a li spiriti
angelici, e questi sono
chiamati
Dominazioni;
soprastanno ancora a gli uomini
buoni,
e questi sono
detti Principati; e
soprastanno a'
demoni,
e questi sono
detti Podestati. E l'ordine e 'l
grado de le
dignitadi si manifesta in queste cose. Il
loro misterio è in tre modi; alcuno è in operare, alcuno
in
ammaestrare, e in
ammaestrare o sono cose
maggiori, ovvero minori. Il primo è de le Virtudi, il secondo
è de li
Arcangeli, e 'l terzo è de gli
angeli.
La quinta
apparizione è quella de la quale si legge
ne la Storia
Tripertita, che presso a Costantinopoli è
uno luogo dove si solea fare riverenza a la
dea Vesta,
ma ora v'è fatta una chiesa ad onore di san Michele; il
quale luogo è anche
chiamato
Michelio. Essendo dunque
uno uomo, ch'avea nome Aquilino, gravato da
ardentissima
febbre mossa da
colori
vermigli, a costui
diedero i medici un
beveraggio, stando in grande
ardore;
lo quale
beveraggio lo 'nfermo non ritenne, intanto che
tutto ciò che mangiava e
bevea poscia non ritenea nulla.
Approssimato dunque a la
morte, fecesi menare a questo
luogo,
credendosi quiviritto o morire o scampare. Al
quale san Michele
apparve, e sì li disse che si facesse
un
beveraggio
confezionato di mèle e di vino e di
pepe,
e ogne cosa da
manicare v'
intignesse entro, e in questo
modo riceverebbe santade
perfettamente. Quegli quando
ebbe ciò fatto, fue liberato pienamente, con ciò sia cosa
impertanto che, secondo ragione di medicina,
pare che
sia cosa
contraria a
dare
beveraggi
caldi a'
collerici.
Questo è ne la Storia
Tripertita.
Nel secondo luogo è
detta questa
festa vettoria. E
trovasi in molte maniere vittoria di san Michele
agnolo,
e de gli altri
angeli. La prima si è quella che fece a
i
Sipontini in questo modo che, poco tempo dopo il trovamento
di quello luogo, i napoletani essendo ancora
pagani, ordinarono una oste e
cominciarono a
combattere
contra a'
Sipontini e '
Beneventani, che sono
dilungi
da
Siponto
cinquanta miglia. I quali per
consiglio del
vescovo
domandarono tre dì d'indugio, acciò che
digiunassero
que' tre dì, e
chiamassero in loro
aiuto il
loro
padrone san Michele
arcagnolo. La terza notte
apparve san Michele al vescovo, e disse che i
preghieri
erano
esauditi, e
promisse che
avrebbero vettoria, e
comandò che ne la quarta ora del
die
dovessero andare
contra nemici. E
andando loro incontra, il monte
Gargano
si
commosse da gran triemito, saette
folgore volavano
spesso, e una tenebrosa
scurità
comprese la
sommità di tutto il monte in tale modo, che
secento
uomini morirono de' nemici tra di
ferro e di saette di
fuoco, e li rimanenti veggendo la vertude e la possanza
de l'
arcangelo,
abbandonarono l'
errore de l'
idolatria,
e
sottomissero i
colli loro a la fede di Cristo. La seconda
vettoria è quella che san Michele ebbe quando
cacciò di
cielo il
dragone Lucifero con tutt'i suoi seguaci.
Del quale
cacciamento si spiana quello ch'è scritto ne
l'
Apocalissi: "Fatta è grande
battaglia in
cielo; Michele
e gli
angeli suoi
combatteano col
dragone, e 'l
dragone
combatteano a gli
angioli suoi, e non
ebbero
valore, né fu trovato da indi innanzi il loro luogo in
cielo". Ché
disiderando Lucifero essere
iguale a Dio,
l'
arcangelo Michele, gonfaloniere de l'oste
celestiale,
si mosse incontanente, e
cacciò via quello Lucifero con
tutti i suoi seguaci, e
rinchiusegli infino la
die del
giudicio in quest'
aere tenebroso. Non
furon lasciati
stare in
cielo, ovvero ne la parte
disopra de l'
aere,
perch'egli è luogo
chiaro e
dilettevole; né furono lasciati
stare in terra tra noi, acciò che non ci
molestassero
troppo; ma ne l'
aere tra 'l
cielo e la terra,
acciò che pognendo
mente in suso e veggendo la gloria
c'hanno perduta, sì se ne
dogliano; e pognendo
mente
in giuso, e veggendo gli uomini salire là suso, là ond'
ellino sono
caduti, sì n'
abbiano grande tormento
d'invidia. Ma bene scendono spesse volte per
dispensazione
di Dio a nostro
esercizio, onde secondamente
ch'è mostrato ad alcuni santi uomini, spesse volte
volano appresso di noi come le
mosche. Però che sono
sanza novero quasi e come
mosche,
riempiettoro tutta
l'
aere, onde dice
Haimo: "Sì come i
filosofi
dissero,
e' nostri
dottori ne sono in quella openione che questa
aere è così piena di
demoni come el razzo del sole è
pieno di
minutissimi
polverelli". E
avvegnadio che
siano tanti, secondo la sentenzia d'Origene, la loro
congregazione menimiamo quando noi gli vinciamo, in
tal maniera che chi è vinto d'alcuno santo uomo, da
indi innanzi non può più tentare di quello vizio del
quale elli è vinto. La terza vettoria è quella che
gli
angeli hanno
continuamente de le
demonia, e spezialmente
san Michele, quando
combattono
cotidianamente
per noi contra di loro, e
diliberanci da la loro
tentazione. E questo fanno in tre modi. L'uno modo
si è di raffrenando la podestà del
demonio, com'è scritto
ne l'
Apocalisso, ventesimo
capitolo, de l'
angelo che
legòe il
demonio, e
mandollo in
abisso, e nel Tobia,
VIII capitolo, del
diavolo rilegato nel
diserto disopra.
Però che questo cotale
rilegamento non è altro che
raffrenamento de la sua podestà. Il secondo modo si è
rifrigerando la
concupiscenzia; e questo è significato
nel Genesis nel
XXXII capitolo, là
dove si dice che
l'
angelo toccòe il
nerbo del
costato di
Jacob, e incontanente
infracidòe. Il terzo modo si è mettendo ne li
nostri
cuori la memoria de la passione di Cristo; e ciò
è significato ne l'
Apocalisso nel
VII capitolo, dove si
dice che l'
angelo disse: "Non vogliate nuocere a la
terra, né al mare, né a gli
albori, infino a tanto che
noi segnamo i servi del nostro Dio ne le
fronti loro".
Anche
dice l'
Ezechiel nel
IX capitolo: "Fa il
segnale
del
Tau sopra le
fronti de gli uomini che piangono".
Tau si è una lettera fatta a modo di croce, de la
quale
coloro che non sono segnati non temono l'
angelo
percossente. Onde in quello
libro è scritto: "Sopra
chiunque voi vedrete il
Tau, non l'uccidete". La
quarta vittoria è quella che san Michele
avrà d'Anticristo,
quando l'ucciderà. "Allora, come
dice il
Daniel
nel
XII capitolo, Michele, principe grande, si leverà per
gli eletti, e sì come
combattitore e
difensore starà
fortemente contra Anticristo". Poscia Anticristo, - come
dice la Chiosa de l'
Apocalisso nel
XII capitolo, sopra
quella parola che
dice: "Viddi uno de'
capi suoi morto"
- elli s'infignerà per morto,
nascondendosi tre dì,
poscia
apparirà
dicendose risucita
to da
morte, e monterà
in
aere,
portandolo le
demonia con l'
arte
magica
e, maravigliandosi tutti, sì l'
adoreranno. A la
perfine saliendo nel monte d'Oliveto, come
dice san
Paolo ne la seconda Pistola a'
Tessalonicesi, nel
secondo
capitolo che "Dio l'ucciderà con lo spirito de
la bocca sua", dice la Chiosa sopra quella parola,
che stando lui nel padiglione e ne la sedia sua, in
quel luogo contra 'l quale Cristo salette in
cielo, verrà
san Michele e ucciderallo. De la quale
battaglia con
vettoria, secondo il detto di san Gregorio si pone quella
parola de l'
Apocalisso: "Fatta è la
battaglia grande
in
cielo". E
spónesi questa parola di tre maniere:
battaglia di san Michele, cioè de la
battaglia ch'ebbe
con Lucifero quando il
cacciò di
cielo; e de la
battaglia
continua che ha con le
demonia che ci molestano;
e de la
battaglia
di cui qui si tratta che
avrà con
Anticristo
a la fine del mondo.
Nel terzo luogo questa solennità è
detta sagra, in
ciò che questo
die rivelato fue da l'
arcangelo Michele,
che 'l detto luogo nel monte
Gargano era sagrato da lui.
Però che ritornando quegli di
Siponto de la
battaglia
de li
avversari, e
avuta così magnifica vittoria,
cominciaro
ancora a
dubitare se
dovessono
entrare nel detto
luogo o
sagrarlo. Allora il vescovo
ordinò che se n'
avesse
consiglio dal Papa sopra queste cose, ed era a quel
tempo papa
Pelagio. E' mandò così rispondendo: "Se
uomo
dee sagrare quella cotale chiesa, vorrebbesi fare
in questo grande
die che s'ebbe la vettoria, ovver che,
se piace
altrementi a l'
arcangelo san Michele, da richiederne
è da colui il suo volere sopra ciò". Stando
dunque il papa e 'l vescovo con li
cittadini in
digiuno
tre dì, san Michele
apparve il terzo dì al vescovo, e sì
li disse: "Non vi fa mestiere di sagrare a voi la
chiesa, la quale io abbo
edificata, però che io, che la
mi
feci, sì la mi sagrai io stesso". E
comandolli che
'l seguente
die
entri in quel luogo col popolo, e
visitilo
spesso con
preghieri,
e sentissenlo per loro speziale
padrone;
e
diedeli il
segnale de la
detta
consegrazione, cioè
che salissono da la parte d'oriente per la
postierla,
e ivi
troverrebboro le pedate d'uomo fatte in sul marmo.
Sì che la mattina venne il vescovo e tutto il popolo al
luogo, ed
entrandovi dentro la gran volta trovaronvi tre
altari, i
due de' quali erano posti ne la parte d'
aquilone,
e il terzo ne la parte d'oriente,
coperto intorno
intorno d'un
drappo onorevole e
vermiglio.
Cantata
dunque ivi la
Messa solennemente, e
comunicatosi
ciascuno,
tornarono tutti a
casa loro con grande
allegrezza,
e 'l vescovo vi lasciò preti e
cherici che vi
facessono
continuamente l'ufficio di Dio. E ne la
detta spelonca
rampolla un'
acqua
chiara e molto
dolce, de la quale
bee il popolo dopo la
comunione, e
diverse infermitadi
ne sono guerite. Allora messere lo Papa udendo queste
cose,
ordinò che si guardasse questo dì ad onore di san
Michele e di tutti gli
angeli, universalmente per tutto
il
mondo.
Nel quarto luogo questa solennità è
detta memoria
san Michele, però che in questa solennità noi
facciamo
memoria di tutti gli
angeli,
massimamente del
beatissimo
san Michele, e tutti gli onoriamo come noi potemo.
E
conviensi a noi di fare loro onore per molte
ragioni:
e di
lodarli, però che sono nostri guardiani; e di
lodarli,
però che sono nostri
servidori, e nostri
fratelli, e
insieme
cittadini
portatori de le nostre
anime in
cielo,
e
rappresentatori de le nostre orazioni
appo Dio, nobilissimi
cavalieri del re
eternale e
consolatori de' tribulanti.
Dobbiamli dunque primieramente onorare perché sono
nostre guardie. A
ciascheduno uomo sono
dati
due
angeli,
uno
angiolo rio ad
esercitarlo, e uno
buono a
guardarlo. La guardia del
buono
angiolo è
diputata a
l'uomo incontanente e nel nascere e nel ventre e ne
l'uscire del ventre, e sempre è con l'uomo già
cresciuto.
Però che in questi tre stati è necessaria a l'uomo
la guardia de l'
angelo: mentre ch'egli è
piccolino
stando ancora nel ventre de la madre, per ciò che iv'entro
potrebbe essere morto e
dannato; e anche mentre
che è fuori del ventre, innanzi che sia
battezzato, però
che allora potrebbe essere impedimentito dal
battesimo;
e anche ne l'
etade
accresciuta, però che allora potrebbe
essere
trascinato a' peccati. Però che 'l
diavolo ne
l'uomo
cresciuto inganna la ragione per scaltrimenti,
alletta la
volontade per
lusinghe, e
abbatte la vertù
per violenze. E però fu mestiere che 'l
buono
angelo
li fosse
dato in guardia per
ammaestrarlo, e per
dirizzarlo contra lo 'nganno del
diavolo, e per
sollecitarlo
e
commuoverlo a bene contra le
lusinghe, e per
difenderlo da l'
abbattimento contra la violenza.
L'
effetto de la guardia de l'
angelo ne l'uomo si
puote
assegnare che sia in
quattro maniere. Il primo
effetto si è, acciò che l'
anima
diventi migliore ne la
grazia. E questo fa l'
angelo ne l'
anima in tre modi:
primieramente
rimovendoli ogni
impedimento dal bene;
e questo è significato ne l'
Esodo,
XII capitolo, ove
dice che l'
angelo percosse tutti i primogeniti de l'
Egitto.
Secondamente
destando la pigrizia, e ciò è significato
in
Zaccaria,
IV capitolo, là ove dice: "L'
angelo di Dio
mi
destòe come uomo ch'è isvegliato dal sonno". Ne
la terza parte
menandolo ne la via de la penitenzia e
rimenandolo, e ciò è significato in Tobia,
V capitolo,
ne l'
angelo che 'l menòe e
rimenòe. Il secondo
effetto
si è che il
sostenta, acciò che non
caggia nel male de
la
colpa, e questo fa l'
angelo in tre modi. Primieramente
impedimentendo il peccato che
farebbe l'uomo che
nol
faccia; e ciò è significato nel
libro del
Numero,
XXII
capitolo, ove dice che l'
angelo
impedimentirà
Balaam
che non maladicesse il popolo d'Israel. Secondariamente
riprendendolo del passato, acciò ch'altri si parta da
quello; e ciò è significato nel
libro de' Giudici, secondo
capitolo, ove dice che l'
angelo riprese il
trapassamento
del popolo, e elli levarono la
voce in alto e piansero.
Nel terzo modo
faccendoli
forza per
liberarlo dal peccato
presente, e ciò è significato ne lo sforzato trarre
che fece l'
angelo a
Lotto e a la moglie di Sodoma,
cioè de la
consuetudine del peccato. Il terzo
effetto si
è che se l'uomo pur
cade, di
farlo rilevare poi, e questo
fa l'
angelo in tre modi: l'uno si è
movendolo a
contrizione,
e ciò è significato in Tobia
XI capitolo, là
dove dice che a l'
ammaestramento de l'
angelo Tobia
unse gli occhi del padre, cioè quelli del
cuore, col
fiele,
per lo quale s'intende
contrizione. Il secondo si è purgando
le
labbra a la
confessione, la quale cosa è significata
in Isaia,
VI capitolo, dove per mano de l'
angelo
furon purgate le
labbra di Isaia. Il terzo insieme
allegrandosi a la
satisfazione, e ciò
dice santo Luca nel
XV capitolo: "
Allegranza
maggiore hanno gli
angeli
disopra
per i peccatori
convertiti,
ecc.". Il quarto
effetto si è ched elli non
caggia tante volte, né in tanti
mali, quante volte ovvero quali mali il
diavo
lo ne
commuove; e questo fa in tre modi, cioè
raffrenando
la podestà del
diavolo, indebolendo la
concupiscenzia, e
mettendo la passione di Cristo ne le nostre
menti; de
le quali cose detto è disopra.
Ne la seconda parte
dovemo onorare gli
angeli, però
che sono nostri
servidori, sì come
dice san Paulo a li
Ebrei, in primo
capitolo: "Tutti gli
Angeli sono spiriti
servitori". Però che tutti quanti sono mandati per
noi, però che quelli disopra son mandati a quelli di
mezzo, e quelli di mezzo a quelli disotto, e quelli disotto
a noi; e questo mandamento si
confàe a la
bontà
di Dio.
In ciò si manifesta la divina bontà quanto
elli
ama la nostra salute, da ch'elli i nobilissimi spiriti,
i quali sono
congiunti a lui d'intima
caritade,
manda a procurare la nostra salute. Nel secondo luogo
questo mandamento si
confà ne la
carità de gli
angeli;
però che con ciò sia cosa che da ardente
caritade
vegna a
disiderare la salute de gli altri, per lo
quale Isaia disse: "
Eccome, messere,
mandami". E
gli
angeli ci possono
aiutare pertanto quanto elli ci
veggiono che noi abbiamo
bisogno del loro
aiuto, e noi
essere
combattuti per li mali
angeli, sì che acciò ched
elli siano mandati a noi, sì 'l
domanda la legge de
la
caritade de li
angeli. Nel terzo luogo si è utile al
bisogno umano, però che sono mandati gli
angeli per
infiammare l'
affetto ad
amore, onde in
figura di ciò sì
si legge che
furon mandati in
carro di
fuoco. Secondariamente
ad
alluminare lo 'ntendimento a
conoscere,
e ciò è significato ne l'
Apocalisso,
decimo
capitolo, ne
l'
angelo, che avea il
libro aperto ne la mano sua. Nel
terzo luogo a
fortificare in noi ogne cosa che non è
perfetta infino a la fine, e ciò è significato nel terzo
libro de' Re,
XIX capitolo, ove dice che l'
angelo portò
a Elia uno pane
cotto sotto la
cennere, e uno vasello
d'
acqua; e seguita poi come Elia mangiò, e andò,
per
fortezza di quello pasto, infino al monte di Dio
Oreb.
Ne la terza parte sono da onorare, però che sono
fratelli
e insieme
cittadini con esso noi; però che tutti
gli eletti sono ricevuti a gli ordini de li
angeli, altri
a que' disopra, altri a que' di mezzo, altri a que' disotto,
secondo la
diversità di loro
meriti,
avvegnadio
che la santissima Madre di Dio non sia d'ordine veruno,
ma sia sopra tutti. La qualcosa san Gregorio
pare che
voglia
dire ne l'omelia, che, sì come elli dice: "E
sono alcuni che prendono le piccole cose, ma pertanto
non si rimangono d'
annunciarle a' loro prossimi: questi
cotali
corrono nel novero de gli
Angeli. E sono alcuni
che le somme cose de' secreti del
cielo e
possonle prendere
e
annunziare a li altri; e questi cotali stanno con
gli
Arcangeli. E sono alcuni che fanno maravigliosi
segni, e operano
manifestamente, e questi cotali stanno
con le Virtudi. E sono alcuni che con la vertù de la
orazione
cacciano le
demonia, e questi cotali stanno
con le Podestadi. E sono alcuni che
avendo le Virtudi,
trascendano i
meriti de li eletti, e
segnoreggiano i frati
eletti, e costoro
acquistano
merito con li Principati. E
sono alcuni che
segnoreggiano sì a tutt' i vizî in loro
medesimi, che, per ragione di
mondizia, son
chiamati
Dei tra li uomini; onde a
Moisé fu detto: "
Ecco che
t'ho fatto
Domenedio di
Faraone", e costoro hanno
luogo con le
Dominazioni. E sono alcuni ne' quali Dio
risedendo come in sua sedia,
disamina i
fatti de gli
altri, per li quali reggendosi la santa Chiesa, spesse
volte d'alcune loro
basse operazioni tutti gli eletti sono
giudicati, e costoro hanno luogo con l'ordine de' Troni.
E sono alcuni che sono pieni di
chiaritade di scienzia,
e costoro hanno preso la parte de' loro
meriti fra 'l numero
de'
Cherubini, per ciò
Cherubini son
detti pienitudine
di scienza, e san Paulo dice: "Pienitudine de
la legge è la
carità". E sono altri i quali
accesi d'
amore
di
contemplazione disopra, nel solo
desiderio del loro
Creatore
inferventiscono, niuna cosa
disiderano in questo
mondo, di solo
amore de l'
eternitade sono pasciuti,
tutte cose
terrene
spregiano, tutte cose temporali li
trasandano
con la
mente,
amano e ardono e trovano pace
nel loro stesso ardore,
amando
ardono, parlando
accendono,
e
chiunque toccano di parole, incontanente il fanno
ardere ne l'
amore di Dio. E costoro hanno presa la
parte del loro
chiamamento fra 'l numero de li Serafini".
Infino
qui dice san Gregorio.
Nel quarto luogo sono da onorare, però che sono
portatori
de le nostre
anime in
cielo; e questo fanno ellino
per tre maniere. La prima
apparecchiando la via, sì
come
dice Malachia profeta, terzo
capitolo: "Ecco io
mando l'
angelo mio, il quale
apparecchierà la via tua
dinanzi a la
faccia mia". La seconda si è
portandola
in
cielo per la via apparecchiata, sì come egli è scritto
ne l'
Esodo
XXIII capitolo: "Ecco io mando l'
angiolo
mio che ti vada innanzi, e
guarditi ne la via, e
meniti
ne la terra la quale io
promissi a' padri tuoi".
La terza maniera si è
allogandola in
cielo, però dice
santo Luca nel
XVI capitolo: "
Addivenne che morìo
il mendico e fu portato da gli
angeli nel
seno d'
Abraam".
Da la quinta parte gli
dobbiamo onorare, però che
sono
appresentatori de le nostre orazioni dinanzi da
Dio. Ché elli primieramente
appresentano l'orazioni
nostre dinanzi da Dio, come scritto è in Tobia, nel
XII
capitolo, che l'
angelo gli disse: "Quando tu oravi con
lagrime e
soppellivi i morti, io
offeretti l'orazione
tua al Segnore". Secondariamente
allogano lassù per
noi, come
dice
Job nel
XXXIIII capitolo: "Se fia per
lui
angelo che parli una de le somiglianti cose che
annunzi la
dirittura de l'uomo, sì
avrà misericordia di
lui". Anche
dice
Zacaria nel primo
capitolo: "E rispuose
l'
angelo di Dio, e disse: "Segnore Iddio de li
eserciti, infino a quando non
avrai tu misericordia a
Gerusalem, e a la
città di Giudea, a le quali tu
se'
adirato? Or sono
già LXX anni". Nel terzo luogo
manifestano
a noi la sentenzia di Dio, sì ch'è scritto nel
Daniel, nel nono
capitolo, ove dice che
Gabriello
angelo
volòe a lui, e
disseli: "Dal
cominciamento de' tuoi
preghieri
è uscita la parola".
Dice qui la Chiosa: "Cioè
la sentenzia di Dio". E poi dice: "E io sono venuto
per
dirloti, perché tu
se' uomo di
disiderii". Di questi
tre dice san Bernardo sopra la Cantica: "Va
discorrendo
l'
angelo tramezzatore tra Dio e l'uomo, offerendo
a Dio i nostri
disiderii,
portando i doni; queste cose
commuove e
racconcia
Domenedio.
Nel
sesto luogo sono da onorare li
angeli, però che
sono nobilissimi
cavalieri del re
eternale, sì come scritto
è nel
Job,
XXV capitolo: "Or hanno numero i
cavalieri
di Dio?" Ché sì come noi veggiamo ne li
cavalieri
d'alcuno re, che alcuni di loro stanno sempre ne la
magione
del re, e
accompagnano il re, e
cantano a suo
onore e a suo
sollazzo; e alcuni sono che guardano le
cittadi e le
castella; e altri sono che
contastanno i nimici
del re, così è tra gli
angeli, però che alcuni del
palazzo reale, cioè nel
cielo
empirio, sempre
accompagnano
il re
de're, e al suo onore
cantano
canti di
letizia e di gloria,
dicendo: "Santo, santo, santo segnore
Dio de li
eserciti!" Anche
dicono: "
Benedizione
e
chiaritade e sapienzia" e molte altre cose come
è scritto ne l'
Apocalisso, nel settimo
capitolo. Altri
angeli
sono che guardano le province e le
cittadi e le
castella,
ciò sono quelli che sono
diputati a nostra guardia,
che guardano lo stato de le vergini, e de'
continenti,
e de li
accompagnati, e anche le
castella de le religioni;
onde dice Isaia
XIII capitolo: "Sopra le
mura
tue, Gerusalem, ho poste le guardie". Altri sono che
combattono contra i nimici di Dio, ciò sono li
demoni;
onde dice l'
Apocalisso: "Fatta è la
battaglia grande in
cielo, cioè ne l'
Ecclesia mil
itante. Michele e gli
angeli
suoi
combattono col
dragone".
Nel settimo e l'ultimo luogo sono da onorare, però
ched elli sono
consolatori di tribulati, onde dice
Zacaria
nel primo
capitolo: "E rispuose l'
angelo che parlava
in me parole
buone, parole da
consolare". E Tobia
dice nel quinto
capitolo: "Sarai di
forte
animo, però
che presso è il tempo che tu sia
curato da
Domenedio".
E queste cose fanno in tre modi. L'uno modo si è
confortando e
fortificando; onde dice
Daniel, nel
X capitolo,
che essendo elli caduto, l'
angelo il toccò e disse:
"Non temere, pace sia a te;
confortati e
sie
valoroso".
Il secondo modo si è
conservando da la impazienzia;
onde dice il Salmista: "A gli
angeli suoi ha
comandato
Domenedio di te, e
porterannoti ne le loro mani,
acciò che tu non incappi il piede tuo a la pietra". Il
terzo modo si è
rifrigerando quella tribulazione, e
menovandola,
e ciò è significato nel
Daniello, terzo
capitolo,
ove dice che l'
angelo di Dio
discese con tre
fanciulli
ne la
fornace, e fece il
miluogo de la
fornace
come un vento di rugiada
soffiante.
cap. 141, S. Girolamo
Geronimo figliuolo d'
Eusebio, nobile uomo, fue natìo
da
castello
Stridone, che sta ne i
confini tra
Dalmazia
e
Pannonia. Essendo costui ancora
fanciullo andò a
Roma e fue pienamente ammaestrato di lettere grecesche
ed
ebree e
latine. Ne la grammatica ebbe per
maestro
Donato, ne la rettorica ebbe
Vittorino
arringatore,
ne le Scritture
divine s'
esercitava il dì e la notte,
e indi trasse
disiderosamente quello ch'elli sparse
abbondevolmente
poscia come si truova. Ad un tempo,
sì come elli scrive ne la Pistola ched e' manda ad
Eustochio,
leggendo lui di
die il
Tullio e la notte
Platone
molto
disiderosamente, però che 'l parlare
disornato
ne i libri de' profeti non li piacea, intorno al mezzo
de la
Quaresima sì
subita e sì ardente
febbre si prese,
che
raffreddando già tutto il
corpo, il
calore de la vita
regnava nel petto
solo.
Apparecchiandosi adunque le
cose per la
morte sua, subitamente a la sedia del giudice
fu tratto, e
dimandato di che
condizione e' fosse,
rispuose ch'era
cristiano. E 'l giudice li disse: "Tu
mentisti, tu
se'
Tulliano, non
cristiano:
colà
dove è
il
tesoro tuo, là è il
cuore tuo". Allora
Geronimo
diventò
come mutolo, e 'l giudice
comandò incontanente
che fosse battuto
durissimamente. Allora gridòe e disse:
"Miserere mei, Domine, miserere mei!" Allora quegli
ch'erano presenti pregavano il giudice che perdonasse
al giovane; ed elli
cominciò a giurare per Dio, e a
dire:
"Messere, se io
averò giammai, ovvero leggerò libri
secolareschi, sì t'abbia io per ingannato". Sì che a
queste parole del saramento, l'uomo si
risentìo e trovossi
tutto bagnato di
lagrime, e
delle
battiture, che avea
avute dinanzi a la sedia, trovossi tutte le spalle livide
molto terribilemente. Ma con tanto
studio lesse da indi
innanzi i libri
divini, con quanto non avea giammai
letto i libri de' pagani. Ed
avendo
XXIX anni fu fatto
cardinale ne la chiesa di Roma e, morto papa
Liberio,
Geronimo fu gridato che fosse
degno del sommo sacerdozio.
Ma riprendendo lui la vanitade d'
alquanti
cherici
e monaci,
indegnatine contra di lui, sì il
puosera
agguato, e per vestimento
femminile, come
dice Giovanni
Beleth, villanamente lo schernirono. Ché levandosi
Geronimo a mattutino, come era sua usanza, trovò
il vestimento
femminile a capo del letticello suo, sì come
i suoi invidiosi lo v'
avevano posto e,
credendosi che
fosse il suo, sì lo si misse indosso, e in questo modo
andò ne la chiesa. E però
faceano questo i suoi invidiosi,
perché si
credesse ch'elli
avesse femmina in
camera.
La qualcosa quando questi ebbe veduto,
diede
luogo a tanta loro mattezza, ed
andossene a Gregorio
Nazianzeno, vescovo di Costantinopoli. E poi che ebbe
apparato da lui le sante lettere, sì se ne andò ne l'
ermo,
nel quale luogo quante cose
sostenne per l'
amore di
Cristo. Elli medesimo lo scrive ad
Eustochio, così
dicendo:
"Quante volte stando ne l'
ermo e in quella
oscura
solitudine,
la quale, incende tutta per gli
ardori del sole, e
dava
aspro
abitamento a' monaci, pensava d'essere
tuttavia ne le
dilettanze di Roma. Erano inasprite del
sacco le
membra
disformate, e la scura
cotenna avea
presa
forma di
carne
saracina,
cutidianamente le
lagrime,
cutidianamente i pianti, e se per alcuna volta
contrastando me il sonno sopravvegnente, m'
abbattesse
in su la terra ignuda, ponea a giacere l'ossa mia. Del
mangiare e del
bere taccio, con ciò fosse
cosa che eziandio
i monaci infermi usassono
acqua
fredda, e alcuna
cosa
cotta
appo loro era tutto riputato lussuria; e pertanto
essendo
compagno de li
scarpioni e de le
fiere
bestie, spesse volte mi parea essere ne le
compagnie
de le
donzelle, e nel
freddo
corpo, e ne la
carne mortificata
i soli incendii de la lussuria
rampollavano. Sì
che
continuamente piagnea, e la
carne
contrastante sottomettea
a la
fame di tutta la settimana. Spesse volte
congiunsi il
die con la notte, né non mi rimanea da le
battiture del petto prima che ritornasse la
quietudine
del Signore. E ancora essa mia
celletta
temea come la
coscienzia de' pensieri, ed
irato e
aspro, a me medesimo
solanato,
forava i
deserti, e Dio me ne sia testimonio
che alcuna volta che dopo le molte
lagrime mi parea
essere tra le schiere de gli
angeli".
Compiuta che ebbe qui la penitenzia
quattro
anni,
ritornò a la
città di Betleem, nel quale luogo, sì come
savio
animale, offerse sé a
dimorare a la mangiatoia
del Signore. La sua
biblio
teca, la quale con sommo
studio s'avea fatta elli, e gli altri libri leggendo, tutto
il
die
digiunava infino a la notte. E raunando ivi molti
discepoli in santo proponimento e in traslatare le Scritture
sante,
cinquanta
anni e
sei mesi s'
affaticòe;
e stette vergine infino a la fine de la sua vita.
E
avvegnadio che questa leggenda
dica ched e' fosse
sempre vergine, pure elli scrive così di se medesimo a
Pammachio: "La
verginità
pognola in
cielo, non perch'
io l'abbo, ma perch'io mi
maraviglio
maggiormente
che io non l'abbo".
Finalmente tanto s'
allassòe che,
giacendo nel letto suo, avea posto una
funicella a la
trave, a la quale si levava con le mani rivescio, acciò,
che operasse l'officio del monasterio secondamente
ch'elli poteva.
Un
die al vespro stando
Geronimo co' suoi frati a
udire la santa lezione, uno leone subitamente
zampicante
del piede
entròe nel monasterio; e veduto che
fue, misse tutti i frati a la
fuga. E
Geronimo li si fece
incontro come ad uno ospite, sì che il leone mostrando
a lui il piede
danneggiato, furono
chiamati i frati, e
comandò loro che lavassero quel piede e
cercassero
diligentemente
de la piaga. E
avendo ciò fatto, trovarono
la pianta del leone
impiagata da le spine, e
aggiuntavi
diligentemente medicina, quando il leone fue guerito,
lasciando ogne salvatichezza,
abitava fra loro come
animale
dimestico. Allora veggendo
Geronimo che non
tanto per la santade del suo piede, quanto per loro
utilitade,
Dio l'
avesse mandato, col
consiglio de' frati suoi,
sì l'impuose cotale ufficio, cioè che esso leone menasse
a la pastura, e guardasse l'
asino ch'elli
aveva, il
quale recava la legna dal
bosco. E così fue. Ché imposto
che l'
ebbero al leone la
cura de l'
asino a modo
di pastore ingegnoso
andando a la pastura, sempre era
compagno del
viaggio e, pascendo nel
campo da ogne
parte, era
difenditore
sicurissimo, e acciò che pascesse
se medesimo, e l'
asino
compiesse l'operazione sua,
sempre a l'ore
debite tornava con lui a
casa. Sì che
una volta pascendo l'
asino, e 'l leone addormentato di
grave sonno, mercatanti con
camelli passando per quella
contrada, e veggendo che l'
asino era solo, rubarlo tostamente.
Sì che isvegliato il leone, non vedendo il
compagno,
discorreva qua e là mugghiando. A la perfine
non
trovandolo, ritornò a la porta del monasterio, e non
fu ardito per la vergogna
entrare dentro come era usato.
E veggendo i frati ched elli era tornato più tardi che
non soleva, e venuto sanza l'
asino,
pensaronsi che
per
costrignimento di
fame s'
avesse
manicato l'
asino,
e non
volendoli
dare l'usata profenda, sì li
dicevano:
"Va,
manucati lo scampolo che ti rimase, e riempi bene
la tua
ghiottornia". Ma
dubitando che non
avesse
commesso
questo male,
andarono a la pastura, se per
avventura
trovassero alcuno
segno di
morte; e non trovandone
nulla tornarono a
casa, e raccontarono queste
cose a san
Geronimo. Allora per li
ammonimenti suoi
impuosero al leone l'officio de l'
asino, e taglando le
legne nel
bosco, sì le ponevano a portare al leone. E
sostenendo ciò il leone
pazientemente, un
die
compiuta
l'opera uscì fuori
discorrendo di qua e di là, per volere
sapere che fosse intervenuto del
compagno suo,
ed ecco
che vidde da la lunga mercatanti venire con
cammelli
carichi, e l'
asino
andava innanzi. Usanza è di quella
contrada che quando vanno a la lunga con
camelli, acciò
ched ellino vadano più
diritti, tengono dietro ad uno
asino che vada loro innanzi, e porti la
funicella a
collo. Sì che il leone
riconosciuto ch'ebbe l'
asino, con
grande mugghio
entrò loro addosso, e misse gli uomini
al
fuggire. E 'l leone mugghiando terribilemente, e percotendo
la terra
fortemente con la
coda, missesi innanzi
i
cammelli così
carichi com'egli erano, e
costrinsegli
d'andare insino al monisterio. Veggendo ciò i frati, e
dicendolo a
Geronimo, elli rispose: "A li ospiti nostri,
fratelli carissimi, lavate i piedi, e
date loro da mangiare,
e sopra ciò
aspettate la
volontà del Signore".
Allora il leone
cominciò andare
discorrendo per lo monasterio,
com'era usato, e gittandosi in terra a' piedi
di
ciascuno
frate, e lusingando con la
coda,
domandava
quasi perdonanza de la
colpa, la quale non avea
commessa.
E
Geronimo sappiendo le cose che
doveano venire,
disse a i frati: "
Andate voi, frati, e
apparecchiate
quello che fa
bisogno a li ospiti che vegnono".
Non avea ancora
compiuto di
dire, ed eccoti venire un
messo a lui, e disse che avea ospiti a la porta, che
voleano vedere l'
abbate. Quando elli gli ebbe veduti,
coloro gli si gittarono a' piedi, e
domandano perdonanza
de la loro
colpa; ed elli levandosi
benignamente suso,
comandò loro che ricevessino il loro, e non togliessero
in mal modo l'altrui. Sì ch'ellino pregarono san
Geronimo
che prendesse la metà de l'olio per
benedizione.
A li quali elli appena
consentendo, a la perfine costretto,
comanda pure di ricevere. E promissero di
dare ogni
anno a'
detti frati quella medesima misura d'olio, e
fecere
comandamento che fosse
data quella quantità da
le sue rede.
Con ciò fosse
cosa che ne la Chiesa di qua dietro
ciascuno
cantasse quello che gli piacesse, dice Giovanni
Beleth che
Teodogio imperadore pregòe papa
Damaso
che ad alcuno uomo ammaestrato
commettesse ad ordinare
l'ufficio
ecclesiastico. Sì ched elli
conoscendo
Geronimo uomo
compiuto in lingua
latina e
grecesca e
ebrea, e sommo in
divina scienzia, sì li
commisse il
detto officio. Sì che
Geronimo
divise il Salterio per li
dì de la settimana, e
a ciascheduno dì
assegnò il suo
propio
notturno, ed
ordinò che si
dicesse Gloria Patri
ne la fine di
ciascuno Salmo,
sì come dice Sigeberto.
Poscia
ordinò le Pistole e' Vangeli da
cantare per tutto
l'
anno, e l'altre cose che s'
appartegnono a l'Officio,
fuori che 'l
canto. E mandò scritte queste cose d'infino
di Betleem al sommo Pontefice, e fu molto
approvato
questo Officio e da lui e da'
cardinali, e fue
autenticato
perpetualemente per la santa Chiesa. Dopo queste
cose sì s'
ordinò un monimento ne la bocca de la spelonca,
ne la quale il Signore giacque, nel quale luogo
compiuti
novanta
anni e
sei mesi de la sua vita
fue seppellito.
In quanta reverenzia santo Agostino l'
avesse, manifesto
è ne le pistole che li mandò; ne l'una de le
quali scrive in cotale modo,
cominciando: "Al Segnore
dilettissimo e da osservare e da
abbracciare per
coltivamento
di
sincerissima
caritade
Geronimo, Agostino
salute". E in altro luogo scrive così di lui: "San
Geronimo, prete ammaestrato di linguaggio
latino e grecesco
e
ebreo, ne i luoghi santi e ne le lettere sante
visse infino a l'ultima vecchiezza, del cui parlare è
risplenduto a voi la lampana da l'oriente ne l'occidente,
a modo di sole". E san
Prospero ne le
Croniche
sue scrive così di lui: "
Geronimo
abitava in Betleem,
chiarito già a tutto il
mondo di nobile ingegno, servendo
a lo
studio de l'universale
Ecclesia. E santo
Isidoro
nel
libro de l'
Etimologie dice così: "
Geronimo fu ammaestrato
di tre lingue, la cui interpretazione è posta
innanzi a tutte l'altre, però ch'ella è più
tenace che
la parola, e più
chiara che 'l ragguardamento, e più
vera sì come fatta da
interpetro
cristiano". E nel
Dialago
di san Severo,
discepolo di san Martino, il quale
fue al suo tempo, si truova scritto di lui: "
Jeronimo
sanza il
merito de la fede, e la
dote de le vertudi,
non solamente de le lettere
latine e grecesche, ma
eziandio de le
ebree fu sì ammaestrato, che neuno s'
ardisce
assomigliare a lui in ogne scienzia, abbiendo
continua
battaglia contra i rei.
Ebberlo in odio li
eretici,
però che non
cessò di
costrastarli ed
ebbero in odio li
cherici però che riprendea la loro vita e ' peccati; ma
tutti i
buoni si
maravigliavano di lui e
amavallo. E tale
che pensava che fosse
eretico,
impazzòe. Tutto era
sempre inteso a
leggere, tutto a' libri, non si posava
né dì, né notte, o leggea alcuna cosa, o scrivea sempre".
Insino qui dice san Severo. E sì come da queste
parole si manifesta, ed e' medesimo il dice in più luogora,
molti persecutori e molti
detrattori
sostenne. I
quali persecutori come
allegramente
sostenesse, manifestasi
in ciò, che sì come elli dice ne la pistola che
mandò ad Assella: "Grazie ne
fòe a lo Dio mio, ché
io son
degno che 'l
mondo m'abbia avuto in odio, che
mi
chiamano
incantatore di
demoni, ma io sono per
venire al regno per
mala
fama e per
buona". Anche:
"Ora lo voglia Dio che per lo nome e per la giustizia
del Signore mio, tutta la turba de li infedeli mi perseguiti!
E voglia Dio che a mio vituperio si levi questo
matto mondo! Pure ch'io
meriti d'essere lodato da
Cristo, e speri la mercede de la sua impromessa.
Adunque
accettevole e da
desiderare è la tentazione,
il cui guiderdone s'
aspetta da Cristo in
cielo, e la maladizione
grave non è
mutata per la
divina loda". Morìo
san
Geronimo intorno a gli
anni
Domini
CCCXCVIII.
Cominciano le leggende de le
feste de' Santi del
mese d'Ottobre.
cap. 142, S. Remigio
Remigio
convertìo a Cristo il re e la gente Francesca.
Il re
aveva una moglie ch'avea nome
Clotildina,
cristianissima
donna, la quale si sforzava di recare a
la fede il
marito suo, ma non potea. E quand'ella ebbe
ingenerato un figliuolo, sì 'l volse
battezzare, ma il re
il
dinegò al tutto; quella non potendo posare, a la perfine
con grande
fatica lo
'mpetròe dal re, e
battezzò
il figliuolo. Il quale
comunque fue
battezzato, incontanente
morìo subitamente. Al quale il re disse: "Ora
appare che Cristo è vile
Domenedio, che non ha potuto
conservare colui per lo quale la sua fede potea essere
aggrandita". E quella gli rispuose e disse: "Anzi mi
sento io per questo essere più
amata dal mio Iddio,
ché 'l primaio
frutto del ventre mio
conosco ch'abbia
ricevuto, e
halli
donato un regno sanza fine assai migliore
che 'l tuo".
Ingravidòe un'altra volta e partorìo un altro figliuolo,
lo quale ella fece
battezzare, sì come il primaio, con
molta malagevolezza; e,
battezzato, infermòe subitamente
sì ch'era isfidato. Disse il re a la moglie:
"
Veramente è
debole il tuo Iddio, il quale non può
conservare a vita neuno che sia
battezzato nel nome
suo. Ché se tu ne generassi mille, e tutti gli facesse
battezzare, tutti quanti insieme morranno". Ma il
fanciullo
miglioròe, e ricevette santade, sì che regnòe dopo
il padre suo. E la
fedele
donna sì si sforzava di recare
il
marito suo a la fede, ma elli
contrastava in
tutti i modi. Ma in che modo elli si
convertisse detto
è ne l'altra
festa, dopo la Befania. E volendo il detto re
Lodovico, fatto
cristiano,
dotare la chiesa Maggiore
di
censo, disse a santo
Remigio che quantunque
terra elli girasse mentre che 'l re
dormisse ne la merigge,
tutta quanta gliele
donerebbe. E così fu fatto.
Ma abbiendo alcuno uno
mulino intra
confini di san
Romigi, il mugnaio, nel girare che 'l santo fece, il si
cacciò con indegnazione. Al quale disse san
Romigio:
"
Amico, non ti sia
duro che noi abbiamo insieme questo
mulino". Sì tosto come quelli l'ebbe
cacciato, la
ruota del
mulino si
cominciò a
volgere per
contradio,
e andò gridando dietro al santo: "
Remigio, servo di
Dio, vieni, e abbiamo insieme il
mulino". E quegli gli
rispose: "Né io, né tu". Incontanente la terra s'
aperse,
e
inghiottìo il
mulino.
Prevedendo san
Remigio la
fame che
dovea venire,
avendo raunato in una villa monticelli di
biada, gli
inebriati giudici schernendo il senno di questo
buono
vecchio, missevi entro
fuoco. Questi vedendo ciò, venne
là e, per lo
freddo de l'
etade e del tempo serotino,
sì si
cominciò a scaldare, e con riposato
cuore disse:
"Sempre è
buono il
fuoco, ma pertanto
coloro che
fecero
ciò, e i loro
diretani uomini, saranno
crepati
ne
li granelli e le
femmine saranno
gozzute". La qualcosa
così
avvenne in quella villa, infin a tanto che
furono
dispersi per
Carlo. Ed è da sapere che quella
festa di santo
Remigio, che si fa del mese di gennaio,
sì è la
festa de la sua
beata
morte, ma questa
festa
si dice ch'è de la traslazione del
corpo suo. Che con
ciò fosse
cosa che dopo la
morte sua il
corpo suo si
portasse a la chiesa di santo Timoteo e di santo
Apullinare,
a lato a la chiesa di santo
Cristofano,
cominciossi
ad
aggravare il
corpo, che per niuno modo si
potea muovere.
Finalmente costretti, pregarono il Signore
che
degnasse mostrare loro se, per ventura, in
quella chiesa di san
Cristofano, dove non avea
verune
orliquie di santi, volesse essere seppellito, e incontanente
sostennero il
corpo
leggerissimamente, e
soppellirolo
quivi onorevolemente. Nel quale luogo faccendosi
molti miracoli,
isciampiarono la chiesa e, fatto la volta
dietro a l'
altare, con uno monimento volendovi riporre
il
corpo
disotterrato,
nol poterono per veruno modo
muovere. E vegghiando in orazione e
addormentati tutti
insieme entro la mezzanotte, l'altro dì vegnente, cioè
il dì di
calendi ottobre, trovarono il sepolcro col
corpo
di san
Remigio portato da gli
angeli in quella volta.
Il quale
corpo dopo lungo tempo, in quello medesimo
die fue traslatato in una più
bella volta con una
cassa
d'
argento.
Fiorìo questo santo uomo intorno a gli
anni
Domini
CCCXC.
cap. 143, S. Leodegario
Leodagario essendo rispl
endente d'ogne vertude, ed
e'
meritòe d'essere fatto vescovo ne la chiesa di Verona.
Il quale, morendo il re
Clotario e
premendosi
gravemente le
ragioni del reame, per
volontà di Dio
e per
consiglio de'
baroni, fece re
Childerico,
fratello
di
Clotario, un giovane molto idoneo. Ma
Ebroino si
sforzava di fare segnore
Teodorico,
fratello
carnale del
detto
Childerico,
non per l'
utilitade del reame, ma
'mperò che de la signoria di colui era in tutte cose
odiato,
temea l'
ira del re e de'
baroni. Sì che temendo
Ebroino,
domandò licenzia da lui, ed
entrò in monasterio.
E
concedendolo quelli, e tegnendo in pregione
Teodorico, suo
fratello, acciò che non si sforzasse di
fare nulla contra il reame, per la
santità e per lo senno
del vescovo, de la pace maravigliosa tutti s'
allegravano.
Ma passato alcuno tempo, il re
pervertito dal
consiglio de' maligni, in tanto odio si mosse al servo
di Dio, che
cercava d'alcuna cagione e modo di
farlo
morire. Ma il vescovo
sostegnendo ciò mansuetamente
abbracciava tutti i nemici suoi come fossero
amici,
ordinò col re di fare la
Pasqua in quella
città
ne la quale era segnore. Ed eccoti in quello dì fu detto
a lui che ciò che quelli avea trattato de la sua
morte
era
determinato di
compiere. E quegli non temendone
nulla, ma
convitando in quel dì col re a la mensa, in
tal modo
fuggìo il perseguitatore che, servendo a Dio
nel monasterio di
Lussume eziandio ad
Ebroino, il
quale si
celava nel monasterio con l'
abito
monachile,
sì servìo per
continua
caritade. Poco stette che 'l re
morìo, e
Teodorico fu fatto re. Per la qualcosa
Leodagario
mosso da'
prieghi e da le
lagrime del popolo suo,
e costretto dal
comandamento de l'
abbate, tornò a la
sedia sua, ed
Ebroino uscì del monasterio, e fu fatto
siniscalco dal re. E
avvegnadio che prima fosse reo,
poscia
diventò peggiore, e con tutto
studio si sforzava
d'uccidere
Leodagario, e mandò
cavalieri che 'l prendessono.
Avendo dunque saputo ciò
Leodagario, volendo
dare luogo al suo
furore, uscendo fuori de la
città in
abito vescovile, fu preso da'
cavalieri, i quali gli trassono
immantanente gli occhi. Passati
due
anni santo
Leodagario col
fratello suo
Garino, lo quale
Ebroino
avea
isbandito, furono
menati nel palazzo del re. E
rispondendo
pazientemente e
pacificamente a le
beffe
d'
Ebroino,
comandò quel maladetto che
Garino fosse
battuto con le pietre, e 'l santo vescovo fosse
menato
a piedi ignudi sopra
agutissime pietre, per uno
fiume
corrente; e udendo che lodava
Domenedio in questi tormenti,
fecegli tagliare la lingua, e poco stante il
diè
in guardia ad uno, acciò che riserbasse a
nuovi tormenti.
Ma elli non
perdette l'uso del parlare, ma intendea
a la predicazione, e a l'
allegrezza come potea,
e predisse il tempo e 'l modo che 'l detto
Ebroino passerebbe
di questa vita. E una grande luce, a modo di
corona,
attorniò il capo suo, la quale abbiendo molti
veduta,
dimandarono il detto vescovo che ciò fosse. E
quelli
adumiliandosi in tutte le cose, rendette grazie a
Domenedio, e
ammonìo tutti quelli ch'erano ivi presenti
che
mutassono in meglio la vita loro. La qualcosa
udendo
Ebroino e veggendo, mandò
quattro giustizieri,
e
fecegli tagliare il capo. E quando quegli il
menavano
al luogo de la giustizia, elli disse loro: "Non fa mestiere,
frati, che voi v'
affatichiate più lungo tempo,
ma qui
empiete la
volontade di colui che vi mandò".
A queste parole tre di
coloro furono sì
contriti, che gli
si gittarono a' piedi, e
pregavallo di perdonanza, e 'l
quarto, quando l'ebbe
dicollato, fu incontanente preso
dal
demonio e, gittato nel
fuoco,
finìo la vita sua in
molta miseria.
Compiuti li
due
anni, udendo
Ebroino che 'l
corpo del
santo uomo facea molti miracoli, tormentato da miserabile
invidia, mandò là uno
cavaliere ch'elli sapesse
se il vero fosse così. E 'l
cavaliere superbo ed
arrogante,
quando fu venuto là, gridò
dando uno
calcio al
corpo del santo, e disse: "Muoia
chiunque crede che
morto possa fare miracoli!" Incontanente fu preso dal
demonio e morìo subitamente, e in questo modo con
la
morte sua
commendò più il santo. Abbiendo udito
queste cose
Ebroino, era più tormentato d'invidia,
sforzandosi di spegnere la
nominanza del santo, ma,
secondo il predicimento del santo, esso malvagio s'uccise
malvagiamente col
coltello. Fu morto questo santo
intorno a gli
anni
Domini
DCLXXX al tempo di Costantino
quarto.
cap. 144, S. FrancescoFrancesco, servo ed
amico de l'
Altissimo, nato ne
la
città d'Ascesi, e
diventato mercatante infino presso
che 'l ventesimo
anno de l'
etade sua,
consumò il tempo
suo vanamente vivendo. Lo quale
Domenedio percosse col
flagello de la infermitade, e
corresselo e
trasformollo
subitamente in altro uomo, sì che già
cominciava ad
avere spirito di
profezia. Ché essendo elli un
die preso
da' Perugini con molti altri, e messo a
dura pregione,
stando
dolenti gli altri, questi solo s'
allegrava; ed
essendone
ripreso da gli altri prigioni, rispuose così loro:
"Per ciò sappiate che io m'
allegro perché io sarò anche
adorato per santo per tutto il mondo".
Andando lui
una volta a Roma per
divozione, spogliossi le vestimenta
sue, e mettendosi indosso le vestimenta d'un
povero, sedette tra i poveri innanzi a la chiesa di san
Piero, e mangiòe
disiderosamente con essi, come fosse
uno di loro, e spesse volte
avrebbe ciò fatto, se non
fosse stato impedito d'essere
conosciuto da' suoi
conoscenti.
L'
antico nemico si sforzava di ritrarlo dal suo
buono proponimento, e misegli in
cuore una femmina
di sua terra,
contraffattamente
scrignuta, e se non si
rimane da quelle cose che ha
cominciate di fare, sì il
minacciava di
farlo somigliante a lei. Ma elli, riconfortato
dal Signore, udì questa parola: "Francesco, prendi
le cose
amare per le
dolci, e
spregia te medesimo, se
tu mi vuogli
conoscere".
Una volta, scontrandosi elli in uno malato, con
ciò fosse
cosa che questi cotali uomini
avesse molto a
schifo di vedere il volto loro, ma
ricordandosi de la
parola di Dio,
corse inverso lui e
baciollo; e dopo queste
cose quelli incontanente sparve. Per la qualcosa se
n'andò
colà,
dove stavano i malati e,
basciando
devotamente
le loro mani,
donò loro pecunia.
Entrando lui una volta ne la chiesa di san
Damiano
per pregare, la imagine di Cristo li parlò miracolosamente,
e disse a lui: "Francesco, va e
racconcia la
casa mia, la quale, come tu vedi, tutta si
disfà". Da
quell'ora innanzi l'
anima sua
diventa tutta
liquidita, e
la
compassione del
Crocifisso fu mirabilemente
confitta
nel
cuore suo. Missesi
sollecitamente a
racconciare la
chiesa e, venduto ciò che avea, e
dando la pecunia ad
un prete, e quelli per la paura de'
parenti
rifiutandola,
Francesco gliele gittò innanzi,
disprezzandola come
polvere;
per la qualcosa, legato dal padre e preso, sì li
rendette la pecunia e
rassegnolli insieme il vestimento e,
come
ignudanato, se n'andò volando al Segnore, e vestissi
di
cilicio. E sopra tutto questo
chiamò il servo di
Dio un semplice uomo e,
ricevendolo come padre, sì 'l
pregò che da che 'l padre gli
raddoppia le maladizioni,
elli per
contrario lo
benediceva. Ancora il suo
fratello
carnale veggendo Francesco nel verno,
coperto di
vili
pannicelli, in orazione tutto tremante, sì disse ad uno:
"
Di' a Francesco che del sudore suo ti venda una gonnella".
E quelli udendo ciò, sì rispuose
allegramente e
disse: "Questa
vendrò io al Segnore mio". Un
die udendo
lui quelle cose che 'l Signore parlò a'
discepoli suoi
mandateli a predicare, incontanente si mosse con tutta
la vertude a servare tutte quelle cose, trassesi i
calzari
di piedi, una sola e vile tonica si vestìo, e per
la
coreggia mutòe la
funicella. Nel tempo de la
neve
fu preso da li scherani e,
andando per la selva e
dimandato
da loro chi fosse, rispuose che era il
banditore
di Dio. E quegli il presero e
gittarollo ne la
neve,
così
dicendo: "Or giaci,
villano servo di Dio".
Molti nobili
cherici e ladici,
isprezzata la pompa del
secolo, s'
accostarono a le vie sue, i quali il padre santo
ammaestròe d'
aempiere la perfezione del Vangelio, di
prendere la povertade, e d'andare per la via de la santa
semplicitade. Scrisse ancora la regola del Vangelio a
sé e a' suoi frati, a quelli che già avea e che
avrebbe
per innanzi, la quale regola
confermò il papa
Innocenzio.
E
cominciò da quell'ora innanzi più
perfettamente
a spandere il seme de la parola di Dio, e per lo
mirabile
fervore
cerca la
città e le
castella.
Un
frate era tra suoi che parea, quanto di fuori si
vedeva, di molta
caritade, ma molto era singulare persona,
che con tanta
strettezza tenea il silenzio che non
si
confessava con parole, ma con
cenni. Ed essendo lodato
da tutti come per uno santo, il servo di Dio
andando
là dov'elli era, sì disse: "Lasciate stare, frati miei,
e non mi lodate in lui i
componimenti del
diavolo. Sia
ammonito di
confessarsi una volta o
due la settimana,
e se non lo
farà, tentazione del
diavolo è, e inganno
frodolente".
Ammonendolo i frati, puosesi il
dito a la
bocca, e
crollando il capo fece
cenno di none
acconsentire
per veruno modo. Non stette guari tempo che ritornò
come
cane al
vomito, e
finìo la vita sua in rie opere.
Affaticato per l'andare, il servo di Dio
cavalcava una
volta l'
asino, e 'l
compagno suo, cioè
frate Leonardo
d'Ascesi, simigliantemente affaticato, fra se medesimo
cominciò a pensare e a
dire: "Non giucavano a pari
i
parenti di costui e ' miei". Incontanente il servo di
Dio non volse
cavalcare più l'
asino, e
scesene a terra,
e disse al
frate: "Non si
conviene a me di
cavalcare,
e te andare a piede; però che tu
fosti più nobile di
me".
Stupidito il
frate gittossi a' piedi di san Francesco,
e
domandò perdonanza.
Passando lui alcuna volta per una via, femmina gli
venne
intoppata, la quale
anda
va molto ratta; per la
cui
lassezza e interclusi spirari, il servo di Dio mosso
a
compassione, sì la
domandò che ella
andasse
cercando.
E quella disse: "
Priega Dio per me, padre santo, ché
'l
buono proponimento ch'i' ho
conceputo, non
posso
mandare innanzi, ché mi impedisce il mio
marito, e
contradiami molto nel
servigio di Dio". E quegli le
disse: "Va, figliuola mia, ché tosto riceverai
consolazione
del
marito tuo, e
dinunziagli da la parte di
Dio onnipotente, e da la mia, che ora è tempo di salute,
poscia fia di ragione". Quella
dinunziando ciò al
marito, subitamente li si mutò la
mente, e
promise
castitade.
Ad un
villano che venìa meno di
sete in uno
diserto
il santo con le sue orazioni
impetròe da
Domenedio una
fonte d'
acqua in quel luogo. Ad uno ch'era molto
dimestico
con lui disse questa
credenza per
ispirazione di
Spirito Santo: "Oggi è alcuno servo di Dio sopra la
terra per lo quale, mentre che fia vivo, non lascerà
il Segnore incrudelire la
fame sopra gli uomini". E
così si dice che fue sanza
dubbio. Ma
rimosso lui, tutta
la
condizione si mutò in
contradio, però che dopo il
suo
beato passamento di questa vita
apparve al detto
frate, così
dicendo: "
Ecco che ne viene già la
fame,
la quale, mentre che io era vivo, non lasciò
Domenedio
venire sopra la terra". Ne la
festa de la
Pasqua
avendo
i frati apparecchiata la mensa più ornatamente che non
solevano ne l'
ermo del
Greccio in
bianche tovaglie e in
coppe di
vetro, vedendo ciò il servo di Dio, ritrasse
l'
andamento indietro, e togliendo uno
cappello ad uno
villano ch'era presente, ed un
bastone in mano, uscì
fuori, ed
aspettava a la porta. E mangiando i frati,
gridava a l'uscio de la porta che per
amore di Dio
facessono
bene al povero pellegrino.
Chiamato il povero dentro,
fulli porto il
descuccio in terra, solanato a mangiare.
E vedendo ciò e' frati furono tutti stupiditi; e
quelli disse loro: "Io ho veduta la mensa apparecchiata
ed ornata, e ho saputo ch'ella non è da poveri che
vanno a uscio a uscio per
limosina". La
povertà
amava
tanto in se medesimo e ne gli altri, che sempre
chiamava
la
povertà sua
donna. Se ne vedea alcuno più povero di
lui, incontanente gli
aveva invidia
e temeva d'essere
da altri superato. Ché essendosi elli iscontrato un
die
in uno poverello, disse al
compagno suo: "Grande vergogna
ci ha fatto la
povertà di costui, e molto hae
ripreso la nostra
povertà; però ch'io m'ho
eletto per
mie ricchezze e per mia
donna la
povertà, ed
ecco che
risplende più in costui". Passando un povero dinanzi
da lui, e 'l servo di Dio essendo mosso a grande
compassione
di lui, disse a lui il
compagno: "Per
quanto
questi sia povero, forse che non è in tutta la provincia
uno più ricco di lui di
volontà". E 'l servo di Dio gli
disse: "Tosto ti spoglia la tonica, e
dàlla al povero,
gittatili a' piedi, e
renditi in
colpa a lui". E 'l
fante
ubbidìo immantanente.
Una volta li venne incontrato in tre
femmine, che
ne la
faccia e ne l'
abito erano per tutto simiglianti;
le quali il salutarono in questo modo: "Bene ne vegna,
madonna
povertà!" E incontanente
disparvero, e non
furono più vedute. Essendo
andato a la
città d'
Arezzo,
era allora la terra a romore e a
battaglia tra loro medesimi,
vidde il servo di Dio, stando nel
borgo, le
demonia
sopra la terra in molto
sollazzo; e
chiamando il
compagno, che avea nome
frate
Salvestro, e sì li disse:
"Va a la
porta de la città, e
comanda a le
demonia, da
parte di Dio onnipotente, che
escano tosto de la
città".
Quelli andò ratto dinanzi a la porta, e gridò
valentremente,
e disse: "Da la parte di Dio, e per
comandamento
del padre nostro san Francesco, partitivi tutte
dimonia, quanti voi siete". E così tutt' i
cittadini poco
stante tornarono a
concordia. E 'l detto
Salvestro essendo
ancora prete secolare, vidde in sogno uno
croce
d'oro, che uscìa de la bocca di santo Francesco, la
cui sommitade toccava il
cielo, le cui
braccia
distese
in lato,
ambo le parti del
mondo
abbracciando,
cigneva.
E 'l prete
contrito lasciò incontanente il
mondo,
e
diventò perfetto seguitatore del servo di Dio, Francesco.
Stando il servo di Dio una volta in orazione, il
diavolo
il
chiamò
tre volte del suo propio nome. E quando il
santo gli ebbe risposto, quegli disse: "Non è oggi
peccatore nel
mondo che si
converta, che Dio non li
perdoni, ma
chiunque ucciderà se medesimo con
dura
penitenzia non troverrà giammai misericordia". Incontanente
il servo di Dio seppe per revelazione lo 'nganno
del nemico come si volle sforzare di
farlo
raffreddare.
E veggendo l'
antico nimico che per questo modo non
lo avea potuto ingannare, sì li misse addosso una grave
tentazione di
carne; e sentendola il servo di Dio,
ispogliossi;
con la
corda si
batteo
durissimamente, così
dicendo:
"
Eia,
frate
asino, così ti
conviene stare, così
essere battuto!" Ma
ritornandoli anche la tentazione
e non partendosi da lui, uscì fuori
ignudanato, e gittossi
in una grande
neve e, prendendo la
neve a modo
di
palla, sì ne
compuose
sette monticelli, e
ponendolesi
innanzi,
cominciò a
favellare al
corpo, e a
dire:
"Or ecco questa maggiore sì è la moglie tua, queste
quattro sono
due tuoi figliuoli e
due
figliuole, l'altre
due sono il
fante e la
fancella; or ti
briga di
vestirli
tosto, però che muoiono di
freddo, e se la molta
sollecitudine
di loro ti fia noia, or servi
sollecitamente
ad un Signore". Incontanente il
diavolo si partìo isvergognato
da lui, e l'uomo di Dio ritornò ne la
cella
glorificando il Signore.
Dimorando lui
alquanto tempo con messere Leone,
cardinale di santa Croce,
pregatone da lui, una notte
vegnendo le
demonia a lui, sì 'l
batterono
durissimamente;
e
chiamando il
compagno,
manifestolli il fatto,
sì li disse: "Li
demoni sono
castaldi del Signore nostro,
e' quali E' manda a punire i
falli, ma io non
mi
ricordo di veruno
fallo, lo quale per la misericordia
di Dio io non l'abbia lavato per
sadisfazione; ma forse
elli m'ha lasciato venire addosso i
castaldi suoi perché
io istò ne le
corti de' grandi parlati, la quale cosa non
genera forse
buona sospezione a' frati miei poveri, però
che per la ventura
credono forse ch'io
abbondi di
ricchezze". La mattina per tempo si levòe e partissi
da quello luogo.
Stando lui in orazione alcuna volta, udìo le schiere
de'
demoni
correre sopra il tetto de la
casa con grande
bussa. Quegli uscì incontanente fuori, e fecesi il
segno
de la Croce, e disse: "Da la parte di Dio onnipotente,
dico a voi,
demoni, che tutto ciò che v'è
promesso che
operiate nel mio
corpo, il
facciate; volontieri
sosterrabbo
ogne cosa, imperò che non
avendo me maggiore
nemico che 'l propio
corpo, sì mi vendicherete di lui
ch'è mio
avversario, da che voi per mio nome
farete
la vendetta". Sì che le
demonia con grande vergogna
si
dipartiro.
Uno
frate
compagno del servo di Dio, levato in
estasìa, infra l'altre sedie del
cielo, sì ne vidde una
molto
dignitosa e splendiente di maravigliosa gloria. Il
quale maravigliandosi a sui sì
chiara sedia fosse serbata,
udìo così
dire: "Questa sedia fue d'uno di quelli,
che
caddero di
cielo de' grandi prencipi, e ora è riserbata
a l'umile Francesco". E levandosi da l'orazione
domandòe il servo di Dio, e sì li disse: "Che openione
hai tu di te, padre?" E quelli rispuose: "Parmi essere
uno grandissimo peccatore". Incontanente lo spirito
disse nel
cuore del
frate: "
Conosci,
frate, che
vera fue la visione che tu vedesti, però che a la sedia
perduta per la superbia, l'umiltà rileverà l'umilissimo".
Il servo di Dio vidde il serafino in visione sopra se
crucifisso, il quale i segnali del suo
crucifiggimento
suggellòe
sì in lui
manifestamente, che elli medesimo pareva
crucifisso. Furono
consegrate le mani
e ' piedi e 'l lato
de le piaghe de la
croce, ma elli con
diligente
studio,
le
dette stimate teneva
nascoste a gli occhi di tutti.
Ma pure alcuni videro ciò in sua vita; ma ne la
morte
il videro assai. E che queste stimate
fossono
veraci,
per molti miracoli fu dimostrato, de' quali
basti di
dire
due ch'
avennero dopo la sua
morte.
In Puglia uno uomo, ch'avea nome
Ruggeri, stando
innanzi a la imagine di san Francesco,
cominciò a pensare
dicendo
se sarebbe vero che
a costui fosse venuto
cotale miracolo, o sarebbe
beffa, o trovamento
simulato de' suoi frati. E rivolgendo queste parole
ne la
mente, udìo un suono quasi come d'uno quadrello
ch'uscisse del
balestro, e sentissi
gravemente
fedito ne la mano manca; e non
apparendo nel guanto
ch'elli avea in quella mano, veruno male, trassesi il
guanto, e videsi ne la palma de la mano una grave
fedita quasi come di saetta, de la quale uscìa tanta
forza d'
ardore e di
dolore, che de l'
ardore e del
dolore
parea che venisse tutto quanto meno. E pentendosi lui
e
dicendo che
veramente
credea che quelle fossero le
stimate di Francesco, dopo
due dì orando e pregando
il santo di Dio per le sue
stimate, fue immantanente
liberato.
Nel reame di
Castella
andando a la
compieta uno uomo
divoto a san Francesco, essendo
messi
agguati per
uccidere un altro uomo, fu manomesso questi e
fedito a
morte per
erro, e fu lasciato per mezzo morto. E
poi quello micidiale gli
ficcò
crudelmente uno
coltello
per la
gola e, non
potendolne trarre fuori, sì se ne
partìo. Fue il romore e 'l grido grande da ogni parte,
e piagnendosi per morto da tutti. E sonando
la campana
de' frati in mezzo a la notte al mattutino, la moglie
cominciò a gridare: "Segnore mio, levati e va al
mattutino, ché la
campana ti
chiama". Incontanente
costui levò la mano, e parea che
accennasse ad alcuno
che li traesse il
coltello de la
gola; ed
ecco che, veggendo
tutti, il
coltello saltò via a la lungi come fosse
stato gittato di mano di
fortissimo
campione, e incontanente
si rizzò
perfettamente sanato, e disse: "Il
beato Francesco venne a me, e le sue stimate puose
in su le piaghe mie, e per la loro suavitade
ammorbidìo
tutte le mie piaghe, e col
toccamento le saldò
maravigliosamente;
il quale volendosi partire, io gli
accennava
che traesse fuori il
coltello, però che io non potea parlare
altrimenti. Ed egli
prendendolo, immantanente sì 'l gittò
fuori con grande
forza, e ponendo le stimate sue sante
in su la
fedita de la
gola, sì la
sanòe
perfettamente".
Ne la
città di Roma quelle
due
chiare lumiere del
mondo, cioè san
Domenico e san Francesco, stavano col
cardinale vescovo d'Ostia, il quale fue poscia Papa; e
disse a loro il
cardinale: "Perché non
facciamo noi
de' frati vostri vescovi e parlati, che
avanzano tutti gli
altri
per essempli e per
ammaestramenti?" Allora i
santi
cominciarono a fare lungo
contendimento nel risponder;
a la perfine vinse l'umiltà san Francesco di
non
porrersi innanzi, e vinse san
Domenico che, rispondendo
prima, ubbidisse umilemente. Disse dunque san
Domenico: "Messere, i frati miei sono innalzati in
buono grado s'ellino il
conoscono, e al mio podere non
gli lascerò venire in maggiore
specchio di
dignità".
Poscia rispuose san Francesco, e disse: "Messere, i
frati miei sono
chiamati Frati minori, perché non
prosumano
d'essere
fatti maggiori". San Francesco pieno
di semplicità di
colombo invitava tutte le
criature ad
amore del
Criatore, predicava gli uccelli, era
ascoltato
da loro, ed ellino, toccati da lui e
se non a la sua parola
si ritiravano; le rondini garrenti mentre predicava,
subito al suo
comandamento stavano in pace. Presso
a la
cella sua ad
Porziuncula una
cicala si stava in su
un
fico, e
cantava; e 'l servo di Dio
stendendo la mano,
sì la
chiamò, e disse: "
Serocchia mia
cicala, vieni a
me!" Quella ubbidendo immantanente,
saltolli in su la
mano, ed elli le disse: "Or
canta,
serocchia mia
cicala,
e loda il Signore tuo!" Quella
cantò immantanente, e
non si partì mentre ch'ella non n'ebbe la parola. Perdonava
a le lucerne e a le lampane e a le
candele, non
vogliendo con la sua mano sozzare lo
splendore. Volentieri
andava
riverentemente sopra le pietre per riguardo
di colui il quale è detto pietra; ricoglieva i
verminuzzi
de la via, acciò che non fossero
scalpitati da' piedi de
gli uomini, e a le
pecchie facea porre il
mele e'
buoni
vini, acciò non venissero meno nel verno per lo
ghiaccio;
tutti gli
animali
chiamava per nome di
frate. Di
maravigliosa ed ineffabile
allegrezza era pieno d'
amore
di
carità quando poneva
mente il sole e la luna e
le stelle, e
invitavale a l'
amore del
Criatore. La
corona
vietava che li fosse fatta,
dicendo che voleva che i
frati suoi semplici
avessero parte nel capo
suo.
Uno uomo molto
secolaresco
avendo trovato il servo
di Dio san Francesco predicare a san
Severino, vidde,
per revelazione di Dio, san Francesco molto risplendiente
di
due spade per traverso, segnato a modo di
croce: le
quali spade l'una
trabattea dal capo a' piedi, l'altra
da l'una mano a l'altra per lo petto. E non
avendolo
mai veduto,
riconoscendolo per questo
dimostramento,
venneli
contrizione, ed
entròe ne l'Ordine
ove morì
felicemente. Ed essendo caduto ne la infermità de gli
occhi per
continuo lagrimare,
confortandolo li frati che
s'
astenesse de le
lagrime, rispuose cosìe: "Non è da
cacciar via la
visitazione de la
eternale luce, per
amore
del lume che noi abbiamo a
comune con le
mosche".
Ed essendo costretto da' frati ched e'
sostenesse che e'
li fosse
dato rimedio a la infermitade del vedere, tegnendo
il medico di
cirugia il
ferro
rovente di
fuoco
ne la mano, il servo di Dio disse: "
Fratello mio
fuoco,
io
priego il Signore che ti
creò, che temperi il tuo
calore,
e che mi sii misericordioso e
cortese". E l'uomo
di Dio
dicendo ciò, fece sopra esso il
segno de la Croce;
perfondato il
ferro ne la tenera
carne da l'orecchia
infino a le
ciglia, niuno
dolore sentìo, secondamente che
disse.
Essendo
gravemente infermato il servo di Dio a l'
ermo
di santo
Urbano, non sappiendo che quivi
avesse
difetto
di vino,
domandò
bere e, non
avendovi altro,
fulli portata
de l'
acqua, e fatto il
segno de la Croce sopra
quella, sì la
benedisse, e l'
acqua si
convertìo in ottimo
vino. Sì che quello che la
povertà del
diserto luogo non
poteo fare, la pietade del santo uomo
impetròe da
Domenedio,
a l'
assaggio del quale, subitamente fue guerito.
Più tosto volea udire di sé vituperio che lode,
e per ciò,
crescendo in lui molti
meriti di
santitade,
comandava ad alcuno de' frati che ne le sue orecchie
lasciasse uscire parole che l'
aviliassono e,
dicendoli
quello
frate, avvegna che non volontaroso, che Francesco
era un
villano marcenaio,
inatto e
disutile, e 'l
santo rispondea: "
Benedicati Iddio ché tu parli il vero,
e cotali cose mi si
confà d'udire". Non volse tanto
soprastare il servo di Dio, quanto sottostare, né tanto
comandare come ubbidire; e per ciò,
dando luogo a
l'ufficio generale,
addomandò guardiano a la cui
volontade
sottostesse per tutto. Ancora al
frate col quale
usava d'andare sempre
promettea ubbidienza e
conservava.
Avendo lui trovato una grande
moltitudine
d'uccelli, e
avendogli salutati come fossero persone
ch'
avessero in sé ragione, sì disse: "
Fratelli miei uccelli,
molto
avete che lodare
Domenedio, il quale vi
veste di
piume, e
davvi penne da volare, ed havvi
conceduta
la purità de l'
aere, e
governavi sanza vostra
sollecitudine". E li uccelli
cominciarono a
distendere i
colli loro verso di lui e
protendere l'
ale,
aprire i
becchi
loro e ragguardare
attentamente in lui. Ed elli valicando
per lo mezzo di loro con la tonica le toccava, né
non se ne mosse veruna del luogo insino a tanto che,
avuta la licenzia, volassono tutti insieme. Predicando
lui a
castello
Almario, non vi potea essere inteso per
lo
canto che
facevano insieme le
rondini, che vi
faceano
loro
nido; a le quali elli disse: "
Serocchie mie
rondini,
già è venuto il tempo che parli io, perché voi
avete
detto assai, tenete silenzio infino a tanto che sia
compiuta
la parola di Dio". Al quale elle ubbidendo, tosto
si stettono
quete.
Abbiendo alcuno
frate
fedito alcuna persona, contra
la legge de l'ubbidienza, e
avendo
dato fuori
segno di
pentimento, impertanto l'uomo di Dio a volere spaventare
gli altri,
comandò che il
cappuccio di colui fosse
gittato nel
fuoco. Essendo il
cappuccio per tutto nel
miluogo del
fuoco,
comandò che ne fosse tratto fuori
e renduto al
frate. Fue tratto il
cappuccio del mezzo de
la
fiamma sanza veruno
segno d'
arsura.
Andando lui una volta per le paludi di Vinegia, trovòe
una grande
moltitudine d'uccelli che
cantavano nel palude,
e disse al
compagno: "Le suore
augelle lodano
il
Criatore loro,
andiamo noi, e nel mezzo di loro
cantiamo
l'ore nostre". Ed
entrando fra esse, l'
augelle non
si mossono punto; ma perché per lo molto gracidare,
non si potieno intendere insieme l'uno l'altro, disse
san Francesco: "Suore
augelle,
cessatevi del
cantare
infin a tanto che noi rendiamo
debite laude a Dio".
Quelle
cessarono immantanente e tacettoro. E
finite
l'ore del santo,
diede loro licenzia di
cantare, e quelle
ricominciarono a
cantare al modo usato.
Invitato lui
divotamente da uno
cavaliere, sì li disse:
"
Frate mio oste,
assenti a' miei
ammonimenti, e
confessati
de' peccati tuoi, però che tosto mangerai
altrove".
Quelli
assentendo immantanente,
ordinò i
fatti di
casa
sua e prese penitenzia di salute. Ed essendo
entrati
sani a Dio, l'oste morìo subitamente.
Passando una volta il servo di Dio per la Puglia, sì li
venne trovato ne la via una gran
borsa piena di
danari,
e
vendendola il
compagno, volsela torre per
dare a' poveri;
ma il santo non gliele lasciò per veruno modo
fare, e disse: "Non è licito,
frate mio, di torre l'altrui".
Ma
contendendo quegli pur per
volerla torre, san
Francesco stando un poco in orazione,
comandò poscia
a colui che ricogliesse la
borsa, la quale per
danari
avea in sé un serpente. Vedendo ciò il
frate,
cominciò
a tremare, ma vogliendo
adempiere il
comandamento de
l'ubbidienzia, prese la
borsa con le mani, e incontanente
ne saltò fuori uno grande serpente. E disse il
santo: "La pecunia a' servi di Dio non è altro che
diavolo e serpente velenoso".
Essendo un
frate
gravemente tentato,
cominciò a
pensare che s'elli
avesse alcuna cosa scritta di mano
del padre santo, quella tentazione
andrebbe via immantanente;
ma non essendo ardito di
manifestarli per veruno
modo il fatto, una volta il servo di Dio il
chiamò
e disse: "Recami, figliuolo, un poco di
carta e de lo
inchiostro, ché voglio scrivere alcune laude di Dio". E
quando l'ebbe scritte, sì li disse: "Or tieni questa
carta e guardala
diligentemente insino al
die de la
morte
tua". Incontanente ogne tentazione si partìo da lui.
Questo
frate medesimo quando il santo
giacea infermo,
cominciò cosìe a pensare: "
Ecco che 'l padre s'
appressima
a la
morte; molto mi
consolerei se dopo la sua
morte io
avessi la tonica sua". Poco istante il santo
il
chiamò, e disse: "Io ti
do questa tonica e, dopo la
morte mia, sì la t'abbia con piena ragione".
Essendo il servo di Dio
arrivato ad
albergo in Alessandria
di Lombardia a
casa d'uno onesto uomo, fu
pregato da lui che per l'osservanza del Vangelio mangiasse
di quello che li fosse posto innanzi. E
assentendo
il santo a la
divozione di costui,
corse questi e
apparecchiò
da mangiare un
capone di
sette
anni. E mangiando
loro, un paterino venne in quella
casa, e
domandòe
limosina per l'
amore di Dio. Incontanente il
servo di Dio udendo ricordare il nome
benedetto,
mandolli
uno
membro di
cappone. Riserbòe quello misero il
vembro che gli era
dato, e l'altro dì, quando il santo
predicava, sì 'l mostrò al popolo, così
dicendo: "
Ecco
che
carne manuca questo Francesco, lo quale voi onorate
come santo. Questo mi
diede elli ieri sera". Ma
il
vembro del
cappone parendo a tutti un pesce, fu ripreso
da tutti il paterino come un matto. Quando quegli
l'ebbe saputo, vergognossi, e
domandò perdonanza; e
ritornòe la
carne a la sua spezie, poi che quello peccatore
fu tornato al
cuore suo. E sedendo lui una volta
a mensa, e ragionandosi de la povertade de la
beata
Vergine e del Figliuolo suo, l'uomo di Dio si levò incontanente
da mensa, e mandava fuori
singhiozzi
dolorosi;
e
bagnando di
lagrime in su la gnuda terra, mangiò il
rimanente del pane suo. A le mani de' preti, a le quali
è
data
potenzia di
consacrare il
corpo di Cristo, volea
rendere molta reverenzia, onde spesse volte
dicea: "Se
mi venisse scontrare alcuno santo vegnente da
cielo, e
alcuno povero prete, più tosto mi metterei a
basciare le
mani del prete, e al santo
dicerei: "
Aspettami, san
Lorenzo, però che le mani di costui
contrattano la parola
de la vita, e posseggono più innanzi che cosa
umana".
Di molti miracoli fu risplendente in sua vita, che i
pani offerti a lui a
benedire a molti infermi renderono
santade; l'
acqua
convertìo in vino, e lo 'nfermo che
ne
bevve prima ricevette santade, e molti altri miracoli
fece. E
approssimandosi il dì de la sua
morte,
attrito
da lunga infermitade, sopra la ignuda terra si fece porre,
e fece tutti chiamare li frati che v'erano presenti e,
ponendo le mani sopra
catuno,
benedisse a tutti quelli
che erano ivi presenti, e a simiglianza de la
cena
Domini
divise una
fetta di pane tra tutti. Invitava, come era
sua usanza, tutte le
criature a laudare Iddio; ancora
essa morte, la quale è così terribile e in odio a tutti,
sì invitava al suo
albergo, e faccendosi lietamente incontro
a lei, sì
dicea: "Messere, vegna la mia
suora
morte!" E vegnendo a l'ultima ora
dormìo in pace.
La cui
anima vidde uno
frate fatta a modo di
stella,
simigliante a la luna in quantità, del sole ne lo
splendore.
Il ministro de' frati, il quale avea nome Agustino,
stando in Terra di Lavoro, posto al sezzaio punto de
la
morte, abbiendo già molto dinanzi perduta la
favella,
subitamente gridando, disse: "
Aspettami, padre;
aspettami,
ecco che ne vegno teco!"
Domandandolo i frati
quel ch'egli
dicesse: "Or non vedete voi il nostro Francesco,
che se ne va in
cielo?" E
dormendo incontanente
in pace, e' tenne dietro al padre.
Essendo morta una
donna, la quale era stata molto
devota di san Francesco,
faccendole l'Officio i
cherici,
e stando presente il popolo intorno al
cataletto, la femmina
si levò subitamente ritta in sul
cataletto, e
chiamò
uno de' preti che v'erano presenti, così
dicendo: "Io
mi voglio
confessare, padre mio, però ch'io era morta,
e
dovea essere messa in una
crudele pregione, però che
d'uno peccato ch'io ti
manifesterò non m'era ancora
confessata; ma pregando per me san Francesco,
fummi
conceduto di ritornare al
corpo, acciò che
manifestato
quello peccato, io
meriti d'avere perdonanza; e sì tosto
come io il t'
avrò
manifestato,
avveggente tutti voi,
mi
morrò in pace". Sì che
confessata la
donna e
assoluta,
incontanente
dormìo in
Domenedio.
Domandando in prestanza i frati da
Vicera un
carro
da uno loro vicino, quegli indegnato rispuose così:
"Io ne
scorticherei anzi
due di voi con esso Francesco,
che io vi prestassi il
carro mio". Ma ritornato in sé,
riprese se medesimo, e pentessi de la
bestemmia, temendo
l'
ira di Dio. Incontanente il figliuolo suo infermòe
e, infermato, venne al punto de la
morte. Veggendo
costui il figliuolo morto, voltolavasi per terra, e piagnendo
chiamava san Francesco e
diceva: "Io sono
quegli che peccai, me
dovevi
flagellare; or lo rendi,
santo mio, a colui che te ne
priega
devotamente, lo
quale lo togliesti a
biastemmiare
spietosamente". Incontanente
il figliuolo si levò ritto e, vietando il piagnere,
sì disse: "Quando io era morto, san Francesco
mi menò per una via lunga e
oscura, e
finalmente m'
allogòe
in un
bellissimo
giardino; poscia mi disse: "Ritorna
al padre tuo, non ti voglio più tenere!"
Un povero che
dovea
dare alcuna quantità di pecunia
ad uno ricco, sì 'l pregava che per
amore di santo
Francesco gli prolungasse il termine, e quegli
rispondendoli
superbamente, sì li disse: "Io ti
rinchiuderò
in tale luogo, che né Francesco, né altri non te ne potrà
aiutare". E tanto tosto il mise inferriato in una
carcere
tenebrosa; poco stante ed eccoti san Francesco e,
spezzata la
carcere e rotti i legami,
rimenò l'uomo a
casa sua, sano e lieto.
Uno uomo ch'avea sì perduta la gamba, che per
neuno modo si poteva muovere,
chiamava san Francesco
a cotali
boce, e sì
dicea: "
Aiutami, san Francesco!
Ricorditi de la
divozione, e del servizio ch'io ti
feci;
ché io ti
portai in
collo e
basciai le tue sante
mani e ' piedi; e
ecco che
pare ch'io muoia del
durissimo
tormento di questo
dolore!" Immantanente il santo
gli
apparve, e con un
bastone, ch'avea il
segnale del
Tau, gli toccò il luogo del
dolore e, rotta l'
apostema,
immantanente ricevette sanitade; ma sempre rimase il
segnale del
Tau sopra il detto luogo. Con questo
segnale
solea san Francesco
suggellare le sue lettere.
Nel
castello
Pomereto, ne le montagne di Puglia, essendo
morta la
fanciulla al padre e a la madre, che
più non aveano, la madre
divota di san Francesco, ripiena
di molta
tristizia, san Francesco l'
apparve, e disse
a lei: "Non piagnere, ché questo lume di lucerna che
tu piagni spento, per mio
priego ti
dee essere renduto".
Allora la madre prendendo
fidanza non lasciò portare
fuori il
corpo morto; ma
chiamando il nome di san Francesco,
e prendendo per la mano la figliuola morta, sì
la levò suso sana ed
allegra.
In Roma essendo caduto un
fanciullo piccolo da le
finestre del palagio e al postutto morto, per
dimandare
l'
aiuto di san Francesco fue
rimenato a la vita.
Ne la
città di Suessa rovinando una
casa uccise un
giovane, ed essendo posto nel
cataletto per sotterrare,
la madre
chiamava san Francesco con
divota orazione,
quanto potea. Ed eccoti entro la mezzanotte il
fanciullo
isbadigliare, e levossi sano lodando
Domenedio.
Frate Jacopo da Rieti
avendo passato un
fiume in una
navicella con altri frati, essendo già i
compagni in su
la riva, ed elli
brigandosi d'uscire, ne l'uscire de la
nave, si rivolse, ed elli andò in profondo del
fiume. Sì
che pregando i frati san Francesco che liberasse colui
ch'era profondato, ed elli
pregandolne anche col
cuore
come potea, ed eccoti il detto
frate andare per lo
fondo,
come per terra secca, e prese la
nave profondata, e
venne con essa a la riva. E non si
bagnò le sue vestimenta,
né pure una gocciola d'
acqua
entrò ne la
tonica sua. Rendette l'
anima al nostro Signore san
Francesco ne gli
anni del nostro Signore
[MCCXXVI].
cap. 145, S. Pelagia
Pelagia de le maggiorenti
donne de la
città d'Antiochia,
piena di molte cose e di ricchezze,
bellissima
del
corpo, superba ne l'
abito, vana ne l'
anima e lussuriosa
del
corpo, passando una volta per la
città con
molta
ambizione, in tal maniera che sopra lei non si
vedea altro se none oro ed
argento e pietre preziose, sì
che
dovunque
andava di
diversi odori di spezie riempieva
l'
aere. Ed
andavale innanzi e dietro grandissima
moltitudine
di
donzelli e di
donzelle, i quali medesimamente
erano vestiti di nobili vestimenti. E veggendola uno
santo padre, ch'avea nome
Nonno, vescovo d'
Eliopoleos,
il quale luogo si chiama ora
Damietta,
cominciò
a piagnere
amarissimamente di ciò, che quella avea
maggiore
sollecitudine di piacere al
mondo, che elli di
piacere a Dio; e gittandosi per terra, entro percotevasi
la
faccia con la terra; e
bagnando di
lagrime la terra
diceva: "
Altissimo Dio, perdona a me peccatore, però
che l'
ornamento d'una meretrice per un
die ha vinto
lo
'ngegno di tutta la vita mia. Non mi
confonda, messere,
l'
ornamento d'una meretrice dinanzi al
cospetto
de la
divina maestà tua da tremare; quella s'hae
abbellita
con sommo
studio per le cose
terrene, io m'ho
proposto di piacere a te, Signore non mortale e, per mia
negligenzia, non l'ho
adempiuto". E disse a quelli che
erano seco: "In verità vi
dico che
Domenedio vi porrà
innanzi contra di voi costei nel giudicio, però che questa
s'
adorna così
sollicitamente per piacere a terreni
amadori,
e noi ci
anneghittiamo di piacere al
celestiale
sposo".
Dicendo lui queste cose ed altre simigliante,
subitamente s'
addormentò, e vidde in visione che una
colomba nera, e molto puzzolente, volasse sopra lui
dicendo
la
Messa. Il quale abbiendo
comandato che i non
battezzati si
spartissono, la
colomba isparve, e ritornando
dopo la
Messa, e
attuffata dal detto vescovo in
su vasello d'
acqua, sì n'uscì fuori
monda e
bianca, e
volòe tanto alto, che non
poté essere veduta. Sì che
isvegliandosi il vescovo e
andato a la chiesa una volta
per predicare, standovi presente questa
Pelagia, sì le
venne tanta
contrizione che li mandò lettera per uno
messo, così
dicendo: "Al santo vescovo,
discepolo di
Cristo,
Pelagia
discepola del
diavolo; se tu
veramente
se' provato d'essere
discepolo di Cristo, il quale, come
hoe udito,
discese in terra per gli peccatori,
degnati di
ricevere me peccatrice, ma pentuta!" E quegli le rimandò
dicendo: "Io ti
priego che tu non
tenti l'umiltà
mia, però che io sono uomo peccatore, ma se tu hai
disiderio di salvarti, non mi potrai vedere solo, ma
vedra'mi tra gli altri". Ed essendo venuta a lui dinanzi
a molti, prese i piedi suoi e, piagnendo
amarissimamente,
cominciò a
dire: "Io sono
Pelagia, pelago
d'iniquitade,
ondeggiante da
tempeste di peccati; io
sono
abisso di perdizione; io,
divoramento e
lacciuolo
de l'
anime, molti ingannati hoe ingannati, la quale abbo
tutte cose ora in
abbominio". Allora il vescovo la
domandò,
e disse: "Com'hai tu nome?" E quella disse:
"Dal mio
nascimento son
chiamata
Pelagia, ma per la
borbanza de le vestimenta mi
chiamano tutti Margherita".
Allora quegli ricevendola pietosamente, sì le impuose
la penitenzia salutevole, e
ammaestrolla
diligentemente
nel timore di Dio, e
ringenerolla nel santo
battesimo.
E 'l
diavolo gridava quivi e
dicea: "O
forza
che m'è fatta da questo vecchio
cascante! O
forza! O
vecchiaggine rea! Maladetto sia il
die nel quale tu nascesti
contradio a me, però che tu m'hai tolta la grandissima
mia speranza".
Una notte
dormendo
Pelagia, il
diavolo venne a lei,
e
destandola sì le disse: "Madonna Margherita, che
male ti
fec'io mai? Or non t'abbo io ornata di ricchezze
e di gloria? Io ti
priego che tu mi
dichi in
qual cosa io ti
contristai; e io sono per soddisfare. Ma
io ti scongiuro che tu non m'
abbandoni, acciò ch'io
non
diventi
brobbio a'
cristiani". Ma ella si fece il
segno de la Croce, e soffiò contra al
diavolo, e immantanente
sparve. E 'l terzo
die raunò ciò ch'ella avea,
e
diedelo a' poveri. Da ivi ad
alquanti dì, sanza saputa
di persona,
Pelagia
fuggìo quindi di notte tempo, e
capitòe
nel monte d'Oliveto; nel quale luogo, prendendo
abito di
romito, s'
allogò iviritto in una piccola
cella,
e servìo a
Domenedio in molta
astinenzia. Ed era tenuta
di grande
nominanza, e
chiamavasi
frate
Pelagio.
Dopo questo venne un
diacono, che era sotto l'ubbidienza
del detto vescovo, che venìa in Gerusalem a
visitare i luoghi santi; al quale disse il vescovo che
poi che
avesse
visitate le luogora sante,
andasse
cercando
d'uno monaco che avea nome
Pelagio e
vicitasselo,
con ciò fosse
cosa che fosse verace servo di Dio.
Quando quelli ebbe ciò fatto, elli fue
conosciuto da lei,
ma non
conobbe lei tant'era
dimagrata. Al quale disse
Pelagia: "Ha' tu vescovo?" E quelli disse: "Sì,
messere". E quella disse: "
Prieghi per me il Signore,
però che
veramente è
apostolo di Cristo". E partendosi
il
cherico da lui, in capo di tre dì ritornò
alla
cella di
lei e, picchiando a l'uscio e non
rispondendoli persona,
aperse la
finestra, e
videlo morto. Allora
corse per
dirlo
al vescovo e al
cherico; e raunarsi là con tutti quelli
monaci per fare l'Officio a così santo uomo, e
avendo
tratto il
corpo suo fuori de la
cella, trovarono che era
femmina. E maravigliandosi molto di ciò, renderono grazie
a
Domenedio, e soppellirono il
corpo santo onorevolemente.
E morìo
otto dì
entrante Ottobre, intorno
a gli
anni
Domini
CCLXXXX.
cap. 146, S. Margherita - PelagioMargherita,
detta
Pelagio, vergine
bellissima, ricca e
nobile, con tanta
sollecitudine di
parenti fu guardata,
e
ammaestrata d'ottimi
costumi, e tanta onestade di
castitade era in lei, che in tutt'i modi rifiutava d'essere
veduta da gli uomini.
Finalmente fue
domandata
per moglie da un gentile giovane e, per
consentimento
de'
parenti d'
ambe le parti, s'
apparecchiano tutte le
cose necessarie a le nozze con grande gloria di
delizie
e di ricchezze. Essendo dunque venuto il
die de le nozze,
e
faccendo la
festa grande de le nozze i giovani e le
pulcelle e tutta la gentilezza insieme dinanzi a la
camera
già apparecchiata, la vergine,
ispirata da Dio,
considerando
il
danno de la
verginità
procurato per sì
dannosi trastulli,
abbattuta in terra con
lagrime, con
tanto
ricompensamento pesòe nel
cuore suo la gloria
de la
verginitade e le gravezza del maritaggio, che
tutte l'
allegrezze di questa vita riputava come sterco.
Onde
astegnendosi quella notte da la
compagnia del
marito, ne la mezzanotte, raccomandandosi a Dio, tagliossi
i
capelli e in
abito d'uomo
fuggìo
nascosamente.
E vegnendo ad uno monasterio ch'era da lungi, e
chiamandosi
frate
Pelagio, fu ricevuto da l'
abbate e
ammaestrato
diligentemente. E portossi tanto santamente
e
religiosamente che, morto il provveditore de le
monache, per
consiglio de' più
antichi e per
comandamento
de l'
abbate, fu posto sopra il monasterio de le
vergini,
avvegnadio ch'e' non volesse. Sì che servendo
loro non solamente de le necessitadi del
corpo, ma eziandio
del pasto de l'
anime
continuamente sanza veruna
colpa, il
diavolo, invidioso di tanto bene, studiossi come
potesse impedire il
prosperevole
corso di lui per
apponimento
d'alcuno peccato. Sì che trasse ad
avolterio
alcuna vergine che sopra le porte era; e, ingrossando
il ventre che non si potea già più
celare, tanta vergogna
e
dolore
abbatteo i monaci e le vergini d'
ambi i
monasteri, che solo
Pelagio, sì come
famigliare e proposto
di loro, sanza giudicio e
disaminazione fu
condannato
da tutti. Il quale con vituperio fu
cacciato fuori,
e
rinchiuso in una spelonca da un sasso, e
fulli
dato a
servire uno de' più
crudeli che fosse tra ' monaci, che li
servìa di pane d'
orzo e d'
acqua molto sottilemente. E
fatto questo i monaci si partirono, e lasciarollo solo quiviritto
Pelagio. E quella
sostenne ogne cosa
pazientemente,
e in nulla si turbò; ma rendendo grazie a
Domenedio,
sempre si
confortava per li
essempli de' santi
continuamente. A la perfine
avendo saputo che 'l termine
de la vita sua era presso, mandato così a
dire a
l'
abbate e a gli monaci per sue lettere: "Io
fui
chiamata
Margherita nel secolo, nata di nobile ischiatta, la
quale per passare il pelago de le tentazioni, sì mi puosi
nome
Pelagio. Io
non sono uomo;
mentìo non per inganno
quello ch'io ho mostrato per opera; del peccato
ho
acquistato vertudi, ho
compiuto la penitenzia io sanza
colpa; già vi voglio
pregare che non mi sotterrino gli
uomini, che non m'hanno
conosciuto per femmina, ma
le sante suore mi sotterrino, e così per
dimostramento
di femmina morente, con la purgazione del vivente, mi
riconoscano essere vergine, la quale gli
accusatori giudicavano
essere
adoltera". Udendo queste cose i monaci
e le monache
corsono a la spelonca, e fu
conosciuto
Pelagio da le
femmine essere femmina e vergine non
corrotta, e
faccendo tutti penitenzia, sì la soppellirono
onorevolemente nel monasterio de le vergini.
cap. 147, S. Taide
Taisi meretrice, sì come si truova iscritto ne la vita
di santi Padri, fue di tanta
bellezza che molte persone
vendendo per lei tutte le loro possessioni, pervennero
a l'ultima povertade; ma gli
amatori suoi per le gelosie
che aveano tra loro, spesse volte il limitare de
l'uscio riempievano del sangue de' giovani. La qualcosa
udendo l'
abbate
Panunzio, prese
abito di secolare,
e tolse un soldo di
danari, e andò a lei in una
città
de l'
Egitto, e
diede a lei e'
denari quasi per
pagamento
del peccato. Quella togliendo il prezzo, sì li
disse: "
Entriamo insieme ne la
camera". Ed essendo
entrato
Panunzio, ed invitato di salire in sul letto
ornato di preziose vestimenta, disse a lei: "Hacci
camera che sia più
addentro, dove non
entri persona?"
E quella il menò in una
camera più
addentro, e disse:
"Qui non ci potrebbe vedere altri che solo Iddio".
Udendo questo, l'
abbate disse a lei: "Sai che
Domenedio
sia?" Quella
dicendo che
conoscea che era Dio
e regno di Paradiso e pene di peccatori, disse l'
abbate
a lei: "Se tu l'hai
conosciuto, or perché
fai perdere
cotante
anime? Ché non solamente per la tua, ma per
l'altrui,
dovendo rendere ragione, sarai
dannata". Quella
udendo queste cose, gittossi a' piedi de l'
abbate
Panunzio,
e con
lagrime il pregava
dicendo: "Io so che
sia penitenzia, padre, e
confidomi ad
accattare perdonanza
per tuo
preghiero; ma
priegoti che
tre dì mi
dei indugio, e poscia
andrò
dovunque tu mi
comanderai,
e
farò ciò che tu m'imporrai". Ed abbiendo ordinato
il luogo dov'ella dovesse venire a lui, quella ragunò
tutto ciò ch'ella avea guadagnato del peccato, e portò
nel mezzo de la
città,
avveggente il popolo,
arse ogni
cosa nel
fuoco, così gridando: "Venite tutti voi che
avete peccato meco, e vedete come io
arderò tutto ciò
che voi m'
avete
dato!" Ed era il prezzo de l'oro di
libbre
CCCC. Ed
avendo
consumato ogne cosa nel
fuoco
andò al luogo dove l'
abbate
Panunzio avea ordinato con
lei. Da che ella l'ebbe trovato, sì andò ad un monasterio
di vergini, e
rinchiuselavi entro in una
cellolina,
e
suggellòe col piombo l'uscio de la
cella,
lasciandovi
una piccola
finestruzza, onde le fosse
dato poco da
mangiare; e
comandò che le fosse
dato da
certi servigiali
ogne
die uno poco di pane e uno poco d'
acqua.
E partendosi l'
abbate, disse a lui
Taisi: "In quale
luogo
comandi tu, padre, ch'io mandi fuori quello che
uscirà per naturale
corso?" E quelli disse: "Ne la
cella, come tu
se'
degna".
Domandando anche quella
in che modo dovesse orare, l'
abbate rispuose: "Tu non
se'
degna di nominare Dio, né menarti per bocca il
nome de la Trinitade, né ancora di levare le mani al
cielo, però che le
labbra tue sono piene d'iniquitade,
e le mani tue sono vituperate da sozzure, ma guardando
inverso l'oriente
dirai ispesso questa parola:
"Tu, che mi
criasti,
abbi misericordia di me!".
Essendovi dunque stata rinchiusa tre
anni,
increbbene
a l'
abbate
Panunzio, e andò a l'
abbate Antonio per
dimandare se Dio l'
avesse ancora perdonato i peccati
suoi. Allora santo Antonio ragunò i
discepoli suoi e,
narrata la cagione,
comandò loro che stessero in orazione
quella notte,
diviso l'uno da l'altro, acciò che
Dio
dichiarasse loro il fatto per lo quale l'
abbate
Panunzio
era venuto. Essendo dunque stati in orazione
perseverantemente, l'
abbate Paulo, il maggiore
discepolo
d'Antonio, vidde subitamente in
cielo un luogo
ornato di preziosa vestimenta, il quale luogo era guardato
da tre vergini con
chiara
faccia.
Queste tre vergini
furono: il timore de la pena futura, che ritrasse
lei dal male; il pudore de la colpa commessa, che gli
meritò il perdono; l'amore de la giustizia che la trasportò
a cose celesti. E
dicendo Paulo a loro che
quella grazia era pur d'Antonio, la
boce di Dio rispuose:
"Non è del padre tuo Antonio, ma de la meretrice
Taisi". La qualcosa quando Paulo ebbe raccontato
la mattina seguente, l'
abbate
Panunzio,
conosciuta la
volontà di Dio, sì si partìo con
allegrezza, e andò incontanente
al monasterio, e
isconficcòe l'uscio de la
cella. E quella il pregava che la lasciasse stare anche
rinchiusa, ed egli disse: "
Escine fuori, però che
Dio t'ha perdonato i peccati tuoi". E quella rispuose:
"Dio il sa che poscia che io
entrai qua, che di tutti
i peccati miei
feci una somma, e teneala sempre dinanzi
a gli occhi miei, e secondamente che lo spirare
non si parte de le nari mie, così non si
partìano i
peccati miei da gli occhi miei, ma sempre piagneva
considerandoli". A la quale l'
abbate
Panunzio disse:
"Non t'ha
Domenedio perdonato i peccati tuoi per la
penitenzia tua, ma perché tu hai
avuta sempre questa
paura ne l'
animo tuo". E poi che la n'ebbe tratta
fuori,
XV dì
sopravvisseci, e morìo in pace. L'
abbate
Effrem volle, per simigliante modo, quasi
convertire
un'altra meritrice. Ché invitando quella meritrice santo
Effrem
isvergognatamente a peccare, e
Effrem le disse:
"Vieni dopo me". Quella
andando dopo lui, sì la menò
ad un luogo, dove
aveva una grande
moltitudine d'uomini,
e disse a lei: "Ponti giù, ché voglio
ausare a
fare teco". E quella disse: "Come il
posso io fare dinanzi
a tanta
moltitudine?" E quegli rispuose: "Se
tu hai vergogna de gli uomini, or non ti
dovresti tu
vergognare più del
criatore tuo, il quale revela l'occulte
cose de le tenebre?" Quella fue
confusa, e partissi.
cap. 148, S. Dionigi
La sua passione e la vita sua
dittòe in greco
Metodio,
e in
latino
Anastagio,
libraio del Papa,
come dice
Hincmaro, vescovo di Renso.
Dionisio
Ariopagita fu
convertito da san Paulo
apostolo
a la fede di Cristo; il quale fu detto
Ariopagita
da una ruga de la
cittade
ne la quale abitava.
Ariopago
era la ruga di Marte, ne la quale era il tempio
di Marte.
Coloro d'
Atenia
dinominavano tutte le rughe
de le
cittade da li
dei, i quali
adoravano, sì come la
ruga di Marte era
chiamata
Ariopago; la ruga dove
s'
adorava Pan
chiamavano
Panapago, e così da tutti
li
dei
dinominavano le rughe.
Ariopago era una ruga
più
alta che l'altre, però che quivi era la
corte de'
nobili e le scuole de le
sette
arti. Sì che in questa ruga
dimorava Dionisio, grandissimo
filosafo, imperò che per
la pienitudine de le
divine cose e de la sapienzia, era
detto
Teosofo, cioè sapiente
di Domenedio. E stava con
lui un altro
filosafo, ch'avea nome
Apollofano. Quivi
stavano anche gli
Epicuri, i quali ponevano la
beatitudine
de l'uomo nel solo
diletto del
corpo, e li stoici che
la ponevano nel solo
diletto de l'
animo. Il
die che
il Signore nostro ricevette passione, essendo fatte le tenebre
per tutta la terra, li
filosofi ch'erano ad Atena
non poterono trovare la cagione di ciò ne le cose naturali.
Però che non fue naturale il
difetto del sole, sì
perché la luna era poco meno da la regione del sole,
ovvero nel
congiugnimento del
defetto come suole essere
pur nel sinodo del sole e de la luna. La luna era di
XV dì, e così era in
compiuta
distanzia dal sole, sì altressì
perché 'l
difetto non tolle il lume a tutte le parti
de la terra, sì altressì perché non può
durare tre ore. E
quello
difetto togliesse lume a tutte le parti de la terra,
sì si manifesta in ciò che santo Luca
Vangelista il
dice, in ciò che 'l Signore de l'università
sostenea
passione, e in ciò che fue ad
Eliopoli de l'
Egitto, e
in ciò che fue ancora a Roma
e in Grecia e in Asia
Minore. E ched e' fosse a Roma, sì 'l testimonia
Orosio
che
dice così: "Quando il Signore fu
confitto nel legno
de la Croce, fu uno grandissimo tremuoto per lo
mondo;
fessi e' sassi ne i monti, e molte parti de le
gran
città
caddero per lo
crollare più che usato non è.
E in quello cotale dì, ne l'ora sesta, il sole fue
oscurato,
diritta notte subitamente venne a la terra, intanto
che si racconta che furono vedute le stelle allora de
l'ore del
die, ovvero maggioremente
orribole notte
per tutto il
cielo". Questo dice
Orosio. Questo medesimo
dice Dionisio ne la Pistola che mandò a
Apollofano, e
dice così: "
Adombrato il
mondo tutto
dava maniera
per l'
oscuritade de le tenebre, poi che reddio purgato
il
diametro del sole, pigliammo la regola di
Filippo
Arrideo, e quando
avemmo trovato,
cosa conosciutissima
del resto, che il nobilissimo sole non
dovea patire
ingiuria,
dico a te: "
Santuario di profonda
conoscenza, che ancora non sapevi il misterio di
tanta cosa! Che,
di
co,
specchio di
dottrina,
Appolofano,
che pon tu a queste scritture?" A la quale cosa
tu parli a me per bocca di Dio, non per sermone di
senno umano: "O
buono Dionisio, sono
mutamenti de
le cose
divine". A la perfine
ricorda il
die de la
feria
notato, e l'
anno de l'
annunziagione, lo quale Paulo
nostro
risonòe a l'orecchie
nostre, levate per gli
segnali che 'l gridano; provata la mano de la verità
di Dio, e
assoluto da la
falsità sanza legami".
Insin qui dice Dionisio. Di questo
ricorda anche
Policarpo
parlando di sé e d'
Apollofano: "
Ambedue noi
allora presenti ad
Eliopoli, e insieme stando, vedevamo
la luna
fuor d'openione stare dinanzi dal sole; e non
era tempo usato, e ancora
la vedemmo da quell'ora
de la nona infino al vespro, restituita sopra natura dal
diametro del sole. E quella
oscuragione vedemmo
incominciata
in oriente e venire infino al termine del sole,
poscia ritornare; e ancora non da quello medesimo e
'l
defetto e 'l
contrastamento, ma per
contrario fatta
secondo il
diametro". Infino qui dice Dionisio. Allora
era
andato con
Apollofano, saputo de l'
arte de
l'
astrologia, ad
Eliopoli,
città de l'
Egitto, e poi ritornò
di là.
Finalmente, secondo che si legge ne le Storie
Scolastiche,
i
filosofi vennero a questo: che
dissero che 'l
Domenedio de la natura
pativa pena. In altro luogo si
legge che
dissero: "O 'l
Domenedio de la natura è
pervertito, o gli
elementi
mentiscono, o 'l
Domenedio
de la natura
patisce pena e gli
elementi gli hanno
compassione".
In altro luogo si legge che Dionisio disse:
"Questa notte che noi ci maravigliamo che è
nuova,
significa la luce di tutto il
mondo che
debbia venire".
Allora quelli d'Atena ordinaro l'
altare a quello Dio, e
la soprascritta
dicea: "
Altare al
Domenedio non
conosciuto".
A tutti gli altri si ponea la soprascritta a
dimostrare a quale
Domenedio fossero sagrati; e volendovi
offerere sagrificio, i
filosofi
dissero: "De' nostri
beni non ha
bisogno, ma
farete
invenie dinanzi a l'
altare
suo, e
umilieretevi a lui, imperò che non va
caendo
offerte d'
animali, ma
divozione de li
animi". Essendo
Paulo venuto ad Atena, gli
Epicurei e gli Stoici
disputavano
con lui, e alcuni
diceano: "Che vuole
dire
questo seminatore di parole?". Altri
diceano: "
Nuove
dimonia ci viene questi
annunziare". E
menandolo a
la ruga de'
filosofi, acciò che la
nuova
dottrina fosse
quivi
disaminata,
dissero a lui: "Tu rechi
nuova
dottrina a le orecchie nostre; noi vorremo sapere che
cose queste vogliono essere". Quelli d'
Atenia a niun'
altra cosa
attendeano se non o a
dire o a udire
alcuna
nuova cosa. Abbiendo dunque Paolo
cerchi tutti
gli
altari e, veduto tra gli altri l'
altare del
Domenedio
non
conosciuto, disse a loro Paulo: "Quello Dio che
voi
adorate, non
conoscendolo, questo v'
annunzio, che
è veragio Dio, il quale fece il
cielo e la terra". Poscia
disse a
Dionigio, lo quale e' vedea tra gli altri più
ammaestrato ne le
divine cose: "Quale è, o tu
Dionigio,
quello Dio non
conosciuto?" Rispuose Dionisio:
"Egli è lo Dio verace, il quale tra gli
dei non è dimostrato,
ma a noi è non
conosciuto, e
dee essere nel
secolo che
dee venire, e in perpetuo
dee regnare".
Disse Paulo: "È egli uomo, o pure spirito?" Rispuose
Dionigio: "Egli è Dio e uomo, ma però è non
conosciuto,
perché la sua
conversazione è pure in
cielo".
E Paulo gli disse: "Quegli è colui ch'io vi predico,
il quale
discese di
cielo, ricevette
carne,
sostenne
morte
e al terzo
die risuscitòe".
Contendendosi ancora Dionisio
con Paulo, per ventura passava un
cieco dinanzi
a loro, incontanente disse
Dionigio a Paulo: "Se
tu
dirai a questo
cieco nel nome del tuo Dio: Vedi,
ed elli vedrà, incontanente ti
crederò; ma non usare
tu parole d'
arte
magica, che forse tu sai parole c'hanno
questa cotale
efficacia. Io ti scriverò la
forma de le
parole; in questa
forma di parole
dirai al
cieco: Nel
nome del nato de la Vergine,
crucifisso, morto, il quale
risucitò e salìo in
cielo, vedi". Ma acciò che ogne
sospezione fosse tolta via, disse Paulo a Dionisio che
elli medesimo
dicesse quelle parole al
cieco. Sì che
quando Dionisio ebbe detto al
cieco, in quella
forma,
ched e' vedesse, immantanente vidde. Allora
Dionigio
con
Damari, sua moglie, e con tutta la
famiglia si
battezzò, e
diventò
fedele
cristiano; e così fu ammaestrato
da Paulo per tre
anni, e poi fu fatto vescovo
d'
Atenia, nel quale luogo elli
soprastando a la
predizione,
quella
cittade e grandissima parte di quella
contrada
convertìo a la fede di Cristo.
A costui si dice che Paulo rivelasse quelle cose che
vide, essendo rapito insino al terzo
cielo, sì come esso
Dionisio
pare che voglia
dire in più luogora. Onde de
le gerarchie de li
angeli, e de li ordini, e de le
disposizioni,
e de li officii sì lucidamente e sì
chiaramente parlòe,
che si crede che queste cose
non udisse
da altri,
ma
maggiormente che esso fosse rapito nel terzo
cielo,
e quivi
avesse veduto tutte queste cose. Spirito di
profezia
ebbe, come si manifesta ne la Epistola ch'elli
mandò a Giovanni
Evangelista ne l'
isola di
Patmos,
essendovi
confinato, ne la quale Pistola profetòe che
quindi
dovea ritornare; e dice così: "
Rallegrati,
veramente
dolce,
veramente
amabile e
disiderevole e molto
amato!" E più disotto dice: "De la guardia la quale
è in
Patmos, sarai lasciato, e ritornerai a la terra d'Asia,
e
farai ivi
buoni seguitatori di Dio, e a
coloro che saranno
dopo di te
darai". A la
morte de la vergine Maria
fu presente altressì come gli altri, sì come
pare che
mostri nel
libro de' Nomi Divini.
Avendo dunque udito
che Piero e Paulo erano a Roma tenuti in pregione da
Nerone imperadore,
ordinò che un altro fosse vescovo
per lui, e elli andò a visitare gli
apostoli. Ma essendo
coloro
andati a
Domenedio
beatamente, ed essendo Papa
Clemente, fu mandato da esso san Clemente in Francia,
e
datoli in
compagnia
Rustico e
Eleuterio, sì che, mandato,
venne a Parigi, e
convertinne molti a la fede, e
fece molte
chiese, e
allogovvi
cherici di
diverso ordine.
Tanta grazia di
cielo
risplendette in lui che, movendo
spessamente i pontefici
turbamento nel popolo contra di
lui, e
correndo gli
armati contra lui per
ucciderlo, sì
tosto come il vedeano, tornavano a mansuetudine, e
gittavaglisi a' piedi, e poi, percossi da molta paura,
fuggivano
da la sua presenzia. Ma il
diavolo veggendo ed
invidiando che l'onore suo venìa meno, e la chiesa si
sciampiava per moltiplicamento de'
fedeli,
commosse a
tanta
crudelezza
Domiziano imperadore, che qualunque
trovasse alcuno
cristiano, od egli il
costrignesse di
sacrificare, od elli il punisse con
diversi tormenti. Sì
che mandato il prefetto
Fescennino da Roma a Parigi
contra i
cristiani, trovò san Dionisio predicare al popolo,
immantanente
comandò che fosse preso e
'ngoffato,
isputacchiato, schernito e legato con
durissime
funi, e
che fosse presentato dinanzi da lui con santo
Rustico
ed Eleuterio. E stando questi santi dinanzi da lui in
confessare la fede, eccoti venire una gentile
donna, e
affermava che 'l
marito suo
Lubio era sozzamente
ingannato da questi magi. Sì che mandato per lo
marito
di costei tostamente, e
perseverando ne la
confessione
del nome di Cristo, fu morto ingiustamente, e li santi
furono
battuti da
dodici
cavalieri. Poi costretti da grande
carico di
catene furono
messi in pregione. E 'l seguente
die san Dionisio fu
disteso sopra una graticola di
ferro
con le
fiamme disotto,
ignudanato, sopra la quale stando,
cantava al Signore così
dicendo: "Infiammata è la
parola tua
fortemente, e 'l servo tuo sì l'ha
amata".
Poscia fu levato quindi, e fu gittato a
ferocissime
bestie
affamate per molto
digiuno. E
correndo quelle
con grande
furore contra di lui, fece contra esse il
segno de la Croce, e
fecele
mansuetissime. Poscia fu
gittato in uno
forno, ma il
fuoco si spense, e non gli
fece veruno male. Fue
confitto in croce e
tormentato
quivi lungamente; poi ne fu messo a terra, e messo in
pregione co'
compagni e con molti altri
cristiani. Nel
quale luogo
dicendo elli la
Messa e
comunicando il popolo,
apparveli
Jesù Cristo con grande lume, e prendendo
il pane sì li disse: "Togli
questo,
caro mio, però che
meco è la tua grande mercede". Poscia furono
appresentati
al giudice e
macerati un'altra volta con
nuovi
tormenti, e a lato a l'idolo di Mercurio, con le
scure
furono tagliate loro le teste,
confessando la santa Trinitade.
Incontanente il
corpo di san Dionisio si levò ritto,
e portò il capo suo fra le
braccia a guida de l'
angelo,
andando innanzi lo lume
celestiale per
due miglia, cioè
dal luogo dove si dice Monte di Martiri infino al luogo
dove si riposa ora per sua
elezione e per la provvedenza
di Dio. E tanta
melodia d'
angeli
risonòe in quello luogo,
che tra molti che l'udirono e
credettoro, eziandio
Laerzia,
moglie del sopraddetto
Lubrio, si
chiamò
cristiana,
e incontanente da quelli
empii fu presa e
dicollata, e
così morìo
battezzata nel suo sangue; e 'l suo figliuolo,
ch'avea nome
Virbio, fu
cavaliere sotto tre imperadori,
e poi ritornando a Parigi fu
battezzato ed
entrò in religione.
E temendo gl'infedeli che i
corpi di san
Rustico
e di san
Eleuterio non fossero seppelliti da'
cristiani,
comandarono che fossero gittati nel
fiume di Senna. Ma
una gentile
donna invitòe a
desinare i
portatori di quello
corpo e, mangiando con loro, fece torre
furtivamente
quelli
corpi, e
fecegli soppellire nel
campo suo
celatamente;
e poscia
cessando la persecuzione gli levò quindi,
e
soppellilli onorevolemente,
accompagnandoli al
corpo
di san Dionisio. E furono
martirizzati ne gli
anni
Domini
XCVI,
avendo san Dionisio
etade di
XC anni.
Dicendo la solennità de la
Messa santo Regolo in
Arelate,
avendo raccontate le nomora de li
apostoli
ne la segreta, sì v'
aggiunse questa parola: "E li
beati martiri tuoi, Dionisio,
Rustico ed
Eleuterio". E
con ciò fosse
cosa che questi servi di Dio vivesseno
ancora per sua
credenza,
cominciossi molto a maravigliare
per che cagione elli
avesse così
nescentemente
raccontati i loro nomi ne la segreta. E maravigliandosi
così di ciò,
eccoliti
apparire
tre
colombe, e puosonsi
in su la
croce de l'
altare. Le quale
colombe
avevano
segnate di sangue nel lor petto le nomora di questi
martiri; le quali ragguardando
diligentemente, intese
per quelle che i santi martiri erano passati di questa
vita.
Ed è da notare che
Hincmaro, vescovo di Renso, ne
la pistola che mandò a
Carlo
dice che questo Dionisio
mandato in Francia fue quello
Ariopagita, sì come detto
è disopra. Quello medesimo dice
Joanni
Scoto ne la
pistola ched e' mandò a
Carlo, acciò che la ragione per
lo
compitato tempo non
contradicesse, sì come alcuni
volsono opporre.
cap. 149, S. Callisto
Calisto papa
sostenne martirio ne gli
anni
Domini
CCXXII, sotto
Alessandro imperadore. Al cui tempo la
più
alta parte di Roma
arse per
divina giustizia, e la
mano manca d'oro di Jove
alliquidìo. Allora tutt'i
sacerdoti vennero a
domandare
ad Alessandro imperadore
che li
dei
adirati fossero umiliati con sacrificii. E
offerendo i sacrificii, subitamente il
giovedì mattina
stando il
cielo sereno, venne una saetta
folgore da
cielo,
che uccise
quattro sacerdoti de l'idole, e
arse l'
altare
di Jove, e 'l sole
iscuròe, sì che il popolo di Roma
fuggìa
fuori de le
mura. E udendo
Palmazio
consolo, che
Calisto
co' suoi
cherici stava nascosto
in Trasteveri, pregò
ch'e'
cristiani, per cui era
addivenuto questo male, fossero
al postutto spenti per purgare la
cittade. Sì che
Palmazio preso ch'ebbe la
potenzia,
andato che fue
colàe con l'
arme e co'
cavalieri, essendo là, incontanente
diventarono
ciechi, e, spaventato,
mandollo a
dire ad
Alessandro. Allora
lo 'mperadore comandò che tutto
il popolo si ragunasse
mercoledìe per fare sacrificio a
Mercurio, acciò ch'
avessono risposta da quello Idolo. E
sopra questi
fatti e faccendosi ciò, una vergine del
tempio, la quale avea nome
Giuliana, fu presa dal
demonio,
e
cominciò a gridare: "Il
Domenedio di
Calisto
è vivo e vero, il quale è
cruciato per le nostre sozzure".
Udendo ciò
Palmazio, andò
oltre Trasteveri a la
città di Ravignani, a santo
Calisto, e fecesi
battezzare
a lui con la moglie, e con tutta la
famiglia. La qualcosa
udendo lo 'mperadore fecesi venire
Simplicio senatore,
e missegli ne le mani colui, acciò che
rimovesse
con
buone parole di
lusinghe, però ch'egli era
molto necessario a la repubblica. Ma
Palmazio
perseverava
in
digiuni e orazioni; e venne a lui uno
promettendogli
che se sanasse una sua moglie paralitica, incontanente
crederebbe. Orando dunque
Palmazio,
quella,
sanata, corse a Palmazio, così
dicendo: "
Battezzami
nel nome di Cristo, il quale ha tenuta la mano mia e
hammi
alleviata". Allora venne
Calisto e
battezzolla
col
marito suo
Simplicio e con molti altri. Udendo ciò
lo imperadore,
comandò che tutti i
battezzati
fossono
dicollati,
e fece stare
Calisto
cinque dì sanza
manicare e
bere. Ma veggendo che quelli si
confortava più,
comandò
che ogne dì fosse battuto, poscia il fece legare
ad uno grande sasso e, così legato, gittare da una
finestra
in uno
pozzo. E
Asterio prete levò quello
corpo
del
pozzo e
soppellilo nel
cimiterio di
Calipodio.
cap. 150, S. LeonardoLeonardo si dice che fu intorno a gli
anni
Domini
D. Costui fu
figlioccio di san
Remigio,
arcivescovo di
Renso, e da lui ammaestrato di salutevoli
ammaestramenti.
Li cui
parenti erano tenuti i maggiori nel palazzo
del re
di Francia. Ottenne tanta grazia dal re che
tutti gl'
incarcerati, i quali elli visitava, immantanente
erano
assoluti.
Crescendo dunque la
fama de la sua
santitade,
il re il
costrinse che stesse seco molto tempo,
tanto che venisse tempo di
darli vescovado. E quegli
il rifiutò e,
disiderando
solitudine, lasciò stare ogne
cosa, e col
fratello suo
Lifardo, predicando
capitò ad
ad
Orliens, nel quale luogo poi che
Lifardo ed elli
furono
abitati alcuno tempo in una
cella, volendo
Lifardo
sopra la ripa del
Ligere stare solitario, e Leonardo
per
ammonizione de lo Spirito Santo, propognendo
di
cavalcare in Aquitania,
basciaronsi insieme,
e
spartironsi l'uno da l'altro. Sì che Leonardo, predicando
per ogne
contrada e
faccendo molti miracoli,
abitò
in una selva, vicina de la
città di
Lemovica, là
dove era ordina
ta una
reggia per
cacciare. Or
avvenne
che un
die
cacciando il re in quel luogo, e la
reina
andata là per
diletto, e
pericolando del parto, piagnendo
il re e '
donzelli per lo
pericolamento de la reina,
passando per lo
bosco Leonardo udì le
voci de' piagnitori
e, commosso da pietade, andò là in
fretta, e,
chiamato
dal re,
intròe a lui incontanente. Essendo dunque
domandato dal re chi fosse, e elli
dicendo che era stato
un
discepolo di san
Remigio, il re ricevendone
buona
speranza, pensando che questi era stato ammaestrato da
buono maestro,
menollo dentro a la reina, e
pregollo
ched elli per li suoi
prieghi
impetrasse da
Domenedio
doppia
allegrezza, cioè di ricoverare la moglie e 'l figliuolo
partorito. Allora quegli fatta l'orazione,
impetròe
immantanente quello che
domandava. E offerendoli
il re molte cose in oro e
argento, ogne cosa rifiutòe, e
ammonìo il re che
desse quello a' poveri, così
dicendo:
"A me non fa mestiere veruna di queste cose, ma
disidero solamente di servire a Cristo solo in alcuna
selva,
disprezzando le ricchezze del
mondo". E
volendoli
il re
donare tutto quello
bosco, quegli disse: "Io
non 'l tolgo tutto; ma tanto quanto io
posso
attorniare
per una notte col mio
asino,
cotanto
desidero che me
ne sia
donato". E 'l re l'
adempiéo molto volentieri.
Ordinato dunque
inveritto uno monasterio, visse un grande
tempo in quello luogo in molta
astinenzia con
due monaci
accostati a lui. Essendo di lungi da lui l'
acqua
uno miglio,
fecevi
cavare un
pozzo secco, lo quale
adempiéo
d'
acqua con le sue orazioni. E quello luogo fu
appellato da lui
Nobiliaco, per ciò che da nobile re gli
era stato
donato. In quel luogo
splendeo da tanti miracoli
che
chiunque
chiamava il nome suo ne la
carcere,
incontanente si rompevano i legami, e
andavane libero
sanza
contradiamento di persona, e presentava al santo
le sue
catene, ovvero
bove. E di questi cotali ne stavano
molti con lui, e però
servìano al Segnore. E
sette
famiglie
de la sua schiatta nobile, venduto ch'
ebbero ogne
cosa, vennero a lui e,
distribuito il
bosco da
ciascheduno,
stando ivi con lui, molti ne trassono per lo loro
essemplo.
Finalmente il santo uomo Leonardo, lucente da molte
vertudi,
XII dì fra ottobre n'
andòe bene
avventuratamente
al Segnore, nel quale luogo, poi ch'ebbe
fatti
molti miracoli, fu rivelato a'
cherici di quella chiesa,
che per cagione di quello luogo,
ch'era stretto per
la
moltitudine spesseggiante,
facessono una chiesa
altrove,
là
traslatassono il
corpo di santo Leonardo
con onore. E stando
coloro tre dì in
digiuno e orazione
col popolo insieme, ragguardando, viddero tutta la provincia
coperta di
neve, ma quello luogo dove santo Leonardo
si voleva posare, al postutto era voto. Sì che
traslatato là, quanti miracoli
Domenedio
faceva per lui,
massimamente de l'
incarcerati, la grande varietà di
ferri dinanzi a la
sepoltura sua ne
dà testimonianza.
Il visconte di
Lemovica a
spaventamento de' rei
avea fatto una
catena di
ferro molto grande, e
comandò
che fosse
confitta al
ceppo de la torre sua; de la quale
catena
chiunque n'era
cinto in
collo,
abbandonato ad
ogne stemperamento d'
aere, non facea una ma mille
morti. Intervenne che uno servo di santo Leonardo fu
legato con quella
catena
sanza colpa; il quale essendo
già quasi in su la
stremità de la
morte, fra se medesimo,
con quello
boto che potéo, pregò san Leonardo che
com'elli liberava gli altri, così soccorresse a lui, suo
servo. Incontanente san Leonardo gli
apparve in vestimento
bianco, e sì li disse: "Non temere, ché tu non
morrai. Levati su, e porta questa
catena a la chiesa
mia; seguitami, però che io t'
anderò innanzi". Quegli
si levò, e tolse la
catena, e tenne dietro al santo Leonardo,
il quale andò innanzi a lui infino a la chiesa
sua, e sì tosto come furono dinanzi a le
regge, san
Leonardo il lasciò stare. E quegli
entrando ne la chiesa
raccontò a tutti quelle cose che san Leonardo gli avea
fatto; e quella grossa
catena
appiccòe dinanzi a la
sepoltura
di santo Leonardo.
Un uomo
abitante nel luogo di san Leonardo, cioè
a
Nobiliaco, il quale era molto
fedele al detto santo, sì
fue preso da uno tiranno; il quale tiranno pensando
fra se medesimo,
diceva questo: "Leonardo scioglie
tutti gl'
inferriati, e ogne
forza di
ferro viene meno
dinanzi da lui, come la
cera dinanzi al
fuoco. S'io
legherò
costui co'
ferri, Leonardo li sarà presente, e
liberrallo:
ma se io il potessi guardare, il
farei ricomperare
mille soldi. Io so come io
farò: io
farò ne la torre mia
una profonda
fossa, e
gitterovvi entro questo uomo
aggravato
di
ferri, e a la bocca de la
fossa ordinerò un'
arca
di legname ne la quale
farrò stare
cavalieri
armati;
avvegnadio che Leonardo rompa i
ferri, sotterra pur non
è elli ancora
entrato". Ed
avendo questo tiranno
compiuto
come pensato tutto avea, e quello uomo
chiamando
spesse volte san Leonardo in suo
aiuto, san Leonardo
venne di notte, e rivolse l'
arca dove giacevano i
cavalieri
e, come stanno i morti nel sepolcro, così gli
conchiuse
in quell'
arca. Indi
entrò con molta luce entro la
fossa e, prendendo il suo
fedele per la mano, sì li disse:
"
Dormi tu, o vegghie? Ecco Leonardo cui tu tanto
disideri".
E quegli maravigliandosi li disse: "Signore,
aiutami!" Incontanente furono rotte le
catene, e
preselo
ne le sue
braccia, e
portollo fuori de la torre;
poscia il ne
rimenò infino a
casa sua,
andandosi ragionando
con lui come fa l'uno
amico con l'altro.
Un pell
egrino tornando da visitare san Leonardo,
essendo preso in Alvernia e
rinchiuso in una
cava, pregava
molto
coloro che per
amore di san Leonardo il
lasciassero, con ciò fosse
cosa che non gli
avesse mai
offesi. Ed ellino rispuosero che non lascerebbero se non
si ricomperasse
copiosamente. E quelli disse: "Tra voi
e santo Leonardo ne sia, al quale sappiate che io mi
sono
accomandato". Sì che la seguente notte san Leonardo
apparve al segnore di quello
castello, e
comandolli
che lasciasse il pellegrino suo. Quegli levandosi la
mattina, e ischernendo la visione come fosse stato
un sogno, per veruna guisa il volle lasciare. L'altra
notte gli
apparve e
comandogli quello medesimo, ma
quegli l'ebbe anche in
contento d
i non ubbidire. La
terza volta la notte san Leonardo prese il pellegrino, e
trasselo fuori del
castello, ed incontanente la torre
caggendo
con la metà del
castello n'uccise molti, e solo
il segnore
riservòe a sua vergogna con le gambe rotte.
Uno
cavaliere, incarcerato in Bretagna,
chiama
in suo
aiuto santo Leonardo, il quale
apparve ne la
casa
entro la mezza notte,
avveggente tutti e
cognoscendolo
e maravigliandosi; e,
entrando ne la
carcere e
rompendo i legami, puose le
catene in mano a l'uomo,
e
menandolo per lo mezzo di loro, tutti gli spaventò.
Fue un altro Leonardo di quella medesima perfezione
e vertude, il cui
corpo si riposa a
Corbiaco.
Questi essendo prelato nel monasterio, con tanta umiltade
s'
abbassava, che pareva minore di tutti. Ma scorrendo
quasi tutto il popolo a lui, alcuni invidiosi
confortarono
il re
Clotario che se non si provedesse per
Leonardo, il quale ne
raccoglieva molti sotto spezie di
religione, il reame di Francia
sosterrebbe un piccolo
danno. A i quali il re troppo
credulo,
comandò che il
costrignessero. E vegnendo
i soldati con lui, furono sì
contriti per le sue parole, che promissero di
farsi suoi
discepoli. E il re, pentuto,
domandò perdonanza, e spogliòe
quelli
detrattori de' loro onori e del loro avere,
e
amò molto san Leonardo, e a grande pena per li
prieghi
del santo rimise i
detrattori ne le loro
dignitadi. Il
quale santo
impetròe altressì a
Domenedio che
chiunque
fosse tenuto in pregione, incontanente che
chiamasse
il nome suo, fosse libero. Stando costui un
die in orazione,
uno grandissimo serpente si mosse da' piedi e
andolli insino in
seno; e per tutto questo non si levò
da l'orazione, ma
compiuta l'orazione disse al serpente:
"Io so che dal
cominciamento che tu
fosti
creato,
dai
briga a gli uomini il più che tu puoi, ma ora se t'è
data podestade sopra di me, fu in me tutto ciò, onde
io sono
degno".
Dette queste parole il serpente,
saltandoli
per lo
cappuccio, a' piedi suoi
cadde morto. Dopo
queste cose
avendo
recato
due vescovi, ch'
avieno insieme
briga, predisse che 'l seguente
die
morrebbe
ro
circa gli anni Domini DLXX.
cap. 151, S. LucaLuca di Siria fu natìo d'Antiochia, medico per
arte. Secondo che vogliono
dire alcuni fu uno de'
LXXII discepoli del Signore, avvegna che san
Geronimo
dica che fue
discepolo de gli
apostoli;
non del Signore,
e la Chiosa sopra il
XXV capitolo de l'
Esodo dice che
non s'
accostòe al Segnore de' predicanti, ma dopo
la Resurressione sua venne a la fede.
Maggiormente
è da tenere ched e' non fosse uno de'
settantadue,
avvegnadio che alcuni n'
avessero questa openione. Il
quale fu di tanta perfezione in vita che ottimamente
fu ordinato e quanto a Dio e quanto al prossimo,
e quanto a se medesimo e quanto al suo officio. E in
figura di queste
quattro maniere d'ordinamento si dice
ch'egli ha
quattro
facce, cioè
faccia di leone e d'uomo
e di
bue e d'
aguglia. Però che
ciascuno de li
animali
avea
quattro
facce e
quattro penne, come
dice l'
Ezechiel
nel primo
capitolo. E acciò che noi veggiamo
meglio questo,
imaginianci alcuno
animale ch'abbia il
capo quadrato come legno quadrato, e in
ciascuno lato
imaginiamo una
faccia: da la parte dinanzi la
faccia
de l'uomo, da la
faccia da la parte ritta la
faccia del
leone, e da la manca la
faccia del
vitello, e da la
parte di drieto la
faccia de l'
aguglia. Ma perché la
faccia de l'
aguglia
avanzava l'altre per lo prolungamento
del
collo, lo quale è in lei lungo, però è detto
che era disopra. E
ciascheuno di questi
quattro avea
quattro penne, però che
imaginandoci
ciascuno
animale
quasi come quadrato, ed essendo in ogne quadrato
quattro
cantoni, a
ciascheduno
cantone era una penna.
Per questi
quattro
animali, secondo che
dicono i santi,
sono
figurati li
quattro
Vangelisti, de' quali
ciascuno
ebbe
quattro
facce, cioè scrivendo de l'umanitade, de
la passione, de la resurressione e de la
divinitade; ma
ciascheduna è
attribuita ad alcuno di loro per una cotale
appropiazione. Secondo
Geronimo san
Matteo è
figurato
in uomo, però che
principalmente tratta intorno a l'umanità
di Cristo; santo Luca è
figurato nel
vitello, trattando
del sacerdozio di Cristo; santo Marco nel leone,
scrivendo più
manifestamente de la resurressione. Però
che i
catellini del leone,
come dicono,
giacciono come
morti infino al terzo
die, ma per lo mugghiare del
leone nel terzo
die sono risuscitati. Anche perché
cominciò
il Vangelio suo dal mugghiare de la predicazione
santa, Giovanni è
figurato ne l'
aquila volando più alto
di tutti gli altri, scrivendo de la
divinità del figliuolo
di Dio. Cristo, del quale si scrivono tutte queste
quattro
cose, sì fue uomo nato di vergine, fue
vitello ne la
passione, e fue leone ne la resurressione, e fu
aquila
nel montare in
cielo. Sì che per queste
quattro
facce,
ne le quali è
disegnato santo Luca, come veruno de
li altri
Vangelisti, si dimostra come in quelli
quattro
modi fue ordinato. Per la
faccia de l'uomo si dimostra
come fue ordinato quanto al prossimo, lo quale
dee con
ragione
ammaestrare e con mansuetudine
attrarre e
con larghezza nudrire; però che uomo si è
animale
ragionevole, mansueto e liberale. Per la
faccia de l'
aquila
si dimostra ched e' fue
dirittamente ordinato
quanto a Dio, però che in lui l'occhio de lo 'ntendimento
ragguarda Dio per
contemplazione, il
becco de
l'
affetto s'
aguzza a Cristo per pensamento, la vecchiezza
si
caccia via per
nuova
conversazione. Però che
l'
aquila sia uno
aguto lume, intanto che ragguarda la
ruota del sole sanza
ribattere li occhi e, levata mirabilemente
in alto, vede i
pesciolini nel mezzo del mare.
Ancora il
becco ritorto in tal maniera che le
dà
impedimento
a prendere lo
cibo, sì 'l percuote a la pietra,
e così il fa
acconcio a prendere lo
cibo. Ancora
infiammata del
calore del sole, in una grande
fontana
si getta, e
caccia da sé la vecchiezza,
consumando
il
calore del sole la
caligine de li occhi, e
alleviando
le penne. Per la
faccia del leone si dimostra che
dirittamente
fu ordinato quanto a se medesimo, però che
ebbe nobiltade per la onesta
conversazione di
costumi,
ebbe sagacitade per lo schifamento de gli
agguati del
nimico, ed ebbe
passibilitade per la
compassione a gli
afflitti. Il leone è
animale nobile, però che è re di tutti
gli
animali; è sagace, però che
disfà con la
coda le
pedate quando
fugge, acciò che non sia trovato; è
passibile, imperò che li viene la
febbre
quartana. Per
la
faccia del
vitello, ovver
bue, si dimostra che
dirittamente
fosse ordinato quanto al suo officio, ciò fu a
scrivere il Vangelio, però che andò molto a la
distesa;
però che incominciò dal
nascimento di Giovanni Batista,
e dal
nascimento e
fantilità di Cristo, e così andò innanzi
a poco a poco infino a l'ultimo
componimento.
Discretamente
cominciò, però che
cominciò dopo gli altri
due
Vangelisti, acciò che quello ch'elli
avessero lasciato,
questi
ricompiesse, e quello che quelli
avessero sufficiente
mente
messo in iscrittura questi lasciasse. Intorno
al tempio e al sagrificio molto
soprastette a
dire,
e ciò si mostra nel principio e nel mezzo e ne la fine,
però che 'l
bue è
animale che va molto
adagio, e ha
l'unghie
fesse, per la qualcosa s'intende la
discrezione
de'
sacrificanti.
Ma come il
beato Luca fosse ordinato ne' predetti
quattro modi, meglio si
dimosterrà se l'ordine de la
vita sua sarà meglio ricercato. Primieramente dunque
ordinato fue quanto a Dio. In tre maniere s'ordina
l'uomo quanto a Dio, secondo che
dice san Bernardo,
cioè con la
confessione, col pensiere e con la intenzione.
L'
affezione
dee essere santa, il pensiero
mondo
e la 'ntenzione
diritta. L'
affezione ebbe santa, imperò
che fu pieno di Spirito Santo. Onde dice san
Geronimo
nel Prolago sopra Luca: "Morìo, ciò
dice, in Bitinia,
pieno di Spirito Santo". Secondariamente ebbe lo pensiero
mondo, però che fu vergine del
corpo e de la
mente, e in ciò si manifesta la
mondizia del suo pensiero.
Nel terzo luogo ebbe la 'ntenzione
diritta, però
che in tutte le cose che
faceva
cercava l'onore di Dio.
Di queste
due ultime cose si dice nel Prolago sopra gli
Atti de gli Apostoli: "Sanza peccato fue,
permagnente
in
verginitade". Questo è quanto a la
mondizia del pensiero:
"al Segnore volse
maggiormente servire" cioè
a l'onore del Segnore, questo è quanto a la
dottrina de
la
dirittura de la 'ntenzione. Secondariamente fue ordinato
quanto al prossimo. Al prossimo ci ordiniamo
quanto noi li
diamo quello che noi siamo tenuti.
Tre cose son quelle, secondo Riccardo da san Vittore,
le quali noi
doviamo rendere a' prossimi, cioè nostro
potere, nostro sapere e nostro volere, e 'l quarto, possiamo
aggiugnere noi, il nostro operare. Il nostro potere
in
aiutare, il nostro sapere in
consigliare, il nostro volere
in
disiderare, e 'l nostro operare in servire. Quanto a
queste
quattro cose fu ordinato santo Luca, Primieramente
al suo prossimo
diede il suo podere; e ciò si
manifesta in quello che sempre fu in
aiuto a san Paulo
in tutte le tribulazioni per
aiuto de la predicazione, sì
come san Paulo dice elli medesimo ne la seconda Pistola
a Timoteo, quarto
capitolo: "Luca è meco solo".
In ciò che
dice "meco" vuole
dire sì come
aiutatore
e
difensore; mostrasi com'egli
diede
aiuto e
conforto.
In ciò che
dice "solo" è notato come
fermamente
s'
accostò a lui. Anche ne la seconda Pistola a' Corinti,
VIII capitolo
dice di santo Luca: "Non solamente ciò,
ma ordinato è da le
chiese
compagno del pellegrinaggio
nostro". Secondariamente
diede al prossimo suo sapere
quando a nostra
utilità scrisse la
dottrina del Vangelio
e de gli Apostoli, la quale sapea. Di questo
dà elli testimonianza
nel Prolago suo, così
dicendo: "Paruto è
a me, o
Teofilo,
accivito il principio
diligentemente scrivere
a te per ordine, acciò che tu
conosca la veritade
di quelle parole de le quali tu
se' ammaestrato".
Come
diede ancora il suo podere in
aiutare, si manifesta
per quella parola che
dice san
Geronimo nel Prolago,
che le sue parole, cioè di santo Luca, sono medicina a
l'
anima inferma. Nel terzo luogo
diede il suo volere ne'
disideri, e ciò si manifesta per quella parola che
dice
san Paulo
ad Colosenses, capitolo IV: "Saluta voi
Luca medico, cioè a
dire
disidera che voi
abbiate
eternale
salute". Nel quarto luogo
diede al prossimo il suo
operare ne'
servigi, e questo si manifesta in ciò che
ricevette ad
albergo il Segnore, lo quale
estimava che
fosse alcuno pellegrino, e
diedeli ogne
servigio di
caritade.
Però che fu
compagno di
Cleofa quando
andava
in
Emaus, com'altri vogliono
dire,
come rapporta Gregorio
ne i Morali, avvegna che santo
Ambruosio
dica
che fue un altro, del quale elli pone il nome. Nel terzo
luogo fue bene ordinato quanto a se medesimo.
Tre
cose, secondo che
dice san Bernardo, sono quelle che
ordinano l'uomo troppo bene a se medesimo e
fannolo
santo, cioè il
vivere temperato, l'opera giusta e 'l
sentimento
pietoso; e
catuno di questi, secondo che
dice san
Bernardo medesimo, si
divide in tre: "Il
vivere, cioè
dice, temperato, se noi viveremo
continentemente,
accompagnevolemente,
e umilemente. L'opera giusta sarà
se fia
diritta,
discreta e
fruttuosa;
diritto per la
buona
intenzione,
discreto per misuramento e
fruttuoso per
edificazione;
il
sentimento sarà pietoso se la fede nostra
sente Dio sommamente possente, sommamente savio e
sommamente
buono, acciò che per la sua
potenzia noi
crediamo che sia
aiutata la nostra infermitade; per la
sua sapienzia noi
crediamo che sia
corretta la nostra
ignoranzia; per la sua
bontade
crediamo che sia
distrutta
la nostra iniquitade". Infino qui dice san Bernardo.
E in tutte queste cose fue ottimamente ordinato.
Prima ebbe il
vivere temperato, e questo in tre modi,
però che visse
continentemente, ché sì come testimonia
di lui san
Geronimo nel Prolago sopra Luca, elli non ebbe
giammai moglie né figliuoli. Nel secondo modo visse
accompagnevolemente;
e questo si nota in ciò che
dice
"
due" e in ciò che
dice "
discepoli", quasi
disciplinati,
cioè bene
accostumati. Nel terzo modo umilemente;
la cui umiltà si dimostra in ciò che puose il nome del
compagno suo
Cleofa, e 'l suo tacere. Ché secondo l'openione
d'alcuni, Luca per umilitade tacette allora il nome
suo. Secondariamente ebbe l'opera giusta, la quale
opera
fu diritta per la intenzione; e ciò si nota
ne
l'orazione, in ciò che si dice di lui: "Che la mortificazione
de la Croce portò
continuamente nel suo
corpo
per
amore del nome di Cristo". Fue ancora l'opera
discreta per
ammodamento, onde è dimostrato in
forma
di
bue, il quale ha l'unghia
fessa, per la quale s'intende
la vertù de la
discrezione. Fue ancora l'opera
fruttuosa per la
edificazione; ché tanto fue
fruttuoso
a' prossimi, che tutti l'aveano per
carissimo,
onde:
"Saluta voi, ciò
dice san Paulo
ne i Colossesi, capitolo
quarto, Luca medico
carissimo". Nel terzo luogo
ebbe il
sentimento pietoso, imperò che
credette
e nel
suo Vangelio
confessòe che Dio è sommamente potente
e sommamente savio e sommamente
buono. De'
due primi
dice nel Vangelio, nel quarto
capitolo: "
Stupidiansi
tutti ne la
dottrina di Cristo, però che in podestade era
la parola sua". Del terzo si manifesta nel
XVIII capitolo:
"Neuno è
buono altri che solo Dio". Nel quarto
ed ultimo luogo fue ordinato ottimamente quanto al suo
officio, lo quale fue scrivere il Vangelio. E in ciò si manifesta
come vi fosse ordinato, imperò che quello suo
Vangelio è
fornito di molta
[ms.: vertude], è ripieno di
molta
utilitade, è ornato di molta
bellezza e
autoritificato
per la
autorità di molti. Primieramente
diciamo ch'è
fornito di molta veritade.
Tre sono le veritadi, cioè verità
di vita e di giustizia e di
dottrina. La verità de la
vita sì è l'
agguagliamento de la mano a la lingua; la
verità de la giustizia è l'
agguagliamento de la sentenzia
al piato; la verità de la
dottrina è l'
agguagliamento de
la cosa a lo 'ntelletto. Di queste tre maniere
di verità
è
fornito il Vangelio di costui, però che in esso Vangelio
s'
ammaestrano queste tre cose di verità. Però che mostra
santo Luca che Cristo ebbe in sé queste tre veritadi
e averle insegnate a gli altri. Mostra poi avere
Cristo queste tre verità per testimonio de li
avversari,
sì come si manifesta nel suo Vangelio, ventesimo
capitolo:
"Maestro, noi sapemo che tu
dirittamente parli
e
ammaestri", ecco la verità de la
dottrina; "e non
prendi la persona", ecco la verità de la giustizia;
"ma in veritade
ammaestri la via di Dio", ecco
la verità de la vita.
Buona vita è
detta la via di Dio.
Secondariamente mostra in questo suo Vangelio che
Cristo
ammaestrò queste tre verità; però che quivi s'
ammaestra
la verità de la vita, la quale sta in osservare i
comandamenti di Dio. Onde dice nel
X capitolo: "
Amerai
lo Dio tuo con tutto il
cuore tuo". E anche
dice:
"Fa questo e viverai". Anche nel
XVIII capitolo: "Il
domandò uno: "
Maestro buono, che
facendo
possederabbo
vita
eterna?" Poi seguita: "Sai tu i
comandamenti:
non ucciderai, non sarai questo e quello". Nel
secondo luogo è
ammaestrata la verità de la
dottrina.
Onde
diceva ad alcuni che
pervertìano questa verità di
dottrina, ne l'
XI capitolo: "Guai a voi,
farisei, i quali
decimate, cioè predicate che si
dea
decima de la
menta
e de la ruta e d'ogne
erba, e trapassate il giudicio e
la
caritade!" Anche
dice iviritto: "Guai a voi, savi
de la legge, ch'
avete tolta la
chiave de la scienzia!"
Nel terzo luogo è
ammaestrata la verità de la giustizia;
onde dice nel
XX capitolo: "
Rendete dunque quelle
cose che sono di Cesare a Cesare, e quelle cose che
sono di Dio a Dio". Anche
dice nel
XIX capitolo: "Ma
menatemi qua quelli miei nemici, che non volsero ch'io
regnasse sopra loro, e uccide
teli dinanzi di me".
Anche
dice nel
XIII capitolo, là
dove si fa
menzione del
giudicio che Cristo
dirà a' riprovati: "Partitevi da me
tutti operari de la iniquità!"
Nel secondo luogo il suo Vangelio è ripieno di molta
utilitade; onde questi che lo scrisse fu medico, a significare
che quello medesimo ci
diede a
bere medicina
utilissima. Di tre maniere sono medicine, cioè medicina
curativa,
conservativa e
megliorativa. Queste tre maniere
di medicina mostra santo Luca nel suo Vangelio
che 'l
celestiale medico
apparecchiò a noi. La medicina
curativa è quella che
cura da la infermitade, e questa
è la penitenzia, che
cura tutte le infermitadi spirituali.
Questa medicina, dice elli, che 'l medico
celestiale ci
diede, quando dice nel quarto
capitolo: "A sanare i
contriti del
cuore, e a predicare a' pregioni la remissione
de' peccati". Anche
dice nel quinto
capitolo: "Non
son sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a
penitenzia". La medicina
megliorativa è quella che
accresce
la santade, e questa è l'osservamento de'
consigli,
però che i
consigli fanno l'uomo più
buono e più
perfetto. Questa medicina mostrò egli che 'l medico
celestiale ci
apparecchiò, quando dice nel
XVIII capitolo:
"Ciò che tu hai,
vendi, e da' a' poveri, e vieni dietro
a me".
Anche dice nel sesto capitolo: "Non impedire
colui che ti porta via il mantello di prenderti anche la
tunica". La medicina
conservativa è quella che
conserva
da alcuno
cadimento, e questa è il
fuggire le
cagioni del peccato e de le male
compagnie. Questa medicina
mostrò egli che 'l sommo medico ci
diede, quando
disse nel
XII capitolo: "Ponetevi a
cura dal
fermento
de'
farisei"; però che quivi
ammaestra di schifare le
compagnie de le male persone. Ovvero che si può
dire che
'l suo Vangelio è ripieno di molta
utilitade, però che in
esso si
contiene ogne vertù di sapienzia. Di questo parla
così santo Ambruogio, e dice: "Luca tutte le virtù de
la sapienzia
comprende ne la storia del Vangelio suo,
però ch'elli
ammaestrò cose naturali, quando per ispirito
aperse come fue la 'ncarnazione del Signore. Onde
David,
ammaestrando la sapienza naturale, dice a Dio:
"Manda lo Spirito tuo e saranno
criati". Anche
ammaestrò
che le tenebre furono fatte ne la passione di
Cristo, e che la terra tremò, e che 'l sole trasse a sé
i suoi razzi.
Ammaestrò cose morali quando in quelle
beatitudine insegnòe
costumi.
Insegnò cose ragionevoli,
quando dice: "Colui che è
fedeli ne la minima cosa,
saràe anche
fedele ne la grande". Sanza queste tre
sapienzie essa fede non può
conoscere il misterio de la
Trinitade, cioè con lo naturale, col ragionevole e col
morale". Infino qui dice santo Ambruogio.
Nel terzo luogo il suo Vangelio è ornato di molta
bellezza, però che 'l suo stile e modo di parlare è molto
bello e ornato. Ed acciò che altri ne' suoi
detti tegna
bellezza,
tre cose sono necessarie, le quali dice santo
Agostino, cioè che piaccia, e che sia manifesto, e che
muova. Acciò che piaccia
dee parlare ornato, acciò che
sia manifesto
dee parlare aperto, acciò che muova
dee
parlare con
fervore. Questi tre modi ebbe santo Luca e
in scrivere e in predicare. De'
due primi dice santo Paulo,
ne la seconda Pistola a' Corinti,
VIII capitolo: "Noi
mandammo con lui il
fratello".
Dice la Chiosa: "
Barnaba
o Luca, la cui loda è nel Vangelio per tutte le
chiese". In ciò che
dice: "la cui loda è nel Vangelio",
sì si nota che parlò ornatamente. In ciò che
dice: "per
tutte le
chiese", sì si nota che parlò
apertamente. E
ch'elli parlasse con
fervore sì si manifesta in ciò ch'elli
ebbe il
cuore ardente, quando disse: "Or non era il
cuore nostro ardente in noi?"
Nel quarto luogo il suo Vangelio è
autenticato per
autorità di molti, però che dal Sommo Padre fue
preordinato;
onde dice
Jermia nel
XXXI capitolo: "
Ecco che
verrà tempo, dice il Signore, e
farò a la
casa d'Israel
e a la
casa di Giuda
patto
nuovo, non secondo il
patto
ch'io
pattovii co' padri loro; ma questo sarà il
patto,
ch'io
farò con la
casa d'Israel, dopo que' dì, dice il
Signore:
darò la legge mia ne le interiora loro". A
lettera parla de la
dottrina del Vangelio. Secondariamente
fue
fortificato del figliuolo di Dio, onde dice il
detto Vangelio nel
XXI capitolo: "Il
cielo e la terra
passeranno, ma le mie parole non passeranno". Nel
terzo luogo fue spirato da lo Spirito Santo, onde dice
san
Geronimo nel Prolago sopra Luca: "Per
ispirazione
de lo Spirito Santo scrisse questo Vangelio, ne le parti
d'
Acaia". Nel quarto luogo fue
figurato da gli
angeli.
Però che fue prefigurato da l'
angelo, del quale dice
l'
Apocalisso,
XIIII capitolo: "Viddi l'
angelo volare per
lo mezzo del
cielo,
abbiente il Vangelio
eternale".
Questo
Vangelio è detto eterno imperò che da
eternale è
per
effetto, cioè da Cristo, il quale è
eternale, è di
cose
eternali
ne la natura e per fine, ed è in cosa
eternale perpetualemente.
Nel quinto luogo fu prenunziato da' profeti. Però
ch'
Ezechiel, profeta, prenunziò questo Vangelio quando
disse che l'uno de gli
animali avea
faccia di
vitello,
per lo quale è significato il Vangelio di santo Luca,
come detto è disopra. Anche quando dice
Ezechiel nel
secondo
libro, dove dice che vidde un
libro che era scritto
dentro e di fuori, e nel quale erano scritti lamenti e
verso e guai. Per questo
libro s'intende il Vangelio di
santo Luca, lo quale era scritto dentro per
occultamento
del profondo misterio, e scritto di fuori per l'
aprimento
de la storia. Nel quale si
contiene ancora il lamento
de la passione, e 'l verso de la resurressione, e 'l guai
de l'
eternale
dannazione, sì come e' si manifesta nel
XI
capitolo, dove si pognono molti guai.
Nel
sesto luogo fu aperto da la vergine Maria, però
che la
beata Vergine
conservava tutte le cose nel
cuore
suo, e
diligentemente le ragionava fra se stessa, come
dice santo Luca nel secondo
capitolo, acciò che queste
cose
aprisse poscia a li scrittori; onde dice la Chiosa in
quel luogo: "Tutte quelle cose ch'ella seppe che
fossono
fatte o
dette dal Segnore, o per lo Segnore, sì
riponea ne la memoria, acciò che quando venisse il
tempo di predicare o di scrivere de la Incarnazione
sofficentemente
potesse
ispianare tutte le cose, com'elle
erano state fatte, a
coloro che ne
domandassero". Onde
san Bernardo volendo
assegnare la ragione perché l'
angelo
annunziò a santa Maria la
concezione di santa
Elisabetta, dice così: "Però è
annunziata la
concezione
d'
Elisabetta a santa Maria, acciò che essendo
ammaestrata
or de l'
avvenimento del
Salvatore, or di quello
del Batista, tenendo ella a
mente il tempo e l'ordine,
apra poscia meglio la verità del Vangelio a li scrittori
e a' predicatori, la quale fue dal principio pienamente
ammaestrata di tutte le cose segrete da Dio". Sì che
si crede che i
Vangelisti la
dimandassono di molte cose,
e ella gliene facea
certi; e spezialmente si crede che
fosse santo Luca quelli che
ricorse a lei, sì come a
l'
arca, e fu
certificato da lei di molte cose, spezialmente
di quelle ch'a lei solamente erano manifeste, sì
come de la
annunziazione de l'
angelo, e del
nascimento
di Cristo, e di cotali cose de le quali
solo santo Luca
fa
menzione.
Nel settimo luogo fu dimostrato da li
apostoli, però
che non essendo stato santo Luca presente a l'opere
e a' miracoli di Cristo, però scrisse il suo Vangelio secondo
che gli
apostoli, i quali erano stati presenti con
Cristo, gli
dimostrarono a raccontarono, sì come elli
medesimo mostra nel Prolago suo, dove dice così: "Sì
come
diedero a noi
coloro che dal
cominciamento il videro
e furono ministri de la predicazione sua". Però
che
usandosi
dare testimonanza in
due modi, cioè del
veduto e de lo udito, il Signore (come
dice santo Agostino),
volse avere
due testimoni de le cose vedute,
cioè
Matteo e
Joanni, e
due de le cose udite, e cioè Luca
e Marco. E perché la testimonianza de le cose vedute
è più ferma e più
certa che quella de le cose udite,
però che, sì come
dice santo Agostino, li
due Vangeli
che sono de le cose vedute si pognono ne l'
estremitadi;
e gli altri
due, che sono de le cose udite, si
pognono nel mezzo, acciò che quelli di mezzo, sì come
meno
fermi, siano
armati e
fortificati da l'uno lato e
da l'altro da quelli che sono ne l'
estremitadi, i quali
sono più
certani.
Ne l'ottavo luogo fue
maravigliosamente
approvato
da san Paulo. Però ch'elli
appruova
maravigliosamente
il suo Vangelio quando, a
confermare i
detti suoi,
adducea
il Vangelio di santo Luca. Onde dice san
Geronimo
nel
libro de gl'
Illustri Uomini: "Alcuni
sospicarono
che quante volte san Paulo dice ne le sue Pistole: "secondo
il Vangelio mio", che s'intendesse del Vangelio
di santo Luca". Il suo Vangelio
approvò
maravigliosamente
san Paulo, quando di lui scrisse ne la seconda
Pistola a' Corinti,
VIII capitolo: "La cui loda è nel Vangelio
per tutte le
Chiese".
cap. 152, Ss. Crisanto e Daria
Crisanto, figliuolo di
Polinio, uomo nobilissimo, essendo
ammaestrato de la fede di Cristo, e non potendo
essere richiamato
dal padre ad
adorare l'idole,
comandò
il padre che fosse
rinchiuso in una
camera e
cinque pulcelle
accompagnato con esso lui, acciò che per
le loro
lusinghe fosse ingannato. E pregando lui Iddio
che non lasciasse vincere a la
fiera
pessima, cioè a la
carnale
concupiscenzia, incontanente le
dette pulcelle
abbattute dal sonno, non poteano prendere né
cibo né
beveraggio; ma trattane fuori, incontanente il prendeano.
Allora
Daria, vergine savissima, sagrata a la
dea Vesta, fu
pregata d'
entrare a
Crisanto, acciò ch'ella
il renda a li
dei e al padre. Quella da che fu
entrata
dentro, essendo ripresa da
Crisanto de la
boria de' vestimenti,
sì rispuose ch'ella non era così vestita per
vanagloria di vestimenti, ma per guadagnarlo a li
dei
e al padre. Riprendendola ancora
Crisanto perché
ella
adorava per
Domenedii
coloro, gli
accrescitori
de' quali
affermava ch'erano peccatori uomini e
carnali
femmine, rispuose
Daria che i
filosofi per li nomi de
gli uomini aveano
sancito gli
elementi. A la quale
disse
Crisanto: "Se l'uno dice che la terra sia onorata
come
dea, e l'altro
dice che 'l
villano la
ari, più si
pruova che
doni al
villano che a l'
onorante, e così è
del mare e de l'altre cose". Allora
Crisanto e
Daria,
convertita da lui, uniti insieme per
congiugnimento di
Spirito Santo, e infignendosi d'essere maritati
carnalmente,
molti ne
convertiano a Cristo. Ché
convertirono
Claudio, tribuno, con la moglie e co' figliuoli, e molti
altri
cavalieri a la fede di Cristo, i quali
Claudio era
prima stato loro
tormentatore. Sì che
Crisanto, per
comandamento di
Numeriano, fu
rinchiuso in una puzzolente
carcere, ma il
fiatore si
convertìo in suavissimo
odore. Ma
Daria fu messa nel
bordello, e 'l leone,
fuggendo da la piazza, fu fatto uscire del
bordello. Sì
che fu mandato uno a
corrompere la vergine
Daria, ma
il leone il prese e, quasi con
cenni,
dimandava la santa
quello che fare sì
comandi del preso. E quella gli
comandò
che non gli facesse male veruno, ma che lasciasse
venire a lei. E quegli, incontanente
convertito,
corse per
la terra, cioè la
cittade, e
cominciò a gridare che
Daria
era una
dea. Sì che furono mandati
cacciatori a prendere
il leone, ma tutti furono
presi dal leone, e posti
dinanzi a i piedi de la vergine
e da lei convertiti. Allora
il prefetto
comandò che fosse uno grande
fuoco a l'
entrata
de la
cella, acciò che 'l leone con
Daria
ardessono.
E 'l leone
considerando ciò sì temette, e mugghiando
domandò licenzia, ed
ebbela da la vergine d'andare
dovunque volesse, sanza nuocere a persona. E
faccendo il prefetto
diversi tormenti di pene a
Crisanto
e a
Daria, e non potendo per maniera veruna essere
danneggiati, a la perfine i non
corrotti
compagni furono
gittati in una
fossa e, così
coperti con la terra e con
le pietre, furono
consegrati martiri a Cristo. La solennità
di costoro si ricorda qui più
festivamente ne
la leggenda de le
XI migliaia de le vergini.
cap. 153, S. OrsolaLa passione de l'undici migliaia de le vergini fue
celebrata in questo modo. In Bretagna fue uno uomo,
re
cristianissimo, che ebbe nome Noto, ovvero Mauro,
il quale ingenerò una figliuola, la quale ebbe nome
Orsola.
In costei
risplendea maravigliosa onestà di
costumi
con sapienzia e con
bellezza, intanto che la
fama e la
nominanza di lei
correa per ogne
contrada volando. E 'l
re d'Inghilterra essendo molto potente, e
avendo molte
nazioni del
mondo sottomesse a lo 'mperio suo, udendo
la
fama di questa vergine, teneasi bene
beato per tutto
se la
detta vergine si
congiugnesse per mogliazzo al
suo un
ico figliuolo. E 'l giovane di ciò avea
disiderio
molto. Sì che furono mandati al padre de la vergine
ambasciadori, i quali con le grandi
promesse e con le
lusinghe,
aggiugnendovi le grandi minacce fatte a loro
se tornassero voiti al loro segnore di quella cosa, per
la quale elli erano mandati. Laonde il re di Bretagna
cominciò a
darsi molta
angoscia, sì perché non gli
parea
degna cosa di
dare la sua figliuola, segnata de
la fede di Cristo, ad uno
cultivatore de l'idoli, sì ancora
perché sapea bene ch'ella non vi
acconsentirebbe per
veruna maniera, e sì perché
temea molto la
crudelezza
del re. Ma ella, spirata da Dio,
confortò il padre che
desse la parola al detto re,
proponendoli cotali
patti,
ch'esso re col padre le
desse a
solazzo
X vergini
isceltissime,
e sì a lei, come a quelle
X, n'
assegnasse mille
altre vergini, e
ragguagliati i
viaggi fossero
dati a
lei tre
anni indugio, ne' quali ella
sagrasse la sua
verginitade,
e 'l giovane in questi tre
anni
battezzato fosse
e ammaestrato de la fede di Cristo. Volse dunque usare
savio
consiglio, acciò che, o per
mala voglienza de la
condizione proposta ritraesse l'
animo di colui da questo
fatto, o che per questa necessitade le
dette vergini
sagrasse seco a messere
Domenedio. E 'l giovane ricevuto
ch'ebbe volentieri questi
patti, fece stare
contento
il padre suo e, incontanente
battezzato,
comandò che
fosse
avacciato tutte quelle cose, le quali la vergine
have
domandate. E 'l padre de la
fanciulla ordinòe che
la figliuola sua, la quale egli
amava molto,
avesse in
sua
compagnia uomini del cui
sollazzo
abbisognava sì
ella come tutto l'
esercito suo.
Sì che da ogni parte
corrono le vergini, da ogne parte
vegnono uomini a così grande ragguardamento. E molti
vescovi vi trassono per andare con esse, tra ' quali fue
Pantulo, vescovo di
Basilea, il quale le menòe infino a
Roma; il quale partendosi di Roma con loro, sì ricevette
il martirio con esse insieme. E santa
Gerasina, reina
di Sicilia, la quale il
marito suo, re
crudelissimo, avea
fatto quasi di lupo
agnello,
serocchia di
Macirizio vescovo,
e di
Daria madre di santa
Orsola, abbiendo ricevuto
lettere di queste segrete cose, incontanente spirata
da Dio, prese seco
quattro sue
figliuole,
Babilla,
Giuliana,
Aurea e Vettoria e un
piccolino
fanciullo, ch'avea nome
Adriano, il quale, per
amore de le
serocchie sue, si misse
con loro a pellegrinare; lasciato il regno in mano d'un
suo figliuolo, infino in Bretagna, in Inghilterra, si misse
a navicare. Del cui
consiglio si raccoglievano vergini
di
diverse province e di
diversi reami, ed essendo sempre
guidatrice di
coloro,
finalmente fu
martirizzata con loro.
Essendo dunque
apparecchiate le vergini,
le trireme
e le spese, la reina rivelòe il segreto fatto a
tutt'i suoi
compagni, e tutti
fecero
congiurazione in
nuova
cavalleria. Or
cominciavano giuochi di
battaglia,
or
corrono, or
discorrono; alcuna volta tra loro
battaglie
cominciano, alcuna volta s'
infigneano di volere
combattere;
spesse volte s'
infigneano di
fuggire e d'
esercitare
per ogni maniera di giuochi. Neuna cosa che
venisse loro ad
animo lasciavano passare che
nol
facessero;
alcuna volta tornavano le merigge, alcuna
volta appena entro 'l vespro. Traevano là i
baroni e li
maggiorenti a così grande
sguardamento, e tutti si riempievano
de la segreta maraviglia e d'
allegrezza. A la
perfine
Orsola
avendo
convertito a la fede di Cristo
tutte le vergini, essendo uno
prosperevole vento per
ispazio d'un
die, giunsero al porto di Francia, dove si
dice Tiella, ed indi vennero a
Colognale, là
dove l'
angelo
di Dio
apparve a santa
Orsola, e predisse ch'elle
ritornerebbero là in quello numero ch'elle erano e
riceverebborvi
corona di martirio. E partendosi quindi per
ammonimento de l'
angelo per andare a Roma,
arrivarono
a la
città di
Basilea e,
lasciandovi le
navi, vennersene
così a piede a Roma. Al quale raunamento papa
Ciriaco s'
allegròe molto, con ciò sia cosa che fosse natìo
di Bretagna e
avesse molte
parenti tra esse; e venne
loro incontro, e
ricevelle con tutto il
chericato a grande
onore. E in quella notte fue revelato da Dio al detto
Papa, con quelle vergini riceverebbe vittoria di martirio.
La qualcosa
celando
appo se medesimo, molte ne
battezzò
di loro, le quali non erano state ancora
battezzate.
E veggendosi il tempo
bisognevole,
avendo retto la chiesa
per uno
anno e
XI settimane,
decimo uno dopo san
Piero, ne la raunanza di tutti
dimostrò il suo
propronimento
e, dinanzi a tutti, rifiutòe la
dignitade e
l'officio in che elli era. Ma
contradicendoli tutti, e
massimamente
i
cardinali, i quali
credeano che fosse uscito
de la memoria, di ciò che, lasciata la gloria del
papato,
volesse seguire e andare dietro ad alcune
femminelle
pazze, sì che elli non
consentendo a loro per veruno
modo,
ordinò in suo luogo uno santo uomo, il quale era
chiamato
Ametos; e perché elli lasciò la sedia
papale,
sanza volere del
chericato, il detto
chericato sì ne
rase il nome suo d'infra 'l numero de'
Papi, e ogne
grazia che quello
coro de le vergini aveano avuto in
corte a Roma, da quello tempo innanzi la
perdette.
Sì che
due malvagi principi de la
cavalleria di Roma,
ciò fue Massimo e Africano, veggendo la grande
moltitudine
de le vergini, e che molti e molte
correvano ad
esse,
cominciarono a temere molto che per loro non
crescesse troppo la religione di
cristiani. Per la qualcosa
ispiando elli il loro
andamento, mandarono
dicendo
a
Giulio, loro
cognato, prencipe de la gente che gli Unni,
che mettendo fuori l'oste loro addosso, quando venissero
a
Colognole, con ciò sia cosa ch'elle fossero
cristiane,
sì le uccidessono tutte. Sì che il
beato
Ciriaco
con quella nobile
moltitudine di vergini uscì di Roma,
e tenneli dietro Vincenzio,
cardinale, e Jacopo,
andato
di Bretagna, suo paese, in Antiochia, la
dignità de
l'
arcivescovado vi tenne
sette
anni. Il quale
avendo
visitato
a quello tempo il Papa, ed essendo già uscito di
Roma per
andarsene, udendo
dire de la venuta de le
vergini,
ritornovvi tostamente, e
accompagnossi a loro
al
viaggio e al martirio.
Maurizio, ancora vescovo de la
città
Lavicane,
zio di
Babiba e di
Juliana, e anche
Follario,
vescovo di Lucca, e
Sulpizio, vescovo di Ravenna,
i quali erano venuti in quello tempo a Roma,
accostaronsi
a le
dette vergini. Ed
Etereo, sposo di madonna
santa
Orsola, stando in Bretagna ricevette
ammonizione
da l'
angelo che
confortasse la madre a fare
cristiana.
Però che 'l padre suo morìo nel primo
anno nel quale
fu
battezzato e fatto
cristiano, e 'l figliuolo suo
Etereo
fu re dopo lui.
Tornando dunque da Roma le
dette sante vergini con
li
detti vescovi,
Etereo fu ammaestrato da l'
angelo che
si levi incontanente e vada incontro a la sposa, acciò
che con lei insieme, in
Colognole riceva la vettoria
del martirio. Il quale si fece
battezzare, e con una sua
serocchia
piccoletta, ch'avea nome Fiorentina e era
già
cristiana, e con Clemente, vescovo, sì missero incontro
a le
dette vergini, e
accompagnaronsi con esse
al martirio. E anche
Marcolo, vescovo di
Grecia, e la
nepote sua Costanzia, figliuola di
Doroteo, re di Costantinopoli,
la quale essendo maritata ad un giovane figliuolo
del re, morto il
marito prima che fossero fatte
le nozze,
promisse a Dio la sua
verginitade. Costoro
ammoniti per visione, vennero a Roma, e
congiunsersi
a le
dette vergini al martirio. Sì che tutte le vergini
con i
detti vescovi tornarono a
Colognole, e
trovarolla
assediata da li Unni. E veggendole quella gente
barberesca
con grande romore vennero loro addosso e, come
lupi
affamati tra le pecore, tutta quella
moltitudine uccisero.
E vegnendo a la
beata
Orsola poi che
ebbero
uccisi gli altri, veggendo il prencipe la sua
bellezza, fu
tutto
stupidito, e
consolandola sopra la mortalità de le
vergini,
promisse di
torlasi per moglie. Ma ella rifiutandolo
al postutto, ed egli veggen
dosi schernito,
diede
di mano ad uno
arco, e
trafissela d'una saetta, e cosìe
compiette il suo martirio.
E una di quelle vergini, la quale avea nome
Cordola,
per paura s'
appiattò in quella notte
ne la nave, ma
l'altro dì, offerendosi a la
morte, ricevette la
corona del
martirio. Ma non faccendosi
festa di lei, però che non
era
martirizzata con l'altre, dopo lungo tempo
apparve
ad una
rinchiusa, e
comandolle che 'l seguente dì, dopo
la
festa de le vergini, si ricordasse la solennitade di
quella vergine.
Martirizzate furono ne li
anni
Domini
CCXXXVIII. Ma la ragione non
sostiene che queste cose
fossero fatte per tale tempo; però che Sicilia non era
allora reame, neanche Costantinopoli, con ciò sia cosa
che qui
dica che ci fosse
con le vergini queste reine.
Più
veramente si crede che grande tempo dopo
Costantino
imperadore, fosse fatto cotale martirio, quando gli
Unni e ' Goti erano incrudeliti contra la gente
cristiana,
cioè al tempo di
Marziano, imperadore (come si legge
in una
Cronica), il quale regnòe ne li
anni
Domini
CCCCLII.
Fu uno che ebbe in grazia da la
badessa
di
Colognole un
corpo di queste vergini, e
promisse di
metterlo in
cassa d'
argento, e
ponerlo
riverentemente
ne la chiesa sua. Ma poi che l'ebbe tenuto in su l'
altare
entro in una
cassa di legno, una notte,
cantando
l'
abbate di quello monasterio il mattutino, quella vergine
discese
corporalmente di su l'
altare, e inchinandosi
riverentemente a l'
altare, per lo mezzo del
coro si
partì quindi, veggendola i monaci e maravigliandosi. Sì
che l'
abbate
corse tosto a la
cassa e,
trovandola vota,
andò tostamente a
Colognole, e disse il fatto per ordine
a la
badessa, e
andarono insieme
colà ond'elli aveano
levato quel
corpo, e sì 'l vi trovarono
entro. Allora l'
abbate
domandò perdonanza, e
chiedendo il detto
corpo
ovvero un altro, promettendo
certissimamente che
farebbe
una preziosa
cassa, per neuno modo poteo ciò
impetrare.
Abbiendo uno religioso in grande
divozione queste
vergini, un
die stando lui infermo, vidde una vergine
apparire a sé infermo, la quale era molto
bellissima, e
dimandollo s'elli la
conosceva. Il quale maravigliandosi
a la visione di costei, e
confessando di non
conoscerla,
quella disse: "Io sono una de le vergini, a le quali
tu porti tanto
affetto di
divozione, e onde tu riceverai
grande
merito se per
amore e per onore di noi se tu
dirai
XI milia volte il
paternostro, e ne l'ora de la
morte sì ci
averai in
defensione e in
sollazzo".
Disparendo la vergine,
quelli, il più tosto che
poté,
empiette il
consiglio,
e incontanente fece chiamare l'
abbate, e fecesi
inoliare.
E
inoliandosi gridòe subitamente, e
diceva: "
Fuggite
quinci e
fate luogo a le sante vergini". E
domandandolo
l'
abbate che ciò fosse, quando elli ebbe
manifestato
a l'
abbate le
'mpromesse de la vergine, che gli
era
apparuta, così per ordine, partendosi un poco i frati,
e poco stante ritornando a lui, trovarono ch'egli era
andato di questa vita con le vergini.
cap. 154, Ss. Simone e GiudaLa loro passione e leggenda scrisse in
ebreo Abdia,
vescovo di Babilonia, da essi
apostoli ordinato in
vescovo; la quale leggenda traslatò in grechesco
Tropeo,
discepolo d'Abdia, e Africano la traslatò in lingua
latina.
Simone
cananeo e Giuda, il quale fu detto
Taddeo,
furono
fratelli di Jacopo minore, e figliuoli di Maria
Cleofe, la quale fu maritata ad Alfeo. E questo Juda fu
mandato a san Tomaso ad
Abgaro, re d'
Odessa, dopo
l'
ascensione di Cristo.
Leggesi ne la Storia
Ecclesiastica
che 'l predetto re
Abgaro mandò una pistola al nostro
signore
Jesù Cristo, fatta in questo modo: "
Abgaro, figliuolo
d'
Eucania, al
Salvatore
buono, il quale è
apparito
ne' luoghi di Gerusalem, salute. Ho inteso di te e de
le sanitadi che tu
fai, che le
fai sanza
medicamento,
ovvero sanza
erbe, pur per te medesimo, e che a la tua
parola
fai vedere gli
ciechi, andare i
zoppi,
mondi i lebbrosi
e risuciti i morti. Le quali cose abbiendo udito,
puosi ne l'
animo mio che de le
due cose era l'una, o
che tu
sie
Domenedio, il quale
se'
disceso di
cielo per fare
queste cose, o che tu
se' figliuolo di Dio, che
fai queste
cose. E però iscrivendo io a te, sì ti
priego che ti
degni
d'
affaticare infino a me per guarirmi da la infermità,
ne la quale io sono. Imperò ch'io abbo sentito
cotanto,
cioè che i giudei
mormorano contro di te, e voglionti
porre
aguaito.
Vientene dunque a me, però che io abbo
una piccola
cittade, ma è onesta, che potrà
bastare ad
ambidue". E messere
Jesù Cristo gli rispuose in questo
modo: "
Beato
se' che hai
creduto in me, non
abbiendomi
te veduto, però ch'egli è scritto di me, che que'
che non mi veggiono
crederanno, e que' che mi veggiono
non
crederanno. Ma di ciò che tu hai scritto a
me, ch'io vegna a te,
conviemmi prima
compiere qui
tutte quelle cose, per le quali io sono mandato, e poscia
essere ricevuto da colui, dal quale io sono mandato. Ma
da ch'io sarò ricevuto da lui, io ti manderò uno de'
discepoli miei che ti
faccia sano e vivifichi".
E queste
cose sono ne la Storia Ecclesiastica.
Veggendo
Abgaro che presenzialmente non potea vedere
Cristo (come si truova in una
antica storia, sì come
dice Giovanni
Damasceno nel quarto
libro), mandò questo
Abgaro un
dipintore a Cristo, che
figurasse bene la imagine
sua, acciò che per questo modo il vedesse per la
imagine sua. Ma quando il
dipintore fue venuto a lui,
per lo molto
splendore che li uscìa de la
faccia, non
potea
porrere
mente ne la sua
faccia, né
figurarlo bene
sì com'era a viso. E vedendo ciò il Signore, prese un
panno di quello
dipintore e,
premendolosi a la
faccia,
puosevi su la imagine di se medesimo, e
mandolla al
disiderante re
Abgaro. E di chente imagine il Signore
fosse,
leggesi in quella
antica storia, come narra Giovanni
Damasceno, dove dice che 'l Signore ebbe
buone
ciglia, fu bene
adocchiato, ebbe lungo volto, e fue
chinatetto,
la quale cosa fu
segno di grande
onestàe.
E tanta vertù si dice che abbia quella pistola del nostro
Signore
Jesù Cristo, che in quella
cittade
Edessa non
puote stare veruno
eretico, ovvero pagano, né veruno
tiranno può loro nuocere. Che se per alcuno tempo alcuna
gente
armata si levasse contra quella
cittade, un
fanciullo stando sopra la porta legge quella pistola, e
in quello
die i nemici o
fuggono spaventati, o pacificati
fanno
patto con loro. Così si dice che fu per adrieto
adempiuto. Ma poi la
detta
città fu presa da' Saracini
e scomunicata, levato
fu da lei il
beneficio per l'
abbondanza
de' peccati palesata in oriente da ogne parte.
E poscia che 'l Signore fu salito in
cielo,
come si
legge ne la Storia Ecclesiastica, mandò san Tomaso
apostolo
Taddeo, il quale è detto Giuda, ad
Abgaro re,
secondo la
promessa di Dio. Il quale essendo venuto a
lui, e
dettoli ch'esso era il
discepolo di
Jesù Cristo, promesso
a lui, vidde
Abgaro nel volto di san
Taddeo un
maraviglioso e
divino
splendore; e veduto ciò fu
stupidito
e spaventato, e
adoròe il Segnore così
dicendo:
"
Veramente
se' tu
discepolo di
Jesù Cristo, figliuolo di
Dio, il quale mi mandò a
dire: "Io ti manderò uno
de'
discepoli miei, il quale ti guarisca e
prestiti la vita".
E
Taddeo li disse: "Se tu
crederai nel figliuolo di Dio,
tu
avrai tutti i
disideri del
cuor tuo". Al quale disse
Abgaro: "Io
credo in lui
veramente, e molto volentieri
taglierei a pezzi li giudei che 'l
crocifissono, s'io potessi,
e neente ne impedirebbe a ciò fare la
volontà de' Romani".
Essendo dunque
Abgaro lebbroso, sì come si
truova in quelli libri, san
Taddeo tolse la Pistola del
Salvatore
Jesù Cristo e
fregolla al volto di colui, e immantanente
ricevette perfetta sanitade.
San
Taddeo predicò prima in Mesopotamia e in
Ponto, e san Simone in
Egitto. Poscia ne vennero
abendue in
Persa, e trovaronsi i
due Magi, i quali san
Matteo avea
cacciati d'
Etiopia, ch'aveano nome
Zaroes
e
Arfassat. In quello tempo
Baradach
duca
del re
di Babilonia, contra gli indiani non potea avere veruna
risposta da' suoi
dei. Laonde si misero andare al tempio
de la più prossimana
cittade, ed
ebbero risposta che
per gli
apostoli, ch'erano venuti, gli
dei non poteano
rispondere. Allora il
duca fece
cercare per loro, e trovato
che li
ebbero, sì li
domandò chi e' fossero, o
quello che fossero venuti a
dire. E quegli rispuosero:
"Se tu
domandi di che gente noi siamo, sappi che noi
siamo
ebrei; se
domandi di che
condizione,
confessiamti
servi di Gesù Cristo; se
domandi il perché,
diciamti che
semo venuti per la vostra salute". A i quali il
duca rispuose:
"Quando sarò
coronato con
buona ventura, sì
vi intenderabbo". E li
apostoli
dissero: "Ora è più
convonevole che tu
conosca colui, per lo cui
aiuto tu
possi
vincere, o
certamente tornare
concordati li rubelli".
A i quali disse il
duca: "Io veggio che voi siete più
potenti ch' e' nostri
dei,
priegovi che voi
prediciate a
noi che fine
dee avere la
battaglia". Al quale
dissero
gli
apostoli: "Acciò che tu
conosca come gli
dei tuoi
sono
bugiardi, noi
comandiamo loro che rispondano a
quello di che sono
domandati, acciò che da ch'ellino
diranno quello che non sanno, proviamo che per tutto
abbiano
mentito". Allora gl'idoli
dissero che grande
battaglia
dovea essere, e molti del popolo
doveano morire
da l'una parte e
dall'altra. Allora gli
apostoli
com
inciaro a ridere. A i quali disse il
duca: "La
paura m'ha
assalito, e voi ridete?" Rispuosero gli
apostoli: "Non avere paura, ché la pace
entrò qua
con esso noi, e
domane a l'ora di terza verranno a
te gli
ambasciadori de l'indiani, e
sottometterannosi a
te, e a la tua signoria con pace". Allora i pontefici
levarono le risa grandi, e
dissero al
duca: "Per ciò ti
rendono costoro
sicuro, acciò che quando tu sii preso,
da li
avversarii tu
sie occupato".
Dissero gli
apostoli
al
duca: "Noi non t'
avemo detto che tu t'
aspetti
uno mese, ma un
die, e
domani sarai vincitore in
pace". Allora il
duca fece guardare gli
apostoli e '
pontefici, acciò che per la fine del fatto, i veritieri
fossero onorati, e '
bugiardi fossero puniti per l'offesa.
Essendo dunque intervenuto il domane vegnente
quello che gli
apostoli aveano
promesso, volendo il re
mettere al
fuoco i pontefici, gli
apostoli
dinegarono che
ciò non si facesse, con ciò fosse
cosa ch'egli erano
mandati non per uccidere i
vivi, ma per fare
vivi e'
morti. Allora il
duca maravigliandosi molto, e sì perché
non gli aveano lasciati uccidere, e sì perché non voleano
ricevere nulla di
beni loro,
menolli al re e disse
così: "Questi sono
dei nascosti in simiglianza d'uomini".
E abbiendo narrato al re ogne cosa in presenza di
detti magi, li magi commossi a
zelo d'invidia,
dissero
che quelli erano maligni uomini, e pensavano sottilemente
contra il reame. Disse allora il
duca: "Siete
voi
arditi di
combattere con loro?"
Dissero li Magi:
"Se tu vuogli vedere che in nostra presenza non potranno
parlare, vegnano qua uomini bene
allinguati, e
se
fieno
arditi di parlare nulla dinanzi da noi, proverrai
che noi per tutte cose siamo matti". Essendo
dunque
fatti venire molti
avvogadi in quello luogo, in
tal mo' furono
fatti incontanente
mutoli, che eziandio
per
cenni non mostravano che non potessono parlare.
Dissero li magi al re: "Acciò che tu sappi che
noi siamo
dei, noi gli lasceremo che possano parlare,
ma non andare; ancora renderemo loro il potere andare,
ma
faremo ch'ellino non potranno vedere con gli occhi
aperti". Ed abbiendo fatto ogne cosa, il
duca menò
quelli
avvocati così vituperati a gli
apostoli; e veggendoli
li
avvocadi con cotali
pannacci indosso,
spregiarli
ne l'
animo loro. A i quali disse san Simone: "Spesse
volte interviene che in
casse d'oro e di
gemme si ripognono
di
vili cose, e in vilissime
casse e di legno si
mettono preziosi ornamenti di
gemme. Adunque
chiunque
disidera d'essere possessore d'alcuna cosa, non
mette gran piato de la cosa che
contiene, ma di quella
ch'è
contenuta.
Promettetemi di partirvi da l'
adorare
gl'idoli, e d'
adorare uno dio solo invisibile, e noi vi
faremo il
segno de la Croce ne le
fronti, e potrete
confondere i magi". E
avendo ciò fatto, ed essendo
segnati ne le
fronti, tornarono un'altra volta al re, in
presenza di magi; e non potendo essere soperchiati da
i magi, anzi
faccendo loro soperchio dinanzi a tutta
la gente, adirati i magi,
fecero venire una
moltitudine
di serpenti. Incontanente al
comandamento del re vennero
gli
apostoli, e
empiettero i mantelli loro de' serpenti,
gittarolli addosso a i magi, così
dicendo: "Nel nome
del Signore non
morrete, ma
lacerati da' serpenti metterete
gran
mugghii per li
dolori che sentirete". Mangiando
adunque i serpenti le
carni loro, e ellino urlando
come lupi, il re e gli altri pregarono gli
apostoli che
lasciassero i serpenti uccidere
coloro. A i quali rispuosero
gli
apostoli: "Noi siamo mandati per recare li
uomini da
morte a vita, non per
farli traboccare de la
vita ne la
morte". E, fatta l'orazione,
comandarono a'
serpenti che tutto il veleno ch'egli aveano sparto addosso
a' magi ritraessono, e poi ritornassero a' luoghi
loro. E maggiori tormenti
sentirono i magi nel ritrarre
i serpenti il veleno, che non sentivano quando mangiavano
loro le
carni. A i quali gli
apostoli
dissero:
"
Tre dì sentirete
dolore, e 'l terzo
die sarete sani,
acciò ch'
almeno per questo modo
abbiate materia di
partirvi da la vostra malizia". E poi che furono stati
tre dì sanza mangiare e
bere e sanza
dormire, tormentati
molto de'
dolori, gli
apostoli vennoro a loro, e
dissero: "Non vuole
Domenedio i
servigii costretti, e
però levatevi su sani, e
andate a la via vostra abbiendo
libera possanza di fare quello che voi volete". Quegli,
indurati ne la malizia loro,
fuggirono da li
apostoli,
e poco meno che non mossero tutta Babilonia contra
di loro.
Dopo queste cose la figliuola d'un
duca
concepette
di
fornicazione e, partorendo il figliuolo,
infamonne uno
santo
diacono, che la
dovea avere
corrotta, e che di
lui avea
conceputo. E volendo i
parenti de la
fanciulla
uccidere quello
diacano, gli
apostoli
contradissono, e
domandarono quando il
fanciullo era nato. E quelli rispuosero:
"Nacque oggi ne la prima ora del
die".
Dissero gli
apostoli: "
Menate qua il
fanticino, e
fateci
essere il
diacono lo quale voi
accusate". Essendo ciò
fatto,
dissero gli
apostoli al
fanciullino: "
Dicci,
fanciullino,
nel nome del Signore
Jesù Cristo, se questo
diacono ebbe
ardimento di fare ciò." Rispuose il
fanciullo:
"Questo
diacono è vergine e santo, né mai
unque
maculò la
carne sua". E
soprastando i
parenti
a fare che li
apostoli
domandassero chi
avesse
commessa
questa
follia, rispuosero gli
apostoli: "A noi si
confà di prosciogliere gl'innocenti, e non si
confà d'
appalesare
i
colpevoli".
Avvenne anche a quello tempo
due tigri
aspri e
ferocissimi,
che si
andavano rinchiudendo per ogne
tana,
fuggivano e
divoravano
chiunque si parasse loro dinanzi.
Allora gli
apostoli vennero ad essi e, nel nome del
Signore, così
fieri serpenti
fecero
diventare come
pecore mansuete. E volendosi partire gli
apostoli quindi,
furono
pregati di rimanere, e
rimaserovi per
ispazio
d'uno
anno e tre mesi, nel quale tempo furono
battezzati
più di
LX migliaia d'uomini, sanza i
fanciulli col
re e co' principi. E li
detti magi
capitarono a una
città che ha nome
Suamair, là
dove erano
LXX
pontefici d'idoli, e
commosserli contro a gli
apostoli,
che quando venissero là od ellino
costrignessero di
sacrificare, od elli gli uccidessono al postutto. Sì che
quando gli
apostoli
ebbero
cercata tutta la provincia,
vennero a quella
cittade, ed ecco i
detti pontefici venire
con tutto il popolo, e
presoro gli
apostoli, e
menarongli
al tempio del sole. E i
demoni
cominciarono
a gridare per l'indemoniati, e
diceano: "Che have
voi a fare con noi,
apostoli di Dio vivo?
Ecco che ne
l'
entrata vostra siamo incesi di
fiamma". Allora l'
angelo
di Dio
apparve loro e disse: "De le
due cose
eleggete l'una: o che questi
muoiano subitamente o
'l vostro martirio".
E gli apostoli gli risposero: "È
da adorarsi la misericordia di Dio, acciò che converta
costoro e noi conduca al trionfo del martirio". E fatto
il silenzio gli
apostoli
dissero: "Acciò che voi sappiate
che questi idoli sono pieni di
demonia,
ecco che noi
comandiamo loro ch'elli
escano fuori, e
spezzino tutti
gl'idoli loro". Incontanente uscirono fuori come
saracini neri, ignudi, de i loro idoli, veggendoli tutta la
gente e maravigliandosi e, quando egli
ebbero
spezzati,
partironsi son
crudeli
boci. Veggendo ciò i pontefici
vennero loro addosso e ucciserli. In quella medesima
ora essendo grande sereno, vennero tante saette
folgori,
che quello tempio scoppiò in tre parti, e quelli
due
magi tornarono in
carboni per la percossa de la
folgore.
E 'l re traslatò le
corpora de li
apostoli a la
città sua,
e fece una chiesa di maravigliosa grandezza a loro
onore. Di san Simone si truova scritto in più luogora
che fu
confitto in
croce, e ciò
dice ancora santo
Isidoro
nel
libro de la
Morte de li Apostoli, ed
Eusebio
ne la Storia
Ecclesiastica, e
Beda sopra gli Atti de li
Apostoli, e 'l maestro Giovanni
Beleth ne la Somma
sua. E
dicono che abbiendo elli predicato in
Egitto,
tornò a Gerusalem e, dopo la
morte di sa' Jacopo minore,
fue ordinato da gli
apostoli
concordevolemente
vescovo di Gerusalem, e anzi che morisse
narrasi che
risucitò
XXX morti. Onde si
canta di lui: "Trenta
morti profondati per
tempesta recòe a vita". E abbiendo
retto la chiesa di Gerusalem per molti
anni, essendo
in
etade di
CXX anni, al tempo di
Traiano imperadore,
Attico avendo la signoria in Gerusalem d'
antico
consolare,
fu preso da lui, e afflitto con molte ingiurie.
A la perfine
comandò che fosse posto in
croce, maravigliandosi
tutti quelli che v'erano presenti, e esso
giudice, che uno vecchio di
CXX anni
sostenne il tormento
de la
croce. Sono alcuni che
dicono, ed è la
verità, che non fu questo Simone quelli che
sostenesse
il martirio de la
croce, ma fu un altro Simone, figliuolo
di
Cleofa,
fratello di Giuseppe; e ciò testimonia
Eusebio,
vescovo di Cesaria, ne la
Cronica sua. Quello
medesimo dice
Isidoro e
Beda ne le loro
Croniche. Però
che
Isidoro e
Eusebio l'aveano prima detto, ma poi il
corressono ne le loro
Croniche, e cioè si manifesta per
Beda, che sì ne' suoi
Ritrattamenti
si rimprovera che
avea sentito ciò.
Usuardo anche nel suo Martirologio
ciò testimonia.
cap. 155, S. Quintino
Quintino di nobile
legnaggio,
cittadino di Roma, vegnendo
a la
città d'
Ambianes e,
faccendovi molti
miracoli, per
comandamento di
Massimiano imperadore
fu preso dal prefetto di Roma e, battuto tanto che i
battitori vennero meno ne le
battiture, poscia messo in
prigione. Ma l'
angelo di Dio isciolse i legami de la
prigione, e
andòe nel
miluogo de la
città, e predicava
al popolo. Onde preso poi un'altra volta, e
disteso a
la
colla infino a la rottura de le vene, battuto ancora
co'
nerbi
crudi
durissimamente,
sostenne l'olio e la
pece e 'l grasso
boglientissimo; e faccendosi scherno
del prefetto, adirato il prefetto gittogli in bocca la
calcina
e l'
aceto e la
senape. Ma stando lui ancora fermo,
fecelo legare con
catene, e
presentollo a
Massimiano.
Ed essendo
menato come
agnello a la
morte, per
volontà
di Dio fu
comandato a'
cavalieri che a
Veromando
aspettassero il prefetto, e
andando l'
arriccionaro. Non
volendo
Quintino ancora
consentire, sì
crudelmente il
tormentò che
due
chiavelli gli
ficcò nel capo, e
fecegli
passare infino a le gambe, e
diece ne fece
ficcare tra
l'unghia e la
carne, e a la perfine il fece
dicollare.
Il cui
corpo essendo gittato nel
fiume, poi che fu stato
nascosto
LV anni, fu ritrovato in cotale modo da una
gentile
donna romana. Stando ella una notte in orazione,
l'
angelo l'
apparve e
comandolle ch'ella
andasse
al
castello
Veromando per
cercare in cotale luogo del
corpo di san
Quintino, e mettesselo in
sepoltura onorevolemente.
Essendo venuta dunque al detto luogo con
molta
compagnia, e
faccendo quivi l'orazione, il
corpo
di san
Quintino intero e sanza
corruzione, con molto
odore, andò a
galla nel
fiume. E
mettendolo in
sepoltura
per questo
beneficio, riebbe il vedere; e, fatta
quivi la chiesa, ritornossi a
casa.
cap. 156, S. Eustachio
Eustagio era
chiamato prima Placido. Questi era
maestro de'
cavalieri di
Traiano imperadore, e era molto
continovo ne l'opere de la misericordia, ma pure era
dato
al
coltivamento de l'idoli. E avea una moglie la quale
era
in simigliante
condizione misericordiosa; e
nacquegli
due figliuoli, i quali fece nutricare
magnificamente
secondo la sua magnificenzia. E perch'elli era
dato a
continue opere di misericordia, fu
degno d'essere
alluminato
a via di veritade. Uno
die, stando elli in
cacciagione,
trovò una greggia di
cerbi; tra ' quali ne vidde
uno più
bello de gli altri e maggiore, il quale partendosi
da li altri, missesi a
fuggire per la selva più
diserta. Ma essendo occupati i suoi
compagni a gli altri
cerbi, Placido mettea tutto suo
isforzo a questo, e
sforzandosi di
pigliarlo, e perseguitandolo a tutto suo
podere.
Finalmente il
cerbio montòe in su una ripa
alta,
e
appressimandosi là Placido pensava molto ne l'
animo
suo in che modo e' si potesse pigliare. E
considerando
diligentemente a quello
cerbio, vidde tra le
corna sue
forma di
croce sagrata, risplendente sopra la
chiarità
del sole, e l'imagine di Gesù Cristo; il quale parlò in
questo modo per la bocca del
cerbio, come fece
anticamente
per l'
asina di
Balaam, e disse così: "O Placido,
perché mi vai perseguitando? Io per tua grazia
ti sono
apparito in questo
animale; io sono Cristo, lo
quale tu
nescientemente
adori; le
limosine tue sono
salite nel mio
cospetto, e per ciò sono venuto, acciò che
per questo
cerbio, che tu
cacciavi, io
cacciassi te".
Altri
tuttavia dicono che la stessa imagine, che apparve
tra le corna del cervo, queste cose disse. Udendo Placido
queste cose, compreso da molta paura,
cadde a terra
del
cavallo; e, passata una ora, ritornò in sé, e levossi
di terra, e disse: "
Manifestami chi tu
se', che mi parli,
e così
crederabbo in te". Disse Cristo: "O Placido, io
sono Cristo che
creai il
cielo e la terra, che
feci nascere
la luce e
divisila da le tenebre, il quale ordinai i tempi
e i dì e gli
anni, il quale
formai l'uomo de la
faccia de
la terra, il quale
apparvi in terra in
carne per la salute
de l'umana generazione, il quale
crucifisso e seppellito
risucitai il terzo
die". Udendo Placido queste cose,
cadde
un'altra volta in terra, e disse: "Io
credo, Signore,
che tu
se' quegli che hai fatte tutte le cose, e
convertisci
gli
eretici e gli
erranti". Disse il Signore a lui: "Se tu
credi,
vattene al vescovo de la
città, e
fatti
battezzare a
lui". E Placido disse: "Vuo' tu, Signore, ch'io
annunzi
queste cose a la mia moglie e a' miei figliuoli, acciò
che ellino con meco insieme
credano in te?" Al quale
il Signore disse: "
Annunzia loro, acciò ched ellino teco
insieme siano mondati; e
domane, in quel dì, ne vieni tu
qua, acciò ch'io t'
apparisca un'altra volta, e
manifestiti
pienamente quelle cose che ti
debbono
avvenire".
Essendo venuto a
casa, e
avendo
contato nel letto
a la moglie queste cose, la moglie gridòe, e disse:
"Signore mio, e io il viddi in questa notte ch'è passata,
e
dicea a me: "
Domane verrete a me, tu e 'l
marito tuo e' figliuoli tuoi", e ora
conosco ch'egli è
Jesù Cristo". Sì che se n'
andarono ne la mezzanotte
al vescovo di Roma, il quale gli
battezzò con grande
allegrezza, e a Placido puose nome
Eustagio, e a la
moglie
Teospita, e a' figliuoli
Agapito e
Teospito. La
mattina vegnente
Eustagio andò a la
cacciagione com'era
andato prima e, vegnendo presso al luogo, mandò
i
cavalieri suoi qua e là, quasi sotto spezie d'andare
cercando
cacciagione, e stando in quello luogo
pose
mente e vidde la
forma ch'avea prima veduta, e
caggendo
in terra ne la
faccia sua, disse: "Io
priego te,
Signore, che tu manifesti quelle cose che tu
promettesti
al servo tuo". E 'l Signore li disse: "
Beato
se',
Eustagio, il quale hai ricevuto il lavamento del santo
battesimo de la grazia mia, imperò che ora hai vinto
il
diavolo, or hai
scalpitato colui che t'avea ingannato,
ora si parrà la fede tua. Il
diavolo s'
arma
crudelemente
contra te, però che tu l'hai
abbandonato.
Convienti
dunque molte cose
sostenere per avere
corona
di vettoria;
convienti patire molte cose, acciò che tu
sii
abbassato da l'
alta vanità del
mondo, e sii
esaltato
ne le spirituali ricchezze. Adunque non ci venire
meno e non ragguardare a la gloria ch'è passata,
imperò che per tentazione
convien che si mostri che
tu sii un altro
Giob. Ma quando tu sarai umiliato, io
verrò a te e
rimetterotti ne la gloria di prima.
Di' dunque
se tu vuogli ricevere la tentazione,
aguale o a la
fine de la vita". Disse a lui
Eustagio: "Segnore,
s'egli è mestiere che così sia,
comanda che vegna ora,
ma
donane la vertù de la
pazienzia". E 'l Signore gli
disse: "Sta fermo, ché la grazia mia guarderà l'
anime
vostre". E così se n'andò il Signore in
cielo.
Eustagio tornò a
casa e disse queste cose a la moglie.
Da ivi a pochi dì venne una mortale
pestilenzia sopra
i servi e sopra tutte l'
ancelle sue, sì che tutti morirono;
poscia da ivi ad alcuno tempo i
cavalli e tutto
il suo
bestiame morirono subitamente. E alcuni scellerati,
veggendo la sua
disavventura,
entrarolli di notte
in
casa, e
portaronne tutto ciò che vi trovarono, e
spogliarono tutta la
casa de l'oro e de l'
ariento e de
l'altre cose; e egli con la moglie e co' figliuoli, rendendo
grazie a
Domenedio,
fuggì di notte sanza neuna
cosa. E temendo la vergogna
andavane in
Egitto, e
tutta la loro possessione per ruberia di rei uomini tornòe
al neente. E lo 'mperadore con tutto il sanato di Roma
si
doleano molto del maestro de'
cavalieri così
prode,
di ciò che neuno
segno si potea trovare di lui. E
andandosene
così, s'
appressimarono al mare, e trovando
una
nave,
cominciarono a navicare sopr'essa. Ma veggendo
il Signore de la
nave la moglie d'
Eustagio
come era
bella,
vennegli grande
disiderio di lei; e poi
ch'
ebbero passato, il nocchiere
domandava il
nolo, e
non
avendo elli donde pagare,
comandò il segnore de
la
nave che fosse tenuta la
donna,
volendola avere
seco. Udendo ciò
Eustagio non volse
consentire per veruno
modo e,
contradicendolo lui, il signore de la
nave
accennò a' nocchieri suoi che 'l gittassono in mare
per potersi avere così la moglie.
Avendo
ispiato ciò
Eustagio, lasciò stare la moglie a
coloro molto
dolorosamente,
e togliendo
due suoi
fanciulli,
andavane piangendo
e
dicendo: "Guai a me e a voi, ché la madre
vostra è
convenuta
dare a straniero
marito!". E
capitato
ad uno
fiume, non fu ardito di passare con
ambi i figliuoli per l'
abbondanza de l'
acqua, ma lasciò
l'uno lungo la riva del
fiume, e passava l'altro. E
quando ebbe valicato il
fiume con l'uno de' figliuoli, e
puoselo in terra e tornava per l'altro. E quando fue
nel mezzo del
fiume, eccoti venire uno lupo, e prese
quello figliuolo ch'elli avea già posto in terra, e
fuggissi
ne la selva con esso. E
disperandosi di quello,
affrettavasi d'andare per l'altro;
ma venne uno leone
e prese l'altro figliuolo, e
andossi via con esso. E
pensando che non l'
avrebbe potuto giugnere, essendo
nel mezzo del
fiume,
cominciò a piagnere e a
divellersi
i
capegli di capo, e
voleasi gittare entro l'
acqua, se
non che la provvedenza di Dio il rattenne. Veggendo i
pastori che 'l leone ne portava uno
fanciullo vivo,
perseguitarollo con i
cani; e 'l leone, per
dispensazione
di Dio, gittò via il
fanciullo sanza male veruno, e
fuggìo.
Ancora
certi uomini che
aravano la terra gridando
dietro al lupo, sì li trassero il
fanciullo di bocca sano
e salvo; e l'uno e l'altro, cioè i pastori e gli
aratori,
erano d'una
contrada, sì che tennero seco i
fanciulli
e
nutricarongli. Ma
Eustagio non sapeva questo, ma
andavasi piangendo e
dolorando, e
diceva: "Oimè, che
io
risplendea com'uno
arbore, ma ora, sono spogliato
d'ogne cosa al tutto! Oimè, che io solea essere
attorniato
da
moltitudine di
cavalieri, e ora, rimaso solo,
né non m'è
conceduto d'avere pure i figliuoli! Io mi
ricordo, Segnore, che tu mi
dicesti che mi
convenìa
essere tentato come
Giob; ma
ecco che veggio in me
più che
Giob, ché sed egli fu spogliato d'ogni cosa,
almeno ebbe del letame sopra lo quale potette sedere,
ma a me non è rimaso veruna di queste cose; quelli
ebbe
amici che 'l
consolarono, ed
ebberli
compassione;
io hoe avuto le
bestie
feroci contra di me, che m'hanno
tolti i miei figliuoli; a colui fu lasciata la moglie, ma
a me è tolta.
Dammi, Signore,
riposo a le mie
fatiche,
e poni guardia a la bocca mia, acciò che non si inchini
il
cuore mio in parole di malizia, e sia
cacciato dinanzi
da la
faccia tua". E
dicendo queste cose
con lagrime
andossene ad uno
borgo, e per guadagno che li era
dato,
XV anni stette a guardare
[ms.: guadagnare] i
campi di quelli
uomini; e li figliuoli suoi furono
innodriti in uno altro
luogo, né non sapeano che
fossono
fratelli. E 'l Signore
Dio
conservòe la moglie d'
Eustagio, né non
permisse
che quello straniero la toccasse, ma lasciolla stare e
vendella.
In quello tempo lo 'mperadore e 'l popolo di Roma
era molto
molestato da' nemici; e
ricordandosi di Placido
come spesse volte con grande prodezza avea già
combattuto
contra nemici de' romani,
contristavasi molto
del subitano
mutamento di lui; e mandò molti
cavalieri
per
diverse parti del
mondo, promettendo a tutti quelli
che 'l trovassono, di
dare loro molte ricchezze e onori.
E
due de'
cavalieri c'aveano già servito ad
Eustagio,
vennero al borgo là dov'elli
abitava. E
considerandoli
Placido venire del
campo, sì li riconobbe immantanente
a l'andare, e
vegnendoli in memoria la
dignità sua, ne
la quale era stato,
cominciossi a turbare e a
dire:
"Segnore mio
Domenedio, come tu m'hai
dato a vedere
costoro, che sono già stati meco, sanza veruna speranza,
così mi
dona ch'io possa anche vedere la moglie mia;
però ch' e'
figlioli miei so io questo che sono
mangiati
da le
bestie". E venne una
voce a lui, e sì li disse:
"
Confidati,
Eustagio, ché tosto
ricoverrai l'onore tuo,
e riavrai la moglie tua e' figliuoli". Sì che vegnendo
incontro a quelli
due
cavalieri, neente il
conobbero, e poi
che l'
ebbero salutato,
dimandarollo s'elli
avesse veduto
alcuna volta un pellegrino, ch'avea nome Placido, o
conosciutolo
con la moglie e con
due figliuoli. E quelli disse
che non ne sapea nulla; ma pure a' suoi
preghieri
andarono
a l'
albergo suo. E
Eustagio serviva loro, e
ricordandosi
del suo primo stato, non potea tenere le
lagrime;
e uscendo fuori, lavossi la
faccia e anche tornò, e servìa
loro. E quelli
due
considerando insieme,
dicevano: "De!
come questo uomo è simigliante a colui cui noi
andiamo
caendo!" Rispuose l'altro e disse: "Molto gli è somigliante;
or pognamo
cura che s'elli hae la 'nsegna
de la margine che
dee avere nel capo, la quale gli
avvenne
ne la
battaglia, egli è esso". E ragguardando
e veggendo il
segno,
conobbero incontanente ch'egli era
colui, lo quale
domandavano; e
venendoli addosso a
basciandolo,
domandarollo de la moglie e de' figliuoli. E
quelli disse loro che i figliuoli erano morti, e la moglie
era sostenuta e presa. E tutt'i vicini
correvano a vedere
questo fatto, udendo quello che i
cavalieri
dicevano de la
sua virtù e prima gloria. Allora i
cavalieri gli
dissero
l'
ambasciata de lo imperadore, e vestirollo d'ottime
vestimenta. E dopo il
viaggio di
XV dì furono venuti
a lo imperadore, e egli udendo de la sua venuta, andò
loro incontro e,
poi che l'ebbe veduto,
gittoglisi al
collo
e
basciavallo. E raccontò a tutti quelle cose che gli erano
intervenute, tutte per ordine; e incontanente fu fatto
maestro de'
cavalieri, e fu costretto di fare quivi l'officio
di prima. Il quale,
avendo
annoverato i
cavalieri
e
conoscendo ch'egli erano pochi contra
cotanti
cavalieri
nemici,
comandò che fossero raunati
cavalieri per
tutte le
cittadi e
borghi. Ora
divenne che quella terra ne
la quale costoro erano notricati, cioè i figliuoli d'
Eustagio,
fu scritta che dovesse
dare
due
cavalieri
novelli.
Sì che tutti gli
abitanti di quello luogo
assegnarono al
maestro de'
cavalieri quelli
due giovani, sì come i più
acconci a quelle cotali cose. Veggendo dunque che i giovani
erano
belli del
corpo e
composti d'onesti
costumi,
piacquerli molto, e
ordinolli che
dovessono essere tra
suoi primi
compagnoni. E così
andat' a la
battaglia e
sottoposti i nemici, fece riposare per tre dì l'oste sua
in uno luogo nel quale stava la moglie in
albergo altrui
come povera. E quelli
due giovani per
volontà di Dio
furono
albergati ne la
casa dove stava la madre loro,
non sappiendo ellino ch'ella fosse loro madre né ched
ellino fossero
fratelli
carnali. E seggendosi così a le
merigge e ragionando insieme,
diceva l'uno a l'altro
di quelle cose ch'erano
avvenute ne la
fanciullezza loro;
e la madre loro, seggendo loro presso, udiva
attentamente
quelle cose che ellino si raccontavano insieme. Ché
diceva
il maggiore al minore: "Quando era
fanciullo non
mi
ricordo d'altro se non che 'l padre mio era maestro
de'
cavalieri, e la madre mia era una
bella
donna molto,
e
ebbero
due figliuoli, cioè me e un altro più giovane
di me, che era anche un
bellissimo
fanciullo e, togliendoci,
uscirono di
casa di notte tempo, e
entrarono in
una
nave, e non so dove noi vi
andavamo. E uscendo
noi da la
nave, non so come la madre nostra fu lasciata
ne la
nave, e 'l padre nostro portava noi
due piagnendo,
e pervenimmo ad un
fiume, e elli passò col
fratel mio
più giovane, e me lasciò in su la riva del
fiume. E ritornando
per me per
valicarmi, venne un lupo e rapìo
il fanciullo; e anzi che mio padre fosse a me, uscette
il leone de la selva, e prese me e
portommi ne la selva.
E i pastori mi trassono de la bocca del leone, e
fui
nudrito in una villa, che tu sai, e non ho potuto sapere
quello che fatto si sia né di mio padre, né del
fratello".
Udendo il più giovane queste cose
cominciò a piagnere,
e disse: "Per
Domenedio bene ti
dico, ch'a quel ch'i'
odo, io sono tuo
fratello, però che quelli che mi nutricarono
mi
diceano: "Noi ti traemmo di bocca del lupo".
E
abbracciandosi insieme si
baciarono
strettamente, e
piangeano.
Udendo la madre loro queste parole, e
considerando
che questi aveano detto così ordinatamente l'
avventura
di lei, pensò lu
ngo tempo fra se medesima che
quelli fossero i suo' figliuoli. L'altro dì se n'andò al
maestro de'
cavalieri, e
feceli
preghiero, e disse: "Io
ti
priego, messere, che tu mi
faccia
rimenare nel paese
mio, però ch'io sono di terra di Romani, e sono pellegrina
qui". E
dicendo queste cose vidde in lui il
segnale
del
marito suo, e da ch'ella l'ebbe
riconosciuto,
gittoglisi a' piedi, non
potendosene tenere, e disse: "Io
ti
priego, segnore, che tu mi
dichiari che vita fu la tua
prima; io
credo che tu
se' Placido, maestro de'
cavalieri,
il quale
eri
chiamato d'altro nome
Eustagio; lo quale Placido
il
Salvatore
convertìo, il quale
sostenne cotale e
cotale tentazione, e al quale fu tolta la moglie in mare,
la quale io sono, la quale io mi sono
conservata da ogne
corruzione, la quale ebbe
due figliuoli, ciò furono
Agapito
e
Teospito". Udendo queste cose
Eustagio e
considerandola
diligentemente, riconobbe ch'ella era sua
moglie, e per la letizia lagrimòe e
basciolla, glorificando
Iddio, il quale
consola gli
afflitti. Allo
ra gli disse la
moglie sua: "Messere mio, dove sono i figliuoli nostri?"
E quelli disse: "Da
fiere
bestie sono
mangiati".
E
dissele il modo come gli
perdette. E quella disse:
"Rendiamo grazie a
Domenedio, io mi
credo che sì
come Iddio n'ha
donato di ritrovarci insieme, così ci
donerà di riconoscere i figliuoli nostri". E que' disse:
"Io t'ho detto che furono
presi da le
fiere
bestie".
E quella disse: "Ieri, sedendo me ne l'orto, udìe
due
giovani che così e così ragionavano insieme di loro
fantilitadi,
e
credo che sieno i figliuoli nostri;
domandali,
e ellino te lo
diranno". E
chiamandoli
Eustagio e udendo
da loro de la loro
fantilitade, riconobbe ch'egli erano
suoi figliuoli, e
abbracciandoli egli e la madre, piansero
molto sopra 'l
collo loro, e
baciarli spesse volte. Sì che
tutta l'oste s'
allegrava molto, e del
ritrovamento di
costoro e de la vettoria che aveano de'
barbari. Sì che
tornando loro a Roma,
avvenne che
Traiano morìo; e fu
fatto imperadore dopo lui
Adriano, peggiore in malizia,
il quale gli ricevette
magnificamente e sì per lo
ritrovamento
de la moglie e de' figliuoli e per la vettoria
ch'aveano
avuta, e
fecene
apparecchiare un grande
convito.
L'altro
die se n'andò al tempio de l'idoli, acciò
che vi sacrificasse per la vettoria
avuta de'
barberi. E
veggendo ch'
Eustagio non volea sagrificare né per la
vettoria, né per lo
ritrovamento de' figliuoli, sì 'l
confortava
ch'elli sagrificasse. Al quale disse
Eustagio:
"Io
adoro Cristo per
Domenedio, e a lui solamente
fo
sagrificio". Allora lo 'mperadore ripieno d'
ira,
comandò
ch'
Eustagio con la moglie e co' figliuoli, fossero
menati nel renaio, e che il leone
feroce fosse loro
ammesso.
E 'l leone
correndo inverso lui,
chinòe il capo
e quasi come gli volesse
adorare, e partissi umilemente
da loro. Allora lo 'mperadore fece incendere un
bue di
rame, e
comandò che
vivi vi fossero
messi
entro. Sì
che orando i santi e
accomandandosi a Dio,
entrarono
nel
bue, e ivi renderono l'
anime a Dio. In capo di tre
dì furono tratti del
bue, e dinanzi a lo 'mperadore furono
trovati sì netti dal
fuoco, che pure uno peluzzo
del capo loro non si trovò magagnato da'
vapori de l'
arsura.
E li
cristiani tolsero le
corpora loro, e
ripuoserle
in luogo
solennissimo e
fecervi uno oratorio. E furono
martirizzati
sotto Adriano, che cominciò a regnare intorno
a gli
anni
Domini
CXX in
calen di Novembre,
ovvero secondo alcuni
XIII Ottobre.
Finite le Leggende de' Santi del mese d'Ottobre, e
cominciano quelle di Novembre.
cap. 152, Ognissanti
La
festa d'Ognessanti
pare che fosse ordinata per
IIII
ragioni. L'una fue per lo sagramento d'alcuno tempio;
la seconda per rimettere le
feste lasciate; la terza per
purgare le negligenzie; la quarta per impetrare più
leggieremente
con le nostre orazioni. Prima
dico che fu
ordinata per la sagra d'alcuno tempio.
Segnoreggiando
i romani a tutto il
mondo,
fecero uno grande tempio,
nel mezzo del quale ordinarono per giro gl'idoli di tutte
le province, che teneano lo volto
rivolto a l'idolo de'
romani. E se per alcuno tempo alcuna provincia rubellasse,
incontanente
dicono che per
arte del
diavolo l'idolo
di quella provincia
volgea le reni a l'idolo de' romani,
quasi
dimostrando che fosse partita da la sua
segnoria.
E li romani tostamente mandavano la grande oste a
quella provincia, e
sottomettealla a la sua signoria. E
non
bastò a' romani d'avere ne la loro
cittade gl'idoli
di tutte le province, anzi
fecero poco meno a
ciascuno
domenedio il suo tempio, come s'elli gli
avessero
fatti
vincitori e signori di tutte le province. Ma perché tutti
gl'idoli non vi poteano avere il tempio, a maggiore
dimostramento di lor mattia levarono in alto uno tempio
più maraviglioso e più alto di tutti in onore di tutti
gli
dei, e
chiamarollo Pantheon, che tanto suona in nostra
lingua come: "tutti gli
dei" da Pan, cioè tutto,
e
Teos, cioè Dio. Però che i pontefici de l'idoli
compuosero
a maggiore inganno del popolo, ch'era stato
loro
comandato da
Cibele, la quale
chiamavano madre
di tutti gli
dei, che s'elli voleano avere vettoria di tutte
le genti,
facessero uno magnifico tempio a' loro
dei.
E 'l
fondamento di quello tempio
è sferico, acciò che
per quella
forma si
dimostrasse l'
eternità de li
dei; ma
imperò che la
grandezza de la volta parea non
sostentabile,
con ciò sia cosa che
fossono proceduti sopra
terra nel lavorio, sì 'l riempievano tutto di terra, e,
dicesi,
che con la terra insieme gittavano
danari, e così
fecero
infin a tanto che quello tempio fu
maravigliosamente
compiuto. Allora
data la parola che
chiunque volesse
portare via la terra, tutta la pecunia che vi trovasse
in quella terra fosse sua, incontanente venne la grande
turba, e votarono quel tempio.
Finalmente
fecero i romani
una
pina di rame
dorata, e puosolla ne la sommità
del tempio. E
dicono che in questa
pina erano scolpite
maravigliosamente tutte le province, sì che
chiunque
fosse venuto a Roma, potrebbe avere saputo inverso
ove fosse la sua provincia. Ma passato alcuno tempo,
la
detta
pina ne
cadde a terra, e rimase aperto il tempio
nel detto luogo. Sì che al tempo di
Foca imperadore,
avendo già Roma per alcuno tempo passato ricevuta la
fede di Cristo, papa Bonifazio, quarto
dopo Gregorio il
grande, verso gli anni Domini DCV impetròe da
Foca
imperadore quello tempio; e levatane ogne
fastidiezza di
tutti l'idoli, a
XII di Maggio sì
consegròe in onore di
santa Maria e di tutt' i martiri, e
chiamollo il luogo
di santa Maria
a i Martiri, che lo
chiama ora il popolo
santa Maria ritonda, però che non facea ancora la
Chiesa la solennità de'
confessori. Ma imperò che
a
questa
festa
correa grande
moltitudine di gente, e non
poteano stare a la
festa per mancamento de la vittuaglia,
però un papa Gregorio
ordinò che questa
festa si
facesse in
calen di Novembre, quando è maggiore
abbondanza
de le cose da
vivere, che è fatta allotta la
mietitura e la vendemmia; e ordinòe che questo
die si
guardasse per tutto il
mondo a
riverenzia di tutti i santi;
e così il tempio ch'era fatto a tutti gl'idoli, è ora
consegrato
a tutti i santi, e
colà dov'era
adorata la
moltitudine
de l'idoli
divotamente, sì vi si loda la
moltitudine
de' santi.
Nel secondo luogo è ordinata questa
festa per ricompiere
i santi lasciati, però che noi abbiamo lasciati molti
santi, de' quali non
avemo fatta veruna
festa né
ricordanza.
Però che noi non possiamo
rapportare l'opere di
tutti i santi, sì per la
multiplicanza de' santi, però che
sono molti e sono quasi infiniti, e sì per la nostra infermitade,
però che siamo infermi e
deboli, né non
potremo essere sufficienti a ciò, e sì per la
brevitade
del tempo, però che 'l tempo ancora non ci
basterebbe.
Però fa la Chiesa
ragionevolemente che, però che
noi non possiamo fare
festa di tutti i santi
catuno per sé,
almeno gli onoriamo tutti insieme.
Generalmente la cagione
perché ordinato sia che noi
dobbiamo fare le
feste
de' santi in terra, il maestro Guglielmo d'
Altissiodoro
ne la Somma de l'Officio ne pone
sei
ragioni. La prima
si è per l'onore de la maestade di Dio; però che quando
noi
facciamo onore a i santi, sì onoriamo noi Dio ne'
santi, e
predichiamolo maraviglioso in quelli, però che
chi fa onore a' santi, onora spezialmente colui che gli
ha santificati. La seconda si è per l'
aiuto de la nostra
infermità; che perché noi non possiamo per noi medesimi
avere salute, però
avemo
bisogno de l'orazioni de'
santi i quali, acciò che noi siamo
aiutati da loro
degnamente,
gli
dobbiamo onorare.
Leggesi nel terzo
libro de'
Re, primo
capitolo, che
Bersabee, la quale è interpretata
pozzo di
sazietate, cioè la Chiesa trionfante, per li suoi
prieghi
acquistòe il reame al figliuolo suo, cioè a la
Chiesa militante. La terza si è per l'
accrescimento di
nostra
sicurtà, acciò che per la gloria de' santi, la quale
si propone a noi ne la loro
festivitade,
accresca la nostra
speranza e la nostra sicurtade. Ché se uomini mortali
simiglianti a noi,
potêr così per li loro
meriti essere
sublimati, manifesta cosa è che altressì potremo noi,
con ciò sia cosa che la mano di Dio non sia menovata.
La quarta si è per lo
essemplo del nostro seguito; però
che quando si racconta a noi la loro
festività, siamo
invitati a seguitarli, acciò che per lo loro
essemplo
spregiamo le cose
terrene e
disideriamo quelle del
cielo.
La quinta si è per lo
debito de la vicendevole vicenda;
però che i santi fanno
festa di noi in
cielo, però che
allegrezza è a' santi
angeli e a l'
anime sante sopra
uno peccatore che fa penitenzia. Acciò dunque che noi
rendiamo loro il
debito, ragionevole cosa è che da ch'elli
fanno
festa di noi in
cielo, noi la
facciamo di loro in
terra. La sesta si è per lo procuramento del nostro onore;
però che, quando noi onoriamo i santi, allora
facciamo
noi il fatto nostro e procuriamo l'onore nostro, però
che la loro
festivitade è nostra
dignitade, ché noi onorando
i
fratelli nostri, onoriamo noi medesimi, però
che la
carità fa tutte le cose essere a
comune, però che
tutte le cose nostre sono
celestiali,
terrene,
eternali.
Fuori da queste
ragioni ne pone altre
tre san Giovanni
Damasceno nel quarto
libro, settimo
capitolo, cioè
per qual cagione i santi e le
corpora loro insiememente,
ovver le loro reliquie,
debbiano essere onorate; de le
quali
ragioni se ne prendono alcune quanto a la loro
dignitade,
alcune quanto a la preziosità de'
corpi loro. La
loro
dignitade, sì come
dice in quello luogo, è in
quattro
maniere: ched e' sono
amici di Dio, figliuoli di Dio,
eredi
di Dio e
capitani nostri. E pone queste
concordanze:
del primo dice san Giovanni nel
XV capitolo: "Già non
vi
dirabbo servi, ma
amici". Del secondo dice quel
medesimo nel primo
capitolo: "
Diede a la loro
potenzia
d'essere figliuoli di Dio". Del terzo dice san Paulo a'
Romani,
VIII capitolo: "Se siamo figliuoli, saremo
eredi". Del quarto dice così: "Quanto t'
affaticheresti
tu per trovare un
capitano, che ti menasse a un re
mortale e facesse un
bello
arringamento per te a lui?
Le guide di tutte l'umana generazione che fanno
preghiere
a Dio per noi, or non sono elle da essere onorate?
Certo sì.
Ben si
debbono onorare
coloro che fanno
tempii a Dio e
coloro che fanno onore e reverenza del
loro
ricordamento".
L'altre
ragioni si prendono quanto a la preziositade
de'
corpi loro. E pone il detto
Damasceno
quattro
ragioni,
e santo Agostino v'
aggiugne la quinta, per le quali si
manifesta la preziosità de' loro
corpi, ovvero de l'
orliquie.
Però che essi
corpi de' santi furono
armarii di
Dio, tempio di Cristo,
alabastro di spirituale unguento,
fontane di Dio e organo di Spirito Santo. Prima
dico che
furono
armaro di Dio, onde dice: "Costoro son
fatti
armarii di Dio,
cenacoli puri". Secondariamente tempio
di Cristo, onde seguita: "Però che per lo intelletto
abitòe Dio ne le
corpora loro, onde dice l'
apostolo:
"Or non sapete voi che i
corpi vostri sono tempio de
lo Spirito Santo?"
Domenedio è spirito, or come non
sono da onorare gli
animati tempii,
abitazioni di Dio?
Di questo dice san Giovanni Grisostomo: "L'uomo si
diletta di
edificare pareti, e
Domenedio nel
conversare
co' santi". Onde dice il Salmo: "Messere, io ho
amato
la
bellezza de la
casa tua". Che
bellezza? Non quella
che la
diversità di marmi fa splendiente, ma quella che
rende la veritade de le viventi grazie. Quella
bellezza
diletta la
carne, questa
bellezza fa
viva l'
anima; quella
a tempo
abbatte e inganna gli occhi, questa
edifica
perpetualmente lo 'ntendimento. Nel terzo luogo furono
alabastro d'unguento spirituale, onde dice: "Unguento
di
buono odore
uscente da sé
danno le reliquie de' santi,
e non è veruno a cui
diletti. Che se de la ferma
pietra e
dura uscìo l'
acqua nel
diserto, e de la mascella
de l'
asino è
data la vettoria a Sansone, neente
è
incredibile che de l'
orliquie da' santi
esca fuori unguento
che renda odore a
coloro che sanno la vertù di
Dio e de' santi, che sono onorati da lui". Nel quarto
luogo sono
fontane di Dio; onde dice: "Costoro viventi
in verità d'
animo, con libera presenzia stanno dinanzi
da Dio".
Fontane di salute ha
date a noi il Signore Cristo
le reliquie de' suoi santi, che ci
danno molti
beneficii.
Nel quinto luogo sono organo de lo Spirito Santo.
Questa ragione
assegna santo Agostino, nel
libro de la
Città di Dio, dove dice così: "Non sono da avere a
schifo i
corpi de' santi, ma molto da onorare, li quali
lo Spirito Santo usòe mentre che vissono ad ogne
buona
operazione, sì come alcuni organi". Onde dice l'
Apostolo:
"Or
cercate voi
esperimento di colui che parla in me,
cioè Cristo?"
E di Stefano è detto che non poterono
resistere a la sapienza e a lo spirito che parlava in lui.
Anche
dice santo Ambruogio ne l'
Exameron: "Questa
è preziosissima cosa, che l'uomo sia organo de la
voce
di Dio, e che con le
labbra del
corpo manifesti la scrittura
del
cielo".
Nel terzo luogo fu ordinata per purgare le negligenzie;
però che
avvegnadio che noi
facciamo
feste di
pochi santi, ancora di quelli
cotanto pochi le
facciamo
molte volte negligentemente, e molte cose vi lasciamo
per ignoranza o per nigligenzia. Ma quella nigligenzia
che noi abbiamo
commessa ne l'altre solennitadi de'
santi, possiamo ristorare in questa generale
festa, e
possiamoci purgare de la negligenzia. Questa ragione
pare che sia tocca nel sermone che si legge in questo
dì per le
chiese, nel quale si dice così: "
Dicreto è che
in questo dì si
faccia memoria di tutti i santi, acciò
che se l'umana
fragelitade in questa solennitade de'
santi
avesse
compiuto meno che pienamente per ignoranza
o per negligenzia o per occupazione di cosa temporale,
sì ne sia
assoluto in questo santo osservamento".
Ed è da sapere che
quattro sono le genti del
Nuovo
Testamento che noi
coltiviamo per lo
cerchio de l'
anno,
e che noi raccogliamo insieme in questo
die, acciò che
suppliamo a quello che noi
avessimo
commesso negligentemente
in loro, cioè
apostoli, martiri,
confessori,
e vergini. E questi, secondo che
dice
Rabano, son significati
per
quattro parti del
mondo; per l'oriente sono
gli
apostoli, per lo merigge sono i martiri, per l'
aquilone
sono i
confessori, per l'occidente sono le vergini.
La prima
differenzia è quella de li
apostoli,
la dignità
e l'
eccellenzia de' quali si manifesta in ciò ch'elli
avanzano gli altri santi in
quattro cose, cioè in
altezza
di
dignitade, però che sono i savii de la chiesa militante,
principi potenti,
assessori del giudice
eternale,
dolci pastori
de la greggia del Signore.
Dice san Bernardo:
"Cotali
convenìa che sono ordinati pastori e
dottori
de l'umana generazione, i quali fossero
dolci e potenti
e savi;
dolci, acciò che mi ricevessono
benignamente
e misericordiosamente; potenti, acciò che
fortemente
difendessono; savi, acciò che ne
menassono a la via e
per la via, la quale mena a la
città
superna". Nel
secondo luogo in
altezza di
potenzia, de la quale dice
così santo Agostino: "A li
apostoli
diede
Domenedio
potenzia sopra la natura, acciò che la
curassono; sopra
le
demonia, acciò che li
facessero tramazzare; sopra
gli
elementi, acciò che li
mutasseno; sopra l'
anime,
acciò che l'
assolvessono da' peccati; sopra la
morte,
acciò che la
spregiasseno; sopra gli
angeli, acciò che
consegrassono il
corpo di Cristo". Nel terzo luogo in
prorogativa di
santitade, onde per la loro grandissima
santitade e plenitudine di grazie, la vita e la
conversazione
di Cristo riluceva in loro sì come in
ispecchio, ed
era
conosciuta in loro come si
conosce il sole nel suo
splendore e come la rosa nel suo odore e come il
fuoco
nel suo
calore. Di questo dice così san Giovanni
Boccadoro
su san Matteo: "Mandò
Domenedio gli
apostoli,
come il sole i suoi razzi, e come la rosa manda
il suo odore fuori de la sua soavitade, e come il
fuoco
le sue
faville, acciò che come il sole
appare ne' suoi
razzi, e come la rosa è sentita ne' suoi odori, e come
il
fuoco è veduto ne le sue
faville, così sia
conosciuta
la
potenzia loro per le vertù di Cristo". Insin qui dice
Boccadoro. Nel quarto luogo ne l'
efficacia de l'
utilitade;
de la quale
efficacia dice così santo Agostino
parlando de li
apostoli: "Di
scacciatissimi e
semplicissimi
son
fatti nobili e
alluminati e multiplicati; i
dolcissimi
parlari, li
chiarissimi ingegni, le
copiosissime
schiere de' sottili parlanti, de li
astuti e de' maestri
sono sottomessi a Cristo".
La seconda
differenzia si è de' martiri, la
dignitade
e l'
eccellenzia de i quali si manifesta in ciò che furono
passionati in molti modi e utilmente
e costantemente.
In molti modi, imperò che oltre del martirio del sangue,
sostennero tre altri martirii sanza sangue.
Del
quale triplice martirio, dice san Bernardo: "Tre furono
i martirii sanza sangue, ciò furono temperanza ne l'
abbondanzia,
la quale ebbe
David; larghezza ne la povertade,
la quale mostrò Tobia
e la vedova;
castitade
di
gioventudine, la quale usòe
Giuseppo ne l'
Egitto". Ma
secondo Gregorio sono tre martirii sanza sangue, cioè
pazienzia de l'
avversitadi, onde dice: "Sanza
ferro e
sanza
fiamma possiamo essere martiri, se noi guardiamo
veramente la
pazienza ne l'
animo". L'altro è
compassione
avere de' tribolati,
onde dice: "Chi ha
dolore
ne l'altrui necessitadi, quello cotale porta la
croce ne
la
mente". Il terzo è
amare i nimici, onde dice: "
Comportare
le ingiurie,
amare colui che innodia te, è martirio
ne lo occulto pensiero". Nel secondo luogo, utilmente;
la quale
utilità da la parte di tutt'i martiri è
la rimissione di tutt'i peccati e 'l
ricevimento de
l'
eternale gloria. Però che
comperarono a sé queste cose
col prezzo del loro sangue, e però il loro sangue è detto
prezzo. Del quale dice santo Agostino nel
libro de
la
Città di Dio: "Qual'è più preziosa cosa che la
morte,
per la quale sono perdonati i peccati, e
accresciuti i
meriti?" Anche
dice elli medesimo sopra il Vangelio di
san Giovanni: "Prezioso è il sangue di Cristo sanza fine;
fece ancora egli il sangue de' suoi prezioso, per
li quali
diede in prezzo il sangue suo". Però che se
non facesse prezioso il sangue de' suoi non si
dicerebbe:
"Preziosa è nel
cospetto del Signore la
morte de' santi
suoi". Anche
dice Cipriano: "Il martirio è fine di
peccati, termine di
pericolo, guida di salute, maestro
di
pazienzia,
casa di vita". Del secondo dice san
Bernardo: "
Tre cose sono quelle che fanno preziosa la
morte de' santi:
riposo de la
fatica,
allegrezza del
nascimento,
sicuranza de l'
eternitade". Da parte di noi
sono
due utilitadi, imperò che sono
dati a noi in
esemplo
a
combattere.
Dice san Giovanni
Boccadoro: "Tu,
cristiano,
se' un
dilicato
cavaliere, se tu pensi vincere sanza
battaglia e avere vettoria sanza
combattere;
adopera
le
forze,
combatti
fortemente,
fieramente
combatti in
questa
battaglia,
considera il
patto,
bada a la condizione,
conosci la cavalleria; il patto, lo quale tu
promettesti,
la
condizione a che tu
se' venuto, la
cavalleria a
la quale tu ponesti nome. Però che a questo
patto tutti
combattiero, a questa
condizione tutti vinsono, in questa
cavalleria
ebber vettoria". Insino qui dice
Boccadoro.
Secondariamente son
dati a noi in padroni ad
aiutare,
però che ci
aiutano con loro
meriti e con loro orazioni.
Del primo, cioè de'
meriti, dice santo Agostino: "O
grande pietà di Dio, la quale vuogli che i martiri
deano
i lor
meriti per nostro
aiuto! Dio gli
disamina per noi
ammaestrare;
attritagli per noi
acquistare; i tormenti
loro vuole che siano nostro
prode". Del secondo dice
san
Geronimo parlando contra
Vigilanzio: "Se li
apostoli
e ' martiri essendo in
carne possono orare per gli
altri, quando per loro
doveano ancora essere solliciti,
quanto
maggiormente il possono fare dopo le vettorie
e le
corone e ' trionfi!" Uno uomo
Moisé
accattò da
Domenedio perdonanza a
secento migliaia d'
armati, e
Stefano pregò per
coloro che lo lapidavano; poi
che sono in Cristo, varranno elli meno? Paulo
apostolo
dice che di
CCLXXVI persone gli sono
date l'
anime in
sua mano; poscia ch'egli è sceverato dal
corpo e
congiunto
con Cristo,
chiuderà elli la bocca?
La terza
differenzia è de'
Confessori, la
dignità e
l'
eccellenzia de' quali si manifesta in ciò che
confessarono
Domenedio in tre modi, cioè col
cuore e con la
bocca e con l'opera. La
confessione del
cuore non
basta
sanza la
confessione de la bocca, sì come pruova
Grisostimo
su san Matteo per
IIII ragioni. Quanto a la
prima dice così: "Radice de la
confessione è la fede
del
cuore, ma la
confessione de la bocca è
frutto de
la fede; sì come dunque la radice, la quale sta lungo
tempo viva ne la terra, è mestiere o ch'ella metta
rami o
foglie, ma se non le mette, sanza
dubbio intendi
che la radice è secca; così mentre che la fede del
cuore
è
integra, genera
confessione ne la bocca, ma se
la
confessione de la bocca sia
corrotta, intendi sanza
dubbio, che la fede del
cuore suo è già secca". Quanto
a la seconda, dice così: "Se ti fa
prode a
credere col
cuore e
non confessare dinanzi a gli uomini, dunque
fa
prode a lo
'nfedele
confessare Cristo in ipocrisia,
eziandio se non
credesse con
cuore; ma se quelli non
fa
prode neente a
confessare Cristo sanza la fede, così
tu non
fai
pro neente a
credere sanza
confessare".
Quanto a la terza, dice così: "E se
basta a Cristo che
tu il
conosca, eziandio che tu non lo
confessi dinanzi
a gli uomini, adunque
basti a te che Cristo ti
conosca,
eziandio se non ti
confessa dinanzi a Dio; ma se
non ti
basta il suo
conoscere, non
basta a lui la fede
tua". Quanto a la quarta cosa,
dice così: "Se ti
bastasse
la fede del
cuore, Dio t'
avrebbe
creato pure il
cuore; ma Dio t'ha
criata la bocca, acciò che tu
creda
con
cuore e
confessi con la bocca". Nel terzo modo
confessarono Cristo con l'opera. In che modo altri
confessi
Domenedio o nieghi,
mostralo santo Agostino
ne l'Originale, sopra quella parola: "
Confessano di
conoscere
Domenedio, ma con l'opere
niegano",
dic
endo
così: "Cristo ha sapienza di giustizia, veritade,
santitade e
fortezza. Per la insipienza è negata
la sapienzia, per la niquitade la giustizia, per la
bugia
la veritade, per la sozzura la
santitade, per la
bellezza
de l'
animo la
fortezza, e quante volte noi siamo vinti
da' vizii e da' peccati, tante volte neghiamo Dio, e quante
volte noi
facciamo veruno bene, tante volte
confessiamo
Dio". La quarta
differenzia è de le vergini, e manifestasi
la loro
dignitade e
eccellenzia, primieramente,
perché sono
spose del re
eternale.
Dice santo Ambruogio:
"Chi puote
estimare maggiore
bellezza che quella
di colei ch'è
amata dal re,
approvata dal giudice, sagrata
da Dio, sempre sposa, sempre non maritata?"
Secondariamente, però che sono
assimiglianti a gli
angeli.
Dice santo Ambrogio: "La
virginità soverchia la
condizione de l'umana natura, per la quale
verginitade
gli uomini sono
assomigliati a gli
angeli, e maggiore è
la vittoria de le vergini che quella de li
angeli, però
che li
angeli vincono sanza
carne, e le vergini vincono
in
carne". Nel terzo luogo però che sono più
alluminati
che tutti i
fedeli.
Dice san Cipriano: "La
virginità è
fiore
ecclesiastico, onore e
ornamento de la grazia spirituale,
allegra
indole di loda e d'onore, opera salda
e non
corrotta, imagine di Dio, a la
santità di Dio ancora
più nobile parte de la gregge di Cristo". Nel quarto
luogo, però che sono
soprapposte a' martiri. E manifestasi
questa
eccellenzia che la
verginitade hae a rispetto
de la
congiunzione matrimoniale per molte simiglianze a
quella; quella ingrossa il ventre, questa la
mente.
Dice
santo Agostino: "Più nobile cosa ha
eletta chi seguita
in
carne la vita de gli
angeli, che chi di
carne
accresce
il numero de' mortali; più
abbondevole e più
beata pregnezza
è non quella d'
ingravidare il ventre, ma d'ingrandire
la
mente; quella parturisce figliuoli di
dolore,
questa figliuoli d'
allegrezza e di letizia".
Dice santo
Agostino, nel
libro che fece del Bene del Matrimonio:
"Questa
castità neente è sterile, ma
fruttifera
di figliuoli d'
allegrezza di te,
marito, Segnore". Quella
riempie la terra di figliuoli, questa riempie il
cielo.
Dice
san
Geronimo: "Le nozze riempiono la terra, la
verginitade
riempie il paradiso". Quella è madre di
sollecitudine,
questa è madre di
riposo.
Dice
Gilberto: "La
verginità è silenzio de le
ragnole, pace de la
carne,
ricomperamento de' peccati, principato de le virtudi".
Quella è bene, questa è meglio.
Dice san
Geronimo scrivendo
a
Pammachio: "Tanto è tra le nozze e la
verginitade,
quanto è tra non peccare e
ben fare; anzi
dirò più leggiere cosa quanto è tra bene e meglio".
Quella è
assimigliata a le spine, questa a le rose. Scrive
san
Geronimo a
Eustochia: "Io lodo le nozze, ma
imperò che le vergini ingenerano a me,
colgo de le
spine le rose, de la terra l'oro, de la
conca marina la
perla". Nel quinto luogo, però che hanno molti privilegi.
Però che le vergini
avranno
corona d'oro, elle solamente
canteranno
canto nuovo,
rallegrerrannosi d'uno medesimo
vestire
del Cristo, sempre
andranno dietro a l'
angelo.
Nel quarto luogo e ultimo fu ordinata questa
festa
per essere più tosto
esauditi de le nostre orazioni;
ché come noi onoriamo universalmente in questo
die
tutti i santi, così tutti quanti ellino insieme priegano
Dio per noi, acciò che in questo modo più
leggermente
acquistiamo la misericordia di Dio. Però che s'egli è
impossibile che i
prieghi di molti non sieno
esauditi,
manifesta cosa è che molto sarà impossibile che non
sieno
esauditi i
prieghi de l'orazioni
per noi di tutti
i santi. Questa ragione sì si tocca ne l'orazione
quando dice: "La
disiderata
abbondanza de la tua misericordia
ne
dona, sì che
siano multiplicati i
pregatori
per noi".
Intercedono li santi col
merito e con l'
affetto;
col
merito quando i lor
meriti ci
aiutano, con
l'
affetto
disiderando che i nostri
disideri siano
empiuti,
e ciò fanno
colà
dove
conoscano che s'
adempia la
volontà
di Dio. E che ciò sia che tutti i santi si raunino a
pregare
Domenedio per noi, mostrasi in una visione, la
quale si dice ch'
avvenne il seguente
anno poi che questa
solennità fue ordinata per la santa Chiesa.
E
avendo
cercato per
divozione tutti gli
altari il guardiano
de la chiesa di san Piero, poi ch'ebbe
domandato
l'
aiuto di tutti i santi e tornato a l'
altare di san
Piero, riposandosi quivi un
pochetto, fue rapito fuori di
sé e vidde il Re de' re stare in un'altra sedia, e tutti
gli
angeli suoi stavano d'intorno. Allora venne la Vergine
de le vergini incoronata splendiente, e
seguitavala
una
mirabile
moltitudine di vergini
caste. E 'l re si
levò da sedere immantanente, e
fecele recare una sedia,
e puoselasi a lato. Poscia eccoti venire uno vestito di
pelli di
cammello, e seguitavalo una grande
moltitudine
di venerabili
massari; poscia venne un altro vestito
d'
abito
papale, e seguitavalo un
coro di vecchi in simigliante
abito; poscia venne una innumerabile
moltitudine
di
cavalleria; dopo i quali venne la infinita
moltitudine di tutte le genti. Sì che tutti questi vennero
dinanzi a la sedia del sovrano re, e
adorarlo con le ginocchia
poste
abbasso. E quelli che v'era in
abito
papale
incominciò il mattutino, e gli altri seguitarono il
canto,
e l'
angelo che guidava questo cotale guardiano, sì li
spianòe la visione,
dicendoli che la grande vergine ch'era
ne la prima schiera
era la Madre di Dio, il vestito
di pelli di
cammello era il Batista con i
Patriarchi e
con i Profeti, quegli ch'era ornato in
abito
papale sì
era san Piero con gli altri
Apostoli, i
cavalieri erano
i Martiri, la rimagnente gente erano i
Confessori. I quali
tutti vennero però dinanzi al re per
renderli grazie de
l'onore fatto a loro in questo
die, e per
pregarlo per
tutto il
mondo. Poscia il menò ad un altro luogo, e
mostrogli
uomini e
femmine; altri stavano in letti d'oro,
altri s'
allegravano ne le mense di
diversi mangiari,
altri ch'erano ignudi e poveri, i quali
domandavano
aiuto. E disse che questo era il
purgatorio, e quelle
erano l'
anime
abbondanti, le quali erano
copiosamente
sovvenute da gli
amici loro per molti
aiutorii, e quelle
erano
bisognose, de le quali non era avuto
cura neuna.
Sì che li
comandò che
narrasse tutte queste cose al
sommo Pontefice, acciò che ordinasse che dopo la
festa
di tutti i santi, si fosse fatto
ricordo, e fosse il
die de
l'
anime, acciò che
almeno generali
beneficii fossero
fatti in quello
die per quelle
anime che non gli potessono
avere in speziale.
cap. 158, Commemoraz. mortiLa
commemorazione di tutt'i
fedeli morti fu ordinata
in questo
die da la Chiesa, acciò che da' generali
beneficii sieno
aiutati
coloro, che non possono avere de
li speciali, sì come mostrato fue ne la soprascritta rivelazione.
Di
due cose spezialmente si può vedere
qui: primieramente, di quelli che sono a purgare, secondariamente,
de' loro
aiutorii. Intorno al primo tre cose
sono da vedere. La prima chi son quelli che si purgano,
la seconda chi gli purga, la terza ove si purgano. Di
quelli che si purgano sono tre maniere. L'una maniera
son quelli che muoiono non
compiuta la penitenzia imposta
loro. Ma impertanto s'elli
avessono tanta
contrizione
nel
cuore che
bastasse a spegnere il peccato,
liberi se n'
andrebbero a vita
eterna, eziandio se non
avessono
compiuta la penitenzia, però che la
contrizione
è la maggiore
satisfazione per lo peccato, e 'l maggiore
struggimento per lo peccato.
Dice san
Gironimo:
"
Appo Dio non vale tanto la misura del tempo, quanto
vale quella del
dolore; né non vale tanto l'
astinenzia
de'
cibi, quanto il
mortificamento de' vizii". Ma quelli
che non sono tanto
contriti e muoiono anzi che
compiono
la penitenzia, sono puniti gravissimamente nel
fuoco del purgatoro, se per ventura la loro penitenzia
non fosse già presa a
compiere per alcuni loro
cari
amici. E acciò che 'l detto
commutamento vaglia,
quattro
cose si richeggiono. La prima si è da la parte di
colui che
commuta, cioè l'
autoritade sua, però che per
autorità di prete si
dee fare. La seconda è da la parte
di colui per lo quale si fa il
commutamento, cioè la sua
necessitade, però che
dee essere in tale stato che per sé
non possa satisfare, ma
bisogna d'essere
aiutato. La
terza è da la parte di colui in cui si fa il
commutamento,
cioè che sia in
caritade, però ch'è mistier ch' e'
sia in
caritade, la quale
faccia quella penitenzia essere
meritoria e
satisfatoria. La quarta è da parte de
la pena, cioè
debita proporzione, che la minore pena sia
commutata in maggiore, però che più satisfae a
Domenedio
la pena propia che fatta da altrui. Di tre maniere
è pena; l'una è propia e di
volontade, e questa
massimamente
satisfa; la seconda è propia e non di
volontade,
cioè è quella di
purgatorio; la terza è di
volontà,
ma non è propia come quella del sopraddetto
commutamento;
e questa satisfa meno che la propia, per ciò
che non è propia, e satisfa più che non fa la seconda
in ciò ch'è di
volontade. Ma non pertanto se costui
per lo quale è preso a fare la penitenzia muore, neente
di meno è tormentato in
purgatorio; ma per la pena
che
sostiene elli, in quanto gli altri pagano per lui,
è più tosto liberato, per ciò che 'l Signore
conta in
sorte la pena di colui e quella de gli altri. Onde se
dovea sostenere in
purgatorio pena
due mesi, potrà cotale
essere sì
aiutato che sarà liberato fra uno mese.
Ma pure non n'
esce mai mentre che 'l
debito non è
pagato; e pagato ch'egli è il
debito, quello che si paga
è di colui che fa da quindi innanzi, e
convertesi nel suo
prode e, se non gli fa
bisogno,
convertesi nel
seno de
la Chiesa, o vale a gli altri che sono in
purgatorio. La
seconda maniera di
coloro che vanno a
purgatorio si è di
coloro c'hanno
compiuta bene la penitenzia a loro imposta,
ma quella pena
non fue sofficente, o che fosse per
poco sapere, o che fosse per nigligenzia del prete. Costoro
compieranno tutta la pena in
purgatorio quello che
fecero di meno in questa vita se la grandezza de lo
contrizione
non ristora. Però che
Domenedio, che sa i modi
e le misure de' peccati
e de le pene,
arroge la pena
sofficente, acciò che neun peccato rimagna impunito.
Onde la penitenzia ch'è ingiunta, o ella è maggiore o
ella è
iguale o è minore; sed ella è maggiore, or quello
ch'egli ha fatto ritorna in lui a gloria
accresciuta; se
la pena è
iguale, allora gli
basta al perdonamento di
tutta la
colpa; s'ella è minore, allora quello che rimane
sì si ristora per vertù de la
divina giustizia. Ma
di
coloro che si pentano a la fine, udirai quello che
santo Agustino ne sente: "Colui ch'è
battezzato, in
una ora
esce quinci sicuro; colui che fa penitenzia ed
è pacificato con Dio quando è sano,
sicuro
esce quinci;
colui
che piglia penitenzia a la fine ed è pacificato,
s'egli
esce quinci
sicuro, io non ne sono
sicuro; adunque
tienti al certo e lascia lo 'ncerto". Però dice santo
Agostino questa parola, perché cotali persone si sogliono
pentere più per necessitade che per
volontade, più per
paura de la pena che per
amore de la gloria. La terza
maniera di gente che vanno a
purgatorio, sono quegli
che portano seco legna e
fieno
e stipa, cioè
coloro
che pognano tanto
affetto,
fuor di Dio, a le loro ricchezze,
e
carnale
amore a le
mogli e a le
case e a le possessioni,
in tale maniera che niuna cosa pognano dinanzi
a Dio. Questi sono significati per quelli tre i
quali per lo lor modo d'
amare
arderanno lungamente,
come legno o meno, come
fieno, o viemeno, come
stipa.
Il quale
fuoco, come
dice santo Agustino, pognamo
che non sia
eternale, impertanto egli è grave in maraviglioso
modo e
avanza ogne pena ch'altri
patìo
mai in questa vita; giammai in
carne non è
cotal
pena,
avvegnadio che i martiri
sostegnessono
mirabili
pene.
Intorno a la seconda cosa, cioè chi li purga,
dovemo
sapere che quello purgamento, ovvero punimento, è
fatto sempre per li mali
angeli
e non per li buoni, però
ch'e'
buoni
angeli non
tormentano i
buoni uomini,
ma i
buoni
tormentano i rei, e ' rei i
buoni, e li rei i
rei. Ma da
credere è pietosamente che i
buoni
angeli
spesse volte
visitano e
consolano i
fratelli e'
cittadini
loro che
debbono essere, e
confortangli a
sostenere
pazientemente.
Hanno ancora uno altro rimedio di
consolanza:
ch'
aspettano
certamente la gloria che
dee
venire, sì che hanno
certezza
di gloria minore che
quelli che sono nel paese, ma maggiore che quelli che
sono ne la via. Però che la
certezza di
coloro che sono
nel paese è sanza
aspettamento e sanza paura, come
quelli che non
aspettano che
debbia venire, da che
l'hanno in loro presenzia e non temono di
perderla
giammai. La
certezza di
coloro che sono
ne la vita è
per contrario modo; ma la certezza di coloro che sono
in purgatoro è per mezzano modo. Però che è con
aspettamento ch'
aspettano che
debbia loro venire, ma
sanza paura; però che abbiendo ellino il libero
arbitrio
confermato,
conoscono bene che da quinci innanzi non
possono peccare.
Hanno anche un'altra consolazione,
il sapere che si fanno suffragi per loro. Ma forse più
è vero che quella punigione non è fatta per li rei
angeli,
ma per
comandamento de la giustizia di Dio e
per
avvenimento de lo Spirito Santo suo.
Intorno a la terza cosa, cioè dove si purgano, è da
dire che si purgano in uno luogo a lato a l'inferno,
che si chiama
purgatorio
secondo varii sapienti, benché
secondo altri sembra sia ne l'aria e ne la zona
torrida. Ma per la
dispensazione di Dio
diversi luoghi
sono
diputati a
diverse
anime alcuna volta, e questo è
per molte
cagioni: o perché siano
leggermente puniti,
o perché sieno più tosto liberati, o per nostro
ammaestramento,
o per la
colpa
commessa in quello luogo, o
per l'orazione d'alcuno santo. Prima
dico perché siano
lievemente puniti, sì come ad alcuni è stato revelato,
come
dice san Gregorio, alcune
anime essere punite in
ombra. Secondariamente per essere più tosto liberati,
cioè acciò che possano il loro
bisogno manifestare a
gli altri e
domandare
aiuto da loro e in questo modo
uscire più tosto de la pena, come si legge d'alcuni
pescatori di san
Teobaldo; i quali pescando ne l'
autonno,
presero uno grande pezzo di
ghiaccio
credendo
che fosse pesce, e
furne più lieti che se fosse stato
pesce,
massimamente perché il vescovo era gravato del
dolore de' piedi, e
misserli sotto i piedi quello cotale
ghiaccio, laonde ricevea grande rifrigerio. Sì che una
volta udì una
voce d'uomo uscire del
ghiaccio e, scongiurato
dal vescovo ched e'
dicesse chi e' fosse, rispuose:
"Sono una
anima, la quale sono messa ad
essere tormentata in questo
agghiacciamento per li miei
peccati, e
potre'ne essere liberata se tu
dicesse
XXX
Messe senza
tramezzamento in trenta dì
continui". E
quegli abbiendo già
dette l'una metà de le
Messe, essendo
già parato per
dire l'altra, per opera del
demonio
addivenne che quasi tutti gli uomini di quella
cittade
combattere voleano insieme; onde il vescovo
chiamato
a pacificare le
discordie, spogliossi i
paramenti,
e lasciò di
dire la
Messa in quello
die. Sì che si ricominciò
da capo per
dire le
XXX Messe e, quando avea
già
compiute le
due parti, una grande oste parea che
assediasse la
città e, costretto per questa cagione, lasciò
l'officio de la
Messa. Poscia le ricominciò anche da capo,
e
avendole già
dette, non
avendo se non a
dire la sezzaia
e volendo
cominciare a
dire, in tutta la villa e
ne la
casa del vescovo s'
apprese il
fuoco. E
dicendoli
i servi suoi che lasciasse di
dire la
Messa, e quegli rispuose:
"Se tutta la villa dovesse
ardere, io non lascerò
la
Messa". E
detta che l'ebbe, il
ghiaccio si
strusse, e 'l
fuoco che
credeano avere veduto andò via
com'una
fantasia, e non fece
danno nessuno. Nel terzo
luogo per nostro
ammaestramento, acciò che noi sappiamo
la grande pena
data a' peccati dopo questa vita,
come si legge che
addivenne a Parigi,
secondo dice il
Cantore di Parigi.
Il maestro
Silo pregòe
strettamente uno suo
compagno
scolaio, infermo, che dopo la
morte sua ritornasse
a lui per
dirli lo stato in che fosse. Sì che,
passati
alquanti dì dopo la sua
morte, sì li
apparve
con una
cappa addosso di
pergamene, tutta scritta
e piena di sofismi, e dentro la
fiamma tutta
coperta.
E
dimandato dal maestro chi e' fosse, disse: "Io sono
quelli che
promissi di tornare a te". E
dimandato de
lo stato suo, sì disse: "Questa
cappa mi pesa più
addosso e più mi prieme che se io
avesse sopra me
una torre, e
èmmi
data a portare per la gloria vana
che io
ebbi ne' sofismi; e la
fiamma del
fuoco ch'è
coperta, sono le
dilettate pelli e
divisate ch'io portava,
la quale
fiamma m'
arde e incende". Ma giudicando
il maestro che quella fosse pena leggiere, disse a lui
il morto che
stendesse la mano, e così potrebbe sentire
come quella pena fosse leggiere. E quando il maestro
ebbe
distesa la mano, quelli vi lasciò
cadere suso una
gocciola del sudore suo, la quale gocciola
foròe la mano
del detto maestro più tosto che una saetta, sì che
grande tormento
sentitte. E quelli disse: "Cotale sono
io tutto quanto". Allora il maestro, per la gravezza
di quella pena, propuose d'
abbandonare il
mondo e
d'
entrare in religione; onde, ragunati la mattina gli
scolari,
compuose questi
due versi, e
disseli loro:
Linquo choax ranis, cra corvis, vanaque vanis
Ad logicam pergo, quae mortis non timet ergo.
E così, lasciando il secolo,
fuggìo a la religione. Nel
quarto luogo per la pena
commessa nel luogo, come
dice santo Agostino, alcuna volta l'
anime sono punite
ne' luoghi ne' quali hanno peccato, come per quello
esemplo che racconta san Grigoro nel quarto
libro del
Dialago: "Uscendo un prete al
bagno, trovava tuttavia
uno uomo apparecchiato per
servirlo, il quale il
serviva
continuamente. E
dando il prete a colui un
die
un pane
benedetto per la
benedizione, e per prezzo de
la
fatica, quegli piangendo, rispuose: "Questo perché
mi
dai tu, padre? Questo pane è santo, ma io non
posso
manicare; io
fu' già signore di questo luogo, ma
per le
colpe mie sono
diputato a stare qui dopo la
morte;
priegoti che tu questo pane offerischi a
Domenedio
per li peccati miei, e allora
conoscerai che tu
sii
esaudito da
Domenedio quando tu verrai qua per
lavarti e non mi troverrai". E 'l prete per una settimana,
ogne
die, offerse sacrificio a
Domenedio per colui,
e non lo vi trovò giammai poscia". Nel quinto
luogo per l'orazione d'alcuno santo, come si legge che
san
Patrizio in alcuno luogo ne la terra
impetròe ad
alcuni il
purgatorio, la cui storia troverrai dopo la
festa
di san Benedetto.
Intorno a la seconda cosa, cioè
i sacrifici, tre cose
sono da vedere: la prima de'
beneficii che si fanno,
la seconda per cui si fanno, la terza chi sono quelli
che li fanno. Intorno a'
beneficii che si fanno è da
sapere che
quattro sono le maniere de'
beneficii che
fanno
prode
massimamente a' morti, cioè l'orazione
de'
fedeli e de li
amici, le
limosine, le
Messe e 'l
digiuno.
Che l'orazione de'
fedeli e de li
amici giovi
loro, mostrasi per l'
essemplo che narra san Gregorio,
nel quarto
libro del Dialogo, di
Pascasio; del quale
dice che essendo elli uomo di maravigliosa
santitade e
vertude, essendo in quello tempo eletti
due
Papi,
accordandosi
la Chiesa ne l'uno, esso
Pascasio per
erro
sempre puose l'altro disopra, e in questa sentenzia
stette di sino a la
morte. Il quale venuto a
morte,
toccando uno indemoniato la
dalmatica posta in sul
cataletto, immantanente fue sanato. Dopo molto tempo
san Germano, vescovo di Capua, essendo infermo, andò
a un
bagno per guerire, e
trovovvi il detto
Pascasio
diacano, che stava al
bagno per servire. Veduto che
l'ebbe san Germano fu
fortemente isbigottito, e
dimandò
quello che sì grande uomo vi facesse. Il quale
affermòe
che per niuna altra cagione era
diputato a quel
luogo penoso, se non perch'elli
sentitte in quel piato
più che non fue ragione. E disse al vescovo: "Io ti
priego che tu
prieghi il Signore per me, e a questo
conoscerai che tu sii
esaudito, se tu vegnendo non mi
troverrai". E
avendo fatta orazione per lui, al tornare
che fece
colà
nol vi trovòe, che stette pochi dì.
Come siano
accettevole a' morti l'orazioni de'
vivi,
manifestasi per questo: che uno
come dice il Cantore
di Parigi, sempre quando passava per lo
cimiterio
diceva
il Salmo:
"De profundis clamavi ad te, Domine".
Il quale essendo perseguitato da' nemici,
fuggendo lui
per lo
cimiterio entro, incontanente uscirono fuori i
morti,
catuno con quello strumento ch'elli usava a
l'
arte sua
tenendolo in mano, e
difeserlo
francamente
costui e
cacciarono via li nemici spaventati. E che la
maniera de'
beneficii, cioè
dare le
limosine, giovi a'
morti,
manifestamente si può
comprendere per quello
che si legge nel secondo
libro de' Maccabei: "L'uomo
fortissimo Juda,
avendo fatto
consiglio, mandò in
Gerusalem
XII milia
marche d'
argento per offererle
là per li peccati de' morti, pensando giustamente e
religiosamente de la resurressione". Ancora come le
limosine vagliono a' morti,
comprendesi per quello
essemplo
che narra san Gregorio nel quarto
libro del
Dialago, dove si dice che un
cavaliere uscito del
corpo
giacque
alquanto morto, ma poco stante ritornando al
corpo,
narròe come 'l fatto suo era
andato. E disse
che era un ponte sotto 'l quale
correa uno
caliginoso
e puzzolente
fiume; e di là dal ponte erano le
pratora
dilettevoli,
adornati d'odoriferi
fiori e d'
erbe, ne' quali
parea che
avesse raunanze d'uomini
imbiaccati, de i
quali
fiori la maravigliosa soavezza saziava. E questa
pruova
addivenìa al detto ponte, che quando alcuno
volea
passarlo, che fosse peccatore, sì
sdrucciolava nel
tenebroso e
putente
fiume; ma i giusti vi passavano
sicuramente sopra esso, e perveniano a quel ponte. E
affermò che v'avea veduto posto là giuso, legato ad
uno gran peso di
ferro, uno che avea nome Piero; e
dimandando per quale cagione v'era, fu detto che
v'era posto perché, se li era
comandato di fare alcuna
vendetta, peggio facea per
animo di
crudelezza che per
ubbidienza.
Dicea anche che v'avea veduto un pellegrino,
il quale vegnendo a quello ponte, così tostamente
il passò, com'elli era vissuto
chiaramente. Un
altro, che avea nome Stefano, volendovi passare,
isdrucciologli il piede, e la metà del
corpo era già fuori
del ponte. Allora si levarono alcuni uomini neri, e per
le gambe il tiravano giuso nel
fiume; alcuni altri
bianchi
e preziosissimi uomini il pigliavano per le
braccia,
e
traevallo in suso; essendo questa
battaglia, colui
che vedea queste cose ritornò al
corpo, e non
poté
sapere chi si vincesse la pruova in quella
occulta visione.
Ne la quale è
dato ad intendere che in lui i
peccati
carnali
combatteano con le
limosine. Per ciò
che, in ciò che per le
coscie era tirato in giù e per le
braccia era tirato in suso, manifestasi
certamente e
ch'elli avea
amato le
limosine e non avea
contrastato
perfettamente a' peccati de la
carne. E che la terza
maniera de'
benefici, cioè il sagrificio de l'ostia sagrata,
giovi molto a' morti,
appare per molti
essempli. Racconta
san Gregorio nel quarto
libro del
Dialago, che
vegnendo un suo monaco, che avea nome Giusto, al
punto de la
morte, e
dicendo ch'elli avea
appiattati
tre
fiorini d'oro, piagnendo di ciò, morìo, e san Gregorio
comandò a' frati suoi che 'l sotterrassono nel
merdaio
con quegli tre
fiorini de l'oro,
dicendo così: "La
pecunia tua sia con teco in perdizione".
Finalmente
comandò san Gregorio ad uno de' frati che infino al
trentesimo
die sagrificasse ogne
die una ostia per colui.
Il quale
frate, poi ch'ebbe
compiuto quello che gli era
istato
comandato, colui ch'era morto
apparve il trentesimo
die ad uno
frate; e 'l
frate il
domandò, e disse:
"Come
stai tu?" E que' rispuose: "Insino a qui
male, ma oggimai io sto bene, però che oggi già mi
sono
comunicato".
Questo sagrificare de l'ostia,
avvegnadio che giovi
a' morti, ma ancora fa grandissimo
prode a'
vivi, e
così si truova.
Cavando uno una volta
argento d'un
sasso, subitamente
cadde la ripa, e 'l sasso e ogni
uomo che v'era fu morto subitamente; ma uno scampò
la
morte sott'una
cavatura di sasso, ma non ne
poté
uscire, e la moglie di costui pensando che fosse morto,
ogne
die facea
dire
Messa per lui, offerendo sempre
uno pane e uno
orciuolo di vino con
candela. E 'l
diavolo, invidioso di ciò, per tre dì
continui l'
apparve
in
forma d'uomo, e
domandolla dove
andava. E quella
dicendo la cagione del suo
viaggio, quelli le
diceva:
"Non t'
affaticare indarno, ché la
Messa è già
detta".
E in questo modo lasciò quella tre dì
continui ch'ella
none udì
Messa, né fece
dire per colui. Poco stante
cavava
uno l'
argento in quella
cava, e udìo una
voce
disotto, che disse: "Percuoti pianamente, però ch'io
abbo sopra capo uno grande sasso". Quelli udendo
ciò, ebbe paura e
chiamovvi molte persone a udire
quella
voce; anche
cavòe, e udìo quella medesima
voce.
Allora s'
apressimarono tutti, e
disserli: "Chi
se' tu?"
Quelli rispuose, e disse: "
Fate pianamente, però che
un grande sasso mi
cade quasi addosso". Allora eglino
cavando per lato e pervegnendo infino a lui,
trovarollo
sano e salvo, e
trassolone fuori, e
domandandolo
come v'era vissuto tanto tempo, disse a loro che ogne
dì gli era stato offerto uno pane e uno
orciuolo di
vino con una
candela accesa, se non se tre dì. Udendo
ciò la moglie e maravigliandosi e
rallegrandosi
fortemente,
seppe che de l'offerta sua si era
sostentato,
e che 'l
diavolo l'avea ingannata di non
farle fare
dire la
Messa in quelli tre dì.
Ciò, come ne testimonia
Pietro di Clunì, avvenne in una villa c'ha nome Ferraria,
ne la Diocesi di Grenoble.
Racconta san Gregorio che, essendo detto che uno
nocchiere era rotto in mare e
avendo un prete sagrificato
l'ostia per lui, a la perfine uscì del mare sano
e salvo. Ed essendo
domandato in che modo fosse
campato,
disse che stando lui nel mezzo del mare, e venuto
già quasi meno per la
fatica, venne uno a lui e
offersegli
un pane. E quando l'ebbe
mangiato
confortossi
tutto e
rinvigorìo e fu ricevuto da una
nave che passava
quindi, e fu trovato che quella cotale ora ebbe il
pane quando il prete sagrificòe l'ostia per lui.
E che l'osservanza quanto a la maniera di
digiuni
faccia
prode a i morti, di ciò
dà testimonianza san
Gregorio parlando sì di questo, come de gli altri
tre
beneficii; e dice così: "L'
anime de' morti si
sciogliono
in
quattro modi: o per l'offerte che fanno i preti, o
per l'orazioni de' santi, o per le
limosine de gli
amici,
o per li
digiuni de'
parenti".
Intorno a la seconda cosa, cioè
coloro per cui si
fanno,
quattro cose sono a vedere. Prima chi son
quelli per cui son
fatti, ovvero a cui possono fare
prode;
la seconda perché
debbia loro fare
prode; la terza se
a tutti fanno
prode
igualmente; la quarta in che modo
possono sapere i
beneficii che si fanno per loro. De
la prima cosa, cioè di
coloro a cui possono giovare cotali
beneficii,
dovemo sapere che, come
dice santo Agustino,
tutti quelli che si partono di questa vita, o sono
molto
buoni o molto rei o mezzo
buoni. Sì che i
beneficii
che si fanno per li molto
buoni sono
rendimenti
di grazie a
Domenedio; li
benefici che si fanno per
li molto rei sono alcune
consolazioni de'
vivi; li
beneficii
che si fanno per li mezzolanamente
buoni sono
purgazioni. Molto
buoni son
detti quelli che tosto vanno
e sono liberi dal
fuoco del
purgatorio e da quello de
lo
'nferno. Di costoro sono tre maniere, cioè i
fanciulli
battezzati e' martiri e gli uomini perfetti; i quali così
perfettamente
edificaro l'oro e l'
argento e le pietre
preziose, cioè l'
amore di Dio e quello del prossimo e
le
buone opere, che non pensarono di piacere al
mondo,
ma solo a Dio. I quali, avvegna ch'alcuna volta
facciano
de' peccati
veniali, per lo
fervore de la
caritade
si
consuma sì il loro
peccato come la gocciola de
l'
acqua è
tranghiottita dal
cammino del
fuoco, e però
non portano giammai seco cose da
raccendere. Chi
adunque orasse per alcuna di queste maniere di gente
o facesse alcuni
beneficii per loro,
farebbe loro ingiuria,
però che, come
dice santo Agostino: "Chi
arderà
per lo martire, fa ingiuria al martire". Ma se alcuno
orasse per alcuno molto
buono, del quale
dubitasse che
non fosse volato, allora quelle orazioni sarebbono
rendimenti
d'orazioni e di grazie e tornerebbono a
merito
del
pregante, secondo il detto del Salmista: "L'orazione
mia si
convertirà nel
seno mio". A queste tre
maniere di persone s'
apre incontanente il
cielo quando
muoiono, né non sentono alcuno
fuoco di
purgatorio. E
ciò è significato per quelli tre a i quali il
cielo fu
aperto. Ché s'
aperse a Cristo
battezzato, come
dice
santo Luca nel quarto
capitolo: "
Battezzato
Jesù, e
orando lui, s'
aperse il
cielo". Per la qualcosa è significato
che 'l
cielo s'
apre a'
battezzati o sieno piccoli
o sieno grandi, sì che se muoiono allora, tosto volano;
però che 'l
battesimo, per vertù de la passione di Cristo,
monda da ogne peccato originale e dal mortale e dal
veniale. La seconda volta s'
aperse e santo
Istefano
lapidato, come
dicono gli Atti de gli Apostoli, ottavo
capitolo: "
Ecco ch'io veggio i
cieli
aperti". Per la
qualcosa è significato che 'l
cielo s'
apre a tutti i
martiri, sì che tosto volano quando muoiono; e s'alcuni
peccati
criminali aveano, tutti sono risegati con la
falcia
del martirio. La terza volta s'
aperse a san Giovanni
perfettissimo, come
dice l'
Apocalisso, nel quarto
capitolo:
"Puosi
mente, ed
ecco che viddi l'uscio che
s'
aperse nel
cielo". Per la qualcosa è significato che
a gli uomini perfetti, i quali hanno
compiuto al tutto
la loro penitenzia, e non
commisero giammai peccati
veniali, ovvero se n'hanno
commesso, immantanente
sono
consumati dal
fervore de la
caritade, il
cielo
s'
apre incontanente, e eglino v'
entrano a regnare perpetualmente.
Ma i molto rei
discendono tosto nel profondo
del ninferno; per li quali, se si sapesse
certamente
che fossero
dannati, non sarebbe da fare
veruni
benefici per loro, secondo che
dice santo Agostino:
"S'io sapesse che mio padre fosse in ninferno, non
pregherei più per lui, ch'io
facessi per lo
diavolo".
Ma se alcuni
dannati de' quali si
dubitasse de la
loro
dannazione, si
facessero alcuni
aiuti, non sarebbe
loro
pro veruno né quanto al liberamento, cioè che
fossero liberati da quelle pene, né quanto ad
allevamento,
cioè che s'
allevasse o scemasse la pena in
loro; ovvero quanto a la sospensione, ch'ella fosse
loro sospesa a tempo; né quanto a
fortificamento, cioè
che fossero
fatti più
forti a
sostenerla; quando ad alcuna
di queste cose, non v'ha veruno ricomperamento
ne lo 'nferno.
Quelli che sono mezzolanamente
buoni, son
detti
quelli che portano seco alcune cose da
ardere, cioè
legna,
fieno,
stipa, ovvero quelli che non potero
compiere
la penitenza ingiunta a loro e sufficentemente
occupati
in anticipo da la
morte. I quali non sono
tanto
buoni che non
abbisognono d'
aiuti, né tanto rei
che non potesse giovare a loro. Sì che i
beneficii fatti
per loro, sono loro purgamenti; onde questi sono
coloro
a i quali questi
beneficii solamente possono giovare.
A fare questi
beneficii suole la Chiesa usare tre numeri
di dì, cioè il settimo e 'l trentesimo e l'
anniversario.
La ragione di ciò s'
assegna nel
libro
Mitrale de
l'Officio.
Osservasi il settimo dì, acciò che
le anime
pervegnano a l'eterno sabato di quiete, o acciò che
sia
dimesso loro tutti i peccati ched elli
fecero a la
loro vita, la quale
corre per
sette dì; ovvero acciò che
sia
dimesso loro quelle cose che operarono nel
corpo,
il quale è
composto di
quattro
alimenti, cioè di
quattro
omori, e l'
anima ne la quale son tre
potenzie.
Osservasi
il trentesimo
die, il quale è
composto di tre
decine,
acciò che sia purgato tutto in loro quello che peccarono
ne la fede de la santa Trinitade, e in
trapassamento
de'
diece
comandamenti de la legge.
Osservasi l'
anniversario,
acciò che de gli
anni de la miseria pervegnano
a gli
anni de l'
eternitade. Adunque se noi
facciamo
festa de l'
anniversario de' santi a loro onore e a nostra
utilitade, così
dovemo fare l'
anniversario de' morti a
loro
utilitade e a nostra
devozione. De la seconda cosa,
cioè perché a loro
debbiano giovare i
benefici, è da
sapere che per tre
ragioni si dice che giovi a loro.
L'una ragione si è per l'unitade, però che sono un
corpo con la Chiesa militante, e però i
beni de la Chiesa
debbono loro essere
comunali. La seconda è per la
dignitade,
però che, vivendo elli,
meritarono che questi
beni
giovassero loro, sì che ancora è
degna cosa che
coloro i quali
aiutarono gli altri siano
aiutati da gli
altri. La terza ragione si è per la necessitade, cioè
però che sono in istato nel quale non si possono
aiutare
ellino. De la terza cosa, cioè se
igualmente giovi
a tutti, è da sapere che se quelli
benefici si fanno in
ispeziale, più giovano a
coloro per cui si fanno ch'a
gli altri; ma se si fanno in
comune, più giovano a
coloro che più
meritarono in questa vita ch'a loro
dovessero giovare, se sono
iguali o in maggiore necessitade.
De la quarta cosa, cioè come possano sapere i
beneficii che si fanno per loro, secondo che
dice santo
Agostino, in tre modi il sanno: Il primo per
divina
rivelazione, cioè quando
Domenedio rivela loro ciò; il
secondo modo si è per lo
manifestamento de gli
angeli
buoni (gli
angeli che sono sempre qui con esso noi e
considerano tutte l'opere nostre, in uno punto quasi
possono scendere a loro e
dirlo loro); il terzo modo si
è per lo raccontamento de l'
anime ch'
escono quinci;
però che l'
anime che
escono di questo modo, possono
dire loro queste cose e l'altre; il quarto modo neente
di meno possono sapere per
isperienza e per revelazione,
però che quando si sentono essere
sollevati da le pene,
riconoscono i
benefici fatti per loro.
Intorno a la terza cosa, cioè di
coloro da cui sono
fatti questi
aiuti, è da sapere che questi
aiuti, se giovare
debbano,
conviene che sieno
fatti da chi è in
caritade,
però che se sono
fatti da male persone non
possono giovare. Onde si legge che, standosi uno
cavaliere
nel letto con la moglie ed
entrando la luna molto
rilucente per le
fessure de la
casa, maravigliandosi
come l'uomo c'ha in sé ragione non ubbidisce al
Creatore
suo, con ciò sia cosa che le nature senza ragione
l'ubbidiscono, e
dicendo male d'un
cavaliere morto il
quale era stato suo molto
dimestico, subitamente colui
ch'era morto
entrò ne la
camera, e disse a colui:
"
Amico, non avere
mala sospezione d'altrui, e s'io
t'offesi in nulla,
priegoti che me lo perdoni". Ed essendo
domandato de lo stato suo, disse: "Per
isvariati
peccati sono afflitto, spezialmente perch'io
corruppi
cotale
cimiterio, nel quale
fedio uno e
trasseli la
cappa
sua, la quale m'è posta sopra e
priememi come fosse
uno grande monte". E
pregollo che facesse fare orazioni
per lui. E
dicendoli quegli di fare fare quelle
orazioni a cotale e a cotale prete, il morto non rispondendo
neente a queste cose,
commosse il capo a modo
di rifiutante. Poscia il
domandò se volea che cotale
romito pregasse Dio per lui; e quegli gli disse: "Dio
'l volesse che colui pregasse per me". E 'l vivo promettendo
di
farlo, il morto disse: "E io ti
dico che
da oggi a
due
anni morrai anche tu". E detto questo
isparve. E 'l
cavaliere fece più
buona vita, e
dormìo
in pace in
Domenedio. Quello che detto è che gli
aiuti
fatti de le male persone non possono giovare, è da intendere,
s'elle non sono opere sagramentali, come se il
sagrificio de la
Messa, il quale non si puote
corrompere,
ovvero se quello cotale morto, o alcuno suo
amico,
avesse
lasciato a
dispensare ad alcune male persone alcuna cosa,
le quali dovesse
dispensare immantanente, acciò che non
gli intervenga quello che si legge che intervenne ad uno.
Un
cavaliere
dovendo
combattere
con i Mori ne la
battaglia di
Carlo Magno, ed
entrando a
combattere,
pregòe uno suo
parente che se morisse ne la
battaglia
vendesse il
cavallo suo e
desse il prezzo a' poveri.
Morto costui, e piacendoli il
cavallo molto, sì si ritenne
il
cavallo; e poco tempo poscia
che morìo, il
cavaliere
apparve a lui come sole splendiente,
dicendo a lui:
"
Parente mio,
ben per
otto dì m'hai fatto stare in
purgatorio a quelle pene per lo
cavallo, il prezzo del
quale, come io t'avea detto, non hai
dato a' poveri;
ma tu non ci
andrai netto, ché oggi, in questo dì, ne
porteranno i
diavoli in inferno l'
anima tua e io me
n'
anderò purgato in
cielo!"
Ed ecco che subito in
aria s'udì un clamore come di leoni, d'orsi e di lupi
che portarono via il cavaliere.
cap. 159, Quattro santi incor.
I santi
quattro incoronati furono
chiamati Severo,
Severiano,
Carpoforo e
Vettorino, i quali per
comandamento
di
Diocliziano
battuti insino a la
morte, de le
percosse de'
combattitori
sostennero la
morte. Non potendosi
ritrovare le nomora di costoro, le quali dopo
molti
anni per revelazione di Dio furono ritrovate, fue
ordinato che la memoria di loro fosse fatta sotto i nomi
d'altri
cinque martiri,
ciò furono Claudio, Castorio,
Sinforiano, Nicostrato e Semplicio, i quali dopo
due
anni dal martirio di
coloro
sostennero passione. Questi
martiri sappiendo tutta l'
arte di scolpire e non volendo
scolpire uno idolo a
Diocliziano né
consentire in
veruno modo di sagrificare, per
comandamento del detto
Diocliziano furono
messi in
casse di piombo, così
vivi,
e gittati in mare
intorno a gli anni Domini CCLXXXVII.
Sì che sotto nomi di questi
cinque
ordinò santo
Melchiade
papa che questi
quattro fossero onorati e
chiamati
li
quattro incoronati, anzi che fossero ritrovate
le nomora loro; e,
avvegnadio che le loro nomora si
ritrovassero, poscia l'usanza pure ritenne che fossero
chiamati da quinci innanzi li
quattro incoronati.
cap. 160, S. Teodoro
Teodoro ne la
città di
Marmaritani
sostenne martirio
sotto la signoria di
Diocliziano e
Massimiano. Al
quale
dicendo il preside che sagrificasse a l'idoli e
ricevesse la
cavalleria di prima, rispuose
Teodoro: "Io
sono
cavaliere del
Domenedio mio e del suo figliuolo
Jesù Cristo". E 'l preside gli disse: "Dunque il tuo
Domenedio hae figliuolo?" Rispuose
Teodoro: "
Madé
sì". E 'l preside li disse: "Or
potremolo noi
conoscere?
Disse
Teodoro: "
Conoscere il potete, e a
lui andare". Sì che
dato indugiò a
Teodoro di sagrificare,
il santo
entròe di notte nel tempio di Marte,
e missevi
fuoco entro e tutto l'
arse. E
accusato da
uno che 'l vidde, fu
rinchiuso ne la
carcere, acciò che
vi morisse entro di
fame. Al quale el Segnore
apparendo
disse: "
Confidati, servo mio
Teodoro, però che
io sono teco". Allora una gran turba d'uomini
bianchi
di vestimento
entrò a lui, stando l'uscio serrato, e
cominciarono
a
cantare con lui. Veggendo ciò le guardie,
ispaventati di ciò,
fuggirono.
Essendone poi tratto fuori
e invitato a sagrificare, rispuose: "Se tu mi
farai
ardere le
carni nel
fuoco, e
consumera'mi per
diversi
tormenti, insino a tanto che 'l
fiato saràe ne le nari
mie non
rinnegherò il
Domenedio mio". Allora per
comandamento del preside fue
appiccato ad uno legno
e con
unghiali di
ferro furono sì rase le sue
coste,
ch'elle
apparivano di fuori. E 'l preside li disse:
"Vuo' tu,
Teodoro, essere con noi o con Cristo tuo?"
E quelli rispuose: "Con Cristo mio sono e
fui e sarò".
Allora fu
comandato che fosse
arso nel
fuoco; nel quale
fuoco rendette l'
anima a
Domenedio, ma il
corpo non
fu
danneggiato dal
fuoco,
intorno a gli anni Domini
CCLXXXVII.
cap. 161, S. MartinoLa sua vita scrisse Severo, il cui soprannome fu
Sulpicio,
discepolo di san Martino, lo quale Severo
Gennadio
annumera tra l'
illustri uomini.
Martino fu natìo di
Sabaria,
castello di
Pannonia,
ma nudrito in Pavia d'Italia col padre suo,
conostabole
di
cavalieri. Sotto
Costantino e Giuliano Cesaro tenne
la
cavalleria,
avvegnadio che per non sua
volontà, però
che ispirato da
Domenedio insino da la sua
infanzia,
essendo di
XII anni, sanza volere de'
parenti,
fuggìo
a la chiesa, e
adomandò d'essere ammaestrato de la
fede, e infino allora sarebbe
entrato ne l'
ermo, se la
infermità de la
carne non
avesse
contrastato. Ma
avendo
l'imperadori stanziato che i
figlioli de' vecchi
combattessero
per gli padri loro, essendo Martino di
XV anni,
fu costretto a
cavalcare, stando
contento d'uno solo
servo, al quale Martino ispesse volte servìa e
traevali
ispesso i
calzari e servìa. Ad un tempo di verno
passando lui per la porta d'
Ambianes,
venneli
intoppato
un povero ignudo; il quale non
avendo ricevuto
limosina da veruno, intendendo Martino che questi era
riservato a sé, prese la spada e
divise il mantello per
diritto mezzo, e l'una metade diede al povero e l'altra
si misse indosso. La seguente notte vidde Cristo
vestito di quello mantello ch'egli avea
dato al povero,
cioè con quella metade, e udì ch'elli
diceva a gli
angeli
che li stavano d'intorno: "Martino, il quale è
pure ammaestrato de la fede, e non è ancora
battezzato,
sì m'ha vestito di questo vestimento". Onde il
santo di Dio non levandosi per ciò in superbia, ma
riconoscendone
la
bontà di Dio, quando avea
XVIII anni
si fece
battezzare, e ancora a petizione del
conostabole
suo, il quale,
compiuto il tempo de la
conestaboleria
sua,
promettea di rinunziare al secolo, sì che
due
anni
usòe la
cavalleria.
Infrattanto vegnendo i
barbari addosso
a'
Franceschi, Giuliano imperadore
dovendo
combattere
contro a di loro,
diede pecunia a'
cavalieri; ma
Martino non volendo più da quindi innanzi
combattere,
non volse ricevere il
donamento, ma disse a lo 'mperadore:
"Io sono
cavaliere di Cristo, non m'è licito
di
combattere". Adirato di ciò lo 'mperadore, sì li
disse ched elli rifiutava la
cavalleria non per cagione
de la religione
cristiana, ma per paura de la
battaglia
sopravegnente. Al quale san Martino rispuose senza
paura: "Se vuogli
dire ch'io il
faccia per pigrizia
e non per la fede,
domane in quello
die starò dinanzi
a la schiera sanza
arme veruna, e nel nome di Cristo,
coperto del
segno de la Croce, non di scudo né d'
acciaio,
tutte le schiere de' nimici passerò
sicuramente".
Onde fu
dato a guardia per
farlo stare incontra
barberi,
disarmato, secondamente ch'avea detto. Ma il seguente
die i nemici mandarono
ambasceria,
dando sé e tutte
le loro cose. Onde non è
dubbio che per li
meriti del
santo uomo, cotale vettoria fu
donata sanza spargimento
di sangue. Da quindi innanzi,
abbandonata la
cavalleria,
andonne a santo
Ilario vescovo di Pettieri, e
ordinato da lui
accolito, fu ammaestrato da Dio,
dormendo
lui, che
andasse a visitare i
parenti suoi, i quali
erano ancora pagani. E messosi in
viaggio, predisse che
molte cose
dovea patire. Ché ne l'Alpe s'
abbattéo ne
i ladroni, e
crollandoli uno la
scure in capo, l'altro
rattenne il
colpo del percotente con la mano
diritta. Ma
legarolli le mani di
drieto a le reni, e fu
dato in guardia
ad uno; e
dimandandolo il ladrone s'elli
aveva temuto,
rispuose che giammai non era stato più
sicuro, però che
sapeva che la misericordia di Dio è presente ne le tentazioni
massimamente. E
cominciò a predicare a quello
ladrone, e
convertillo a la fede; e recandolo san Martino
a la via de la veritade, visse poi laudabilemente.
E quando fu passato di là da
Melano, il
diavolo li
si fece incontro in
figura d'uomo, e
domandollo dove
andava; ed elli rispondendo che
andava
colà
dove il
Signore il
chiamava, e 'l nemico disse: "
Dovunque tu
andrai, il
diavolo ti sarà
contrario". E quando san Martino
gli ebbe risposto: "Il Signore è mio
aiutatore, non
temerabbo che mi
faccia nulla il
diavolo", quelli
isparve incontanente. Sì che
convertette la madre, e 'l
padre rimase ne l'
errore. Ma
crescendo la
resia d'Ario
per tutto il
mondo e, poco meno elli solo
contrastando
il paese, fue battuto e, scacciato de la
cittade, tornòe
a
Melano, e là si fece uno monasterio; ma
cacciato
quindi da li
Ariani,
andossene a l'
isola
Gallinaria con
uno solo prete, là
dove prese per
cibo l'
elleboro,
erba
velenosa, e sentendosi
appressimare a la
morte, tutto
il
pericolo e 'l
dolore
cacciò via con la vertù de l'orazione.
E udendo che santo
Ilario tornava da'
confini,
andolli incontro, e
ordinò un monasterio presso a Pettieri,
nel quale luogo abbiendo san Martino un
catecumino,
partendosi elli un poco dal monasterio e ritornando,
trovollo morto sanza
battesimo. E
menandolo ne
a
cella, e
ponendolisi
disteso sopra il
corpo, recollo a
la vita di prima con l'orazione sua. E solea raccontare
questo ch'era così risucitato che,
data la sentenzia
sopra lui d'essere
dannato a luoghi
scuri, per
due
angeli
fu detto al giudice che costui era quelli per lo quale
san Martino orava; sì che fu
comandato che per loro
medesimi fosse
rimenato e renduto vivo a san Martino.
Un altro che s'era impiccato per la
gola e morto, fu
recato per lui a vita. Ma non
avendo il popolo di
Turone
vescovo,
dimandaronlo che fosse ordinato vescovo
per loro,
avvegnadio che molto
contrastasse. Ma
alcuni vescovi
contradicevano per ciò ch'era di non
bella
fattezza e
dispetto ne la
faccia; intra quali fu
più principale uno che avea nome Defensore. Ma none
essendovi il
lettore, uno tolse il salterio e
aperselo dinanzi
a tutti, e lesse il primo verso che li venne trovato,
che
dicea così: "Da la bocca de'
fanciulli e di
coloro
che prendono il latte hai
compiuto,
Domenedio, la loda,
acciò che tu
distrugga il nemico e 'l
difensore". E così
quello
Difensore fu vituperato da tutti.
Ordinato che fue vescovo, non
sostegnendo del popolo
il romore e la pressa, presso a
due miglia fuori
ordinòe uno monasterio, là
dove visse in molta
astinenzia
con
LXXX discepoli. Quivi niuno sapea che si fosse
vino, se non fosse costretto da 'nfermitade; il morbido
vestimento iv'era avuto per peccato. Molte
cittadi
chiamavano
vescovo alcuni di costoro. Essendo uno onorato
sotto nome di martire, e non potendo san Martino trovare
nulla né de la vita di costui né del suo
merito, stando
un
die sopra il sepolcro di costui, oròe a
Domenedio che
li
desse a mostrare che uomo fosse questi, o di che
merito. E rivolgendosi a man mancina, vidde un'ombra
molto nera stare ritta; ed essendo scongiurato da san
Martino di
dire quello che fosse, rispuose che era stato
uno ladrone, e per la
follia era stato battuto. Sì che
san Martino fece incontanente
disfare l'
altare.
Leggesi nel
Dialago di Severo e
Gallo,
discepoli di san
Martino, nel quale
libro sono rimesse molte cose le quali
san Martino fece che Severo non misse ne la leggenda
di lui, là
dove dice che d'un tempo andò san Martino
a
Valentiniano imperadore per alcuna necessità, ma
sappiendo che volea
chiedere cosa, che quelli non volea
dare,
feceli serrare le porte del palagio. E san Martino
essendone
accomiatato una volta e più, inviluppato in
cilicio e incennerato per una settimana, si
macerò d'
astinenzia
di mangiare e di
bere. Allora per
ammonizione
de l'
angelo venne al palagio e, non vietandogliele persona,
venne infino a lo 'mperadore. E
veggendolo venire,
fue adirato perché era stato ricevuto, e non gli si
volse levare da sedere infino a tanto che 'l
fuoco non
coperse la sella reale, e incese lo 'mperadore da la parte
di
drieto. Allora levandosi da sedere, al santo, così
adirato,
confessòe d'avere sentito la virtù di Dio, e
abbracciandolo molto
stretto,
concedetteli ciò che volea
innanzi che ne fosse
pregato, e proferseli molti
donamenti,
ma san Martino non li ricevette.
Leggesi ancora in quello medesimo
Dialago come risucitò
il terzo morto. Ché essendo morto un giovane e
pregando la madre di costui san Martino con
lagrime
che risucitasse il figliuolo, egli nel mezzo del
campo,
là
dove era innumerabile
moltitudine di pagani, puose
le ginocchia in terra e,
veggendolo tutta la gente, il
fanciullo si rilevò vivo e sano. Per la qualcosa tutt'i
pagani si
convertirono a la fede di Cristo. Per quello
medesimo modo ubbidiano al santo di Dio le cose insensibili
e le vegetabili e le non ragionevoli. Le insensibili
come sono il
fuoco e l'
acqua; ché abbiendo elli
messo
fuoco in uno tempio, la
fiamma menata dal vento
s'
appiccòe a la
casa che v'era da lato. Allora san Martino,
salendo in sul tetto, missesi a rincontro a le
fiamme
ardenti; incontanente la
fiamma si ritorse contra la
forza del vento, che parea che gli
elementi
combattessono
per uno cotale modo insieme.
Leggesi ancora nel detto
Dialago che,
pericolando una
nave, uno mercatante che non era ancora
cristiano gridòe
e disse: "
Domenedio di Martino,
campaci!" E tosto fu
fatta
bonaccia. Simigliantemente le cose vegetabili, come
sono l'
erbe e le piante. Ché essendo
ruvinato in
alcuno luogo molto
antichissimo tempio, volendo san
Martino tagliare un
albore pino
consegrato al
diavolo,
contrastando a ciò i
villesi e' pagani, l'uno di loro disse:
"Se tu hai
fidanza del tuo
Domenedio, noi taglieremo
questo
albore, e tu lo ricevi sopra il
dosso tuo, e se
'l
Domenedio tuo è teco come tu
di', sì scamperai". E
san Martino
consentìo a la proposta. Allora missero mano
a tagliare l'
albore e,
caggendo già verso lui legato
iveritto, san Martino fece contra esso il
segno de la
Croce, e rivolsesi ne l'altro lato e poco meno che none
abbattette i
villani, ch'erano in luogo
sicuro, i quali
veduto il miracolo si
convertirono a la fede.
Ancora si legge in quello Dialogo che gli
animali sanza
ragione più volte l'ubbidirono, come si legge nel detto
libro. Alcuni
cani perseguitando una
lievre, san Martino
li vidde e
comandò a'
cani che rimanessono di perseguitarla.
Incontanente ristettono
fermi ne le loro pedate
come
fossero stati legati. Simigliantemente valicando
uno serpente alcuno
fiume notando, san Martino disse
al serpente: "Nel nome del Signore ti
comando che tu
ritorni!" Incontanente a la parola del santo il serpente
ricorse la via, e trapassòe infino a l'altra ripa.
E piagnendo san Martino disse: "I serpenti m'odono, e
gli uomini non m'odono". Simigliantemente
abbaiando
al
discepolo di san Martino un
cane, quegli si rivolse
a lui e disse: "Nel nome di Martino, ti
comando che
tu stea
queto". E 'l
cane stette
queto incontanente
come se li fosse stata
mozza la lingua.
Fue san Martino uomo di molta umiltà, ché
incontrandosi
elli in uno lebbroso terribile a tutta gente, ne
la
città di Parigi, sì 'l
baciò e
benedisse, e incontanente
fu mondo. Seggendo lui nel segreto luogo, non
usòe giammai
caffera; ne la chiesa
nol vide giammai
neuno sedere; sedea in
seggiola
vilcose, la quale si
chiama trespolo.
Fue di molta
dignitade, però ch'è detto
iguali a li
apostoli, e questo è per la grazia de lo Spirito Santo,
la quale venne a lui per
darli
fortezza come fu ne li
apostoli; onde gli
apostoli il
vicitavano spesse volte
come lor simigliante. Nel detto
Dialago si legge che,
seggendo san Martino un
die solo solo e
aspettando a
l'uscio Severo e
Gallo, suoi
discepoli, subitamente
commossi da
mirabile orrore, udirono molti parlare insieme
ne la
cella. De la quale cosa poi ch'
ebbero
domandato
san Martino che ciò fosse stato, rispuose a
loro: "Io lo vi
dirò, ma
priegovi che voi non lo
diciate
a persona;
Agnesa e
Tecla e Maria vennero a me".
E non solamente quel
die, ma
confessòe che spesse volte
era
visitato da quelle, e disse che spesso vedea san
Piero e san Paulo.
Di molta giustizia fue. Essendo elli invitato da lo
'mperadore ch'avea nome Massimo, essendo
dato prima
bere a san Martino,
credendo tutti che dopo sé
desse
la
coppa al re, sì la
diede al prete suo,
estimando che
neuno fosse più
degno che dovesse
bere dopo sé,
giudicando indegna cosa se 'l re fosse
soprapposto
a' preti.
Di molta
pazienzia fue. Tanta
pazienzia osservava in
tutte le cose che, essendo elli sommo sacerdote, spesse
volte era offeso da i
cherici sanza pena; né non li
cacciava
però da la sua
caritade.
Nol vidde mai niuno
adirato, né tristo, né che ridesse, ne la sua bocca
non si ricordava altro che
Cristo, nel suo cuore altro
che pietade e pace e misericordia.
Leggesi nel detto
Dialago che
andando san Martino in su l'
asino col vestimento
ispido, coperto d'un mantello nero pendente,
vegnendo
alquanti
cavalli a lo scontro, furono di ciò
spaventati, e '
cavalcadori si gittarono a terra de'
cavalli,
e presero san Martino, e sì 'l
batterono
gravemente. Ed
egli stando come mutolo sì si lasciava così
battere, ma
quegli ne
incrudelivano più di ciò, che parea loro che
elli quasi non sentendo le
battiture, sì l'
avesse a schernie.
Incontanente gli
animali stavano sì
fermi a la terra
che quantunque fossero
battuti come sassi, non si poteano
muovere insino a tanto che, tornando a san Martino
e
confessando il peccato ch'aveano
commesso in
lui per ignoranza, non ebbe
data la licenzia loro, e gli
animali si mossero ad andare ratto.
E di molta
perseveranza fue ne l'orazione, però che,
come
dice la sua leggenda, non passò giammai né ora
né punto che non
soprastesse ad
adorare ovvero a
leggere.
Ma tra 'l
leggere e l'orare non
dimetteva giammai
l'
animo de l'orazione; ché come sogliono fare i
fabbri, che fra 'l lavorare per alcuno
sollevamento di
fatica percuotono la
'ncudine, così san Martino mentre
che alcuna
cosa facea, sempre orava.
Di molta
asprezza fue a le sue
carni. Racconta Severo
ne la pistola ched e' mandò ad
Eusebio che, essendo
venuto san Martino ad una chiesa del suo vescovado,
abbiendoli i
cherici apparecchiato uno
buono letto da
giacere,
riposandovisi suso,
venneli in
cuore la none
usata
morbidezza, come quegli ch'era usato di giacere
in su la terra ignuda,
contento d'uno solo
cilicio per
suo letto. E recandosi a ingiuria, levossene da giacere,
e gitta per terra ogne cosa, e puosesi a
dormire in su
la terra ignuda. Ed eccoti entro la mezzanotte
apprendere
il
fuoco in tutta quella paglia, e san Martino fue
isvegliato e, tentando d'
uscirne e non sappiendo onde,
fu preso dal
fuoco, e già
ardevano le vestimenta. Sì
che ritornando al subitano ricorso de l'orazione e al
segno de la Croce, stette nel mezzo del
fuoco che non
fu toccato e, sentìo le
fiamme rugiadose, le quali avea
sentite
ardenti. Sì che i monaci isvegliati
corsono a san
Martino e,
pensandolo trovare già
consumato, il trassono
sanza veruno male fuori del
fuoco.
Di molta
compassione fu inverso i peccatori, però che
tutti quelli che si voleano pentere sì li
rivecea nel
seno
de la
compassione. Ché riprendendo il
diavolo san Martino
perché ricevea
coloro che erano una volta
caduti
a penitenzia, sì li rispuose: "Se tu, miserabile, ti rimanessi
da
molestare gli uomini e
pentesseti de'
fatti
tuoi, io mi
confido tanto nel Signore, ch'io ti
prometterei
la misericordia di Cristo".
Di molta pietà fu inverso i poveri.
Leggesi nel detto
dialago che un povero ignudo tenne dietro a san Martino
ritornante a la chiesa per una
festa; e san Martino
comandò a l'
arcidiacano che vestisse il povero; ma
indugiandosi quello molto a
farlo,
entrò san Martino ne
la sagrestia, e
diede a colui la tonica sua, e
fecelo partire
incontanente. E
ammonendolo l'
arcidiacano che si
parasse a
dire la
Messa, egli parlando di sé rispuose
che non potea andare se 'l povero non fosse vestito.
Ma l'
arcidiacano non intendendo in quello modo, però
che
veggendolo
coperto con la
cappa di fuori non vedea
lui ignudo dentro,
diede cagione che 'l povero non v'era
presente. E 'l santo disse: "Siemi recato il vestimento,
bene
non si troverrà elli il povero da esserne vestito".
Costretto quegli, andò al mercato e
comperò una tonica
cinque grossi d'
argento, la quale fu molto vile e
corta,
e
chiamavasi
penula, quasi poco meno nulla, e tolse
questa
gonnellaccia e gittolla
adiratamente dinanzi a'
piedi di san Martino. La quale egli sì vestìo sagretamente,
le cui
maniche si
stendevano infino al gomito,
e lunga infino al ginocchio e, così vestito, s'
apparecchiòe
a
dire la
Messa. E
dicendo lui la
Messa, una
palla
di
fuoco
apparve sopra il capo suo, e da molte persone
fue veduta in quello luogo.
Perciò è detto pari a gli
apostoli. E
a questo miracolo
aggiugne il maestro
Giovanni
Belett che, levando san Martino le mani a
Domenedio,
come è usanza, non abbiendo
coperto le
braccia
altro che de le
manichelline, e quelle
braccia non essendo
grosse né molto
carnose, e la gonnelluccia non
essendo lunga più che infino al gomito, rimasero le
dette
braccia ignude. Allora per miracolo di Dio
apparvero
fregi
dorati e
'ngemmati, portati da gli
angeli, e
copersero
convenevolemente le
braccia. Ragguardando elli
una volta una pecora tonduta disse: "Costei ha
adempiuto
il
comandamento da Vangelio; ché avea
due toniche,
e ha
donata l'una a chi non l'avea, e così
dovete fare voi".
Di molta
potenzia fue a
cacciare le
demonia, però che
spesse volte le
cacciava da gli uomini.
Leggesi nel detto
Dialago che una vacca commossa dal
demonio, essendo
molto
crudele in ogne luogo e
cozzando molte persone,
una volta
correa inverso san Martino e' suoi
compagni
molto
furiosamente ne la via, ed elli levando la mano
comandolle che stesse ferma. E quella stando ferma,
vidde san Martino il
demonio
sederle in sul
dosso, e
riprendendolo sì li disse: "Partiti, maladetto, da la
bestia,
e rimanti di
commuovere l'
animale, che non suole
nuocere". E partendosi il
demonio, la vacca gli si gittò
a' piedi, e al suo
comandamento con ogne mansuetudine
ritornò a la mandria sua.
Di molta sottigliezza fue a
conoscere le
demonia, però
che le
demonia si mostravano sì a lui, ch'
apertamente
erano vedute da lui sotto qualunque imagine. Però che
demonio alcuna volta s'offereva a lui in persona di
Jupiter, alcuna volta di Mercurio, alcuna volta di Venus
e di
Minerva, così trasfigurato al suo volto, ed egli gli
riprendea tutti per li nomi loro. Mercurio
massimamente
sostenea ingiuriosamente,
Jupiter
dicea ch'era
bruto e
pigro. Un
die gli
apparve il
diavolo in
forma di re, ornato
di porpora e di
corona e di
calzamento d'oro, con
chiara
boce e
allegra
faccia; ed essendo taciuti
abendue
lungamente, disse il
demonio: "
Conosci tu, Martino,
colui cui tu
adori? Io sono Cristo il quale
dovendo iscendere
a terra, mi sono voluto manifestare prima a te".
Tacendo ancora Martino, maravigli
andosi, disse da
capo
il
demonio: "O Martino, perché
dubiti tu di
credere da
che tu mi vedi? Io sono Cristo". Allora Martino, ammaestrato
da lo Spirito Santo, disse: "Messere
Jesù
Cristo predisse che verrebbe non
imporporato o
coronato
isplendientemente; s'io non vedrò Cristo in quell'
abito
e
forma nel quale fu passionato, s'io
nol vedrò
venire con le stimate de la Croce, non
crederrò". A
questa
voce sparve il
demonio, e
ebbe riempiuta tutta
la
cella di puzza.
Martino seppe il
die che
dovea morire molto di prima,
lo quale
die
revelòe a' frati.
Infrattanto
vicitòe il vescovado
di
Chiarens per
pacificarvi alcuna
discordia; e
andando lui, vidde
marangoni nel
fiume porre
guàito
a' pesci, e tutti gli pigliavano. E disse: "Questa è
forma de le
demonia, che pognono
agguati a non savi,
e pigliano
coloro che non si sanno guardare e, da che
gli hanno
presi, sì li
divorano, e non ne possono tanti
divorare che si
sazino". Sì che
comandò loro che, lasciato
il
fiume,
andassero per
diverse
contrade. Incontanente
fecero schiera di sé, e
fuggirono per le montagne
e per le selve.
Dimorato alcuno tempo dunque in
quello vescovado,
cominciarolli a venire meno le
potenzie
del
corpo, e disse a li
discepoli che allora
dovea passare
di questa vita. Allora tutti piagnendo
dicono: "Perché
ci
abbandoni, o padre, ovvero a cui ci lasci, noi
isconsolati? I lupi
rapaci
assaliranno la mandria tua!"
E quelli mosso a i loro pianti, piagnendo oròe, e così
disse: "Segnore mio, se io sono necessario ancora al
popolo, non rifiuto
fatica, sia fatta la
volontà tua!"
E
dubitòe poco meno quel che volesse anzi, però che
né non li sapea lasciare, né da Cristo volea essere
lungamente sceverato. Essendo dunque
alquanto tenuto
da
gravamento di
febbri, li
discepoli il pregavano che
lasciasse porre in sul
lettuccio suo, dove giaceva in
cilicio
e in
cennere, alcuna
coltricella, e quelli disse:
"Non si
conviene, figliuoli miei, che 'l
cristiano muoia
se non in
cennere e in
cilicio; se io vi lascio
altro essemplo,
io abbo peccato". Altre volte con gli occhi e
con le mani sempre stando inteso nel
cielo, il non vinto
spirito non ritraeva da l'orazione e,
giacendo sempre
rivescione, i preti il pregavano che
sollevasse il
corpicello
per
mutare lato, e elli
diceva: "Lasciatemi stare,
frati, lasciatemi stare, lasciatemi anzi vedere il
cielo
che la terra, acciò che lo spirito si
dirizzi al Signore".
E
dicendo queste cose vidde il
diavolo ivi presente, e
sì li disse: "Che
fai tu qui, malvagia
bestia? Tu non
troverrai in me cosa di
morte, ma il
seno d'
Abraam mi
riceverà". E in questa notte,
sotto Arcadio ed
Onorio che cominciarono a regnare ne gli
anni
Domini
CCCXCV,
di anni LXXXI de la vita sua diede l'
anima
sua a
Domenedio; e 'l suo volto
risplendette come
fosse già glorificato, e 'l
coro de gli
angeli vi fu udito
cantare da molti che v'erano.
Al suo passamento si ragunarono cosìe quelli di
Turone
come quelli di Pettieri, e nacquevi grande
contenzione.
Dicevano quelli di Pettieri: "Egli è nostro monaco,
noi
radomandiamo quello che ci è
accomandato".
E que'
diceano: "Egli è tolto da voi, e è
donato a
noi da Dio". Sì che entro la mezzanotte quelli di
Pettieri s'
addormentarono tutti, e così ne fu tratto
fuori per una
finestra e portato in
nave per lo
fiume
di
Ligeri da quelli di
Turone a la loro
città, con
grande
allegrezza. San
Severino, vescovo di
Colognole,
faccendo la
cerca de' luoghi santi la
domenica dopo
mattutino, com'era usato, in quell'ora che 'l santo
di Dio morìo, udì gli
angeli
cantare in
cielo;
chiamòe
l'
arcidiacano e
domandollo s'elli udìa nulla. E
dicendo
che none udiva nulla e 'l vescovo
ammonendolo ch'elli
ascoltasse
diligentemente,
cominciò a levare alto il
collo
e rizzare gli orecchi e stare in
alti luoghi,
sostegnendosi
al
bastone. Ma orando il vescovo per lui, disse
che udiva in
cielo alcune
boci. E 'l vescovo li disse:
"Egli è il Signore mio Martino, il quale è passato di
questo
mondo, e ora lo portano gli
angeli in
cielo".
E le
demonia furono a lui e volserlo ritenere, ma non
trovando in lui niuna loro cosa, partirsi da lui con
vergogna. Sì che l'
arcidiacano notòe il
die e l'ora, e
trovò che allora era passato san Martino.
Ancora Severo monaco, il quale scrisse la sua vita,
essendo addormentato d'uno lieve sonno, dopo mattutino,
sì come egli dice in una pistola, sì li
apparve
san Martino vestito di
bianco, col volto infiammato,
con gli occhi
stellanti, col capo porporino, e tenea ne
la mano ritta il
libro che 'l detto Severo scrisse de
la vita sua. E
veggendolo salire in
cielo dopo la
benedizione
data, e
disiderandovi di salire con lui, sì si
destòe. Dopo questo vennero messaggi, e udì da loro
che in quella cotale notte san Martino era passato a
Domenedio.
Simigliantemente santo Ambruogio,
arcivescovo di
Melano,
dicendo la
Messa s'
addormentò dietro a l'
altare,
fra la
Profezia e la Pistola, e none essendo niuno ardito
di
destarlo, e none essendo il
soddiacono ardito di
leggere
la Pistola se prima non
avesse la
benedizione,
sì che passate
due, ovvero tre ore, sì lo
isvegliarono,
e
dissero: "Già è passata l'ora, e 'l popolo molto
lasso
aspetta,
comandi il Signore nostro che 'l
cherico
legga la Pistola". E quelli disse loro: "Non vi turbate,
frati miei, però che 'l
fratello mio Martino è
passato a
Domenedio, ed io abbo posto mano a la sua
seppoltura; ma perché voi m'
avete
isvegliato, non
pote'
compiere la sezzaia orazione". Allora quegli notarono
il
die e l'ora, e trovarono che san Martino era
passato di questa vita.
Dice il maestro Giovanni
Beleth che i re di Francia
soleano portare la
cappa sua indosso quando
andavano
a
battaglia, onde i guardiani de la
detta
cappa si soleano
chiamare
cappellani. Nel
LXIV anno dopo la
morte sua, abbiendo san
Perpetuo
ampliata
magnificamente
la chiesa di costui, e volendo traslatare in quella
il
corpo suo, una volta e
due e tre stando in
digiuni
e in vigilie, non poterono per veruno modo muovere il
sepolcro suo, e
volendolo lasciare stare, sì li
apparve
uno
bellissimo vecchio, e sì li disse: "Insino a quando
v'
indugiate? Non vedete voi san Martino apparecchiato
per
aiutarvi, se voi ci ponete mano?" Allora egli puose
sotto la mano con loro, e
avacciatamente levarono alto
il sepolcro, e puoserlo in quel luogo nel quale è oggi
onorato. E quello vecchio dopo queste cose giammai
non
apparve più, e di questa traslazione si fa
festa
del mese di Luglio.
Ancora si racconta che allora erano
due
compagni
l'uno
cieco, e l'altro
attratto. Il
cieco portava l'
attratto,
e l'
attratto mostrava la via al
cieco, e così,
mendicando,
accattavano molta pecunia. Udendo costoro
che al
corpo di san Martino si sanavano molti infermi
quando ne la traslazione si portava
personalemente il
corpo suo fuori de la chiesa a processione,
cominciarono
a temere che 'l detto
corpo non passasse lungo
la
casa dov'eglino stavano, se per la ventura e' fossero
sanati; però che non voleano guerire, acciò che non
perisse la miseria del loro
accatto. Per la qualcosa
fuggendo di quella
contrada,
andaronne ad un'altra,
per la quale non pensavano che 'l detto
corpo dovesse
essere portato. Sì che
fuggendo loro
disavventuratamente,
sì si
iscontrarono in quello
corpo, e perché
Domenedio
fa molti
beni a
coloro che non vogliono,
ambedue,
contra loro volere, furono sanati incontanente,
avvegnadio che di ciò molto si
contristassono di loro
sanitade.
Santo Ambruogio
dice così di san Martino: "Il
beato
Martino
disfece i templi del maledetto
errore, rizzòe in
alto i gonfaloni de la pietade, risuscitò e' morti,
cacciò
le
demonia de'
corpi imperversati e, col rimedio di santade,
sollevòe molti infermi di
diverse infermitadi. Il
quale fu trovato sì perfetto che ricoperse Cristo nel
povero, e del vestimento che 'l povero avea ricevuto,
vestitte il Signore del
mondo. O bene
venturata largitade,
la quale la
divinità
adopera! O glorioso
dividimento
del mantello, che ricoperse e 'l
cavaliere e 'l re! O
ineffabile
dono, che
meritòe di vestire la
divinitade!
Degnamente hai
dato a costui, Segnore,
dono d'essere
tuo
confessore,
degnamente fu sottoposta a lui la
crudezza
de gli
ariani,
degnamente per
amore di martirio
non temette i tormenti del persecutore. Che dove era
elli in
cennere per offerere il suo
corpo intero, quando
per una quantità d'un poco di vestimento
meritòe
di vestire e di vedere il Signore? In tale maniera
diede
medicina a
coloro che speravano, ch'altri ne salvava
co'
prieghi e altri col vedere".
cap. 162, S. Brizio
Brizio,
diacano di san Martino e molto invidioso di
lui, molti
disonori facea al detto santo. Ché
domandando
uno
povero san Martino, disse
Brizio: "Se tu
domandi
quello ismemorato, vedilo da lunga; quegli è
colui, il quale come pazzo ragguarda il
cielo". Con
ciò dunque fosse
cosa che 'l povero
avesse avuto da
Martino quello ch'avea
adomandato, il santo di Dio
chiamando a sé
Brizio e' sì li disse: "Or paioti io
pazzo, o
Brizio?" E quegli
negando d'
averlo detto,
per vergogna, disse san Martino: "Or non erano l'orecchie
mie a la bocca tua, quando parlavi queste cose
da la lungi? In verità ti
dico che io abbo
impetrato
da
Domenedio che tu
sie vescovo dopo me, ma una
cosa sappie, che nel vescovado tu
avrai molte tribulazioni".
E
Brizio udendo questo, sì se ne facea
beffe,
e
dicea: "Or non
diss'io bene il vero, che questi è
un pazzo?" Dopo la
morte di san Martino,
Brizio fue
eletto vescovo, il quale da indi innanzi
soprastava a
l'orazione e,
avvegnadio che ancora fosse superbo,
pure del
corpo era egli
casto. Nel trentesimo
anno del
suo vescovado una femmina vestita
religiosamente, la
quale gli lavava i panni,
concepette e partorì figliuolo.
Allora tutto il popolo si raunò con le lampane
accese
a la porta sua del vescovado, così
dicendo: "Lungo
tempo abbiamo ricoperta la lussuria tua per la pietade
di san Martino, ma non possiamo più
basciare le mani
sozze". E
Brizio
negando ciò, disse a loro: "Recate
qua a me il
fanciullo".
Recato il
fanciullo che
aveva
XXX dì, disse a lui
Brizio: "Io ti scongiuro per
lo figliuolo di Dio, che tu
dica dinanzi a tutti, se io
t'ingenerai io". E quelli disse: "Non
se' tu il mio
padre". E
costrignendolo il popolo che
domandasse
chi fosse il padre del
fanciullo, elli disse: "Non s'appartiene
a me; io abbo fatto ciò che a me s'è
appartenuto".
E 'l popolo
apponea ch'elli facesse queste
cose per
arte di
demonio, e
diceano: "Neente
avrai
signoria sopra noi col
falso nome di pastore". Allora
Brizio per mostrare sua innocenzia in quello fatto,
prese i
carboni accesi, e
missilisi in grembo, e portolli
così insino al sepolcro di san Martino a veduta di tutta
la gente e, gittati in terra i
carboni accesi, al suo vestimento
non
apparve
danneggiamento nessuno; e disse:
"Come questo vestimento è rimaso non
danneggiato
da la
bracia, così il
corpo mio e netto da
toccamento
di femmina". Non
credendo ancora il popolo, ancora
afflissero san
Brizio da villanie e da ingiurie, e
cacciarollo
de la sua
dignitade, acciò che s'
adempiesse
la parola che avea
detta san Martino. Allora san
Brizio
se n'andò al Papa
piangendo, e stettevi
sette
anni,
e ciò ch'avea
fallato inverso san Martino,
puniendosi,
amendòe e strusse. E 'l popolo fece vescovo
Justiniano,
e
mandollo a Roma contro a
Brizio, acciò che
si
difendesse il vescovado contro a
Brizio. Il quale
andando
a Roma, morìo ne la
città di
Vercelle, e in suo
luogo fu fatto
Armenio dal popolo. Sì che in capo di
sette
anni ritornando
Brizio con
autorità del Papa,
prese
albergo
sei miglia di lungi da la
cittade, e
Armenio
morìo in quella notte. La qualcosa sappiendo
Brizio per revelazione di Dio, disse a i suoi che si levassero
e
andassero seco a seppellire il vescovo di
Turone.
Ed
entrando
Brizio per l'una porta de la
cittade,
colui uscìa per l'altra morto. E seppellito che fue,
san
Brizio riebbe la sedia sua; e standovi poi su
sette
anni e menando la vita sua
lodevolemente, nel
XLVIII
anno dal vescovado suo posòe in santa pace.
cap. 163, S. Elisabetta
Elisabetta fu figliuola d'uno gentile re, nobile di
legnaggio, ma più nobile di fede e d'onestade; così
nobile la fece Cristo per
esempli,
alluminolla di miracoli
e ornolla di grazia di
santitade. La quale il
fattore
de la natura in alcuno modo levò sopra natura:
una
fanciulla nutricata in
dilicatezza reali
spregiare
al tutto le
fanciullezze, e
dare l'
etade sua nel
servigio
di Dio, acciò che
apertamente si manifesti quanta
buona semplicità ebbe in sé, con che
dolce
divozione
ella incominciòe. Ed allora si
cominciò ad usare a
buoni studii, a
spregiare i giuochi de la vanità, a
fuggire gli
avvenimenti
prosperevoli del
mondo e megliorare
sempre ne la reverenzia di Dio. Ché essendo
ella d'
etade di
cinque
anni, stavasi
continuamente ne
la chiesa per cagione d'
adorare, che le sue
compagne,
ovvero
ancelle, appena la ne poteano
iscostare. La
qualcosa osservando l'
ancelle, ovvero le
fanciulle de la
sua
etade, alcuna volta parea che
corresse dietro ad
alcuna di quelle inverso la
cappella per giuoco, acciò
che prendesse
bisogno per questo d'
entrarvi ne la chiesa.
Ne la quale
entrando, s'inginocchiava, o ella si
stendea
tutta ne lo smalto de la chiesa, e
avvegnadio ch'ella
non sapesse lettera, intanto dinanzi a' suoi occhi molte
volte ne le
chiese
aprìa il salterio, per mostrarsi in
alcuno modo di
leggere, quasi com'altri non le
desse
briga, veggendola occupata. Spesse volte con l'altre
fanciulle,
abbattuta in terra per giuoco, si misurava
con loro, acciò che sotto cotale cagione
desse reverenza
a Dio. Ne i giuochi de l'
anella e de l'altre
giuocora
ponea tutta la speranza in
Domenedio. E di quelle
cose che la
fanciulla piccola guadagnava, o altre cose
ch'ella possedesse in
peculio, sì ne
dava la
decima a
le
fanciulle poverelle,
inducendole a
dire spesse volte il
Paternostro e a salutare spesso la Vergine Maria. E
crescendo ella in tempo,
cresceva più per
effetto di
divozione,
ched ella
elesse la
beata Vergine, madre di Dio,
per sua propia
avvocata, e Giovanni
Vangelista per
guardiano de la sua
castitade. Però che ponendosi le
cedole scritte de' santi per
ciascuna de le
fanciulle
una sotto il panno de l'
altare, e levando ognuna la
sua, come si venìa per
avventura ad avere in
devozione
quello santo, ch'era scritto ne la sua
cedola,
costei fece orazione tre volte a Dio, e
vennele preso la
cedola dov'era scritto il nome di Giovanni
Vangelista,
sì come ella
disiderava; al quale portava tanto
affetto
di
divozione, che negava giammai nulla a chi
domandasse
per lo suo
amore e nel suo nome. E perché l'
avvenimento
del secolo non la
lusingasse già troppo, ogne
die ne le cose
prosperevoli si sottraeva alcuna cosa;
e
vegnendole
ben fatto in alcuno giuoco, lasciando stare
il rimanente, sì
diceva: "Non voglio andare più innanzi,
ma per Dio voglio lasciare stare il rimanente".
Invitata da l'altre
donzelle d'
entrare ne'
balli, quando
aveano
compiuto l'un giro,
dicea: "
Basti a voi
l'uno torneo, lasciano stare gli altri per
Domenedio".
E così temperava le pulcelle de le vanitadi, per sì fatto
modo. Sempre ebbe in
abbominio i leggiadri
usamenti
di vestiri, e tutta
onestàe
amòe in questi. Certo numero
d'orazioni s'avea posto di
dire ogni dì, e se alcuna
volta per alcuna occupazione non l'
avesse potuto
compiere, e fosse
costretta da l'
ancelle d'andare
a letto col
celestiale
isposo, vegghiando, pagava il
debito
de l'usate vigilie; i dì
solenni con tanta
divozione
onorava la
donzella nobile, che per neuna ragione
potea patire che le fossero ricucite le
maniche prima
che fossero
compiute di
dire le
Messe. L'uso de'
guanti s'interdisse i dì de le
Domeniche anzi merigge,
volendo in ciò onorare la santa solennitade e sadisfare
a la sua
divozione. E a queste cose e
assomigliante
usava di
costringersi per
boto, acciò che veruno non
la potesse per alcuni
conforti ritrarre dal suo proponimento.
L'Ufficio de la Chiesa udiva con tanta
divozione
e
riverenzia, che quando si leggeva il santo Vangelio,
e che si levasse il
corpo de Signore, s'ella avea
le
maniche
cucite, sì le
isdrusciva, ponea giù le
fibbiature,
e gli altri ornamenti del capo poneva in terra.
Poscia ch'ebbe
mantenuto lo stato
verginale prudentemente,
e
iscorsolo innocentemente, fu
costretta d'
entrare
in quello del maritaggio, e a ciò fare fu
costretta
dal
comandamento del padre a
dovere ricevere il
frutto
trentesimo, osservando la fede de la santa Trinitade
co'
diece
comandamenti de la legge.
Consentette costei,
avvegna che male volentieri, in
congiugnimento maritale,
non per servire a la
carnalitade, ma per non
spregiare il
comandamento del padre e per ingenerare
figliuoli
da educarsi al servigio di Dio. Fu legata a
la legge del matrimonio, ma non si sottopuose a veruno
diletto di riprendere, e questo si manifesta
palesemente
in ciò ch'ella fece voto, e missesi ne le mani
del maestro
Currado che, se intervenisse ch'ella sopravivesse
al
marito suo, starebbe sempre mai
casta. Fue
adunque accompagnata al
langravio
di Turingia per
maritaggio, sì come richiedeva la reale magnificenzia,
e come ordinòe la
dispensazione di Dio, acciò ch'ella
ne recasse molti a l'
amore di Dio, e
ammaestrasse gli
uomini non
coltivati. E avvegna ch'ella
mutasse stato,
non
mutò
affetto de la
mente; e di quanta
divozione
e larghezza ch'ella fosse a Dio, e di quanta
astinenza
ed
asprezza a se medesima, e di quanta largitade e
misericordia a li poveri, per quelle cose che scritte sono
qui disotto
apertamente si
dichiara. Ché ne l'orazione
fue di tanto
fervore che, quando ella
andava a la chiesa
con l'
ancelle, sempre
andava loro ratto innanzi,
accio
che per alcuna
celata orazione
impetrasse alcuna grazia
da Dio. La notte si levava ispesse volte ad orazione,
pregandola il
marito che si perdonasse e
desse al
corpo
alcuno
riposo. Sì
ordinò con una
donzella, la quale infra
l'altre era più
dimestica con lei, che, se per
avventura
abbattuta dal sonno non si levasse,
toccandole il piede
la
destasse. Una volta che le volse toccare il piede, incappòe
nel piede del
marito, il quale, isvegliato, subitamente
seppe il fatto com'era, e sofferendo
pazientemente
infinsesi
saviamente. E acciò ch'ella facesse grasso
sagrificio a Dio de le orazioni sue, spesse volte gittava
innanzi a lui
abbondanza di
lagrime, le quali
lagrime
spandea
allegramente, e sanza veruna
sconvonevolezza
avea molte permutazioni, sì che sempre con
dolore piagnea,
e del
dolore s'
allegrava, con una cotale letizia e
piacevolezza de la
faccia. A tanta umilitade si sottopuose
che non rifiutava di fare le
vili cose e
dispette,
ma con molta
divozione le facea.
Uno infermo di sozza paruta, orribile per puzza del
capo, sì le si
chinò in sul propio grembo,
li tagliò i
capegli e lavò quello
orribole capo a la perfine, ridendo
le sue
ancelle. Quando s'
andava a processione per le
Letanie, sempre
andava a piede
scalzo, essendo vestita
di
sacco, dietro a la processione, e ne le
riposanze de la
processione si ponea a sedere tra le poverelle come povera
e umile; quando si
purificava del parto, niente
s'
adornava di
gemme, come
facevano l'altre, né non
si
copriva di vestimenta
dorate, ma d'
asemplo de la
partorente non
corrotta santa Maria, portava il propio
figliolo ne le sue
braccia, e
offerìa a l'
altare con l'
agnello
e col
cerotto, acciò che per questo mostrasse come
fosse da
spregiare la
boria del secolo, e
confermassesi
a la partorente santissima non
corrotta. Poi ch'era ritornata
a
casa, le vestimenta con ch'ella era
andata a
la chiesa, sì le
dava ad alcuna
femminella.
Avvenne una
loda di grande umiltade, ched ella
avanzante di
cortesia,
alta di
dignitade, si
dispuose a fare ubbidienza ad uno
uomo, cioè al maestro
Currado, povero e mendico,
ma
eccellente di senno e d'onestade, salva la ragione
del matrimonio per
consentimento del suo
marito, ad
essere sottoposta al detto maestro, che ciò ch'elli le
comandasse, ella con reverenzia e con molto gaudio
adempiesse, acciò che per questo
avesse il
merito de
l'obbidenzia, e seguitasse l'
essemplo di Cristo, il quale
si fece ubbidiente insino a la
morte.
Una volta, invitata ad una predicazione del detto
maestro, però che
sopravvenìa una marchesa
di Mismi,
fu impedita e non
poté
adempiere il
comandamento
d'
andarvi. La qualcosa recandosi il maestro ad ingiuria,
non le volse perdonare tanta
disubbidienza di lei, insino
a tanto che non le fece spogliare infino a la
camicia
con alcune
ancelle, le quali erano
colpevoli di
ciò, e
fecela
battere
fortemente. E
imponevale tanta
astinenza che
macerava il
corpo suo col vegghiare e
col
disciplinare e col
digiunare e con l'
astinenzia. Molte
volte
astegnendosi dal letto del
marito, vegghiava tutta
la notte per potere stare in orazione e pregava di
nascosto
il padre
celestiale, e quando
sopravvenìa la necissità
del
dormire,
poneasi a
dormire in su'
tappeti
per terra, ma vegghiava in orazioni col
marito e
con lo sposo
celestiale. Molte volte ancora ne la
camera,
per mano de le
ancelle, si
faceva
battere
fortemente
per rendere
cambio al
Salvatore battuto, e per
costrignere
la
carne da ogne vanitade.
Tanta temperanza teneva nel mangiare e nel
bere,
che alcuna volta ne la mensa del
marito, tra
divisate
imbandigioni di minestre, di solo pane stava
contenta;
però che 'l maestro
Currado l'avea interdetto che non
toccasse nulla di quelle cose de' mangiari del
marito,
dond'ella non
avesse sana
coscienzia. La qualcosa ella
osservava con tanta
diligenzia, che, essendovi
abbondanza
d'altri
diversi mangiari, ella con le
ancelle sue
usava grossi
cibi. Molte volte, stando a mensa, toccava
e partiva i
cibi con mano, per non incorrere nel vizio
de la supersti
zione, ma per rallegrare tutti i
mangiadori
per così fatta
cortesia. Una volta ch'ella era
molto
affaticata
per una lunga camminata, essendo
recati
cibi a lei e al
marito, i quali si
credea che non
fossero
acquistati di giusta
fatica, al tutto se ne
astenne,
e mangiò
pazientemente del pane nero e
duro immolato
ne l'
acqua
calda, con le sue
ancelle. Per questo
l'
assegnò il
marito alcune giuste
rendite, de le quali
si viveva ella con
alquante
ancelle, che l'
acconsentivano
a tutte cose simiglianti. Spesse volte rifiutò i
cibi de la
corte e
adomandando d'avere i
cibi d'alcuni
buoni uomini. Tutte queste cose
comportava il
marito suo
pazientemente,
affermando che volentieri
farebbe
elli il somigliante, se non che temeva la turbazione
de la
famiglia sua. Lo stato de la povertade,
essendo ella posta in somma gloria, con sommo
studio
disiderava, e acciò che rendesse
cambio a Cristo povero
e acciò che il
mondo non
avesse in lei nulla del
suo. Per la qualcosa alcuna volta stando sola con le
ancelle sue, sì si vestiva di
vili panni, e
coprìa il
corpo
suo con
disprezzato velo, così
dicendo: "In questo
modo
andrabbo io, quando saròe venuto a lo stato de
la povertade". E
avvegnadio ch'ella si ponesse il
freno de l'
astinenzia, impertanto era tanto misericordiosa
a i poveri che non
pativa che veruno fosse
abbattuto
d'alcuna
fame, ma a tutti sovveniva tanto larghissimamente
che tutti i poveri la gridavano loro
madre, però ch'ella si
dava studiosamente a l'opera
de la misericordia.
Una volta ch'ella
entròe nel
chiostro d'alcune monache,
pregatane
strettamente da loro, non
avutone la
licenzia del suo maestro, sì la fece sì
gravemente
battere
che dopo tre settimane le si pareano le
battiture
ne la
carne. E
dicea a le sue
ancelle,
consolando sé e
loro: "Come la gramigna è
battuta
crescendo il
fiume,
e poi quando il
fiume è scemato ricresce in
foglie e
distendesi, così
dovemo
far noi quando viene alcuna
affezione sottometterci per umiltade, e quando
cessa
l'
afflizione levarci a
Domenedio per
ispirituale letizia".
Da tanta umiltade s'
abbattea che per veruno modo non
pativa che l'
ancelle la
chiamassero madonna, ma che
le parlassero in numero di singularità, cioè in quel modo
che noi solemo
favellare a' più
bassi di noi. Le scodelle
e l'altre
masserizie di
cucina si mettea a lavare, e
acciò ch'ella non fosse vietata da l'
ancelle a ciò fare,
sì le mandava in quell'ora ad altre luogora.
Diceva
ancora: "S'io
avesse trovato un'altra vita più
disprezzata,
sì l'
avrei
maggiormente
eletta". E acciò ch'ella
possedesse l'ottima parte con Maria,
continuamente
stava in
contemplazione talora. Ne la quale
contemplazione
ebbe speziale grazia di spandere
lagrime, di
vedere spesso
celestiali visioni e d'infiammare gli altri
ne l'
amore di Dio. E quando ella parea più
allegra,
allora mandava fuori
lagrime d'
allegra
divozione; sì che
del suo volto
allegro pareva che uscissono le
lagrime come
d'una purissima
fontana, che insiememente paresse
piagnere e
allegra, non
mutando giammai il volto per
piagnere in
rustichezza o in
crespe. Però che
diceva di
coloro che nel pianto
isforzavano il volto, che
pare che
ischermiscano
Domenedio;
deano a Dio quel c'hanno,
deano con
gioconditade e con
allegrezza. Ne l'orazione
sua e ne la
contemplazione vedea spesse volte visioni
celestiali. Un
die, nel santo tempo de la
Quaresima, essendo
ne la chiesa, e stavasi così a l'
altare con gli occhi
fissi in terra, come s'ella vi vedesse la presenza di
Dio e,
consolata per grande
spazio d'ora, fue pasciuta
de la rivelazione di Dio. Ritornando poi a
casa, e
appoggiandosi
per
debolezza al grembo d'una
ancella,
levando gli occhi bene
fissi per la
finestra, da tanta
allegrezza fu sparto il volto suo, che ne seguìo uno
ridere maraviglioso. La quale essendo stata lungamente
allegra di sì gioconda visione, subitamente si mutòe in
lagrime. E
aprendo un'altra volta gli occhi, sì le
venne la prima
allegrezza, poi
chiuse gli occhi e
mutossi
in
lagrime come prima, e così penò a stare in sì
fatte
consolazioni di Dio infino a la
compieta. Ma tacendo
ella lungamente, e non
profferendo veruna parola,
a la fine misse mano a
dire, e disse così: "Sì, Messere,
tu vuoli starti meco, e io sarò con teco, e mai
non voglio
isceverarmi da te". Essendo poi
pregata da
l'
ancelle che ad onore di Dio e a loro
edificazione manifestasse
loro quello ch'ella
avesse veduto, ella, vinta
da la molta
improntitudine de l'
ancelle, disse: "Io
viddi il
cielo aperto, e
Jesù che s'inchinava
benignissimamente
a me, mostrandomi il suo
serenissimo volto;
ond'io per la sua veduta ripiena d'
allegrezza
ine
narrabile,
de la sua
potenza rimaneva molto
contristata. Il
quale
avendo pietà di me, mi rallegrava un'altra volta
mostrandomi la sua
faccia, e
dicevami: "Se tu vuogli
essere meco, io sarò teco". Al quale io rispuosi secondo
che voi m'udiste parlare". Ed essendo
pregata
ch'ella spianasse la visione la quale vidde lungo l'
altare,
quella rispuose: "Quelle cose ch'io viddi non è
utilitade di
dirle a voi, ma pure io vi
fui in molta
allegrezza,
e viddi le meraviglie del mio Dio".
Spesse volte
mentre si dava ad orazione la sua faccia splendeva
mirabilemente, e da' suoi occhi partivano raggi come di
sole. Spesse volte ancora la sua orazione era trovata
di tanto
fervore, ch'ella infiammava gli altri.
Una volta
chiamò ella uno giovane vestito
secolarescamente,
e disse a lui: "Io ti veggio
vivere troppo
dissolutamente,
che
dovresti servire al
Criatore tuo; vorresti
tu ch'io pregassi Dio per te?" E quelli disse:
"Sì, madonna, anzi ve ne
priego molto". Ed essendosi
data ad orazione, e
ammonito il giovane che si
desse ad orazione, il giovane gridò ad
alta
boce, e disse:
"
Cessate, madonna,
cessate d'orare". Ma orando ella
più
attentamente, il giovane gridava più ad
alti,
dicendo:
"
Cessate, madonna, però che tutto vegno meno
e
ardo". Però ch'egli era acceso di tanto
calore che,
sudando tutto e
fumicando il
corpo e le
braccia, notava
come fa l'
anitra. Intanto che molti v'
accorsero e
tenerlo e
trovarongli tutte
bagnate le vestimenta per
lo molto sudore; e non potendo
sostenere il
fervente
calore, con le mani gridava e
diceva: "Io
ardo e
consumo
tutto". Poi che santa
Elisabetta ebbe
compiuta
l'orazione, al giovane
cominciò a rimanere il
caldo; il
quale giovane tornando a se medesimo, e
alluminato de
la grazia di Dio,
entròe ne l'Ordine de' frati Minori. E
quello infiammamento
dimostrando così nel giovane, mostrava
com'era
focoso il
fervore de l'orazione sue, il
quale fue sì
forte che eziandio il
mondo infiammòe. Ma
il
fervore suo,
disusato da le cose
carnali e inteso tutto
a le spirituali, non potea
comprendere così fatte cose.
E a la summitade de la perfezione per la
contemplazione
di Maria non le venne meno l'officio
faticoso di
Marta, sì come mostrato è disopra ne le
sei opere de
la misericordia. Ma neente di meno poi ch'ebbe preso
l'
abito de la religione,
servette
continuamente in opere
di pietade. Ché da poi ch'ella ebbe ricevuto per la
dote
sua
cinquecento miglia di
marche d'
argento, parte ne
distribuìo a' poveri, e del rimanente fece uno grande
ispedale in
Marpurg. Per la qualcosa tutti la riputavano
guastatrice e scialacquatrice, e tutti la nominavano
matta, e perch'ella pareva che ricevesse volentieri
tutte le 'ngiurie, sì le rimproveravano che troppo tosto
avea messo in
dimenticanza
la memoria di suo marito,
perch'ella s'
allegrava in cotale maniera. E poi
ch'ebbe ordinato l'ospedale,
diessi al
servigio de' poveri
come umile
ancella, però che a' poveri era sì sollicita
di servire, che gli lavava e
mettevagli nel letto,
e sì li
copriva, intanto che con
allegrezza
dicea a le
ancelle sue: "Come ci fa Dio bene, che 'l
bagnamo e
copriamo così!" E portossi sì umilemente nel
servigio
de' poveri, ch'un
fanciullo povero
cieco de l'uno occhio
e tutto
scabbioso, in una notte il portò
sei volte al luogo
de la necessitade, e
lavollo volentieri i panni suoi vituperati.
Simigliantemente lavando spesse volte una
femmina lebbrosa, sì la misse nel letto
forbendole le
piaghe e
legandogliele, e
medicandola, e tagliandole
l'unghie, e
gittandolesi a' piedi per
discioglierle le
coreggiuole
de li
calzari. Ella
inducea l'infermi a la
confessione
e a la
comunione, e una vecchierella, al postutto
contradicente, sì la 'ndusse a ciò, gastigata per
battitura.
E quando intendea al
servigio de' poveri,
filava lana
d'alcuno monasterio, e toglieva il prezzo che l'era
mandato, e
dividevalo tra ' poveri. E quando, dopo la
molta povertade, ebbe ordinato di partire tra ' poveri
cinquecento
marche d'
argento, le quali avea ricevute
da'
parenti del
marito per la ragione sua, e ella, apparecchiata
di fare questa
distribuzione, puose una legge
che tutti si ponessero a sedere ordinatamente, e se alcuno
mutasse luogo in pregiudicio de gli altri poveri per
ricevere più, sì gli fosse tagliato parte de'
capegli; ed
eccoti venire una
fanciulla ch'avea nome
Radegonda,
ch'avea uno
bellissimo capo, e passava quindi non per
torre
limosina, ma per visitare una sua
serocchia inferma.
La quale essendo presa e menata (come trapassatrice
de la legge posta del mutarsi da sedere) a santa
Elisabetta,
comandò incontanente che le fossero
mozzi
i
capelli.
Piagnendone molto la
fanciulla, e
contrastando,
e
affermando ella, alcuni di quelli ch'erano presenti, non
colpevole, quella disse: "S
ia ma
i no che da quindi innanzi
non potrà ella
entrare a i
balli con tanta vanagloria
de'
capelli, né operare veruna vanità con essi".
Domandandola santa
Elisabetta se ella
avesse mai avuto
proponimento di
buona e santa vita, quella rispuose che
già era passato alcuno tempo ch'ella sarebbe
entrata
in religione, s'ella non
avesse avuto
cotanto
diletto de'
capelli. E santa
Elisabetta disse: "Più dunque ho
caro
che tu
abbi perduto i
capelli, che se 'l figliuolo mio
fosse fatto imperadore". Incontanente la
fanciulla sì
vestìo l'
abito de la religione e,
abitando ne l'ospedale
con santa
Elisabetta, menò santa e laudabile vita.
Avendo una poverella partorito una figliuola, santa
Lisabetta sì la tenne a le
fonti, e impuosele il nome
suo, e
diede a la madre de la
fanciulla le sue necessitadi,
sì che levòe del
pelliccione d'una de le
ancelle
sue le
maniche, e
diedele a colei per
invilupparvi la
fanciulla,
e anche le
donòe i suoi propi
calzari.
Tre settimane
stette costei in
casa nutricando la
fanciulla, poscia
si partì col
marito, e lasciarono stare la
fanciulla, e
fuggirono
celatamente. La qualcosa essendo
annunziata a
santa
Elisabetta,
diedesi ad orazione, e 'l
marito e la moglie
non potendo andare più innanzi, costretti ritornarono
a lei,
domandando a lei perdonanza. Ed ella riprendendoli
de la ingratitudine, come era
degna cosa,
diede loro a
nutricare la
fanciulla, e
providdeli de le loro
nicissitadi.
Appressimandosi il tempo nel quale il Signore avea
ordinato di chiamare a sé la sua
amica de la pregione
del
mondo, acciò che quella ch'avea
spregiato il reame
de' mortali ricevesse il reame de li
angeli
le apparve
Cristo e le disse: "Vieni, mia diletta, nei tabernacoli
eterni preparati per te". E
giacendo ella con la
febbre,
e tenendo la
faccia rivolta a la parete, fu udita da
coloro che le stavano presenti una
boce che
rendea
dolcissima
melodia di
canto. E
domandata da una de le
ancelle che ciò fosse, quella rispuose: "Una
augella
ponendosi in mezzo tra me e la parete,
cantòe sì soavemente,
che trasse simigliantemente me a
cantare".
In questa sua infermità sempre stette
allegra, e mai
non
cessò da orazione, e l'ultimo
die innanzi al suo
passamento disse a loro: "Che
fareste voi se 'l
diavolo
ci venisse?" Poco stante gridò ad
alta
boce: "
Fuggi!
fuggi!" quasi volendo
accomiatare il
diavolo tre volte
gridando. Poi disse: "
Ecco che s'
appressima mezza
notte, quando Cristo volse nascere e riposossi ne la
mangiatoia". E
approssimandosi l'ora
de la sua morte
disse: "Ora è il tempo che Dio onnipotente
chiamerà a
le
celestiali nozze
coloro che sono suoi
amici". E stante
un
pochetto, venne l'ora de la
morte, e
dormìo in pace
ne gli
anni
Domini
MCCXXVI. E
avvegnadio che 'l
suo venerabile
corpo stesse
disotterrato
quattro dì, impertanto
non ne venìa
puzzo veruno, ma
usciane uno
odore di spezie che tutti gli
confortava. Allora furono
vedute molte
augelle raunate sopra 'l sommo de la chiesa,
le quali non furono vedute prima giammai da neuno,
le quali
cantavano tanto soavemente, e per tanti modi
isvariavano il loro
canto, che tutta gente se ne
maravigliava
di ciò ché parea che
facessero l'officio de la
sua
sepoltura per un cotale modo. Molto grande grida
v'ebbe di poveri, molta
divozione de' popoli,
sì che
altri le traevano i
capelli del capo, altri le tagliavano i
micolini de' panni, e
serbavarle per somme reliquie. Il
corpo suo fu posto in uno monumento, il quale fu trovato
poi ricrescente d'olio. Adunque manifesta cosa è nel suo
passamento, di quanta
santità fosse questa
beata
Elisabetta,
e sì per lo
bello
canto de l'uccello, e sì per lo
scacciamento del
demonio. Quello uccello che si puose
tra lei e la parete, e
cantò sì
dolcemente intanto ch'ella
trasse a
cantare,
crediamo che fosse l'
angelo che l'era
dato a guardia, il quale l'
annunziò l'
eternale
allegrezza.
Che sì come a' rei dinanzi a loro passamento, a loro
maggiore
confusione, è rivelata la
eternale
dannazione
di
coloro alcuna volta, così a'
buoni e a gli eletti, a
loro maggiore
consolamento, è rivelato alcuna volta il
loro
eternale salvamento. E quello
canto ch'ella fece,
sì fue la grande
allegrezza ch'ella
concepette di cotale
allegrezza e rivelazione, la quale fue sì grande
allegrezza,
che non
poté al tutto
capere nel
cuore, ma
manifestò se medesima per soavitade di
voce. Ancora
se 'l
diavolo
avesse veruna ragione, sì ne vae a li santi
che muoiono, ma però che non ebbe ragione veruna in
santa
Elisabetta, però
fuggìo villanamente
accomiatato.
Sì che per questo è
dato a 'ntendere quanta
santità
fosse in lei, da la quale il
diavolo spaventato
fuggìo,
e a la quale il
buono
angelo
annunziò la
eternale
allegrezza
del
cielo. Manifestasi nel secondo luogo quanta
puritade e
mondizia fue in lei, e ciò si mostra ne l'odore
che usciva di lei; che perché il
corpo suo
risplendette
di
mondizia e da
castitade ne la sua vita, però ne la
morte rendette odore di soavitade. Manifestasi nel terzo
luogo, di quanta
eccellenzia e
dignitade ella fue, e questo
quanto al
dolce
canto de gli uccelli, però che quelli uccelli
che furono veduti
cantare e giubilare in su la vetta
de la chiesa,
crediamo che fossero
angeli mandati da Dio
per
portarne l'
anima in
cielo, e per onorare il
corpo suo
e per soavi
canti d'
allegrezze. Che secondamente ch'a'
rei quando muoiono si raguna
moltitudine di
demoni per
tormentarli di spaventamenti, e per rapire le loro
anime
al ninferno, così
corre la
moltitudine de gli
angeli a li
eletti quando muoiono per
confortarli, e per menare l'
anime
loro al regno del
cielo. Manifestasi nel quarto luogo,
di quanta misericordia e pietade ella fosse, e ciò quanto
a l'uscire de l'olio del suo sepolcro, però che tutta
traboccòe
d'opere di misericordia in sua vita. O di quanta
interiora di pietade
abbondòe la sua ragione, il cui spirito
fu trovato essere sparto d'olio
giacendo il
corpo in
polvere! Manifestasi nel quinto luogo, di quanta
potenzia
e di che
merito ella sia
appo Dio, e questo si
mostra per l'operare di molti miracoli. Però che poscia
che Dio ebbe lei tratta del
corpo, sì la fece luminosa
di
multiplicata gloria di miracoli, de' quali ne sono
posti qui disotto
alquanti, ma molti ne lasciamo per
più
brevitade.
Ne le parti di
Sassonia, in uno monasterio del
vescovado d'
Isdimo, era uno monaco de l'Ordine di
Cestella, il quale era
chiamato
don
Arrigo, ed era
abbattuto
di tanta infermitade, e
attorniato da tanti
dolori,
che movea le persone a
compassione, e
molestavali con
le grida. Una notte gli
apparve una venerabile femmina
vestita di panni
bianchi, la quale l'
ammonìo che,
s'elli
desiderava di ricevere sanitade, sì si
botasse a
santa
Elisabetta. La seguente notte s'
apparve un'altra
volta
confortandolo a quello medesimo, sì che non essendovi
né l'
abbate, né 'l priore, per
consiglio del maggiore
fece il
boto. La terza notte gli
apparve, e fece
sopra lui il
segno de la Croce, e incontanente ricevette
santade. Tornando l'
abbate e 'l priore, udendo queste
cose,
cominciarsi a maravigliare de la santade, ma
dubitandone
molto de l'
adempimento del
boto, non essendo
licito a veruno monaco di fare alcuni
boti, né obbligarsi
a cotali cose.
Aggiunse ancora il priore che
spesso i
monaci, sotto spezie di bene, sono stati
beffati a fare
cotali cose non licite per
apparizione di
demoni, e però
era di
consigliare il detto monaco che
conformasse la
mente sua per istabile
confessione. La seguente notte
gli
apparve quella medesima persona che era
apparita
di prima, e sì li disse: "Tu sarai sempre infermo infino
a tanto che tu non
avrai
adempiuto quello che tu
promettesti".
Sì che incontanente il prese la
detta infermitade,
e
cominciò ad avere quelle medesime
doglie.
Udendo ciò l'
abbate
diedeli la licenzia, e
comandò che gli
fosse
data de la
cera per fare la
mania. Il quale ricevette
incontanente santade, e studiossi d'
adempiere il
boto
suo, e non sentì giammai poscia di quella infermitade.
Una
fanciulla che avea nome Benigna, del vescovado
di
Magonti,
cheggendo
bere a una sua
ancella,
quella
conturbata le porse
bere, così
dicendo: "Togli
e
bei il
diavolo". A la
fanciulla parve che l'
entrasse
per la
gola
un tizzone ardente, intanto che nel
collo
gridò d'aver male. Incontanente l'
enfiòe il
corpo a
modo d'otre, e nel suo ventre parve che scorresse
qualcosa
per tutte le
membre. Quella
faccendo miserabili
portamenti e mettendo
voci di lamento,
credevasi che
fosse
imperversata dal
demonio; e stette per
due
anni
in cotale stato. Sì che fue menata al sepolcro di santa
Elisabetta e, fatto il
boto per lei, quando fu posta in
sul sepolcro, sì
apparette come morta, ma quando l'
ebbero
dato un poco di pane a mangiare e de l'
acqua
benedetta a
bere sopra al detto sepolcro, incontanente
si levò su sanata,
maravigliandosene tutti quelli che
v'erano ivi.
Uno uomo del vescovado di Traccia, il quale
avea nome
Gederigo,
avendo l'una mano
attratta, intanto
che avea perduto l'uso di quella,
visitato ch'ebbe
il sepolcro di santa
Elisabetta per
due volte, e none
essendone
liberato, la terza volta v'
andòe con la moglie
in molta
devozione. Nel quale luogo
andando, iscontrossi
in uno vecchio di venerabile
aspetto, il quale, salutato
da lui e
domandato donde venìa, disse che venìa di
Marpurg, là
dove è il
corpo di santa
Elisabetta, dove
Domenedio fa molti miracoli per lei. Quando l'uomo l'ebbe
isposta la sua infermitade, quegli levò
alta la mano e
benedisselo, così
dicendo: "Va
sicuramente, ché tu
riceverai santade, pur che tu metta la mano inferma a
capo del sepolcro, in una
fossa che v'è fatta sotto la
lapida; e quando tu la vi metterai più
addentro, tanto
più tosto riceverai santade. E allora abbia in memoria
san
Niccolò, il quale, come
compagno di santa
Elisabetta,
ne i suoi miracoli
adopera con lei insieme". Disse
ancora che stolti son quelli che, gittato l'offerta, non
istanno, ma partonsi incontanente, con ciò sia cosa che
a
i santi piace con
perseveranza s'
adomandino i loro
beneficii.
Incontanente il vecchio isparve da loro, e non
poterono mai più
vederlo; sopra il quale
apparimento,
maravigliati molto,
andavano con grandissima
fidanza
di ricevere santade. Sì che l'uomo, secondo che quello
vecchio il
consigliò, misse la mano sotto la lapida del
monimento, e incontanente la ne trasse sana.
Uno del vescovado di
Colognole, il quale avea nome
Armanno, essendo tenuto in
carcere dal giudice, missesi
tutto in
Domenedio, e
chiamava in suo
aiuto santa
Elisabetta, e 'l maestro
Currado, con quella
divozione
ched e' poteva. La seguente notte gli
apparvero
ambedue
insieme con molto lume,
consolandolo con molte
maniere. A la perfine
data la sentenzia sopra lui, fu
impiccato e fu lasciato in su le
forche tanto tempo
quanto altri penasse ad andare un miglio
tedesco. E 'l
giudice
concedette a'
parenti che lo
ispiccassero, e
seppellissollo
ne l'
avello. Sì che apparecchiata che fu la
fossa, quando l'
ebbero spogliato e
spiccato de le
forche,
il padre e ' padroni suoi
cominciarono a
domandare l'
aiuto
di santa
Elisabetta per quello cotale morto; ed eccoti
levare sano e vivo su ritto, maravigliandosi e
stupidendosi
tutti di colui ch'era suto morto.
Uno
scolaio, ch'avea nome
Broccardo
de la
diocesi di Magonti intendendo a pescare meno che
cauto, incorse e
cadde entro il
fiume. E standovi entro
un grande pezzo di tempo,
funne tratto fuori, e trovato
ch'era perduto d'ogni
sentimento e
movimento, intanto
che non trovato in lui veruno
segno di vita tutti
dicevano
ched elli era morto. Allora
adomandato fue l'
aiuto
de'
meriti di santa
Lisabetta e, veggenti tutti, gli fue
renduto santade a vita.
Uno giovane ch'avea
tre
anni e mezzo, del vescovado
di
Magonti, il quale era
chiamato Ugolino,
essendo morto, e 'l
corpo suo
essendo stato rigido e
sanza
anima per
ispazio di
quattro miglia tedesche, la
madre si
diede tutta a
pregare santa
Elisabetta con
tutta
devozione, e riebbe il
fanciullo vivo e sano.
Uno
fanciullo di
quattro
anni essendo caduto in
uno
pozzo, per
avventura
vegnendovi una persona per
attignere
acqua,
accorsesi del
fanciullo che già era
attuffato. Lo quale poi che ne l'ebbe tratto con malagevolezza,
trovò ch'era morto. De la quale
morte era
questi segni: la lunghezza del tempo, la
freddura
del
corpo, l'orribile
aprimento de la bocca e de gli
occhi, l'
enfiatura del ventre, l'
anneramento de la
cotenna
e al tutto era privato d'ogni
sentimento e
movimento.
Sì che per
risucitarlo
fecioro i
parenti
boto
a santa
Elisabetta, e
fugli renduta la vita. Una
fanciulla
caduta nel
fiume, poi che ne fue tratta morta, per
li
meriti di questa santa le fu renduta la vita.
Un uomo, il quale avea nome
Federigo, del vescovado
di
Magonti, essendo molto ammaestrato ne l'
arte
del notare in
acqua,
bagnandosi in
acqua una volta,
vidde uno ch'era stato
cieco ed era
alluminato per
santa
Elisabetta,
faccendo ischerne di lui, gittavali
l'
acqua nel volto a
dispregio. Sì che quelli
crucciato
d'
ira, sì disse: "Quella santa
donna che mi fece
grazia, mi vendichi di te, che tu non
eschi quinci se
non morto e sommerso". Quelli an
che intendendo la
bestemmia del povero, e gittandosi ne l'
acqua per leggiadria,
venneli meno la
forza e la
balia del
corpo, e
non si
poté
aiutare, ma
discese nel profondo come una
pietra.
Ricercato l'uomo dopo molto
spazio di tempo,
fu tratto morto de l'
acqua, e faccendosi gran pianto
sopra lui, alcuni suoi
parenti
cominciaro a fare
boto
per lui a santa
Lisabetta, e a
domandare
divotissimamente
il suo
aiuto. Incontanente ritornòe lo spirito in
lui e levossi vivo e sano.
Un ch'avea nome Giovanni, del vescovado di
Magonti, essendo sanza
colpa preso con un altro e giudicato
con lui insieme ad essere impiccato, pregò tutta
la gente che pregassero Iddio e santa
Lisabetta, che,
come e' non avea né
colpa né peccato, così l'
aiutasse.
Essendo dunque impiccato, udì una
voce che li disse
da alto: "
Confidati e
abbi
fidanza in santa
Elisabetta,
e sarai liberato". Incontanente gli si ruppe la
fune e
cadde da alto gravissimamente, sanza
farsi male veruno,
avvegnadio che la
camicia
nuova ch'elli avea
indosso si rompesse; e l'altro rimase impiccato. Sì
che quegli ch'era caduto, si
rallegrò e disse: "Santa
Elisabetta, tu m'hai liberato, e
facestimi
cadere in su
uno morbido letto". E
dicendo alcuni che sarebbe da
rimpiccarlo un'altra volta, e 'l giudice disse: "Colui
che
Domenedio ha liberato, non lascerò io
impiccare
un'altra volta".
In uno monasterio del vescovado di
Magonti ebbe
uno
converso, ch'avea nome
Volimaro, molto religiosa
persona, il quale
afflisse tanto la
carne sua, che venti
anni portò il
cilicio a la
carne, e
dormìa tra le legna
e tra le pietre. Stando costui al
molino, la macina gli
prese la mano per
disavventura, che ne la
divelse la
carne, e
tritòe i
nerbi e l'ossa in tal maniera che parea
pur pesta in uno mortaio. E
patiane sì grande
duolo,
che non pregava altro se non che la mano gli fosse
tagliata. Sì che
chiamando lui molto spesso santa
Elisabetta
che li fosse in
aiuto, la quale in sua vita gli
era stata
famigliare, una notte gli
apparve, e disse:
"Vuo' tu essere sano?" E quelli rispondendo che sì,
e volentieri, quella gli prese la mano, e
sanòe i
nerbi,
risaldòe l'ossa, e
rendelli la
carne ne la mano da
ambe latera, e
donolli la santade di prima. La mattina
vegnente si trovò guerito, e a tutto il
convento mostrò
la mano sana, maravigliandosi tutti.
Uno
fanciullo che avea
cinque
anni, del vescovado
di
Magonti, il quale era
chiamato Discreto, essendo
nato
cieco, riebbe il vedere per li
meriti di santa
Lisabetta
in questo modo: che
pelle salda sanza i peli
era sì
cresciuta sopra gli occhi che li
copriva tutti, e
non si
dicernea punto de l'occhio. Sì che la madre
chiamò
l'
aiuto di santa
Elisabetta a sepolcro suo, ed
eccoti la
pella intera si
fesse per mezzo, e furono veduti
gli occhi
piccolini,
turbatuzzi e sanguinosi, e così per
li
meriti di santa
Elisabetta ebbe il
fanciullo il vedere.
Una
fanciulla del detto vescovado, ch'avea nome
Beatrice, essendo
molestata lungo tempo da grandi e
diverse infermitadi,
finalmente le si fece uno scrigno
di dietro, e uno dinanzi e, così
crescendo, stava
chinata
con tutto il
corpo in tal modo che per niuna cagione
si potea rizzare, s'ella non
poggiasse le mani
in su le ginocchia.
Abbiendola dunque la madre portata
in una sporta al sepolcro di santa
Elisabetta, e stando
là
dieci dì e non potendo avere ricevuto il
benificio
de la santade, la madre di questa
fanciulla s'
adiròe
e
mormoròe contro a santa
Elisabetta, così
dicendo:
"A tutte le persone
fai grazia, e di me, misera,
fai
ischerne e non mi
esaudisci? Io mi tornerò a
casa,
e tutti
coloro ch'io potrò ritrarre da
vicitarti, sì me
ne ingegnerò". E partendosi così
adirata, da che fu
andata un miglio e mezzo, la sua figliuola tormentata
di
dolori piagnea,
finalmente
addormentata la
fanciulla,
vidde una
bellissima
donna con la
faccia
isplendiente, la
quale le recò il
corpo suo nel
dosso e nel petto, e disse
a lei: "Leva su, e va". Isvegliandosi la
fanciulla, e
trovandosi sanata al postutto da ogni
rustichezza e
chinatura,
raccontòe la visione a la madre, e
generòe gaudio
e letizia. Sì che ritornando al sepolcro di santa
Elisabetta,
e rendendo grazie a
Domenedio e a lei, lasciaronvi
la sporta in che la
fanciulla v'era stata portata.
Una femmina ch'avea nome
Gertrude, del sopraddetto
vescovado, stata gran tempo d'
ambe le gambe
e di tutto il
corpo
chinata, fu
ammonita in sonni che
andasse a san
Niccolò, e
dimandasse le sue
merita. E
quella si
fe' portare ad una chiesa di san
Niccolò, e
trovossi sana l'una gamba. A la perfine presentata al
sepolcro di santa
Elisabetta e posta in su l'
avello suo,
poi che fu stimolata da gravissimi
dolori e fatta come
sciabordita, rilevossi suso sana ed
allegra.
Una femmina ch'avea nome
Scintrude, di quello
medesimo vescovado, essendo stata
cieca bene un
anno
intero, e guidata sempre per altrui
aiuto, con tutta la
sua
divozione si
diede a
pregare santa
Elisabetta, e
ricevette il bene che avea perduto.
Un uomo ch'avea nome
Arrigo, del vescovado di
Magonti, essendo privato al postutto del lume de gli occhi,
andò a visitare il sepolcro di santa
Elisabetta, e tornò
a
casa con pieno
beneficio di santade. E poscia quello
medesimo uomo, gravato da scorrimento di sangue, intanto
che
credeva la
famiglia sua che ne morisse, tolse
de la terra del sepolcro di questa santa e,
intridendola
con l'
acqua e
bevendola,
trovovvi il
beneficio del guarire.
Una
fanciulla ch'avea nome
Metilde, del vescovado
di Treviri,
avendo perduto il vedere e l'udire,
e
avendo perduto l'uso del parlare e del
camminare,
il suo padre e la madre la
botarono a santa
Elisabetta
e, ricevendola sanata, lodarono Iddio e santa
Lisabetta,
che fanno così gran cose.
Una femmina del
distretto di Treviri, ch'avea
nome
Helibingia, essendo stata
cieca un
anno, e
avendo
pregato santa
Elisabetta che per li suoi
meriti la
degnasse
guarire, fecesi menare al sepolcro suo, e riebbe
il lume de l'uno de gli occhi. E quella ritornando a
casa sua, sentìo sì
gravemente
dolore de l'altro occhio,
e
radomandando un'altra volta il
beneficio de la santa,
sì le
apparve così
dicendo: "
Andando te a l'
altare
fatti
ventolare gli occhi tuoi col
corporale, e in questo
modo riceverai santade". Quella fece il
comandamento,
e ricevette santade.
Un uomo ch'avea nome
Teodorico, del vescovado
di
Magonti, infermato gravissimamente ne le
gambe e ne le ginocchia per lungo tempo, sì che andare
non potea se non fosse portato da altri, fece
boto
di visitare il
corpo di santa
Elisabetta con offerte
comunque potesse, e stando di lungi il luogo dov'elli
era dal sepolcro di santa
Elisabetta solamente per
X
miglia, appena vi
poté giugnere in
otto dì. Ed essendo
stato là per
IIII settimane, tornavasi a
casa e, posandosi
lui in un luogo a lato ad un altro infermo, vidde
in
sogno uno che venìa a lui, che lo
schizzava al tutto
d'
acqua. Ed elli isvegliandosi adirato contra 'l
compagno,
sì li disse: "Perché me pure
ischizzi tu d'
acqua addosso?"
E quelli rispuose: "Io non t'hoe
ischizzato,
ma
credo che quello
ischizzamento sarà a te cagione di
salute". Quelli si levò da giacere, e trovandosi al
tutto sanato, puosesi le
mazze in
collo, e tornando al
sepolcro di santa
Elisabetta, e
fecele molte grazie, e
tornò
allegro e sano a
casa sua.
cap. 164, S. Cecilia
Cecilia
chiarissima, nata di nobile schiatta, e da
piccolina nudrita ne la fede di Cristo, sempre portava
nascosto nel suo petto i Vangeli di Cristo, e non
cessava
giammai né di dì né di notte da parlare di
Domenedio
e da l'orazione, e pregava Dio che
conservasse
la sua
verginitade. Ed essendo isposata a uno giovane,
ch'avea nome
Valeriano, e ordinato il dì di fare le
nozze, a
carne era vestita disotto di
cilicio, e disopra
era
coperta di vestimenti
dorati, e
cantando gli organi,
e quella
cantava a solo Dio nel
cuore suo, così
dicendo:
"Sia fatto, Signore Dio, il
cuore mio e 'l
corpo
mio non
maculato, acciò ch'io non sia
confusa!" E
digiunando
due dì o tre de la settimana, pregando
Domenedio,
sì li raccomandò quello ch'ella
temea. Sì che
venne la notte ne la quale si
doveva ragunare insieme
con lo sposo suo segretamente in
camera, e parlogli in
questo modo: "O
dolcissimo e
amatissimo giovane,
egli è una
credenza, la quale io ti voglio manifestare,
se tu mi giuri di tenerlo a te con tutta la guardia che
potrai".
Valeriano giura di non scoprirla per veruna
necessitade, né
manifestarlo per veruna ragione. Allora
quella disse: "Io abbo l'
angelo di Dio per mio
amatore,
il quale guarda il
corpo mio molto
gelosamente.
Se questi sentisse che tu pure
leggiermente mi toccassi
con sozzo
amore, incontanente ti
fedirebbe, e perderesti
il
fiore de la tua
castitade
gioventudine; ma se
saprà che tu m'
ami di
sincero
amore, così
amerà te,
come me, e mostreratti la grazia sua". Allora
Valeriano
corretto per
volontà di Dio, sì disse: "Se tu
vuoli ch'io ti
creda, mostrami l'
angelo, e se io troverrò
che sia l'
angelo,
farò quello che tu mi
conforti;
ma s'io saprò che tu
ami altro uomo, io
fedirò col
coltello te e lui". Al quale disse Cicilia: "Se tu
crederrai
in Dio vero e lasceratti
battezzare, tu lo potrai
vedere. Or va tre miglia fuori di Roma, per la via che
si chiama Appia, e
dirai a' poveri che tu vi troverrai:
"Cicilia mi manda a voi, perché voi mi mostriate il
santo vecchio
Urbano, al quale io abbo a
dire
certi
comandamenti che mi sono
fatti". Quando tu vedrai
costui,
dilli tutte le parole mie, e da che tu sarai
purificato
da lui e sarai tornato qua, tu vedrai l'
angelo
ch'io t'ho detto". Allora
Valeriano andò e, secondo
il
segno ch'avea ricevuto, trovò santo
Urbano
appiattato
tra li
avelli de' martiri. Allora gli disse tutte le
parole di Cicilia, ed egli levando le mani al
cielo disse
con
lagrime: "Messere
Jesù Cristo, seminatore di
casti
consigli, ricevi i
frutti del seme, il quale tu seminasti
in Cicilia, Signore
Jesù Cristo, pastore
buono; Cecilia
tua servigiale ti serve come
ape
argomentosa; però
che lo sposo, lo quale ella prese a sé, sì l'ha mandato
qua come fosse mansuetissimo
agnello a te, lo quale
solea essere così
feroce
leone". Ed eccoti subitamente
apparire un vecchio vestito di
bianco, e tenea un
libro
in mano scritto di lettere d'oro; e
veggendolo
Valeriano
per la grande paura
cadde in terra come morto e, levato
da quello vecchio, lesse in quel
libro così: "Uno
Dio, una fede, un
battesimo; uno Dio e padre di tutti,
il qual è sopra tutti e per tutti e in tutti noi". E quando
ebbe letto questo, disse a lui il vecchio: "
Credi tu
che sia così, o
dubiti tu ancora?" Allora
Valeriano
gridò e disse: "Non è altra cosa sotto il
cielo, che
si possa
credere che sia più vera". Incontanente che
quelli fu
disparito,
Valeriano ricevette il
battesimo di
santo
Urbano e, tornando lui, trovò santa Cicilia, che
parlava con l'
angelo entro la
camera. E avea l'
angelo
due
corone in mano di rose e di gigli, e l'una
diede
a santa Cicilia, e l'altra
diede a
Valeriano, così
dicendo:
"Guardate queste
corone col
cuore non macchiato,
e col
corpo netto, però ch'io le vi reco del
paradiso, né mai non
infracideranno, né non perderanno
l'odore, né altri le potrà vedere se non a cui piacesse
la
castità. E tu,
Valeriano, perché hai
creduto a l'utile
consiglio,
domanda ciò che tu vuogli,
e l'avrai". E
Valeriano li disse: "Nulla cosa è a me più
dolce in
questa vita, che un solo
disiderio del mio
fratello, sì
ch'io
adomando ched elli
conosca meco la verità". Al
quale disse l'
angelo: "A
Domenedio piace la petizione
tua, e
ambedue verrete a
Domenedio con vettoria
di martirio".
Dopo queste cose
entrando
Tiburzio,
fratello di
Valeriano,
ne la
camera, e sentendo molto odore di rose
e di gigli, disse così: "Io mi
do gran maraviglia
donde vegna testeso, in questo tempo, questo odore di
rose e di gigli. Ché s'io l'
avessi in mano queste rose
e questi gigli, non so che mi si potessono rendere più
odoramento di suavitade. Io vi
confesso ch'io sono sì sazio,
che io penso d'essere me tutto mutato". Al quale
disse
Valeriano: "Noi abbiamo
corone, le quali i tuoi
occhi non possono vedere, che sono
verdicanti di
colore
fiorito e di
bianchezza di
neve, e sì come tu per mio
tramezzamento tu hai sentito l'odore, così se tu
crederrai,
sì le potrai vedere". Al quale
Tiburzio disse:
"Odo io queste cose in
sogno, o in veritade?
Parlimi
tu queste cose da
davvero,
Valeriano?" E
Valeriano
disse: "Infino a qui
avemo noi sognato, ma tu sarai
ora in verità".
Tiburzio disse: "Onde sai tu questo?"
Disse
Valeriano: "L'
angelo di Dio il m'ha
insegnato, lo quale tu potrai vedere, se tu ti
purificherai
e
rinunzierai a tutti gl'idoli". A questo miracolo
de le
corone de le rose
dà testimonianza santo
Ambruogio nel
Profazio, così
dicendo: "Santa Cicilia
così fu ripiena d'odore, che ricevette vittoria di martirio,
abbandonando il
mondo con la
camera. Testimonio ne
è la
provocata
confessione di
Valeriano, suo sposo, e
quella di
Tiburzio, i quali tu, Signore,
incoronasti,
per mano d'
angelo, di
fiori odoriferi. La vergine menòe
gli uomini a la gloria, il
mondo
cognobbe quanto vaglia
la
devozione de la
castitade". Insino qui dice
santo Ambruogio. Allora santa Cicilia gli disse
apertamente
che tutti l'idoli sono sanza
sentimento e
mutoli,
sì che
Tiburzio rispuose, e disse: "Chi questo non
crede, sì è pecora". Allora santa Cecilia
basciandolo,
sì li disse: "O
carissimo mio, oggi
confesso io che
tu
se' mio
cognato, ché come l'
amore di Dio fece il
tuo
fratello mio
marito, così lo
spregiamento de l'idoli
ti fa mio
cognato. Va dunque col
fratello tuo, acciò
che tu riceva la
purificazione, e
possi vedere i volti
de gli
angeli". Disse
Tiburzio al
fratello suo: "Io
ti scongiuro,
fratello mio, che tu mi
dichi a cui tu mi
dei menare".
Valeriano disse: "Ad
Urbano vescovo".
Disse
Tiburzio: "
Di' tu quello
Urbano, ch'è stato
condannato
cotante volte, e ancora si va pur nascondendo?
Se questi si lascerà trovare, elli sarà
arso, e
noi saremo involti con lui insieme ne le sue
fiamme;
e
cercando noi la
divinitade, che sta nascosa in
cielo,
cadremo nel
furore ardente in terra". Al quale rispuose
santa Cicilia: "Se fosse pur questa vita e non altra,
giustamente temeremo di
perderla, ma è un'altra migliore
che questa, la quale non si perde mai, la quale
ci predicò il figliuolo
di Dio. Tutte le cose che fatte
sono, fece il Figliuolo generato dal Padre, a tutte le
cose che sono
composte
diede vita lo Spirito procedente
dal Padre e dal Figliuolo; sì che questo
figlio di Dio,
vegnendo nel
mondo, mostrocci per parole e per miracoli
ch'egli era altra vita". A la quale disse
Tiburzio:
"
Certamente
affermi ch'egli è uno Dio, or come
di' tu
aguale che sono tre?" Rispuose Cecilia: "Secondamente
che in una
anima de l'uomo sono tre cose,
cioè ingegno, memoria ed intelletto, così possono essere
tre persone in una
deitade di
essenzia". Allora gli
cominciò a predicare de l'
avvenimento del figliuolo di
Dio, e mostrare molte
convegnenze de la sua passione;
e disse così: "Il figliuolo di Dio fu preso, acciò che
l'umana natura, tenuta dal peccato, fosse lasciata; il
benedetto fu maladetto, acciò che l'uomo maladetto
avesse la
benedizione;
sostenne d'essere ischernito,
acciò che l'uomo fosse liberato da lo schernimento de
le
demonia; ricevette la
corona de le spine in capo
per torre da noi la sentenzia del capo; prese il
fielo
amaro per sanare il
dolce
assaggiamento de l'uomo;
fu spogliato per ricoprire la nuditade de' primi nostri
parenti; fue impiccato nel legno per torre via il
trapassamento
del legno". Allora
Tiburzio disse al
fratello
suo: "Mercè per Dio,
menami a l'uomo di Dio
acciò ch'io riceva
purificamento".
Condotto e purificato,
vedea spesso gli
angeli di Dio e avea tutto ciò
che
domandava.
Adunque
Valeriano e
Tiburzio
soprestavano a fare
limosine e metteano in
sepoltura i
corpi de' santi, i quali
Almachio perfetto uccidea. Allora
Almachio, prefetto, li
fece venire innanzi, e
domandolli per che cagione elli
metteano in
sepoltura
coloro ch'erano stati
condannati
per le loro
fellonie. Al quale disse
Tiburzio: "
Volesselo
Iddio che noi
fossimo servi di
coloro, che tu
appelli
dannati! I quali
spregiaro quello che
pare che sia e non
è, e trovato hanno quello che non
pare che sia, ed è".
Al quale disse il prefetto: "Che cosa è quello?" Disse
Tiburzio: "Quello che
pare che sia e non è, è ciò che
nel
mondo è, che mena l'uomo a non essere; ma
quel che non
pare che sia
ed è, è la vita de' santi, e la
pena de' peccatori". Disse il prefetto: "Non
credo che
tu
dica queste cose da te, con la
mente tua". Allora
comandò che fosse
menato
Valeriano innanzi a sé, e
disse a lui: "Questo tuo
fratello mi
pare abbia il capo
non sano,
almeno tu potrai
dare savia risposta; manifesta
cosa è che voi
errate molto, che rifiutate l'
allegrezze,
e
disiderate tutto quello che è
nimichevole a
l'
allegrezze". Allora
Valeriano disse ch'
aveva veduto
a tempo di
ghiaccio uomini oziosi, che si trastullavano
e
faceansi
beffe di
coloro che lavoravano; ma quando
venne la state, che menava i gloriosi
frutti de le
fatiche,
rallegrandosi
coloro ch'altri pensava che fossero vani,
cominciarono a piagnere
coloro ch'altri pensava che fossero
cortesi. Così è di noi che
sostegnamo ora vergogna
e
fatica, e' verrà tempo che noi riceveremo gloria e
merito
eternale. Ma voi
avete al presente
allegrezza
passatoria, verrà tempo che voi troverrete
morte
eternale.
Al quale disse il prefetto: "Adunque noi, prencipi
che non possiamo essere vinti,
avremo pianto
eternale,
e voi, persone vilissime,
possedrete la
eternale
allegrezza?"
Allora disse
Valeriano: "Voi siete uomini
di
bassa mano,
non principi, e siete nati al nostro
tempo, che tosto
dovete morire, e rendere ragione a
Domenedio più ch'altri". E 'l prefetto disse: "Perché
stiamo noi in tante parole? Offerete i sagrifici a li
Dei,
e partitevi da noi sanza
danno". E' santi rispuosono:
"Noi sagrifichiamo tuttavia a
Domenedio verace". E
'l prefetto disse: "Come ha elli nome?"
Valeriano
disse: "Il nome suo non potrai tu trovare, se tu volassi
con penne". E 'l prefetto disse: "Dunque non è
Jupiter
nome di Dio?" Disse
Valeriano: "Egli è nome di micidiale
e di lussurioso". Disse
Almachio: "Dunque è
a
errore tutto il
mondo, e tu e 'l
fratello
conoscete il
vero Dio?"
Valeriano rispuose: "Noi non siamo soli,
ma innumerabile
moltitudine ha ricevuto questa
santitade".
Furono dunque
dati in guardia a Massimo. A i
quali elli disse: "O
gioventudine,
fiore porporino; o
affetto di
fratelli
carnali, come
andate voi tosto a la
morte, che
pare che voi
andiate a nozze?" Al quale
Valeriano disse che s'elli li promettesse di
credere, elli
vedrebbe la gloria de l'
anime loro dopo la
morte. Disse
Massimo: "Saetta mortale mi vegna, s'io non
confesso
quello Dio solamente che voi
adorate, s'elli
avviene
quello che voi
dite". Sì che Massimo e tutta la
sua
famiglia e tutt'i giustizieri,
credettoro e furono
battezzati da santo
Urbano, il quale venne là
nascosamente.
Quando fu venuta l'
aurora del dì e passata la
notte, santa Cecilia gridòe, e disse: "
Confortatevi,
cavalieri
di Cristo,
cacciate da voi l'opere de le tenebre,
e vestitevi del signore
Jesù Cristo, e de l'
arme de la
luce". Sì che i santi furono
menati
cinque miglia fuori
di Roma a la statua di Jove, e non vogliendo sagrificare
furono
dicollati. Allora Massimo
affermò con
giuramento
che, ne l'ora de la passione loro, vidde
angeli
risplendienti, e l'
anime de' martiri uscire de'
corpi come
vergini de la
camera, le quali gli
angeli portavano in
cielo nel grembo loro quelle
anime.
Udendo
Almachio che Massimo era fatto
cristiano,
tanto il fece
battere con piombati, mentre che l'
anima
fu uscita del
corpo. E santa Cecilia seppellì il
corpo di
costui a lato a
Valeriano e a
Tiburzio. Allora
Almachio
incominciò a fare inquisizione de le possessioni d'
ambedue,
e fecesi stare innanzi Cecilia, come moglie di
Valeriano, e
comandolle o ched ella sagrificasse a l'idoli,
od ella prendesse la sentenzia de la
morte. Essendo
costretta
a ciò fare, e piagnendo
forte
coloro di ciò ch'una
fanciulla così
bella e nobile si metta innanzi a la
morte,
disse a loro: "O
buoni giovani, questo non è perdere
la
gioventudine, ma
mutare:
dare
loto e ricevere oro,
dare
vili
abitazioni e riceverla preziosa,
dare un piccolo
cantoncello e ricevere una piazza risplendiente. Chi dovesse
ricevere per ogne
danaio soldo, or non
correreste
voi tosto là?
Domenedio rende per un
cento.
Credete
voi a quello ch'io
dico?" Rispuosero
coloro: "Noi
crediamo che Cristo è verace, il quale possiede una
cotale servigiale". Mandato dunque per santo
Urbano
papa,
furonne
battezzati
CCCC, o più. Allora
Almachio
chiamò santa Cecilia e disse a lei: "Di che
condizione
se' tu?" Quella rispuose: "Io sono gentile e nobile".
Disse
Almachio: "Io ti
domando: che fede è la tua?"
Rispuose santa Cecilia: "La tua
dimanda prende stolto
principio, che
credi che
due risposte si
conchiudano
sotto una
adomandazione". A la quale disse
Almachio:
"Onde hai tu tanta prosunzione di rispondere così?"
Quella rispuose: "
Abbola di
coscienzia
buona, e da
fede none infinta".
Almachio disse: "Non sai tu che
potenzia è la mia?" Quella rispuose: "La vostra
potenzia è quasi com' una vescica piena di vento, la
quale se tu
pugnessi con l'
ago, immantanente
raggrinza
e impallidisce, e
torna in neente tutto ciò che v'era
dentro".
Almachio disse: "Da ingiurie
cominciasti, e
in ingiurie
perseveri". Rispuose santa Cecilia: "Ingiuria
non è
detta se non quella quando altri inganna
con parole; onde s'io abbo parlato
falsità veruna, o tu la
m'insegna
conoscere, o tu
correggi te medesimo che
di' la
calugna, ma noi che sappiamo il nome di Dio,
al postutto non lo possiamo negare, però che meglio
è a morire
beatamente, che a
vivere miseramente".
Almachio disse: "De! or perché parli tu con
cotanta
superbia?" Quella rispuose: "Non è superbia, ma
fermezza".
Almachio disse: "
Disavventurata, non sai
tu ch'a me è
data
potenzia di
farti
viva e morta?"
E quella disse: "Io pruovo che tu hai
mentito contra
verità manifesta, però che tu puoi tollere la vita a'
vivi, ma a' morti non la puo' tu
dare; sì che
se' e
servo de la
morte e non de la vita". A la quale disse
Almachio: "Lascia stare queste pazzie, e sagrifica a
li
dei". Santa Cecilia rispuose: "Io non so dove tu
t'hai perduti gli occhi; quelli che tu
chiami
dei, noi
vedemo che sono pietre;
ponvi la mano e
appara,
toccando quello che tu non
puoti vedere con gli occhi".
Almachio allora, adirato,
comandò ch'ella fosse
rimenata
a
casa, e
comandò che fosse
abbrusciata tutto
un
die e una notte in uno
bagno
bogliente. E quella
vi stette entro come in un luogo
freddo, né non sentìo
un poco di sudore. Udendo ciò
Almachio,
fecela
dicapitare.
E 'l giustiziere le
diè tre
colpi, ma non le
poté
mozza
re il capo, ma perché era statuto che 'l quarto
colpo non si dovesse
dare a neuno, il giustiziere
la
lasciò mezza morta. E quella
sopravvivendo tre dì,
tutto ciò che avea,
diede a' poveri, e tutti
coloro ch'ella
avea
convertiti a la fede raccomandò a santo
Urbano
papa, così
dicendo: "Io
impetrai da
Domenedio indugio
tre dì per raccomandare costoro a la tua
benedizione,
e perché tu
consegrassi in chiesa questa mia
casa".
E santo
Urbano
seppellìo il
corpo suo tra ' vescovi, e
consegròe in chiesa la
casa sua, com'ella il n'avea
pregato.
Martirizzata fue intorno a gli
anni
Domini
CCXXIII al tempo d'
Alessandro imperadore.
Altrove
anche si legge che martirizzata fosse al tempo di Marco
Aurelio, che regnòe intorno a gli anni Domini CCXX.
cap. 165, S. ClementeLa sua vita puose elli medesimo nel suo
Itinerario,
cioè un
libro ched e' fece,
massimamente infino a quello
luogo ove si mostra in che modo soccedette a san
Piero nel
papato. L'altre cose si prendono de l'opere
sue, come si fanno
comunemente.
Clemente vescovo nacque di nobile schiatta di romani.
Il padre ebbe nome
Faustiniano, e la madre
Macidiana,
ed ebbe
due
fratelli, l'uno ebbe nome
Faustino e l'altro
Fausto. Essendo dunque la madre
maravigliosamente
bella del
corpo, il
fratello del
marito suo fu preso da
lei di mal
amore. E
dandole molta
briga ogne
die ed
ella non
assentendo a lui per veruna maniera di mondo,
temendosi ancora di
manifestarlo al
marito suo, acciò
che non mettesse
nimistà tra '
due
fratelli, pensossi di
stare
alcun tempo ispartita da la
città, tanto che quello
mal
amore
cessasse via, il quale per lo sguardo de la
sua presenzia s'
accendea. Ma acciò che
avesse
dal
marito suo la parola di ciò, infinsesi
saviamente d'avere
sognato un così fatto
sogno, e disse al
marito: "Un
Domenedio m'è
apparito in visione, e
hammi detto
ch'io mi parta quinci con
due vostri
fanciulli
binati,
cioè con
Faustino e con
Fausto, e
vadamene fuori di
Roma, e tanto ne stea fuori, che mi
comandi ch'io
torni e, s'io
nol
facessi, disse ch'io
morrei con tutti
insieme". Udendo ciò il
marito ebbe grande paura, e
mandò la moglie con i figliuoli ch'ella avea detto, e
con molta
famiglia, infino ad
Atenia per
dimorare là,
e per fare
ammaestrare là i figliuoli, e ritenersi per
suo
sollazzo il figliuolo minore, cioè Clemente, il quale
avea
V anni.
Navicando la madre con gli figliuoli, la
nave per
fortuna si ruppe una notte, e la madre fu gittata da
l'onde sanza i suoi figliuoli, e
campòe sopra un gran
sasso; e pensando che i suoi figliuoli
fossono periti in
mare, per lo gran
dolore ch'ebbe, gittata si sarebbe
nel profondo del mare, se non ch'ella avea alcuna
speranza di ritrovare
almeno i
corpi morti. Ma poi che
conobbe che non gli potea rinvenire né
vivi, né morti,
metteva grandi strida con pianto, e
mordevasi tutte le
mani, né non era veruno che la potesse punto
consolare.
E standosi con lei molte
femmine, le quali
cantavano
a lei di loro
disavventure,
ebbevi una femmina
fra l'altre che disse d'un suo
marito giovane e nocchiere,
il quale era perito in mare, e come giammai
per suo
amore non si era voluta
rimaritare. Sì che
ricevendone alcuna
consolazione, stavasi con lei insieme,
e
guadagnavasi la vita sua con le sue mani. None stette
guari tempo che le mani ch'ella s'avea
cotanto
morse,
diventarono sì morte e sanza veruno
sentimento, che
con esse non potea operare nulla. E quella che l'avea
ricevuta
diventò paralitica e non si potea levare di
letto, e così fu
costretta
Macidiana d'andare mendicando,
e di quello ch'ella potea trovare pasceva sé
con l'
albergatrice sua.
Compiuto l'
anno che
Macidiana
si partìo dal paese suo con i figliuoli, mandò il
marito
suo messaggi ad Atena, che
cercassero di loro, e
ridicessono
a lui quello che
faceano. Ma i
messi non
trovarono e non tornarono a
dire nulla. Allora ne mandò
anche de'
messi, i quali, tornando,
dissero che non aveano
trovato
segno veruno. Allora lasciò stare Clemente, suo
figliuolo, sotto
tutori, e
entrò in
nave per andare
caendo
la moglie con i figliuoli, ma non tornò a
casa. Sì che
Clemente stette venti
anni così vedovo, che non
poté
sapere nulla né di padre, né di madre, né di
fratelli.
E
diedesi a studiare, e
diventò sommo
filosofo. E
disiderava
fortemente, e con grande
studio
adomandava
in che modo gli fosse dimostrato che l'
anima fosse
immortale; e per questo vicitava spesse volte le scuole
de'
filosofi, e se alcuna volta alcuna cosa potea
comprendere
che fosse immortale, sì se ne
allegrava, e
s'alcuna volta si
conchiudesse che fosse mortale, sì
si partiva tristo.
Finalmente tornando a Roma san
Barnaba, e predicando
la fede di Cristo, i
filosofi lo schernivano come
pazzo e sanza
mente. Onde un
filosofo, il quale
dicono
alcuni che fu Clemente, schernendo la predicazione
di san
Barnaba, come gli altri
filosofi, sì li fece una
così fatta quistione: "
Dimmi perché la
zanzara, che
è così piccolo
animale, hae
sei piedi e
alie, ma il
leofante, ch'è così grande
animale, non hae se non
quattro piedi ed è sanza
alie?" Al quale disse san
Barnaba: "A la tua
matta quistione potrei
agevolemente
rispondere, se mi paresse che tu mi
domandassi
per cagione d'
apprendere la veritade; ma egli è una
mattezza a parlare noi de le
creature, non
conoscendo
il loro
creatore; ma perché voi non
conosciate il
criatore,
ragionevole cosa è che voi
erriate ne le
creature".
Questa parola s'
appiccòe in tal maniera al
cuore di
Clemente
filosafo che, faccendosi
ammaestrare de la
fede a san
Barnaba, sì la ricevette, e poi se n'andò
in Giudea a san Piero, ed egli l'
ammaestrò anche de
la fede di Cristo, e
mostrogli
apertamente come l'
anima
è immortale.
In quel tempo Simone mago avea
due
discepoli, cioè
Aquila e
Niceta, i quali
conoscendo la
fallace del loro
maestro, sì l'
abbandonarono, e
fuggirono a san Piero,
e
diventarono suoi
discepoli. Ma
domandando san Piero
Clemente di sua generazione, sì li disse ciò ch'era
intervenuto, tutto per ordine, al padre e a la madre e
a'
fratelli,
dicendo come
credea che la madre fosse perita
con i
fratelli nel mare, e che 'l padre era perito
o per
tristizia o per rompimento di
nave. Udendo ciò
san Piero non
poté ritenere le
lagrime. Una volta venne
san Piero con i
discepoli suoi
ad Autadro, e di poi
di lungi sei milia ne l'
isola, dove
dimorava
Macidiana,
madre di Clemente, nel quale luogo avea
colonne di
vetro
molto grandi. E
dimorando là san Piero con gli
altri, e veggendola andare mendicando, sì la riprese
perch'ella non lavorava anzi con le sue mani. E quella
rispuose: "Messere mio, io abbo solamente la
figura
de le mani, le quali sono indebolite per li morsi miei,
che al tutto sono
diventate sanza
sentimento; ch'or
volesse Iddio ch'io mi fossi gittata entro nel mare,
anzi ch'io fossi più vivuta!" E san Piero le disse:
"Che è quello che tu
di'? Non sai tu che l'
anime di
coloro che s'uccidono sono
gravemente punite?" E
quella rispuose: "Dio il volesse ch'io fossi
certa che
l'
anime vivessono dopo la
morte! Volentieri m'ucciderei,
acciò ch'
almeno per un'ora potessi vedere i
dolci
miei figliuoli!". E
domandandola san Piero per quale cagione
avesse
cotanta
tristizia, quand'ella gli ebbe detto
per ordine tutto il fatto, san Piero disse: "Egli è qui
con noi un giovane c'ha nome Clemente, che tutto ciò
che tu hai detto dice ch'
addivenne a la madre e a'
fratelli". Quella udendo ciò, fu percossa da tanto stupore
che
cadde in terra, e poi che fu tornata in se
medesima, con
lagrime disse: "Io sono la madre del
giovane". E gittandosi a' piedi di san Piero,
cominciollo
a
pregare che gli piacesse
dimostragliele tosto il
figliuolo suo. A la quale disse san Piero: "Quando
tu vedrai il giovane, infigniti un poco, tanto che noi
usciamo de l'
isola con la
nave". E quand'ella ebbe
promesso di ciò fare,
tegnendole san Piero la mano,
sì la menava a la
nave, là
dove era Clemente. Veggendo
Clemente che san Piero menava la femmina per
mano, incominciò a ridere. Sì tosto come la femmina
fue presso a Clemente non si
poté tenere, ma tosto
l'abbracciò e
baciòe; e
baciandolo tutto quanto, e
quegli la
cacciava con
ira da sé, come femmina impazzata,
ed era mosso da non piccola indignazione
verso san Piero. Al quale san Piero disse: "Che
fai
tu, figliuolo mio Clemente? Non
cacciare via tua madre!"
Udendo ciò Clemente, tutto si
bagnò di
lagrime,
e gittossi in terra sopra la madre, che giaceva
abbattuta
in su la terra, e vidde e
cominciolla a
riconoscerla.
Allora al
comandamento di san Piero, fu menata a lui
l'
albergatrice di costei, la quale giaceva paralitica, e
fu liberata incontanente da lui. Allora la madre
cominciò
a
domandare Clemente quello che fosse del padre; e
quelli le disse: "Elli venne
cercando per te,
ma non
tornò indietro". Quella udendo ciò sospiròe solamente,
però che abbiendo
allegrezza del figliuolo ritrovato,
racconsolavasi de l'altre tristizie.
Infrattanto ritornando
Niceta e Aquila, che non v'erano
allora presenti, e veggendo una femmina con la moglie di san
Piero, missesi a
domandare che femmina quella fosse.
E Clemente disse loro: "Ella è mia madre, la quale
Domenedio m'ha renduta per lo mio segnore san Piero".
Dopo questo
narrò san Piero a tutti ogne cosa per ordine.
Udendo ciò
Niceta e Aquila, levansi subitamente
e, stupiditi,
cominciaronsi a
conturbare, così
dicendo:
"Segnore
Domenedio nostro, or è vero quello che noi
udiamo, o è sogno?" Allora san Piero ragguardòe a
Niceta e Aquila, e disse: "Se noi non siamo ismemorati,
queste cose son
vere". Allora
coloro,
stropicciandosi
le
facce,
dissero: "Noi siamo
Faustino e
Fausto,
i quali la nostra madre pensava che fossero periti in
mare". E,
correndo, si gittarono ad
abbracciare la madre
loro, e
abbracciandola molto spesso e quella disse: "Che
vuole questo essere?" E san Piero le disse: "Questi
sono i figliuoli tuoi
Faustino e
Fausto, i quali tu pensavi
che fossero periti in mare". Udendo ella queste
cose, per la troppa
allegrezza
divenne
isbalordita e
cadde a terra. Ritornando poi in se medesima, disse:
"Io vi scongiuro,
dilettissimi figliuoli miei, che voi mi
diciate in che modo voi vi
scampaste". E quelli rispuosero:
"Quando la
nave fu rotta noi ci
apponemmo in
su una tavola, e vennero ladroni di mare, e
puoserci
in una loro navicella e,
mutandoci le nomora, sì ci venderono
a una onesta vedova, la quale avea nome
Giustina,
e
tegnendoci come per suoi figliuoli, sì ci fece
ammaestrare de l'
arti liberali.
Finalmente ci
demmo a
la
filosofia, e
accostammoci ad uno Simone mago, il
quale era stato nutricato insieme con noi; e poi che
noi
conoscemmo i suoi inganni, al postutto sì l'
abbandonammo
e
diventammo, per mano di
Zaccheo,
discepoli
di san Piero". Il seguente dì prese san Piero questi
tre
fratelli Clemente e
Niceta e Aquila
e discese ad un
segreto luogo per istare in orazione. Allora venne un
abilissimo
massaio, ma era povero, e
cominciò a parlare
così con loro: "E m'incresce molto di voi, frati miei,
ch'io vi veggio così
errare
gravemente sotto spezie di
sanitade, però che
non Domenedio, none veruno
coltivamento
ci è, né provvedenza del
mondo, ma l'
avventuroso
avvenimento e la generazione umana fanno tutte
cose secondamente ch'io ho
ispiato
manifestamente da
me medesimo, ammaestrato sopra tutti de la scienzia
de lo
'ndovinare. Adunque non vogliate
errare, che o
preghiate voi o no, così v'inconterrà come ha posto
la vostra generazione". Allora Clemente riguardando in
colui, sì li
tentennava tutto l'
animo, e pareali già altre
volte veduto. E poi che per
comandamento di san Piero
ebbero
disputato con lui Clemente e
Niceta e Aquila, e
mostratoli per
aperte
ragioni com'egli è provvedenza di
Dio, poi che per reverenza l'
ebbero
chiamato più volte
padre, disse Aquila: "Non fa mestiere che noi il
chiamiamo
padre, con ciò sia cosa che noi abbiamo il
comandamento
di non
chiamarti neuno uomo padre sopra la
terra". Poi ch'ebbe così detto, puose
mente al vecchio
e
disseli: "Non avere tu per male, padre, ch'io ripresi
il fratel mio, che ti
chiamava padre, però che noi
abbiamo in
comandamento di non chiamare persona per
così fatto nome". Quando Aquila ebbe ciò
ditto, rise
tutta la gente che era ivi presente, insieme col vecchio
e con san Piero. E
dimandando lui perché
avessono riso,
disse Clemente a lui: "Noi ridiamo perché tu
fai quello
onde tu riprendi altrui, che
chiami il vecchio padre".
Quegli il
disdiceva così
dicendo: "Certo io non so s'io
il mi
chiamai padre". Sì che poi che fu molto
disputato
de la provvedenza, disse il vecchio: "Certo io
crederrei
bene che provvedenza fosse, ma la
coscienzia mia
diniega
di
consentire a questa fede, però ch'io sappo bene
la generazione di me e de la moglie mia, e so quello
che la generazione
dettava che dovesse intervenire a
catuno di noi. Udite dunque la materia de la moglie mia,
e troverete che, uscita ell'ebbe la sua
costellazione, sì
fue Marte con la
stella
Diana sopra il
centro, e la luna
nel tramontare in
casa di Marte e ne'
confini di Saturno;
la quale
costellazione fa le persone
avoltere, e
amare
i propii servi, e pellegrinando morire in
acqua; e così
intervenne ch'ella
cadde in
amore di servo e, temendone
pericolo, con vergogna
fuggissi con lui, e perìo in
mare. Ché come mi disse il
fratel mio, ella
amòe prima
lui, ma non
volendole
acconsentire, ella ritorse
l'
amore de la sua lussuria nel propio servo, e non l'è
da imputare ciò in peccato, però che la generazione la
costrinse a fare ciò". E disse com'ella s'era
infinta
d'avere sognato e come,
andando ad Atena con i figliuoli
suoi, perìo in mare per rompimento. E volendo
i figliuoli gittarsi addosso a lui, e
aprire il fatto,
dinegolli
san Piero così
dicendo: "Posate infino a tanto
che a me piacerà". E disse san Piero al vecchio: "Se
io ti rassegno in questo dì d'oggi la
donna tua
castissima
con tre figliuoli,
crederrai tu che la generazione
sia neente?" E quelli rispuose: "Sì come egli è impossibile
fuor da te di darmi quel che tu hai
promesso,
così è impossibile che
fuor di generazione fare alcuna
cosa". Disse san Piero: "Or ecco questi è il figliuolo
tuo Clemente, e questi sono li
due tuoi figliuoli
binati:
Faustino e
Fausto". Allora il vecchio venne tutto quasi
meno, e
cadde, e fu fatto quasi come sanza
anima. E
gli figliuoli gittandosi verso lui sì 'l
baciavano, temendosi
che non potesse ritrarre lo spirito.
Finalmente ritornando
in sé, intese tutto per ordine ciò ch'era intervenuto.
Allora venne di subito la moglie, e con
lagrime
cominciò a gridare: "Ov'è il
marito mio e 'l signore
mio?" Gridando ella queste cose come ismemorata, il
vecchio
corse a lei, e con
lagrime molte la
cominciò ad
abbracciare ed a
strignere.
E mentre che si stavano così insieme, venne un messaggio,
e disse che
Apione e
Ambione, grandissimi
amici
di
Faustiniano, erano ad
albergo con Simone mago. De
la qualcosa
Faustiniano rallegrato molto, andò a
vicitarli;
ed eccoti venire il messo de lo 'mperadore, e disse
che 'l ministro de lo 'mperadore era venuto per
cercare
in Antiochia per tutt' i magi, per
dannarli a la
morte.
Allora Simone mago, per odio di figliuoli di
Faustiniano,
i quali l'aveano
abbandonato, per
arte
diede la simiglianza
del volto suo ne la
faccia di
Faustiniano, acciò
che tutti
credessono che non fosse
Faustiniano, ma Simone
mago. E questo fece acciò che fosse preso da'
ministri de lo 'mperadore, e fosse morto in suo luogo.
E Simone si partìo di quelle
contrade. Quando
Faustiniano
fu ritornato a san Piero e a i figliuoli, i
figliuol
si spaventaro tutti riguardando in lui la
faccia di Simone,
ma udendo la
voce del padre loro. Solo san Piero
era colui che vedea in lui il volto naturale. E
fuggendo
da lui la moglie e 'l figliuolo, e
avendo in
abbominio,
diceva a loro: "Perché
avete voi in
abbominio
e
fuggite il padre vostro?" E quelli rispuosero che per
ciò si
fuggivano, perché in lui
appariva il volto di Simon
mago. Però che Simone avea lavorato un unguento, e
unsene la
faccia di colui,
e per arte magica diedeli la
simiglianza del suo volto sì che quelli se ne lamentava
e
diceva: "Che è quello che m'è incontrato a me misero,
che un
die
riconosciutomi con
mogliama e con
figliuolmi, non mi sono potuto
rallegrare con loro?"
Allora la moglie, tutta iscapigliata, e i figliuoli piangevano
dirottamente.
Simone mago quando era in Antiochia avea
infamato
molto san Piero, e
diceva ch'egli era un mago malfattore
e un micidiale.
Finalmente tanta
commozione avea
messa nel popolo incontra san Piero, ch'elli aveano
grande
disiderio di trovarlo per
manicarli le
carni d'addosso
co'
denti. Disse dunque san Piero a
Faustiano:
"Imperò che
pare che tu sii Simone mago,
vattene in
Antiochia, e dinanzi a tutto il popolo mi
scusa, e quelle
cose che Simone ha
dette di me, tu, in sua persona,
le
frastorna; poscia che tu l'
avrai fatto, io ne verrò
ad Antiochia, e questo volto
istranio da te sì 'l
caccerò
via, e renderotti il tuo propio". Ma pertanto in
verun modo è da
credere questo che san Piero li
comandasse
ched elli
mentisse, con ciò sia cosa che
Domenedio
non abbia
bisogno di nostra
bugia. E però l'
Itinerario
di Clemente, là
dove queste cose sono iscritte,
non è
autentico, né da ricevere in così fatte cose. Ma
bene si puote elli
dire, se l'uomo
considera bene le
parole di san Piero, elli non li disse che
dicesse che
fosse Simone mago, ma che mostrasse al popolo la simiglianza
del volto di colui soprapposta nel suo, e in
persona di Simone
commendasse san Piero, e ritrattasse
quello ch'avea mal detto di lui. E quelli disse ched era
Simone non quanto a la verità, ma quanto a la simiglianza
e a la paruta, onde quel ch'a
Faustiniano
dirà
qui disotto: "Io sono Simone" e l'altre cose,
de
ansi
pigliare: "Cioè, quanto a la paruta, paio ch'io sia Simone".
Fue adunque Simone, cioè
pensativo. Sì che n'andò
Faustiniano, padre di Clemente, ad Antiochia, e
chiamando
a sé tutto il popolo, sì disse: "Io Simone v'
annunzio
e
confesso ch'io v'ho
fallato ogne cosa di san
Piero, che non è ingannatore, ovvero mago, ma è mandato
a salute del
mondo. Per la qualcosa s'io vi
dico
più nulla di lui da quinci innanzi contra lui,
cacciatemi
pure via come malfattore e ingannatore; e ora ne
fo
penitenzia, perch'io
conosco ch'io
dissi male. E
ammonisco
voi che
crediate in lui, acciò che voi ne la
città
vostra periate insiememente. E quando ebbe
compiuto
di
dire tutto quello che san Piero gli avea detto, e
fattolo
venire in
amore del popolo, san Piero venne a lui
e, fatta l'orazione,
cacciò via da lui la simiglianza del
volto di Simone, e 'l popolo d'Antiochia il ricevette
benignamente e
puoselo in su la
caffera. Udendo ciò
Simone andò là e,
chiamato ch'ebbe 'l popolo, sì disse:
"Io mi
do grande maraviglia che, con ciò sia cosa ch'io
vi
dessi salutevoli
comandamenti e
ammunissevi di
guardarvi da lo ingannatore Piero, voi non solamente
l'
avete udito, ma
avetelo innalzato in
caffera vescovile".
Allora si mossero tutti a
furore contra di lui e
di
ssero: "Tu ci
pari un
contraffatto uomo, che pure
l'
altr'ieri ci
dicevi ch'
avevi
fallato, e ora ti sforzi di
farci traboccare". E
facendo
assalto contra lui, con
vituperio il
cacciarono fuori de la
cittade. Tutte queste
cose narra di sé san Clemente nel
libro
suo, e
fecene
iveritto una storia.
Dopo queste cose san Piero, quando fu venuto a Roma,
veggendo che s'
approssimava la passione sua,
ordinò
che san Clemente fosse vescovo dopo lui. Sì che morto
san Piero, prencipe de li
apostoli, Clemente, uomo di Dio,
savio e
avveduto, volle porre
cautela per lo tempo che
dovea venire, che a questo
essemplo non
ardisse neuno
di fare successore dopo sé ne la chiesa di Dio, né possedere
per retaggio il santo luogo di Dio,
diede luogo
a Lino, e poscia a
Cleto. Dopo costoro fue
eletto
san Clemente, e costretto di sedere in quella sedia. Il
quale avea tanto
isplendienti
costumi che ne piaceva al
popolo di giudei, e a quello de' pagani, e a'
cristiani.
I poveri de le
contrade
aveva tutti scritti per nome, e
coloro cui elli avea
mondati per lo
battesimo non gli
lasciava
palesemente andare mendicando. Sì che quando
ebbe
consegrata e velata per vergine
Domitilla, nepote
di
Domiziano imperatore, e
avendo
convertita a la fede
Teodora, moglie di
Sisinnio,
amico de lo 'mperadore,
promettendo ella di stare in proponimento di
castitade,
a
Sisinnio ne venne molta gelosia, e
entrò una volta
ne la chiesa dietro a la sua moglie
nascosamente, e
vogliendo sapere la cagione perch'ella v'
entrasse così
spessamente. Sì che, poi che l'orazione fu fatta da san
Clemente, e risposto dal popolo,
allora Sisinnio
diventòe
cieco e sordo; il quale disse immantanente a i figliuoli
suoi: "Levatemi quinci tosto, e
gittatemene fuori". I
fanciulli laudavano gridando per tutta la chiesa e girando,
ma non potevano
capitare a l'uscio. Quando
Teodora
gli ebbe veduti così andare
errando, primieramente
si
cansòe da loro per paura che 'l
marito non la
conoscesse;
e veggendo poi che pur così
andavano,
domandò
che questo fosse. E quelli
dissero: "Il signore nostro
da che vuole udire e vedere quello che non gli è licito,
è
diventato sordo e
cieco". Allora quella si
diede a
l'orazione, pregando Iddio che 'l
marito potesse uscire
fuori e, dopo l'orazione, disse a' servi suoi: "
Andate
ora, e
menatene il signore vostro a
casa". Quand'elli
se ne furono partiti,
Teodora disse il fatto a san Clemente,
com'era intervenuto. Allora il santo, a
priego
di
Teodora, venne a lui, e
trovollo che avea
aperti gli
occhi e non vedea nulla
e non udiva nulla. Quando
san Clemente ebbe orato a
Domenedio, e quelli ebbe
riavuto il vedere e l'udire, veggendo stare san Clemente
a lato a la moglie,
diventòe
fuor di sé, e pensavasi
essere beffato per
arte di magi, e
comandò a'
servi suoi che
tenessono Clemente,
dicendo così a loro:
"Per
entrare costui a la
donna mia, sì m'
accecòe per
arte
magica". E
comandò a' servi che 'l legassero e,
così legato, lo
trascinassero. E
coloro legavano le
colonne
e ' sassi, e parea a
Sisinnio che legassero e
trascinassero
san Clemente co'
cherici suoi. Allora san Clemente
disse a
Sisinnio: "Perché tu
di' de' sassi
Domenedii,
degna cosa è che tu
trani sassi". Quegli
credendo
veramente
che Clemente fosse legato, sì li disse: "Io
ti
farò uccidere". E partendosi quindi Clemente pregòe
Teodora che non
cessasse d'orare infino a tanto che
il Signore
vicitasse il
marito suo. Sì che orando
Teodora,
san Piero
apostolo l'
apparve, così
dicendo: "Per
te si salverà il
marito tuo, acciò sia
adempiuta la parola
che disse il mio
fratello Paulo: "Sarà salvato il
marito infedele per la femmina
fedele". E poi che ebbe
così detto, sì si partìo. Incontanente
chiamò
Sisinnio
la moglie,
pregandola che
adorasse per lui e
chiamasse
a sé san Clemente. Il quale essendo venuto, sì l'
ammaestrò
de la fede, e
battezzòe
Sisinnio con
CCCXIII
persone di
casa sua. E per questo
Sisinnio e molti
amici
e nobili di
Nerva imperadore
credettoro in
Domenedio.
Allora il
conte de le sagre
diede molta pecunia a
diverse persone, e levò un grande romore di popolo
addosso a san Clemente. Allora
Mamertino, prefetto
di Roma, non
comportando il
commovimento del popolo,
fecesi menare san Clemente; e riprendendolo per
volerlo
inchinare a sé, quelli rispuose: "Io abbo grande
disiderio di stare teco a ragione che, se molti
cani
latrassono contra di noi e tutti ci
amorsecchiassero,
or posson ellino torre che noi siamo uomini ragionevoli,
e ellino
cani sanza ragione?
issevamento di
romore che nasce da le matte persone mostra che non
abbia né
certezza, né verità". Allora
Mamertino, scrivendo
di lui a
Traiano imperadore, ebbe la risposta
che ellino il facesse sagrificare a l'idoli, od elli il facesse
trasportare nel
diserto ch'è
accostato a la
città,
od elli il mandasse a'
confini in
Tersona. Allora il
prefetto disse a san Clemente con
lagrime: "Il
Domenedio
tuo, che tu puramente
adori, ti sia in
aiuto!"
E
apparecchiogli la
nave e ciò che li facea mestiere,
molti
cherici e molti
laidici gli tennero dietro a
confine.
E giunto che fue ne l'
isola, sì vi trovò più di
du'
milia
cristiani
condannati, già gran tempo era
no a
segare i marmi; i quali, veggendo san Clemente, incontanente
si
diedero a pianto ed a
lagrime. Ed egli
consolandogli
disse a loro: "Non m'ha mandato qua il
Signore a voi per li miei
meriti ad essere fatto
parzonevole
de la
corona vostra". E poi ch'ebbe saputo da
loro com'eglino recavano l'
acqua da
bere
sei miglia
da lungi in sul
collo, disse a loro: "Preghiamo tutti
Jesù Cristo che a' suoi
confessatori
apra una vena
d'
acqua in questo luogo,
e quegli il quale percosse la
pietra nel monte
Sinai, e scorsero l'
acque in
abbondanzia,
che ci
dea
acqua
abbondevole, acciò che noi ci
allegriamo
de' suoi
benefici". E quando ebbe
compiuta
l'orazione, ragguardò qua e là, e ebbe veduto uno
agnello
[ms.: angelo] che stava col piede
diritto levato, che mostrava
quasi un luogo al vescovo. E intendendo ch'egli
era Gesù Cristo, lo quale elli solamente vedea, andò a
quel luogo e disse: "Al nome del Padre e del Figliuolo
e de lo Spirito Santo, percotete in questo luogo". Ma
non toccando veruno
colà
dove l'
agnello
[ms.: angelo] era stato, egli,
in sua persona, prese uno
marruccio, e
diede una piccola
percossa nel luogo sotto il piede de l'
agnello
[ms.: angelo], e
incontanente n'uscì fuori una grande
fontana d'
acqua,
e
crebbe tanto che si fece un
fiume. Allora
rallegrandosi
tutti, san Clemente disse: "L'
impeto del
fiume
rallegra la
città di Dio". A questa
nominanza trassono
molte persone, e
furonne
battezzati in uno
die
cinquecento
e più,
distruggendo le
chiese de l'idoli per tutta
la provincia infra uno
anno, e
fecero
LXXV chiese ad
onore de la fede
cristiana. Dopo tre
anni
Traiano,
che
aveva cominciato a governare l'anno Domini CVI, udendo
queste cose,
mandovvi là un
capitano, il quale
vedendogli
morire tutti lietamente,
diede luogo a la
moltitudine,
e solo Clemente fece gittare in mare, legandoli
un'ancora a
collo, così
dicendo: "Già non potranno costoro
adorare costui per loro
Domenedio". Sì che stando
tutta la
moltitudine a la
spiaggia del mare, Cornelio
e
Febo, suoi
discepoli, e anche gli altri,
cominciarono
ad orare a
Domenedio che mostrasse loro il
corpo del
suo martire. Incontanente tornando indietro il mare tre
miglia,
entrandovi tutti per secco, trovaronvi una
abitazione
fatta a modo di tempio di marmo, apparecchiato
da Dio, e ivi in una
arca il
corpo di san Clemente, e
l'ancora a lato a lui. Ed
ebbero rivelazione i
discepoli
che non levassero quindi il
corpo suo. Ma ogni
anno al tempo de la sua passione, per
sette dì
torna il
mare indietro tre miglia, e
dàe a' viandanti
viaggio per
secco.
In una
festa venne una femmina al detto luogo con
uno suo
fanciullo
piccolino; e,
compiuta la solennitade
de la
festa,
dormendo il
fanciullo, venne subitamente
un suono d'
acqua
ondeggiante, e la
donna spaventata
e
dimenticandosi del suo figliuolo con tutta l'altra
moltitudine
fuggìo a la riva. La quale
ricordandosi poi
del figliuolo, piagnea con grandissimi guai, e mettea
strida di lamento insino al
cielo, e
andando
discorrendo
per l'
isola gridando e urlando, se per
avventura ella
vedesse il
corpo del figliuolo,
gittando
lo fuori l'onde
marine; ma vegnendo meno in lei ogne speranza, ritornossi
a
casa, e tutto quello
anno menòe in pianto e
in
dolore. Sì che
compiuto l'
anno,
aprendosi il mare,
entròe innanzi a tutti e venne tostana al luogo, s'ella
il potesse rinvenire alcuno
segno del suo figliuolo. Essendosi
dunque
data ad orazione dinanzi a l'
avello di san
Clemente, levossi e vidde il
fanciullo che si
dormiva in
quello luogo dove la madre l'avea lasciato. E pensando
ella che fosse morto,
appressimovvisi quasi per ricogliere
il
corpo morto, ma da che ebbe
conosciuto ched
elli
dormìa,
destollo
isbrigatamente, e
levollosi in
collo
sano e lieto,
mostrandolo al popolo ch'
aspettava di
vedere quello che ne fosse, e
domandarollo dove fosse
stato per tutto quello
anno. Quegli rispuose che non
sapeva se l'
anno si fosse passato intero, ma
credevasi
avere
dormito soavemente per una notte.
Santo Ambruogio nel
Prefazio dice così: "Con ciò
sia cosa che 'l niquitoso persecutore
affliggesse con
pene il
beato Clemente,
essendone costretto dal
diavolo,
non gli
diede tormento, ma trionfo. Fu gittato il martire
ne l'onde marine, acciò che
annegasse, e per
questo venne al guiderdone, laonde Pietro, suo maestro,
pervenne al
cielo.
Appruova Cristo le
menti d'
ambedue
ne l'onde marine, e reca Clemente del profondo a vettoria
di martirio, e nel detto
elemento trae Piero al
regno del
cielo, acciò che non
profondasse".
Racconta Leo vescovo d'Ostia ch'al tempo che Michele
imperadore reggea lo 'mperio de la
novella Roma,
un prete, ch'avea nome Filosofo, essendo pervenuto a
Tersona,
adomandato che ebbe gli
abitanti di quelle
cose che si
narravano ne la storia di san Clemente,
per ciò ch'egli erano anzi
avveniticci che
abitanti,
dissero che non sapeano nulla. Sì che il miracolo del
tornare indietro il mare, era già rimaso per lo peccato
de gli
abitanti grande temporale, e per l'
assalimento
de'
barberi era stato
distrutto il tempio e l'
arca col
corpo
fracassato da l'onde marine. E
maravigliando
sopra ciò il detto Filosofo,
andonne ad una
cittadella
ch'avea nome
Georgia col vescovo e col
chericato e
col popolo, per
cercare per le sante reliquie a quell'
isola,
dov'elli stimavano essere il
corpo del santo martire.
Nel quale luogo
cavando con l'orazione e con le laude,
trovarono il
corpo e l'ancora con che era stato gittato
in mare, e
portarlo a
Tersona. E da quel luogo ne
venne il detto Filosofo col
corpo di san Clemente a
Roma e,
mostratone molti miracoli, fu
riposto onorevolemente
il
corpo ne la chiesa che si chiama oggi san
Clemente.
In alcuna Cronica anche si legge che, essicato
il mare in quello luogo, il corpo suo fu traslatato
a Roma da san Cirillo, vescovo de i Moravi.
cap. 166, S. Grisogono
Grisogono per
comandamento di
Diocleziano fu
rinchiuso
in
carcere, nel qual luogo era pasciuto de gli
elementi di santa
Anastasia. E quando il
marito il seppe,
sì la misse in una
strettissima guardia,
dond'ella mandò
a
Grisogono, il quale l'avea
ammaestrata, per una
scritta così
dicendo: "Al santo
confessore di Cristo
Grisogono,
Anastasia. Lasciando me in luogo de lo
scomunicato
marito ch'io
presi,
mentendo a lui l'
abitazione
camerale, per la misericordia di Dio infermata,
dì e notte
abbraccio le pedate del nostro Signore
Jesù
Cristo.
Consumando questi con peccato e con sozzi idolatri
il
patrimonio mio, del quale è in grande istato,
hammi messa in gravissima pregione, come s'io fosse
una maga e una peccatrice palese, e questo ha fatto
per
allegrarsi ch'io perda la vita temporale. Sì che
non m'è rimaso altro se non che mi vegna meno lo
spirito e muoia il
corpo. Ne la quale
morte,
avvegnadio
ch'io mi glorii, la
mente mia n'è molto tribolata, però
che le ricchezze mie, le quali io avea
donate al Segnore,
son
consumate da le
brutte persone. Sii
allegro, servo
di Dio, e di me ti sia
ricordo". A la quale
Grisogono
rispuose così: "Or vedi, non ti turbare in ciò, perché
vivendo te santamente ti vegnano le cose d'
avversitadi,
però che tu non
se' ingannata, ma provata. Tosto
vedrai tempo che ti piacerà e, quasi dopo le tenebre
de la notte, vedrai il
fiorito lume di Dio, e dopo il
freddo del
ghiaccio seguiteranno a te tempi
chiari e
luminosi. Sii
allegra nel Signore, e
priegalo per me".
Finalmente essendo più
costretta ne la pregione santa
Anastasia, intanto ch'appena l'era
dato per
die uno
quartiere di pane, pensandosi tosto morire, scrisse una
pistola così fatta: "Al
confessore di Cristo
Grisogono,
Anastasia manda a
dire: La fine viene al
corpo, ricorditi
di me, acciò che riceva l'
anima mia, quand'ella
uscirà fuori, quegli per lo cui
amore io
sostegno
queste cose, le quali tu saprai per la bocca di questa
vecchierella". A la quale egli mandò così
dicendo:
"Sempre è questo che le tenebre vanno innanzi al
lume, e così dopo la infermità ritorna il
sanamento, e
la vita è promessa dopo la
morte. Ad un fine si
conchiudono
l'
avversitadi e le
prosperitadi di questo
mondo,
acciò che la
disperazione non abbia signoria ne i tristi,
né la superbia ne gli
allegri. Un solo mare è quello
nel quale vanno a vela le
navicelle de' nostri
corpi, e
sotto uno governatore del nostro
corpo l'
anime nostre
usano l'officio di nocchiere. Sì che le
navi che sono
ben
fermate e legate con
buone tavole, perch'elle sieno
spessamente
commosse da le
tempeste del mare, sanza
veruno male se ne passano; ma quelle c'hanno
debole
congiugnitura di legni eziandio a tempo di
bonaccia
fanno il loro
corso pressimano e la
morte. Ma tu, o
servigiale di Cristo,
strigniti con tutta le
mente a la
Croce, e apparecchiati al lavorìo di Dio". Sì che
Diocleziano essendo ne le parti d'Aquilea, uccidendo
tutt' i
cristiani,
comandò che san
Grisogono fosse presentato
dinanzi da lui. E
dicendo a lui: "Prendi la
potenzia
de la tua prefettura e 'l
consolato de la tua schiatta,
e sagrifica a gli
dei!" rispuose
Grisogono: "Io adoro
uno Dio il quale è in
cielo, e
spregio come
fango le
tue
dignitadi". Sì che fu
data la sentenzia sopra lui,
e fu
menato in alcuno luogo, e tagliatoli la testa
intorno
a gli anni Domini CCLXXXVII. Il
corpo del quale,
col capo insieme, seppellito fue da santo Zelo prete.
cap. 167, S. SaturninoSaturnino, ordinato in vescovo da'
discepoli de li
apostoli,
fu mandato a la
città di Tolosa.
Entrando lui ne
la
cittade, e
cessando le
demonia da
dare le risponsioni
ne gli idoli, uno de' pagani disse che, se non
uccidessono Saturnino, da' loro
Domenedii non
acquisterebbero
nulla. Presero dunque Saturnino non vogliendo
sagrificare a l'idole, e legandolo a' pie' d'un toro, e
stimolandolo con
puntigliati, da la sovrana parte de la
rocca il
fecero traboccare per li gradi del Campidoglio,
e in questo modo, col capo isbranato e col
cervello
sparto,
compiette
beatamente il suo martirio. E
due
femmine presero il
corpo suo, e
ripuoserlo in uno profondo
luogo per paura de' pagani; lo quale i suoi successori
traslataro poi a più
reverente luogo.
Fue un altro Saturnino, lo quale il prefetto di Roma
avendo lungo tempo
macerato in pregione, sì 'l fece
levare a la
colla e
battere
fortissimamente con
nerbi
e con
bastoni; a la perfine
avendolo inceso ne le latora,
fecelo porre a terra, e
comandò che fosse
dicapitato
intorno a gli anni Domini CCLXXXVI sotto Massimiano
imperadore.
E fue anche uno altro Saturnino ad Africa,
fratello
di san
Satiro, il quale col detto suo
fratello, e con
Revocato, e con
Filicita,
serocchia del detto Revocato,
e anche con Perpetua,
gentilmente nata,
sostenne martirio;
de i quali si fa
festa per altro tempo.
Avendo
dunque detto il proconsolo a costoro che sagrificassero
a li
dei,
e questi non assentendo per nulla, furono
messi in
carcere. Udendo ciò il padre di
Perpetua,
corse
piagnendo a la
carcere e
dicendo: "Figliuola mia, or
che hai tu fatto? Or tu hai
disonorato la schiatta tua,
ché non fu mai veruno del tuo
legnaggio messo in
pregione". E quand'ebbe inteso ch'ella era
cristiana,
un grande
assalto le volse fare con le
dita a gli occhi,
e
volseglieli
cavare, ma pur fece un grande romore, e
uscì di prigione. E vidde santa Perpetua una così fatta
visione, la quale raccontò a i
compagni il seguente
die,
e disse: "Io viddi una scala d'oro
maravigliosamente
alta e
diritta insino al
cielo, ed era sì
stretta che non
vi potea
capere né salire su persona se none uno per
volta, e
convenìa che fosse
piccolino. Da la parte ritta,
e da la manca era
no confitti
coltelli di
ferro regolati
e
arrotati in tal maniera, che colui che montava su
per veruno modo non si potea rivolgere né in qua né
in là, ma sempre li
convenìa stare col capo ritto al
cielo. E sotto questa scala giaceva un
dragone nerissimo
e di gran
forma, e
ciascuno per la paura temeva
di salire. E viddi
Satiro montare per essa infino suso,
e
puoseci
mente e
disseci a noi: "Non temiate, voi,
questo
dragone, ma salite suso
sicuramente, acciò che
voi possiate stare
sicuri". Udendo tutti queste cose
rendettero grazie a
Domenedio, però che
conobbero sé
essere
chiamati al martirio. Essendo dunque
menati dinanzi
al giudice, e non vogliendo sagrificare, fece sceverare
Saturnino, con gli altri uomini, da le
femmine,
e disse a santa Felicita: "Hai tu
marito?" E quella
disse che sì, ma i' l'hoe a
spregio. E 'l giudice le
disse: "
Abbi misericordia di te giovane, acciò che tu
viva
massimamente, abbiendo te
fanciullo in ventre".
E quella li disse: "Fa di me ciò che ti piace, però
che tu non mi potrai giammai trarre a la tua
volontade".
E i
parenti di santa Perpetua
corsero col
marito
di lei, e
recarelle uno suo
fanciullo che ancora
poppava. E veggendola il padre stare dinanzi al prefetto,
gittollesi a' piedi in terra, così
dicendo: "Figliuola
mia
dolcissima,
abbi misericordia di me e di questa tua
dolorosissima madre, e di questo
cattivello tuo
marito,
il quale non potrà
vivere dopo te". Ma santa Perpetua
stava pur ferma. Allora il padre le gittò il figliuolo suo
al
collo, ed elli e la madre e 'l
marito la presono per
mano, e piagnendo la
baciavano tutta quanta e
dicevano:
"
Abbi misericordia di noi, figliuola, e
vivi con
noi". Quella gitta il
fanciullo a loro, e
cacciandogli
tutti da sé, disse: "Partitevi da me, nemici miei,
però ch'io non vi
conosco". Veggendo il prefetto la
loro
costanzia ne la fede,
fecegli
battere molto, e poi
mettere in pregione; ed essendo i santi molto
dolorosi
per santa Felicita, che era pregna già d'
otto mesi,
pregarono Dio per lei, e subitamente le vennero i
dolori
del parto, e partorìo un figliuolo vivo. E una de
le guardie le disse: "Or che
farai tu quando tu sarai
venuta dinanzi al prefetto, se tu
se' ora così
gravemente
tormentata?" Rispuose santa Felicita: "Qui
patisco io per me, ma quivi
patirà insieme per me
Domenedio". Furono dunque tratti de la
carcere, e
con le mani legate di dietro, e con le natiche scoperte,
furono
menati per la piazza, e lasciate andare le
bestie
contra loro. Satiro e Perpetua furono
divorati da i leoni,
Revocato e Felicita furono
mangiati da' leopardi, a
santo Saturnino fu tagliato il capo; e così furono
martirizzati
per Cristo
intorno a gli anni Domini CCLVI
sotto Valeriano o Galieno imperadori.
cap. 168, S. CaterinaCaterina, figliuola del re
Costo, fu
ammaestrata da
li studi di tutte l'
arti liberali. Stando
Massenzio imperadore
in Alessandria, e faccendosi venire là tutt'i
cristiani, così i ricchi come i poveri, per
farli sagrificare
a l'idoli, e
ponendoli a pena
coloro che non volessono,
Caterina
avendo da
XVIII anni, ed essendo
rimasa sola nel palazzo pieno di ricchezza e di
donzelle
e
donzelli, udendo i
mugghii di
diversi
animali,
e ' lodamenti d'
incantatori, mandò uno messaggio a
sapere che ciò fosse
avacciatamente. Quando ebbe saputo
quel ch'era, prendendo seco alcuni del palazzo,
e
armandosi col
segno de la Croce,
andonne là, e viddevi
molti
cristiani ch'erano
menati a sagrificare per
paura del morire. Ed essendo piagata da
forte
dolore
di
cuore,
arditamente si gettò dinanzi a lo 'mperadore,
e disse così: "A
farti
salutanzia,
o imperatore, mi
moveva la
dignità de l'ordine e la via de la ragione,
se tu
conoscessi il
Criatore del
cielo e ritraessi l'
animo
tuo da li
dei". E stando dinanzi a la porta del tempio,
disputòe molto con lo 'mperadore per
conclusioni di silogismi
e per
allegoria e per metafora, in
manifesto e in
figura. E ritornando poi al
comune parlare disse così:
"Queste cose t'ho voluto
dire come a persona savia,
ma
dimmi testeso perché hai tu ragunato qui indarno
molta
moltitudine ad
adorare la stoltizia de l'idoli? E
maravigliati di questo tempio lavorato per mano di maestri,
ragguardi gli ornamenti preziosi, i quali saranno
come
polvere innanzi al vento. Ragguarda
maggiormente
il
cielo e la terra e 'l mare, e ciò ch'è in loro; ragguarda
gli ornamenti del
cielo: il sole e la luna e le
stelle; ragguarda il
servigio loro come di principio del
mondo infino a la fine, notte e
die
corrono a l'occidente
e ritornano a l'oriente, e giammai non si stancano;
e quando tu
avrai bene posto
mente,
domanda ed
appara
chi è più potente di loro; e quando tu l'
avrai
inteso per suo
donamento, e non potrai avere trovato
suo pare, lui
adora e lui glorifica, però ch'egli è il
Domenedio de'
Domenedii, ed è Re de' re e Signore de'
signori". Ed
avendo
disputato
saviamente di molte cose
de la incarnazione del Figliuolo di Dio,
stupidito lo 'mperadore,
a queste cose non ci
poté rispondere nulla.
Finalmente ritornato in sé, disse a lei: "O femmina,
lasciaci
compiere i sagrifici, e poscia ti risponderemo".
E
comandò ch'ella fosse menata al palazzo, e guardata
molto
diligentemente, maravigliandosi molto del suo
sapere e de la
bellezza del
corpo suo. Però ch'ella
era molto
bella e maravigliosa a gli occhi di tutti per
bellezza da non potere
credere. Vegnendo dunque
lo 'mperadore al palazzo, disse a Caterina: "
Avemmo
udito il tuo
bello parlare, e
siamci
maravigliati del tuo
senno; ma occupati noi ne i sagrificii de li
dei, non
potemmo intendere tutte cose pienamente. Ora, dal principio
richieggiamo la tua nazione". E la santa rispuose:
"Egli è scritto: "Né non ti loderai né non ti
incolperai te medesimo"; questo fanno gli stolti commossi
da la vanagloria. Ma io ti
confesso la mia generazione
non per
enfiamento di superbia, ma per
amore
d'
amistà. Io sono Caterina figliuola del re
Costo, la quale
avvegnadio ch'io sia nata in porpora e
ammaestrata
de l'
arti liberali
convonevolemente, ma io abbo
spregiato tutte queste cose e sommi
fuggita a Messere
Jesù Cristo. Ma gli
dei che tu
coltivi non possono
aiutare
né te né altrui. O malagurati
coltivatori di cotali
iddei, i quali non
aiutano quando sono
chiamati al
bisogno,
non soccorrono a le tribulazioni, non
difendono ne
i
pericoli!" E 'l re le disse: "S'egli è come tu
di',
dunque
erra tutto il
mondo, e tu sola
di' il vero? Ma
con ciò sia cosa che ogne parola sia
confermata in bocca
di
due o di tre testimoni, se tu fossi un
angelo se tu
fossi una virtù del
cielo, non ti
dovrebbe però ancora
credere
veruno, quanto meno che
se' una femmina
fraile".
Ed ella rispuose: "Io ti
priego, imperadore, che tu
non ti lasci vincere a l'
ira; ne l'
animo del savio uomo
non sta la turbazione
dura. Così disse il
poeta: "Se
tu reggerai l'
animo, tu
se' re; se tu reggerai il
corpo,
se' servo". Disse il re: "E mi
par vedere che tu ci
vuogli
allacciare per mortale
scaltrimento, da che tu
ti sforzi di
trarrerci per
essempli di
filosofi".
Veggendo dunque lo 'mperadore che non potea
contrastare
a la sapienzia di costei, mandò
comandando per
le terre che venissero
grammatici e rettorici in
fretta
a la
corte d'Alessandria e riceverebbono grandi
doni,
sed e' vincessero una
aringatrice vergine co' loro
argomenti.
Furono dunque
menati di
diverse province
cinquanta maestri
conventati, i quali
avanzavano tutti
gli uomini del
mondo in ogni sapienzia
mondana. E
domandando loro la cagione perch'elli erano
fatti venire
di sì lontane parti, rispuose lo 'mperadore: "E
ci ha una
fanciulla, che non le si troverebbe pari in
sentire e in
conoscere, che
confonde tutt'i savi, e
afferma
i nostri
dei essere
demoni. La quale se voi m'
atterre
rete,
io vi rimanderò a
casa vostra col maggiore
onore, che voi mai
aveste". A questo rispuose l'uno
molto indegnato con una
boce
stomacante, e disse:
"Or che gran
consiglio è quello de lo 'mperadore che,
per isconfiggere una
fanciulla, ha
fatti venire
cotanti
savi di lontane parti del
mondo, con ciò sia cosa che
pure uno de' nostri
scudieri l'
avrebbe potuta molto
leggiermente
confondere?" E 'l re disse: "Io abbo
bene
potenzia a
costrignere di sagrificare, ma io abbo
sentenziato che sia il meglio ch'ella sia al postutto
confusa con li vostri
argomenti". E quegli
dissero:
"Sia menata qui la
fanciulla, acciò che
convinta ella
de la sua
presunzione
conosca e
paia a le' ch'ella non
abbia
mai per l'adietro veduti de' savi". Quando la
vergine ebbe saputo la
battaglia che le
sopravvenìa, raccomandossi
tutta quanta a
Domenedio, ed eccoti l'
angelo
di Dio a lei, e
confortolla ch'ella stesse
fermamente,
affermando a lei che non solamente ch'ella non fosse
vinta da loro, ma più ch'ella
convertirebbe loro, e
farebbeli
diventare martiri. Ed essendo dunque menata
dinanzi a lo 'mperadore, disse a lui: "Che giudicio
è il tuo a porre
cinquanta maestri contra una
fanciulla,
e
prometti di
guiderdonarli per la vittoria ch'
avranno
di me, e me
costrigni di
combattere sanza speranza di
guiderdone? Ma e ne sarà guiderdone messere
Jesù
Cristo, il qual è
isperanza e
corona di
coloro che
combattono
per lui".
Dicendo dunque li maestri che impossibile
era che Iddio fosse fatto uomo e
patisse pena,
la vergine Caterina mostrò loro che questo era stato
detto da i pagani per
Platone
affermante che Dio è
d'intorno rotondo, e che
dovea essere
ditroncato. E la
Sibilla dice così: "
Beato quello Dio che pende in alto
legno".
Disputando la vergine con i savi molto
saviamente,
e
confondendoli tutti con
aperte
ragioni, stupiditi
coloro e non trovando che
dire più nulla,
diventarono
al tutto
mutoli. Allora lo 'mperadore mosso ad
ira
contra di loro, incominciogli a riprendere
fortemente di
ciò che si lasciavano così
cattivamente vincere a una
fanciulla. Allora uno di quegli maestri disse così:
"
Sappieti, imperadore, che non fu mai neuno che ci
potesse stare dinanzi che noi
nol vincessimo incontanente;
ma questa
fanciulla, ne la quale lo Spirito
Santo
favella, ci ha tratti a grande
ammirazione, intanto
che contro a Cristo non siamo
arditi di
dire nulla,
ovvero che noi temiamo, onde noi ti
diciamo così:
"Imperadore che tu hai
data più probabile sentenza
de li
dei, i quali insino ad ora abbiamo
coltivati, ecco
noi ci
convertimo tutti a Cristo". Udendo ciò il tiranno
fu
acceso d'
ira, e
comandò che tutti
fossono
arsi nel
mezzo de la
cittade. E la vergine Caterina gli
confortava
che stessero
fermi nel martirio, e
ammaestrogli
diligentemente
de la fede. E
dolendosi loro del
battesimo, ché
non l'aveano ricevuto, la vergine rispuose così loro:
"Non temiate di nulla, però che lo
ispargimento del sangue
vostro vi sarà in
battesimo e in
corona". Con ciò
dunque fosse
cosa che
fossono gittati entro le
fiamme,
armati col
segno de la Croce, in tal maniera rendettero
l'
anime a
Domenedio, che né
capello, né vestimento
di lor persone non ebbe male veruno. E sì
come
furono seppelliti
da i cristiani il tiranno parlò a la
vergine in questo modo: "O vergine di grande
legnaggio,
dona
consiglio a la
gioventudine tua, e
farotti la
maggiore
donna del mio palazzo fuori de la reina, e
farò fare una imagine a tuo nome, e sarai
adorata
come
donna". E la vergine gli rispuose: "Or ti rimani
di
dire cotali cose, che sono
fellonesche pure a
pensarle;
io mi sono
data per isposa a Cristo, e quegli è mia
gloria, quelli è mio
amore, quelli è mia
dolcezza; del
suo
amore non mi potrà spartire né
lusinghe, né tormenti".
Allora lo 'mperadore ripieno d'
ira,
comandò
ch'ella fosse spogliata e
battuta con
iscarpioni e, così
battuta, mettere in
oscura pregione, e ivi tormentata
XII dì di
fame.
Infrattanto venne cagione al re che gli
convenìa
andare fuori de'
confini di quelle
contrade, sì che la
reina, moglie del re, infiammata di molto
amore a
costei, entro la mezzanotte andò a la
carcere de la vergine
con
Porfirio, prencipe di
cavalieri. Quando la reina
fu
entrata ne la
carcere,
viddela
risplendiente da tanta
chiaritate che non si potrebbe pensare, e vidde gli
angeli
che ugnevano le piaghe de la vergine. Allora
cominciò
santa Caterina a predicare loro de la gloria di
Paradiso, e
convertìo la reina a la fede, e
predissele
ch'ella
avrebbe
corona di martirio; e in questo modo
prolungarono loro parole grande parte de la notte. Udendo
Porfirio queste cose, gittossi a' piedi de la vergine, e
con
CC cavalieri ricevette la fede. E perché il tiranno
avea
comandato ch'ella stesse
XII dì sanza mangiare,
Cristo per tutti questi dì le mandò una
colomba
bianca
da
cielo, che la pasceva del
celestiale
cibo. Poscia l'
apparve
il Signore con
moltitudine d'
angeli e di vergini,
dicendo a lei: "
Conosci, figliuola, il
creatore tuo, per
lo cui
amore tu
se'
entrata in
faticosa
battaglia; sta
ben ferma, ch'io sarò con teco". Tornato lo 'mperadore,
facelasi presentare dinanzi, e
veggendola vieppiù
splendiente, la quale di tanto
digiunare pensava che fosse
afflitta, e'
credette ch'altra persona l'
avesse
sostenuta
ne la
carcere e, ripieno di
furore,
comandò che fossero
tormentate le guardie. E quella disse: "Io non ho ricevuto
cibo da uomo, ma Cristo m'ha nutrita per l'
angelo
suo". E lo 'mperadore le disse: "Riponi al postutto
il
consiglio ch'io ti
do nel
cuor tuo, e non rispondere
con
dubbiose parole. Noi non
disideriamo di tenerti come
per
fancella, ma come per reina scelta per
bellezza e
potente
avrai grande trionfo nel regname". Al quale
la vergine disse: "
Attentamente io ti
priego che tu
debbi
esaminare e giudicare in te medesimo qual
consiglio
io
debbo anzi prendere: tra prendere uno sposo
potente, glorioso ed
eternale e
bello, ovvero un altro che
fosse infermo, mortale, uomo di
bassa mano e sozzo".
Allora lo 'mperadore adirato, sì le disse: "De le
due
cose prendi l'una, o vuo' tu sagrificare, acciò che
vivi,
o ricevere innumerabili tormenti, acciò che muoi". E
quella disse: "Qualunque tormenti tu puoi fare e pensare,
non ti indugiare, però ch'io non
disidero altro
d'offerire a Cristo la
carne e 'l sangue mio, sì come
elli offerse per me, però ch'egli è mio Dio, mio
amato
re, pastore e un mio solo sposo". Allora essendo il
re in gran
furia, un prefetto gli
diè questo
consiglio:
che facesse fare in tre dì
quattro ruote con
ferri taglienti
e molto
aguti, e
metterla dentro a' tornei a rincontro
con
crudeli
aguti, acciò che sì terribile tormento la partisse
le
carni da l'ossa, e gli altri
cristiani si spaventassero
per l'
essemplo di così
crudele
morte. E
ordinossi
che le
due
ruote si volgessero ad uno modo, e l'altre
due per
contrario, sì che quelle disotto,
lacerando, traessono,
e quelle disopra,
contrastando,
pignessoro. Allora la
vergine
beata pregò il Signore che a laude del suo nome,
e a
convertimento del popolo che stava d'intorno, guastasse
quello
edificio. Ed eccoti l'
angelo di Dio venne
con tanto
furore
divegliendo quella macina con
movimento,
che
quattro miglia pagani uccise. La reina che
vedeva queste cose, e insino allora s'era
celata, incontanente
scese a terra, e riprese lo 'mperadore di
cotanta
crudeltade molto
duramente. E 'l re ripieno di
furore,
fece prendere la reina e,
spregiando di sagrificare, prima
le fece
ricidere le mammelle, e poscia
dicapitare. E
quando ella era menata al martirio, pregò santa Caterina
che pregasse il Signore per lei. E quella rispuose:
"Non temere tu, reina
eletta da Dio, però che oggi
cambierai reame, e saratti
dato lo
eternale per lo
passatoio
e, per lo sposo mortale, guadagnerai il non mortale".
Allora quella
diventòe ferma, e
confortava i
giustizieri, che quello ch'era
comandato loro, non
dimorassono
più a fare. Sì che i ministri
menandola fuori
de la
cittade, con
asticelle di
ferro le
divellonno le mammelle
e poscia le
mozzarono il capo suo.
Il corpo suo, rapendolo Porfirio,
seppellillo. Il seguente
dì
facendosi inquisizione del
corpo de la reina, e
facendone
per questo il tiranno molti menare al tormento,
Porfirio si levò ritto in piede, e incominciò a gridare:
"Io sono quelli che
seppellìo la servigiale di Cristo, e
ho ricevuto la fede di Cristo". Allora
Massenzio
diventòe
tutto isbalordito, e misse uno terribile mugghio, e gridò
così: "Oi
cattivo e misero a me,
ecco che
Porfirio, il
quale era un solo guardiano de l'
anima mia e
sollazzo
d'ogni mia
fatica, e ora m'ha ingannato!" E
dicendolo
a i
cavalieri suoi, quelli rispuosero: "E noi siamo
cristiani, apparecchiati di morire". Allora lo 'mperadore
inebbriato d'
ira,
comandò che tutti fossero
dicollati
con
Porfirio, e le loro
corpora lasciate a'
cani. Poscia
chiamò santa Caterina a sé, e sì le disse: "
Avvegnadio
che tu
abbi fatta morire la reina per
arte
magica, ma se
tu ti vuogli rimanere di sì fatte cose, io ti
farò la maggiore
donna di mio palazzo, e se questo non vuogli fare,
o tu sagrifica a li
dei nostri, o tu morrai oggi, e
farotti
tagliare il capo". E quella rispuose: "Fa di me
quello che tu hai pensato ne l'
animo tuo, tu mi vedrai
apparecchiata ad ogni cosa
sostenere". E
data la sentenzia
sopra lei, fu
comandato ch'ella fosse
dicollata.
E quella essendo menata al luogo, levò gli occhi al
cielo, e oròe così: "O
isperanza e salute di
coloro che
credono in te, o Gesù Cristo, onore e gloria de le vergini,
io ti
priego che
chiunque
farà memoria de la mia passione
e che mi
chiameràe
in su la morte e in qualunque
necessità,
priegoti che tu gli
dea de la tua misericordia!"
E venne la
voce a lei, e disse: "Vienne,
diletta
mia, sposa mia, ecco la porta del
cielo, che t'è
aperta,
e a
coloro che
faranno
festa de la tua passione
prometto
il
disiderato
aiuto da
cielo". Poscia, da ch'ella
fu
dicollata, del suo
corpo uscìo latte e sangue, e gli
angeli presero il
corpo e
portarollo da quello luogo insino
al monte
Sinai, che sono
XX giornate, e ivi il seppellirono
onorevolemente. De le cui ossa non resta d'uscire
olio, lo quale sana le
membra di tutti gl'infermi.
Martirizzata
fu intorno a gli
anni
Domini
CCCX sotto Massenzio
o Massimino tiranno. E come il sopraddetto
Massenzio fu punito per questo peccato e per gli altri
che
commisse,
trovera'lo ne la storia del trovamento
de la Croce.
Da notare è che santa Caterina
apparve maravigliosa
in
cinque cose. La prima in sapienzia, la seconda in
parlamento,
la terza in
fermezza, la quarta in purità di
castitade, la quinta in
privilegio di
dignità. Primieramente
dico ch'
apparve maravigliosa in sapienzia, però
che in lei fu ogne spezie di
filosofia. La
filosofia si
divide in teorica e pratica e logica. La teorica, secondo
che vogliono
dire alcuni, si
divide in tre, cioè
intellettuale, naturale e matematica. Ebbe dunque santa
Caterina la sapienzia intellettuale in
conoscimento de le
divine cose, lo quale
massimamente usòe in
disputare
contra i rettorici, a i quali provò ch'egli era un solo
Dio verace, e
convinse che tutti gli
dei erano
falsi.
Anche ebbe la naturale in
conoscere tutte le cose di
quaggiù, la quale
massimamente usòe nel
disputare contro
a lo 'mperadore, come si manifesta ne la leggenda.
Anche ebbe la matematica in
dispregiare le cose
terrene.
Questa iscienzia, come
dice
Boezio, sì si
specchia ne le
forme, ovvero ne la materia. Questa ebbe santa Caterina
quando ella ritrasse l'
animo suo da ogne naturale
amore materiale; questa mostrò ella d'avere quando,
domandandola lo 'mperadore, rispuose a lui: "Io sono
Caterina, figliuola del re
Costo; avvegna che sia nata
in porpore,
ammaestrata sono de l'
arti liberali". Questa
usòe ella
massimamente con la reina, la quale ella
animòe a
dispregio del
mondo e di se medesima, e a
disiderare il reame del
cielo. La pratica si
divide in tre:
ne l'
etica e ne la
economica e ne la pubblica, ovvero
politica. La prima insegna informare li
costumi e
adornarsi
di virtudi, e
appartiensi a tutti; la seconda insegna
bene
comporre la
famiglia, e
appartiensi a' padri de le
famiglie; la terza insegna bene reggere le
cittadi e'
popoli e la repubblica, e
appartiensi a i rettori de le
cittadi. Queste tre scienzie ebbe santa Caterina.
La
prima, quando ella si
compuose d'ogne onestade di
costumi;
la seconda, quand'ella resse laudabilemente la
famiglia sua, la quale
manifestamente fu lasciata a lei;
la terza ebbe quando
saviamente
ammaestrò lo 'mperadore.
La loica si
divide in tre: in
dimostrativa, probabile
e
sofistica. La prima s'appartiene a'
filosofi, la
seconda a' rettorici e a'
dialettici, la terza a'
sofistici.
Queste tre iscienzie
par ch'ella
avesse per quello ch'è
scritto di lei che: "per
divisate
conclusioni di silogismi,
per
allegoria e per metafora,
apertamente e
figuratamente
disputò molto con lo imperadore". Nel secondo
luogo fue
meravigliosa nel
bello parlare, però ch'ella
ebbe un parlare molto
facondioso in predicare, come si
dimostra e manifesta ne le sue predicazioni, ovvero
disputazioni. Anche l'ebbe molto chiaro in sapere rendere
ragione, come si manifesta in ciò ch'ella
diceva
a lo 'mperadore: "Tu
ragguardi questo tempio lavorato
per mano di maestri". Anche l'ebbe suavissimo in
attrarre,
come si manifesta in
Porfirio e ne la reina, i
quali santa Caterina trasse a la fede con la suavitade
del suo parlare. Anche l'ebbe
efficacissimo in
convincere,
come si manifesta ne' maestri, i quali ella
convinse
così
potentemente. Nel terzo luogo fu
costantissima
in minacce che l'erano fatte, però ch'ella le
spregiò, onde,
minacciandola lo imperadore, quella rispuose: "Qualunque
tormento tu
puoti pensare, non ti indugiare, però
ch'io
disidero d'offerire a Cristo la
carne e 'l sangue
mio". Anche disse: "Fa tutto quello che tu hai
diliberato
ne l'
animo tuo; tu mi vedrai
apparecchiata a
sostenere tutte le cose". Anche fu
costantissima ne i
doni offerti a lei, però ch'ella gli rifiutò, onde quando
lo 'mperadore le
promisse che la
farebbe dopo sé maggiore
nel suo palazzo, quella rispuose: "Rimanti di
dire cotali cose, che sono
follia pure a
pensarle". Anche
fu
costantissima ne i tormenti che l'erano
dati, però
ch'ella gli vinse, come si manifesta quand'ella fu posta
ne la ruota e ne la
carcere. Nel quarto luogo, in purità
di
castità, però ch'ella
servòe
castità fra quelle cose
fra le quali la
castità suole perire.
Cinque cose son quelle ne le quali
la castità suole
perire, cioè l'
abbondanza de le cose che fa
dissoluzione,
la necessità
inducente a ciò, la
gioventudine
vaneggiante
e la libertade isfrenata, la
bellezza
attraente.
Tra queste cose
servòe
castità la
beata Caterina; però
ch'ella ebbe grande
abbondanza di
beni temporali, come
quella ch'era rimasa di sì ricchissimi padre e madre.
Anche ebbe la necessitade
inducente, come quella che
conversava tutto dì infra servi suoi. Ebbe anche l'
età
giovinile; anche ebbe libertade di sé, però ch'ella era
rimasa sola e libera nel palazzo. Di queste
quattro cose
è detto disopra: "Caterina essendo di
XVIII anni, rimase
sola nel palazzo, pieno di ricchezze e di
fanti".
Ebbe anche
bellezza, onde è detto: "ch'ell'era
bella
molto, e parea maravigliosa a gli occhi di tutti da
incredibile
bellezza". Nel quinto luogo, nel
privilegio de
la
dignitade; alcuni speziali privilegi furono in alcuni
santi, quando
morìano, come fu il
visitamento di Cristo
a san Giovanni
vangelista;
uscimento d'olio in san
Niccolò;
spandimento di latte in san Paulo;
apparecchiamento
di sepolcro in san Clemente;
esaudimento di
petizioni in santa Margherita, quando ella oròe per
coloro
che
facessono memoria di lei. Tutte queste cose furono
insiememente in santa Caterina, come si manifesta ne
la Leggenda sua
apertamente.
cap. 169, S. Jacopo int.
Jacopo martire, detto interciso, nobile di
legnaggio, ma
più nobile de la fede, fu natìo de la provincia de la
Persia, de la
città
Elape. Questi nacque di
cristianissimi
parenti, ed ebbe moglie
cristianissima, ed era
cristianissimo,
e grandissimo
conto del re di Persia e 'l primo
tra suoi
baroni. Intervenne che per molto
amore ch'era
tra lui e 'l re, s'inchinava ad
adorare l'idoli. Udendo
ciò la madre e la moglie, gli mandarono una lettera
così
dicendo: "Vogliendo ubbidire a colui ch'è mortale,
hai
abbandonato colui ch'è vita; volendo piacere
a la
bellezza che tosto
dee
finire, hai
abbandonato il
sempiterno odore, hai
cambiato il vero a la
bugia; ubbidendo
al
moritoio, hai lasciato il giudice de'
vivi e
de' morti; or sappi da noi, che noi da quinci innanzi
non ti vogliamo né vedere, né udire, né
dimorare più
con teco". Quando Jacopo ebbe lette queste lettere,
incominciò a piagnere
amaramente, e
diceva: "Se la
mia madre che mi ingenerò, e la mia moglie, sono
stranie da me, quanto
maggiormente è fatto
stranio
il
Domenedio mio!" Essendosi dunque molto
afflitto
per l'
errore suo, un messo venne al prencipe, e disse
Jacopo era
cristiano. Allora il prencipe il fece venire a
sé, e sì li disse: "Or mi
di',
se' tu Nazareno?"
E Jacopo disse: "
Madié sì, ch'io sono Nazareno".
Disse il prencipe: "Dunque
se' tu mago?" Rispuose
Jacopo: "Non voglia Dio ch'io sia mago". E
minacciandolo
il prencipe di molti tormenti, disse Jacopo:
"Non mi
conturbano le tue minacce, però che, come
vento che soffia sopra le pietra, il
furore tuo passa tosto
le mie orecchie". Allora disse il prencipe: "Non ti
portare così
isvergognatamente, acciò che tu perischi di
grave
morte". Rispuose Jacopo: "Questa cotale non
è da
dire morte, ma piuttosto è da chiamare sonno,
con ciò sia cosa che poi vegna la resurressione". E
'l principe disse: "Non t'ingannino i
Nazareni
dicendo
che la
morte sia sonno, imperò che i grandi imperadori
la temono". Rispuose Jacopo: "Noi non temiamo la
morte, però che noi abbiamo speranza di passare da
morte a vita". Allora il prencipe di
consiglio de gli
amici
diede questa sentenzia sopra sa' Jacopo, ch'a
spaventare gli altri fosse punito tagliato a
membro a
membro. E piagnendo alcuni per
compassione sopra lui,
egli disse: "Non piagnete sopra me, ma sopra voi medesimi,
però ch'io me ne vo a vita, e voi siete
degni di
fuoco
eternale". Allora i giustizieri gli tagliarono il
dito grosso de la mano ritta, e sa' Jacopo gridò e disse:
"O liberatore Nazareno, ricevi il ramo de l'
albore de la
misericordia tua, però che dal lavoratore de la vigna è
tagliato il
sermento de la vite, acciò che
faccia più
frutto e sia
coronato più
abbondevolemente". E 'l giustiziere
disse: "Se tu vuogli
consentire, ancora ti perdono
e
darotti la medicina". E sa' Jacopo gli rispuose:
"Non hai tu veduto il
pedalo de la vite? Ché quando
si tagliano i
sermenti, quel
nodo che rimane, nel suo
tempo, quando la terra
comincia a riscaldare, ad ogne
tagliatura rimette; con ciò dunque sia cosa che la vite
si
poti al suo tempo acciò che rimetta, quanto
maggiormente
il
fedele uomo ch'è
congiunto ne la vera vite
Jesù Cristo!" Allora venne il giustiziere e tagliòe il
secondo
dito; e sa' Jacopo disse: "Ricevi, Signore mio,
i
due rami che piantòe la tua mano
diritta!" E quelli
tagliò il terzo
dito; e sa' Jacopo disse: "Signor mio,
or da ch'io son liberato da le tre tentazioni,
benedicerò
il Padre e 'l Figliuolo e lo Spirito Santo e, con i tre
fanciulli liberati de la
fornace del
fuoco,
confesserò te,
Signore, e nel
coro de' martiri
canterò al nome tuo,
Cristo". Fu tagliato il quarto
dito; e sa' Jacopo disse:
"
Difenditore de' figliuoli d'Israel, il quale
fosti pronunziato
ne la quarta
benedizione, ricevi dal servo tuo
la
confessione dal quarto
dito; sì come in Giuda benedetto".
Tagliato che fu il quinto
dito, disse: "Or
è
compiuta l'
allegrezza mia". Allora li giustizieri li
dissero: "Or perdona a la vita tua, acciò che tu non
perischi, e non ti
contristare se tu hai perduto l'una
mano, però che molti ne sono che hanno pure una mano
e
abbondano di ricchezze e d'onori". E sa' Jacopo disse:
"Quando i pastori
cominciano a tondere le pecore, non
le tondono mai dal lato ritto e lasciano il manco; se
dunque la pecora, ch'è un
animale
bruto, vuole perdere
tutta la lana, quanto
maggiormente io, che sono uomo
ragionevole, non mi
disdegnerò d'essere morto per Cristo?"
Allora
andarono i servi a la mano manca e tagliarono
il
dito mignolo; e sa' Jacopo disse: "Tu,
Signore, che
se' grande,
volestiti fare per noi mignolo e
piccolo, e però ti rendo il
corpo e l'
anima che tu
criasti
e ricomperasti del tuo propio sangue". Fu tagliato il
settimo
dito; ed elli disse: "
Sette volte il
die ho lodato
te, Signore". Fu tagliato l'ottavo; e disse: "L'ottavo
die fu
circonciso
Jesù, l'ottavo
die è
circunciso l'
ebreo,
acciò che passi a l'osservanze de la legge e la
mente
del servo tuo, messere, passi di questi non
circuncisi
e che hanno la
carne sozza, acciò ch'io vegna a vedere
la tua
faccia, Signore mio!" Fu tagliato il nono
dito;
e disse: "A l'ora nona rendéo Cristo lo spirito, onde e
io, o Signore, nel
dolore del nono
dito ti
confesso e rendo
grazie". Fu tagliato il
decimo; e disse: "Il
decimo
numero è ne'
comandamenti, e
Jota è 'l primo nome di
Jesù Cristo". Allora alcuno di quelli ch'erano presenti
dissero: "O
dilettissimo di qua 'ndrieto di noi,
confessa
solamente dinanzi al prencipe, acciò che
possi
vivere
e,
avvegnadio che sieno tagliate le mani tue, impertanto
e' ci ha savi medici che possono sovvenire a'
dolori
tuoi". A i quali sa' Jacopo disse: "Sia da me di lungi
la vostra maledetta
lusinga, per ciò che neuno, mettendo
mano a l'
aratro e pognendosi
mente dietro, è
acconcio
al reame di Dio". Allora i giustizieri indegnati
andarono
a tagliare il
dito grosso del piede ritto; e sa' Jacopo
disse: "Il pie' di Cristo fu
forato e
uscinne il sangue".
Fu tagliato il secondo
dito del pie'; e disse: "Grande è
a me questo dì, e sopra tutti i dì; oggi me n'
anderò
io
convertito a la
fonte
viva". Fu tagliato il terzo
dito
e gittatoli innanzi; e sorridendo sa' Jacopo disse: "
Vattene,
terzo
dito, a i
compagni tuoi, e come il
granello del
grano
apporta molto
frutto, così tu ti riposerai nel sezzaio
die!" Fu tagliato il quarto
dito; e disse: "Perché
se' trista,
anima mia? E perché mi
conturbi? Spera in
Dio, imperò che ancora
confesserò a Lui, salvamento del
volto mio e Dio mio". Fu tagliato il quinto
dito; e disse:
"Or
comincio io a
dire al Signore ched e' m'ha
fatto
degno
compagnone a i servi suoi". Allora
andarono
al pie' manco, e tagliarono il
dito piccolo. Disse sa'
Jacopo: "
Dito piccolo, or ti
conforta, però che 'l grande
e 'l piccolo hanno una resurressione; non
periràe un
capello del capo quanto maggioremente tu, menimo, non
sarai sceverato da i
compagni tuoi?" Fu tagliato il
secondo; e sa' Jacopo disse: "
Disfate la
casa vecchia,
però che una più
nuova m'è
apparecchiata". Fu tagliato
il terzo; e disse: "La
'ncudine
diventa più rifermata
per le percosse". Fu tagliato il quarto; e disse:
"
Confortami, Dio di veritade, però che in te si
confida
l'
anima mia e ne l'ombra de le tue
ale
avrò speranza
insino a tanto che passi la niquitade". Fu tagliato il
quinto; e disse: "Ecco me, Signore, venti volte ti sono
sagrificato". Allora
andarono e tagliarono il pie' ritto;
e disse sa' Jacopo: "Ora
offerabbo
dono al
celestiale
re, per lo cui
amore io
patisco queste cose". Fu tagliato
il pie' manco; e sa' Jacopo disse: "Or non
se'
tu il
Domenedio che
fai le maravigliose cose?
Esaudisci
me, Signore, e salvami". Tagliarono anche la mano
ritta; e disse: "Signore, le tue misericordie m'
aiutino!"
Tagliarono la manca; e disse: "Tu
se'
Domenedio, che
fai le maravigliose cose".
Aggiunsero di tagliare il
braccio ritto; e disse: "
Anima mia, loda il Signore. Io
loderò il Signore ne la vita mia, e
canterò a
Domenedio
mio mentre che io sarò". Tagliarono anche il
braccio
manco; e disse: "
Dolori di
morte m'hanno
attorniato,
e nel nome del Signore mi
vendicherò di loro". Allora
tagliarono il
troncone de la gamba ritta,
fendendola infino
al pettignone. Allora sa' Jacopo disse, gravato di
dolore
da non potere
dire,
e gridò: "Signore Gesù Cristo,
aiutami, ché m'hanno
attorneato i
dolori di
morte". E
disse a' giustizieri: "Di
carne
novella mi vestirà il
Signore, lo quale le nostre piaghe non potranno
macolare".
Già erano venuti meno i giustizieri, però che
da la prima ora del dì e infino a la nona erano sudati
nel loro tagliare. Allora
andarono e tagliarono il
brodone
de la gamba manca, tirandola fuori insino al pettignone.
Allora gridò sa' Jacopo e disse: "Signore, Signore,
esaudisci me, mezzo vivo e mezzo morto; tu che
se'
signore de'
vivi e de' morti, messere, io non abbo
dita
ch'io ti porga, né mani ch'io ti
distenda a te; i piedi
miei sono mozzi e le ginocchia mi sono rose, che non
mi ti
posso inginocchiare, e sono come la
casa ch'è in
sul
cadere, da che ha perdute le
colonne ond'ella è
sostenuta;
esaudisci me,
Jesù Cristo, e trai di
carcere
l'
anima mia". Quando ebbe detto queste cose, uno de'
giustizieri
s'avvicinò e gli tagliò il capo. Sì che i
cristiani
andarono
occultamente e seppellirono il
corpo suo
con grande onore. E fu martirizzato a dì
XXV di Novembre.
cap. 170, S. PastorePastore stette ne l'
eremo molti
anni in grande
astinenzia
affliggendo sé, e
risplendeva di molta
santitade
e religione.
Desiderandolo di vedere la madre, lui e ' frati
suoi, e non potendo, puose guardia un
die, e
andando
loro a la chiesa, ella si
paròe loro dinanzi.
Coloro
cominciarono
a
fuggire ed
entrare ne le
celle loro, e
serravale
catuno l'uscio dinanzi. Quella, stando dinanzi a
l'uscio del suo figliuolo, gridava con grande pianto, e
Pastore stava dentro e gridava a lei così
dicendo:
"Perché gridi tu così, vecchia?" Quella, udendo la
voce, gridava più
forte piagnendo e
dicendo: "Io vi
voglio vedere, figliuolo mio. Or che fa voi, perché io vi
veggia? Or non son io la madre vostra che vi lattai,
e già sono tutta
incanunita?" E 'l figliuolo le rispose:
"Vuo'ci tu vedere qui o ne l'altra vita?" E quella
disse: "S'io non vi vedrò qui,
vedrovvi io
colà, figliuolo
mio". E quelli disse: "Se tu puoi
sostenere in pace
che tu non ci veggi qui, sanza
dubbio l'
abbi che tu ci
vedrai là". Quella si partì
allegra, e
andava
dicendo:
"S'io vi
debbo vedere
colà, non vi voglio vedere qui".
Il giudice de la provincia,
disiderando di vedere l'
abbate
Pastore, ma non potendo, fece prendere il figliuolo
de la
serocchia come fosse malfattore, e misselo in
pregione, così
dicendo: "Se Pastore ci verrà e
pregherammi
per lui, io 'l lascerò andare". Sì che la madre
del garzone se n'andò a la
cella de l'
abbate Pastore,
e piagnendo ivi, di fuori sedea; e non
rispondendole
quegli neente, ella disse: "De! or se tu hai
cuor di
ferro, che non ti muovi a veruna
compassione,
almeno
la misericordia del Signore tuo d'inchini di ciò ch'elli
è a me un solo figliuolo". E elli le mandò a
dire così:
"Pastore non ingenerò figliuolo". Quella partendosi
con
dolore, il giudice le disse: "
Almeno con la
parola
comandi, ed io il lascerò". E 'l Pastore le rimandò
così a
dire: "
Disamina il pianto, come
dicono
le
leggi; s'egli è
degno di
morte, muoia tosto, e se no,
fa che ti piace". A' frati
dava questi
ammaestramenti:
"Di guardarsi di non
considerare se medesimo e d'avere
discrezione sono operazioni de l'
anima; la
povertà,
la tribolazione e la
discrezione sono operazioni di
vita solitaria. Però ch'egli è scritto: "Se fossero questi
tre uomini,
Noè,
Giob e
Daniel"; per
Noè s'intendono
coloro che sono poveri, per
Giob i tribulati, per
Daniello
i
discreti. Se 'l monaco
avrà in odio
due cose, potrà
essere libero da questo
mondo".
Dimandandolo un
frate
quali fossero quelle, disse ch'era il
riposo de la
carne
e la vanagloria: "Se vuogli trovare
riposo in questo
mondo e ne l'altro che
dee venire, in ogni cosa
dirai:
"Chi sono io?" E: "Non giudicare nessuno".
Avendo
fallato alcuno
frate de la
congregazione, l'
abbate
per
consiglio d'uno solitario sì 'l
cacciò via. Il
quale
disperandosi quasi piangendo, l'
abbate Pastore il
si fece menare dinanzi e,
racconsolandolo
benignamente,
mandò a quello solitario, così
dicendo: "A quel ch'io
odo di te, io ho voglia di vedere te;
affaticati dunque
di venire insino a me". Quando fu venuto, disse l'
abbate
Pastore: "
Due uomini erano ch'avea
catuno suo
morto; or venne che l'uno lasciò stare il morto suo
e andò a piagnere il morto de l'altro". Udendo ciò il
solitario, e intendendo quelli perch'elli il
diceva, a le
parole di costui fue
contrito.
Avendo detto un
frate a
l'
abbate Pastore com'egli era
conturbato e volea
abbandonare
il luogo, per ciò ch'avea udito parole d'alcuno
frate che non l'aveano
edificato, l'
abbate Pastore
li disse che no 'l
credesse, però che non era vero; ma
quegli pure
affermava che vero era, però che un
fedele
frate gliel'avea detto. Disse l'
abbate: "
Fedele non è
egli che l'ha detto; ché s'elli fosse
fedele, non troverebbe
unque cotali cose". E quelli disse: "Io il
viddi con gli occhi miei". Allora
dimandato de la
festuca
e de la
trave quel che
fosseno, rispuose: "La
festuca è
festuca e la
trave è trave". Disse l'
abbate
Pastore: "Or poni nel
cuore tuo che i peccati tuoi
sieno come questa
trave, e quelli di colui sieno come
questa
festuca".
Alcuno
frate avea fatto alcuno grande peccato, e
volendone fare penitenzia tre
anni,
domandòe l'
abbate
Pastore se molto fosse. E quelli disse: "Molto è". E
domandato se ne
desse un
anno, rispuose: "Molto è".
Quelli ch'erano presenti
diceano insino a
XL die. Rispuose:
"Molto è". E disse ancora: "Io mi
credo
che se l'uomo si
pente del peccato suo con tutto il
cuore e non lo vorrà
ricommettere, che se
farà tre
dì penitenzia, il Signore l'
accetterà".
Dimandato di
quella parola: "Chi s'
adira al prossimo suo sanza cagione"
quello che ne gliene paresse, rispuose: "D'ogne
cosa per la quale ti vorrà gravare il prossimo tuo, non
t'
adirare tu contra di lui, insino a tanto ch'elli ti
tragga l'occhio ritto; e se tu
farai
altrementi, sanza
cagione t'
adirrai contra di lui;
ma se alcuno ti voglia
separare da Dio, adirati per questo contra di lui".
Disse ancora l'
abbate Pastore: "Chi è rammaricoso,
non è monaco;
chi conserva la malizia nel suo cuore,
non è monaco; chi è iracondo, non è monaco; chi rende
male per male, non è monaco;
chi è gonfio e chiaccherone,
non è monaco, ma chi è
veramente monaco,
sempre è umile e mansueto e pieno di
carità, e 'l timore
di Dio hae sempre in ogni luogo, acciò che non pecchi".
Disse ancora che se saranno tre insieme, de' quali l'uno
si riposi bene e l'altro sia infermo e renda grazie a
Dio, e 'l terzo sia servigiale di
buono volere, questi tre
son pari come d'una operazione.
Rammaricandosi un
frate che di molti pensieri che
avea vi
pericolava entro, l'
abbate Pastore il
cacciò fuori
a l'
aria scoperta, così
dicendo: "
Ispandi il
seno e
piglia il vento". E quegli disse: "Non
posso". Rispuose
l'
abbate: "Così non puoi tu tenere i pensieri
che non vegnano, ma a te si
confà di
contrastare ad
essi".
Dimandato da un
frate quello che dovesse fare
d'un retaggio lasciato a lui,
rispuosegli che tornasse a
lui dopo il terzo dì. Quando tornò, sì gli disse: "S'io
dirabbo che tu il
dea a la Chiesa, sì ne
faranno i
cherici
conviti;
s'io ti dico che tu il dea a' tuoi, non
n'avrai ricompensa; s'io ti
dico che tu il
dea a' poveri,
sarai
sicuro. Fa dunque ciò che ti piace, io non ho
piato veruno". Queste cose sono scritte in Vita Patri.
cap. 171, S. Giovanni ab.
Giovanni
abbate, essendo
abitato
XL anni ne l'
ermo
in
Episio, fu
domandato una volta quanto fosse megliorato.
E quelli disse: "Da poi ch'io
cominciai ad essere
solitario, non mi vidde giammai il sole
manicare".
Rispuose
Joanni: "Né me vidde
adirare". Quasi simigliante
leggesi anche che,
dando il vescovo
Epifanio
mangiare de la
carne a l'
abbate
Ilarione, quegli disse:
"
Perdonami che poi ch'io
presi questo
abito non
mangia'
mai di cosa uccisa". E 'l vescovo gli disse: "E poi
ch'io
presi questo, non lasciai
dormire persona la quale
avesse nulla contra di me, né non
dormii io, abbiendo
veruna cosa contra alcuno". E quelli disse: "
Perdonami,
ché tu
se' migliore di me".
Vogliendo a
simi
litudine de li
angeli non operare
nulla, ma intendere solamente a Dio, sanza
tramezzamento
ispogliossi e fece una
edima ne l'
ermo. Sì che
morendo lui quasi di
fame, ed essendo piagato tutto da
le punture de le
mosche e de le vespe, ritornando a
l'uscio del
fratello suo,
bussòe, e quelli disse: "Chi
se' tu?" Rispuose costui: "Io sono Giovanni". E 'l
fratello gli disse: "Non è vero, imperò che Giovanni
è
diventato
angelo, e none istà più tra gli uomini". E
que' rispuose: "Al vero io sono esso". Quelli non gli
aperse, ma
lasciollo
affliggere insino a la mattina. Poscia
gli
aperse l'uscio, e disse: "Se tu
se' uomo, uopo
ti fa di lavorare per pascere e per
vivere; ma se tu
se'
angelo perché
domandi d'
entrare in
cella?" E quelli
disse: "
Perdonami,
frate, ch'i' ho peccato". Quando
venne al morire,
pregarolo i frati che lasciasse loro
alcuna
buona parola
brieve in luogo di retaggio. Quegli
incominciò a piagnere e disse: "Giammai non
feci la
mia propia
volontade, né non insegnai fare quello altrui,
ch'io
nol
facessi prima per me".
Queste cose sono
iscritte in Vita Patri.
cap. 172, S. Mosè ab.
Moisé
abbate disse ad un
frate, che
domandava d'udire
predica da lui: "Siedi nella
cella tua, e ella t'insegnerà
ogne cosa".
Volendo un vecchio infermato andare ne l'
Egitto per
non gravare troppo i frati, disse a lui l'
abbate
Moisé:
"Non andare, ché tu
cadrai in
fornicazione". Allora
quegli
contristato disse: "Egli è morto il
corpo mio, e
tu mi
di' queste cose?" E da che fu
andato, una vergine
gli servìo per
divozione, e quando fu migliorato, sì la
spulcellòe. La quale quando ebbe parturito il figliuolo,
il vecchio tolse quello
fanciullo in
braccio, e con esso
entròe ne la chiesa la quale era in
Sistia, ne la quale era il
die de
la gran
festa, con
moltitudine di frati. E piagnendo tutti,
elli disse: "Vedete voi questo
fanciullo? Egli è figliuolo
di non obbidienza; or vi guardate, frati, però ch'io lo
'ngenerai in mia
vecchitudine, e
pregate il Signore per
me". Poi ritornò a la
cella, e stavasi come di prima.
Un altro vecchio quando gli ebbe detto: "Io sono
morto", quelli disse: "Non ti
fidare da te medesimo,
mentre che tu
se' fuori del
corpo, ché se tu
di' che tu
sie morto, il
diavolo non è morto".
Avendo peccato un
frate,
mandandolo a
dire a l'
abbate
Moisé, quelli tolse una sporta piena di
rena e
venne a loro; e
domandandolo i frati che ciò fosse,
disse: "I peccati miei mi
corrono dietro e non li veggio,
e sono venuto oggi a giudicare i peccati altrui".
Coloro, udendo ciò, perdonarono al
frate. Il simigliante
si legge de l'
abbate Priore; ché, parlando i frati d'alcuno
frate
colpevole, elli taceva. Sì che quando ebbe
tolto un
sacchetto pieno di
rena dietro, e portavane un
poco dinanzi,
domandato elli che ciò fosse,
disse: "La
molta rena sono i peccati miei, ch'io porto di dietro, né
non gli riguardo, né non me ne
doglio; ma la
poca rena
sono i peccati del prossimo, posti dinanzi da me, i quali
sempre riguardo, e lui giudico, con ciò sia cosa ch'io
dovrei sapere portare i peccati miei dinanzi da me e pensare
di quelli e
pregare
Domenedio". Con ciò sia cosa
che l'
abbate
Moisé fosse fatto
cherico, quando il vescovo
gli puose la stola sopra l'omero, sì li disse: "
Frate
abbate,
tu
se' imbiancato". Ed elli rispuose: "Di fuori
o dentro, messere lo vescovo?" E volendo il vescovo
provare, disse a'
cherici suoi che quand'elli
andasse a
l'
altare sì 'l
cacciassero con ingiuria, poi gli tenessero
dietro per udire quello ch'elli
andasse
dicendo. Sì che
cacciandolo fuori de la chiesa, gli
diceano: "
Esci fuori,
saracino!" Quegli uscendo fuori
dicea: "
Ben t'hanno
fatto i
cineriti e
paiolai, ché, da che tu non
eri
da
apparire tra loro, perché
fosti ardito di stare nel mezzo
de gli uomini? Questo è scritto in Vita Patri.
cap. 173, S. Arsenio
Arsenio, stando nel palazzo suo, pregò
Domenedio che
'l
dirizzasse a vita di salute. Allora udì una
voce che
li disse: "
Arsenio,
fuggi gli uomini, e sarai salvato".
Sì che prese l'
abito monacile; e stando in quello e
orando, udì un'altra
boce, e disse: "
Arsenio,
fuggi,
e taci e posati". E
leggesi quivi di questo
riposo da
disiderare, ché, essendo tre
fratelli
carnali
fatti monaci,
l'uno prese a volere
pacificare i
discordanti e 'l secondo
a vicitare l'infermi e
'l terzo a riposare in
solitudine.
Il primo s'
affaticava per le
brighe de gli uomini,
e non potea piacere loro; onde gli venne un
tedio e
vennesene al secondo, lo quale trovò quasi venuto meno
ne l'
animo, e non potea
compiere il
comandamento. E
abendue
concordevolemente se ne vennero al terzo che
era in
solitudine; al quale, poi ch'
ebbero
contato le tribulazioni
loro, quelli prese de l'
acqua e misse in uno
grande nappo e disse a
coloro: "Ponete
mente in questa
acqua". Quella era
commossa e torbida. Stette
un poco, e disse anche a loro: "Or vi mirate entro,
ch'ella è ora riposata e fatta
chiara". E
coloro mirandovi
entro e vedendo le
facce loro, disse a loro: "Così
è di colui che sta nel mezzo de gli uomini, che per la
molta turba non vede i peccati suoi; ma quando fia riposato,
allora potrà vedere i peccati suoi". Un altro
uomo, trovando uno ne l'
ermo che mangiava
erbe come
fosse
bestia e
ignudanato, incominciogli a
correre dietro;
però che
fuggìa e, non
potendolo giugnere, sì li disse:
"
Aspettami, inperò ch'io ti seguirò per Dio". E quegli
rispuose: "E io ti
fuggo per Dio". Allora quelli
prese il vestimento e gittogliele; e quegli che
fuggìa
l'
aspettò, e disse: "Però che tu hai gittato da te la
materia del
mondo, sì t'hoe
aspettato". E quelli disse:
"
Dimmi com'io mi possa salvare". Quelli rispuose:
"
Fuggi gli uomini e taci".
Una gentildonna e vecchia venne per
divozione a
vedere l'
abbate
Arsenio; il quale, essendo
pregato da
l'
arcivescovo
Teofilo, che le si lasciasse vedere, in
neuno modo la
consentìo. Allora quella se n'
andòe a la
cella di colui, e
trovollo fuori dinanzi a l'uscio de la
cella, e gittollisi a' piedi. E quelli con grande indegnazione
la levò ritta, e disse: "Se tu mi vuogli vedere,
or mi vedi". Quella per vergogna non gli guatò nel
volto. E 'l vecchio le disse: "Come è suto ciò che,
essendo te femmina, hai avuto tanto
ardimento d'andare
vagando? Ed
ecco che tornerai a Roma, e
dirai a
l'altre
femmine come tu
avrai veduto l'
abbate
Arsenio,
e quelle trarranno a vedermi". Ed ella rispuose: "Se
per
bontà di Dio io torno a Roma, non
ce ne lascerò venire
veruna; ma
almeno ti
priego che tu
prieghi Iddio
per me e sempre ti
raccordi di me". E que' le disse:
"Io
priego Dio che mi ti lievi di
mente". E quella
udendo questo fue molto turbata e, venendo a la
città,
cominciolle a venire la
febbre per la
tristizia. Udendo
ciò l'
arcivescovo, venne per
consolarla; ma quella
dicea:
"
Ecco ch'io
morrabbo
contristata". E l'
arcivescovo
le disse: "Non sa' tu che tu
se' femmina, e 'l nemico
per le
femmine
combatte i santi uomini? E però ti disse
elli così che per l'
anima tua ne
priega elli
Domenedio".
E così quella ricevette
consolazione, e tornò a
casa sua con
allegrezza.
D'un altro santo Padre si legge che,
dicendoli il
discepolo
suo: "Tu
se' invecchiato, Padre,
andiamo un
poco presso al
mondo", quelli disse: "Dove non è
femmina, là
andiamo". Disse a lui il
discepolo: "E
dov'è il luogo dove non abbia
femmina, se non forse
il
diserto?" E quelli rispuose: "Adunque me ne porta
nel
diserto".
Un altro
frate
dobbiendo valicare una sua madre vecchia
di là dal
fiume, elli si
fasciò le mani col mantello.
Quella disse: "Or perché t'hai tu
fasciato così le mani,
figliuolo mio?" E quelli le rispuose: "Il
corpo de la
femmina è come
fuoco, e da ch'io t'
avessi toccato,
mi sarebbe ricordato de l'altre
femmine".
Arsenio per tutto il tempo de la vita sua, sedendo al
lavorio de le sue mani, tenea un panno in
seno per le
lagrime che li usciano spesso de gli occhi suoi. E tutta
la notte menava sanza sonno, e la mattina vogliendo
dormire per
lassezza de la natura,
diceva al sonno:
"Vienne mal servo". E prendea un poco del sonno
seggendo, e tosto si levava, e
dicea: "
Basta al monaco
dormire una ora s'egli è
combattitore". Vegnendo a
morte il padre di santo
Arsenio, nobilissimo senatore,
fece testamento per lo quale lasciòe ad
Arsenio grande
retaggio. E
Magistriano recò il detto testamento ad
Arsenio,
ed elli togliendolo il volse
istracciare. Allora
Magistriano
li si gettò a' piedi
pregandolo che non lo facesse,
perché gli sarebbe tagliato il capo. Al quale
Arsenio
disse: "Prima morìo io di lui; ora, da ch'egli è morto,
perché mi fa egli
ereda?"
Rendelli il testamento e non
ne volse nulla.
Una volta gli venne una
voce da
cielo, e disse:
"Vieni, e
mosterotti l'opere de gli uomini". E
menollo
in uno luogo, e
mostrogli uno saracino che tagliava
legna e facea una gran soma, la quale portare non potea.
Poscia tagliava anche legna, e
arrogeva la soma, e
questo facea lungo tempo.
Mostrolli da l'altra parte un
uomo che traeva
acqua d'un lago, e mettevala in una
citerna
pertusciata, la quale rimettea l'
acqua nel lago,
e quelli volea
empiere la
citerna. Anche gli mostrò un
tempio e
due uomini che portavano in su'
cavalli un
grande legno a traverso, e vogliendo
entrare nel tempio
non potevano, però che portavano il legno a traverso.
E
spianòe le simiglianze così
dicendo: "Questi sono
quegli che portano quasi il legno de la giustizia con
superbia e non si umiliano, per la qualcosa rimagnono
fuori del regno di Dio. Quelli che taglia la legna è l'uomo
ch' è ne' molti peccati, e per quello che
faccia penitenzia,
non si sottrae da' peccati, ma
aggiugne peccati
a peccati. Quegli che trae l'
acqua è l'uomo che fa
buone opere, ma però che le rie opere sono mischiate
con quelle, sì perde l'opere sue". Nel vespro del sabato
vegnente la
domenica
lasciavasi dietro il sole, e
stendea le mani sue al
cielo infino a tanto che la
domenica
mattina vegnente, levandosi il sole,
alluminava
la
faccia sua, e così si stava. Questo è scritto in Vita
Patri.
cap. 174, S. Agatone
Agatone,
abbate per tre
anni, tenne la pietra in bocca
insino a tanto ch'elli
apprendesse a tacere. Un altro
frate, essendo
entrato ne la
congregazione, disse fra se
stesso: "Tu e l'
asino sii una cosa; ché come l'
asino
è battuto e non parla,
patisce ingiuria e non risponde,
così
fa' tu". Un altro
frate,
cacciato da mensa, non
rispuose nulla; poi
domandato sopra ciò, e' disse: "Io
mi sono posto in
cuore d'essere
iguale al
cane che,
quando egli è
cacciato, se n'
esce fuori".
Domandato
Agatone quale vertude fosse di più
fatica, rispuose:
"Io mi penso che non è tal
fatica come l'orare Dio,
però che i nimici sempre si
brigano di rompere l'orazione.
Ne l'altre
fatiche l'uomo possiede alcuno
riposo,
ma l'orazione hae opera di grande
battaglia".
Domandato
Agatone da uno
frate, come dovesse
abitare co'
frati, rispuose: "
Fa' come il primaio dì, e non prendere
fidanza troppa; non è veruno male come la troppa
fidanza;
ella è madre di tutte le passioni". Disse
Agatone
anche: "L'
adiroso, se
suscitasse morti, non piace
ad alcuno né a Dio per l'
ira sua". Un
frate
adiroso
disse fra se stesso: "S'io
abitassi solanato, io non
mi moverei a
ira così tosto". Un
die
empiendo l'
orciuolo
d'
acqua, sì si
rovesciò; la seconda volta
empiéo,
e
rivesciossi; allora commosso da l'
ira pre
se l'
orciuolo,
e
fiaccollo. E ritornato in se medesimo
conobbe
come era tentato da quello medesimo
demonio da l'
ira,
e disse: "
Ecco che sono solo e hommi lasciato vincere
a l'
ira.
Ritornerommi dunque ne la
congregazione,
però che in ogne luogo ci è
bisogno la
pazienzia e l'
aiuto
di Dio, da che in ogne luogo è
fatica". Il
contrario
avvenne di
due frati, i quali,
conversando insieme per
molti
anni, non si poteano giammai
adirare. Una volta
disse l'uno a l'altro: "Abbiamo
briga insieme, come
hanno gli uomini del
mondo". Rispuose l'altro: "Io
non so come la
briga nasce". Disse quel
frate: "Poni
tra te e me uno
mattoncello, e io
dirò: "Mio è"; tu
dirai: "Anzi è mio", e quindi nascerà la
briga. Sì che
fu posto il mattone in mezzo, e disse l'uno: "Egli è
mio". Disse l'altro: "None, anzi è mio". Rispuose
il primo: "Ed elli sia tuo, tolliti e va con Dio". Partironsi
insieme e non poterono
contendere.
Ed era
Agatone savio ad intendere, sollicito a lavorare,
temperato nel mangiare e nel vestimento; e
diceva:
"Io non
dormìo mai a mio senno, ritegnendo nel
cuore
mio alcuna cosa di
doglienza contra alcuno, né non ho
lasciato
dormire persona ch'
avesse alcuna cosa contra
di me". Vegnendo a la
morte,
Agatone
tre dì stette
fermo, tenendo gli occhi
aperti. Il quale, essendo
puntecchiato
da i frati, disse: "Io sto dinanzi a la sentenzia
di Dio". E i frati
dissero: "E temi tu?"
Quelli rispuose: "In guardare li
comandamenti di Dio
m'
affaticai quantunque potei; ma io sono uomo e non
so se l'opere mie sono piaciute a Dio".
Dissero
coloro:
"Non ti
confidi tu de le opere tue
che sono
secondo Dio?" Quelli rispuose: "Non
prosumo nulla
mentre ch'io non sarò venuto dinanzi a lui; altrimenti
son
fatti i giudicii di Dio, e altrimenti quegli de gli
uomini". E volendo i frati ancora
domandare, sì disse:
"Mostrate la
caritade, e non mi parlate, ch'io sono
occupato".
Detta la parola, incontanente rendé l'
anima
a Dio. E
vedeanlo
raccogliere lo spirare, come fa l'uomo
che saluta i suoi
cari
amici. Questo è scritto in Vita
Patri.
cap. 175, Ss. Barlaam e Josafat
Barlaam, la cui storia
compuose san Giovanni
Damasceno
con
diligente
studio, operando in lui la
divina
grazia,
convertìo a la fede santo
Josafat re. Essendo
tutta la provincia d'
India piena di
cristiani e di monaci,
levossi un molto potente re, che avea nome
Auennir,
il quale perseguitava molto gli
cristiani e
massimamente
gli monaci. Or
avvenne che uno
amico del re, il
più innanzi nel suo palazzo, commosso da la
divina
grazia, prese
abito
monachile, e lasciò la
corte del re.
La qualcosa il re udendo, per la molta
ira quasi
diventò
pazzo, e
facevane
cercare per ogni
diserto e,
avendolo
a gran pena trovato,
fecelo menare a sé; e
veggendolo
coperto d'una vile tonica e
dimagrato per la
fame,
colui che solea andare ornato di splendienti vestiri e
abbondare di molte ricchezze, sì li disse: "O stolto e
perduto de la
mente, perché hai tu
cambiato onore e
vituperio, e hai fatto di te un giuoco da
fanciullo?"
E quelli disse: "Se tu
disideri d'udirne la ragione
da me,
caccia i nimici tuoi di lungi da te". E
dimandato
il re chi fossero questi nemici, quegli rispuose:
"La
ira e la
concupiscenza; queste impedimentiscono
che la verità non sia veduta; ma sii presente ad
udire le cose che sono da
dire la prudenzia e la
dirittura".
E 'l re disse: "Sia fatto quello che tu
di'".
E quelli disse: "Li matti
spregiano quelle cose che
sono come che se non
fossono, e sforzansi di prendere
quelle che non sono come se
fossono; ma chi non
assaggerà la
dolcezza de le cose che sono, non potrà
sapere la verità de le cose che non sono". E
dicendo
altre cose del misterio de la incarnazione e de la fede,
il re disse: "S'io non t'
avessi
promesso nel principio
di rimuovere la
ira del mezzo del
concilio, io ti
farei
ardere ora; or ti lieva, e
fuggi da gli occhi miei,
acciò ch'io non ti veggia più e
facciati guastare". Sì
che l'uomo di Dio si partìo triste, perché non avea
sostenuto martirio.
Infrattanto non abbiendo il re figliuoli,
nacquegliene
uno, e
puoseli nome
Josafat. E ragunando il re infinita
moltitudine di gente, acciò che
sacrificassero a li
dei per lo
fanciullo nato, fecesi venire
astrolagi, e
domandolli
diligentemente quello che dovesse essere del
figliuolo suo. E rispondendo tutti come
dovea essere
grande in
potenzia e in ricchezza, uno di loro, il più
savio, disse: "Questo
fanciullo che t'è nato, o re,
non sarà nel reame tuo, ma in altro maggiore sanza
comparazione, però ch'io mi penso che sarà seguitatore
de la fede
cristiana, la quale tu perseguiti".
Questo disse elli non da se medesimo; ma spirato da
Dio. Udendo questo il re, fu molto ispaventato, e fece
fare un
bello palagio da alcuno lato de la
cittade, sceverato,
e puosevi ad
abitare il
fanciullo, e con lui
allogòe
bellissimi giovani,
comandando loro che non gli
mentovassero né
morte, né vecchiezza, né infermità, né
povertà, né cosa che gli potesse recare
tristizia; ma
tutte cose d'
allegrezza gli ricordassero, acciò che la
sua
mente, occupata da letizia, niuna cosa potesse pensare
di quel che
dee venire. E se
avvenisse che alcuno
di quelli sergenti infermasse, incontanente
comanda il
re che quello cotale ne dovesse essere tratto fuori, e
rimesso un altro sano in luogo di colui, e
comandò
loro che non gli
mentovassero nulla di Cristo.
In quello tempo era col re uno uomo
cristianissimo,
ma
celato, il quale tra i nobili principi era il primo.
Essendo costui
andato alcuna volta col re a
cacciare,
trovò un uomo povero che l'avea offeso la
bestia nel
piede, e giaceva in terra; e
pregollo che 'l dovesse
ricevere a sé, imperò che forse in alcuna cosa gli
potrebbe giovare. Al quale il
cavaliere disse: "Certo
io ti ricolgo volontieri, ma a che tu mi fossi utile, io
nol so". E quelli disse: "Io sono un medico di parole;
ché se alcuno è
danneggiato in parola, io gli
saprei
dare
convenente medicina". Il
cavaliere tenea
per nulla quello che quegli
diceva, ma non pertanto il
ricolse, ed ebbe
cura di lui. Alcuni uomini invidiosi e
maliziosi veggendo il detto prencipe essere in grazia
del re, sì l'
accusarono al re: che non solamente avea
inchinato l'
animo a la fede
cristiana, ma che si sforzava
di torregli lo reame,
sollicitando a ciò la turba e
conciando sé con loro. E
dissero: "Se tu, re,
disideri
di sapere queste cose se così stanno,
falti venire segretamente,
e
ricordali che questa vita
dee tosto
finire,
e però gli vuogli lasciare la gloria del reame, e che
tu vogli prendere l'
abito de' monaci, i quali da qui
adrieto hai perseguitati, e allora vedrai quello che ti
risponderà". E da che il re ebbe fatto ogne cosa come
coloro l'
avevano
confortato, quegli, non sappiendo la
malizia, bagnato tutto di
lagrime, disse che
buono e
santo proponimento era quello del re, e che 'l
mondo
era tutto vanità, e
consigliòe che lo dovesse tosto
adempiere. Il re udendo ciò, e
credendo che fosse vero
quello che
coloro aveano detto, fu ripieno d'
ira, ma
non gli rispuose nulla. L'uomo
avveggendosi che il re
avea preso
gravemente le parole sue, partissi con grande
tremore e,
ricordandosi d'avere
appo sé il medico di
parole,
contogli ogne cosa.
Al quale disse: "Siati
conto che
il re ha sospeccione che tu non gli abbia
detto perché tu gli vuogli
assalire il suo reame; or
ti muovi, e
fatti tondere i
capelli, e gitta via il vestimento
tuo, e vestiti di
cilicio, e
domattina per tempo
te ne va al re, e quando il re ti
domanderà quello che
ciò voglia
dire, tu risponderai:
Eccomi, re, io sono
apparecchiato di seguire te, e se la via per la quale
tu
disideri d'andare fosse malagevole, da ch'io sarò
teco, mi sia leggiere che, come tu m'hai avuto per
compagno ne la
prosperità, così m'
avrai teco ne l'
avversità;
or
eccomi apparecchiato; che
aspetti tu?"
Quando ebbe così fatto tutto per ordine, il re si
maravigliò
e, riprendendo i
falsatori, rimise costui in maggiore
onore che non era prima.
Nutricato dunque nel palazzo, il figliuolo del re venne
a l'
etade
cresciuto, e fu pienamente ammaestrato in
ogni sapienzia. E maravigliandosi perché il padre l'avea
così
rinchiuso, domandonne segretamente uno de' servi
suoi, il più
famigliare a sé, così
dicendo: che in molta
tristizia era posto, perché non gli era licito uscire fuori,
e intanto era tristo che né mangiare, né
bere non gli
sapea buono. Udendo ciò il padre, e
dogliendosene elli,
fece
apparecchiare i
cavalli, e fece sonare gli stormenti
dinanzi a lui, e
dinegòe con grande guardia che veruna
cosa sozza li si parasse innanzi. Sì che,
andando
il detto giovane in questo
cotal modo, una volta gli
venne scontrato in uno
cieco e in uno lebbroso. Quelli
veggendogli e maravigliandosi,
domandò che fosse e
quello ch'
avessono; e li sergenti
dissero: "Queste
sono passioni che vegnono a gli uomini". E quelli
disse: "Or sogliono
avvenire a tutti gli uomini?"
Coloro
dicendo che no, quelli rispuose: "Or sono
conosciuti
coloro che
debbiano avere queste passioni, o
vegnono così per
abbattimento?"
Coloro rispuosono:
"Qual de gli uomini può sapere le cose che
debbono
avvenire?" E così
cominciò ad
astare molto
angoscioso
per lo
disusamento di queste cose.
Un'altra volta trovòe un uomo molto vecchio ch'avea
tutta la
faccia
vizzosa, e
andava
chinato, e parlava
iscilinguando per li
denti che
cadeano.
Stupidito di ciò,
volle sapere la maraviglia di quello ch'avea veduto;
e da che ebbe saputo che per la
moltitudine de gli
anni
era pervenuto a cotale stato, disse: "Che fine sarà di
ciò?"
Coloro rispuosero: "La
morte". Quelli disse:
"La
morte di tutti, o d'
alquanti?" E quando ebbe saputo
che tutti
doveano morire,
domandò in quanti
anni
sopravvegnono
queste cose.
Coloro rispuosero: "In
LXXX
anni o in
cento
dura la vecchiezza, poscia ne viene
la
morte". Ripensando dunque spesse volte queste cose
nel
cuore suo, stava in molta sconsolazione, ma dinanzi
al padre mostrava letizia,
disiderando molto in così
fatte cose essere
dirizzato e ammaestrato. Sì che un
monaco di perfetta vita e
nominanza,
abitando nel
diserto de la terra
Sennaar, il quale avea nome
Barlaam,
cognobbe e seppe per ispirito quelle cose che si
facevano intorno al figliuolo del re e, prendendo
abito
di mercatante, venne a la
detta
città, e parlò al maestro
del figliuolo del re, e disse: "Io, con ciò sia cosa ch'io
sia mercatante, abbo una pietra preziosa a
vendere, la
quale rende il vedere a'
ciechi e l'udire a'
sordi e
'l parlare a'
mutoli e
dà savere a' non savi; sì che
io voglio che tu mi meni al figliuolo del re, e
darogliele".
E 'l maestro gli rispuose: "Tu mi
pari uno
uomo bene maturo di senno, ma le parole tue non si
concordano col senno; ma pertanto, con ciò sia cosa
ch'io m'intenda di
conoscere le pietre, ora la mi mostra,
e s'ella sia
approvata essere cotale come tu
di', tu
riceverai grandi onori dal figliuolo del re". E quelli
disse: "La mia pietra hae anche questa vertù: che
chi non ha sana la luce de gli occhi, e chi non tiene
interamente
castità, se per ventura vedesse la
detta
pietra, sì perderebbe quella vertù ch'egli ha del vedere;
onde perch'io m'intendo de l'
arte medicinale, veggio
che tu non hai gli occhi sani, ma del figliuolo del re
ho inteso ch'è
casto e ha gli occhi
bellissimi e sani".
E quelli disse: "S'egli è così, non la mi mostrare,
però che io non abbo gli occhi sani e ne le
dette cose
sono
bruttato". Sì che,
annunziando queste cose al
figliuolo del re, sì 'l misse tosto dentro a lui. E quando
fue
entrato e 'l re l'ebbe
reverentemente ricevuto,
Barlaam disse: "Bene hai fatto, re, che non ponesti
mente a la sozza
bassezza ch'
appare; però che
andando
un grande re in
carro d'oro e iscontrandosi in alcuni
vestiti di panni stracciati e uomini
magri, incontanente
scese del
carro, e subito gittandosi a' piedi loro, sì li
adoròe, e anche si levò ritto e
basciolli. Li
baroni suoi
recandosi queste cose a
disinore, ma temendosi di riprendere
il re,
dissero al
fratello come il re avea fatta
vergogna a la magnificenza reale, ma il
fratello del
re sì lo ne riprese.
Or avea questa usanza il re che, quando alcuno
dovea
essere giudicato a
morte, il re mandava il
banditore
dinanzi a la porta sua, e
sonava con la tromba
diputata
a ciò. Sì che vegnendo il vespro, fece sonare la
tromba dinanzi a la porta del
fratello; la quale udendo
e
disperandosi de la sua salute, in tutta quella notte
non
dormìo, e fece testamento. La mattina si vestìo di
bruno egli e la moglie e' figliuoli, e con grande pianto
se n'andò a la porta del palazzo. E 'l re lo fece
entrare
a sé, e
dissegli: "O stolto che tu
se'! or da che tu
hai temuto così il
banditore del
fratello tuo, al quale
sai bene che tu non hai offeso, come non
debbo io
temere i
banditori del Signore mio, nel quale io tant'ho
peccato, il quale mi fa sonare la tromba de la
morte
e
fammi
dinunziare il terribile
avvenimento del giudice?"
Poi
comandò che fossero fatte
quattro
casse, e
fece le
due
coprire di fuori d'oro da ogne lato, e
fecele
empiere d'ossa putride di morti; e l'altre
due fece
empiere di rose olorose, e fece chiamare quelli
baroni
che sapea ch'aveano posto il richiamo al
fratello; e
puose loro innanzi quelle
quattro
casse, e
domandò
quali fossero le più preziose.
Coloro giudicarono che le
dorate fossero di grande prezzo, e l'altre di vile
condizioni.
Allora
comandò il re che le
dorate fossero
aperte, e incontanente n'uscì fuori grande
fetore. E 'l
re disse: "A queste
due
casse sono simiglianti
coloro
i quali, vestiti di gloriosi vestimenti, e' son pieni dentro
d'ogne sozzura di peccati". Poi fece
aprire l'altre, e
uscinne un
mirabile odore. E 'l re disse: "E queste
sono
assimigliate a
coloro i quali io onorai; i quali
benché
sieno
coperti di
vili panni, dentro sono pieni d'ogne
odore di vertude. Ma voi
attendete solamente a le cose
di fuori, e non
considerate le cose dentro. Sì che al
modo che fece quel re, hai fatto bene tu che m'hai
ricevuto". Allora sì
cominciò
Barlaam a
farli una
lunga predica de la
criazione del
mondo e del peccato
del primo uomo, e de la incarnazione e passione e
resurressione del Figliuolo di Dio, e del
die giudicio, e
del guiderdonamento de' rei e de'
buoni. E disse molte
cose e in reprendere molto
coloro che servono a l'idole,
e puose un cotale
essemplo de la loro pazzia; e dice
così: "Uno saettatore, prendendo uno uccello c'ha
nome
usignuolo,
volendolo uccidere, fu
dato a l'
usignuolo
che parlasse, e disse: "Che ti gioverà,
buono uomo,
se tu m'uccidi? Tu non potrai riempiere di me il ventre
tuo, ma se tu mi
volessi lasciare
fuggire, io ti
darei
tre
ammonimenti, i quali se tu
diligentemente guardassi,
tu ne potresti ricevere grande
utilitade". Sì che quelli
stupidito al parlare de l'uccello,
promisse di lasciarlo
andare se li
dicesse questi
ammonimenti. E l'
usignuolo
disse: "La cosa che tu non puoi pigliare, non ti sforzare
mai di
pigliarla; de la cosa che non si può ricoverare,
non te ne
dolere giammai; parola che non sia
creditoia,
giammai non la
credere. Queste tre cose osserva,
e
avrai bene". Sì che l'
usignuolo volando per l'
aere,
sì li disse: "Guai a te, uomo, come mal
consiglio tu
hai avuto, e che grande
tesoro tu hai oggi perduto;
però ch'io abbo nel mio ventre una pietra preziosa,
ch'è più grande d'un uovo di
struzzolo!" Quegli udendo
ciò, fu molto contristato che l'avea lasciato
ire, e
sforzavasi di
ripigliarlo, così
dicendo: "Vieni in
casa
mia, e ogne
agevolezza ti
farò e onorevolemente ti
lascerò". E l'
usignuolo li disse: "Or
cognosco io che
tu
se' bene pazzo; ché di quello ch'io ti
dissi non hai
avuto veruno
prode; ché ti
dissi che tu non ti
dolesse
de la cosa perduta e che non si può ricoverare, e tu
ti
se' sforzato di riprendermi, che non puoi tenere il
viaggio mio; e anche
credesti ch'i' abbia una pietra
preziosa nel mio ventre così grande, che pure tutto
quanto me non sono grande come l'uovo de lo
struzzolo".
Così dunque è di
coloro che si
confidano ne gli
idoli, che
adorano quelli che sono
creati da sé e
chiamano
i lor guardiani che siano guardati da sé". E
cominciò
a
disputare contra la
fallace
dilettazione del
mondo, e contra le vanitadi del
mondo, e recarne a
ciò molti
essempli, così
dicendo: "
Coloro che
disiderano
i
dilettamenti del
corpo e lasciano morire di
fame
l'
anime, son simigliati ad un uomo, il quale
fuggendo
da la
faccia de l'unicornio per non essere
divorato da
lui,
cadde in uno grande
fossato. Ma
caggendo lui,
appiccossi con le mani a una
arbuscella, e
fermòe i
piedi in su una
basa
sdrucciolente e non ferma. E puose
mente, e vidde
due sorici, l'uno
bianco e l'altro nero,
che non
cessavano di rodere le
barbe di quello
arbuscello
a che s'era
appreso, e già era presso ad averla
mozza. E nel
fondaccio del
fossato vidde un terribile
dragone che gittava
fuoco, e
disiderava con la bocca
aperta
divorarlo; e sopra la
base dove tenea i piedi
vidde
quattro
capita di serpenti che si
chiamano
aspidi,
che uscieno quindi. E, levando in su gli occhi, vidde
un poco di
mele uscire de' rami di quella
arbuscella e,
dimenticandosi del
pericolo nel quale era da ogne parte,
diedesi tutto quanto a la
dolcezza di quel poco
mele
de l'
albore. L'unicornio tiene
figura de la
morte, la
quale sempre perseguita l'uomo e
disidera di
prenderlo;
il
fossato è il
mondo pieno di tutti mali; l'
arbuscello
è la vita di
ciascuno, lo quale non
cessa di
consumarsi
per l'ore del dì e de la notte, quasi per lo sorico
bianco
e nero, e
appressimasi a tagliare; la
base de ivi a'
piedi è il
corpo
composto di
quattro
elementi, i quali
da poi che sono fuori de l'ordine loro, il
congiugnimento
del
corpo si
corrompe; il
dragone terribile è la
bocca del ninferno
disideroso di
divorare tutte l'
anime;
la
dolcezza del ramicello è la
dilettanza
fallace del
mondo, per la quale l'uomo è ingannato, acciò che
non veggia il
pericolo suo".
Anche disse questo altro
essemplo: "Simiglianti
sono anche gli uomini
amatori del
mondo ad uno uomo
che ebbe tre
amici; de' quali
amava l'uno più che sé,
e 'l secondo quanto sé, e 'l terzo meno che sé e quasi
neente l'
amòe. Sì che fu posto in un grande
pericolo,
ed essendo
citato dal re,
corse al primo suo
amico per
aiuto, e
ricordolli come sempre l'avea
amato. E quelli
li rispuose: "Non so che uomo tu ti
sie; io abbo altri
amici con i quali mi
conviene godere oggi, i quali torrò
per
amici oggimai; ma io ti
dono
due
cilici con i quali
tu ti
possi
coprire". Sì che essendo
confuso,
andonne
al secondo e
domandòe simigliantemente il suo
aiuto.
E quelli rispuose: "Non m'è licito d'
entrare teco in
battaglia; sono
attorniato da molte
sollecitudini, ma io
t'
accompagneròe infino a le porte del palagio, un poco
poscia mi ritornerò a
casa a fare de'
fatti miei". Sì
che questi così tristo e
disperato se n'andò al terzo
amico, e
disseli col viso
chinato: "Non abbo bocca
da parlare a te, però ch'io non t'hoe
amato com'io
t'ho
dovuto; ma perché sono in tribulazione e
abbandonato
da gli
amici,
priegoti che tu m'
aiuti e perdonimi".
E quelli gli disse con
allegra
faccia: "Certo
io ti
confesso per mio
carissimo
amico; e
ricordandomi
del tuo
beneficio, avvegna che piccolo, sì t'
andròe
innanzi e
faròe come tuo
avvocado al re, acciò che
non ti metta ne le mani de' nemici tuoi". Sì che il
primo
amico si è la possessione de le ricchezze, per
le quali l'uomo, sottoposto a molti
pericoli, viene al
termine de la
morte; e di tutte queste cose non ne piglia
altro che
vili pannicelli da seppellire. Il secondo
amico
è la moglie e '
parenti e ' figliuoli, i quali l'
accompagnano
insino al monimento, e poscia si tornano a le
loro
sollecitudini. Il terzo
amico è la fede e la speranza
e la
caritade e la
limosina e l'altre
buone opere, le
quali, quando noi usciamo del
corpo, ci possono andare
innanzi a
pregare Iddio per noi e liberarci da' nostri
nemici".
Anche disse questo altro
essemplo: "In una
città
era cotale usanza di chiamare ogni
anno per loro signore
uno uomo straniere e non
conosciuto, al quale
era licito, per la
balía presa in tutto, di fare tutto ciò
che volea; e sanza ogne
costituzione reggea la terra.
E standosi lui in tutte ricchezze e pensando stare così
sempre, subitamente si levavano i
cittadini addosso a
lui e,
traendolo
ignudanato per tutta la
cittade, e sì
'l mandarono a'
confini in una
isola lontana, là ove,
non trovando né
cibo, né vestimenti, era costretto da
la
fame e dal
freddo.
Finalmente un altro,
aggrandito
a quello regname, da poi ch'ebbe saputo l'usanza di
quelli
cittadini, sì mandòe infiniti
tesori a la
detta
isola,
acciò che, da poi che l'
anno fosse
compiuto, essendo
mandato ne l'
isola a'
confini,
avvegnadio che gli altri
vi
morissero di
fame, egli v'
abbondava di molte
dilizie.
Questa
città sì è questo
mondo; i
cittadini sono
li principi de le tenebre, i quali ci traggono col
falso
diletto del
mondo; e non
aspettando noi la
morte, ella
sopravviene e
profondane nel luogo de le tenebre; e
'l mandare de le ricchezze e l'
eternale luogo, sì si fa
per le mani de'
bisognosi".
Sì che, da che
Barlaam ebbe ammaestrato
perfettamente
il figliuolo del re, e egli volendo lasciare il
padre e seguitare lui, disse a lui
Barlaam: "Se tu
farai questo, tu sarai simigliante ad un giovane, il quale,
vogliendoli essere
dato moglie nobile, sì la rifiutòe e
fuggìo; e
capitando ad un luogo, vidde una gentile
pulcella, figliuola d'un vecchio povero, la quale lavorava
e lodava
Domenedio con la bocca. E elli disse a
lei: "Che è quello che tu
fai, femmina? Con ciò sia
cosa che tu sia così povera, impertanto rendi grazie
a
Domenedio come se tu
avessi ricevuto grandi
doni
da
Domenedio". E quella li disse: "Secondamente che
la piccola medicina libera altrui spesse volte da grandi
infermitade, così il rendimento de le grazie a Dio ne
i piccoli
doni sì
diventa
aiutatore a ricevere grandi
doni; ma queste cose che sono di fuori non sono nostre;
son bene nostre le cose che sono dentro. I' ho ricevuto
grande cose da Dio, però che mi fece a la sua imagine,
e
hammi
dato intendimento, e
chiamatami a la sua
gloria, e già m'ha
aperta la gloria del reame suo;
sì che per tanti e sì grandi
doni sì 'l mi
conviene
laudare". Vedendo il giovane il senno di costei, sì la
domandòe al padre di lei per moglie, e quelli li disse:
"La figliuola mia non puoi tu torre, però che tu
se'
figliuolo di nobile persone e ricche, ma io sono povero".
Ma quegli pure
soprastando a le parole, il vecchio
disse: "Io non la ti
posso
dare a menare in
casa del
tuo padre, però ch'io non ho più figliuoli". E 'l giovane
disse: "Io mi starò con voi e
conformerommi a'
vostri
costumi in tutte cose". E ponendo giù il prezioso
ornamento, vestissi l'
abito del vecchio e, standosi
con lui, tolse la figliuola per moglie. E poi che 'l vecchio
l'ebbe provato lungo tempo, sì 'l menò ne la
camera
sua e
mostrogli una gran quantità di ricchezze,
la quale mai non avea veduta,
e diegliele tutte". Disse
Josafat: "
Convonevolemente mi toccano queste parole,
e pensomi che tu l'
abbi
dette per me; ma io voglio che
tu mi
diche, padre, quanti
anni tu hai e dove tu usi,
però ch'io non mi voglio giammai partire da voi". E
que' disse: "Io abbo da
LXV anni e
abito ne'
diserti
de la terra di
Sennaar". E
Josafat disse: "Anzi mi
pare che tu
abbi da
LXX anni, padre". E que' rispuose:
"Se tu vuogli sapere gli
anni miei dal
nascimento mio,
ben t'
apponesti; ma per neuno modo son
compitati da
me a la quantità de la vita tutti quelli che furono ispesi
in vanità del
mondo, però che allora era io morto ne
l'
anima dentro, sì che gli
anni de la
morte non voglio
mai
contare a quelli de la vita". Sì che, volendo
Josafat
seguitare lui nel
diserto,
Barlaam disse: "Se
tu
farai ciò, io perderò la tua
compagnia e sarò cagione
a' frati miei de la loro persecuzione; ma quando
tu vedrai il tempo
convonevole, allora verrai a me".
Sì che
Barlaam
battezzò il figliuolo del re e, da che
l'ebbe bene ammaestrato ne la fede,
diegli pace e
tornò al luogo suo.
E poi che 'l re ebbe udito che 'l figliuolo era fatto
cristiano, fu posto in troppo
dolore; e
vogliendolo
consolare
un suo
amico ch'avea nome
Arachis, sì li disse:
"O messere lo re, e io
conosco uno
romito ch'è di
nostra
setta, il quale è per tutto simigliante a
Barlaam
questi, infignendosi d'essere
Barlaam, imprima
difenderà
la fede de'
cristiani, poscia si lascerà vincere, e ciò
ch'elli
avrà insegnato,
ritratterà,
e così retornerà a noi
il figliuolo del re". Togliendo dunque il detto prencipe
grande
esercito, andò per
cercare
Barlaam e, prendendo
quello
romito,
dicea ch'avea preso
Barlaam. Udendo il
figliuolo del re che quegli era preso, cioè il maestro
suo, pianse
amaramente; ma poi per revelazione di
Dio seppe che non era esso. Allora
entròe il padre al
figliuolo, e sì li disse: "Figliuolo mio, tu m'hai posto
in gran
tristizia e hai
disonorata la mia
canutezza
e hai tolto via il lume de gli occhi miei; perché l'ha
fatto, figliuolo mio? E perché hai lasciata la fede de'
miei Iddei?" E quelli disse: "Padre mio, i' ho lasciato
le tenebre e son ricorso al lume; io ho
abbandonato
l'
errore e
conosciuta la veritade; non t'
affaticare indarno,
ché tu non mi potresti mai partire da Cristo;
così sarebbe questo impossibile come a toccare l'
altezza
del
cielo con mano o a
seccare un grandissimo pelago".
Allora disse il re: "E chi ha fatto questo male altro
ch'io, che t'ho fatto così magnifiche cose, le quali
non fece giammai padre a suo figliuolo? Per la qualcosa
la tua
mala
volontade e la isfrenata
condizione
t'ha fatto
immattire contra 'l capo mio.
Ragionevolemente
dissero gli
astrologi nel tuo
nascimento che saresti
arrogante e
disubbidiente a' tuoi
parenti. Ora se
tu non m'
assentirai, tu sarai partito da la mia
figliazione
e,
avendomi per padre nimico, quelle cose
farò
a te ch'io non
feci anche a' miei nemici". Al quale
disse
Josafat: "Perché ti
contristi tu, ch'io sia fatto
parzonevole di molti
beni? Qual padre
apparve mai tristo
ne la
prosperitade dal suo figliuolo? Già non ti
chiamerabbo
padre, ma se tu mi sarai incontra, io
fuggirò
da te come da serpente". Sì che partendosi il re con
ira da lui, fece manifesta ad
Arachi, suo
amico, la
durezza del suo figliuolo. Il quale
amico
consigliò il re
che none usasse col figliuolo se non parole
acconce,
però che 'l
fanciullo si trae più tosto con lusinghevoli
e piane parole. Sì che l'altro
die il re venne al figliuolo,
e
cominciollo ad
abbracciare e a
baciare,
dicendo a lui:
"Figliuolo
carissimo, onora la vecchiezza del padre
tuo; or non sai tu come è
buona cosa ubbidire al padre
e
rallegrarlo, e così è per
contrario gran male a
contristarlo?
Chi ciò fece, non
capitò mai bene". Rispuose
Josafat: "Tempo è d'
amare e tempo d'odiare, tempo
di pace e tempo di
guerra; per neuno modo partendoci
noi da Dio,
dovemo ubbidire o sia padre, o sia madre".
Sì che vedendo il padre la sua
costanzia, disse: "Da
ch'io veggio la tua pertinacia, né non mi vuogli ubbidire,
almeno vieni, e
crediamo
abendue insieme a la
veritade, però che
Barlaam, il quale t'ingannòe, io l'hoe
in pregione; sì ch'io voglio che si ragunino i nostri
e' vostri con
Barlaam, e io sì manderò il
bando che
tutt' i galilei vegnano sanza paura, e da che fia
cominciata
la
disputazione, se 'l vostro
Barlaam vincerà,
noi vi
crederemo, e se 'l nostro vince,
consentite
voi a noi". Piacque il detto del re al figliuolo; e
coloro
ordinarono col
simulato
Barlaam come
dovea infignersi
di
difendere imprima la fede de'
cristiani, e
poscia lasciarsi vincere, e
ingannarsi tutti insieme.
Allora si rivolse
Josafat al
simulato
Barlaam, il quale
avea nome
Nacor, e sì li disse: "Tu sai bene,
Barlaam,
come tu m'
ammaestrasti; se dunque tu
difenderai
la fede la quale tu m'hai insegnata, io
perseverrò ne
la
dottrina tua insino a la fine de la vita mia; ma
se tu rimarrai vinto, incontanente
vendicheròe mia vergogna,
e con le mani mie ti
caverò la lingua di bocca
e 'l
cuore del tuo
corpo e
darallo a'
cani, acciò che
non
pressumino altri di mettere per innanzi in
errore
i figliuoli del re". Udendo
Nacor queste cose,
fecesi
tristo e pauroso
fortemente, veggendosi caduto ne la
fossa ch'elli avea fatta e preso nel suo medesimo
lacciuolo. Sì che pensando s'
avvidde che meglio era
accostarsi al figliuolo del re per
campare la
morte. E
'l re gli avea detto
palesemente che sanza paura
difendesse
la fede sua. Sì che uno parladore si levòe, e
disse: "
Se' tu
Barlaam, ch'hai ingannato il figliuolo
del re?" Quegli rispuose: "Io sono
Barlaam, ma non
ch'io abbia messo in
errore il figliuolo del re, ma
hollo liberato de l'
errore". Disse il parladore: "Con
ciò sia cosa che gli altri e maravigliosi uomini
abbiano
adorato i nostri
dei, come
se' tu tanto
isciocco di
levarti contra di loro?" Quegli rispuose, e disse: "Li
Caldei e' Greci e que' de l'
Egitto
errando
dissero
che le
creature sono
dei; i
Caldei pensarono che gli
elementi fossero
dei, con ciò sia cosa che siano
criati
ad
utilitade de gli uomini, acciò che siano sottoposti
a la loro signoria e a molte passioni. I Greci pensarono
che li scellerati uomini fossero
Domenedii, come s'è di
Saturno, del quale si dice che mangiò i figliuoli suoi
e che si tagliò i
granelli e gittolli in mare e che
nacque la
Diana, e che fu legato dal figliuolo suo
Jove
e gittato in inferno. Ancora scrivono che
Jupiter è re de
gli altri
dei, del quale
dicono che più volte si trasformòe
in bestie per
commettere
avolteri; e
dicono che
Venus
dea fu
adoltera, però che
dice che ch'alcuna
volta ebbe seco Marte e alcuna volta
Adonide. E quei
d'
Egitto alcuna volta
coltivarono gli
animali, cioè le
pecore e '
vitelli e li porci e simiglianti a questi
animali
bruti. Ma i
cristiani
adorano il Figliuolo de l'
Altissimo,
il quale
discese di
cielo e prese
carne". Sì che
cominciò
Nacor molto a
difendere la fede di
cristiani
e a
fornirla di
ragioni; sì che il re e quelli altri
diventarono
sì
mutoli, che niuna cosa vi seppono rispondere.
E
Josafat avea grande
allegrezza di ciò che 'l
Signore, per lo nemico de la veritade, avea
difesa la
veritade; e 'l re fu ripieno di molta
ira, e
comandò
che si rompesse il
concilio, quasi come
dovessono trattare
l'altro
die di queste cose. Disse
Josafat al padre:
"De le
due cose fa l'una: o tu lascia stare il maestro
mio
istanotte con meco insieme per ragionare insieme
de le
ragioni e de le quistioni che sono da
diterminare
domane, e tu prendi i tuoi per ragionare con loro; o tu
lascia stare meco i tuoi e tolli il mio, altrementi non
faresti giustizia, ma
forza". Laonde il re
concedette
Nacor al figliuolo,
avendo ancora speranza ched elli lo
'ngannasse. Essendo dunque tornato a
casa il figliuolo
del re con
Nacor, sì li disse
Josafat: "Non pensare
tu ch'io non sappia chi tu
se'; io so bene che tu non
se'
Barlaam, ma
se'
Nacor
astrolago". Allora
cominciò
Josafat a
predicarli la via de la salute e,
convertendolo
a la fede, la mattina il mandò a l'
ermo, là
dove ricevette
il
battesimo e menòe vita di
romito.
Uno mago, ch'avea nome
Teodas, udendo come queste
cose
andavano, venne al re e
promisse di fare
tornare il figliuolo del re a le
leggi del padre. Al quale
il re disse: "Se tu
farai questo, io
farò rizzare a tuo
nome una statua d'oro, e
offerolle al sagrificio come
a li
dei". Allora disse il mago: "
Rimuovi ogne gente
dal figliuolo tuo e fa mettere con lui de le
femmine,
e ornate, che siano sempre con lui e servano a lui e
conversino e
dormino con lui; e io gli manderò uno de
li spiriti miei, il quale l'
accenderà a lussuria, però che
neuna cosa puote così ingannare l'uomo come la
faccia
de la femmina, e
dottene questo
essemplo. Che uno re
avendo avuto un figliuolo, savissimi medici li
dissero
che se infra
diece
anni vedesse il sole o la luna, sì
perderebbe il lume de gli occhi. Sì che il re fece stare
lo figliuolo in una spelonca tagliata in uno sasso insino
a
diece
anni; e,
finiti gli
anni,
comandò il re che
d'ogne ragione cose gli fosse
recato innanzi, acciò che
potesse
conoscere e sapere i nomi di tutte.
Recatoli
dunque innanzi l'oro e l'
argento e le pietre preziose,
belli vestimenti,
cavalli reali e d'ogne maniera cose,
quando
domandava del nome di
ciascuna cosa
i ministri
gliene indicavano i nomi. Quando venne a
domandare
de le
femmine,
angosciosamente, lo
spadai' del
re per giuoco disse ch'elle sono
demoni che ingannano
gli uomini. Sì che il re
domandò il figliuolo quale cosa
amava più di quelle ch'elli avea veduto, e quelli rispuose:
"Non altro, padre mio, se non quella cosa
che inganna gli uomini. Di niuna cosa è infiammata
l'
anima mia come di questa, sì che non pensare
altrimenti
potere vincere il figliuolo tuo se non per questo
modo". Laonde il re
cacciò via tutti i
donzelli, e
accompagnollo
con
belle giovane, le quali sempre studiavano
d'
accenderlo a lussuria; e non avea altro a cui
ragguardare, né con cui mangiare, né con cui parlare.
E 'l maligno spirito, mandato dal mago,
assalìo il giovane
e grande
fuoco gli
accese dentro. Il maligno spirito
lo infiammava dentro, e le giovane
commoveano
duro
ardore di fuori; ed egli, sentendosi così
fortemente
commuovere, sì si turbava e
raccomandavasi tutto a
Domenedio. Ricevette
consolazione da Dio, e ogne tentazione
cessò via. Poscia li fu mandata una
bellissima
fanciulla, figliuola d'uno re, ma il padre era morto; e
quando l'uomo di Dio la predicava, quella rispuose: "Se
tu mi vuoli liberare da l'idoli,
fammiti a moglie;
ben
sai che i
cristiani non
diniegano il matrimonio, ma lodanlo,
però ch'e'
patriarci loro e i profeti e Pietro, loro
apostolo,
ebbono
mogli". E quegli rispuose a lei: "Vane
sono queste parole, femmina, che tu
dici; bene è
permesso a i
cristiani di menare moglie, ma non a
coloro
che hanno
promesso a Cristo di
conservare
verginità".
E quella disse: "Sia come tu vuogli; ma se tu
disideri
salvare l'
anima mia, una
piccolina petizione ch'io
ti
farò m'
asaudisci: giaci pur meco
stanotte, e
promettoti
di
farmi
domattina
cristiana. Che se tu
di' ch'a
gli
angeli è
allegrezza nel
cielo sopra uno peccatore che
faccia penitenza, chi è
facitore di
convertimento grande
merito ne
dee avere?
Consenti a me, e così mi salverai".
Sì ch'ella
cominciò a
commuovere
fortemente la torre
de l'
anima di costui. Veggendo ciò il
demonio, disse a i
compagni suoi: "Or vedete come questa
fanciulla ha
commosso colui, lo quale noi non abbiamo potuto
commuovere?
Venite dunque e
andiamgli addosso con gran
fortezza, di che
avemo veduto il tempo
convenevole".
Sì che veggendo il santo giovane sé
fortemente impregionato,
e sì perché s'
accendea a la
concupiscenzia e sì
perché il
diavolo il
commovea per operazione d'una
fanciulla,
tutto quanto si
bagnòe di
lagrime e
diedesi ad
orazione. Ne la quale orazione,
dormendo, videsi menare
in uno
bello prato ornato di
fiori, là
dove le
foglie de gli
albori rendeano
dolce suono,
dimenate da un soave vento
e gittavano
maraviglioso odore; là
dove erano i
frutti
bellissimi a vedere e
disiderevoli ad
assaggiare; là
dove
erano poste sedie
lavorate ad oro e a
gemme, i letti
luccicanti con
belli ornamenti, l'
acque
chiarissime e
risplendienti. Poscia il menarono in una
cittade, i
muri
de la quale erano d'oro
obrizo, li quali
risplendeano di
maravigliosa
chiaritade; là dov'erano ischiere de l'
aere
che
cantavano un tale
canto, che l'orecchie d'uomini
mortali non udì mai sì fatto; e fu detto: "Questo è
il luogo de li
beati". E
vogliendolne gli uomini
rimenare,
sì li pregava che lui lasciassero stare. I quali gli
rispuosero: "Con molta
fatica verrai ancora qua, pur
che tu ti
possi fare
forza". Poscia il menarono a' luoghi
oscurissimi, pieni d'ogni sozzura, e fu detto: "Questo
è il luogo de' peccatori". E quando fue
isvegliato, la
bellezza di questa
fanciulla e de l'altre, sì li parea più
sozza che lo sterco. Quando i maligni spiriti furono tornati
a
Teodas, e egli gli ebbe ripresi, sì
dissero: "Prima
che si segnasse col
segno de la Croce, sì li
andiamo
addosso e
fortemente il
conturbiamo; ma quando s'ebbe
armato col
segno de la Croce, sì ci ha perseguitati con
furore".
Teodas
entrò col re a lui, sperando di
poterlo
trarre con
lusinghe; ma il detto mago fu preso da colui
cui elli volse pigliare e,
convertito che fue da lui, ricevette
il
battesimo e menòe laudabile vita.
Sì che il re
disperandosi lasciogli per
consiglio de
gli
amici la metà del reame suo; e quegli, avvegna che
disiderasse con tutta la
mente andare nel
diserto, ma
per
dilatare la fede ricevette quello reame a tempo, e
ne le sue
cittadi levò ritto le
chiese e le
croci, e tutti
gli
convertìo a la fede di Cristo.
Finalmente il padre,
consentendo a le
ragioni e a le prediche del figliuolo,
ricevette la fede di Cristo e
fecesi
battezzare, e lasciò
tutto il reame al figliuolo, e egli intendea ad opere di
penitenzia; e dopo questo
finìo la vita sua
lodevolemente.
E
Josafat predicendo che
Barachia sarebbe re
più volte, volle
fuggire, ma sempre fu preso dal popolo;
finalmente appena rimase al
disopra.
Andando dunque per lo
diserto,
diede l'
abito reale ad
un povero ed egli rimase in poverello vestimento; e 'l
diavolo gli
apparve innanzi molti
agguati. Alcuna volta
gli
andava addosso con una spada insanguinata e minacciava
di
dargli, se non si rimanesse; alcuna volta
gli
appariva in
forma di
fiere
bestie, mettendo gran
mugghii; ma quegli
diceva: "Il Signore è mio
aiutatore,
non
temerabbo quello che mi
faccia il
demonio". Sì
che
due
anni stette
Josafat ne l'
ermo così vagabondo
che non
poté ritrovare
Barlaam.
Finalmente trovò una
spelonca e, stando dinanzi a l'uscio di quella spelonca,
diceva: "
Benedicimi, padre,
benedicimi". Udendo
Barlaam la
boce di costui, uscì fuori, e
abbracciandosi
molto
strettamente e
baciandosi con grande
fervore, non
si poteano saziare. Allora raccontò
Josafat a
Barlaam
ciò ch'era incontrato; a quelli rendéo molte lode a Dio.
E stette quivi
Josafat per molti
anni in
mirabile
astinenzia
e vertude.
Finalmente
Barlaam
compiuti i dì suoi
morìo in pace
intorno a gli anni Domini CCCLXXX.
E
Josafat
abbandonando il reame suo nel
XXV anno,
XXXV anni
sostenne la
fatica del
romitorio, e così, chiarito
di molte virtudi, morìo in pace e fu
riposto col
corpo
di
Barlaam. Udendo ciò il re
Barachia venne là con grande
oste e, prendendo le
corpora di costoro, sì le traslatòe a
la sua
cittade; al quale
avello si fanno molti miracoli.
cap. 176, S. Pelagio papa
Pelagio papa fu uomo di molta
santitade, e portossi
nel
papato onorevolemente, e
finalmente pieno di
buone opere morìo in pace. Ma non fue questo
Pelagio
l'
anticessore di san Gregorio, ma fu un altro
Pelagio
innanzi a costui. E dopo costui fu papa
Joanni terzo;
dopo Giovanni fu papa Benedetto; e dopo Benedetto fu
Pelagio; dopo
Pelagio fu Gregorio. Al tempo di questo
Pelagio primo, i Longobardi vennero in Italia; e perché
provato è che molti non sanno questa storia, però è
fermato
di
porla qui, per quello modo che la
compuose
Paolo, lo scrittore de le storie ne la storia de' Longobardi;
e truovasi ispianata in
diverse storie.
Una gente era di Germania molta piena di persone,
la quale uscendo de l'
isole del mare oceano, da la parte
di settentrione, essendo
capitato de l'
isola
Scandinaia
per molte vettorie di
battaglie e per
attorniamenti di
molte terre, e
divenne in
Pannonia; non essendo
arditi
d'andare più oltre, sì vi si puosono ad
abitare perpetualemente.
Costoro furono prima
chiamati
Vinuli e poscia
Longobardi. Stando loro ancora in Germania,
Agilmud, re
de' Longobardi, trovò
sette
fanciulli gittati da una meretrice
in un'
acqua ad
affogare, i quali la
detta meretrice
avea fatto ad un parto. I quali essendo trovati per
avventura
dal re,
rivolgendoli così per maraviglia con l'
asta,
l'un di quegli toccòe con mano l'
asta del re; e
il re,
vedendolo e maravigliandosi,
fecelo nutricare e puosegli
nome
Lamissione mago, e predisse che sarebbe re.
Il quale fu uomo di tanta prodezza che, morto il re,
i Longobardi il
fecero re.
Per quello medesimo tempo, cioè ne gli
anni de la
incarnazione del nostro Signore
CCCCLXXX, un vescovo
ariano paterino, sì come narra
Eutropio, vogliendo
battezzare
un ch'avea nome
Barba,
dicendo in questa
forma: "Io ti
battezzo, Barba, nel nome del Padre per
lo Figliuolo ne lo Spirito Santo", vogliendo per questo
mostrare che 'l Figliuolo e lo Spirito Santo fosse minore
del Padre, subitamente l'
acqua si sparve, e colui
che
dovea essere
battezzato
ricorse a la chiesa.
Or
diciamo di Longobardi. Eglino sì aveano uno re
ch'avea nome
Albuino, uomo
forte e valente, il quale
faccendo
battaglie col re de'
Gebidani, isconfisse l'oste
sua e uccise il re. Laonde il figliuolo del detto re morto
il quale era fatto re dopo il padre, per vendicare il padre
con grande
potenzia d'
arme andò contro
Albuino. E
Albuino
commosse l'oste sua contro a lui e
soperchiollo
e
ucciselo, e prese la figliuola di colui, la quale avea
nome
Rosmonda, e
tolsela per moglie, e del capo di
quello re fece fare una
coppa, e
fecela intorno intorno
chiudere e
coprire d'
ariento, e
bevea con essa. In quel
dì Giustino minore governava lo 'mperio, il quale avea
un
barone
castrato ch'avea nome
Narses, uomo nobile
e
valoroso, il quale
andando contra i Goti ch'aveano
assalito tutta Italia, sì li vinse: e uccise il re
Totila,
flagel di Dio, e tutta Italia fece riposata. Il quale
Narses
per grande
beneficii, ricevette grande ingiuria da i romani.
Per la qualcosa
accusato
falsamente
appo lo 'mperadore,
fu
disposto del prefetto de lo 'mperadore. E la
moglie de lo 'mperadore, la quale avea nome Sofia,
questa vergogna gli mandò
dicendo, cioè che 'l
farebbe
filare con l'
ancelle sue e
dividere i
canocchi de le
lane. A queste parole rispuose
Narses: "Ed io ti
farò
ordire una tal
tela ch' a la vita tua non la ti leverai
dinanzi".
Cansandosi dunque
Narses a Napoli, mandò
dicendo a' Longobardi che
lasciassono stare le poverelle
ville di
Pannonia e
corressono a possedere le grasse
terre d'Italia. Udendo ciò
Albuino
abbandonòe
Pannonia,
e ne l'
anno de la incarnazione di Cristo
DLXVIII entròe
in Italia co' Longobardi. Ora aveano usanza di portare
lunga
barba; onde
dovendo una volta, ciò si dice,
venire a loro spie,
comandò
Albuino che tutte le
femmine
si sciogliessero le treccie e
ponessenle intorno al
mento, acciò che fosse
creduto da le spie ched e'
fossono
uomini
barbati, e quindi furono
chiamati Longobardi da
le lunghe
barbe, però che la
barda in loro lingua suona
barba. Altri sono che
dicono che
dovendo
combattere gli
Vinuli con gli Vandali, essendo
andati ad uno ch'avea
spirito di
profezia, acciò che pregasse Iddio per lo loro
vittoria e
benedisseli, la moglie
diede loro
consiglio che
si ponessero ad orare a la
finestra a la quale quegli
orava la mattina ad oriente, e che
comandassero che le
femmine portassero i
capelli intorno al
mento. Sì che
quando quelli
aperse la
fenestra ed
ebbeli veduti, gridòe
e disse: "Chi son questi Longobardi?" E la moglie sua
aggiunse che a quali avea
dato il nome,
desse vittoria.
Intrati dunque in Italia, quasi tutte le
città presono,
uccidendo tutti gli
abitanti di quelle, e Pavia tennero
assediata
tre
anni, e
finalmente la presono. E 'l re
Albuino
avea giurato d'uccidere tutt' i
cristiani; onde
quando elli
dovea
entrare in Pavia, il
cavallo suo dinanzi
a la porta de la
cittade
ficcòe le ginocchia e, quantunque
fosse punto da li sproni, levare non si poteva infino
a tanto che a monizione d'un
cristiano, il re mutòe
il
giuramento.
Entrati dunque i Longobardi a
Melano
poco meno che tutta Italia sì sottomisero in
brieve
spazio
di tempo, trattone Roma e
Romagna, la quale è
chiamata
Romagna, quasi un'altra Roma, però che sempre
s'è
accostata a Roma.
Essendo il re
Albuino a Verona e abbiendo fatto
apparecchiare
un grande
convito, fecesi recare la
coppa
ch'elli avea fatta fare del capo del re, e
bevve con essa,
e la moglie sua, ch'avea nome
Rosmonda, fece
bere
anche con essa,
dicendo a lei: "
Bei col padre tuo!"
La qualcosa quando
Rosmonda ebbe saputa, grande odio
concepette contro al re. Ora avea un
duca il re, il quale
avea a fare
carnalmente con una
donzella de la reina;
sì che una volta che 'l re era
andato
altrove, la reina
entròe una notte nel letto di quella
donzella, e al detto
duca mandò
dicendo in persona di quella
donzella che
venisse a lei quella notte. Il quale essendo venuto, la
reina si puose sotto a quel
duca in luogo de la
donzella,
e poscia disse a lui: "Sai tu chi io sono?" E
quelli
dicendo ch'ell'era cotale sua
amica, e quella disse:
"Non è vero, anzi sono
Rosmonda. Certo tu hai fatto
oggi tal cosa che o tu ucciderai
Albuino, o tu morrai
del
coltello d'
Albuino; sì ch'io voglio che tu mi vendichi
d'
Albuino, il quale uccise il padre mio e del capo
suo fece una
coppa e
hammi fatto
bere con essa".
E quegli non
assentendo a ciò, ma
promisse di trovare
un altro che
farebbe questo cotale fatto. Onde quella per
sottrarre l'
arme, tolse la spada del
marito che stava a
capo del letto e
legolla
fortemente, acciò che non si
potesse essere tolta né isguainata. E mentre che il re
dormìa nel letto suo, il
donzello si sforzò d'
entrare là
entro. Quando il re l'ebbe sentito, saltò fuori del letto,
e volendo prendere la spada, ma non potendola trarre
fuori,
cominciossi a
difendere vigorosamente con una
predella; ma quelli, essendo troppo bene armato,
poté
più che 'l re, e
ucciselo. E tolse dunque tutti i
tesori
del palazzo, e
fuggìo, ciò si dice, a Ravenna, insieme
con
Rosmonda. E stando
Rosmonda a Ravenna, vidde
un giovane che era prefetto di Ravenna, e piacqueli
tanto che
disiderava d'
averlo per
marito. Laonde
diede
bere veleno a l'uomo ch'era venuto seco, e, sentendo
costui l'
amarezza del veleno,
serbonne a la moglie e
comandolle che 'l
beesse. Quella non vogliendo
bere,
l'uomo trasse fuori il
coltello e
fecegliele
bere a
forza;
e così morirono quivi
abendue.
Finalmente un re di Longobardi, il quale avea nome
Adalaot, ricevette il
battesimo e la fede di Cristo. E
anche
Teodolina, reina de' Longobardi,
cristianissima e
divota ordinòe un
bellissimo oratorio a
Melano; a la
quale reina san Gregorio mandò scritto il
libro del
Dialago.
La quale
convertìo a la fede il
marito suo, il re
Agisulfo,
primo Duca di Torino, e
fecelo
pacificare con
la Chiesa e con lo 'mperio di Roma; e così fu fatta la
pace tra i romani e i longobardi, il dì de la
festa di san
Gervasio e
Protasio; e però
ordinò san Gregorio che si
cantasse, in questa
festa, ne l'Officio de la
Messa:
"Parlerà il Signore pace del popolo suo".
Morto san Gregorio, fu papa dopo lui Savino, e dopo
Savino fu Bonifazio terzo, e dopo Bonifazio terzo fu
Bonifazio quarto; e le cui
preghiere
Foca imperadore
donòe a la Chiesa
di Cristo il tempio, che si
chiamava
Panteon, e oggi si chiama santa Maria Ritonda; e questo
fue ne gli
anni
Domini intorno
DCX. E a'
prieghi del terzo
Bonifacio fue il primo che
ordinò che Roma fosse sedia
di tutte le
chiese, però che la chiesa di Costantinopoli
sì si scrivea capo di tutte le
chiese.
Al tempo di questo Bonifazio, morto
Foca e regnando
Eraclio, intorno a gli
anni
Domini
DCX,
Magometto
falso profeta e mago, ingannòe gli
Agareni, ovvero
Ismaeliti, ciò sono i saracini, in questo modo, come
si legge in una sua storia e anche in altra
cronica. Un
cherico di molta
nominanza, non potendo avere
accivito
l'onore ch'elli
disiderava ne la
corte di Roma, con grande
indegnazione
fuggendo oltre mare, con sue simulazioni
trasse a sé infiniti popoli. E trovando
Magometto,
sì li disse che 'l volea fare segnore sopra saracini; e
nutricando una
colomba, sì li me
ttea ne l'orecchie
granella e cotali cose a
Magometto. E la
colomba stando
in su le spalle sue, sì li prendea il
cibo de l'orecchie
di costui; e era già
avvezzata sì e in tal modo che,
quantunque ella vedea
Magometto, incontanente gli saltava
in su le spalle e
mettevagli il
becco ne l'orecchie.
Faccendo dunque ragunare il detto popolo, disse che voleva
dare loro per signore colui cui lo Spirito Santo, in
ispezie di
colomba,
dimostrasse; e incontanente di segreto
luogo trasse fuori la
colomba, e quella volando in
su le spalle di
Magometto, il quale era tra l'altre persone,
misseli il
becco ne l'orecchie. Veggendo ciò il
popolo,
credettero che fosse lo Spirito Santo che
discendesse
sopra di lui e portasse le parole di Dio ne l'orecchie
sue. E in questo modo ingannòe
Magometto i saraceni,
i quali,
accostandosi a lui,
assalirono il reame di
Persia e'
confini de lo 'mperio de l'oriente insino ad
Alessandria. Questo si dice
volgarmente, ma più è vero
quello ch'è scritto più disotto.
Magometto adunque, infignendosi
d'avere propie
leggi,
diceva,
mentendo al popolo,
che l'avea ricevuto in Ispirito Santo, il quale
diceva che in ispezie di
colomba volava sopra lui, sì
come il popolo vedea; ne le quali
leggi
mischiòe alcune
cose del Vecchio Testamento e del
Nuovo. Ché quando
elli era ne la prima
etade e
faceva
mercantanzie,
andando
in
Egitto e in Palestina co'
cammelli,
conversava
molto co' giudei e co'
cristiani, da i quali imprese del
Vecchio Testamento e del
Nuovo. Onde al modo de' giudei,
si
circoncidono i saracini e non mangiano la
carne del
porco. La ragione di ciò vogliendo
Magometto
assegnare,
disse loro che il porco dopo il
diluvio era stato
criato del
letame del
cammello, e però sì come immondo era da
schifare dal popolo
mondo. Co'
cristiani s'
accordano in
questo, che
credono uno Dio solo onnipotente,
criatore di
tutte le cose. E
affermòe il
falso profeta,
meschiando
alcune cose
vere con le
false, che
Moisé fue un grande
profeta, ma Cristo fue il maggiore e sommo de' profeti,
nato di Maria Vergine per vertù di Dio, sanza seme
d'uomo.
Dice anche nel suo
Alcorano che Cristo, quand'egli
era
fanciullo,
criòe uccelli del
loto de la terra,
ma
mischiò il veleno, però che
dice che Cristo non fu
veramente passionato, né non risucitò
veramente, ma
insegnò a' saracini ch'un altro simigliante a lui era
morto e avea fatte queste cose.
Una gran
donna, ch'avea nome
Cadigan, la quale
segnoreggiava ad una provincia ch'avea nome
Corocanica,
veggendo questo uomo che gli teneano dietro
giudei e saracini, pensava che la maiestà di Dio fosse
nascosta in lui, ed essendo vedova sì 'l prese per
marito.
E così ebbe
Magometto la signoria di tutta quella provincia;
ma egli con sue
fatture non solamente la
detta
donna, ma eziandio i giudei e ' saracini trasse fuori de
la
mente, che si
confessava d'essere quello Messia che
era promesso ne la legge; e questo
diceva
palesamente.
Dopo queste cose
cominciò a venire a
Magometto quel
male quando l'uomo
cade in terra, e
venìali spesse
volte. La qualcosa vedendo
Cadigan, stava molto
dolorosa
di ciò ch'ella era maritata ad uno uomo
bruttissimo e
che gli si
dava quel male. Ed egli
volendola rappagare,
con cotali parole la lusingava, così
dicendo: "Io
contemplo
spesse volte l'
angelo
Gabriello parlare con meco,
e non potendo
sostenere lo
splendore del volto suo, vengo
meno in me medesimo". E così sì
credea la moglie,
e l'altre persone che l'udivano
dire.
Un altro luogo si legge che fue un monaco che indusse
Magometto. Il quale avea nome Sergio; il quale,
caggendo ne l'
errore di
Nestorio, fu
scacciato da' monaci,
e venne in
Arabia e
accostossi a
Magometto. E
avvegnadio ch'alcuni
affermano ch'e' fosse
arcidiacano,
abitante ne le parti d'Antiochia, e' fue (ciò
dicono)
Jacobito,
che era una
setta di Paterini, che predicavano
la
circuncisione e che Cristo non era Dio, ma uomo
solamente giusto e santo,
conceputo di Spirito Santo e
nato di Vergine. Le quali cose tutte
credono i saracini.
Sì che il detto Sergio insegnòe a
Magometto molte cose
del
Nuovo e del Vecchio Testamento. Rimaso dunque
Magometto sanza padre e sanza madre, stette così
fanciullo
sotto la
cura del ziso, e molto tempo con tutta la
sua gente de li
arabi servìo a l'idole, secondamente
ch'elli medesimo dice nel suo
Alcorano che 'l Segnore
li disse: "Orfano
fosti, e io ti ricevetti; lungo tempo
stesti ne l'
errore de l'
idolatria, e io te ne trassi;
eri
povero, e io t'
arricchìo". Però che tutta la gente de
li
arabi
adoravano la
stella
Diana per
Domenedio; e
quindi venne che ancora hanno i saracini il venerdie in
grande reverenza, come li giudei hanno il sabato, e i
cristiani la
domenica per grande
die. Essendo dunque
Magometto
arricchito de le ricchezze de la
detta
Cadigan
vedova,
cadde in tanto
ardire di
mente che si pensava
potere prendere lo reame de gli
arabi. Ma, veggendo che
non l'
avrebbe potuto
accivere per
forza,
massimamente
ch'era
dispregiato da'
parenti suoi, i quali erano stati
maggiori di lui, volsesi infignere d'essere profeta, acciò
che
coloro i quali elli non potea sottomettersi per
potenzia,
almeno traesse per
santitade simulata; e
attenevasi
al
consiglio del detto Sergio, uomo molto prudente. E
facealo stare in luogo nascoso, e ogne cosa richiedeva
da lui e raccontava al popolo, e
chiamavalo l'
angelo
Gabriello; e così infignendosi
Magometto d'essere profeta,
ebbe la signoria di tutta quella gente, e tutti gli
credettero e per
volontade e per paura de la spada;
e
questo è più vero che ciò che detto è de la colomba;
e così è da ritenersi.
E 'l detto Sergio, essendo monaco, volse che i saracini
usassono l'
abito
monacale, cioè la
cocolla, ovvero lo
cappuccio, e che a modo di monaci
facessero molte e
ordinate
genuflessioni, e
orassero molto ordinatamente;
e perché gli giudei
oravamo inverso l'occidente, e li
cristiani verso l'oriente, volse ch'elli orassono inverso
il meriggio. Le quali cose osservano ancora gli saracini.
E molte altre
leggi
divolgòe
Magometto, le quali il
detto Sergio gl'insegnòe, tra le quali ne trasse molte de
la legge di
Moisé. Però che i saracini si lavano spesse
volte, e
massimamente quando
debbono orare lavansi
le luogora vergognose, le mani, le
braccia, la
faccia, la
bocca, e tutte le
membra del
corpo per potere orare più
nettamente. Orando
confessano uno Dio, che non ha
veruno
uguale o simigliante, e
Magometto suo profete.
Un mese intero
digiunano l'
anno; quando
digiunavano,
mangiavano la notte e
digiunavano il dì; sì che da quell'ora
ne la quale possino
discernere il nero dal
bianco,
neuno era ardito infino al tramontare del sole di
mangiare o di
bere o di
mischiarsi con la moglie. Ma
dopo il tramontare del sole infino al
bruzzolo del seguente
dì, sempre è loro licito di mangiare e di
bere e d'usare
le loro
mogli; gl'infermi non sono obbligati a queste
cose. Una volta ogni
anno, per
ricognoscersi, è 'l loro
comandamento d'andare a la
casa di Dio, la quale è in
Mecca, e quivi orare e
attorniarla co' mantelli sanza
costura, e gittare le pietre per mezzi i pettignoni per
lapidare il
diavolo; la qualcosa
dicono che
Adam ordinòe
a tutt' i figliuoli suoi, e che fue luogo d'orazione e
d'
Abraam e d'
Ismael.
Finalmente
affermano che
Magometto
la lasciò, e
diede quella
casa a tutta la sua gente.
Tutte
carni possono mangiare, trattone quella del porco e
sangue e cosa
moriticcia.
Quattro legittime
mogli è licito
loro d'avere insieme, e
ciascuna infino a le tre volte
puote
cacciare, e anche ritorre in tal maniera che non
travalichino il numero di
quattro.
Delle
comperaticce e
de le pregioni, è licito a loro d'averne quantunque ne
vogliono, e
possonle
vendere quando vogliono, s'alcuna
di quelle non fosse ingravidata. È
conceduto loro d'avere
mogli del loro
parentando, acciò che
cresca la schiatta
del
parentando, e più
forte sia costretto tra loro il
legame
de l'
amistade. Ne l'
adomandare le possessioni,
tegnono questo modo che l'
adomandatore de' provare
con testimoni, e 'l richiesto sì
dee provare col
giuramento,
d'essere non
colpevole. Quegli ch'è trovato in
peccato con l'
adoltera, è lapidato con lei insieme; chi
facesse
fornicazione con altra, è punito di ottanta
battiture.
Ma pertanto
Magometto disse che dal Signore fu
an
nunziato a l'
angelo
Gabriello e
conceduto che potesse
andare ad altre
mogli, acciò che potesse ingenerare
uomini vertudiosi e profeti.
Uno servo di lui abbiendo moglie e
avendole
comandato
che non parlasse col segnore suo, un
die la trovò parlare
con lui, e incontanente la
cacciò da sé, e
Magometto
la ricevette e
compitolla tra l'altre sue
mogli.
E temendone il
mormorio del popolo,
compuose ch'una
carta gli fosse recata dal
cielo, la quale
contenea che
se alcuno
accomiatasse la moglie,
ella fosse la moglie
di colui che la ricevesse; la qualcosa osservano oggi i
saracini per legge. Il ladrone per la prima e per la seconda
volta è battuto, per la terza gli è mozza la mano
l'una e l'altra, per la quarta gli è mozzo il piede.
Dal vino sempre è
comandato che s'
astengano.
A
coloro ch'osservano questi e gli altri
comandamenti
de la legge ha
promesso
Domenedio, ciò
dicono,
il paradiso, cioè l'orto de le
dilizie, imbagnato de
l'
acqua trascorrente; nel quale
avranno sedie perpetuali,
e non saranno
afflitti né di
freddo, né di veruno
calore,
tutte maniere di
cibi useranno, di ciò ch'
avranno
appetito
si troveranno innanzi, e incontanente saranno
vestiti di vestiri di
seta d'ogni
colore, e
congiugnerannosi
a
bellissime vergini, in tutte
dilizie si riposeranno.
E
andranno intorno a loro gli
angeli a modo di
servidori
con vasella
dorate, e porteranno ne la vasella d'oro il
latte e in quelle de l'
argento il vino,
dicendo così: "
Bevete,
e già
mangiate in
allegrezza".
Dice ch'
avranno
tre
fiumi, cioè di latte, di
mele, e di vino ottimo
aromatico;
dice
Magometto ch'elli
avranno nel paradiso,
e che vedranno
angeli
bellissimi e sì grandi, che da
l'uno occhio de l'
angelo infino a l'altro sia
spazio
d'un
die. E
coloro che non
credono a Dio e a
Magometto
avranno, di ciò
dicono, infernale pena sanza fine.
Qualunque altri sia peccatore, se il
die de la
morte
crederrà
a Dio e a
Magometto,
dicono che al
die giudicii,
per
priego di
Magometto, sarà salvo. Questo
falso profeta
affermano i Saracini, involti in tenebre, ch'
avesse
ispirito di
profezia sopra tutti, e ch'elli ha
X angeli
che 'l servono e guardano.
Dicono ancora che Iddio innanzi
che
criasse il
cielo e la terra,
Magometto gli
stava innanzi, e dove
Magometto dovesse essere, né
cielo, né terra, né paradiso vi sarebbe stato. Mente
di ciò ancora che
dice che la luna venne a lui, e elli,
ricevendola in
seno, sì la
divise in
due parti e anche la
ricongiunse.
Dicono anche che
fugli
dato veleno in
carne
d'
agnello, e che l'
agnello gli parlò e disse: "Guarda
che tu non mi prendi, però ch'io abbo in me veleno". E
pertanto dopo molti
anni morìo di veleno che li fu
dato.
Ma torniamo ora a
dire oltre del fatto de' Longobardi.
I Longobardi
davano molta noia a lo 'mperio di
Roma,
avvegnadio ch'
avessono ricevuta la fede di Cristo.
Dopo queste cose morìo
Pipino, prencipe maggiore de la
casa di Francia; e dopo lui fue
Carlo, suo figliuolo, il
quale s'
appellava
Tutide; il quale
faccendo molte vettorie,
lasciò
due figliuoli prencipi de la
detta reale
magione,
ciò furono
Carlo Magno e
Pipino. Ma
Carlo Magno
lasciò la
borbanza del
mondo e
diventòe monaco di
Monte
Cassino, e
Pipino governava grandemente la
reale
casa. Ma essendo il re
Childerigo
disutile e remisso,
domandò
consiglio
Pipino da
Zaccheria papa, se
dovea
essere re colui che del solo nome era
contento essere
chiamato re. E 'l papa gli rispuose che quelli
dovea
essere
chiamato re, che bene reggesse la repubblica.
Per la quale risposta i
franceschi inanimati,
rinchiusero
Childerigo nel monasterio, e
fecero re
Pipino, intorno a
gli
anni
Domini
DCCXL. Ma
avendo Astolfo, re de' Longobardi,
spogliata la chiesa di Roma de le sue possessioni
e del
dominio, Stefano papa, il quale fu dopo
Zaccheria,
andòe a
Pipino, re di Francia, per
domandare
aiuto da lui contra Longobardi; onde
Pipino ragunò
un grande
esercito per venire in Italia, e
assediò il re
Astolfo dal quale ricevette
XL stadichi, acciò che rendesse
a la Chiesa di Roma tutte le possessioni che gli
avea tolte e non gli
desse più
briga. Ma quando
Pipino
si fu partito, il re Astolfo ruppe tutto quello ch'avea
impromesso; il quale da ivi a poco tempo,
andando a
cacciare, morìo subitamente, e
Desiderio fue dopo lui.
Intorno a gli
anni
Domini
DCLXXVII Dagoberto, re
di Francia, il quale assai prima che
Pipino era regnato,
come si truova in alcuna
Cronica, ebbe in grande reverenzia
da la sua
fanciullezza san Dionisio, che quando
egli temeva l'
ira di
Lotario, suo padre, incontanente
ricorreva a la chiesa di san Dionisio. Sì che quando fu
fatto re e fu passato di questa vita, a un santo uomo
fu mostrato in visione che l'
anima di colui fu menata
al giudicio, e molti santi gli
apponevano lo spogliamento
de le loro
chiese. Sì che
volendo
lo i mali
angeli
già rapire a le pene, venne san Dionisio e
liberollo per
li suoi
prieghi, lo scampòe di quella pena; forse che
l'
anima sua ritornòe al
corpo e
fecevi penitenzia de'
suoi peccati.
Clodoveo re iscoprendo meno che
religiosamente
il
corpo di san Dionisio, sì li ruppe l'osso del
braccio, e
rapillo
cupidigiamente; il quale re fu rapito
incontanente in pazzia.
Intorno a gli
anni
Domini
DCLXXXVII Beda, venerabile
prete e monaco, chiaro in Inghilterra, il quale,
avvegnadio che lo si
compiti nel numero de' santi,
la chiesa l'
appella non santo, ma venerabile, e questo
è per
due
ragioni. L'una si è ch'essendo per la molta
vecchiezza
annebbiati gli occhi,
dicono ch'avea una
guida al quale si facea menare per le ville e per le
castella,
e dovunque predicava la parola di Dio. Una
volta passando per una valle piena di grandi sassi, il
discepolo suo per ischernie li disse che quivi era grande
popolo raunato, il quale
disiderava udire la predicazione
sua e
aspettavallo in silenzio. Allora quegli incominciando
a predicare
ferventemente, quando venne a la
fine che egli ebbe detto:
"Per omnia secula seculorum"
incontanente, ciò
dicono, gridarono le pietre ad
alta
boce: "
Amen, venerabile padre". Sì che perché
le pietre il
chiamarono miracolosamente venerabile padre,
però è
appellato venerabile padre, ovvero, come alcuni
affermano, gli
angeli li rispuosono: "
Amen". La
seconda cagione è che dopo la
morte sua, un
cherico,
suo
devoto,
disiderava di
componere un suo verso, lo
quale elli voleva fare scolpire ne lo
avello suo; e
cominciava
così:
"Hac sunt in fossa", e voleva così
finire:
"Bedae sancti ossa". Ma perché non era
convenevole
fine a
compiere il verso, rivolgea
continuamente
nel pensiero suo e non potea vedere per se medesimo
convenevole fine; e
avendo molto pensato una
notte sopra questo fatto, la mattina se n'andò a l'
avello,
e trovò scritto per mano d'
angeli e scolpito il
cominciamento
del verso e la fine; e
diceva così:
"Hac sunt in fossa Bedae venerabilis ossa"
Il
corpo suo è in
Genova, e hannovi grande
divozione
la gente di
Genova.
Per quello medesimo
tempo, cioè intorno a gli
anni
domini
DCC,
Racordo, re de'
Fregioni,
dovendo essere
battezzato e
avendo già messo l'un piede ne la
fonte,
ritraendo l'altro,
domandòe dove
fosson più de' suoi
maggiori tra in inferno o in paradiso; e udendo che più
n'erano in inferno, il piede ch'elli avea
intrato ne
l'
acqua ritrasse a sé, e disse: "Più santa cosa è a seguitare
i più che i meno". E così beffato dal
demonio,
promettendoli che da ivi al terzo
die li
darebbe
beni
che non hanno pare, il quarto
die morìo di subitana
eternale
morte.
In
Campania d'Italia si dice che
cadde grano e
orzo
e legumi a modo di
piova da
cielo. Per quello medesimo
tempo
cioè intorno a gli anni Domini DCCXL, essendo
traslatato il
corpo di san Benedetto da Monte
Cassino
al monasterio di
Florias, e 'l
corpo di santa
Scolastica,
sua
serocchia, a
Ceromane,
Carlo, monaco di
Monte
Cassino, volea trasportare il
corpo di san Benedetto
al
castello di Monte
Cassino, ma per miracoli
che Dio ne mostròe e per li
Franceschi che
contradirono,
non fu lasciato.
In quello tempo, intorno a gli
anni
Domini
DCCXL
fue un grande tremuoto; per lo quale altre
cittadi furono
che
subissarono, altre furono che, come
dicono,
valicarono
più di
sei miglia da le montagne infino a le pianure
disotto, con le
mura e con gli
abitanti in terre
salve.
Il
corpo di santa
Petronella, figliuola di san Piero
apostolo, fu traslatato, nel cui sepolcro di marmo si
leggeva per iscritto per mano del detto san Piero: "A
l'
aurina
Petronella,
dilettissima figliuola".
Queste cose
dice Sigberto.
In quel tempo i
Tiri infestarono Armenia; nel paese
de' quali essendo stata per adrieto
pestilenzia, per
conforto
de'
cristiani
tonderono i
capi loro a modo di
croce
e, per questo
segno, fu renduto il salvamento, onde però
ritennero quella usanza di tondere.
Finalmente, morto
Pipino dopo le molte vittorie,
Carlo Magno, suo figliuolo,
succedéo a lui nel reame, al cui tempo sedea ne la sedia
di Roma
Adriano papa; il quale mandò legati a
Carlo
Magno per
domandargli
aiuto contra Disiderio, re de'
Longobardi, il quale, a modo del padre suo Astolfo,
molestava
molto la Chiesa. E
Carlo, ubbidendo a lui, ragunòe
grande oste, e per monte
Cenisio
entròe in Italia e
assediòe
Pavia
potentemente, la quale era la
città reale.
E prendendo quivi il re Disiderio con la moglie e co'
figliuoli e co'
baroni, il mandò a'
confini in Francia, e
tutte le
ragioni de la Chiesa, le quali i Longobardi
l'
avieno
prese, e' sì gliele rendéo. Era in quello tempo
ne l'oste di
Carlo, Amico e
Amelio, valentissimi
cavalieri
di Cristo, de i quali si leggono maravigliose opere,
li quali
caddero a
Mortaia, là
dove
Carlo vinse i Longobardi,
e quinci fu terminato il reame di
Lomgobardi,
però che da indi innanzi aveano colui per re cui l'imperadori
davano a quella gente.
Andando
Carlo a Roma,
il Papa ragunò il
Concilio di
CLIV vescovi, nel quale
Concilio
diede a
Carlo ragione di
eleggere il Papa di
Roma e d'ordinare l'
apostolicale sedia, e
difinìo che
gli
arcivescovi e ' vescovi per ogni provincia
dovessono
ricevere da lui, innanzi la
consegrazione, investitura;
e i suoi figliuoli furono unti a Roma in re, cioè
Pipino
sopra Italia, e
Lodovico sopr'Aquitania.
Alcuino, maestro
di
Carlo,
fioriva in quel tempo.
Pipino, figliuolo di
Carlo,
convinto di
congiurazione incontr' al padre, ricevette
tonsura
monacale.
Intorno a gli
anni
Domini
DCCLXXX, al tempo di
Irene
imperatrice e del suo figliuolo
Costantino,
cavando
un uomo in lunghe
mura
de la Tracia, come si legge
in una
cronica, trovòe un'
arca di pietra, la quale poi
ch'ebbe
spurgata e levata,
trovovvi un uomo giacere
entro, e lettere che
dicevano così: "Cristo nasce di
Maria Vergine, e io
credo in lui, sotto
Costantino ed
Irene imperadori, o sole anche mi vedrai!"
Morto
Adriano è levato in sedia papa Leone, uomo
in tutto da
riverire; del quale
esaltamento essendo invidiosi
i prossimani d'
Adriano, quando i
cherici
andavano
dicendo le letanie maggiori, commosso il popolo contra
lui, sì li trassero gli occhi e
mozzarongli la lingua. Ma
Domenedio gli rendéo miracolosamente il vedere e la lingua;
il quale quando
fuggìo a
Carlo, egli il mise ne la sedia
sua e punìo i suoi malfattori. Sì che i romani per
conforto
del Papa, ne gli
anni
Domini
DCCLXXXIV,
abbandonato
lo imperio di Costantinopoli, ad uno
consentimento
di tutti gridarono lode d'imperadore a
Carlo, e
coronarlo
imperadore per mano di papa Leone, e
appellarolo
Cesare Augusto. Però che dopo il grande
Costantino la
sedia imperiale era in Costantinopoli, però che 'l detto
Costantino lasciò la sedia di Roma a' vicarii di san Piero,
e
ordinossi la sedia
appo la
detta
cittade. Ma per la
dignitade
furono
chiamati imperadori di Roma infino a quel
tempo che lo 'mperio di Roma fu trasportato a i re di
Francia. Ma poscia furono
chiamati quelli l'imperadori
de' Greci, ovvero di Costantinopoli, e questi sono
chiamati
imperadori di Roma. E questa fu grande maraviglia
di così alto imperadore che, mentre che visse, non
volse giammai maritare neuna de le
figliuole sue, però
che
diceva che sanza loro non potrebbe stare e, come
scrive di lui
Alcuino, suo maestro,
avvegnadio che ne
l'altre fosse
avventuroso, in questa cosa pure provò
elli la malignitade de la
contraria ventura assai
dichiarando
quello che sopra ciò volesse
dire. La qualcosa lo
'mperadore ricoperse, sì come di lui non fosse veruna
sospeccione, avvegna che di questo fossero molte parole;
onde
dovunque elli
andava sempre le menava con seco.
Al tempo di questo
Carlo fu lasciato in gran parte
l'Officio
Ambrosiano, e
divolgato
massimamente il
Gregoriano,
aiutando ciò molto l'
autoritade de lo 'mperadore.
Ché, come
dice santo Agostino nel
libro de le
Confessioni,
sostegnendo santo Ambruogio la persecuzione
de la imperadrice
Justina,
corrotta de la ria fede
d'Ario, ed essendo costretto entro la chiesa col popolo
cattolico d'
aguaiti, ordinòe che si
cantassero gl'inni e '
Salmi al modo de li orientali, acciò che il popolo non
venisse meno per
tedio di
tristizia. E questo andò poi
discendendo per tutte le
chiese. Ma san Gregorio sopravvenne
poi, e
rimutòe più cose e
aggiunse e levò, ché i
santi Padri non poterono vedere incontanente quelle cose
che si
appartenessono a
bellezza d'Officio, ma
diversi
ordinarono
diverse cose. Però che la
cominciata de la
Messa ebbe per adrieto
tre varietadi, cioè che si
cominciava
da la
elezione, come si fa ancora il
sabato santo.
Poscia venne papa Celestino, e
ordinò che si
cantassero
Salmi a l'
entrata de la
Messa,
Gregorio invero ordinò
l'entrata de la Messa con canto e ritenne un verso
di quello
Salmo che si
cantava tutto. I Salmi si
cantavano
da quindi adrieto intorno a l'
altare, intorno
stando
concordevolemente ad uno modo; e quindi è detto
coro. Questo ordinarono
Flaviano e
Teodorio, ciò è che
si dice
alternatamente, e questo
ebbero elli da
Ignazio,
il quale sopra ciò fue ammaestrato da Dio. San
Geronimo
ordinò i Salmi e le Pistole e ' Vangeli e grande parte
de l'Officio del dì e
della notte,
Ambrosio,
Gelasio e
Gregorio
aggiunsero l'orazioni e 'l
canto, e
adattarlo a
le lezioni e a' Vangeli; il
graduale, e 'l tratto, e
Alleluia
ordinòe santo Ambruogio,
Gelasio e san Gregorio che si
cantasse ne la
Messa; santo
Ilario
o secondo alcuni
papa Simmaco, o secondo altri papa Telesforo,
aggiunse:
"Gloria in excelsis Deo" e tutto quello che seguita. Nochero,
abbate di san
Gallo,
compuose le
seguenzie e 'l
suo
per i neumi fu 'l primo che
compuose
alleluia,
ma
Niccolaio papa
concedette che si
cantassero a la
Messa.
Ermanno Attratto
tedesco fece:
"Rex omnipotens,
et Sancti Spiritus adsit nobis gratia, Ave Maria"
seguenzia; e questa
Antefana che
dice:
"Alma redemptoris
mater" e Simone
Baryona. E Pietro di
Compostella
fece la Salve Regina.
Tuttavia Sigiberto dice
che Roberto, re de' Franchi, fece la seguenzia: "Sancti
Spiritus nobis adsit gratia, etc.".
Racconta
Turpino
arcivescovo che
Carlo era
bello del
corpo, ma
fiero nel viso, la statura sua era d'
otto piedi,
la
faccia sua era di lunghezza d'un
palmo e mezzo,
la
barba era lunga un palmo, la
fronte era d'un piede;
il
cavaliere
armato seggente in sul
cavallo ad un
colpo
fendea con la spada dal capo in giù insieme col
cavallo,
quattro
ferri di
cavallo insieme
stendea con le sue mani
leggieremente. Un
cavaliere
armato stando ritto levava
da terra sopra la sua mano infino al capo tostamente,
una lepre intera o
due
galline o un'oca mangiava, poco
vino
bevea, e quello innacquato, tanto era temperato
nel
bere che a
cena rado solea
bere più che
tre volte.
Molti monasteri fece,
e finìo laudabilemente la vita
sua, e a la fine fece Cristo
reda de le sue cose. Al
quale succedette ne lo 'mperio
Lodovico, suo figliuolo,
uomo pietosissimo, ne gli
anni
Domini
DCCCXV, nel cui
tempo i
cherici e ' vescovi
abbandonaro le
cinture orate
e ' tessuti, e le leggiadre vestimenta, e gli altri ornamenti
secolareschi.
Teodolfo, vescovo d'
Orliens,
accusato
falsamente a
lo 'mperadore, fu mandato in pregione in
Andegavis.
E truovasi in una
cronica che, valicando la processione
il dì d'ulivo, a lato a la
casa là dov'era in guardia,
egli
aperse la
finestra e, fatto il silenzio, presente lo
'mperadore,
cantòe quegli
bellissimi versi, i quali e'
medesimo
compuose, cioè:
"Gloria, laus et honor tibi
sit, rex Christe, redemptor" e gli altri che seguitano.
La qualcosa piacque tanto a lo 'mperadore che incontanente
il trasse di pregione, e
rimiselo nel vescovado
suo.
Li
ambasciadori di Michele imperadore di Costantinopoli,
fra gli altri
donamenti, recarono a
Lodovico, figliuolo
di
Carlo Magno, i libri di san Dionisio, ched e'
fece de l'Angelica Gerarchia, traslatati di greco in
latino; ed elli gli ricevette con
allegrezza, e
XIX infermi
ne furono gueriti in quella notte.
Morto
Lodovico succedette a lui
Lotario, al quale i
suoi
fratelli, cioè
Carlo e
Lodovico,
comandarono
battaglia;
dove tanta mortalità fue da ogne parte d'uomini,
che neuna
etade ricorda che giammai fosse tanta nel
reame di Francia.
Finalmente
fecero
patto insieme, e
Carlo regnò in Francia,
Lodovico in Germania e
Lotario
in Italia e ne la parte di Francia, la quale è nominata
da lui
Lotaringia. Il quale lasciando poi lo 'mperio a
Lodovico, suo figliuolo, prese l'
abito
monacale.
Al tempo di costui, come si legge in una
Cronica, era
papa Sergio natìo di Roma; il quale fu prima
chiamato
bocca di porco ma, mutato il nome suo, fu
chiamato
Sergio. Da quel tempo fu ordinato che tutt' i
Papi
mutassero
le nomora, sì che perché il Segnore
mutò il nome
a
coloro i quali elli
chiamò
apostoli, e sì perché
debbono
mutarsi come ne la perfezione de la vita, come
si mutano nel nome, e sì perché colui ch'è
chiamato
a
bello officio, non sia sozzato da sozzo nome.
Al tempo di questo
Lodovico, cioè gli
anni
Domini
DCCCLVI, secondo che si truova in una
Cronica, ne la
parocchia
Magontina
avvenne che i maligni spiriti
bussavano
le pareti de le
case quasi con martelli, e
manifestamente
parlavano e seminavano le
discordie, intanto
che
molestavano gli uomini che
dovunque
entrava
no,
incontanente quella
casa
ardeva. E
dicendo i preti le letanie
e spargendo l'
acqua
benedetta, il nemico gittava le
pietre, e molti ne
'nsanguinava.
Finalmente, alcuna volta
posando,
confessòe che quando spargea l'
acqua sì si
nascose sotto la
cappa di quello prete, come di suo
famigliare,
e
accusollo ch'egli era caduto in peccato con
la figliuola del procuratore.
Per quello medesimo temporale il re de'
Bulgari
convertìo
con la gente sua a la fede. Fu di tanta perfezione
che ordinato ch'ebbe che 'l suo maggiore figliuolo
fosse re, egli prese l'
abito
monacale; ma portandosi
il figliuolo suo giove
nilmente, e vogliendo ritornare
al paganesimo, il padre riprese la
cavalleria, e
cominciollo
a perseguitare, e
cavogli gli occhi e misselo in
prigione e
ordinò che fosse re il suo figliuolo più giovane,
e poi riprese il santo
abito
monacale.
In Italia, a Brescia, si racconta che
piovve sangue
tre dì e tre notte da
cielo. Per quello medesimo tempo
apparvero in Francia grilli sanza novero, ch'aveano
sei
ale e
sei piedi e
due
denti più
duri che pietre,
volando
schieratamente come
cavalieri in
campo, e per
ispazio d'andare d'indi si
stendeano
quattro o
cinque
miglia, e
andavano guastando tutte le cose verdi ne
l'
erbe e ne li
alberi; i quali pervegnendo insino al
mare di Brettagna, e
finalmente per
fiato di venti
profondarono tutti nel mare; ma per lo
bollore del mare
oceano furono gittati a la riva e per la loro puzza
corruppero l'
aere. Onde ne seguitò grandissima mortalità
e
fortissima
fame, sì che poco meno che la terza
parte de' nemici ne morirono.
A la perfine fu imperadore primo Ottone, cioè ne gli
anni
Domini
DCCCCXXXVIII. Il quale
avendo apparecchiato
il
convito a i suoi
baroni ne la solennità del
Pasqua, e anzi che mangiasse, il figliuolo d'un prencipe
a modo
fanciullesco tolse una minestra de la mensa,
e 'l recatore de le
vivande sì l'
abbattéo in terra col
bastone. Vedendo ciò il maestro del
fanciullo, uccise
incontanente quel
donzello; e
volendolo lo 'mperadore
punire sanza veruna
audienza e
condannarlo, quelli
misse in terra lo 'mperadore e
cominciollo ad
affogare;
il quale
essendoli appena tratto de le mani,
comandò
che fosse reservato, gridandosi
colpevole di ciò che non
fece onore a la
festa; onde il lasciòe andare libero.
Al primo Ottone succedette Ottone secondo. Al tempo
di costui, rompendo spesse volte que' d'Italia la pace,
elli ne venne a Roma, e fece un gran
convito a'
baroni
e a'
cavalieri nobili e grandi appresso il grado
de la chiesa. E mangiando loro, sì li fece tutti
cignere
nascosamente d'
armati, poscia
cominciò a muovere
lamentanza de la pace rotta; laonde fece
leggere per
iscritti tutti
coloro ch'erano
colpevoli, i quali facea
dicollare immantanente nel detto luogo, e gli altri
costrignea
di mangiare.
A costui succedette Ottone terzo, intorno a gli
anni
Domini
DCCCCLXXXIV. Questi avea per suo soprannome
"mirabilia mundi". Di costui si legge in una
Cronica
ch'elli ebbe una moglie, la quale si volse sottoporre a
un
conte; ma non vogliendo quegli
commettere tanta
fellonia, e ella indegnata
infamòe il detto
conte a lo
imperadore, intanto che lo 'mperadore sanza
audienza
lo fece
dicollare. Il quale, innanzi che fosse
dicollato,
pregò la moglie che per giudicio di
ferro
rovente
approvasse
come non era
colpevole. Or venne il dì che
lo 'mperadore disse che volea fare ragione a'
pupilli e
a le vedove; venne innanzi la vedova e recò seco in
braccio il capo del
marito suo. Allora quella
domandò
lo 'mperadore di qual
morte fosse
degno chi
avesse morto
persona ingiustamente.
Dicendo lo imperatore che quel
cotale sarebbe
degno di perdere il capo, e quella rispuose
e disse: "Tu
se' quell'uomo il quale per
conforto e
per
fattura di
mogliata
facesti uccidere il
marito mio
sanza
colpa, e perché tu pruovi ch'io
dico la verità,
io sono
apparecchiata di toccarne il
ferro
rovente".
Udendo ciò lo 'mperadore isbigottio tutto, e missesi ad
essere punito in mano de la femmina; ma per
priego
de' pontefici e de' nobili ricevette indugio da la vedova
X dì, e poi
VIII, la terza volta
VII, la quarta
sei.
Allora da che lo 'mperadore ebbe
disaminato il piato
e saputa la veritade, fece
ardere la moglie
viva, e per
ricomperamento
diede
quattro
castella a la vedova; le
quali
castella sono nel vescovado di
Luni, e sono
chiamate
da l'
indugii de' dì Decimo, Ottavo, Settimo e
Sesto.
Dopo costui prese lo 'mperio il
beato
Arrigo, il quale
fu
duca di Baviera, ne li
anni
Domini
MII. Il quale
diede la sua
serocchia
Galla per moglie a Stefano, re
d'Ungheria, essendo ancora pagano, e
convertìo a la
fede il re e tutta la sua gente. Il quale Stefano fue
di tanta onestade che Dio l'
alluminò e glorificò da
molti miracoli. Questo
Arrigo e la sua moglie
Cunegonda
stettero in
verginitade e, menando vita
celestiale, morirono
in santa pace.
A costui succedette
Currado, un
duca di Franceschi,
il quale tolse per moglie la nipote di santo
Arrigo. Al
tempo di costui fu veduta in
cielo una
trave di
fuoco
maravigliosamente grande, la quale
correa inverso il
sole in quella su ch'elli inchinava al tramontare, e
poi
cadea a terra quella
trave. Costui misse in pregione
alcuni vescovi d'Italia;
e perché l'
arcivescovo di
Melano
fuggìo di pregione, tutte le
borgora di
Melano
misse al
fuoco
. E standosi lo 'mperadore il dì di Pentecoste
in una piccola chiesa presso a la
città per udirvi
la
Messa, sì gravi tuoni e saette
folgori vennero,
ch'alcuni n'uscirono fuori de la memoria, altri furono
che ne morirono. E 'l vescovo, che avea nome Bruno,
il quale
cantava la
Messa, e 'l
segretiero de lo 'mperadore
con gli altri,
dissero che
avieno veduto santo
Ambruogio fra la solennità de la
Messa minacciare lo
'mperadore.
Al tempo di questo
Currado, cioè negli
anni
Domini
MXXV, come si legge in una
Cronica, il
conte
Lupoldo,
temendo l'
ira del re,
fuggìo in una selva con la
moglie sua, e stava nascosto in una
capanna. Ne la
qual selva
cacciando lo 'mperadore, sopravvenne la
notte, e
convennelo
albergare ne la
detta
capanna. Al
quale la
donna
albergatrice, era pregna e prossimana
al parturire, servìo
convenevolemente come potéo. In
quella medesima notte partorìo la femmina il
fanciullo,
e
l'imperadore udìo una
voce che li venne tre volte,
e disse: "O
Currado, questo
fanciullo che ora è ingenerato,
sarà tuo genero". La mattina quando si levò,
chiamò
a sé
due che gli portavano l'
arme, suoi
segretieri, e
disse loro: "
Andate tosto e togliete quello
fanciullo per
forza di
collo a la madre, e
sparatelo per mezzo, e
recatemi
il
cuore". Quegli
andarono tostamente, e
rapparono
il
fanciullo di grembo a la madre e,
veggendolo di
bellissima
forma, commossi quelli a pietade, sì 'l puosero
in su uno
albore, acciò che le
bestie
nol
divorassero,
e prendendo una lepre, sì la
spararono e portarono il
cuore e lo 'mperadore. In quello medesimo
die valicando
quindi un
duca, e udendo piagnere il
fanciullo, sì 'l si
fece recare, e perché non avea figliuolo, sì 'l portò a la
moglie e,
faccendolo nutricare, infinsesi d'
averlo ingenerato
de la moglie, e puosegli nome
Arrigo. Sì che quando
il
fanciullo fu
cresciuto, era
bellissimo di
corpo e
bello
favellatore e grazioso a tutta gente.
Veggendolo lo
'mperadore così
bello e savio, sì l'
adomandòe al padre,
e
fecelo stare ne la
corte sua. Ma veggendo che 'l
fanciullo era grazioso a tutti, e che tutti il
commendavano,
cominciò a
dubitare che non regnasse dopo lui,
e che non fosse colui ch'egli avea
comandato che fosse
morto. Volendone dunque essere
sicuro, scrisse una
lettera di sua mano e
mandolla per costui a la moglie,
e
diceva così: "Come tu hai
cara la vita tua, sì tosto
come tu
avrai veduta questa lettera, sì ucciderai questo
garzone". Sì che quando costui
andava,
vennoli
albergato
in una chiesa, e posandosi così lasso in su una
panca, la
borsa dove la lettera era, stava spenzolata.
Allora il prete mosso da una cotale
curiositade,
aperse
la
borsa e, veggendo la lettera
suggellata del
suggello
del re, sì la
aperse, salvo il
sigillo, e leggendola sì li
venne
abbominazione de la
fellonia scritta, e radendo
sottilemente
colà
dove
diceva: "Costui ucciderai", sì
scrisse: "A costui la figliuola nostra
darai". Quando
la reina vidde la lettera
suggellata del
suggello del re,
e ebbe
conosciute le lettere del re fatta di sua mano,
fece ragunare molti prencipi e
diede la figliuola per
moglie a costui e fece le nozze; le quali nozze furono
fatte ad
Aquisgrani. Essendo narrato a lo 'mperadore
come le nozze erano fatte solennemente de la figliuola
sua, quegli
stupidito, e
spiato la verità e saputa e da
due
donzelli e dal
duca e dal prete, vidde che non era
da
contrastare a l'ordinazione di Dio, e però mandò
per lo
fanciullo, e
approvollo per suo genero e
ordinò
che regnasse imperadore dopo lui. E nel luogo dove il
fanciullo
Arrigo nacque fu fatto uno nobile monasterio,
il quale insino al dì d'oggi è
chiamato
Ursania. Questo
Arrigo
rimosse da la
corte sua tutt'i
giucolari, e quello
ch'era usato di
dare loro,
dava a' poveri. Al tempo di
costui fu tanta
divisione ne la Chiesa che
tre
pape
furono eletti. Ma un prete, ch'avea nome
Graziano,
diede molti
danari a costoro, e
diederli luogo, e ebbe
il
papato.
Andando
Arrigo a Roma per
pacificare la
divisione,
Graziano gli venne incontro e
offerseli una
corona d'oro per
averlo dal suo lato
amorevole. Ma
elli, ricoprendosi di tutte le cose, ragunòe il
chericato,
nel quale
concilio
commosse
Graziano de la
simonia e
rimise un altro in sedia di Papa. Ma nel
libro di
Bonizzo,
ched e' mandòe a la
contessa
Matelda, dice che
'l detto prete per sua semplicitade s'
acquistò il
papato
per pecunia, per
contrastare a la
divisione, ma elli riconoscendo
poi l'
errore suo,
dispuose se medesimo per
conforto de lo 'mperadore.
Dopo costui regnòe
Arrigo terzo. Al tempo di costui,
Bruno fu
eletto Papa e fu
chiamato Leone; il quale,
andando a Roma per
entrare ne l'
apostolica sedia,
udìo
voci d'
angeli che
cantavano e
dicevano: "
Dice
il Segnore: "Io penso pensieri di pace e non d'
afflizione".
Questi
compuose il
canto di molti santi.
In questo tempo fu turbata la Chiesa per
Berengario,
il quale
dicea che 'l
corpo e 'l sangue di Cristo non
era
veramente ne l'
altare, ma in
figura. Contra quelle
scrisse nobilmente
Lanfranco, priore di
Bec
nativo di
Pavia, il quale fu maestro d'Anselmo di
Conturbìa.
Poscia regnòe imperadore
Arrigo quarto, ne gli
anni
Domini
MLVII; al cui tempo
massimamente fu molto
innanzi
Lanfranco, priore del monasterio di
Bec; a la
cui
alta
dottrina venne di Borgogna Anselmo, il quale
adornato poi di molta vertude e sapienzia, fue priore
dopo lui
nel monastero di Bec. Sotto questo tempo fu
presa Gerusalem da' saracini e ricoverata da'
cristiani.
L'ossa di san
Niccolò furono traslatate a la
città di
Bari; del quale infra l'altre cose si legge che non
cantandosi ancora la
novella storia di san
Niccolò in
una chiesa, la quale si chiama santa Croce, sottomessa
a santa Maria di
Caritade, i frati pregavano
sollicitamente
il priore che fosse loro licito di
cantarla. Il quale,
non
assentendo per niuno modo, disse che
sconvonevole
cosa era rimutare il primo modo per alcune
novitadi.
Soprastando ancora i frati a
pregare, il priore indegnato
rispuose: "Partitevi da me, frati; mai non vi fia
data
per me questa licenzia che
novi
canti, anzi di trastullo
si
cantino ne la mia chiesa". Sì che vegnendo la
festa
sua, i frati con una cotale
tristizia
dicevano il mattutino;
e quando furono tutti tornati a letto,
ecco san
Niccolò
apparire visibilemente al priore molto terribile, e
prendendolo per li
capelli, del letto del
dormentoro il
misse a terra per lo
spazzo, e
cominciando l'
antefana
che
dice: "O pastore
eterno", per
ciascuna
differenzia
di
voce
cantando
adagio, per ordine il venne
battendo
sopra il
dosso,
dandoli gravissimi
colpi con verghe che
tenea da una mano; e così fece infino ch'ebbe
compiuto
l'
antefana. E 'l priore
isvegliando tutti i frati
con sue grida, fu riportato da loro come mezzo morto
a letto.
Finalmente ritornando a sé, disse: "
Andate,
e oggimai
cantate la storia di santo
Niccolaio".
In questo tempo uscirono
XXI monaci con l'
abbate
loro Ruberto del monasterio di
Molinens, e
accostarsi
a la
solitudine di Cestella per
mantenere più
strettamente
la perfezione de la loro regola, e ordinarono del
vecchio Ordine un
novello.
Ildebrando, priore di
Cluniate,
fu fatto Papa, e
postoli nome
Grigorio. Questi, essendo
cherico ne' minori ordini ed essendo mandato per legato
a Leone sopra Rodano,
convinse di
simonia l'
arcivescovo
d'
Ebron. Ché,
corrompendo questo
arcivescovo con
pecunia tutt'i suoi
accusatori e non potendo essere
convinto, il legato gli
comandò che dovesse
dire:
"Gloria
Patri et Filio et Spiritui Sancto". Ma quelli
diceva
bene speditamente:
"Gloria Patri et Filio" e non
potea
dire" et
Spiritui Sancto". Questo era perch'elli
avea peccato contra lo Spirito Santo. Il quale,
confessando
il peccato suo, sì tosto come fue
disposto, con
chiara
voce nominò lo Spirito Santo. Questo miracolo
racconta
Bonizzo nel
libro ch'elli mandòe a la
contessa
Matelda.
Morto
Arrigo quarto a Spira, e seppellito con gli
altri re, questo verso hanno gli
Arrighi nel loro
avello:
"Filius hic, pater hic, avus hic, proaves iacet istic".
A costui succedette
Arrigo ne gli
anni
Domini
MCVII, il quale prese il Papa co'
cardinali e,
lasciandoli,
tolse il
bastone, investitura di vescovi e de li
abbati per l'
anello e per lo pasturale. Sotto questo
tempo san Bernardo con li suoi
fratelli
entròe in Cestella.
Ne la parrocchia
Legense una troia partorìo un
porcello, ch'avea
faccia d'uomo; e 'l pulcino de
la
gallina nacque di
quattro maniere.
Lotario succedette ad
Arrigo, al cui tempo fu una
femmina in Ispagna che
parturìo una
contraffatta cosa,
cioè una
criatura ch'avea
doppio
corpo, il suo volto le
facce
averse e
accostate ne'
corpi. Dinanzi avea simiglianza
d'uomo, intero il
corpo e le
membra de l'uomo
distintamente, di dietro avea
faccia di
cane, intera la
propietade del
corpo e de le
membra.
Dopo costui regnòe
Currado ne gli
anni
Domini
MCXXXVIII. In quello tempo morìo Ugo di san Vittore,
dottore
eccellentissimo e sommo in ogni iscienzia e riligione
divoto. Del quale si racconta che, essendo
gravemente
infermo e non potendo ricevere
cibo veruno,
adomandava
perseverantemente che li fosse
dato il
corpo
del Signore. Allora i frati, vogliendo
pacificare la turbazione
di lui, sì li portarono semplicemente un'ostia a
modo del
corpo del Signore. La qualcosa quegli
conobbe
per ispirito, e disse: "Dio abbia misericordia di voi,
frati; perché m'
avete voluto
beffare? Questo non è
il Signore mio, quello che voi m'
avete
recato". Allora
quegli stupiditi sì li portarono il
corpo del Signore; ma
elli, veggendo che
nol potea ricevere, levò le mani al
cielo, e oròe in questo modo: "Salga il figliuolo al
padre e lo spirito a colui che 'l
criòe". E fra queste
parole rendette lo spirito a Dio, e 'l
corpo del Signore
disparve quindi.
Eugenio,
abbate di santo
Nastagio, fu fatto Papa; il
quale, scacciato di Roma in per quello che i sanatori n'aveano
fatto un altro, sì ne venne in Francia, e mandossi
innanzi Bernardo, il quale predicava la via di Dio e
facea molti miracoli.
Gilberto
Porrettano
fioriva in quello
tempo.
Federigo, nipote di
Currado, fue imperadore ne
gli
anni
Domini
MCLIV. Allora eziandio
fiorìo il maestro
Pietro Lombardo, vescovo di Parigi, il quale
compuose
il
libro de le Sentenzie e le
chiose del Salterio e de le
Pistole di san Paolo utilemente. In quello tempo furono
vedute tre
lune in
cielo e, nel mezzo, il
segno de la
Croce, e non passò guari tempo che furono veduti tre
soli. Allora
Alessandro fue
eletto in Papa regolarmente;
contra 'l quale furono eletti
Ottaviano e Giovanni di Renso,
cardinale di san
Calisto, e Giovanni
di Struma;
per
carta furono eletti in Pape l'uno dopo l'altro, ed
ebbero il
favore de lo 'mperadore. E
durò questa
divisione
XVIII anni; infra 'l quale tempo i tedeschi che
dimoravano a Toscanella per lo 'mperadore,
assalirono
i romani a Monte Porto, e uccisonne tanti da la nona
al vespro, che mai non ne furono morti tante milia,
avvegnadio ch'al tempo d'
Annibale ne furono tanti
morti, che
tre
cuofani fece il detto
Annibale
empiere
de li
anelli che trassero de le
dita de' nobili che erano
morti, e
mandolli a Cartagine. E
furonne seppelliti molti
a santo Stefano e a san Lorenzo, e
correvano gli
anni
Domini, quando fu questo,
MCLXVI.
Quando lo 'mperadore
Federigo ebbe
vicitato la Terra
Santa, lavandosi in uno
fiume, sì v'
affogò entro e morìo,
ovvero, come altri
dicono, che 'l
cavallo suo il
pinse
ne l'
acqua e ivi morìo. A costui succedette
Arrigo,
suo figliuolo, ne gli
anni
Domini
MCXC. In quello tempo
furono tante pioggie con saette e con tuoni, quante non
ricorda mai veruna
antichità d'uomini; però che da
cielo
cadevano con la pioggia mischiata pietre quadrate,
grosse come uova, le quali pietre guastarono gli
albori
e le vigne e le
biade e molti uomini uccisero. E furono
veduti
corbi e molti uccelli volando per
aria portare
carboni in bocca e
accendere le
case. Questo
Arrigo
sempre fue tiranno inverso la Chiesa di Roma, e però
morto lui,
Innocenzio papa terzo si
contrappuose che 'l suo
fratello
Filippo non fosse
promosso a lo 'mperio, e
accostossi
ad Ottone, figliuolo del
duca di
Sassonia, e
fecelo
incoronare ad
Aquisgrani in re de la Magna. In
quello tempo,
andando molti
baroni di Francia oltre mare
per liberare la Terra Santa, presero Costantinopoli. In
questi tempi
sollevarono gli Ordini de' Predicatori e de'
Minori la loro Regola.
Innocenzio terzo mandò
ambasciadori
a
Filippo, re di Francia, che dovesse
assalire
le terra de li
Albigesi e
distruggesse gli
eretici, e
feceli
tutti prendere e
ardere. A la perfine
Innocenzio
incoronòe
Ottone imperadore, e
domandolli
giuramento di salvare le
ragioni de la Chiesa; il quale venne in quello dì medesimo
contra il
giuramento e fece
ispogliare i romei. Laonde il
Papa lo scomunicòe e
dispuoselo de lo 'mperio. In quello
tempo
fiorìo santa
Elisabetta, figliuola del re d'Ungheria,
la quale fu moglie di
Langravio
di Turingia, la
quale infra gli altri infiniti miracoli
risucitòe
XVI morti
e rendé il lume ad un
cieco nato, com'è scritto di lei; e
dicesi che infino al
die d'oggi
esce l'olio del suo
corpo.
Disposto Ottone, fue
eletto
Federigo, figliuolo d'
Arrigo,
e fu incoronato da papa Onorio. Questi fece ottime
leggi per libertà de la Chiesa e contra gli
eretici. Questi
abbondòe di ricchezze e di gloria sopra tutti, ma
usolle
male in superbia; però che fu tiranno contra la Chiesa,
due
cardinali misse in pregione, fece prendere a'
Pisani li prelati che Gregorio n'avea
fatti venire al
Concilio, e però fu scomunicato da loro. A la perfine
morì Gregorio premuto da molte tribulazioni.
Innocenzio quarto, genovese, ragunò il
Concilio a
Lione sopra Rodano, nel quale
Concilio
dispuose lo 'mperadore.
Il quale
disposto e morto, vacòe lo 'mperio
infino al
MCCCVIIII.
cap. 177, Consacraz. chiesa
La sagra de la Chiesa tra l'altre
festivitadi è molto
solennizzata da la Chiesa; e però che
due sono le
chiese,
ovvero tempii, cioè la materiale e la spirituale, però
del
doppio sagramento di questo tempio tratteremo qui
brievemente. Intorno a la sagra del tempio materiale
tre cose sono da vedere. La prima si è perché si sagra;
la seconda, come si sagra; la terza, per quali cose si
contamina. E perché nel tempio sono
due cose che si
sagrano, cioè l'
altare e 'l tempio, però è prima da vedere
perché si sagra l'
altare, e poscia perché il tempio.
L'
altare si sagra a
tre cose. La prima si è ad offerere
il sagrificio del Signore, come
dice il Genesi,
VIII
capitolo: "
Edificòe
Noè l'
altare a
Domenedio, togliendo
di tutti gli uccelli e
animali mondi, e offerse sopra
l'
altare". Questo sagramento è il
corpo e 'l sangue di
Cristo, lo quale noi sagrifichiamo in memoria de la passione
di Cristo, secondo quello che ci
comandò
dicendo:
"
Fate questo in mia
ricordanza". Noi
avemo
tre memoriali
de la passione di Cristo
figurata ne le imagini,
e questa ha a fare quanto al vedere. Però che quella
imagine del
Crucifisso e l'altre imagini si fanno ne la
Chiesa per muovere a
ricordanza e a
devozione e
ammaestramento,
che sono quasi libri de' ladici. Il secondo
si è in parole, cioè la passione di Cristo predicata; e
questa ha a fare quanto a l'udire. Il terzo si è nel
sagramento, cioè la passione così
segnatamente
espressa
in questo sagramento, nel quale si
contiene veracemente
il
corpo e 'l sangue di Cristo, e
offeriscesi a noi; e questa
hae a fare quanto a l'
assaggiare. Che se la passione
di Cristo scritta
accende il nostro
affetto, e più quand'è
predicata, molto più
forte il
dee infiammare così
segnatamente
espressa in questo sagramento. La seconda cosa
si è a chiamare il nome di Dio, come
dice il Genesis,
XII capitolo: "
Edificòe
Abraam l'
altare a
Domenedio,
il quale gli
apparve e
chiamovvi il nome di Dio".
Questo
chiamamento ha a fare, come
dice
l'Apostolo ne
la Pistola prima a Timoteo, ovvero per
prieghi che si
fanno con
iscongiuramento per muovere i mali, ovvero
per orazioni che si fanno per
acquistare i
beni, ovvero
per
adomandamento che si fanno per ragunare
beni,
ovvero per
rendimenti di grazie che si fanno per
conservare
i
beni
avuti. Il
chiamamento che si
fae sopra
l'
altare, propiamente è detto
Messa, in per quello che
'l
celestiale messo, cioè Cristo, è mandato al Padre da
noi, acciò che
prieghi per noi. Onde dice Ugo da san
Vittore: "Quella Ostia sagrata può essere
chiamata
Messa,
però ch'ella trasmessa
è; primieramente è mandata
dal Padre a noi per la incarnazione, secondariamente
è mandata da noi al Padre per la passione. Simigliantemente
nel sagramento è mandato imprima dal Padre
a noi per santificazione, per la quale
comincia a stare
con noi, poscia da noi al Padre per offerta, per la quale
priega per noi. E nota che la
Messa si
canta in tre
lingue, cioè in grecesco, in giudea e in
latina, a rappresentare
la soprascritta de la Croce, ch'era fatta di
lettere grecesche e giudee e
latine. Anche è da notare
che ogne lingua
dee lodare
Domenedio; la quale s'intende
per queste tre lingue: la
latina sono i Vangeli e le
Pistole e le orazioni e 'l
canto; la
grecesca sono i
Chirie
eleison, Christe eleison, che si
canta
nove volte, acciò
che noi pervegnamo a i
nove ordini de gli
angeli; la
Giudea sono
Alleluia, Amen, Sabaoth e Osanna. La terza
cosa si è a
cantare, come
dice l'
Ecclesiastico nel
XLVII
capitolo: "
Diede loro
potenzia contra nemici, e fece
stare i
cantori dinanzi
dirimpetto a l'
altare, e nel suono
loro fece
dolci versi". E disse versi in plurale, però
che come
dice Ugo di san Vittore: "
Tre sono le maniere
de' suoni che fanno tre versi. Fassi suono con
toccamento, con
fiato e con
canto. A la
cetera s'appartiene
il
toccamento, a gli organi il
fiato, cioè vento,
a la
boce il
canto.
Assegnare si puote questa
concordanza
de' suoni a la
concordanza de'
costumi, se noi
volemo recare il
toccamento de la
cetera a le operazioni
de le mani, e 'l vento de l'organo a la
divozione
de la
mente, e 'l
canto de la
voce al
conforto de le
parole". E così: "Che giova a la
dolcezza de la
voce
sanza la
dolcezza del
cuore? Rompi la
voce, rompi la
volontade, tieni la
concordanza de le
voci, tieni la
concordanza
de'
costumi, acciò che per lo
essemplo ti
concordi
col prossimo tuo, per la
volontade con Dio, per
l'obbedienza al maestro". Ché queste tre maniere di
canti si reca a
tre
differenzie a l'Officio de la Chiesa,
com'è scritto nel
Mitrale de Officio, però che l'Ufficio
de la Chiesa sta in tre cose: in Salmi, in
canto, in lezioni.
La prima generazione di
canti è quello che si fa
con
toccamento de le
dita nel Salterio e in simiglianti
cose; e a quello s'appartiene lo
canto del Salmo: "Laudate
lui nel Salterio e ne la
cetera". La seconda è
quella che si fa nel
canto o ne la
voce; a questo s'appartiene
le lezioni, come
dice il Salmo: "
Cantate a
lui in
vociferazione". La terza è quella che si fa col
fiato, sì come ne la tromba; a questo s'appartiene il
canto, come
dice il Salmo: "Laudate lui nel suono de
la tromba".
Il tempio, ovvero chiesa, si sagra per
cinque
ragioni.
La prima si è acciò che 'l
diavolo e la sua
potenzia
ne sia
cacciata fuori; onde racconta san Gregorio nel
Dialago che,
sagrandosi una chiesa de li
ariani, la quale
era stata renduta a i
cristiani, ed essendovi a portare
le reliquie di santo
Sebastiano e di santa
Agata, il popolo
che v'era ragunato
sentirono subitamente tra ' piedi
loro andare scorrendo qua e là un porco, il quale
ricercando
le reggi de la chiesa, non
poté essere veduto da
neuno e misse grande maraviglia in tutti. La qualcosa
però mostròe
Domenedio, acciò che
a tutti fosse manifesto
che di quello luogo usciva il sozzo
abitatore.
La seguente notte ebbe grande
strofinamento nel tetto
de la chiesa, come s'alcuno
andasse girando in quella;
la seconda notte
crebbe ancora più grave suono; ma
la terza notte con tanto spavento fece risonamento come
se tutta quello chiesa fosse stata stravolta dal
fondamento.
Poscia rimase e non
apparve più quella inquietudine
de l'
antico nimico; ma per lo
spaventamento del
suono che fece, sì fu manifesto come
costrettamente
usciva del luogo ch'elli avea tenuto lungo tempo. Queste
sono parole di san Gregorio. Nel secondo luogo si sagra
acciò che siano salvi
coloro i quali
fuggono a quella.
Onde alcune
chiese poi che sono
consagrate, sono privilegiate
da i signori, che qualunque persona
fuggirà
ad essa, ch'
avesse
colpa, sì sia salvo. Onde dice il
decreto: "I
colpevoli di sangue
difende la Chiesa, acciò
che non perdano la vita e le
membra". E per ciò
fuggìo
Joab nel
Tabernacolo e prese il
corno de l'
altare. Nel
terzo luogo si sagra acciò che l'orazioni vi sieno entro
esaudite; e ciò fu significato nel terzo
libro de' Re,
VIII
capitolo, ove dice che Salamone, poi che il tempio fu
sagrato disse: "
Chiunque pregherà in questo luogo, tu
l'
esaudirai nel luogo del
Tabernacolo tuo in
cielo, e
quando
avrai
esaudito, sarai
misericordevole". E
adoriamo
ne le
chiese a la parte del levante; e ciò si fa
per tre
ragioni, come
dice
Damasceno nel quarto
libro,
capitolo V. L'una ragione si è per mostrare che noi
radomandiamo il paese nostro; la seconda si è per ragguardare
a Cristo
Crucifisso; la terza per mostrare che
noi
aspettiamo il giudice che
dee venire. E dice così in
quel
libro: "
Domenedio piantòe il paradiso ne l'oriente,
del qual luogo
isbandìo l'uomo
travalicatore, e
fecelo
abitare dinanzi al paradiso da l'occidente. Adunque noi
richeggendo l'
antico paese, ragguardando ad esso,
adoriamo
Dio a l'oriente. E 'l Signore
crucifisso ragguardava
a l'occidente, e così l'
adoriamo noi ragguardando
a lui; e
andando in
cielo ragguarda a l'oriente, e così
l'
adorarono gli
apostoli, e così verrà com'elli il videro
andare in
cielo. Sì che noi
aspettando lui,
adoriamo a
l'oriente". Queste sono parole di Giovanni
Damasceno.
Nel quarto luogo si sagra acciò che vi si rendano laude
a Dio. E ciò si fa in
sette ore
canoniche, cioè nel mattutino,
ne la prima, ne la terza e ne l'altre ore. E
avvegna che Iddio fosse da essere lodato a tutte l'ore
del
die, per tanto che la nostra infermità non
basta a
ciò fare, è ordinato che in queste
sette ore spezialmente
il lodiamo, però che queste
sette sono privilegiate da
l'altre in
certe cose. Ché ne la mezzanotte, quando il
mattutino si
canta, Cristo nacque e fu preso e schernito
da' giuderi. Ancora in questa ora spogliòe lo
'nferno.
Ché è detto nel Mitrale che ne la mezzanotte spogliò
lo 'nferno pigliando largamente: cioè che
risucitòe la
mattina anzi
die, ne la prima ora
apparve. Ancora s'
afferma
che
verrà ne la mezzanotte a giudicare. Onde
dice san
Geronimo: "Io
affermo che quello che gli
apostoli ne lasciarono, sia fermo che 'l
die de la
vilia
de la
Pasqua, anzi la mezzanotte, non sia licito di lasciare
che 'l popolo
aspetti l'
avvenimento di Cristo; e
poi che quello tempo sarà venuto, prendendo dinanzi la
sicurtade, non sia licito fare tutti i dì
festerecci". Adunque
in questa ora noi
cantiamo laude a Dio, acciò che
li
facciamo grazie del suo
nascimento e
prendimento
e liberamento de' santi Padri, e per
aspettare
sollicitamente
il suo
avvenimento.
Aggiungonsi anche le laudi
del mattutino, però che ne la mattina
profondòe quegli
de l'
Egitto nel mare e
criò il
mondo e risucitò da
morte. Sì come noi in quest'ora rendiamo laude a Dio,
acciò che noi non
profondiamo con quelli de l'
Egitto nel
mare di questo
mondo, e per
renderli grazia de la nostra
criazione e
risucitamento. Ne l'ora de la prima
Cristo
massimamente si riduceva al tempio, e 'l popolo
andava a lui in
fretta la mattina. Fu anche in quest'ora
menato dinanzi a Pilato. Ancora quando si rilevò,
apparve in quest'ora a le
femmine la prima volta.
Adunque quest'ora rendiamo grazie a Dio entro la chiesa,
acciò che noi seguitiamo
Jesù Cristo, e a Lui
risurgente
e
apparente rendiamo grazie, e per rendere a Lui, sì
come a principio di tutte le cose, i primi
frutti di quel
die. Ne l'ora de la terza Cristo fu
crocifisso con le lingue
de' giudei, e
fragellato a la
colonna da Pilato, e ancora,
come
dicono le storie,
colà dov'egli fu legato si mostrano
le
'nsegne del sangue sparto, e in questa cotale
ora fu mandato lo Spirito Santo. Ne l'ora de la sesta
fu
confitto ne la
croce co'
chiavelli, e furono le tenebre
per tutto il
mondo, acciò che 'l sole piangendo ne la
morte del Signore suo, sì si
coprisse con le sue veste
e per non
dare lume a
coloro che 'l
crucifiggevano
Domenedio.
E in questa cotale ora mangiò co'
discepoli il dì
de l'
Ascensione. Ne l'ora de la nona Cristo mandò fuori
lo spirito suo, e 'l
cavaliere gli
aperse il lato; la
compagnia
de li
apostoli a quest'ora usò d'andare a l'orazione,
e Cristo salette in
cielo. Per queste prerogative
lodiamo
Domenedio a quest'ora. Nel vespro Cristo
ordinò
ne la
cena il sagramento del
corpo e del sangue suo,
lavòe a'
discepoli i piedi, fu
disposto de la
croce e messo
nel monimento,
manifestossi a li
discepoli in
atto e
abito di pellegrino; e per queste cose rende la Chiesa
grazie a Cristo in quest'ora. Ne la
compieta Cristo
sudòe
gocciole di sangue; al monimento suo fu posta la guardia
e in quello si
riposòe, e rilevossi da
morte in quel
die; la sera
apparve a li
discepoli e
annunziò a loro
pace; e per queste cose rendiamo grazie a Dio. Queste
cose in che modo noi le
dobbiamo rendere a Dio, san
Bernardo il dice: "Frati miei, quando noi sagrifichiamo
sagrificio di laude
congiugnamo il
sentimento a le parole,
e l'
affetto
al senso, e l'allegrezza a l'affetto e
la maturitade a l'
allegrezza, e l'umiltade a la maturitade,
e la libertà a l'umiltade". Nel quinto luogo si sagra
acciò ch'iv'entro s'
apparecchino i sagramenti de la
Chiesa; onde la Chiesa
doventa come
taverna di Dio, ne
la quale i sacramenti sono
contenuti e apparecchiati.
Alcuni di quelli sacramenti s'
apparecchiano e
danno a
coloro che v'
entrano, sì come il
battesimo; alcuno
s'
apparecchia e
dà a
coloro che n'
escono, come se
l'olio santo; alcuni si
danno a
coloro che vi stanno
entro, e di questi cotali sono alcuni che li
apparecchiano,
e a costoro è
dato l'ordine; alcuni sono che sono
combattenti,
e di questi cotali sono alcuni che sottostanno a
la
battaglia, e a costoro è
data la penitenzia; alcuni
stanno
fermi, e a costoro è
dato
ardimento col quale
rinvigoriscano,
e questo è per la
confermazione; è
dato il
cibo per
sustentare, e questo è per lo prendere il
corpo
di Cristo; fassi eziandio
rimovimento di
pentimento,
acciò che non siano
abbattuti, e questo è per lo
congiugnimento
del matrimonio.
Nel secondo luogo è da vedere in che modo si sagra;
e prima
diremo de l'
altare, secondariamente de la chiesa.
A la
consegrazione de l'
altare
occorrono molte cose.
La prima si è che in
quattro
cantora de l'
altare si
fanno
quattro
croci con
acqua
benedetta; la seconda si
è che si gira l'
altare
sette volte; la terza si è che
s'
asperge l'
altare
sette volte con l'
acqua benedetta e
con l'isapo; la quarta si è che vi s'
arde dentro l'incenso;
la quinta che s'unge con la
cresima; la sesta
che si
cuopre di
mondi panni. E queste cose rappresentano
quelle che
debbono avere
coloro, i quali vanno a
l'
altare. Primieramente
debbono avere
caritade in
quattro
maniere, cioè che
amino Iddio e lor medesimi e gli
amici e li nemici. E questo signif
ica
croci in
quattro
cantora de l'
altare. E di questi
quattro
corni de la
caritade
è scritto nel Genesi,
XXVIIII capitolo: "Sarai
dilatata a l'oriente ch'al ponente e al settentrione e
al meriggio". Ovvero che però si pognono
quattro
croci
in
quattro
cantora de l'
altare a significare che Cristo
per la Croce
salvòe le
quattro parti del
mondo; ovvero
a significare che in
quattro modi
dovemo portare
Domenedio,
cioè nel
cuore per pensamento, ne la bocca
per
confessione, nel
corpo per mortificazione e ne la
faccia per
continua impressione. Nel secondo luogo
debbono
avere
cura e vigilanza; e ciò è significato ovvero
figurato per gli
attorniamenti; onde allora si
canta questo
canto: "Trovarmi li
vegghiatori
ecc
.".
Debbono avere
sollecitudine e vegghiare sopra la greggia loro; onde
Gilberto pone la nigligenzia del prelato tra le cose dal
ridere, e dice così: "È bene cosa da ridere, anzi è
maggiormente
pericolosa, lo
agguardatore
cieco, il
corridore
dinanzi
zoppo, il prelato negligente, il maestro
che non sa nulla, il
banditore mutolo". Ovvero che per
sette
attorniamenti de l'
altare sono significate
sette
meditazioni e
considerazioni, che noi
dovemo avere intorno
a
sette maniere de la virtù de l'umiltade di Cristo,
e per quelle spessamente
attorniare. La prima vertù si
è che essendo elli ricco,
diventòe povero; la seconda
si è che fu posto ne la mangiatoia; la terza che si sottopuose
a i
parenti; la quarta che sotto la mano del
servo inchinòe il capo; la quinta che
sostenne il
discepolo
ladro e traditore; la sesta che dinanzi al malvagio
giudice stette
cheto mansuetamente; la settima che oròe
per li suoi
crucifissori pietosamente. Ovvero che però
s'
attornia
sette volte a significare i
sette
viaggi di
Cristo. Il primo fu di
cielo nel ventre de la Vergine;
il secondo dal ventre ne la mangiatoia; il terzo da la
mangiatoia nel
mondo; il quarto dal
mondo ne la
croce;
il quinto da la
croce nel sepolcro; il
sesto del sepolcro
nel limbo; il settimo del limbo risuscitando nel
mondo
e tornando al
cielo. Nel terzo luogo
dee avere
ricordanza
de la passione di Cristo; e ciò è significato per l'
aspergimento
de l'
acqua. Però che
sette furono gli spargimenti
del sangue di Cristo. Il primo fu ne la
circuncisione;
il secondo ne l'orazione al Padre; il terzo nel
flagellare del
corpo; il quarto ne la
corona del capo;
il quinto nel
forare de le mani; il
sesto nel
conficcare
de' piedi; il settimo ne l'
aprire del lato. Questi
ispargimenti
del sangue furono
fatti con l'isapo de l'umilitade
e de la inestimabile
caritade; però che l'isapo è
un'
erba umile e
calda. Ovvero che però s'
asperge
sette
volte perché nel
battesimo si
danno i
sette
doni de lo
Spirito Santo. Nel quarto luogo
debbono avere l'orazione
fervente e
divota; la qual cosa è significata per
l'
ardere de lo 'ncenso. Però che lo 'ncenso hae in sé
leggerezza ovvero vertude di salire per la levitade del
fummo, e ha virtù di salire per la sua qualità, e di
costrignere
per la sua raccoglienza, e di
confortare perché
è di natura di spezie. E così l'orazione
sale ne la memoria
di Dio, e risalda l'
anima quanto a la
colpa passata,
accattandole la medicina; e
costringela quanto a
la
colpa che verrebbe,
accattandole la guardia;
confortala
quanto a la presente,
accattandole la
tutela.
Ovvero che si può
dire che la
devota orazione è significato
per lo 'ncenso, però ch'ella è a salire a
Domenedio,
come
dice lo
Ecclesiastico,
XXXV capitolo: "L'orazione
di colui che s'
aumilia passa il
cielo". Anche perché
hae a rendere odore a
Domenedio, come
dice ne l'
Apocalisso,
quinto
capitolo: "E
ciascuno avea
cetare e
guastade d'oro piene d'odore, che sono l'orazioni de'
santi". Anche hae ad uscire del
cuore infiammato come
dice l'
Apocalisso,
VIII capitolo: "
Dati sono molti incensi".
E poco più oltre dice: "Tolse l'
angelo il
torribole,
ed
empiello del
fuoco de l'
altare". Nel quinto
luogo
debbono avere
splendore di
coscienzia e odore di
buona
fama, e ciò è significato per la
cresima, che si
fa d'olio e di
balsamo.
Debbono dunque avere pura la
coscienzia, acciò che possano
dire con l'
Apostolo: "La
gloria nostra è questa: il testimonio de la
coscienzia
nostra". Anche
buona
fama; onde dice san Paulo ne
la prima Pistola a Timoteo, quarto
capitolo: "E
conviene
loro avere
buono testimonio da
coloro che sono di
fuori".
Dice Grisostomo: "I
cherici non
debbono avere
veruna
macchia né in parola, né in pensiero, né in
opera, né in
fama, però ch'elli sono
bellezza e vertude
de la Chiesa e, s'elli sono rei,
sozzan tutta la Chiesa".
Nel
sesto luogo
debbono avere
mondezza di
buona operazione;
e ciò è significato per li panni
bianchi e
mondi
de i quali l'
altare si
cuopre.
Però che l'uso de' vestimenti
fu trovato per coprirsi, riscaldarsi e ornarsi; così
le opere buone coprono la nudità de l'anima. Onde dice
l'
apocalisso, terzo
capitolo: "Vestiti di vestimenti
bianchi,
acciò che non
appaia la vergogna de la
nudezza
tua".
Ornano l'anima ad onestà, onde dice san Paolo
ne la Pistola a' Romani, capitolo XIII: "Rivestiamo
l'armi de la luce". Riscaldano infiammando a carità,
onde dice Giobbe, capitolo XXXVIII: "Non sono caldi
i suoi vestiti?" Però che poco varebbe chi
andasse
a l'
altare, s'elli
avesse somma
dignitade e
bassa vita.
Dice san Bernardo: "Mostruosa cosa è la sedia prima
e la vita
bassa, lo scaglione alto e lo stato disotto,
il volto grave e l'
atto lieve, il parlare molto e
frutto
nullo, l'
autorità grande e l'
animo non stabole".
Nel secondo luogo è da vedere de la chiesa in che
modo si sagra; e a ciò
occorrono più cose. Che 'l vescovo
la gira per tre volte, e a ogne volta, vegnendo
a la porta, picchia col pastorale e dice: "
Aprite, prencipi,
le porte vostre". E altre parole. Dentro e di fuori
si
bagna quella
cotal chiesa d'
acqua benedetta, ne lo
smalto de la chiesa si fa una
croce di
cennere e di
sabbia per traverso
canto de l'oriente insino al
cantone del ponente, e quivi si scrive l'
alfabeco di lettere
greche e
latine; ne le pareti de la chiesa si
dipingono
le
croci, e quelle
croci s'
alluminano e ungonsi di
cresima.
Sì che la prima cosa, cioè i tre giri, significano
i tre giri che fece Cristo per santificare la
detta chiesa.
Il primo giro fu del
cielo nel
mondo, il secondo fu
quando
discese del
mondo al limbo, il terzo fu quando
ritornando del limbo e risuscitando montòe in
cielo.
Ovvero che quelli tre giri si fanno a mostrare che
quella chiesa si sagra ad onore de la santa Trinità.
Ovvero che quelli tre giri significano i tre stati de la
Chiesa, i quali si
debbono salvare, ciò sono i vergini
e '
continenti e ' maritati, i quali sono significati per
la
disposizione de la chiesa materiale, sì come mostra
Riccardo da san Vittore: "Ché 'l santuario significa
l'ordine de le vergini, il
coro significa l'ordine de'
continenti, l'altra parte disotto significa l'ordine de'
maritati. Più stretto
è il santuario che 'l
coro, e più il
coro che l'altra parte de la chiesa, però che men sono
i vergini che i
continenti e meno i giusti che i maritati.
Più è santo il luogo del santuario che non è il
coro, e più è santo il
coro che non è l'altra parte de
la chiesa, però ch'è più nobile l'ordine de le vergini
che non è quello de'
continenti, e più è quello de'
continenti
che quello de' maritati". Queste son parole di
Riccardo. La seconda cosa, cioè le tre percussioni a la
porta, significano tre
ragioni che Cristo hae ne la Chiesa,
perché gli
debbia essere aperto. Ched ella è sua per
creazione, per ricomperamento e per
promessione di
glorificamento. Di queste tre
ragioni dice santo Anselmo:
"Certo, Signore mio, perché tu mi
facesti, io mi
debbo
dare tutto al tuo
amore; perché tu m'hai tanto
promesso, io mi ti
debbo tutto
dare, anzi
debbo a
l'
amore tuo tanto più che me medesimo, quanto tu
se' maggiore di me medesimo, per lo quale tu
desti te
medesimo, e al quale
promettesti te medesimo". I tre
gridare che fa quando dice: "Levate, principi, le porte
vostre" significano tre sue
potenzie, cioè nel
cielo,
nel
mondo e nel ninferno. Nel terzo luogo s'
asperge
d'
acqua dentro e di fuori, cioè d'
acqua benedetta, e
ciò si fa per tre
cagioni: l'una si è per
cacciare il
demonio, però che l'
acqua benedetta hae propia vertude
di
cacciare il
diavolo. Onde quando ella si
benedice,
dice il prete: "Acciò che tu sia fatta
acqua
benedetta a
cacciare via ogne podestà di nemico e a
svegliere e
ispiantare il detto nemico". E questa cotale
acqua benedetta sì si fa d'
aqua e di vino e di
sale e
di
cennere, però che
quattro sono quelle cose che
massimamente
cacciano lo nemico, cioè spargimento di
lagrime,
che s'intende per l'
acqua; spirituale
allegrezza,
che s'intende per lo vino;
matura
discrezione, che s'intende
per lo
sale, e profonda umiltà, che s'intende per
la
cennere. Secondariamente per purgazione de la
detta
chiesa s'
asperge l'
acqua. Tutte le cose de la terra per
o peccato sono
corrotte e macchiate, e però s'
asperge
d'
acqua benedetta questo luogo acciò che si purghi e
netti da ogne sozzura e da ogne
macchia. E quindi è
che nel Vecchio Testamento quasi tutte le cose si
mondavano per
acqua. Nel terzo luogo s'
asperge per
rimuoverne ogne maladizione; però che la terra al principio
del
mondo, ricevette la maladizione col
frutto suo,
però che del suo
frutto fu fatto lo 'nganno; ma l'
acqua
non fu sottoposta a veruna maladizione. Quinci è che
'l Signore mangiò del pesce, ma non si legge
nominatamente
che mangiasse de la
carne, se non se de
l'
agnello
pasquareccio per lo
comandamento de la legge,
e ciò fece per
darne
asemplo d'
astenerci alcuna volta
da le cose licite, e alcuna volta
mangiarle. Acciò dunque
che ogne maladizione sia rimossa e la
benedizione
c'
entri, però s'
asperge d'
acqua benedetta. Nel quarto
luogo sì si scrive l'
alfabeco in terra, e ciò rappresenta
la
congiunzione di
due popoli,
cioè del gentile e del
giudeo, ovvero la scrittura di
due Testamenti, ovvero
gli
articoli de la nostra fede. Però che quello
alfabeco
de le lettere greche e
latine fatte in
croce, rappresenta
l'unione del popolo pagano e del giudeo, fatta ne la
fede per la
croce di Cristo. Onde quella
croce è menata
d'
attraverso
cantone, d'oriente infino al
cantone del
ponente, a significare che quelli ch'era prima ritto è
fatto manco, e quelli ch'era nel capo è fatto ne la
coda, ed
e contra. Secondariamente rappresenta la scrittura
d'
ambi i Testamenti che furono
adempiuti per la
croce di Cristo; onde morendo elli disse: "
Compiuto
è". La
croce è menata per traverso, perché l'uno
Testamento si
contiene ne l'altro; però che la ruota
era ne la ruota. Nel terzo luogo rappresenta gli
articoli
de la fede; però che lo smalto è il
fondamento de
la nostra fede, le lettere che vi si scrivono suso sono
gli
articoli de la fede, de' quali sono
ammaestrati ne
la Chiesa li rozzi e
nuovi ne la
fe' de l'un popolo e
de l'altro, ma
debbasi riputare
polvere e
cennere, secondo
quello che disse
Abraam nel Genesi,
XVIII capitolo:
"Io parlerò al Signore, con ciò sia cosa ch'io
sia
polvere e
cennere". Nel quinto luogo sì si
dipignono
le
croci dentro a la chiesa, e ciò si fa per tre
ragioni.
L'una si è per spaventare le
demonia, acciò che le
demonia che ne sono
cacciate, veggendo il
segno de la
Croce,
abbiano
spaventamento e non v'
ardiscono d'
entrare.
Però ch'elli temono molto il
segno de la Croce;
onde dice Grisostomo: "
Ovunque le
demonia veggiono
il
segno de la Croce sì
fuggono, perché temono il
bastone,
ond'eglino ricevettoro la piaga". La seconda
ragione si è per mostrare il trionfo; però che le
croci
sono il gonfalone di Cristo e
insegne de la sua vittoria,
onde a mostrare che quel luogo è sottomesso a
la signoria di Cristo, però vi si
dipingono le
croci. E
cotale modo si tiene
appo la grandezza de lo 'mperio,
che quando alcuna volta
città gli è
data, sì vi si rizza
su il gonfalone imperiale. In
figura di ciò è scritto nel
Genesi che
Jacob la pietra, che s'avea messa sotto il
capo, si rizzòe in
titolo, cioè in
titolo di loda e di
ricordanza e di vittoria. Nel terzo luogo, cioè la terza
ragione, si è per rappresentare gli
apostoli, ché quelli
XII luminari che si pognono innanzi a le
croci significano
XII apostoli, i quali per la fede del
crocifisso
alluminarono tutto il
mondo. Sì che queste
croci s'
alluminarono
e ungonsi di
cresma, però che gli
apostoli
con la fede de la passione di Cristo
alluminarono tutto
il
mondo a
conoscere ed infiammarono ad
amare e
unsero a
splendore di
coscienzia, che significa per l'olio,
e a odore di
buona vita, ch'è significato per lo
balsimo.
De la terza cosa, cioè per cui è macchiata la Chiesa,
dovemo sapere che la
casa di Dio leggiamo macchiata
per tre persone: cioè per
Geroboam e per
Nabuzardam
e per
Antioco. Di
Geroboam si legge nel quarto
libro de'
Re, nel
XII capitolo, ched elli fece
due
vitelli, l'uno puose
in
Dan e l'altro in Bethel, ch'è detto
casa di Dio; e
questo fece per
avarizia, cioè per non tornare
il regno
a
Roboam. Per questo è significato che l'
avarizia de'
cherici
contamina molto la chiesa di Dio; la quale
avarizia
è molto
barbata ne'
cherici, onde dice
Jeremia,
IV capitolo: "Dal
piccolino insino al grande tutti vanno
dietro a l'
avarizia". E san Bernardo
dice: "Cui mi
darai tu del novero de' prelati, che non si studi più a
votare le
borse de' sudditi, ch'a
divegliere i vizii?"
I
vitelli sono i nepoti che pongono in Bethel, cioè ne
la
casa di Dio.
Macchiasi ancora la chiesa per
Geroboam,
cioè l'
avarizia de gli usurai e de'
rapitori,
quando se ne fa chiesa de la loro pecunia. Onde si
legge ch'uno usuraio
avendo fatto una chiesa d'usura
e di mal tolletto,
fuvvi invitato il vescovo con molte
preghiere a
sagrarla. Sì che
faccendo il vescovo con
gli suoi
cherici l'officio de la sagra, vidde dopo l'
altare
il
diavolo stare in
caffera in
abito di vescovo. Il
quale disse a quello vescovo: "Perché sagri tu la
chiesa mia? Or te ne rimani, però che
giurizione di
questa s'appartiene a me, per
ché quella è fatta d'usura
e di
rapina". Sì che
fuggendone fuori il vescovo spaventato
con i
cherici, immantanente il
diavolo con
grande
strepitio
distrusse la
detta chiesa. Di
Nabuzardam
si legge nel terzo
libro de' Re,
XXV capitolo,
ch'
arse la
casa di Dio.
Nabuzardam, cioè a
dire prencipe
de'
cuochi, significa
coloro che sono
dati a la
gola
e a la lussuria, i quali hanno fatto del loro ventre
uno loro
Domenedio, secondo che
dice l'
Apostolo: "Il
Domenedio de' quali è il ventre". In che modo il
ventre sia detto
Domenedio,
mostralo Ugo da san Vittore
nel suo
Claustrale, ove dice così: "Soglionsi
ordinare tempii a gli
dei, rizzare
altari, ordinare ministri
a servire, sagrificare pecore,
ardere incensi. E
così è la
cucina tempio a
Domenedio, la mensa è
l'
altare, i
cuochi sono li ministri, le pecore sagrificate
sono le molte
carni
cotte, il
fummo de lo 'ncenso è
l'odore de' sapori".
Il re
Antiochio, il quale fu superbissimo e
ambizioso,
sozzòe la
casa di Dio e
macchiolla, come si
legge nel primo
libro de' Maccabei, primo
capitolo:
"Per la qualcosa è significato che la superbia e l'
ambizione,
la quale regna ne i
cherici, i quali non
disiderano
di fare
prode ma di soprastare, molto
contaminano la
chiesa di Dio". De la cui superbia e
ambizione
dice
san Bernardo: "E vanno onorati
de· bene del Signore
loro, al quale Signore non ne rendono onore; onde è
quello che tu vedi tutto di
splendore di meretrice,
abito
di
buffone,
ornamento di re, onde viene l'oro ne i
freni e ne le
selle e ne li sproni; più splendono gli
sproni che gli
altari, e secondamente ch'è la Chiesa
macchiata per tre, così è stata sagrata per tre altri.
La sagra fece primieramente
Moisé; secondariamente
Salamone; poscia Juda
Maccabeo. Per la qualcosa è
dimostrato che nel sagrare la chiesa
dovemo avere
umilitade, la quale è
dimostrata per
Moisé, e
dovemo
avere senno e
discrezione, e questo ci è dimostrato per
Salamone; anche
dovemo avere la
confessione de la
vera fede, la quale s'intende per Giuda".
Nel secondo luogo è da vedere de la
consegrazione
del tempio spirituale, il quale siamo noi, cioè la
congregazione
di tutt' i
fedeli; il quale tempio è murato
di pietre vive, come
dice san Piero ne la sua prima
Pistola, secondo
capitolo: "Voi sì come pietre vive
siate
edificati sopra le
case spirituali". Anche è murato
di pietre pulite, onde si
canta: "Pietre pulite di
percussioni e di
pressure". Anche di pietre quadrate:
le
quattro latora de la pietra spirituale sono fede, speranza
e
caritade e l'opere che sono spirituali, per ciò
che come
dice san Gregorio: "Quanto tu
credi, tanto
speri, e quanto
credi e speri, tanto
ami,
quanto credi e
speri e ami, tanto
adoperi". In questo così fatto tempio,
l'
altare è il
cuore nostro, in sul quale si
debbono offerere
tre cose a
Domenedio. La prima si è
fuoco di perpetuale
amore, com'è scritto nel Levitico,
VI capitolo:
"Il
fuoco cioè de l'
amore sarà perpetuo, e mai non
verrà meno ne l'
altare", cioè in quello del
cuore. La
seconda si è incenso d'orazione odorifera, com'è scritto
nel primo
libro Paralipomenon,
VI capitolo: "
Aaron e '
suo' figliuoli
accresceranno lo 'ncenso sopra l'
altare
del sagrificio e de lo 'ncenso". La terza cosa si è
sacrificio de la giustizia, lo quale sacrificio sta ne
l'offerte di penitenzie, ne' sacrificii de l'
amore perfetto,
e ne'
vitelli de la
carne mortificata. Di questi dice il
Salmo: "Tu
accetterai sagrificio di giustizia, offerte e
sagrifici,
allor porranno sopra l'
altare tuo
vitelli". Ma
questo tempio
ispirituale, il quale siamo noi, sì si sagra
a
similitudine del tempio materiale. Primieramente il
sommo Pontefice, cioè Cristo, trovando serrato l'uscio
del
cuore nostro,
attornialo
tre volte, quando gli fa ricordare
il peccato del
cuore e de la bocca e de l'opera.
Di questi tre
attorneamenti
dice Isaia nel
XXIII capitolo:
"Prendi la
cetera", quanto al primo: "
attornia la
città", cioè del
cuore, quanto al secondo: "meretrice
data a
dimenticanza", quanto al terzo. Secondariamente
il detto uscio
chiuso del
cuore si percuote tre volte,
acciò che tu gli
apra. Ched elli percuote el
cuore col
colpo
del
beneficio e del
consiglio e del
flagello. De le quali
tre percussioni è iscritto ne i Proverbi, primo
capitolo,
quanto a' rei: "I' ho
distesa la mano". Questo è
quanto a i
beneficii donati: "
Avete
dispregiato ogne
mio
consiglio"; questo è quanto a le sante de'
consigli: "E
avete
annighittito le mie riprensioni";
questo è quanto a le
battiture ch'
ei
dà. Ovvero che
percuote tre volte quando muove la
forza de la ragione
a
conoscere lo peccato, e la
concupiscibile a
dolersene
e l'irascibile a
vendicarsene ed
abbominare il peccato.
Nel terzo luogo questo tempio spirituale de' essere imbagnato
d'
acqua dentro e di fuori tre volte. Questi tre
imbagnamenti sono tre
spandimento di
lagrime dentro,
o talora di fuori. Però che la
mente del santo uomo,
come
dice san Gregorio, ha gran
dolore
considerando
dove fue, dove sarà, dove è, e dove non è. Dove fue,
cioè nel peccato; dove sarà: nel giudicio; dove è: ne
la miseria; dove non è: ne la gloria. Sì che quando
sparge
lagrime o dentro o di fuori, cioè
considerando
ched e' fue nel peccato e di quello
dee rendere ragione
al giudicio, allora questo tempio è già
asperso d'
acqua
una volta. E quando sta
contrito a piangere per la
miseria ne la quale è, allora è imbagnato
due volte.
E quando getta
lagrime per la gloria ne la quale non
è, allora sparge l'
acqua
tre volte. Con questa
acqua
si
mischia vino e
sale e
cennere, però che con queste
lagrime
dovemo avere il vino di spirituale letizia e 'l
sale di
matura
discrizione e
cennere di profonda umiltà.
Ovvero che per lo vino innacquato s'intende l'umiltà
di Cristo, ch'egli ebbe in prendere
carne, però che 'l
vino innacquato è la parola umanata. Per lo
sale s'intende
la
santità de la vita sua, la quale è a tutti
condimento di religione. Per la
cennere s'intende la
sua passione. Sì che
di queste tre cose
dovemo
aspergere
lo
cuore nostro, cioè del
beneficio de la incarnazione,
per lo quale siamo tratti ad umiltade; e de
l'
essemplo de la sua
conversazione, per lo quale siamo
informati a
santitade e
ricordanza de la sua passione,
per la quale siamo commossi a la
caritade. Nel quarto
luogo sì si scrive in questo tempio del
cuore lo spirituale
alfabeco, ovvero la spirituale scrittura. Questa scrittura
che vi si scrive entro è in tre maniere, cioè
detti di cose
da fare, testimoni di
divini
beneficii proprii e
accusamento
di peccati. Di queste tre cose
di
ce san Paulo a'
Romani, secondo
capitolo: "Quando le genti che non
hanno legge fanno naturalemente quelle cose che sono de
la legge, e quelli che non hanno questa cotale legge,
elli medesimi sono a sé legge, i quali hanno l'opera de
la legge iscritta ne i
cuori loro". Ecco la prima cosa
rendendo testimonio la
coscienzia loro. Ecco la seconda:
"E fra loro medesimi i pensieri
accusanti". "Ovvero
difendenti" ecco la terza. Nel quinto luogo si
debbono
dipignere le
croci, cioè prendere l'
asprezze de la penitenzia,
le quali
debbono essere unte ovvero
alluminate
da
fuoco, imperò che non solamente sono da
sostenere
pazientemente, ma
allegramente, e ciò s'intende per
l'ugnere, e anche sono da
sostenere
ardentemente, e
ciò s'intende per lo
fuoco. Onde dice san Bernardo:
"Chi minaccia la paura, porta la
croce di Cristo
pazientemente;
chi fa
prode ne la speranza, porta volentieri;
ma chi
compie in
caritade, sì la
abbraccia
ardentemente". Anche
dice e' medesimo: "Molti
veggiono le
croci nostre, ma non veggiono l'unzioni nostre".
Qualunque
averà in sé queste cose sarà
veramente
tempio sagrato ad onore di Dio, e sarà
degno
che Cristo
abiti in lui per grazia, acciò che
finalmente
degni d'
abitare con lui per gloria.
Te, Deus, laudamus, Te Dominum confitemur.