Titolo
Questo
libro si chiama la
Nuova
cronica, nel quale
si tratta di più cose passate, e spezialmente dell'origine
e
cominciamento della
città di
Firenze, poi di tutte le
mutazioni ch'ha avute e avrà per gli tempi: cominciato
a compilare nelli
anni della incarnazione di Iesù Cristo
MCCC.
L. 1, cap. 1 rubr.Comincia il prolago, e il primo libro.
L. 1, cap. 1Con ciò sia cosa che per gli nostri antichi
Fiorentini
poche e nonn ordinate memorie si truovino di fatti
passati della nostra
città di
Firenze, o per difetto
della loro negligenzia, o per cagione che
al tempo
che
Totile
Flagellum Dei la distrusse si perdessono
scritture, io Giovanni cittadino di
Firenze, considerando
la nobiltà e grandezza della nostra
città
a' nostri
presenti tempi, mi
pare che si
convegna di raccontare
e fare memoria dell'origine e
cominciamento
di così famosa
città, e delle
mutazioni averse e
filici,
e fatti passati di quella; non perch'io mi senta sofficiente
a tanta opera fare, ma per dare materia
a' nostri
successori di nonn essere negligenti di fare memorie
delle notevoli cose che averranno per gli tempi
apresso noi, e per dare esemplo
a quegli che saranno
delle
mutazioni e delle cose passate, e le cagioni, e
perché; acciò ch'eglino si
esercitino adoperando le
virtudi e schifino i vizii, e l'aversitadi
sostegnano con
forte animo
a bene e stato della nostra repubblica. E
però io fedelmente
narrerò per questo
libro in piano
volgare,
a ciò che li laici siccome gli
aletterati ne possano
ritrarre frutto e diletto; e se in nulla parte ci
avesse difetto, lascio alla correzzione de' più savi. E
prima diremo onde fu il
cominciamento della detta
nostra
città, conseguendo per gli tempi infino che
Dio ne
concederà di grazia; e non sanza grande fatica
mi
travaglierò di ritrarre e ritrovare di più antichi
e diversi
libri, e
croniche e autori, le
geste e' fatti de'
Fiorentini compilando in questo; e prima l'orrigine
dell'antica
città di
Fiesole, per la cui distruzione fu la
cagione e 'l
cominciamento della nostra
città di
Firenze.
E perché l'
esordio nostro si cominci molto di
lungi, in raccontando in brieve altre antiche storie,
al
nostro trattato ne
pare di nicessità; e fia dilettevole e
utile e
conforto
a' nostri cittadini che sono e che saranno,
in essere virtudiosi e di grande operazione,
considerando come sono
discesi di nobile progenie e
di virtudiose genti, come furono gli antichi buoni
Troiani, e' valenti e nobili Romani. E acciò che
ll'opera
nostra sia più
laudebile e buona richeggio l'aiuto
del nostro Signore Iesù Cristo, per lo nome
del
quale ogni opera ha buono
cominciamento, mezzo, e
fine.
L. 1, cap. 2 rubr.Come per la confusione della torre di Babello si cominciò
ad abitare il mondo.
L. 1, cap. 2Noi troviamo per le storie della Bibbia e per quelle
degli
Asseriani che
Nembrotto il gigante fu il primo
re, overo rettore e ragunatore di congregazione
di genti; ch'egli per la sua forza e séguito signoreggiò
tutte le schiatte de' figliuoli di
Noè, le quali furono
LXXII; ciò furono
XXVII quelle che uscirono di
Sem il
primo figliuolo di
Noè, e
XXX quelle di Cam il secondo
figliuolo di
Noè, e
XV quelle di
Giaffet il terzo figliuolo
di
Noè. Questo
Nembrot fu figliuolo di
Cus
che fu figliuolo di Can il secondo figliuolo di
Noè. E
per lo suo orgoglio e forza si
credette contrastare
a dDio, dicendo che Idio era signore
del
cielo, e egli
della terra. E acciò che Dio non gli potesse più nuocere
per diluvio d'acqua, come avea fatto alla prima
etade, sì
ordinò di fare la
maravigliosa opera della
torre di
Babel. Onde Iddio, per
confondere il detto
orgoglio, subitamente mandò
confusione in tutti viventi,
e che operavano la detta torre fare; e dove tutti
parlavano una lingua, ciò era l'
ebrea, si
variaro in
LXXII diversi linguaggi, che l'
uno non intendea l'altro.
E per cagione di ciò rimase per necessità il lavoro
della detta torre, la quale era sì grande che girava
LXXX miglia, e era già alta
IIII.m passi, e grossa
M passi,
che ogni passo è braccia
III delle nostre. E poi
quella torre rimase per le
mura della grande
città di
Babbillonia, la quale è in Caldea, e tanto è
a ddire
Babbillonia quanto
confusione. E in quella per lo
detto
Nembrot e per gli suoi furono prima adorati
gl'idoli di falsi Idii. E fu cominciata la detta torre,
overo
mura di Babillonia,
VII.c anni apresso che fu il
Diluvio, e
MMCCCLIIII anni dal
cominciamento
del
secolo infino alla
confusione della torre di
Babello. E
troviamo che si penò
a ffare
anni
CVII: e le genti viveano
in que' tempi lungamente. E nota che in lunga vita,
avendo più
mogli, aveano molti figliuoli e discendenti,
e
multiplicaro in molto popolo, tutto fosse
disordinato e sanza legge. Della detta
città di Babillonia
fu prima re che cominciasse battaglie
Nino
figliuolo Beli, disceso d'
Ansur figliuolo di
Sem, il
quale
Nino
fece la grande
città di Ninive. E poi dopo
lui regnò
Semiramis sua moglie in Babillonia, che
fu la più crudele e dissoluta femmina
del
mondo, e
questa fu
al tempo da
Abraam.
L. 1, cap. 3 rubr.Come si dipartì il mondo in tre parti, e della prima
detta Asia.
L. 1, cap. 3Per cagione della detta
confusione
convenne di nicessità
che' tribi e le schiatte de' viventi ch'allora
erano
si dipartissero e abitassono diversi paesi. E la prima
generale partigione fu che in tre parti si divise il
mondo, per le schiatte de' primi tre figliuoli di
Noè.
La prima e maggiore parte si chiamò Asia, la quale
contiene quasi la metade e più di tutta la terra abitata,
cioè tutta la parte da levante, cominciando dal
mare
Occiano e Paradiso terrestro, partendosi dalla
parte di settentrione dal fiume di Tanai in Soldania
che mette foce in sul
mare Maggiore, detto per la
Scrittura
Pontico; e da la parte di mezzodì si parte e
confina
al
diserto che parte Soria da
Egitto, e per lo
fiume
del
Nilo che fa foce
a
Dammiata in
Egitto, e
mette capo nel nostro mare. Questa parte d'Asia
contiene più province in sé,
Camia, e
India, e Caldea,
e Persia, e
Asiria,
Mesopotania,
Media,
Erminia,
Giorgia, e
Turchia, e Soria, e molte altre province.
E questa parte abitaro i discendenti di
Sem, il
primo figliuolo di
Noè.
L. 1, cap. 4 rubr.De la seconda parte del mondo detta Africa, e de'
suoi confini.
L. 1, cap. 4La seconda parte si chiamò Africa, la quale da levante
comincia i suoi
confini dal sopradetto fiume
del
Nilo, dal mezzogiorno infino nel ponente
a lo
stretto di
Sibilia e di
Setta, cinta e circondata dal
mare
Uziano, che si chiama il
mare di Libia; e dal settantrione
confina col nostro mare detto
Mittaterreno.
Questa parte ha in sé
Egitto, Numidia,
Moriena,
e Barberia, e 'l Garbo, e 'l reame di
Setta, e più altre
salvatiche province e
diserti. Questa parte fu
popolata
per gli discendenti di Cam il secondo figliuolo di
Noè.
L. 1, cap. 5 rubr.Della terza parte del mondo detta Europia, e de'
suoi confini.
L. 1, cap. 5La terza parte
del
mondo si chiama
Europia, la
quale comincia i suoi
confini da levante dal fiume
detto Tanai, il qual è in Soldania, overo in
Cumania,
e mette nel
mare de la
Tana nominato dal detto fiume,
e quel
mare si chiama Maggiore; in sul qual
mare
e parte d'
Europia si è parte di
Cumania, Rossia, e
Bracchia, e
Bolgaria, e Alania,
stendendosi sopra
quel
mare infino in Costantinopoli; e poi verso il
mezzogiorno
Saloniche, e l'isole d'Arcipelago nel nostro
mare di
Grecia, e tutta
Grecia comprende infino
in
Accaia ov'è la Morea; e poi si
torce verso settantrione
il
mare detto
seno
Adriatico, chiamato oggi
golfo di Vinegia, sopra il quale è parte di
Romania
verso
Durazzo, e la Schiavonia, e alcuno capo d'Ungaria,
e
stendesi infino
ad Istria, e
Frioli, e poi
torna
alla Marca di Trevigi, e
a la
città di Vinegia; e poi
verso il mezzogiorno, agirando il paese d'Italia,
Romagna,
Ravenna, e la Marca d'Ancona, e
Abruzzi, e
Puglia, e vanne infino in Calavra
a lo 'ncontro
a
Messina, e l'isola di Cicilia; e poi tornando verso ponente
per la riva
del nostro
mare
a Napoli e
Gaeta
infino
a
Roma; e poi la Maremma e 'l paese nostro di
Toscana infino
a
Pisa e
Genova, lasciandosi allo
'ncontro l'isola di
Corsica e di Sardigna, conseguendo
la
Proenza, apresso la Catalogna, e
Araona, e l'isola
di
Maiolica, e
Granata, e parte di Spagna infino
allo
stretto di
Sibilia ove s'afronta con Africa in piccolo
spazio di
mare; e poi volge
a mano diritta in su
la riva di fuori
del grande
mare Uziano,
circundando
la Spagna, Castello, Portogallo e Galizia verso tramontana,
e Navarra, e Brettagna, e
Normandia, lasciandosi
allo 'ncontro l'isole d'Irlanda; e poi conseguendo,
Piccardia, e
Fiandra, ed e· reame di
Francia,
lasciandosi allo 'ncontro verso tramontana, in piccolo
spazio di partimento di
mare, l'isola d'Inghilterra,
che la grande Brettagna fu
anticamente chiamata, e
l'isola di Scozia con essa. E poi di
Fiandra conseguendo
verso levante e tramontana,
Isilanda, e
Olanda,
e
Frisinlanda,
Danesmarche,
Norvea, e Pollana,
conchiudendo in sé tutta Alamagna, e Boemia, e Ungaria,
e
Sassogna; e poi è
Gozia e
Svezia, tornando
in Rossia e
Cumania
al sopradetto
confine ove cominciammo
del fiume di Tanai. Questa terza parte
così
confinata ha in sé molte altre province infra terra
che non sono nominate in questo, e è
del tanto la
più
popolata parte
del
mondo, però che tiene
al
freddo, e è più temperata. Questa
Europia prima fu
abitata da' discendenti di
Giafet il terzo figliuolo di
Noè, come faremo
menzione apresso nel nostro trattato;
e eziandio secondo che racconta
Escodio maestro
di storie,
Noè in persona con
Iano suo figliuolo,
il quale ebbe poi che fu il Diluvio, ne vennero in
questa parte d'
Europia nelle parti d'Italia, e là finì
sua vita. E
Iano vi rimase, e di lui uscirono grandi signori
e popoli, e
fece molte cose in Italia.
L. 1, cap. 6 rubr.Come il re Attalante, nato di quinto grado di Giaffet
figliuolo di Noè, prima venne in Europia.
L. 1, cap. 6Intra gli altri principali, e che prima arrivasse in
questo nostro paese d'Italia, partendosi dalla
confusione
della torre
Babel, fu Attalante, overo
Attalo, il
quale fu figliuolo di
Tagran, o
Targoman, che fu figliuolo
di
Tirras, il quale fu figliuolo di
Gomer che
fu figliuolo primo di
Giaffet. Altri dottori iscrissono
che questo
Attalo fu de' discendenti di Can, il secondo
figliuolo di
Noè, in questo modo: che Can ingenerò
Cus, e
Cus ingenerò
Nembrot il gigante, onde è
fatta
menzione;
Nembrot ingenerò
Cres, che fu il
primo re e abitatore dell'isola di
Creti, che per suo
nome così fu nominata;
Cres ingenerò
Cielo, e
Cielo
ingenerò Saturno, e Saturno generò Iove e
Attalo. Di
questa nazione furono i re di
Grecia, e di
Latini, ma
non però il detto Attalante, overo
Attalo; anzi troviamo
che di Saturno nacque Iove, come
dice dinanzi, e
Tantalo: e quello Iove re di
Creti cacciò Saturno suo
padre
del regno, e venne bene Saturno in Italia, e
fece
la
città di Sutri, detta Saturna, e di lui discesono
poi i re di
Latini, come innanzi farà
menzione. Ma il
detto
Tantalo fu re in
Grecia, e troviamo ch'ebbe
grande
guerra con Troio re di Troia, e uccise
Ganimedes
figliuolo di Troio. Ma l'errore dello scrittore
fu di
Tantalo
ad
Attalo; ma la vera progenie fu da
Attalo, detto Attalante, come dicemmo dinanzi.
L. 1, cap. 7 rubr.Come il re Attalante prima edificò la città di Fiesole.
L. 1, cap. 7Questo Attalante ebbe una moglie ch'ebbe nome
Eletra. Questa
Eletra moglie d'
Attalo fu figliuola
d'
uno altro Attalante re, il quale fu de' discendenti
di Can, secondo figliuolo di
Noè. Quello Attalante
abitò in Africa giù nel ponente, quasi di contro
a la
Spagna; e per lui nominiamo prima il grande monte
ch'è là Monte
Attalante, che si dice ch'è sì alto che
quasi
pare tocchi il
cielo, onde i poeti in loro versi
feciono
favole che quello Attalante
sostenea il
cielo;
e ciò fu che fu grande astrolago. E sue
VII figliuole si
convertiro nelle
VII stelle
del Tauro, che volgarmente
chiamiamo
Galulle. L'una di quelle
VII sue figliuole
fu la sopradetta
Eletra moglie d'Attalante re di
Fiesole,
il quale Attalante con
Eletra sua moglie, con
molti che 'l seguiro, per agurio e
consiglio d'Appollino
suo astrolago e maestro, arivò in Italia nel paese
di
Toscana, il quale era tutto
disabitato di
gente
umana. E cercando per astronomia tutti i
confini
d'
Europia, per lo più sano e meglio
asituato luogo
che
eleggere si potesse per lui, sì si puose in sul monte
di
Fiesole, il quale gli parve forte per sito e bene
posto. E in su quello
poggio cominciò e
edeficò la
città di
Fiesole, per
consiglio
del detto Appollino, il
quale trovò per
arte di stronomia che
Fiesole era nel
migliore luogo e più sano che fosse nella detta terza
parte
del
mondo detta
Europia; imperò ch'egli è
quasi nel mezzo
intra'
due mari che
acerchiano Italia,
cioè il
mare di
Roma e di
Pisa che lla Scrittura
chiama
Mittaterrena, il
mare overo
seno
Adriatico,
che oggi s'appella il
golfo di Vinegia. E per cagione
de' detti mari e per le montagne che vi sono intorno
vi regnano i migliori venti e più sani e purificati che
in altra parte, e ancora per le stelle che signoreggiano
sopra quello luogo. E la detta
città fu fondata sotto
ascendente di tale
segno e pianeta che dà allegrezza
e fortezza
a tutti gli abitanti più che in altra parte
d'
Europia; e come più si
sale alla sommità
del monte,
tanto è più sano e migliore. E nella detta
cittade
ebbe
uno bagno, il quale era chiamato bagno reale,
che sanava molte infermitadi; e nella detta
cittade
venia per
maraviglioso
condotto delle montagne di
sopra
a
Fiesole acque di fontane
finissime e sane, onde
la
città avea grande abondanza. E
fece Attalante
murare la detta
città di fortissime
mura, e di maravigliose
pietre e grossezza, e con grandi e forti torri, e
una rocca in sulla sommità
del monte di grandissima
bellezza e fortezza, ove abitava il detto re, sì come
ancora si mostra e può vedere per le fondamenta
delle dette
mura, e per lo sito forte e sano. La detta
città di
Fiesole
multiplicò e
crebbe d'abitanti in poco
tempo, sicché tutto il paese e molto di lungi
a sé signoreggiava.
E nota ch'ella fu la prima
città
edificata
nella detta terza parte
del
mondo chiamata
Europia,
e però fu nominata
Fia sola, cioè prima, sanza altra
città abitata nella detta parte.
L. 1, cap. 8 rubr.Come Attalante ebbe tre figliuoli, Italo, e Dardano,
e Siccano.
L. 1, cap. 8Attalante re di
Fiesole, poi ch'ebbe fatta la detta
città, ebbe di
Eletra sua moglie tre figliuoli; il primo
ebbe nome
Italo, e per lo suo nome fu i· regno d'Italia
nominato, e ne fu signore e re; il secondo figliuolo
ebbe nome
Dardano, il quale fu il primo cavaliere
che cavalcasse cavallo con sella e
freno. Alcuni scrissono
che
Dardano fu figliuolo di Iove re di
Creti e figliuolo
di Saturno, come adietro è fatta
menzione;
ma non fu vero, però che Iove rimase in
Grecia, e'
suoi discendenti ne furo re e signori, e sempre nemici
de' Troiani; ma
Dardano venne d'Italia, e fu figliuolo
d'
Attalo, come la storia farà
menzione. E
Vergilio poeta il
conferma nel suo
libro dell'
Eneidos,
quando li
Dei dissero
ad
Enea che cercasse il paese
d'Italia, là ond'
erano venuti i suoi anticessori ch'
aveano
edificata Troia, e così fu vero. Il terzo figliuolo
d'
Attalo ebbe nome
Siccano, quasi in nostro
volgare
sezzaio, il quale ebbe una bellissima figliuola nomata
Candanzia. Questo
Siccano n'andò nell'isola di Cicilia,
e funne il primo abitatore, e per lo suo nome fu
prima l'isola chiamata
Siccania, e per la varietà di
volgari delli abitanti è oggi da lloro chiamata Sicilia e
da noi Italiani Cicilia. Questo
Siccano
edificò in Cicilia
la
città di
Saragosa, e
fecela capo
del reame ond'
elli fu re e' suoi discendenti apresso per grandissimo
tempo, come fanno
menzione le storie di Ciciliani, e
Virgilio nell'
Eneida.
L. 1, cap. 9 rubr.
Come Italo e Dardano vennero a concordia a cui
dovesse rimanere la città di Fiesole e il regno d'Italia.
L. 1, cap. 9Morto il re Attalante nella
città di
Fiesole, rimasero
apresso di lui signori
Italo e
Dardano suoi figliuoli;
e essendo
ciascuno di loro signori di grande
coraggio,
e che
ciascuno per sé era degno di signoreggiare
il regno d'Italia, sì vennero tra lloro in questa
concordia, che
dovessero andare con loro sacrificii
a
sacrificare il loro Idio alto Marti, il quale adoravano.
E fatti i sacrificii, il
domandarono quale di loro
dovesse
rimanere signore in
Fiesole, e quale di loro
dovesse
andare
a conquistare altri paesi e reami. Dal
quale idolo ebbono
risposto, o per commessione divina
o per artificio
diabolico, che
Dardano
dovesse
andare
a conquistare altre terre e paesi, e
Italo
dovesse
rimanere in
Fiesole e nel paese d'Italia.
Al quale
comandamento e risponso così
aseguiro, che
Italo
rimase nella signoria; e di lui nacquero grandi signori
che apresso di lui signoreggiaro non solamente la
città di
Fiesole e la provincia intorno, ma quasi tutta
Italia, e molte
città v'
edificaro; e la detta
città di
Fiesole
montò in grande
potenzia e signoria, infino
che lla grande
città di
Roma nonn ebbe stato e signoria.
E con tutta la grande
potenzia di
Roma, sempre
le fu la
città di
Fiesole nemica e ribella, infino
che per gli Romani non fu
disfatta, come innanzi farà
menzione la vera storia. Lasceremo di più dire
al
presente di
Fiesolani, ch'
a luogo e tempo torneremo
alla storia, e seguiremo come
Dardano si partì di
Fiesole,
e fu il primo
edificatore della grande
città di
Troia, e l'origine de' re di Troiani, ed eziandio di Romani.
L. 1, cap. 10 rubr.Come Dardano arrivò in Frisia, e edificò la città di
Dardania, che poi fu la grande Troia.
L. 1, cap. 10Dardano, com'ebbe comandamento dal risponso
del loro Idio, si partì di Fiesole con Appollino maestro
e astrolago del suo padre, e con Candanzia sua
nipote, e con grande séguito di sua gente, e arrivò
nelle parti d'Asia nella provincia che si chiamava Frigia,
per lo nome di Friga di discendenti di Giaffet
che prima ne fu abitatore; la quale provincia di Frigia
si è di là da la Grecia, passate l'isole d'Arcipelago,
in terra ferma, che oggi si signoreggia per li Turchi
e si dice Turchia. In quello paese il detto Dardano
per consiglio e arte del detto Apollino cominciò
ad edificare, e fece una città in sulla riva del detto
mare di Grecia, a la quale per lo suo nome puose nome
Dardania, e ciò fu III.mCC anni dal cominciamento
del secolo. E così fu Dardania chiamata mentre Dardano
vivette, e eziandio i figliuoli.
L. 1, cap. 11 rubr.
Come Dardano ebbe uno figliuolo ch'ebbe nome
Tritamo che fu padre di Troio, per lo quale la città di
Troia fu così chiamata.
L. 1, cap. 11Il quale Dardano ebbe uno figliuolo ch'ebbe nome
Tritamo: di Tritamo nacque Troio e Toraio; ma
Troio fu il più savio e valoroso, e per la sua bontà fu
signore e re de la detta città e del paese d'intorno, e
con Tantalo re di Grecia, figliuolo che fu di Saturno
re di Creti, onde facemmo menzione, ebbe grande
guerra. E poi dopo la morte del detto Troio, per la
bontà e senno e valentia che in lui era regnata, sì
piacque al figliuolo e agli uomeni della sua città che
per lo suo nome sempre la detta città fosse chiamata
Troia; e a la principale e maestra porta de la città,
per la memoria di Dardano, rimanesse il nome che
avea prima la città, cioè Dardania.
L. 1, cap. 12 rubr.De li re che furono in Troia; e come Troia fu la prima
volta distrutta al tempo del re Laumedon.
L. 1, cap. 12
Del sopradetto Troio, poi che fu morto, rimasono
tre figliuoli; il primo ebbe nome
Elion, il secondo
Ansaraco, il terzo
Ganimedes. Il detto
Elion
edificò
in Troia la mastra fortezza e castello reale di magnifica
opera, e per lo suo nome
Elion fu chiamato.
Del
detto
Elion nacque il re
Laumedon, e
Titonun che fu
padre di
Menone, overo
Menelao,
al cui tempo fu
distrutta Troia la prima volta per lo possente
Ercore,
il quale fu figliuolo della reina
Armene figliuola
del
re Laudan di
Creti, e co· llui
Iason figliuolo
Anson e
nepote
del re
Pelleus di
Polopense, e lo re
Talamone
di
Salamine. E ciò fu per cagione
del detto re
Laumedon,
ch'aveva vietato il porto di Troia
al detto
Ercore
e
Iason, e fatta loro onta e villania, e
volutoli
prendere e uccidere, quando
Iason andava
a l'isola
di
Colco ov'era il montone col
vello dell'oro, come
raccontano i poeti; imperò che 'l detto
Laumedon si
tenea per nemico di Greci, per cagione che 'l re
Tantalo
avea morto
Ganimedes suo
zio e figliuolo di
Troio, come innanzi faremo
menzione. E per la detta
antica
guerra, allora
rinnovellata, fu la prima distruzione
di Troia. E per loro fu morto il detto re
Laumedon
e molta di sua
gente, e distrussono e arsono
la detta
città di Troia. E 'l detto re
Talamone, che
al
detto conquisto fu molto
valoroso,
rubò e prese
Ansiona
figliuola
del detto re
Laumedon, e
menollasene
in
Grecia, e tennela per sua femmina, overo amica.
L. 1, cap. 13 rubr.
Come il buono re Priamo reedificò la città di Troia.
L. 1, cap. 13Apresso la detta prima distruzione di Troia Priamo
figliuolo
del re
Laumedon, il quale essendo giovane
non era allora in Troia, tornò poi con aiuto d'amici,
e rifece fare e ristorare di
nuovo la detta
città
di Troia di maggiore sito, e grandezza, e fortezza che
nonn era stata dinanzi, e tutta la
gente
del paese
d'intorno vi ricolse e
fece abitare, sì che in piccolo
tempo
multiplicò e
crebbe, e divenne delle maggiori
e più possenti
città
del
mondo; ché, secondo raccontano
le storie, ella girava
LXX de le nostre miglia con
popolo innumerabile. Questo re Priamo ebbe della
sua moglie
Eccuba più figliuoli e figliuole: il primo
ebbe nome
Ettor, il quale fu valentissimo
duca, e signore
di grande prodezza e senno; l'altro ebbe nome
Paris, e l'altro
Deifebo, e
Elenus, e 'l buono
Troiolus;
e
IIII figliuole,
Creusa moglie che fu d'
Enea, e
Cassandra, e
Polisena, e
Elionas, e più altri figliuoli
di più altre donne, onde la storia di Troia di loro fa
menzione, i quali tutti furono
maravigliosi in prodezza
d'arme. E apresso buon tempo, essendo la detta
città in grande e possente stato, e il re Priamo e' figliuoli
in grande signoria, Paris e
Troiolus suoi figliuoli,
e
Eneas suo nipote, e
Pollidamas co· lloro
compagnia, armarono
XX navi, e con quelle navicando,
arrivaro in
Grecia per vendicare la
morte e l'onta
de· re
Laumedon loro avolo, e la distruzione di
Troia, e ruberia di
Siona loro zia; e arrivaro ne regno
del re
Menelao fratello
del re
Talamone ch'avea
presa
Siona, il quale
Menelao avea per moglie
Elena,
la più
bella donna che allora fosse
al
mondo, la quale
era ita
a una festa di sacrificii in su una loro isola; e
veggendola Paris, incontanente innamorò di lei, e
presela per forza, e uccisono e rubaro tutti quegli
ch'erano
a la detta festa e in su quella isola, e tornarsi
a Troia. E per molti si dice che la detta reina
Elena
fu rubata in su l'isola che oggi è chiamata
Ischia, e la
terra
del re
Menelao era
Baia e
Pozzuolo, e 'l paese
d'intorno ove è oggi Napoli e Terra detta di Lavoro,
che in quegli tempi era abitata da' Greci e detta la
Grande
Grecia. Ma per quello che troviamo per le
vere storie, quella isola ove fu presa
Elena fu
Citerea,
che oggi si chiama il
Citri, la quale è in
Romania incontro
a
Malvagia nel paese d'
Accaia detto oggi la
Morea; e la detta
Elena fu
serocchia di Castor e di
Polluce onde i poeti fanno versi.
L. 1, cap. 14 rubr.Come Troia fu distrutta per gli Greci.
L. 1, cap. 14Per la detta ruberia di
Elena il re
Menelao co· re
Talamone e col re
Agamenone suo fratello, ch'allora
era re di Cicilia, con più altri re e signori di
Grecia e
di più altri paesi, fecero lega e congiura di distruggere
Troia, e raunarono
M navi con grandissima
moltitudine
di genti d'arme
a cavallo e
a piè, e con esse arrivaro
e puosono assedio
a la grande
città di Troia.
Al quale assedio stettero per tempo di
X anni,
VI mesi,
e
XV dì; e dopo molte aspre e diverse battaglie, e
uccisione e tagliamento di
gente dall'una parte e dall'altra,
e 'l buono
Ettor con più de' figliuoli
del re
Priamo furono morti in battaglia. La detta
città di
Troia per
tradimento fu presa da' Greci, e di notte
v'
entraro e rubarla, e misero
a fuoco e fiamma, e il
detto re Priamo uccisero, e quasi tutta sua famiglia, e
di cittadini in grande quantità, sì che pochi ne scamparo.
De la quale distruzione Omero poeta, e
Virgilio,
e Ovidio, e
Dario, e più altri savi (chi gli vorrà
cercare) ne fecero compiutamente
menzione in versi
e in prosa; e ciò fu
anni
CCCCXXX anzi che si cominciasse
Roma, e
IIII.mCCLXV anni dal
cominciamento
del
mondo, e nel tempo che
Abdon era iudice
del
popolo Israel. Di questa distruzione di Troia
seguì
quasi
a tutto il
mondo grandi
mutazioni, e molti
principi di reami usciro delli
scampati Troiani, siccome
innanzi faremo
menzione.
L. 1, cap. 15 rubr.
Come i Greci che ssi partirono dall'asedio di Troia
quasi tutti arrivarono male.
L. 1, cap. 15Distrutta Troia, i Greci che si partiro dall'asedio,
la maggiore parte, arrivaro male, chi per fortuna di
mare, e chi per discordie e guerre tra lloro. Lasceremo
ora di ciò, e diremo di Troiani che scamparo di
Troia come arrivaro, acciò che seguiamo nostra storia,
mostrando l'origine di cominciamenti di Romani
e poi di noi Fiorentini, come dinanzi promettemmo
di narrare.
L. 1, cap. 16 rubr.Come Elenus figliuolo del re Priamo co' figliuoli
d'Ettor si partì di Troia.
L. 1, cap. 16Intra gli altri che scamparo e si partiro di Troia fu
Elenus figliuolo del re Priamo, che non era uomo
d'arme, e con Eccuba sua madre, e Cassandra sua serocchia,
e con Andromaca moglie che fu di Ettor, e
con due figliuoli d'Ettor piccoli garzoni, e con più
genti che gli seguiro, arrivaro in Grecia nel paese di
Macedonia, e quivi ricevuti da' Greci popolaro il
paese e fecero città; che Pirro figliuolo d'Acchille signore
del paese prese per moglie Andromaca, moglie
che fu d'Ettor di Troia, e di loro usciro poi
grandi re e signori.
L. 1, cap. 17 rubr.
Come Antinoro e Priamo il giovane partiti di Troia,
edificaro la città di Vinegia, e quella di Padova.
L. 1, cap. 17Un'altra
gente si partì de la detta distruzione: ciò
fu
Antinoro che fu uno de' maggiori signori di Troia
e fu fratello di Priamo e figliuolo
del re
Laumedon, il
quale fu incolpato molto
del
tradimento di Troia, e
Eneas il sentì, secondo che scrive
Dario; ma
Virgilio
al tutto di ciò lo scolpa. Questo
Antinoro con Priamo
il giovane, figliuolo
del re Priamo, ch'era piccolo
fanciullo, e scampò della distruzione di Troia con
grande séguito di genti, in numero di
XII.m, e grande
navilio per
mare navicando, arrivaro nelle contrade
ov'è oggi Vinegia grande
città, e in quelle isolette
d'intorno si puosero, acciò che fossero franchi e fuori
d'ogni altra iurisdizione e signoria d'altra
gente, e
di quegli scogli furo gli primi abitatori; onde,
crescendo
poi, si
fece la grande
città di Vinegia, che prima
ebbe nome
Antinora per lo detto
Antinoro. E
poi il detto
Antinoro si partì di là e venne
ad abitare
in terra ferma ove è oggi Padova la grande
città, e elli
ne fu il primo abitatore e
edificatore; e Padova le
puose nome perch'era infra paduli, e per lo fiume
del
Po che vi corre assai presso, che si chiamava
Pado.
Il detto
Antinoro morì e rimase in Padova, e infino
al presente nostro tempo si ritrovò il corpo e la
sepoltura sua con
lettere
intagliate, che faceano testimonianza
com'era il corpo d'
Antinoro; e da' Padovani
fu
rinnovata sua
sepultura, e ancora oggi si vede in Padova.
L. 1, cap. 18 rubr.Come Priamo il terzo fu re in Alamagna e' suoi discendenti
re di Francia.
L. 1, cap. 18Priamo il terzo, figliuolo di quello Priamo che con
Antinoro avea
edificata Vinegia, si partì con grande
gente
del detto luogo e
andonne in
Pannonia, cioè
Ungheria, e nel paese detto
Siccabar; e così la nominaro
e
popolaro di loro
gente, e per la prodezza e
virtù
del detto Priamo ne fu re e signore. Questa
gente erano chiamati
Galli, overo Gallici, perch'erano
biondi; e stettono nel detto luogo lungo tempo,
infino
a la signoria di Romani, quando signoreggiavano
la Germania, cioè Alamagna, infino
al tempo
che regnava
Valentiniano imperadore intorno gli
anni
di Cristo
CCCLXVII. Allora il detto imperadore
per cagione che' detti Galli li ataro conquistare una
gente
che aveano nome
Alani, i quali s'erano rubellati
dallo 'mperio di
Roma, e per la loro forza li sottomisero
a lo 'mperio, il detto imperadore li
fece franchi
X anni
del tributo che
doveano dare
a' Romani, e
d'allora innanzi furono chiamati
Franchi, onde poi
derivò il nome de' Franceschi. E
a quello tempo era
loro signore uno ch'avea nome Priamo, disceso per
lignaggio
del primo Priamo che venne in Siccambra.
E morto
Valentiniano imperadore, e compiuti i detti
X anni, i detti chiamati Franchi rifiutaro di dare il tributo
allo 'mperio, e per loro
fierezza si rubellaro da'
Romani, e feciono loro signore
Marcomene figliuolo
del detto Priamo, e uscirono
del loro paese Siccambra,
e
entrarono in Alamagna, e in quella conquistaro
città e castella assai tra 'l fiume
Danubio e
quello
del
Reno, le quali erano alla signoria di Romani;
e d'allora innanzi gli Romani non v'ebbono libera
signoria. E 'l detto
Marcomene regnò nella Magna
XXX anni, ma ancora erano pagani. Apresso lui fu re
di Franchi
Ferramonte suo figliuolo, il quale per forza
d'arme
entrò nel reame che oggi si chiama
Francia,
e tolselo
a' Romani. E per lo loro nome in
latino
fu chiamata Gallia, e in comune
volgare
Francia, e
gli uomini Franceschi, derivato dal sopradetto nome
di Franchi; e ciò fu nelli
anni di Cristo intorno
CCCCXVIIII.
L. 1, cap. 19 rubr.Come Ferramonte fu il primo re di Francia, e' suoi
discendenti apresso.
L. 1, cap. 19
Ferramonte primo re di
Francia regnò
XL anni.
Apresso lui regnò
Clodius, overo
Clodoveo il
Capelluto,
suo figliuolo
XVIII anni, e prese la
città di Cambragio
e 'l paese d'intorno che teneano li Romani, e
cacciolli infino
al fiume di
Somma in
Francia. Apresso
lui regnò
Meroveo suo figliuolo
X anni, e molto
avanzò il suo reame. Apresso lui regnò
Elderigo suo
figliuolo
XXVI anni; ma per lo suo male
reggimento,
usando sua vita in lussuria, fu cacciato da' baroni, e
toltali la signoria, e fuggissi nel
Reno
al re
Bazin, e là
dimorò in
esilio
VIII anni; poi fu
rappellato da' Franceschi.
E ebbe uno figliuolo chiamato
Clovis, il quale
presso lui regnò
XXX anni, e fu uomo di grande
valore,
che conquistò Alamagna, e
Cologna e poi in
Francia
Orliens e Sassona, e tutte le terre che teneano
i Romani. E fu il maggiore e il più possente de'
suoi anticessori, e fu il primo re di
Francia che fosse
cristiano per
conforto della sua moglie chiamata
Croceia, la quale era
cristiana. E essendo il detto
Clovis asembiato
ad una battaglia contra
a li Alamanni,
si
botò
a Cristo, s'egli avesse vittoria per lo
suo nome, si farebbe egli e sua
gente Cristiano; e per
virtù di Cristo così avenne, onde si battezzò per mano
di santo
Remigio arcivescovo di
Rens; e nel battesimo
dimenticando la
clesima, venne visibilemente
da
cielo una colomba che in becco l'adusse
al beato
Remigio; e ciò fu gli
anni di Cristo
Vc. Apresso il detto
Clovis detto
Clodoves regnò
Lottieri suo figliuolo
V anni, e apresso
Lottieri regnò
Chelperiche suo figliuolo
XXIII anni. Questi fu fatto uccidere da la moglie
chiamata
Fredegonda
crudelissima; rimase di lui
uno piccolo figliuolo di
IIII mesi, il quale ebbe nome
Lottieri, e regnò
XLII anni. Apresso di lui regnò
Godoberto
suo figliuolo
XIIII anni. Questi
fece fare la
chiesa di Santo Dionigi in
Francia. Apresso lui regnò
Clovis suo figliuolo
XVII anni. Questi fu di
mala vita,
e molto abassò il reame; ebbe
III figliuoli,
Lottieri,
Tederigo, e
Elderigo. Apresso
Clovis regnò
Lottieri
suo primo figliuolo
III anni. Poi fu re
Tederigo suo
fratello
I anno, e fu
disposto
del reame da' suoi baroni
per sua misera vita, e
rendési monaco
a San
Donnisi;
e feciono re
Elderigo terzo fratello, il quale regnò
anni
XII. E morto
Elderigo, fu tratto della
badia
di San
Donnigi
Tederigo monaco, e rifatto re, e regnò
poi
XII anni, con tutto che poco si sapesse intramettere
del reame; anzi il governava uno grande barone
di
Francia suo balio ch'avea nome
Ertaire. Ma
il primo
Pipino, il quale era de' maggiori signori di
Francia figliuolo d'
Ancherse, e, per lo suo podere,
veggendo male governare il reame, e per essere signore
e balio
del regno, sì combatté col detto
Tederigo
re e con
Ertaire suo balio, e sconfissegli in battaglia,
e uccise il detto
Ertaire, e
Tederigo re mise in
pregione, e vivette
III anni. E dopo la sua
morte fu
fatto re
Crovis suo primo figliuolo, e regnò sotto il
governo di
Pipino, che di tutto era balio sovrano,
IIII anni.
E dopo lui regnò
Ideberto fratello
del detto
Clovis
XVIII anni. E poi regnò
Dangoberto suo secondo
figliuolo
IIII anni. E poi regnò
Lottieri il quarto
suo figliuolo
due
anni. E tuttora
a la signoria de'
detti re era
Pipino sovrano balio e governatore di
tutta
Francia, e fu mentre che fu in vita. E poi regnò
Cilpericche figliuolo
del detto
Lottieri
V anni, e suo
generale balio fu
Carlo Martello figliuolo
del primo
Pipino, il quale ebbe della sua amica,
serocchia di
Dodone
duca d'
Equitania. Questo
Carlo Martello fu
uomo di grande
valore e
potenzia, bene
aventuroso
in battaglia: e conquistò tutta Alamagna, Soavia, e
Baviera, e Frigia, e
Lotteringia, e recolli sotto il reame
di
Francia.
Del sopradetto
Cilpericche fu uno figliuolo
chiamato
Tederigo, il quale regnò
XV anni
al
governo
del detto
Carlo Martello. Apresso lui regnò
Elderigo suo figliuolo
VIIII anni; ma nonn avea se
non il nome, e
Carlo la signoria. E poi, morto
Carlo
Martello, il secondo
Pipino figliuolo
del detto
Carlo
fu sovrano balio
del reame come era stato il padre.
Ilderigo re essendo uomo di poco
valore, con volontà
del
papa Stefano ch'allora regnava, per molti
servigi
fatti per lo detto
Pipino
a santa Chiesa, e per
Carlo
Mattello suo padre, come innanzi farà
menzione,
e con volontà di tutti gli baroni di
Francia, il detto
Ilderigo re, sì come uomo disutile
al reame, fu
disposto
de la signoria, e
rendési monaco, e morì sanza
figliuoli, e in lui
fallì il primo lignaggio de' re di
Francia della schiatta di Priamo. E
disposto il detto
Ilderigo re, come detto è di sopra, fu consegrato re
di
Francia per lo detto
papa, e con volontà de' baroni,
il buono
Pipino; e fu fatto
dicreto per lo
papa che
mai non potesse essere re di
Francia altri che di suo
lignaggio; e ciò fu gli
anni di Cristo
VII.cLI.
L. 1, cap. 20 rubr.
Come il secondo Pipino padre di Carlo Magno fu re
di Francia.
L. 1, cap. 20Del sopradetto re Pipino discese il buono Carlo
Magno suo figliuolo, il quale fu re di Francia e imperadore
di Roma; e apresso lui furono VI suoi discendenti
imperadori di Roma, e più re di Francia, come
innanzi faremo menzione, ove tratteremo del detto
Carlo Magno e di suoi discendenti; ma per la loro
discordia fallì loro lo 'mperio, e eziandio il diritto
stocco reale di Carlo Magno venne meno al tempo
d'Ugo Ciappetta duca d'Orliensa, il quale fu poi re
di Francia, e sono ancora i suoi discendenti. Onde
noi in questo in brieve, quando fia tempo, ne tratteremo,
imperò che la loro signoria si mischia molto
ne' nostri fatti della città di Firenze, come innanzi faremo
menzione. Lasceremo di Franceschi, e torneremo
adietro a la vera storia d'Enea di Troia, onde discesono
gli re e poi gl'imperadori romani, tornando
a nostra materia poi della edificazione di Firenze fatta
per gli Romani.
L. 1, cap. 21 rubr.Com'Eneas si partì di Troia e arrivò a Cartagine in
Africa.
L. 1, cap. 21Ancora si partì de la detta distruzione di Troia
Eneas con
Anchises suo padre e con
Ascanio suo figliuolo
nato di
Creusa figliuola
del grande re Priamo,
con séguito di
III.mCCC uomini de la migliore
gente di Troia, e
ricolsonsi in su
XXII navi. Questo
Enea fu della schiatta reale di Troiani in questo modo:
che
Ansaraco figliuolo di Troio e fratello d'Ilion,
onde
al
cominciamento è fatta
menzione, ingenerò
Daphino, e
Daphino ingenerò
Anchises, e
Anchises
ingenerò
Enea. Questo
Enea fu signore di grande
valore,
savio, e di grande prodezza, e bellissimo
del
corpo. Quando si partì di Troia co' suoi, con grande
pianto, avendo perduta
Creusa sua moglie
a lo
stormo
de' Greci, sì n'andò prima
all'isola di
e sacrificio
fece
ad
Appollo Idio
del sole, overo idolo, domandando
consiglio e risponso in quale parte
dovesse
andare; dal quale ebbe risponso e
comandamento
che
dovesse andare nel paese e terra d'Italia, là onde
prima erano venuti
a Troia
Dardano e' suoi anticessori,
e
dovesse
intrare in Italia per lo porto, overo foce,
del fiume d'Alba; e
dissegli per lo detto risponso
che dopo molte
fatiche di
mare e battaglie nella detta
terra d'Italia avrebbe moglie e grande signoria, e
della sua schiatta sarebbono possenti re imperadori,
i quali farebbono grandissime e notabili cose. Udito
ciò,
Enea fu molto
riconfortato per la buona
risposta
e promessa: incontanente si mise in
mare con sue
genti e navile, il quale navicando per più tempo ebbe
di molte
fortune, e arrivò in molti paesi, e prima nella
contrada di Macedonia ove erano già
Elenus, e la
moglie, e 'l figliuolo d'
Ettor; e dopo la
dolorosa accoglienza
per la
ricordanza della ruina di Troia, si
partiro. E navicando per diversi mari, ora innanzi, e
ora adietro, o
a traverso, come
gente ignoranti
del
paese d'Italia, né grandi maestri né
pedoti di
mare
non aveano co· lloro che gli guidasse, anzi navicavano
quasi come la fortuna e' venti
del
mare gli menava, sì
arrivaro nell'isola di Cicilia, che' poeti chiamano
Trinacia,
e dove è oggi la
città di
Trapali iscesono in
terra; nel quale luogo
Anchises suo padre per molta
fatica e vecchiezza passò di questa vita, e nel detto
luogo fu soppellito
a lloro maniera con grande solennità.
E dopo il grande corrotto fatto per
Enea
del
caro
padre, di là si partirono per arrivare in Italia: e
per grande fortuna di
mare si dipartiro la detta conserva
delle
navi, e l'una tenne una
via, e l'altra un'altra.
E l'una delle dette
navi con tutta la
gente profondò
in
mare, l'altre arrivaro
a li
liti d'Africa, non
sappiendo l'una dell'altra, là
dove si facea la nobile
città di Cartagine per la possente e
bella reina
Dido
venuta là di Sidonia, che oggi si chiama Suri; la quale
il detto
Enea, e
Ascanio suo figliuolo, e tutta sua
gente delle
XXI navi che
a quello porto si ritrovaro la
detta reina
acolse con grande onore, e
maggiormente
perché la detta reina di grande amore fu presa di
Enea incontanente che 'l vide, per modo che per lei
vi dimorò
Enea più tempo in tanto diletto, che non
si ricordava
del
comandamento degli
Dei che
dovesse
andare in Italia; e per
sogno, overo visione, per gli
detti Iddei gli fu comandato che più non
dovesse dimorare
in Africa. Per la qual cosa subitamente con
sua
gente e navilio si partì di Cartagine; e però la
detta reina
Dido per lo
smaniante amore
colla spada
del detto
Enea ella medesima sé uccise. E chi questa
storia più pienamente vorrà trovare
legga il primo e
secondo
libro dell'
Eneida che
fece il grande poeta
Virgilio.
L. 1, cap. 22 rubr.Come Enea arrivò in Italia.
L. 1, cap. 22Partito
Enea d'Africa, ancora
capitò in Cicilia, là
dove avea soppellito il padre
Anchises, e in quello
luogo
fece l'anovale
del padre con grandi giuochi e
sacrificii, e ricevettono grande onore da
Anceste allora
re di Cicilia, per lo antico parentado di Troiani
discendenti di
Siccano di
Fiesole. Poi si partì di Cicilia
e arrivò in Italia nel
golfo di
Baia, che oggi si chiama
Mare Morto,
al capo di Miseno, assai presso dov'
è oggi Napoli; ne la quale contrada avea boschi e
selve grandissime, e per quelle andando
Enea, per
fatale guida della Sibilla
Erittea
menato fu
a vedere
l'inferno e le pene che vi sono, e poi il limbo; e secondo
che racconta
Virgilio nel
VI libro dell'
Eneida,
vi trovò e conobbe l'ombre, overo imagini dell'anima
del suo padre
Anchises, e di
Dido, e di più altre anime
passate. E per lo detto suo padre gli fu mostrato,
overo per visione
notificato, tutti i suoi discendenti e
loro signoria, e quelli che
doveano fare la grande
città
di
Roma. E dicesi per gli più che in quello luogo
ove fu per la savia Sibilla
menato fue per le diverse
caverne di Monte Barbaro il quale è sopra
Pozzuolo,
che ancora
al
dì d'oggi sono maravigliose e paurose
a
riguardare; e altri avisano e stimano che per virtù divina
o per
arte
magica ciò fosse mostrato
ad
Enea in
visione di spirito, per
significargli le grandi cose che
doveano uscire e essere di suoi discendenti. Ma quale
che si fosse, come uscì dello inferno, si partì; e
intrato
in
nave, seguendo le piagge e la foce
del fiume
del Tevero detto
Albola,
entrò e arrivò, e disceso in
terra, per agurio e per segni conobbe ch'era arrivato
nel paese d'Italia, che dalli Iddii gli era
promesso; e
con grande festa e allegrezza fecero fine
a le loro
fatiche
del
navicare, e cominciaro
a fare loro
abitacoli e
fortezze di fossi e di legname de le loro
navi. E quello
luogo fu poi la
città d'Ostia; e quella fortezza feciono
per tema de' paesani, i quali per paura di loro,
sì come
gente straniera e da lloro
costumi salvaggia,
e per nimici gli trattavano, e più battaglie ebbono co'
Troiani per cacciargli
del paese, de le quali i Troiani
di tutte furono vincitori.
L. 1, cap. 23 rubr.
Come il re Latino signoreggiava Italia, e come Enea
ebbe la figliuola per moglie, e tutto il suo regno.
L. 1, cap. 23Signoreggiava in quello paese il regno (ond'era
principale la
città di
Laurenzia che era presso dove è
ora la
città di Terracina, e ancora appare
disfatta) il
re
Latino, il quale fu de' discendenti de· re Saturno
che venne di
Creti, quando fu cacciato da Iove suo
figliuolo, come dinanzi facemo
menzione. E quello
Saturno arrivò nel paese di
Roma che allora signoreggiava
Giano, uno de' discendenti di
Noè; ma la
gente era allora molto grossa, e viveano, quasi come
bestie, di frutta e di
ghiande, e abitando in caverne.
Quello Saturno, savio di scrittura e di
costumi, per
suo senno e
consiglio
adirizzò que' popoli
a
vivere
come
gente umana, e fecegli lavorare terre e piantare
vigne, e
edificare case, e terre e
città
murare, e de la
città di Sutri, detta Saturna, fu il primo
edificatore, e
per lui così ebbe nome; e fu in quella contrada per lo
suo
studio prima seminato grano, onde quegli
del
paese l'aveano per uno Idio; e Giano medesimo che
n'era signore il
fece compagno, e li diede parte nel
regno. Questo Saturno regnò in Italia
XXXIIII anni, e
dopo lui regnò Picco suo figliuolo
anni
XXXI; e dopo
Picco regnò
Fauno suo figliuolo
XXVIIII anni, e fu
morto da' suoi: di
Fauno rimase
Lavino e
Latino.
Quello Lavino
edificò la
città di
Lavina; e poco regnò
Lavino; e morto lui rimase il regno
a
Latino, il
quale
a la
città di
Lavina
mutò il nome in
Laurenzia,
perché in su la mastra torre nacque uno grande albore
d'
alloro. Il detto
Latino regnò
XXXII anni, e fu
molto savio, e molto amendò la lingua
latina. Questo
re
Latino avea solamente una figliuola bellissima
chiamata
Lavina, la quale per la madre era
promessa
a uno re di
Toscana ch'avea nome Turno della
città
d'Ardea, oggi chiamata
Cortona.
Toscana ebbe nome
il paese e provincia, però che vi furono i primi
sacrificatori
a l'Idii con fummo d'uncenso, detto
tuscio.
Venuto
Enea nel paese, richiese pace
al detto re
Latino, e che potesse abitare in esso; dal quale
Latino
fu ricevuto graziosamente, e non solamente
datogli
licenzia d'abitarvi, ma gli
promise
Lavina sua figliuola
per moglie, però che per
fatale
comandamento
dell'Iddei avea che lla
dovesse maritare
a straniero,
e non
a uomo
del paese. Per la quale cagione, e
per avere il retaggio
del re
Latino, grandi battaglie
ebbe da
Enea e Turno, e que' di
Laurenzia per più
tempo; il quale Turno uccise in battaglia il grande e
forte gigante
Pallas figliuolo di
Menandro re di
VII colli,
ove è oggi
Roma, il quale era venuto in aiuto
a
Enea; e
morinne la
vergine
Cammilla per mano d'
Enea,
ch'era
maravigliosa in arme. Alla fine il detto
Enea vincitore dell'ultima battaglia, e morto di sua
mano Turno,
Lavina ebbe per moglie, la quale molto
amava
Enea, e
Enea lei, e ebbe la metà
del regno
del
re
Latino. E dopo la
morte
del re
Latino, che poco
vivette poi,
Enea ne fu
al tutto signore, il quale dopo
la
morte
del re
Latino regnò
III anni e morìo: il modo
non si sa di certo. Queste istorie
Virgilio poeta
pienamente ne fa
menzione nell'
Eneidos; e nota che
in ogni
cittade ch'avesse
rinomo o
potenzia avea uno
re, che
a la comparazione de' presenti nostri tempi
era
ciascuno re di piccolo essere e
potenzia.
L. 1, cap. 24 rubr.Come Iulio Ascanio figliuolo d'Enea fu re apresso
lui, e li re e signori che discesono di sua progenia.
L. 1, cap. 24Morto
Enea, Iulio
Ascanio suo figliuolo rimase signore
de· regno de'
Latini, e
Lavina moglie d'
Enea
rimase grossa di lui d'uno figliuolo; la quale, per
paura che
Ascanio suo
figliastro non uccidesse lei e
la
creatura, si fuggì in selve
ad abitare con pastori,
tanto ch'ella si diliberò, e
fece uno figliuolo il quale
fu chiamato
Silvus
Postumus:
Silvus, perché nacque
in selva;
Postumus, perché la madre rimase incinta
di lui morto il padre
Enea. Quando
Ascanio seppe
ove
Lavina sua matrigna era, e come avea uno figliuolo
il quale era suo fratello, mandò per lei e per
lo figliuolo che venisse sanza alcuna
dottanza; e lei e
'l suo figliuolo venuti, gli trattò
benignamente, e
a la
reina
Lavina e
al suo figliuolo lasciò la signoria de la
città di
Laurenzia, e elli
edificò la
città d'Alba, overo
Albania,
al tempo di Sansone d'Israel lo forte; la
quale Albania è presso dov'è oggi
Roma; e di quella
fece capo
del suo regno, e de'
Latini uno co' Troiani.
E la detta
città fece per agurio, che quando
Enea ed
elli arrivaro nel paese, in quello luogo ove
edificò la
detta
città, trovaro sotto uno leccio una troia bianca
con
XXX porcellini bianchi, e però, e per la memoria
di Troia la
edificò, e puose nome Troia Albania per
la sopradetta troia bianca; ma poi gli abitanti la chiamaro
pure Albania, onde più re furono apresso, come
innanzi faremo
menzione. E il detto
Ascanio regnò
apresso
Enea
XXXVIII anni, e ebbe
due figliuoli;
l'uno fu chiamato Iulio, onde nacque la progenia de'
Iulii, onde poi furo i re di
Roma, e Iulio
Cesere, e
Catellina, e più nobili Romani sanatori e consoli furo
di quella schiatta; l'altro ebbe nome
Silvus per lo
zio
figliuolo di
Lavina. Quello
Silvo s'inamorò d'una nipote
di
Lavina, e di lei ebbe uno figliuolo, nel qual
partorendo ella morìo, e però gli fu posto nome Bruto;
e
crescendo poi,
disavedutamente in una foresta
cacciando uccise
Silvus suo padre; il quale per temenza
di
Silvus
Postumus re si fuggìo
del paese, e
con séguito di sua
gente navicando per diversi mari,
arrivò nell'isola di Brettagna, che per suo nome, sì
come de' primi abitatori e signori, fu così nominata
per lui, la quale oggi si chiama Inghilterra: e elli fu
l'origine e
cominciamento di Brettoni, onde discesero
molti grandi e possenti re e signori; intra gli altri il
valente
Brenno e
Bellino fratelli, i quali per loro
potenzia
sconfissero gli Romani e assediaro
Roma, e
presolla infino
a Campidoglio, e molta persecuzione
fecero
a' Romani, come racconta
Tito Livio maestro
di storie. E di loro progenie
discese il buono e cortese
re
Artù onde i ramanzi brettoni fanno
menzione;
e ancora
Gostantino imperadore che
dotò la Chiesa
fu di loro discendenti; e chi ciò vorrà pienamente
trovare
cerchi la
cronica della
badia di
Salisbiera in
Inghilterra. Ma poi per le
disensioni e guerre finìo il
legnaggio e signoria di Brettoni, e fu signoreggiata la
detta isola e reame da diverse nazioni e genti di Sansogna,
e da
Fresoni, e di
Dannesmarce, e
Noverchi,
e
Ispagnuoli per diversi tempi; ma il
legnaggio de'
presenti re che sono
a' nostri tempi in Inghilterra sono
stratti di
Guiglielmo Bastardo figliuolo
del
duca
di
Normandia, disceso della schiatta di Normandi, il
quale per sua prodezza e virtù conquistò Inghilterra,
e diliberò da diverse e
barbere nazioni che lla signoreggiavano.
Lasceremo di Brettoni e de' re d'Inghilterra,
e torneremo
a nostra materia.
L. 1, cap. 25 rubr.
Come Silvius secondo figliuolo d'Enea fu re apresso
Ascanio, e come di lui discesono gli re di Latini, d'Albania,
e di Roma.
L. 1, cap. 25Dopo la
morte di Iulio
Ascanio fu signore e re
del
regno de'
Latini
Silvius
Postumus figliuolo d'
Enea e
della reina
Lavina, come adietro è fatta
menzione, e
regnò
XXVIIII anni con grande senno e prodezza, e
dopo lui furo
XII re di sua progenia, l'uno apresso
l'altro, i quali regnaro
CCCL anni, e tutti ebbono sopranome
Silvius per lo sopradetto primo
Silvius
Postumus;
ché dopo lui regnò
Enea
Silvius suo figliuolo
XXXII anni, dopo
Enea regnò Capis
Silvius suo figliuolo
XXVIII anni: questi
edificò la
città di Capova
in Campagna; dopo Capis regnò
Latino
Silvius suo
figliuolo
L anni,
al tempo di
David re d'Israel; dopo
Latino regnò Alba
Silvius suo figliuolo
XL anni,
al
tempo di Salamone; dopo costui regnò
Egittus
Silvius
suo figliuolo
XXIIII anni,
al tempo di
Roboam re
di Giudea; dopo costui regnò
Carpentus
Silvius suo
figliuolo
XVII anni,
al tempo di
Giosafat re di Giudea;
dopo costui regnò
Tiberino
Silvius suo figliuolo
VIIII anni,
al tempo
del re
Ocotia di Giudea, il quale
Tiberino anegò nel fiume d'
Albola passandolo, e per
lo suo nome fue sempre poi chiamato
Tibero; dopo
Tiberino regnò
Agrippa
Silvius suo figliuolo
XL anni,
al tempo di
Ieu re d'Israel; dopo
Agrippa regnò
Aremolus
Silvius suo figliolo
XVIIII anni: questi puose
intra' monti ov'è ora
Roma la signoria degli
Albani.
Dopo costui regnò Aventino
Silvius suo figliuolo
XXXVIII anni, e
edeficò sopra il monte di
Roma che
per lui fu chiamato Monte Aventino, e in quello fu
soppellito
al tempo d'
Amasia re di Giudea. Dopo
costui regnò
Procas
Silvius suo figliuolo
XXIII anni,
al tempo di
Ozia re di Giudea; dopo costui regnò
Amulus
Silvius suo figliuolo
XLIIII anni,
al tempo di
Gioatam re di Giudea, il quale
Amulus per sua malizia
e forza cacciò de regno
Munitore suo maggiore
fratello che
dovea essere re, e la figliuola
del detto
Munitore, che Rea era chiamata, fece
rinchiudere in
munistero, acciò che di lei non nascesse
reda. E essendo
ella
al
servigio
del tempio della vergine Vesta,
concepette
occultamente
a uno
portato
due figliuoli,
Romolus e
Remolus, dello Iddio Marti di battaglia,
come ella confessò e dicono i poeti, o forse più tosto
del sacerdote di Marti: e quella trovata in sacrilegio,
fu fatta dal detto
Emulus soppellire viva viva per lo
'ncesto commesso là ov'è oggi la
città di Rieti, che
per lo suo nome poi fu
Reata appellata; e i detti suoi
figliuoli comandò fossero gittati in Tevero; ma da'
ministri
del re per la innocenzia non furono morti,
ma gittati in
pruni presso alla riva
del Tevero; e quivi,
si dice, furono lattati e nutriti da una lupa. Ma
trovandogli uno pastore chiamato
Faustulus, gli portò
a Laurenzia sua moglie che gli nutricasse, e così
fece. Questa Laurenzia era
bella, e di suo corpo guadagnava
come meretrice, e però da' vicini era chiamata
Lupa; onde si dice furono nutricati da lupa.
L. 1, cap. 26 rubr.
Come Romulus e Remolus cominciaro la città
di Roma.
L. 1, cap. 26
Dapoi che
Romulus e
Remolus furono
cresciuti in
loro etade, per la loro forza e virtude cominciaro
a
signoreggiare tutti gli altri pastori, e poi sappiendo la
loro reale nazione, congregarono ladroni, e fuggitivi,
e isbanditi, e
gente d'ogni condizione
disposta
a mal
fare, e co· lloro isforzo cominciaro
a prendere e signoreggiare
il paese, e 'l regno
del loro
zio
Emulus
presono per forza e la
città d'Albana, e lui uccisero,
e
ristituirlo
a
Numitore loro avolo. I quali
Romulus e
Remolus, lasciata Albana
a
Numitore,
edificaro prima
e chiusero di
mura la grande e nobile
città di
Roma,
con tutto che prima era in diverse parti in monti
e in valli abitata
anticamente, e con borghi e villate
sparte e fortezze; ma i detti la recaro in una
a modo
di
città,
CCCCLIIII anni apresso la struzione di Troia,
e
IIII.mIIII.cLXXXIIII anni dal
cominciamento
del
mondo,
quando regnava in Giudea il re
Agazim, avendo
Romolo
XXII anni. E la signoria d'Albana recaro poi
in
Roma e feciolla capo
del reame di
Latini, e per lo
nome
del detto
Romulus fu da llui nominata
Roma.
E poi il detto
Romolus fece morire il suo avolo
Numitore
per essere
al tutto signore, e eziandio
Remulus
suo fratello, perché passò le
mura di
Roma contro
a suo
comandamento. E 'l detto
Romolus signoreggiando
Roma; infra
III anno che l'avea cominciata,
non avendo
mogli né femmine co· lloro, faccendo
pensatamente una festa e giuochi,
venutevi le femmine
de' Sabini, le presero e ritennero per loro; e poi
l'
ordinò con
leggi e statuti come
cittade, e chiamò
C,
i migliori uomini della
città e più antichi, per suoi
consiglieri, i quali fece chiamare padri
coscritti e sanatori,
perché' loro nomi furono per lui fatti scrivere
in tavole d'oro. E così regnò
Romolo signore e re
VIII
anni, e in etade di
XXX anni, essendo di costa
a uno
fiume, compreso da una nuvola, non si ritrovò mai,
né si seppe di sua
morte, se non che per gli savi s'avisa
ch'anegasse in quello fiume. Ma i Romani dissono
e aveano oppinione che llo Iddio Marti che ll'avea
creato l'avesse portato intra li
Dei in anima e corpo
per la sua podestà e signoria. Potete vedere come il
comune popolo erano ignoranti
del vero Iddio.
L. 1, cap. 27 rubr.Come Numa Pompilius fu re de' Romani apresso la
morte di Romulus.
L. 1, cap. 27Morto
Romulus sanza nullo erede, fu retta la
città
di
Roma per gli detti
C sanatori uno
anno;
a la fine,
per lo comune bene della republica,
elessero
a re e
loro signore
Numa
Pompilius, che fu etc
. Questi fu
savio di scienzia e di
costumi, ed amendò molto le
leggi e lo stato di
Roma, e fece tempi ove s'adorassero
li loro Idei, e fu uomo d'onesta vita, e recando
quasi tutte le
città vicine sotto la signoria e legge di
Roma per lo suo senno, e dichiarò l'ordine di
dodici
mesi dell'
anno, e 'l bisesto, che prima erano
X con
grande
confusione
del corso solare e lunare. E regnò
per lo suo senno e virtù sanza avere
guerra con niuno
vicino
XLI anno in grande stato, e pace, e signoria,
secondo il piccolo podere ch'allora aveva
Roma;
e ciò fu
al tempo di Zecchia re di Giudea e de' figliuoli
Manases.
L. 1, cap. 28 rubr.Come furo in Roma VII re, l'uno apresso l'altro infino
a Tarquino, e come al suo tempo perderono la signoria.
L. 1, cap. 28Apresso
Numa
Pompilius regnò
Tulius
Ostilius
XXXII anni,
al tempo di
Manases re di Giudea. Questi
fu crudele e
guerriere, e fu il primo che portasse
porpora e onori reali, e ruppe la pace
a' Sabini, e dopo
molte battaglie per forza li sottomise
a sua signoria;
e poi fu morto di
folgore. Apresso
Tulius regnò
Marcus
Marcius
XXIII anni,
al tempo di
Iosia re di
Giudea, che fu figliuolo de la figliuola
del buono re
Numa
Pompilius, e ebbe grande
guerra co'
Latini di
Laurenzia e d'Albania;
a la fine per forza gli recò
sotto sua signoria, e
a
Roma fece il tempio di
Iano.
Apresso lui regnò
Priscus
Tarquinus
XXXVII anni.
Questi
agrandì molto
Roma, e fece il Campidoglio, e
sottomise i Sabini che s'erano rubellati, e fu quegli
che prima volle trionfo di sua vittoria, e fece il tempio
di Iove, capo di loro Iddei, e regnò
al tempo che
Nabuccodinosor distrusse Ierusalem e il tempio di
Salamone:
a la fine fu morto per gli figliuoli
del sopradetto
Marzio. Apresso costui regnò
Servius
Tulius
XXXIIII anni,
al tempo di
Sedecchia re di Giudea,
e ebbe
al suo tempo aspre battaglie co' Sabini, e
crebbe la
città di
Roma assai, e fu il primo che mettesse
imposte o
dazi, overo censo, nella
città di
Roma
a pagare; alla fine l'uccise
Tarquinus
Superbus che
era suo genero. E nota che poi che
Roma fu fondata
o
richiusa per
Romolo, fu caporale regno di sé medesima,
e nemica
del regno de'
Latini e di tutte le
città
vicine, e sempre ebbe
guerra con
ciascuna, infino
che
al tutto l'ebbe sottoposte
a sua signoria. Apresso
regnò il settimo re di Romani
Tarquino Superbo
XXIII anni,
al tempo di Ciro re di Persia. Questi in
tutte sue opere fue pessimo e crudele, e avea uno
suo figliuolo ch'avea nome
similemente
Tarquino e
era crudele e dissoluto in lussuria, prendendo per
forza quale donna o pulcella gli piacesse in
Roma.
A
la fine, come racconta
Valerio e
Tito Livio, giacendo
per forza co la
bella e onesta
Lucrezia figliuola di
Bruto sanatore, nato per ischiatta di
Giulio
Ascanio,
e
consorto per ischiatta
del detto re
Tarquino, ella
per
conservagione di sua castità, e dare
asempro all'
altre,sé medesima uccise innanzi
al padre, e
al
marito
e suoi
parenti. Onde
Roma per lo dissoluto peccato
corse e si commosse
a romore, e cacciaro il re
Tarquino e il figliuolo, e ordinaro e feciono
dicreto
che mai non avesse più re in
Roma, ma che si reggesse
a consoli,
mutando d'
anno in
anno col
consiglio
de' sanatori; e il primo
consolo fu il detto Bruto e
Lucio
Tarquinus grandi cittadini e nobili; e questo
fu
CCL anni dal
cominciamento di
Roma,
al tempo di
Dario figliuolo d'
Itaspio re di Persia. E così
falliro gli
re in
Roma, che aveano regnato circa
CCXLIIII anni.
L. 1, cap. 29 rubr.Come Roma si resse lungo tempo per la signoria de'
consoli e sanatori infino che Giulio Cesare si fece imperadore.
L. 1, cap. 29Rimasa la signoria di
Roma
a' consoli e sanatori,
cacciati gli re, il detto
Tarquino re e 'l figliuolo co la
forza
del re
Procena di
Toscana, che regnava nella
città di
Chiusi, feciono molta
guerra
a' Romani; ma
a
la fine gli Romani rimasero vincitori. E poi si resse e
governò la republica di
Roma
CCCCL anni per consoli
e sanatori, e talora dittatori, che
durava
V anni loro
signoria, e erano quasi come imperadori, che ciò che
diceano
convenia fosse fatto; e altri ufici diversi, come
furono tribuni
del popolo, e pretori, e censori, e
ciliarche. E in questo tempo ebbe in
Roma più diverse
mutazioni e guerre e battaglie, non solamente co'
vicini, ma con tutte le nazioni
del
mondo; i quali Romani,
per forza d'arme e virtù e senno di buoni cittadini,
quasi tutte le province e reami e signori
del
mondo
domaro, e recaro sotto loro signoria, e feciono
loro
tributarie con grandissime battaglie e uccisioni
di molti popoli
del
mondo, e di Romani medesimi,
in diversi tempi, quasi innumerabile
a
contare.
E ancora tra' cittadini medesimi per invidia della signoria
e questioni da' grandi e popolani, e riposando
le guerre di fuori, molte battaglie e tagliamenti
per più volte tra' cittadini ebbe; e
a giunta
a cciò di
tempi in tempi
pestilenzie incomportabili ebbono gli
Romani; e questo
reggimento
durò infino
a le grandi battaglie
che furo tra Iulio Cesare e
Pompeo, e poi
co' figliuoli, il quale vinto da Cesare, il detto Cesare
levò l'uficio de' consoli e dittatori, e egli primo si fece
chiamare imperadore. E apresso lui
Ottaviano
Agusto, che signoreggiò in pace dopo molte battaglie
tutto l'universo
mondo,
al tempo che nacque Iesù
Cristo,
anni
VII.c dopo la
dificazione di
Roma; e
così mostra che
Roma si reggesse
a signoria di re
CCLIIII anni, e di consoli
CCCCL anni, sì come di sopra
avemo detto, e ancora più distesamente per
Tito
Livio e più altri autori. Ma nota che la grande
potenzia
di Romani nonn era solamente in loro, se nnon
per tanto ch'erano capo e guidatori; ma tutti gli Toscani
principalmente, e poi tutti gl'Italiani seguivano
nelle guerre e nelle battaglie loro, e erano tutti chiamati
Romani. Ma lasceremo omai l'ordine delle storie
di Romani e degli imperadori, se non in tanto
quanto aparterrà
a nostra materia, tornando
al nostro
proposito della
edificazione della
città di
Firenze,
come promettemmo di dire. E avemo fatto sì lungo
esordio perché ci era di necessità per mostrare
come l'origine de' Romani
edificatori de la
città di
Firenze, sì come appresso farà
menzione, fue
stratto
di nobili Troiani; e l'origine e
cominciamento di
Troiani nacque e venne da
Dardano figliuolo
del re
Attalante della
città di
Fiesole, siccome brievemente
avemo fatta
menzione; e de' discendenti poi nobili
Romani e di
Fiesolani, per la forza de' Romani, fatto
è uno popolo chiamati
Fiorentini.
L. 1, cap. 30 rubr.Come in Roma fu fatta la congiurazione per Catellina
e suoi seguaci.
L. 1, cap. 30Nel tempo ancora che
Roma si reggeva
a la signoria
di consoli,
anni da
VI.cLXXX poi che lla detta
città
fu fatta, essendo
consolo Marco
Tulio
Cecerone e
Gaius Antonio, e
Roma in grande e felice stato e signoria,
Catellina nobilissimo cittadino, disceso di sua
progenia della schiatta reale di
Tarquino, essendo
uomo di dissoluta vita, ma
prode e ardito in arme, e
bello parlatore, ma poco savio, avendo invidia di
buoni uomini, ricchi e savi, che signoreggiavano la
città, non piacendogli la loro signoria, congiurazione
fece con più altri nobili e altri seguaci
disposti
a mal
fare, e
ordinò d'uccidere gli consoli e parte de' sanatori,
e di disfare loro uficio, e correre, e rubare, e
mettere da più parti fuoco nella
città, e poi farsene
signore. E sarebbegli venuto fatto, se non che fu riparato
per lo senno e provedenza
del savio
consolo
Marco
Tulio. Così si difese la
città di tanta
pistilenzia,
e trovata la detta congiurazione e
tradimento, e
per la grandezza e
potenza
del detto
Catellina, e perché
Tulio era
nuovo cittadino in
Roma, venuto il padre
da Capova, overo d'un'altra villa di Campagna,
non
ardì di fare prendere
Catellina né giustiziare, come
al suo misfatto si
convenia; ma per suo grande
senno e bello parlare il fece partire della
città; ma
più di suoi congiurati e compagni, de' maggiori cittadini,
e tale dell'ordine de' sanatori che partito
Catellina
rimasero in
Roma, fece prendere, e nelle carcere
faccendogli
strangolare moriro, sì come racconta ordinatamente
il grande dottore
Salustio.
L. 1, cap. 31 rubr.
Come Catellina fece ribellare la città di Fiesole a la
città di Roma.
L. 1, cap. 31Catellina partito di Roma, con parte de' suoi seguaci
se ne venne in Toscana, ove Manlius uno de'
suoi principali congiurati e capitano era raunato con
gente ne la città antica di Fiesole. E venuto là Catellina,
la detta città da la signoria de' Romani fece rubellare,
raunandovi tutti gli rubelli e sbanditi di Roma
e di più altre province, e gente dissoluta e disposta
a guerra e a mal fare, e cominciò aspra guerra a'
Romani. Li Romani, sentendo ciò, ordinaro che
Gaius Antonio consolo e Publio Preteus con una milizia
di cavalieri e popolo grandissimo venissono in
Toscana ad oste contro a la città di Fiesole e contro
a Catellina, e mandaro per loro lettere e messaggi a
Quintus Metellus che tornava di Francia con grande
oste di Romani, che simigliante fosse colla sua forza
da l'altra parte all'asedio di Fiesole, e per seguire Catellina
e suoi seguaci.
L. 1, cap. 32 rubr.Come Catellina e' suoi seguaci furono sconfitti da'
Romani nel piano di Piceno.
L. 1, cap. 32Sentendo
Catellina che' Romani venieno per asediarlo
nella
città di
Fiesole, e già era Antonio e
Preteius
con loro oste nel piano di
Fiesole in su la riva
del fiume d'Arno, e aveano
novelle come
Metello era
già in Lombardia
coll'
oste sua di tre legioni che
venia
di
Francia, e veggendo che 'l soccorso che aspettava
de' suoi ch'erano rimasi in
Roma gli era
fallito,
diliberò per suo
consiglio di non
rinchiudersi nella
città di
Fiesole, ma d'
andarne in
Francia; e però di
quella
città si partì con sua gente e con uno signore
di
Fiesole ch'aveva nome
Fiesolano, e fece
ferrare i
suoi
cavagli
a ritroso, acciò che
partendosi, le
ferrate
de'
cavagli mostrassono che gente fosse
entrata in
Fiesole e non uscita, per fare badare i Romani
a la
città, e poterne andare più salvamente. E di notte
partito per ischifare
Metello, non tenne il diritto
cammino dell'alpi, che noi chiamiamo l'alpe di Bologna,
ma si mise per lo piano di costa
a le montagne,
e arrivò di là ov'è oggi la
città di Pistoia nel luogo
detto Campo
a Piceno, ciò fu di sotto ov'è oggi il castello
di
Piteccio, per intendimento di valicare per
quella
via l'alpi
Apennine, e
riuscire in Lombardia;
ma sentendo poi sua partita
Antonius e
Preteius, incontanente
il seguiro co· lloro oste per lo piano, sicché
il sopragiunsero nel detto luogo, e
Metello d'altra
parte fece mettere guardie
a' passi delle montagne,
acciò che non potesse per quelle passare.
Catellina,
veggendosi così
distretto e che non poteva schifare
la battaglia, si mise
a la fortuna
del combattere
egli e' suoi con grande franchezza e ardire, ne la quale
battaglia ebbe grande tagliamento di Romani dentro,
e di rubelli, e di
Fiesolani;
a la fine dell'aspra
battaglia
Catellina fu in quello luogo di
Picceno
sconfitto e morto con tutta sua gente; e 'l campo rimase
a' Romani con
dolorosa vittoria, per modo che
i detti
due consoli, con
XX a cavallo scampati sanza
più, per vergogna non ardiro tornare in
Roma. La
qual cosa da' Romani non si potea credere, se prima
i sanatori non vi mandaro per vedere il vero; e quello
trovato, grandissimo dolore n'ebbe in
Roma. E chi
questa storia più
a pieno vuole trovare
legga il
libro
di
Salustio detto Catellinario. I tagliati e' fediti della
gente di
Cateliina scampati di
morte della battaglia,
tutto fossono pochi, si ridussero ov'è oggi la
città di
Pistoia, e quivi con
vili
abitacoli ne furono i primi
abitatori per guerire di loro piaghe. E poi per lo
buono sito e grasso luogo
multiplicando i detti abitanti,
i quali poi
edificaro la
città di Pistoia, e per la
grande mortalità e
pistolenza che fu presso
a quello
luogo, e di loro gente e di Romani, le puosero nome
Pistoia; e però nonn è da maravigliare se i
Pistolesi
sono stati e sono gente di
guerra
fieri e
crudeli intra
lloro e con altrui, essendo
stratti
del sangue di
Catellina e
del rimaso di sua così fatta gente, sconfitta
e tagliata in battaglia.
L. 1, cap. 33 rubr.Come Metello con sue milizie fece guerra a' Fiesolani.
L. 1, cap. 33Da poi che
Metello, il quale era in Lombardia
presso
a le montagne dell'alpi Appennine nelle contrade
di
Modona, udita la sconfitta e
morte di
Catellina,
tostamente venne con sua
oste
al luogo dov'era
stata la battaglia, e veduti i morti, per istupore de la
diversa e grande mortalità temette, maravigliandosi
come di cosa impossibile. Ma poi egli e la sua gente
igualmente ispogliò il campo de' suoi Romani come
quello de' nimici,
rubando ciò che vi trovaro; e ciò
fatto, venne verso
Fiesole per assediare la
città. I
Fiesolani
vigorosamente prendendo l'arme, usciro della
città
al piano, combattendo con
Metello e con sua
oste, e per forza il
ripinsono e cacciaro di là dal fiume
d'Arno con grande
danno di sua gente, il quale
co' suoi in su i
colli, overo ripe
del fiume, s'
acampò;
e'
Fiesolani co· lloro oste si misero dall'altra parte
del
fiume d'Arno verso
Fiesole.
L. 1, cap. 34 rubr.Come Metello e Fiorino sconfissono i Fiesolani in
su la riva d'Arno.
L. 1, cap. 34
Metello la notte vegnente
ordinò e comandò che
parte della sua gente di lungi dall'oste de'
Fiesolani
passassono il fiume d'Arno, e si
riponessono in aguato
tra la
città di
Fiesole e l'oste de'
Fiesolani, e di
quella gente fece capitano Fiorino, nobile cittadino
di
Roma della schiatta
, il quale era suo pretore,
ch'è tanto
a dire come mariscalco di sua
oste; e Fiorino,
come per lo
consolo fu comandato, così fece.
La mattina,
al fare
del giorno,
Metello armato con
tutta sua gente, passando il fiume d'Arno, cominciò
la battaglia
a'
Fiesolani, e'
Fiesolani difendendo vigorosamente
il passo
del fiume, e nel fiume d'Arno
sosteneano la battaglia. Fiorino, il quale era
colla sua
gente nell'aguato, come vide cominciata la battaglia,
uscì francamente
al di dietro
al
dosso de'
Fiesolani
che nel fiume combatteano con
Metello. I
Fiesolani,
isproveduti dell'aguato, veggendosi subitamente assaliti
per Fiorino di dietro e da
Metello dinanzi, isbigottiti
gittarono l'armi e fuggiro sconfitti verso la
città
di
Fiesole, onde molti di loro furono morti e presi.
L. 1, cap. 35 rubr.Come i Romani la prima volta assediaro Fiesole, e
come morì Fiorino.
L. 1, cap. 35Sconfitti e cacciati i
Fiesolani della riva d'Arno,
Fiorino pretore co l'oste di Romani puose campo di
là dal fiume d'Arno verso la
città di
Fiesole, che v'aveva
due
villette, l'una si chiamava villa Arnina, e
l'altra
Camarte, overo campo o
domus Marti, ove i
Fiesolani alcuno giorno della
semmana faceano mercato
di tutte cose co· lloro ville e terre vicine. Il
consolo
fece con Fiorino
dicreto che niuno
dovesse
vendere
né
comperare pane, o vino, o altre cose che
ad
uso di battaglia fossono, se nonne nel campo ov'era
posto Fiorino. Dopo questo, Quinto
Metello
consolo
mandò incontanente
a
Roma che mandassero gente
d'arme
all'asedio della
città di
Fiesole: per la quale
cosa i sanatori feciono ordine che Iulio Cesare, e
Cecerone,
e
Macrino con più legioni di genti armati
dovessero
venire all'asedio e distruzzione di
Fiesole; i
quali venuti, assediaro la detta
città.
Cesere puose
suo campo nel
colle che
soprastava la
cittade;
Macrino
ne l'altro
colle, overo monte; e
Cecerone dall'altra
parte; e così stettono per
VI anni
all'asedio della detta
città,
avendola per lungo asedio e per
fame quasi
distrutta. E simigliante que' dell'oste, per lungo dimoro
e per più difetti scemati ed
afieboliti, si partiro
dall'asedio, e si ritornaro
a
Roma, salvo che Fiorino
vi rimase all'asedio con sua gente nel piano ov'era
prima
acampato, e chiusesi di fossi e di steccati
a
modo di battifolle, overo bastita, e tenea molto afflitti
i
Fiesolani; e così gli guerreggiò lungo tempo. Poi
assicurandosi troppo, e avendogli per niente, e li
Fiesolani
ripresa alcuna lena, e
ricordandosi
del male
che Fiorino avea loro fatto e faceva, subitamente, e
come disperati, si misero di notte con iscale e con ingegni
ad assalire il campo, overo battifolle, di Fiorino,
e elli e la sua gente con
poca guardia, e dormendo,
non prendendo guardia de'
Fiesolani, furono
sorpresi; e Fiorino e la moglie e' figliuoli morti, e
tutta sua
oste in quello luogo furono quasi morti, che
pochi ne scamparono; e il detto castello e battifolle
disfatto, e arso, e tutto abattuto per gli
Fiesolani.
L. 1, cap. 36 rubr.
Come per la morte di Fiorino i Romani tornaro all'
assedio di Fiesole.
L. 1, cap. 36Come la
novella fu saputa
a
Roma, gli consoli e'
sanatori e tutto il Comune
dolutosi della disaventura
avenuta
al buono
duca Fiorino, incontanente ordinaro
che di ciò fosse vendetta, e che oste grandissima
un'altra volta tornassero
a distruggere la
città di
Fiesole,
intra' quali furono eletti questi
duchi:
Rainaldo
conte,
Cecerone,
Teberino,
Macrino, Albino, Igneo
Pompeo,
Cesere,
Camertino,
Sezzio
conte
tudertino,
cioè di Todi, il quale era con Iulio
Cesere e di sua
milizia. Questi puose suo campo presso
a
Camarte,
quasi ov'è oggi
Firenze;
Cesere si puose
a campo in
sul monte che
soprastava la
città, ch'è oggi chiamato
Monte
Cecero, ma prima ebbe nome Monte
Cesaro
per lo suo nome, overo per lo nome di
Cecerone; ma
innanzi tengono per
Cesere, però ch'era maggiore signore
nell'oste.
Rainaldo puose suo campo in sul
monte allo 'ncontro
a la
città di là dal Mugnone, e
per suo nome infino
a oggi è così chiamato;
Macrino
in sul monte ancora oggi nominato per lui;
Camertino
nella contrada che ancora per gli viventi per lo
suo nome è chiamata
Camerata. E tutti gli altri signori
di sopra nominati,
ciascuno puose per sé suo
campo intorno
a la
città, chi in monte e chi in piano;
ma di più non rimase propio nome che oggi sia memoria.
Questi signori con loro milizie di gente
a cavallo
e
a piede grandissima, assediando la
città, con
ordine s'apparecchiaro di fare maggiori battaglie
a la
città che la prima volta; ma per la fortezza della
città
i Romani invano lavorando, e molti di loro per lo soperchio
d'assedio e soperchio di fatica sono morti,
que' maggiori signori, consoli e sanatori, quasi tutti
si tornaro
a
Roma: solo
Cesere con sua milizia rimase
all'asedio. E in quella stanza comandò
a' suoi che
dovessero andare nella villa di
Camarti presso
al fiume
d'Arno, e ivi
edificassero parlatorio per potere in
quello fare suo
parlamento, e una sua memoria lasciarlo:
questo
edificio in nostro
volgare avemo chiamato
Parlagio. E fu fatto tondo e in volte molto
maraviglioso,
con piazza in mezzo. E poi si cominciavano
gradi da sedere tutto
al torno. E poi di grado in
grado sopra volte andavano allargandosi infino
a la
fine dell'altezza, ch'era alto più di
LX braccia. E avea
due porte, e in questo si raunava il popolo
a fare
parlamento. E di grado in grado sedeano le genti:
al
di sopra i più nobili, e poi
digradando secondo la dignità
delle genti; e era per modo che tutti quegli
del
parlamento si vedeva l'uno l'altro in viso. E
udivasi
chiaramente per tutti ciò che uno parlava; e
capevavi
ad agio infinita
moltitudine di genti; e 'l diritto nome
era parlatorio. Questo fu poi guasto
al tempo di
Totile,
ma ancora
a' nostri
dì si ritruovano i fondamenti
e parte delle volte presso
a la chiesa di San Simone
a
Firenze, e infino
al
cominciamento de la piazza di
Santa
Croce; e parte de'
palagi de'
Peruzzi vi sono su
fondati; e la
via ch'è detta
Anguillaia, che va
a Santa
Croce, va quasi per lo mezzo di quello
Parlagio.
L. 1, cap. 37 rubr.
Come la città di Fiesole s'arendé a' Romani, e fu distrutta
e guasta.
L. 1, cap. 37Stato l'assedio a Fiesole la detta seconda volta, e
consumata e affritta molto la cittade sì per fame, e sì
perché a lloro furono tolti i condotti dell'acque e
guasti, s'arrendéo la città a Cesere e a' Romani in capo
di due anni e quattro mesi e VI dì che vi si puose
l'asedio, a patti, chi ne volesse uscire fosse salvo.
Presa la terra per li Romani, fu spogliata d'ogni ricchezza,
e per Cesere fu distrutta, e tutta infino a'
fondamenti abattuta; e ciò fu intorno anni LXXII anzi
la Natività di Cristo.
L. 2, cap. 1 rubr.
Qui comincia il secondo libro della edificazione di
Firenze la prima volta: come di primo fue edificata la
città di Firenze.
L. 2, cap. 1Distrutta la
città di
Fiesole,
Cesere con sua
oste
discese
al piano presso alla riva
del fiume d'Arno, là
dove Fiorino con sua gente era stato morto da'
Fiesolani,
e in quello luogo fece cominciare
ad
edificare
una
città, acciò che
Fiesole mai non si rifacesse, e rimandò
i cavalieri
latini, i quali seco avea,
arricchiti
delle ricchezze de'
Fiesolani; i quali
Latini
Tudertini
erano
appellati.
Cesere adunque, compreso l'
edificio
della
città, e
messovi dentro
due ville dette
Camarti e
villa Arnina, voleva quella appellare per suo nome
Cesaria. Il sanato di
Roma
sentendolo, non sofferse
che per suo nome
Cesere la nominasse; ma feciono
dicreto e ordinaro che quegli maggiori signori ch'erano
stati
a la
guerra di
Fiesole e all'asedio
dovessono
andare
a fare
edificare con
Cesere insieme, e
popolare
la detta
cittade, e qualunque di loro
soprastesse
a lavorio, cioè facesse più tosto il suo
edificio,
appellasse la
cittade di suo nome, o come
a llui piacesse.
Allora
Macrino, Albino, Igneo
Pompeo,
Marzio
apparecchiati di fornimenti e di maestri, vennero
da
Roma alla
cittade che
Cesere
edificava, e
inviandosi
con
Cesere si divisono l'
edificare in questo modo:
che Albino prese
a smaltare tutta la
cittade, che
fue uno nobile lavoro e bellezza e nettezza della
cittade,
e ancora oggi
del detto ismalto si truova cavando,
massimamente nel
sesto di San Piero Scheraggio,
e in porte San Piero, e in porte
del
Duomo, ove mostra
fosse l'antica
città.
Macrino fece fare il
condotto
dell'acqua in
docce e in arcora, faccendola venire di
lungi
a la
città per
VII miglia, acciò che lla
città avesse
abondanza di buona acqua da bere, e per lavare la
cittade; e questo
condotto si mosse infino dal fiume
detto la Marina
a piè di monte
Morello, ricogliendo
in se tutte quelle fontane sopra
Sesto, e Quinto, e
Colonnata. E in
Firenze faceano capo le dette fontane
a uno grande palagio che si chiamava
termine,
capud
aque, ma poi in nostro
volgare si chiamò
Capaccia,
e ancora oggi in Terma si vede dell'
anticaglia. E
nota che gli antichi per santade usavano di bere acque
di fontane menate per
condotti, perché erano
più sottili e più sane che quelle de'
pozzi, però che
pochi, o quasi pochissimi, beveano vino, ma i più acqua
di
condotto, ma non di
pozzo; e pochissime vigne
erano allora. Igneo
Pompeo fece fare le
mura
della
cittade di mattoni
cotti, e sopra i
muri della
città
edificò torri ritonde molto spesse, per
ispazio dall'
una torre
a l'altra di
XX cubiti, sicché le torri erano
di grande bellezza e fortezza.
Del compreso e giro
della
città non troviano
cronica che ne faccia
menzione;
se non che quando
Totile
Flagellum Dei la distrusse,
fanno le storie
menzione ch'ell'era grandissima.
Marzio l'altro signore romano fece fare il Campidoglio
al modo di
Roma, cioè palagio, overo la mastra
fortezza della
cittade, e quello fu di maravigliosa
bellezza; nel quale l'acqua
del fiume d'Arno per gora
con cavate fogne
venia e sotto volte, e in Arno
sotterra
si ritornava; e la
cittade per
ciascuna festa dello
sgorgamento di quella gora era lavata. Questo Campidoglio
fu ov'è oggi la piazza di Mercato Vecchio,
di sopra
a la chiesa di Santa Maria in Campidoglio: e
questo
pare più certo. Alcuni dicono che fu ove oggi
si chiama il
Guardingo, di costa
a la piazza ch'è oggi
del popolo dal palazzo de' priori, la quale era un'altra
fortezza.
Guardingo fu poi nomato l'
anticaglia
de'
muri e volte che rimasono disfatte dopo la distruzione
di
Totile, e stavanvi poi le meretrici. I detti
signori, per avanzare l'uno l'
edificio dell'altro, con
molta sollecitudine si studiavano, ma in uno medesimo
tempo per
ciascuno fu compiuto; sicché nullo di
loro ebbe aquistata la grazia di nominare la
città
a
sua volontà, sì che per molti fu
al
cominciamento
chiamata la piccola
Roma. Altri l'appellavano
Floria,
perché Fiorino fu ivi morto, che fu il primo
edificatore
di quello luogo, e fu in opera d'arme e in cavalleria
fiore, e in quello luogo e campi intorno ove fu
la
città
edificata sempre nasceano fiori e gigli. Poi la
maggiore parte degli abitanti furono consenzienti di
chiamarla
Floria, sì come fosse in fiori
edificata, cioè
con molte delizie. E di certo così fu, però ch'ella fu
popolata della migliore gente di
Roma, e de' più sofficienti,
mandati per gli sanatori di
ciascuno rione di
Roma per rata, come toccò per sorte che l'abitassono;
e
accolsono co· lloro quelli
Fiesolani che vi vollono
dimorare e abitare. Ma poi per lungo uso
del
volgare
fu nominata Fiorenza: ciò s'interpetra spada
fiorita. E troviamo ch'ella fu
edificata
anni
VI.cLXXXII
dopo l'
edificazione di
Roma, e
anni
LXX anzi la Nativitade
del nostro signore Iesù Cristo. E nota, perché
i
Fiorentini sono sempre in
guerra e in
disensione tra
loro, che nonn è da maravigliare, essendo
stratti e
nati di
due popoli così contrari e nemici e diversi di
costumi, come furono gli nobili Romani virtudiosi, e'
Fiesolani
ruddi e aspri di
guerra.
L. 2, cap. 2 rubr.
Come Cesere si partì di Firenze e andonne a Roma,
e fu fatto consolo per andare contro a' Franceschi.
L. 2, cap. 2
Dapoi che lla
città di
Firenze fu fatta e
popolata,
Iulio Cesare
irato perché n'era stato il primo
edificatore,
e avea avuta la vittoria della
città di
Fiesole, e
nonn avea potuto nominare la
cittade per suo nome,
sì si partì di quella, e tornossi
a
Roma, e per suo
studio
e
valore fue eletto
consolo, e mandato contro
a'
Franceschi, ove dimorò per
X anni
al conquisto di
Francia, e d'Inghilterra, e d'Alamagna: e lui tornando
con vittoria
a
Roma, gli fu vietato il triunfo, perché
aveva passato il
dicreto fatto per
Pompeo
consolo
e' sanatori per invidia, sotto
colore d'onestà, che
nullo
dovesse stare in neuna balia più di
V anni. In
quale Cesare co le sue milizie tornando con oltremontani,
Franceschi, e Tedeschi, e Italiani, Pisani,
Pirati, Pistolesi, e ancora co'
Fiorentini suoi cittadini,
pedoni, e cavalieri, e rombolatori menò seco
a fare
cittadinesche battaglie, perché gli fu vietato il
triunfo; ma più per essere signore di
Roma, come
lungo tempo avea disiderato, contro
a
Pompeo e il
senato di
Roma combattéo. E dopo la grande battaglia
tra
Cesere e
Pompeo, quasi tutti morti furo in
Ematia, cioè
Tesaglia in
Grecia, come pienamente si
legge per Lucano poeta, chi le storie vorrà trovare. E
Cesere, avuta la vittoria di
Pompeo e di molti re e
popoli ch'erano in aiuto de' Romani che gli erano nimici,
si tornò
a
Roma, e sì si fece primo imperadore
di
Roma, che tanto è
a dire come comandatore sopra
tutti. E apresso lui fue
Ottaviano
Agustus suo nipote
e figliuolo adottivo, il quale regnava quando Cristo
nacque, e dopo molte vittorie signoreggiò tutto il
mondo in pace; e d'allora innanzi fu
Roma
a signoria
d'imperio, e tenne sotto la sua giuridizione e dello
imperio tutto l'universo
mondo.
L. 2, cap. 3 rubr.Come i Romani e gl'imperadori ebbono insegna, e
come da lloro l'ebbe la città di Firenze, e altre cittadi.
L. 2, cap. 3
Al tempo di
Numa
Pompilius per
divino miracolo
cadde in
Roma da
cielo uno scudo
vermiglio, per la
qual cosa e agurio i Romani presono quella insegna e
arme, e poi v'agiunsono
S
.P
.Q
.R
. in
lettere d'oro,
cioè Senato
del popolo di
Roma: e così dell'origine
della loro insegna diedono
a tutte le
città
edificate
per loro, cioè
vermiglia. Così
a Perugia,
a
Firenze, e
a
Pisa; ma i
Fiorentini per lo nome di Fiorino e della
città
v'agiunsono per
intrasegna il giglio bianco, e'
Perugini talora il grifone bianco, e Viterbo il campo
rosso, e li Orbitani l'aquila bianca. Ben'è vero che'
signori romani, consoli e dittatori,
dapoi che l'
aguglia
per agurio aparve sopra Tarpea, cioè sopra la camera
del
tesoro di Campidoglio, come
Tito Livio fa
menzione, si presono l'arme in loro
insegne
ad aquila;
e troviamo che 'l
consolo Mario ne la battaglia de'
Cimbri ebbe le sue
insegne con l'aquila d'argento, e
simile insegna portava
Catellina quando fu sconfitto
da Antonio nelle parti di Pistoia, come recita
Salustio.
E 'l grande
Pompeo la portò in campo azzurro
e l'aquila d'argento: e Iulio Cesare la portò il campo
vermiglio e l'aquila
ad oro, come fa
menzione Lucano
in versi, dicendo: «
Signa
parens
aquilas,
et
pila
minantia
pilas». Ma poi
Ottaviano Agusto, suo nipote
e successore imperadore, la
mutò, e portò il
campo
ad oro, e l'aquila naturale di
colore nero
a
similitudine
della signoria dello imperio, che come l'aquila
è sovra ogni uccello, e vede chiaro più ch'altro
animale, e vola infino
al
cielo dell'
emisperio
del fuoco,
così lo 'mperio
dé essere sopra ogni signoria temporale.
E appresso
Ottaviano tutti gli imperadori de'
Romani l'hanno per simile modo portata; ma
Gostantino,
e poi gli altri imperadori de' Greci ritennono
la 'nsegna di Iulio Cesare, cioè il campo
vermiglio
e l'aquila
ad oro, ma con
due
capi. Lasceremo delle
insegne
del comune di
Roma e degl'imperadori, e
torneremo
a nostra materia sopra i fatti della
città di
Firenze.
L. 2, cap. 4 rubr.
Come la città di Firenze fu camera de' Romani e
dello imperio.
L. 2, cap. 4La
città di
Firenze in quello tempo era camera
d'imperio, e come figliuola e
fattura di
Roma in tutte
cose, e da' Romani abitata; e però de' propii fatti di
Firenze
a quegli tempi non troviamo
cronica né altre
storie che ne facciano grande memoria. E di ciò
nonn è da maravigliare, però che'
Fiorentini erano
sudditi e una co' Romani, e per Romani si trattavano
per l'universo
mondo, e come i Romani andavano
ne' loro
eserciti e nelle loro battaglie. E troviamo
nelle storia di
Giulio Cesare, nel secondo
libro di
Lucano, quando Cesare assediò
Pompeo nella
città
di Brandizio in Puglia, uno de' baroni e signori della
città di
Firenze ch'avea nome Lucere era in compagnia
di Cesare e fue alla battaglia delle
navi
a la bocca
del porto di Brandizio, valente uomo d'arme e virtudioso;
e molti altri
Fiorentini furono in quello
esercito e battaglie con Cesare e di sua parte; però
che quando fue la
discordia da
Giulio Cesare
a
Pompeo
e
del senato di
Roma, quegli della
città di
Firenze
e d'intorno
al fiume d'Arno tennero la parte di
Cesare. E di ciò fa
menzione Lucano nel detto
libro
ove dice in versi:
Vulturnusque
celer,
notturneque
conditor
aure
Sarnus,
et
umbrosae
Liris
per
regna
marisque.
E così dimoraro i
Fiorentini mentre che' Romani ebbono
stato e signoria. Bene si truova per alcuno
scritto che uno Uberto Cesare,
sopranomato per Iulio
Cesare, che fu figliuolo di
Catellina, rimaso in
Fiesole picciolo garzone dopo la sua
morte, egli poi
per Iulio Cesare fue fatto grande cittadino di
Firenze,
e avendo molti figliuoli, egli e poi la sua schiatta
furono signori della terra gran tempo, e di loro discendenti
furono grandi signori e grandi schiatte in
Firenze; e che gli Uberti fossoro di quella progenie si
dice. Questo non troviamo per autentica
cronica che
per noi si pruovi.
L. 2, cap. 5 rubr.Come in Firenze fu fatto il tempio di Marti, il quale
oggi si chiama il Duomo di Santo Giovanni.
L. 2, cap. 5
Dapoi che
Cesere, e
Pompeo, e
Macrino, e Albino,
e
Marzio prencipi de' Romani
edificatori della
nuova
città di
Firenze si tornarono
a
Roma, compiuti
i loro lavori, la
città cominciò
a crescere e
moltiplicare
di Romani e di
Fiesolani insieme, che rimasono
a
l'abitazione di quella; e in poco tempo si fece buona
città secondo il tempo d'allora, che gl'imperadori e 'l
senato di
Roma l'avanzavano
a lloro podere, quasi
come un'altra piccola
Roma. I cittadini di quella, essendo
in buono stato, ordinaro di fare nella detta
cittade
uno tempio
maraviglioso all'onore dello Iddio
Marte, per la vittoria che' Romani avieno avuta della
città di
Fiesole, e mandaro
al senato di
Roma che
mandasse loro gli migliori e più sottili maestri che
fossono in
Roma, e così fu fatto. E feciono venire
marmi bianchi e neri, e colonne di più parti di lungi
per
mare, e poi per Arno; feciono
conducere e macigni
e colonne da
Fiesole, e fondaro e
edificaro il detto
tempio nel luogo che si chiamava
Camarti
anticamente,
e dove i
Fiesolani faceano loro mercato. Molto
nobile e bello il feciono
a
otto facce, e quello fatto
con grande diligenzia, il
consecraro allo Iddio Marti,
il quale era Idio di Romani, e
feciollo
figurare inn
intaglio di marmo in forma d'uno cavaliere armato
a
cavallo; il puosono sopra una colonna di marmo in
mezzo di quello tempio, e quello tennero con grande
reverenzia e adoraro per loro Idio mentre che fu il
paganesimo in
Firenze. E troviamo che il detto tempio
fu cominciato
al tempo che regnava
Ottaviano
Agusto, e che fu
edificato sotto ascendente di sì fatta
costellazione, che non verrà meno quasi in etterno: e
così si truova scritto in certa parte, e intagliato nello
spazzo
del detto tempio.
L. 2, cap. 6 rubr.
Racconta del sito della provincia di Toscana.
L. 2, cap. 6Quando per noi s'è detto della prima
edificazione
della
città di
Firenze e di quella di Pistoia, si è convenevole
e di necessità che si dica dell'altre
città vicine
di
Toscana quello che n'avemo trovato per le
croniche
di loro principii e cominciamenti brievemente,
per tornare poi
a nostra materia.
Narreremo in prima
del sito della provincia di
Toscana.
Toscana comincia
da la parte di levante
al fiume
del Tevero, il
quale si muove nell'alpi di Pennino de la montagna
chiamata
Falterona, e discende per la contrada di
Massa
Tribara, e dal Borgo San Sipolcro, e poi la
Città di Castello, e poi sotto la
città di Perugia, e poi
appresso di Todi,
istendendosi per terra di Sabina e
di
Roma, e ricogliendo in sé molti fiumi,
entra per la
città di
Roma infino in
mare ove fa foce di costa
a la
città di Ostia, presso
a
Roma
a
XX miglia; e la parte
di qua dal fiume, che si chiama
Trastibero, e il Portico
di Santo Pietro di
Roma è della provincia di
Toscana.
E da la parte
del mezzogiorno si ha
Toscana il
mare detto Terreno, che
colle sue rive batte la contrada
di Maremma, e Piombino, e
Pisa, e per lo
contado
di Lucca e di
Luni infino
a la foce
del fiume
della
Magra, che mette in
mare
a la punta della montagna
del Corbo di là da
Luni e di
Serrezzano, da la
parte di ponente. E discende il detto fiume della
Magra
delle montagne di Pennino di sopra
a
Pontriemoli,
tra la riviera di
Genova e 'l
contado di
Piagenza
in Lombardia, ne le terre de' marchesi Malaspina.
Il quarto
confine di
Toscana di verso settentrione sono
le dette alpi Apennine, le quali
confinano e partono
la provincia di
Toscana da Lombardia e Bologna
e parte di
Romagna; e gira la detta provincia di
Toscana
VII.c miglia. Questa provincia di
Toscana ha
più fiumi: intra gli altri reale e maggiore si è il nostro
fiume d'Arno, il quale nasce di quella medesima
montagna di
Falterona che nasce il fiume
del Tevero
che va
a
Roma. E questo fiume d'Arno corre quasi
per lo mezzo di
Toscana, scendendo per le montagne
de la
Vernia, ove il beato santo Francesco fece
sua penitenzia e
romitaggio, e poi passa per la contrada
di Casentino presso
a Bibbiena e
a piè di
Poppio,
e poi si rivolge verso levante, vegnendo presso
a
la
città d'
Arezzo
a
tre miglia, e poi corre per lo nostro
Valdarno di sopra, scendendo per lo nostro piano,
e quasi passa per lo mezzo de la nostra
città di
Firenze. E poi uscito per corso
del nostro piano,
passa tra Montelupo e Capraia presso
a
Empoli per
la contrada di Greti e di Valdarno di sotto
a piè di
Fucecchio, e poi per lo
contado di Lucca e di
Pisa,
raccogliendo in sé molti fiumi, passando poi quasi
per mezzo la
città di
Pisa ove assai è grosso, sicché
porta
galee e grossi legni; e presso di
Pisa
a
V miglia
mette in
mare; e il suo corso è di
spazio di miglia
CXX. E
del detto fiume d'Arno l'antiche storie fanno
menzione:
Vergilio nel
VII libro dell'
Eneidos parlando
della gente che fu in aiuto
al re Turno incontra
Enea di Troia con questi versi: «
Sarrastris
populos,
equa
rigat
equora
Sarnus»; e Paulo
Orosio raccontando
in sue storie
del fiume d'Arno disse che quando
Anibal di Cartagine, tornando di Spagna in Italia,
passò le montagne d'Apennino, vegnendo sopra i
Romani, ove si combattéo in su· lago di Perugia col
valente
consolo
Flamineo da cui fu sconfitto, in quel
luogo dice che passando
Anibal l'alpi Apennine, per
la grande freddura che v'ebbe, discendendo poi in su
i paduli
del fiume d'Arno sì perdé tutti gli suoi
leofanti,
che non ne gli rimase se none uno solo, e la
maggiore parte de' suoi
cavagli e bestie vi moriro; e
egli medesimo per la detta cagione vi perdé uno de'
suoi occhi
del capo. Questo
Anibal mostra per nostro
arbitrare ch'egli scendesse l'alpi tra
Modona e
Pistoia, e paduli fossono per lo fiume d'Arno da piè
di
Firenze insino di là da
Signa: e questo si pruova,
che
anticamente tra
Signa e Montelupo nel mezzo
del corso
del fiume d'Arno, ove si ristrigne in piccolo
spazio tra rocce di montagne, aveva una grandissima
pietra che si chiamava e chiama
Golfolina, la
quale per sua grandezza e altezza comprendeva tutto
il corso
del fiume d'Arno, per modo che 'l facea
ringorgare
infino assai presso ov'è oggi la
città di
Firenze,
e per lo detto
ringorgamento si
spandea l'acqua
del fiume d'Arno, e d'Ombrone, e di
Bisenzo per lo
piano sotto
Signa, e di Settimo, e di Prato, e di
Micciole,
e di Campi, infino presso
a piè de' monti, faccendo
paduli. Ma e' si truova, e per
evidente
sperienzia
si vede, che la detta pietra
Golfolina per maestri
con picconi e
scarpelli per forza fu tagliata e dibassata,
per modo che 'l corso
del fiume d'Arno
calò
e dibassò, sicché i detti paduli
scemaro e rimasero
terra
guadagnabile. Bene racconta
Tito Livio quasi
per simili parole, dicendo che 'l passo, e dove s'
acampò
Anibal, fu tra la
città di
Fiesole e quella d'
Arezzo.
Avisiamo che passasse l'alpi
a Pennino per la
contrada di Casentino, e paduli poteano simile essere
tra l'
Ancisa e 'l piano di
Fegghine, e potea essere
o nell'uno luogo o nell'altro, però che
anticamente il
fiume d'Arno avea in più luogora
rattenute e paduli;
ma dove che ssi fosse, assai avemo detto sopra il nostro
fiume d'Arno, per trarre d'ignoranza e fare avisati
i presenti moderni viventi di nostra
città, e gli
strani che sono e saranno. Lasceremo di ciò, e diremo
in brieve de la
potenzia che
anticamente avea la
nostra provincia di
Toscana, che si confà
a la nostra
materia.
L. 2, cap. 7 rubr.Della potenzia e signoria ch'avea la provincia di Toscana
innanzi che Roma avesse stato.
L. 2, cap. 7
Dapoi ch'avemo detto
del sito e
confini de la nostra
provincia di
Toscana, sì ne
pare convenevole di
dire in brieve dello stato e signoria che
Toscana avea
anzi che
Roma avesse podere. La provincia di
Toscana
innanzi
al detto tempo fu di grande
potenzia e signoria.
E non solamente lo re di
Toscana chiamato
Procena, che facea capo
del suo reame nella
città di
Chiusi, il quale col re
Tarquino assediò
Roma, era signore
della provincia di
Toscana; ma le sue
confine,
dette colonne, erano infino
a la
città d'Adria in
Romagna
in su il
golfo
del
mare di Vinegia, per lo cui
nome
anticamente quello
mare è detto
seno
Adriatico;
e nelle parti di Lombardia erano i suoi
confini e
colonne di
Toscana infino di là dal fiume di
Po e
del
Tesino, infino
al tempo di
Tarquino
Prisco re de'
Romani, che la gente de' Galli, detti oggi Franceschi,
e quella de'
Germani, detti oggi Tedeschi, di prima
passaro in Italia per guida e
condotto d'uno Italiano
della
città di
Chiusi, il quale passò i monti per ambasciadore,
per fare commuovere gli oltramontani contro
a' Romani, e portò seco
del vino, il quale
dagli
oltramontani non era in uso, né
conosciuto per bere,
però che di là nonn avea mai avuto vino né vigna; il
quale vino per gli signori di là assaggiato, parve loro
molto buono; e intra l'altre cagioni, con altre grandi
impromesse, quella della
ghiottornia
del buono vino
gl'indusse
a passare i monti, udendo come Italia era
piantadosa di vino, e larga d'ogni bene e vittuaglia. E
indussegli ancora il passare di qua, che per lo loro
buono stato erano sì
cresciuti e
multiplicati di gente,
che
a pena vi poteano
capere. Per la qual cosa passando
i monti in Italia i
Galli e'
Germani, de' primi
furono
Brenno e
Bellino, i quali guastarono gran
parte di Lombardia e
del nostro paese di
Toscana, e
poi assediaro la
città di
Roma e
presolla infino
al
Campidoglio, con tutto che innanzi si partissono furono
sconfitti in
Toscana dal buono
Cammillo ribello
di
Roma, siccome
Tito Livio in sue storie fa
menzione.
E poi più altri signori Gallici, e Germani, e
Gotti, e d'altre nazioni
barbere
passaro in Italia di
tempi in tempi, faccendo in Lombardia e in
Toscana
grandi battaglie co' Romani, come si truovano ordinatamente
per le storie che scrisse il detto
Tito Livio
maestro di storie. Lasceremo de la detta materia, e
diremo i nomi delle
città e vescovadi della nostra
provincia di
Toscana.
L. 2, cap. 8 rubr.Questi sono i vescovadi de le città di Toscana.
L. 2, cap. 8La chiesa e sedia di San Piero di
Roma la qual è di
qua dal fiume
del
Tibero in
Toscana, il vescovado di
Fiesole, la
città di
Firenze, la
città di
Pisa, la qual è
arcivescovado per grazia, come in questo fia
menzione,
la
città di Lucca, il vescovado dell'antica
città di
Luni, la
città di Pistoia, la
città di Siena, la
città d'
Arezzo,
la
città di Perugia, la
città di Castello, la
città
di Volterra, la
città di
Massa, la
città di Grosseto, il
vescovado di Soana in Maremma, la
città antica di
Chiusi, la
città d'Orbivieto, il vescovado di Bagnoregio,
la
città di Viterbo, la
città di Toscanella, il vescovado
di Castri, la
città di
Nepi, l'antichissima
città
di Sutri, la
città d'Orti, il vescovado di
Civitatensi.
Avendo detti i nomi di
XXV vescovadi e
città di
Toscana,
diremo in
ispezialità
del
cominciamento e orrigine
d'alquante di quelle
città famose
a' nostri tempi
onde sapremo il vero per antiche storie e
croniche,
tornando poi
a nostra materia.
L. 2, cap. 9 rubr.Della città di Perugia.
L. 2, cap. 9La
città di Perugia fu assai antica, e secondo che
raccontano le loro
croniche, ella fu da' Romani
edificata
in questo modo: che tornando uno
oste de' Romani
de la Magna, perch'avea il loro
consolo chiamato
Persus dimorato
al conquisto più tempo che
non diceva il
dicreto de' Romani, si furono isbanditi
e divietati che non tornassono
a
Roma, sicché rimasono
in quello luogo ove è l'uno corno della
città di
Perugia, siccome
esiliati e nemici
del Comune. Poi
gli Romani mandarono sopra loro una oste, i quali si
puosono di contro
a lloro in su l'altro corno per
guerreggiargli, siccome ribelli
del Comune di
Roma;
ma ivi stati più tempo, e riconosciuti insieme, si
pacificaro
l'uno oste e l'altra, e per lo buono sito rimasono
abitanti in quello luogo. Poi di
due luoghi feciono
la
città di Perugia, e per lo nome
del primo
consolo
che ivi si puose fu così nominata. Poi
pacificatisi co'
Romani, furono
contenti della
città di Perugia, e
favoreggiarla
assai e
diedolle stato, quasi per tenere
sotto loro giuridizione le
città di quella contrada. Poi
Totile
Flagellum Dei la distrusse, come fece
Firenze
e più altre
città d'Italia, e fece
marterizzare santo
Erculano
vescovo della detta
città.
L. 2, cap. 10 rubr.Della città di Arezzo.
L. 2, cap. 10La città d'Arezzo prima ebbe nome Aurelia, e fu
grande città e nobile, e in Aurelia furono anticamente
fatti per sottilissimi maestri vasi rossi con diversi
intagli di tutte forme di sottile intaglio, che veggendoli
parevano impossibili a essere opera umana; e
ancora se ne truovano. E di certo ancora si dice che
'l sito e l'aria d'Arezzo genera sottilissimi uomini. La
detta città d'Aurelia fu anche distrutta per lo detto
Totile, e fecela arare e seminare di sale, e d'allora innanzi
fu chiamata Arezzo, cioè città arata.
L. 2, cap. 11 rubr.Della città di Pisa.
L. 2, cap. 11La
città di
Pisa fu prima chiamata Alfea. Troviamo
mandò aiuto
ad
Enea contro
a Turno, e ciò
dice
Vergilio nel
VI libro dell'
Eneidos; ma poi ella fu
porto dello 'mperio de' Romani dove s'
aduceano per
mare tutti gli tributi e censi che li re e tutte le nazioni
e paesi
del
mondo ch'erano sottoposti
a' Romani
rendeano allo 'mperio di
Roma, e là si pesavano, e
poi si portavano
a
Roma; e però che il primo luogo
ove si pesava non era sofficiente
a tanto strepito, vi si
feciono
due luoghi ove si pesava, e però si diclina il
nome di
Pisa in gramatica:
pluraliter, nominativo hee
Pise; e così per l'uso
del porto e detti pesi, genti vi
s'
acolsono
ad abitare, e
crebbono e
edificaro la
città
di
Pisa poi
ad assai tempo dopo l'avenimento di Cristo,
con tutto che prima per lo modo detto era per
molte genti abitata, ma non come
città murata.
L. 2, cap. 12 rubr.Della città di Lucca.
L. 2, cap. 12La
città di Lucca ebbe in prima nome Fridia, e chi
dice
Aringa; ma perché prima si
convertì
a la vera fede
di Cristo che
città di
Toscana, e prima ricevette
vescovo, ciò fu santo Fridiano, che per miracolo di
Dio rivolse il Serchio, fiume presso
a la detta
città, e
diegli
termine, che prima era molto
pericoloso e guastava
la contrada, e per lo detto santo prima fu luce
di fede, sì fu rimosso il primo nome e chiamata Luce,
e oggi per lo corrotto
volgare si chiama Lucca. E
truovasi che il detto beato Fridiano vegnendo da
Lucca
a
Firenze in pellegrinaggio per visitare la chiesa
ov'è il corpo di santo Miniato
a Monte, non potendo
entrare in
Firenze perché ancora erano pagani,
e trovando il fiume d'Arno molto grosso per
grandi
piove, si mise
a passare in su una piccola navicella
contro
al volere
del
barcaiuolo, e per miracolo
di Dio passò liberamente e tosto, come l'Arno fosse
piccolo, e
colà
dove arrivò fu poi per gli cattolici
fiorentini fatta la chiesa di Santo Fridiano per sua
devozione.
L. 2, cap. 13 rubr.Della città di Luni.
L. 2, cap. 13La
città di
Luni, la quale è oggi
disfatta, fu molto
antica, e secondo che troviamo nelle storie di Troia,
della
città di
Luni v'ebbe navilio e genti
a l'aiuto de'
Greci contra gli Troiani; poi fu
disfatta per gente oltramontana
per cagione d'una donna moglie d'uno
signore, che andando
a
Roma, in quella
città fu corrotta
d'
avoltero; onde tornando il detto signore con
forza la distrusse, e oggi è
diserta la contrada e malsana.
E nota che lle marine erano
anticamente molto
abitate, e quasi infra terra
poche
città avea e pochi
abitanti, ma in Maremma e in Maretima verso
Roma
a la marina di Campagna avea molte
città e molti popoli,
che oggi sono consumati e venuti
a niente per
corruzzione d'aria: che vi fu la grande
città di
Popolonia,
e Soana, e
Talamone, e Grosseto, e
Civitaveglia,
e Mascona, e
Lansedonia che furono co la loro
forza
a l'asedio di Troia; e in Campagna
Baia, Pompeia,
Cumina, e Laurenza, e Albana. E la cagione
perché oggi sono quelle terre de la marina quasi
disabitate
e inferme, e eziandio
Roma peggiorata, dicono
gli grandi maestri di stronomia che ciò è per lo
moto dell'ottava spera
del
cielo, che in ogni
C anni si
muta uno grado verso il polo di settentrione, cioè
tramontana, e così farà infino
a
XV gradi in
MD anni,
e poi tornerà adietro per simile modo, se fia piacere
di Dio che 'l
mondo
duri tanto; e per la detta
mutazione
del
cielo è mutata la qualità della terra e dell'aria,
e dov'era abitata e sana è oggi
disabitata e inferma,
et e converso. Ed oltre
a cciò
naturalmente veggiamo
che tutte le cose
del
mondo hanno
mutazione,
e vegnono e verranno meno, come Cristo di sua bocca
disse, che neuna cosa ci ha stato fermo.
L. 2, cap. 14 rubr.Della città di Viterbo.
L. 2, cap. 14La città di Viterbo fu fatta per gli Romani, e anticamente
fu chiamata Vegezia, e' cittadini Vegentini.
E gli Romani vi mandavano gl'infermi per cagione
de' bagni ch'escono del bulicame, e però fu chiamata
Vita Erbo, cioè vita agl'infermi, overo città di vita.
L. 2, cap. 15 rubr.
Della città d'Orbivieto.
L. 2, cap. 15La città d'Orbivieto si fu simile fatta per gli Romani,
e Urbis Veterum ebbe nome, cioè a dire città
de' vecchi, perché gli uomini vecchi di Roma v'erano
mandati a stare per migliore aria ch'a Roma per
mantenere loro santade; e per lo lungo uso e buono
sito ve ne ristettono assai ad abitarla, e popolarla di
gente.
L. 2, cap. 16 rubr.Della città di Cortona.
L. 2, cap. 16La città di Cortona fue antichissima, fatta al tempo
di Giano e de' primi abitanti di Italia; e Turno
che si combatté con Enea per Lavina fu re di quella,
come detto è dinanzi, e per lo suo nome prima ebbe
nome Turna.
L. 2, cap. 17 rubr.Della città di Chiusi
L. 2, cap. 17La città di Chiusi simile fu antichissima e potentissima,
fatta ne' detti tempi, e assai prima che Roma, e
fune signore e re Procena, che col re Tarquino scacciato
di Roma fu ad assediare Roma, come racconta
Tito Livio.
L. 2, cap. 18 rubr.
Della città di Volterra.
L. 2, cap. 18La città di Volterra prima fu chiamata Antonia, e
fu molto antica, fatta per gli discendenti d'Italia; e,
secondo che si leggono i ramanzi, indi fu il buono
Buovo d'Antonia.
L. 2, cap. 19 rubr.Della città di Siena.
L. 2, cap. 19La
città di Siena è assai
nuova
città, ch'ella fu cominciata
intorno
agli
anni di Cristo
VI.cLXX, quando
Carlo Martello, padre
del re
Pipino di
Francia, co'
Franceschi andavano nel regno di Puglia in
servigio
di santa Chiesa
a contastare una gente che si chiamavano
i Longobardi, pagani, e
eretici, e
ariani, onde
era loro re
Grimaldo di
Morona, e facea suo capo in
Benivento, e perseguitava gli Romani e santa Chiesa.
E trovandosi la detta oste de' Franceschi e altri oltramontani
ov'è oggi Siena, si lasciaro in quello luogo
tutti gli vecchi e quegli che non erano bene sani, e
che non poteano portare arme, per non
menarglisi
dietro in Puglia; e quegli rimasi in
riposo nel detto
luogo, vi si cominciaro
ad abitare, e
fecionvi
due
residii
a modo di castella, ove è oggi il più alto della
città di Siena, per istare più
al
sicuro; e l'uno
abitacolo
e l'altro era chiamato
Sena,
dirivando di quegli
che v'erano rimasi per vecchiezza. Poi
crescendo gli
abitanti, si
raccomunò l'uno luogo e l'altro, e però
secondo gramatica si diclina in
plurali:
pluraliter nominativo
hee Sene. E
dapoi
a più tempo
crescendo,
in Siena ebbe una grande e ricca albergatrice chiamata
madonna Veglia. Albergando in suo albergo
uno grande legato cardinale che tornava delle parti
di
Francia
a la
corte
a
Roma, la detta donna gli fece
grande onore, e non gli lasciò pagare nulla spensaria.
Il legato, ricevuta cortesia, la domandò se in
corte
volesse alcuna grazia. Richieselo la donna divotamente
che per lo suo amore procurasse che Siena
avesse vescovado;
promisele di farne suo podere, e
consigliolla che facesse che 'l Comune di Siena facesse
ambasciadori, e mandasse
al
papa
a
procurallo; e
così fu fatto. Il legato sollecitando, il
papa udì la petizione,
e diede vescovo
a' Sanesi, e 'l primo fu
messer
Gualteramo. E per
dotare il vescovado, si tolse
una pieve
al vescovado d'
Arezzo, e una
a quello di
Perugia, e una
a quello di Chiusi, e una
a quello di
Volterra, e una
a quello di Grosseto, e una
a quello
di
Massa, e una
a quello d'Orbivieto, e una
a quello
di
Firenze, e una
a quello di
Fiesole; e così ebbe Siena
vescovado, e fu chiamata
città: e per lo nome e
onore de la detta madonna Veglia, per cui fu prima
promossa e
domandata la grazia, sì fu sempre
sopranomata
Siena la Veglia.
L. 2, cap. 20 rubr.
Torna la storia a' fatti della città di Firenze, e come
santo Miniato vi fu martorizzato per Decio imperadore.
L. 2, cap. 20
Dapoi che brievemente avemo fatta alcuna
menzione
de le nostre
città vicine di
Toscana, torneremo
a nostra materia
a raccontare de la nostra
città di
Firenze;
e sì come
innarrammo dinanzi, la detta
città si
resse grande tempo
al governo e signoria degl'imperadori
di
Roma, e spesso venieno gl'imperadori
a
soggiornare in
Firenze quando passavano in Lombardia,
e ne la Magna, e in
Francia
al conquisto delle
province. E troviamo che
Decio imperadore l'
anno
suo primo, ciò fu gli
anni di Cristo
CCLII, essendo in
Firenze sì come camera d'imperio, dimorandovi
a
suo diletto, e il detto
Decio perseguitando
duramente
i Cristiani
dovunque gli sentiva e trovava, udì dire
come il beato santo Miniato
eremita abitava presso
a
Firenze con suoi discepoli e compagni, in una selva
che si chiamava
Arisbotto fiorentina, di dietro là
dove
è oggi la sua chiesa sopra la
città di
Firenze. Questo
beato
Miniato fu figliuolo
del re d'
Erminia primogenito,
e lasciato il suo reame per la fede di Cristo,
per fare penitenzia e dilungarsi dal suo regno
passò di qua da
mare
al perdono
a
Roma, e poi si ridusse
nella detta selva, la quale allora era salvatica e
solitaria, però che la
città di
Firenze non si
stendea
né era abitata di là da l'Arno, ma era tutta di qua,
salvo che uno solo ponte v'avea sopra l'Arno, non
però dove sono oggi, ma si dice per molti ch'era l'antico
ponte de'
Fiesolani, il quale era da
Girone
a
Candegghi: e quella era l'antica e diritta strada e
cammino da
Roma
a
Fiesole, e per andare in Lombardia
e di là da' monti. Il detto
Decio imperadore
fece prendere il detto beato
Miniato, come racconta
la sua storia: grandi
doni e proferte gli fece fare, sì
come
a figliuolo di re, acciò che
rinegasse Cristo; e
elli costante e fermo nella fede non volle suoi
doni,
ma sofferse diversi martiri;
a la fine il detto
Decio gli
fece tagliare la testa ove è oggi la chiesa di Santa
Candida
a la
Croce
al Gorgo; e più fedeli di Cristo
ricevettono martirio in quello luogo. E tagliata la testa
del beato
Miniato, per miracolo di Cristo co le
sue
mani la ridusse
al suo imbusto, e co' suoi piedi
andò e valicò l'Arno, e salì in sul
poggio dove è oggi
la chiesa sua, che allora v'avea uno piccolo oratorio
in nome
del beato Piero Appostolo, dove molti corpi
di santi martiri furono soppelliti; e in quello luogo
santo Miniato venuto, rendé l'anima
a Cristo, e il suo
corpo per gli Cristiani
nascosamente fu ivi soppellito;
il quale luogo per gli
meriti
del beato santo Miniato
da'
Fiorentini,
dapoi che furono divenuti Cristiani,
fue divotamente venerato, e fattavi una picciola
chiesa
al suo onore. Ma la grande e nobile chiesa
de' marmi che v'è oggi
a' nostri tempi troviamo che
fue poi fatta per lo
procaccio
del venerabile padre
messere
Alibrando vescovo e cittadino di
Firenze negli
anni di Cristo
MXIII, cominciata
a
dì
XXVI del mese
d'
aprile per
comandamento e autorità
del cattolico
e santo imperadore
Arrigo secondo di Baviera e
della sua moglie imperatrice santa
Cunegonda che in
quegli tempi regnava, e diedono e
dotarono la detta
chiesa di molte ricche posessioni in
Firenze e nel
contado per l'anime loro, e feciono reparare e
reedificare
la detta chiesa, sì come è ora, di marmi; e feciono
traslatare il corpo
del beato
Miniato nell'altare
il qual è sotto le volte de la detta chiesa con molta
reverenza e solennità fatta per lo detto vescovo e
chericato di
Firenze, con tutto il popolo uomini e
donne de la
città di
Firenze; ma poi per lo Comune
di
Firenze si compié la detta chiesa, e si feciono le
scalee de' macigni giù per la costa, e ordinaro sopra
la detta opera di Santo
Miniato i consoli dell'
arte di
Calimala, e che l'avessono in guardia.
L. 2, cap. 21 rubr.Come santo Crisco e' suoi compagni furono martirizzati
nel contado di Firenze.
L. 2, cap. 21Ancora in quegli tempi di
Decio imperadore, dimorando
il detto
Decio in
Firenze, fece perseguitare
il beato
Crisco con suoi compagni e discepoli, il quale
fu delle parti di Germania
gentile uomo, e faceva
penitenzia con santo Miniato, prima nella selva d'
Arisbotto
detta di sopra, e poi in quelle selve di Mugello
ov'è oggi la sua chiesa, cioè San
Cresci
a
Valcava;
e in quello luogo egli co' suoi seguaci da' ministri
di
Decio furono martirizzati. Avemo raccontate le
storie di questi
due santi, acciò che s'abbiano in reverenza
e in memoria
a'
Fiorentini, sì come per la fede
di Cristo in questa nostra contrada furono martirizzati,
e sono i loro santi corpi. Bene troviamo noi
per più antiche
croniche che
al tempo di
Nerone imperadore
nella nostra
città di
Firenze e nella contrada
prima fu recata da
Roma la verace fede di Cristo
per
Frontino e
Paulino discepoli di santo Piero, ma
ciò fu tacitamente e in pochi fedeli, per paura de' vicarii
e proposti degl'imperadori, ch'erano idolatri, e
perseguivano li Cristiani
dovunque gli trovavano; e
così dimoraro infino
al tempo di
Gostantino imperadore
e di santo
Silvestro
papa.
L. 2, cap. 22 rubr.Di Gostantino imperadore e de' suoi discendenti, e
le mutazioni che ne furono in Italia.
L. 2, cap. 22Troviamo che la nostra
città di
Firenze si resse
sotto la guardia dello imperio de' Romani intorno di
CCCL anni,
dapoi che prima fu fondata, tenendo legge
pagana e
cultivando l'idoli, con tutto che assai v'avesse
de' Cristiani per lo modo ch'è detto, ma dimoravano
nascosi in diversi
romitaggi e caverne di fuori
da la
città, e quegli ch'erano dentro non si
palesavano
Cristiani per la tema delle persecuzioni che gl'imperadori
di
Roma, e de' loro vicari e ministri facevano
a' Cristiani, infino
al tempo
del grande
Gostantino
figliuolo di
Gostantino imperadore, e d'
Elena sua
moglie figliuola
del re di Brettagna, il quale fu il primo
imperadore cristiano, e
adotò la Chiesa di tutto
lo 'mperio di
Roma, e diede libertà
a' Cristiani
al
tempo
del beato
Silvestro
papa, il quale il battezzò e
fece Cristiano,
mondandolo della lebbra per virtù di
Cristo; e ciò fu negli
anni di Cristo intorno
CCCXX. Il
detto
Gostantino fece fare in
Roma molte chiese
all'
onore di Cristo, e abattuti tutti li templi
del paganesimo
e dell'idoli, e riformata la santa Chiesa in sua libertà
e signoria, e ripreso il temporale dello 'mperio
della Chiesa sotto certo censo e ordine, se ne andò in
Costantinopoli, e per suo nome così la fece nominare,
che prima avea nome
Bisanzia, e
misela in grande
stato e signoria: e di là fece sua sedia, lasciando di
qua nello 'mperio di
Roma suoi
patrici, overo censori,
cioè vicarii, che difendeano e combatteano per
Roma e per lo 'mperio. Dopo il detto
Gostantino,
che regnò più di
XXX anni tra nello 'mperio di
Roma
e in quello di
Gostantinopoli, e' rimasono di lui tre
figliuoli,
Gostantino, e
Gostanzio, e Costante, i quali
tra lloro ebbono
guerra e
dissensione, e l'uno di loro
era Cristiano, ciò fue
Gostantino, e l'altro
eretico,
ciò fue
Gostanzio, e perseguitò i Cristiani d'una
resia
che si cominciò in
Gostantinopoli per uno chiamato
Arrio, la quale per lo suo nome si chiamò ariana, e
molto errore sparse per tutto il
mondo e nella Chiesa
di Dio. Questi figliuoli di
Gostantino per la loro
dissensione
guastarono molto lo 'mperio di
Roma e
quasi
abandonaro, e d'allora innanzi sempre parve
che andasse
al dichino e scemando la sua signoria: e
cominciaro
ad essere
due e tre imperadori
a una volta,
e chi signoreggiava in
Gostantinopoli, chi lo
'mperio di
Roma, e tale era Cristiano, e tale
eretico
ariano, perseguitando i Cristiani e la Chiesa; e
durò
molto tempo, e tutta Italia ne fu maculata. Degli altri
imperadori passati, e di quegli che furono poi, non
facciamo ordinata memoria, se non di
coloro che
pertengono
a nostra materia; ma chi per ordine gli
vorrà trovare,
legga la
cronica
martiniana, e in quella
gl'imperadori e li
papa che furono per gli tempi troverrà
ordinatamente.
L. 2, cap. 23 rubr.Come la fede cristiana fu prima nella città di Firenze.
L. 2, cap. 23Nel tempo che 'l detto grande
Gostantino si fece
Cristiano, e diede signoria e libertà
a la Chiesa, e
santo
Silvestro
papa regnò nel
papato palese in
Roma,
si sparse per
Toscana e per tutta Italia, e poi per
tutto il
mondo la vera fede e
credenza di Gesù Cristo.
E nella nostra
città di
Firenze si cominciò
a coltivare
la verace fede, e abbattere il paganesimo
al
tempo di
che ne fu vescovo di
Firenze, fatto per
Silvestro
papa; e
del bello e nobile tempio de'
Fiorentini,
ond'è fatta
menzione adietro, i
Fiorentini levaro
il loro idolo, il quale appellavano lo Idio Marti,
e
puosollo in su un'alta torre presso
al fiume d'Arno,
e
nol vollono rompere né spezzare, però che per loro
antiche memorie trovavano che il detto idolo di Marti
era consegrato sotto ascendente di tale pianeta,
che come fosse rotto o commosso in vile luogo, la
città avrebbe
pericolo e
danno, e grande
mutazione.
E con tutto che i
Fiorentini di
nuovo fossono divenuti
Cristiani, ancora teneano molti
costumi
del paganesimo,
e tennero gran tempo, e temeano forte il
loro antico idolo di Marti; sì erano ancora poco perfetti
nella santa fede. E ciò fatto, il detto loro tempio
consecrato all'onore d'Iddio e
del beato santo Giovanni
Batista, e
chiamarlo
Duomo di Santo Giovanni;
e ordinaro che si celebrasse la festa il
dì della sua
nativitade con
solenni
oblazioni e che si
corresse uno
palio di sciamito; e sempre per usanza s'è fatto in
quello giorno per gli
Fiorentini. E feciono fare le
fonti
del battesimo in mezzo
del tempio ove si battezzavano
le genti e' fanciulli, e fanno ancora; e 'l
giorno di
sabato santo, che si benedice ne le dette
fonti l'acqua
del battesimo e il fuoco, ordinato che ssi
spandesse il detto fuoco santo per la
città
a modo
che si faceva in Gerusalem, che per
ciascuna casa
v'andasse uno con una
faccellina
ad accendere. E di
quella solennità venne la dignità ch'hanno la casa de'
Pazzi de la grande
faccellina, intorno fa di
CLXX anni
dal
MCCC anni addietro, per uno loro antico nomato
Pazzo, forte e grande della persona, che portava la
maggiore
faccellina che niuno altro, e era il primo
che prendea il fuoco santo, e poi gli altri da lui. Il
detto
Duomo si
crebbe, poi che fue
consecrato
a
Cristo, ove è oggi il coro e l'altare
del beato Giovanni;
ma
al tempo che 'l detto
Duomo fu tempio di
Marti, non v'era la detta agiunta, né 'l
capannuccio,
né la
mela di sopra; anzi era aperto di sopra
al modo
di Santa Maria Ritonda di
Roma, acciò che il loro
idolo Idio Marti ch'era in mezzo
al tempio fosse scoperto
al
cielo. Ma poi dopo la seconda
redificazione
di
Firenze nel
MCL anni di Cristo, si fece fare il
capannuccio
di sopra levato in colonne, e la
mela, e la
croce dell'oro ch'è di sopra, per li consoli dell'
arte di
Calimala, i quali dal Comune di
Firenze ebbono in
guardia la
fabbrica della detta opera di Santo Giovanni.
E per più genti che hanno
cerco
del
mondo
dicono ch'elli è il più bello tempio, overo
duomo,
del tanto che si truovi: e
a' nostri tempi si compié il
lavorio delle storie
a
moises dipinte dentro. E troviamo
per antiche
ricordanze che la figura
del sole intagliata
nello ismalto, che
dice: «
En
giro
torte
sol
ciclos,
et
rotor
igne», fu fatta per astronomia; e quando
il sole
entra nel
segno
del
Cancro, in sul mezzogiorno,
in quello luogo luce per lo aperto di sopra
ov'è il
capannuccio.
L. 2, cap. 24 rubr.
Della venuta di Gotti e di Vandali in Italia, e come
distrussono il paese e assediaro la città di Firenze al
tempo di santo Zenobio vescovo di Firenze.
L. 2, cap. 24
Dapoi che llo 'mperio de' Romani si traslatò di
Roma in
Grecia per
Gostantino, e quasi fu partito, e
talora abandonato per gli suoi successori, venne molto
scemando. Per la qual cosa negli
anni di Cristo
circa
IIII.c, regnando nello 'mperio di
Roma e di
Gostantinopoli
Arcadio e Onorio figliuoli di
Teodosio,
una gente
barbera delle parti tra 'l settentrione e levante,
delle province che si chiamano
Gozia e
Svezia,
di là dal fiume
del
Danubio, scese uno signore
ch'ebbe nome
Alberigo re de' Gotti, con grande seguito
della gente di quegli paesi, e per loro forza
passaro
in Africa, e
distrussolla in grande parte, e tornando
in Italia, per forza distrussono grande parte di
Roma, e la provincia d'intorno ardendo, e uccidendo
chiunque loro si parava innanzi, sì come gente pagana
e sanza alcuna legge, volendo disfare e abbattere
lo 'mperio de' Romani; e in grande parte il consumaro.
E poi, negli
anni di Cristo
IIII.cXV intorno,
Rodagio
re de' Gotti, successore
del detto
Alberigo, ancora
passò in Italia con innumerabile
esercito di gente;
venne per distruggere la
città di
Roma, e guastò molto
della provincia di Lombardia e di
Toscana. Per la
detta cagione gli Romani veggendosi così aflitti, e
forte temendo
del detto
Rodagio che già era in
Toscana,
e poi si puose
all'asedio della loro
città di
Firenze,
mandato per soccorso in
Gostantinopoli
a lo
'mperadore. Per la qual cosa Onorio imperadore
venne in Italia per soccorrere lo 'mperio di
Roma, e
coll'oste de' Romani venne in
Toscana
a la
città di
Firenze per contastare il detto
Rodagio, overo
Rodagoso,
il quale era all'asedio di
Firenze con
CCm di
Gotti e più; il quale per la volontà di Dio spaventò,
sentendo la venuta dello 'mperadore Onorio, si ritrassono
ne' monti di
Fiesole e d'intorno, e ne le valli;
e ivi ridotti in arido luogo e non proveduti di vittuaglia,
assediati d'intorno
a le montagne da Onorio
e dall'oste de' Romani, più per miracolo
divino che
per forza umana (imperciò che
a comparazione de'
Gotti l'oste dello imperadore Onorio era quasi niente);
ma per la
fame e
sete sofferta per più giorni per
li Gotti, s'
arendero i Gotti presi, dopo molto grande
quantità prima morti di
fame, i quali come bestie furono
tutti venduti per servi, e per uno
danaio diedono
l'uno, con tutto che per la
fame e
disagio che
aveano avuto, la maggiore parte si moriro in brieve
tempo
a
danno de' comperatori che gli aveano
a soppellire;
e
Rodagaso, di
nascosto fuggito de la sua
oste, da' Romani fu preso e morto. E così mostra che
niuna signoria né grandezza nonn ha fermo stato, e
che non venga meno; ché sì come
anticamente gli
Romani andavano per l'universe parti
del
mondo
conquistando e sottomettendosi le province e' popoli
sotto loro giuridizione, così per diversi popoli e nazioni
furono aflitti e tribulati lungo tempo, come innanzi
farà
menzione; e quegli che lo 'mperio consumarono
furono
a la fine distrutti per le loro
peccata.
Essendo la nostra provincia di
Toscana stata in
questa afflizzione, e la
città di
Firenze per la venuta e
assedio de' Gotti in grande tribolazione, sì era in
Firenze
per vescovo uno santo padre ch'ebbe nome
Zenobio. Questi fu cittadino di
Firenze, e fue santissimo
uomo, e molti miracoli fece Idio per lui, e risucitò
morti, e si crede che per gli suoi
meriti la
città
nostra fosse libera da' Gotti, e dopo la sua vita santa
molti miracoli fece. E simile santificò co· llui santo
Crescenzio e santo Eugenio suo
diacano e
soddiacano,
i quali sono soppelliti i loro corpi santi nella
chiesa di Santa Reparata, la quale prima fu nomata
Santo Salvadore;
mma per la vittoria che Onorio imperadore
co' Romani e co'
Fiorentini ebbono contra
Rodagaso re de' Gotti il dì di santa Reparata, fu
a
sua reverenza
rimosso il nome
a la grande chiesa di
Santo Salvadore in Santa Reparata, e rifatto Santo
Salvadore in vescovado, com'è
a' nostri dì. Il detto
santo
Zenobio morì
a San Lorenzo fuori de la
città, e
recando il suo corpo
a Santa Reparata, toccò uno olmo
che era secco nella piazza di Santo Giovanni, e
incontanente tornò verde e fiorìo; e per memoria di
ciò v'è oggi una croce in su una colonna in quello
luogo.
L. 3, cap. 1 rubr.
Qui comincia il terzo libro: come la città di Firenze fu
distrutta per Totile Flagellum Dei re de' Gotti e de'
Vandali.
L. 3, cap. 1Negli
anni di Cristo
CCCCXL,
al tempo di santo
Leo
papa, e di
Teodosio e
Valentiniano imperadori,
nelle parti d'aquilone fu uno re de' Vandali e di Gotti
che si chiamava Bela,
sopranomato
Totile. Questi
ffu barbaro, e sanza legge, e crudele di
costumi e di
tutte cose, nato della provincia di
Gozia e di
Svezia,
e per la sua
crudeltà uccise il fratello, e molte diverse
nazioni di genti per sua forza e
potenzia si sottopuose;
e poi si
dispuose di distruggere e consumare lo
'mperio de' Romani, e disfare
Roma; e così per sua
signoria raunò innumerabile gente
del suo paese, di
Svezia, e di
Gozia, e poi di
Pannonia, cioè Ungaria, e
di
Dannesmarche, per
entrare in Italia. E volendo
passare in Italia, da' Romani, e Borgognoni, e Franceschi
fu contrastato, e grande battaglia contra lui
fatta nelle contrade di
Lunina, cioè
Frioli e Aquilea,
co la maggiore mortalità di gente che mai fosse in
neuna battaglia dall'una parte e dall'altra; e fu morto
il re di Borgogna, e
Totile come sconfitto si tornò in
suo paese co la gente che gli era rimasa. Ma poi volendo
seguire suo proponimento di distruggere lo
'mperio di
Roma, si raunò maggiore
esercito di gente
che prima, e venne in Italia. E prima si puose
ad assedio
a la
città d'Aquilea e stettevi per tre
anni, e poi
la prese e arse e distrusse con tutte le genti; e
intrato
in Italia, per simile modo distrusse Vincenza, e Brescia,
e Bergamo, e Milano, e Ticino, e quasi tutte le
terre di Lombardia, salvo
Modona per gli
meriti di
santo Giminiano che n'era vescovo, che per quella
città trapassando con sua gente, per miracolo di Dio
no· lla vide se non quando ne fu fuori, e per lo miracolo
la lasciò che no· lla distrusse; e distrusse Bologna,
e fece
martorizzare santo
Procolo vescovo di Bologna,
e così quasi tutte le terre di
Romagna distrusse.
E poi trapassando in
Toscana, trovò la
città
di
Firenze poderosa e forte. Udendo la
nominanza di
quella, e come era
edificata da nobilissimi Romani, e
era camera dello imperio e di
Roma, e come in quella
contrada era stato morto
Rodagasio re de' Gotti
suo anticessore con così grande
moltitudine di Gotti,
come adietro è fatta
menzione, comandò che fosse
assediata, e più tempo vi stette invano. E veggendo
che per assedio no· lla potea avere, imperciò ch'era
fortissima di torri, e di
mura, e di molta buona gente,
per inganno, e
lusinghe, e
tradimento s'ingegnò
d'averla; ché i
Fiorentini aveano continuo
guerra
colla
città di Pistoia.
Totile si rimase di guastare intorno
a la
città, e mandò
a'
Fiorentini che volea essere loro
amico, e in loro
servigio distruggere la
città di Pistoia,
promettendo e mostrando
a lloro grande amore,
e di dare loro franchigie con molti larghi
patti. I
Fiorentini male aveduti (e però furono poi sempre in
proverbio chiamati ciechi)
credettono
a le sue
false
lusinghe e vane promessioni,
apersogli le porte, e misollo
nella
città lui e sua gente; e albergò nel Campidoglio.
Il crudele
tiranno essendo nella
città con tutta
sua forza, e con falsi sembianti mostrava amore
a'
cittadini, uno giorno fece richiedere
a suo
consiglio li
maggiori e più possenti caporali de la terra in grande
quantità. E come giugnevano in Campidoglio, passando
ad uno
ad uno per uno valico di camera, gli
facea uccidere e amazzare, non sentendo l'uno dell'
altro, e poi gli facea gittare nelli
acquidocci
del
Campidoglio, cioè la gora d'Arno ch'andava
sotterra
per lo Campidoglio, acciò che niuno se n'acorgesse.
E così ne fece morire in grande quantità, che niente
se ne sentiva nella
città di
Firenze, se non che
all'uscita
della
città ove si scoprivano i detti
acquidocci,
overo gora, e
rientravano inn Arno, si vedea tutta
l'acqua rossa e sanguinosa. Allora la gente s'acorse
dello inganno e
tradimento; ma fu indarno e tardi,
però che
Totile aveva fatto armare tutta sua gente,
e come s'avide che lla sua
crudelità era scoperta, comandò
che
corressono la terra uccidendo piccoli e
grandi, uomini e femmine; e così fue fatto sanza riparo,
però che li cittadini erano sanza arme e isproveduti;
e truovasi che in quello tempo avea nella
città
di
Firenze
XXII.m d'uomini d'arme, sanza gli vecchi
e' fanciugli. La gente della
città veggendosi
a tale dolore
e distruzione venuti, chi potéo scampare il fece,
fuggendosi in
contado, e
nascondendosi in fortezze,
e in boschi, e caverne; ma molti e più de' cittadini ne
furono morti, e tagliati, e
presi, e la
città fue tutta
spogliata d'ogni sustanzia e ricchezza per gli detti
Gotti, Vandali, e
Ungari. E poi che
Totile l'ebbe così
consumata di genti e dell'avere, comandò che fosse
distrutta e arsa e guasta, e non vi rimanesse pietra
sopra pietra; e così fu fatto, se non che da l'occidente
rimase una delle torri che Igneo
Pompeo avea
edificata,
e dal settentrione e dal mezzogiorno una delle
porte, e infra la
città presso
a la porta
casa, sive domo,
interpetriamo il
Duomo di Santo Giovanni,
chiamato prima casa di Marti. E di vero mai non fue
disfatto, né disfarà in etterno, se non
al
die iudicio; e
così si truova scritto nello ismalto
del detto
Duomo.
E ancora vi rimasono l'
alte torri, overo templi, segnati
per alfabeto, che così gli troviamo in antiche
croniche, le quali non sappiamo interpetrare: ciò sono
S
e casa P
e casa F. Porte
IIII avea la
città, e
VI postierle;
e torri di maravigliosa fortezza erano sopra le
porte. E l'idolo dello Idio Marti che'
Fiorentini levarono
del tempio e puosono sopra una torre, allora
cadde inn Arno, e tanto vi stette quanto la
città stette
disfatta. E così fu distrutta la nobile
città di
Firenze
dal pessimo
Totile
a dì
XXVIII di giugno negli
anni
di Cristo
CCCCL, e
anni
V.cXX da la sua
edificazione; e
nella detta
città fu morto il beato
Maurizio vescovo
di
Firenze
a gran tormento per la gente di
Totile, e il
suo corpo giace in Santa Reparata.
L. 3, cap. 2 rubr.
Come Totile fece reedificare la città di Fiesole.
L. 3, cap. 2Distrutta la città di Firenze, Totile se n'andò in
sul monte ov'era stata l'antica città di Fiesole, e con
sue bandiere, e tende, e trabacche, e quivi s'acampò,
e comandò che la detta città si redificasse, e fece
bandire che chiunque volesse tornare ad abitare in
quella fosse sicuro e franco, giurando a llui d'essere
contra li Romani, e acciò che lla città di Firenze non
si rifacesse mai. Per la quale cosa molti che anticamente
erano stati discesi di Fiesole vi tornarono ad
abitare, e de' Fiorentini medesimi isfuggiti, che non
sapeano ove si dovessono abitare né andare. E così
in poco tempo fu rifatta e redificata la città di Fiesole,
e fatta forte di mura e di gente, e poi, come prima
era, e fu sempre ribella di Roma. E perché noi
facciamo in questa nostra storia digressione, lasciando
come Firenze rimase diserta e disfatta, e seguendo
le storie e' fatti de' Vandali, e de' Gotti, e de'
Longobardi, i quali signoreggiarono lungo tempo
Roma, e Toscana, e tutta Italia, sì ne pare di nicessità;
ché per la loro forza e signoria li Fiesolani non
lasciarono rifare Firenze infino che d'Italia non furono
cacciati, come innanzi farà menzione, tornando a
nostra materia.
L. 3, cap. 3 rubr.
Come Totile si partì di Fiesole per andare verso Roma,
e distrusse molte cittadi, e morì di mala morte.
L. 3, cap. 3Rifatta la
città di
Fiesole,
Totile si partì di quella,
e
andonne per
Toscana per guastare lo 'mperio, e
per andare
a
Roma, e prese e distrusse la
città d'
Arezzo,
e quella fece
arare e
seminare di
sale; e Perugia
assediò più tempo, e per
fame l'ebbe e la distrusse,
e 'l beato
Arcolano vescovo di quella fece
strangolare.
Simile fece della
città di
Pisa, e di Lucca, e di
Volterra, e di
Luni, e
Pontriemoli, Parma, Reggio,
Bologna, Imola,
Faenza, Forlì,
Forlimpopolo, e Cesena:
tutte queste cittadi, e l'altre di Lombardia nominate,
e molte altre
città di Campagna e di terra di
Roma dal nequissimo
Totile furono distrutte, e molti
santi monaci e religiosi da llui e da sua gente furono
distrutti e martirizzati, e fece grande persecuzione
a'
Cristiani,
rubando e
disertando chiese e munisteri, e
quelle disfaccendo; e poi andando per distruggere
Roma, in Maremma morìo di repentina
morte. Ma
alcuno altro dottore scrisse che 'l detto
Totile per gli
prieghi
a Dio di santo Leo
papa che allora regnava si
partì d'Italia, e cessò la sua
pestilenza; imperciò che,
per miracolo di Dio,
al detto
Totile apparve più volte
in visione dormendo una ombra con uno viso terribile
e spaventoso,
minacciandolo che s'egli non facesse
il volere
del detto santo padre
papa Leone, il
distruggerebbe. Il quale
Totile per paura di ciò reverenza
fece
al detto
papa, e partissi d'Italia sanza
apressarsi
a la
città di
Roma, e tornossi in
Pannonia;
e là venuto, di repentina
morte morìo; e alcuno disse
che morì in
Cingole nella Marca. Ma dove ch'egli
morisse, la notte medesima ch'egli morì, apparve per
visione di
sogno
a
Marziano imperadore, il quale era
in
Grecia, che l'arco di
Totile era rotto; per la qual
cosa intese che
Totile era morto, e così si trovò che
in quella medesima notte morìo. Questo
Totile fu
il più crudele e potente tiranno che si truovi; e per la
sua iniquissima
crudeltà fu chiamato per sopranome
Flagellum Dei. E per altri si scrisse che 'l detto sopranome
puose santo Benedetto, ch'udendo
Totile la
sua
santità, l'andò
a vedere
a
Montecascino
travisato,
per vedere se 'l conoscesse. Il beato santo non mai
vedutolo, per ispirazione divina il conobbe, e disse:
«Tu
se' fragello di Dio per
pulire le
peccata»; comandògli
da sua parte che non
ispanda più sangue
umano, onde poco apresso morìo. E
veramente fu
flagello di Dio per consumare la superbia de' Romani
e de' Taliani per li loro peccati, che in quello tempo
erano molto corrotti nello errore della
resia ariana,
e contra
a la vera fede di Cristo, ed idolatri, e di
molti altri peccati
spiacenti
a Dio erano contaminati;
e così la divina
potenzia
pulì i non giusti per lo crudele
tiranno non giusto giustamente.
L. 3, cap. 4 rubr.
Come i Gotti rimasono signori in Italia dopo la
morte di
Totile.
L. 3, cap. 4Vivendo ancora
Totile in Italia,
Teodorigo, un altro
re de' Gotti, si partì di
Gozia e distrusse
Danesmarce,
e poi
Lotterige, cioè Brabante e Analdo, e
quasi tutta
Francia; e passò in Ispagna e tutta la distrusse.
E stando in Ispagna udì la
morte di
Totile,
incontanente ne venne in Italia, e co' Vandali, e Gotti,
e
Ungari, e altre diverse nazioni ch'erano stati con
Totile raunò sotto sua signoria, e lasciò in Ispagna
Elarico, overo
Elario, suo fratello re de' Gotti, il
quale
comprese e conquistò non solamente Spagna,
ma il reame di Navarra, e
Proenza, e
Guascogna infino
a'
confini di
Francia. Ma poi il detto
Elarico fu
isconfitto e morto con tutta sua gente da
Crovis re di
Francia, il quale fu il primo re di
Francia che fosse
Cristiano; e la detta battaglia fu presso
a la
città di
Pettieri
a
X leghe, l'
anno di Cristo
VcX, e distrusse i
Gotti per modo che mai non ebbono signoria di là
da' monti. Il sopradetto
Teodorigo che passò in Italia
prese
Roma, e tutta
Toscana, e Italia, e
allegossi
con Leone imperadore di
Gostantinopoli
eretico
ariano; il quale Leone passò in Italia, e venne
a
Roma,
e trasse di
Roma tutte le 'magini de' Cristiani e
arsele in
Gostantinopoli,
a
dispetto
del
papa e della
Chiesa. E quello Leone imperadore e
Teodorico re
de' Gotti guastaro e consumaro tutta Italia, e le chiese
de' fedeli fecero tutte abattere, e lo stato de' Romani
e dello 'mperio molto infieboliro. E poi morto
Leone imperadore, fu Zeno imperadore, e fu contrario
de'
costumi e di tutte cose di Leone, e la sua
schiatta
anullò e consumò, e ebbe
guerra co' Gotti
ch'erano in Italia.
A la fine s'acconciò con pace co· lloro,
ma volle per
istadico
Teodorico il giovane figliuolo
di
Teodorico re de' Gotti, ch'era garzone e
piccolo, e tennelo seco in
Gostantinopoli. E
Teodorigo
re tenne lo 'mperio di
Roma per lo detto
Zenone
imperadore,
faccendonegli omaggio, e
dandonegli
tributo. In questi tempi, circa gli
anni di Cristo
CCCCLXX, regnando in
Gostantinopoli Leone imperadore
di
Roma, nella grande Brettagna, che ora Inghilterra
è chiamata, nacque Merlino profeta (dissesi
d'una
vergine con
concetto overo operazione di demonio),
il quale fece in quello paese molte maraviglie
per negromanzia, e
ordinò la tavola ritonda di
cavalieri
erranti,
al tempo che in Brettagna regnava
Uter
Pandragone, il quale fu de' discendenti di Bruto
nipote d'
Enea primo abitatore di quella, come
adietro facemmo
menzione; e poi
rinnovata per lo
buono re
Artù suo figliuolo, il quale fu signore di
grande
potenzia e
valore, e sopra tutti i signori cortese
e grazioso, e regnò grande tempo in felice stato,
come i ramanzi di Brettoni fanno
menzione, e la
cronica
martiniana in alcuna parte in questo tempo.
L. 3, cap. 5 rubr.
Come i Gotti furono cacciati la prima volta d'Italia,
e come ricoveraro la signoria per lo giovane Teodorico
loro re.
L. 3, cap. 5Nel detto tempo, intorno gli
anni di Cristo
CCCCLXV, uno
Agustolo (questi fu
Teutonico) e prese
e occupò lo 'mperio di
Roma e d'Italia
XV mesi. Ma
Edevancer, Greco di
Rutina, con
Ruteni sua gente
venne in Italia, e per forza prese
Piagenza e Ticino, e
discacciò della signoria il detto
Agustolo, e fecesi
monaco per paura.
Evancer
colli suoi
Rutini venne
a
Roma, e ebbe tutta la signoria d'Italia per
XIIII anni,
e cacciò i Gotti. Sentendo ciò Zeno imperadore che
dimorava in
Gostantinopoli, mandò contra il detto
Edevancer
Teodosio giovane, che rimase
del padre
re de' Gotti, ch'avea
XVII anni, e per
terra venne per
Bolgaria e Ungaria con assai fatica; e
Evancer gli si
fece allo 'ncontro in Aquilea con tutto lo sforzo d'Italia;
quivi si combattero insieme, e
Evancer fu sconfitto,
e fuggisi con pochi
a
Roma; ma il popolo di
Roma no· llo lasciarono
entrare in
Roma, ne la
città.
Teodosio co' Gotti, e Greci, e
Ungari
seguendolo
a
Roma,
Evancer si fuggìo da
Roma
a Ravenna; ancora
il perseguì
Teodosio, e assediollo in Ravenna per tre
anni, e presa la
città, l'uccise, e distrusse sua gente,
negli
anni di Cristo
CCCCLXXX; e
Teodorico rimase
re e signore in Italia, avendo lega e amistà con Zeno
imperadore di
Gostantinopoli, e da' Romani fu ricevuto
a grande onore, e paceficamente tenne
Roma e
Italia grande tempo, e tolse per moglie la figliuola
del re di
Francia, che
Lottieri figliuolo
Crovis ebbe
nome; ma poi si
maculò della
resia ariana, e divenne
come tiranno, e nimico della Chiesa e di veri Cristiani.
Questi fu quello
Teodorico il quale mandò in
pregione e fece poi morire
a Pavia il buono santo
Boezio
Severino
consolo di
Roma, perch'egli per bene
e stato della republica di
Roma e della fede
cristiana,
il
contrastava de' suoi difetti e tirannie, apponendogli
false cagioni. Allora il santo
Boezio compuose
in pregione
a Pavia il
libro della filosofica consolazione.
Poi questo
Teodorico perseguitò molto i
Cristiani, e molti ne fece morire
a petizione degli
ariani, e 'l
papa Giovanni primo mandò in pregione
a Ravenna, e
fecelvi per martirio di
fame morire con
altri che co· llui erano andati in
Gostantinopoli
a
Giustino
imperadore
cristianissimo, per procurare lo stato
della Chiesa e della fede cattolica, e perché
Giustino
non facesse disfare le chiese degli
eretici
ariani;
però che
Teodorico avea
minacciati di distruggere
tutti gli Cristiani d'Italia, se
Iustino offendesse alli
ariani. E poi poco appresso il detto
Teodorico morì
di
mala
morte, e in visione vide uno santo
eremita
che il detto
papa Giovanni gittava in inferno l'anima
del detto
Teodorico. Questi fu negli
anni
VcV. In
questi tempi per gli errori della
resia ariana e
idolatra
tutta Italia fu maculata, e
Gostantinopoli, e tutta
Grecia; e molte
mutazioni di papa furono in
Roma, e
nella Chiesa grandi differenzie e errori, sicché
Toscana
e tutta Italia languiva sì degli errori de la fede, e sì
delle diverse
tiranniche signorie de' Gotti e degli altri
che signoreggiavano; e
crebbe tanto la forza de'
Gotti, che occuparo non solamente Lombardia e
Toscana
e terra di
Roma, ma Napoli e 'l regno di Puglia
e Cicilia e ancora Africa,
crescendo il loro errore, e
vivendo sanza legge, e consumando le province e'
popoli, tanto che gli Romani si ribellaro e cacciaro
gli Gotti di
Roma, i quali raunandosi col loro signore
vennero
all'asedio di
Roma negli
anni di Cristo
V.cXXXVIII.
L. 3, cap. 6 rubr.Come i Gotti al tutto furono cacciati d'Italia per Belusiano
patrice de' Romani.
L. 3, cap. 6I Romani e Italiani veggendosi così consumare e
distruggere
a' Gotti, mandaro in
Gostantinopoli
a
Iustiniano imperadore che gli
dovesse liberare da'
Gotti e recare lo 'mperio di
Roma in suo stato e
franchigia; il quale
Iustiniano, udite le richieste de'
Romani,
e per
adirizzare lo 'mperio di
Roma, fece
patrice de' Romani, cioè padre e suo luogotenente e
vicario,
Belusiano suo nipote, e
mandollo in Italia;
e
Iustiniano rimase in
Gostantinopoli, e
corresse con
grande provedenza tutte le
leggi, le quali erano molte
confuse e in più volumi, e recolle sotto brevità e
con ordine: il quale
Belusiano sopradetto fu uomo di
grande senno e prodezza, e bene
aventuroso in
guerra.
Prima di
Gostantinopoli per
mare valicò in Africa,
e con vittoria ne cacciò i Gotti e' Vandali che 'l
paese occupavano, e poi simile fece in Cicilia; e appresso
venne nel Regno e assediò la
città di Napoli
che si teneano co' Gotti, e per forza la prese, e non
solamente uccise i Gotti che v'erano dentro, ma quasi
tutti gli Napoletani piccoli e grandi, maschi e femmine,
perché ritenevano i Gotti, e con loro aveano
compagnia. E poi ne venne verso
Roma, la quale era
occupata da' Gotti, i quali sentendo la venuta di
Belusiano
patrice, si partiro da
Roma e
ridussonsi con
tutta loro forza
a Ravenna.
Belusiano,
radirizzato lo
stato di
Roma e dello imperio, perseguitò i Gotti
a
Ravenna, e ivi ebbe con loro grande battaglia, e
vinseli,
e sconfissegli, e cacciogli tutti quasi d'Italia; e
poi n'andò inn Alamagna e in
Sassogna, e per forza
tutti quegli paesi e province recò
a l'obedienza e
suggezzione
dello 'mperio di
Roma, e molto ricoverò lo
'mperio e ridusse in buono stato, e bene
aventurosamente
e con vittoria in tutte parti vinse e
soggiogò i
ribelli dello 'mperio, e tenne in buono stato mentre
vivette, infino
agli
anni di Cristo
VcLXV, che
Iustiniano
imperadore e
Belusiano moriro bene
aventurosamente.
E dopo
Belusiano fu fatto
patrice di
Roma
Narses per
Iustino secondo imperadore successore
di
Iustiniano; e questo
Narses ancora ebbe battaglia
in Italia col re de' Gotti, e sconfissegli, e vinsegli, e
al
tutto gli cacciò d'Italia. E così
durò la signoria de'
Gotti in Italia
anni
CXXV con grande
stimolo e struggimento
de' Romani, e di tutti gl'Italiani, e dello
'mperio di
Roma; e così s'adempié la parola
del santo
Vangelo ove dice: «Io ucciderò il nemico mio col
nemico mio». E in questi tempi fu grande sterilità e
fame e
pestilenzia in tutta Italia. E chi vorrà più
stesamente
sapere le battaglie e le
geste de' Gotti
cerchi
i·
libro che comincia: «
Gottorom antichissimi etc
.».
L. 3, cap. 7 rubr.Della venuta de' Longobardi in Italia.
L. 3, cap. 7Essendo
Narses
patrice di
Roma, e signoreggiava
lo 'mperio di ponente per
Iustino imperadore, sì
venne in disgrazia della imperadrice Sofia, moglie di
Iustino, e minacciollo di
morte, e di farlo privare
della sua dignità; per la qual cosa il detto
Narses si
rubellò
dallo imperadore
Giustino, e mandò in
Pannonia
per gli Longobardi, ciò sono
Ungari, e col loro
re chiamato
Rotario fece lega e compagnia contra lo
'mperadore di
Gostantinopoli e de' Greci, per torgli
lo 'mperio di
Roma; e così fu fatto, il quale re di
Longobardi venne in Italia negli
anni di Cristo
VcLXX. E l'abito de' Longobardi che prima vennono
in Italia, si aveano raso il capo, e lunga la barba, e
lunghi vestimenti e larghi, e di lino gli più,
a modo di
Frosoni, e le calze sanza peduli infino
a' talloni, legate
con coregge. Questi Longobardi prima furono di
Sassogna; ma soperchio di genti parte di loro si partiro
di loro paese, e presono
Pannonia, e poi si
stesono
in Ungaria. E Longobardi ebbono nome per uno
indivino chiamato Godan, il quale, venute le
mogli
de' Longobardi e la moglie
del detto
indivino per
avere
consiglio di loro fortuna, per suo
consiglio disse
che la mattina
al levare
del sole venissero, e co· lloro
capelli avolti
al
mento. Godan così veggendole,
disse: «Chi sono questi Longobardi?»; e però fue il
loro primo nome. E poi
al tempo e cagione di su detta
passaro in Italia, e prima discacciarono di
Melano
i Melanesi, e simile gli abitanti di Ticino, e'
Chermonesi,
e' Bresciani, e' Bergamaschi; e in quelle
città
prima cominciaro
ad abitare, e
popolaro di loro gente,
e poi tutte l'altre
città d'intorno, e di quelle di
Toscana
infino nel regno di Puglia signoreggiaro. E
dapoi
fu chiamato quello paese Lombardia, e Lombardi
per lo nome de' Longobardi; che prima avea nome
la provincia Ombria, e di là dal
Po
Ensobra. E
dalla loro venuta innanzi fu asciolto il regno d'Italia
dal giogo di quegli di
Gostantinopoli; e da quello
tempo innanzi gli Romani si cominciaro
a reggere
per
patrici, e
durò grande tempo. E 'l detto re de'
Longobardi fece suo capo
del reame la
città di Pavia,
e fece molto grandi e notabili cose mentre ch'egli regnò.
E stando in Pavia si andò
a llui il santo padre
Allesandro, vescovo allora dell'antica
città di
Fiesole
e cittadino di quella, per cagione che 'l signore di
Fiesole che n'era sanatore guastava la Chiesa, e occupava
le
ragioni
del vescovado e delle sue chiese
soffreganti;
il quale
Rotario re, con tutto che fosse barbaro
e pagano,
al detto santo
Allesandro fece grande
amore e reverenzia, e
esaudì la sua petizione, e fecegli
brivilegi, e liberò la Chiesa, sì come seppe domandare.
Ma il sanatore della
città di
Fiesole, uomo
crudele e malvagio Cristiano, mandò dietro
al detto
santo
Allesandro suoi ministri e famigliari, acciò che
gli togliessono la vita; il quale partendosi da Pavia
per tornare
a
Fiesole, da' detti
masnadieri e ministri
del sanatore di
Fiesole fu
martorizzato, e per forza
gittato e annegato nel fiume
del
Po. Il cui corpo da'
suoi discepoli e compagni fu ritrovato e
recato nella
città di
Fiesole con grande reverenza; e poi per lo
beato santo
Romolo succedente vescovo di
Fiesole,
traslatandolo ove è oggi la sua chiesa suso
a la rocca,
grandissimi e visibili miracoli fece Iddio per lui, e
massimamente contro
al detto senatore e suoi ministri
persecutori de' Cristiani, i quali non solamente
perseguitavano i
vivi, ma eziandio i corpi morti de'
santi non lasciavano soppellire, sì come innanzi la
sua storia pienamente fa
menzione; il cui santo corpo,
e quello
del beato santo
Romolo, e di più altri
martiri e santi sono ancora in
Fiesole, e sono molto
da
reverire; e chiunque in pelligrinaggio vae, per gli
meriti de' detti santi corpi hae grandissimi perdoni e
indulgenze. Lasceremo alquanto delle cominciate
storie de' Longobardi, ch'assai tosto vi torneremo, e
diremo d'una
nuova e
perversa
setta che in questi
tempi si cominciò oltremare, e ciò fu la legge e
setta
de' Saracini fatta per
Maumetto falso profeta, la quale
contaminò quasi tutto il
mondo e molto affrisse la
nostra fede
cristiana.
L. 3, cap. 8 rubr.Del cominciamento della legge e setta de' Saracini
fatta per Maometto.
L. 3, cap. 8E' ne
pare convenevole,
dapoi che in brieve corso
di scrittura avemo fatta
menzione
del venimento in
Italia della gente de' Gotti e della loro fine, di mettere
in questo nostro trattato il
cominciamento della
setta de' Saracini, la quale fu quasi in questi tempi
che' Gotti vennono meno in Italia; e bene ch'ella sia
fuori della nostra principale materia de' fatti
del nostro
paese d'Italia e molto di lungi, sì fu sì grande
mutazione
del
mondo, e donde seguirono poi grandissime
persecuzioni
a santa Chiesa e
a tutti i Cristiani,
e eziandio ne sentì per certi tempi la nostra Italia,
come si troverrà per innanzi leggendo. E brieve diremo
le storie, e la vita, e la fine di
Maometto cominciatore
della detta malvagia
setta de' Saracini, e in
parte
del
cominciamento degli articoli della sua
Alcaram,
cioè legge, acciò che
ciascuno Cristiano che
questo leggerà,
conosca e non sia ignorante della falsa
legge e bestiale de' Saracini, e stia
a commendazione
della nostra santa cattolica e
vangelica fede, ritornando
poi
a nostra materia.
Ne' detti tempi, quasi intorno di
VI.c anni di Cristo,
nacque nel paese d'
Arabia, nato nella
città di
Lamech, uno falso profeta ch'ebbe nome
Maomet,
figliuolo
Aldimenech, il quale fu negromante. Questi
fu disceso dalla schiatta d'
Ismalieni, cioè de' discendenti
d'
Ismael figliuolo d'
Abram e d'
Agar sua ancella;
e con tutto che' Saracini nati de' discendenti d'
Ismael
si
dinominaro da Sara la moglie d'
Abram, più
degnamente e di ragione
dovrebbono essere chiamati
Agarini per
Agar onde il loro
cominciamento nacque.
Questo
Maomet fu di piccola nazione, e di povero
padre o madre; e rimaso piccolo fanciullo sanza
padre e madre, fu ricolto e nudrito in
Salingia in
Arabia con uno sacerdote d'idoli, e co· llui imprese
alquanto di negromanzia; e quando il detto
Maomet
fu in età di sua giovanezza, venne
a stare
al
servigio
d'uno ricco mercatante
arabo, per menare suoi asini
a
vittura. E andando giovane garzone con mercatanti
in sua
vittura, arivò per
cammino in una
badia di
Cristiani, la qual era in sul
cammino e
confini d'
Asiria
e
Arabia di là dal monte
Sinai, ove i mercatanti
facieno loro porto e ridotto. In quella avea uno santo
eremita cristiano, e avea nome
Bahairà,
al quale per
revelazione divina gli fu mostrato che tra gli mercatanti
là venuti avea uno giovane di cui parlava la
profezia
sopra
Ismael nel
XVI capitolo
del Genesis, che
dice: «Egli nascerà uno fiero uomo, che lla sua mano
sarà contra tutti e la mano di tutti sarà contro
a llui,
e che sarebbe averso della fede di Cristo e persecutore
grandissimo». E quand'egli venne co' mercatanti
alla detta
badia, dicono i Saracini che 'l primo
miracolo che Iddio mostrò per lui fu che
crebbe una
porta della chiesa, ond'egli
entrò
maravigliosamente;
e se vero fu, sì fu
segno
manifesto che
dovea
isquarciare
e aprire la porta della santa Chiesa di
Roma. E
conosciuto il giovane per lo santo padre per gli segni
a llui rivelati, il ritenne seco con pura fe' per ritrallo
dell'
idolatra, e
insegnavagli la vera fe' di Cristo, la
quale
Maomet molto bene imparava. Ma per lo
distino,
overo per la forza
del nimico dell'umana generazione,
Maomet non
poté
continovare, ma si tornò
al
suo primo
servigio e
del suo maestro; col quale
apresso
crescendo
Maomet in bontà, gli diede in
guardia il suo maestro i suoi
cammelli, e guidare sue
mercatantie, le quali bene
avrosamente avanzò. E
morto il suo signore, e per lo suo buono
servigio,
a la
donna piacque, e ebbe affare di lui; e poi morto il
marito, il si fece secondo loro
costuma suo
marito, e
fecelo signore d'ogni sua sustanzia e di molto grande
avere.
Maomet divenuto di
povertà in ricchezza, si
montò in grande orgoglio e superbia e in alti intendimenti,
e pensossi di potere essere signore di tutti gli
Arabi, però ch'erano grossi di senno e di
costumi, e
nonn aveano nullo signore, né re, né legge: e egli era
savio, malizioso, e ricco. E per fornire suo proponimento,
prima si fece profeta, e predicava
a quello
grosso popolo, i quali vivieno sanza legge. E per avere
séguito e podere s'acostò con uomini giovani, poveri
e bisognosi, e ch'avieno debito, e con rubatori e
disperati, seguendo co· lloro ogni peccato, e vivendo
co· lloro
a comune di ruberie e d'ogni male aquisto,
spezialmente sopra i Giudei, cui molto
disamava; e
per questo divenne e montò in istato e signoria, e fu
molto
dottato e tenuto nel paese, e quasi come uno
loro re fu temuto per lo podere e senno ch'avea tra
quella gente
barbera e grossa, e per sua superbia più
battaglie ebbe co' signori vicini, e più volte vinse, e
fu sconfitto, e in alcuna battaglia perdé de' denti dinanzi.
E perché si facea profeta, e nelle dette battaglie
in alcune fu sconfitto, onde per falso profeta fu
rimprocciato, di che si
scusava dicendo che Dio non
volea che combattesse, e però il facea perdere, ma
come suo messaggio voleva predicasse
al popolo e
amaestrasse. Il quale predicando, dicea ch'era sopra
tutti i profeti, e che
dieci angioli per
comandamento
d'Iddio il guardavano, ed era messo mandato da Dio
per dichiarare la legge
a' Giudei e
a' Cristiani data
da Dio
a
Moises; e quale
contradicesse la sua legge
fosse morto di spada, e i figliuoli o moglie di quello
cotale fossono suoi servi, e tutta loro sustanza in sua
signoria: questo fu il primo suo
comandamento.
Maomet fu di sua natura molto lussurioso, e in ogni
villano atto di lussuria grazioso era
colle femmine.
Dicea che per grazia di Dio e' poteva più
generare
che
XL altri uomini, e però tenea
XV mogli e più altre
concubine, overo bagasce; e per gelosia le tenea nascose
e velate il viso, perché non fossono vedute e
conosciute: e per suo essempro si reggono ancora i
Saracini di loro
mogli. D'altre femmine usava quanto
potea o gli piacea, e più volentieri le maritate che
l'altre; e di ciò essendo ripreso, e cominciando
a dispregiare
la sua dottrina e predica, sì fu cacciato co'
suoi seguaci della
città di
Lamecche; per la qual cosa
se n'andò
ad abitare in un'altra
città alquanto
diserta
ove abitavano Giudei e pagani e idolatri, e
dura e
salvatica gente, per meglio potere usare la sua falsa
dottrina e predica, e
commuovergli tutti alla sua legge.
E fece fare in quella terra un tempio ov'egli predicava;
e per
iscusarsi della sua disordinata vita d'avolterio,
si fece una legge seguendo la giudaica
del
vecchio Testamento, che qual femmina fosse trovata
in avolterio fosse morta, salvo che co· llui, però ch'avea
per
comandamento da l'angiolo
Gabriello ch'usasse
le maritate per potere generare profeti. Ed essendo
Maomet vago d'una moglie d'uno suo servo
per sue bellezze, e toltala e giaciuto co· llei, il
marito
la cacciò, e
Maomet la si riprese e tenne
coll'altre sue
femmine; e per conservare il suo
avoltero, disse
ch'ebbe
lettera da dDio per l'angelo, che facesse legge
che quale uomo caccerà la moglie, o
apponendole
avoltero e no· llo provasse, ch'un altro la si possa
prendere; e se 'l primo
marito mai la
rivolesse, no· lla
possa riavere, se prima in sua presenza un altro uomo
non giacesse co· llei carnalmente; e allora era purgato
il peccato, e ancora il tengono i Saracini. Ancora
fece legge ch'
a
ciascuno fosse lecito d'avere e usare
tante
mogli e concubine quante ne potesse fornire,
per generare figliuoli e crescere il suo popolo; e
fece legge che
ciascuno potesse usare la sua propia
cosa sanza peccato
a ssua volontà e disiderio, e questo
trasse
del bestiale paganesimo; e fece legge che
quale ancella, cioè serva,
ingrossasse di Saracino fosse
franca; e così
retasse il suo figliuolo come quello
della moglie; e se fosse
Cristiana, o Giudea, o pagana,
si potesse partire libera
a sua volontà, lasciando
al padre di cui avesse aquistato il suo figliuolo. Queste
furono le prime
leggi che fece
Maomet da ssé medesimo.
E avea
Maomet la malatia di morbo caduco,
che spesso cadea in terra e
dibatteasi, e
schiumava
colla bocca sanza
sentimento; e quando il male gli
era passato, per coprire il suo difetto, e per fare meglio
credere
a quella grossa gente il suo errore e falsa
dottrina, dicea che ciò gli avenia quando Iddio volea
parlare co· llui e
amaestrallo delle
leggi che
desse
al
popolo, però che nonn era possibile di
vederlo corporalmente;
sì i· rapia l'agnolo
Gabriello e portavalo
in ispirito, e ne rapire lo spirito avea il corpo suo
quella passione. Istando
Maomet nel
cominciamento
di questa sua falsa dottrina, avenne per
sudozione
del diavolo, volendo corompere la santa fede cattolica,
che uno monaco cristiano ch'avea nome
Grosius,
overo
volgare Sergio, il quale era grande
cherico in
corte di
Roma e scienziato, ma per sue male opere e
falso errore fu scomunicato e condannato per
eretico,
il quale per paura
del
papa si partì di
corte, e
udendo già la
fama di
Maomet, passò oltremare, e di
là si rinegò la fede di Cristo, e co· male talento, per
vendicarsi
del
papa e de' veri Cristiani, si n'andò in
Arabia, e s'acozzò con
Maomet, e
trovollo
al
cominciamento
ch'egli predicava la sua falsa dottrina, ma
ancora non gli era data troppa fede; sì gli mostrò il
detto Sergio come la sua legge volea esser meglio ordinata
e fondata, acciò che 'l suo popolo gli
credesse.
E acostandosi con uno Giudeo, simile rinegato di
sua legge, famigliare di
Maomet, molto savio e segace,
i quali rinegati profertisi per consiglieri di
Maomet,
il quale gli ricevette allegramente, e fecegli molto
grandi maestri appo lui, e eglino per loro astuzia
feciono grande lui appo il popolo,
faccendolo signore
e profeta sopra tutti quegli che mai furono, e messo
di Dio. E ordinarono insieme la falsa dottrina e
mala legge de l'
Arcaram, traendo in parte quello
ch'
a lloro piacque
del vecchio Testamento e de'
X comandamenti
di
Moises, e così
del
nuovo e
vangelico
di Cristo, della fede de' Cristiani, e parte della legge
pagana
idolatra; e
raccomunandole insieme
colle
leggi
fatte in prima e poi per
Maomet, ne feciono una
quarta legge, la quale fu ed è errore e
confusione
della fede
cristiana, e eziandio della giudaica e pagana,
mescolando il veleno col
mele, cioè con certe
parti
del buono delle dette
leggi che vi missono, mescolato
molto
del falso errore. La quale falsa legge
per lo vizio lascivo e largo della carnalità, e per forza
d'arme, corruppe non solamente i grossi
Arabi di
quello paese, ma il paese d'
Asiria, Persia, e
Media,
Mesoppontania, Soria, e
Turchia, e molte altre province
d'oriente, e poi l'
Egitto, e l'Africa tutta insino
in Ispagna, e parte della
Proenza; e alcuna volta si
distesono in Italia e nel nostro paese di
Roma e di
Toscana, siccome per questa e altra
cronica si potrà
trovare. Lasceremo
a dire de' falsi articoli della sua
legge, ché
a questo trattato non ne
pare di nicessità,
e sono
disonesti e abominevoli
a farne in questo memoria;
ma chi llo vorrà sapere
legga l'
Arcam di
Maometo,
ove tutte le sue costituzioni e dicreti vi sono
per ordine. E quando
Maometo fu nell'aggio di
XL
anni, fu per invidia da' suoi medesimi avelenato; e
veggendosi venire
a
morte, comandò che la sua legge
fosse oservata, e chi lla
contradicesse fosse morto
colla spada; e lasciò che, lui morto,
nol
dovessono
soppellire infino
a
tre dì, però che di certo avea da
Dio che in capo de' tre dì, in anima e in corpo, ne
sarebbe portato in
cielo
dagli angeli. I suoi
parenti il
tennono
XII dì, tanto che forte putire
facie il suo corpo,
e non fu portato in
cielo; ma lui poi
imbalsimato,
il portarono alla sua
città da la Mecca onde fu nato,
e in quella nel tempio in una arca messo; e per magistero
di ferro con forza di
calamita, la detta arca col
suo corpo sta sospesa in aria sanza nullo altro tenimento.
Al cui corpo di Saracini di diversi paesi vi
vengono in pellegrinaggio con grandi
oblazioni, e dicono
che per la sua
santità, per miracolo
divino sta
così sospeso in aria. Dopo la
morte di
Maomet molti
savi uomini conobbono il falso errore e dottrina di
Maomet, ed essere
erronica, e da quella si partiro, e
molto popolo fu
scommosso e
ritratto da quella legge.
Ma i
parenti di
Maomet, i quali per la sua signoria
erano grandi e potenti, per non perdere loro stato
sì ordinaro uno successore di lui
al modo
del nostro
papa, il quale tenesse e guardasse la legge di
Maomet,
e
chiamarlo per sopranome calif. Bene ebbe
tra lloro
al
cominciamento, per la 'nvidia della signoria,
grandissima
scisma, e per gara feciono
due calif,
e l'uno calif
dispuose l'altro, e feciono
adizioni e correzzioni
alla legge prima dell'
Alcaram di
Maomet; e
per questa cagione nacque tra lloro errore, onde si
partirono. I Saracini
del levante ritennono la propia
legge di
Maomet, e feciono loro calif dimorante alla
nobile e grande
città di Baldacca, e quegli d'
Egitto e
d'Africa ne feciono un altro i· lloro paese; e tra lloro
fu errore con diverse maniere di legge
erroniche l'una
dall'altra. Ma nel genero la legge dell'uno calif e
dell'altro si concordavano insieme nella larghezza de'
diletti carnali e d'altri vizii lascivi; per la qual cosa,
come detto è dinanzi, la maggiore parte
del
mondo
n'è contaminata. E nota che per certe
profezie si
truova, e per grandi astrolaghi s'aferma, che la detta
setta de' Saracini
dee durare circa
ad
anni
VII.c e allora
dé finire e venire meno. Non
dichiarirò se cominciasse
alla natività di
Maomet o alla sua
morte, o
quando egli
diè la legge
agli
Arabi. Lasceremo dello
incominciamento della legge de' Saracini, e de' fatti
di
Maometto loro profeta, ch'assai in brieve n'avemo
detto, e torneremo
a nostra matera de' fatti d'Italia,
e diremo d'un'altra
perversa e
barbera gente che nella
detta Italia vennoro e signoreggiaro un tempo, che
furono chiamati Lungobardi, e di loro principio, e di
loro
geste, e fine; però che furono grande cagione di
non lasciare
redificare la nostra
città di
Firenze per
lungo tempo.
L. 3, cap. 9 rubr.De' successori di Rotario re de' Lungobardi.
L. 3, cap. 9Dopo il detto
Rotario re de' Lungobardi, onde
adietro facemmo
menzione nel
capitolo di
Narses
che gli fece di prima venire in Italia, regnò
Gisulfo.
Questo
Gisulfo fu re di Puglia, e fece suo capo in
Benivento, che si chiamava in prima
Sannia, e tutta
Puglia
disabitò quasi de' paesani, e abitò di Longobardi,
e feciono la legge che ancora si chiama longobarda,
e tengono ancora i Pugliesi e gli altri Italiani,
in quella parte dove
danno
mondualdo, overo in
volgare
manovaldo, alle donne, quando s'
obbrigano in
alcuno contratto, e fu buona e giusta legge. Questo
Gisulfo assediò
Roma e 'l
papa, e ebbe
due figliuoli:
l'uno ebbe nome
Alberico che fu re in Lombardia, e
l'altro ebbe nome
Grimaldo che rimase re in
Benivento,
e là morìo per
torsi sangue,
faticando suo
braccio in aprire uno arco; e dopo
Grimaldo ne fu re
Romoldo suo figliuolo, e molta persecuzione feciono
alla Chiesa. In Lombardia regnò
Alberico e' suoi discendenti
apresso, e ebbono grande
guerra con quegli
della
città di Ravenna in
Romagna, la quale era la
maggiore e la più famosa
città d'Italia appresso
Roma.
E così per grande tempo signoreggiarono Italia i
Longobardi, tanto che si
convertirono in paesani e
abitanti di tutta Italia. E erano di diverse
sette, con
tutto che fossono battezzati: chi era Cristiano, e chi
ariano e d'altri errori, e chi idolatri e pagani; e così
stette grande tempo Italia maculata d'errori, e di signoria
tirannica per gli Longobardi, e la Chiesa molto
abbassata e afflitta. Dopo
Alberigo regnò re de'
Longobardi
Eliprando, il quale fu grande come gigante,
e per la grandezza
del suo piede si prese la
misura
delle terre, e chiamasi ancora
a' nostri tempi piè
d'
Eliprando, il quale è poco meno d'uno braccio
a la
nostra
misura, e così è intagliato alla sua
sepultura
a
Pavia. Questo
Eliprando fu Cristiano, e mandò in
Sardigna
a fare ritrovare l'ossa e 'l corpo di santo
Agustino, e
fecelo recare in Italia, e per
divozione infino
a
Genova con grande processione venne incontro,
e poi in Pavia le ripuose
a grande onore e solennità
negli
anni di Cristo
VII.cXXV.
L. 3, cap. 10 rubr.
Come Carlo Martello venne di Francia in Italia a
richesta della Chiesa contro a' Lungobardi e l'origine
della città di Siena.
L. 3, cap. 10Nel tempo
del detto
Eliprando, tutto che fosse
cristiano, ma per la sua avarizia, e per volere occupare
le
ragioni della Chiesa santa, e per
consiglio dello
'mperadore di
Gostantinopoli, cominciò
guerra co'
Romani e con
papa Gregorio terzo, e con tutto suo
isforzo venne
ad assediare il detto
papa
a
Roma, egli
di verso Lombardia, e
Grimaldo re de' Sanniti e Pugliesi
con suo isforzo di Puglia, negli
anni di Cristo
VII.cXXXV. Per la qual cosa, fatto
concilio in
Roma, la
Chiesa co' Romani mandarono in
Francia per soccorso
a
Carlo Martello, il quale
Carlo fu figliuolo di
Pipino grande barone di
Francia e de'
XII peri, il
quale governava tutto il reame e lo re medesimo; e
simile fece il detto
Carlo Martello, che il re che allora
era, chiamato
Ciperic, avea solamente il nome, ma
Carlo la forza e la signoria: e fu figliuolo della
serocchia
di
Dodone re d'
Equitania, e poi fu padre
del
buono re
Pipino padre che fu di
Carlo Magno; e
Martello avea sopranome però che 'l portava in sopransegna.
E in fatti fu martello, però che per sua
prodezza percosse tutta Alamagna,
Sassogna, Soavia,
Baviera, e
Danismarce infino i·
Norvea, Inghilterra,
Equitania, e Navarra, e Spagna, e Borgogna, e
Proenza, e tutte le mise sotto la sua signoria, e gli fece
suoi tributarii. Poi
a la richiesta
del detto papa
passò in Italia infino in Puglia, e liberò
Roma e la
Chiesa dall'
ocupazioni de' Longobardi. E dicesi che
in quel tempo, intorno gli
anni di Cristo
VII.cXL, fu il
cominciamento dell'abitazione
del luogo ove è oggi
la
città di Siena per la gente vecchia e non sana che
passò con
Carlo Martello, i quali rimasono in quello
luogo, come adietro è fatta
menzione della
edificazione
di Siena.
L. 3, cap. 11 rubr.Come Eraco Lungobardo re di Puglia tornò all'ubidienza
di santa Chiesa.
L. 3, cap. 11Dopo la
morte d'
Aliprando succedette
Eraco che
regnò in Puglia. Questo
Eraco somigliante
al suo anticessore
ricominciò
guerra
colla Chiesa e con papa
Zaccheria; e vegnendo
a
Roma negli
anni di Cristo
VII.cL con tutto suo isforzo di Puglia e di Lombardia,
per distruggere
Roma e 'l paese d'intorno, per lo
detto
papa fu predicato per modo che Idio ispirò in
lui la sua grazia, e
convertissi
a l'ubidienza di santa
Chiesa egli e la moglie e' figliuoli, e passò oltremare
contra
a' Saracini e' pagani. Per la nostra fede
cristiana
fece di grandi e notabili cose con grande vittoria
contra
Cosdre re di Persia, e diliberò di pregione i
Cristiani di Gerusalem e di Soria presi per lo detto
Cosdre re; e
raquistò la santa croce di Cristo che 'l
detto re di Persia avea tolta di Gerusalem per
dispetto
de' Cristiani; e però s'
ordinò per santa Chiesa la
festa dell'
asaltazione della santa croce. E oltre
a cciò,
tornato d'oltremare, il detto
Eraco per l'amore di
Cristo lasciò ogni signoria
mondana, e
rendési monaco,
e finì in santa vita. E la statua
del
metallo ch'è in
Barletta in Puglia fece fare
a sua
similitudine
al tempo
che regnava in grolia
mondana. E in questi tempi
si trovò di prima lo strumento della campana per
uno maestro della
città di Nola in Campagna, e però
fu chiamata
campana a campania, e alcuni la chiamaro
nola, e la prima fu recata
a
Roma e posta nel portico
di San Giovanni Laterano di piccola e grossa
forma. Ma poi
cresciute e migliorate, fue ordinato
per santa Chiesa si sonasse con quelle,
a onore di
Dio, l'ore
del dì e della notte.
L. 3, cap. 12 rubr.Come Telofre re de' Longobardi perseguitò santa
Chiesa, e come il re Pipino a richiesta di papa Stefano
venne di Francia, e sconfisselo e preselo.
L. 3, cap. 12Apresso
del re
Eraco succedette nel reame di
Lombardia e in quello di Puglia insieme
Aristolfo,
detto in
latino
Telofre, fratello
del detto
Eraco. Questi
fu signore di grande
potenzia, e crudele, e nimico
di santa Chiesa e de' Romani; e per
consiglio de'
malvagi e ribelli Romani, prese
Toscana e la valle di
Spuleto, e
distrussele, e toglieva censi per ogni capo
d'uomo; e fece congiura con Leone e
Gostantino suo
figliuolo imperadori di
Gostantinopoli, e
a sua richesta
passaro
a
Roma, e
presolla con
Telofre insieme, e
rubarolla, e arsono le chiese e' santi luoghi, e portarne
in
Gostantinopoli le ricchezze di
Roma, e tutte le
imagini delle chiese di
Roma, e per
dispetto
del papa
e della Chiesa, e vergogna de' Cristiani, l'arse tutte in
fuoco, e molti fedeli Cristiani distrussero e consumaro
in
Roma e in tutta Italia. Per la qual cosa Stefano
papa secondo gli scomunicò, e tolse per amenda
del
misfatto
a lo 'mperio il regno di Puglia e di Cicilia, e
stabilì per
dicreto che sempre fosse di santa Chiesa.
E poi non potendo riparare
a la forza de' detti tiranni
ed
a tanta aflizzione, in persona n'andò in
Francia
a
Pipino prencipe e governatore de' Franceschi
a richiederlo
e
pregare che venisse in Italia
a difendere
santa Chiesa contro
Telofre re de' Lombardi, e fece
al detto
Pipino molti brivilegi e grazie, e
fecelo e
re di
Francia, e
dispuose
Ilderigo re ch'era
della prima schiatta, però ch'era uomo di niuno
valore,
e
rendési monaco. Il quale
Pipino, fedele e amatore
di santa Chiesa, il ricevette con grande onore, e
poi con tutto suo isforzo col detto papa Stefano passò
in Italia negli
anni di Cristo
VII.cLV, e col detto
Telofre
re de' Lombardi ebbe grandi battaglie.
A la fine
per forza d'arme e di sua gente il detto
Telofre fu
vinto e sconfitto dal buono re
Pipino, e fece le
comandamenta
del
papa e di santa Chiesa, e ogni
amenda, com'egli e' suoi cardinali seppono divisare;
e lasciò alla Chiesa per
patti e brivilegi il reame di
Puglia e di Cicilia, e 'l Patrimonio di Santo Piero. E
venuto il detto
Pipino in
Roma col detto papa, furono
ricevuti
a grande onore da' Romani; e 'l detto
Pipino
fu fatto
patrice di
Roma, cioè luogotenente
d'imperio, e padre della repubblica de' Romani. E
rimessa
Roma e santa Chiesa in sua libertà e in buono
stato, si tornò in
Francia, e finì sua vita
a grande
onore; e succedette
a llui re di
Francia
Carlo Magno
suo figliuolo.
L. 3, cap. 13 rubr.Come Disidero figliuolo di Telofre ricominciò guerra
a santa Chiesa; per la qual cosa Carlo Magno passò
in Italia e sconfisselo, e prese e distrusse la signoria de'
Lungobardi.
L. 3, cap. 13Partito il re
Pipino d'Italia e tornato in
Francia, si
riposò in alcuno tranquillo la Chiesa di
Roma e 'l
paese d'intorno uno tempo, per l'accordo che
Pipino
avea fatto con
Telofre re di Lombardia, e per la vittoria
avuta contra lui; ma morto
Telofre, Desiderio
suo figliuolo succedette
a llui, il quale
maggiormente
che 'l padre fu nemico e persecutore di santa Chiesa,
e ruppe la pace, e
allegossi con
Gostantino che fu figliuolo
di Leone imperadore di
Gostantinopoli, e
colle sue forze fece cominciare
guerra in Puglia, e
Disiderio dall'altra parte in
Toscana, troppo maggiore
che 'l suo padre nonn avea di prima fatta. Per la
qual cosa
Adriano
papa, che allora governava santa
Chiesa, mandò in
Francia per
Carlo Magno figliuolo
di
Pipino che venisse in Italia
a difendere la Chiesa
dal detto Disiderio e da' suoi seguaci; il quale
Carlo
re di
Francia passò in Lombardia negli
anni di Cristo
VII.cLXXV, e dopo molte battaglie e vittorie avute contra
Disiderio, sì ll'asediò nella
città di Pavia; e quella
per assedio vinta, prese il detto Disiderio, e' figliuoli,
e la moglie, salvo che 'l maggiore figliuolo ch'avea
nome
Algife si fuggì in
Gostantinopoli
a
Gostantino
imperadore, e sempre guerreggiò. Preso Disiderio, e
la moglie, e' figliuoli,
Carlo Magno gli fece fare la fedeltà
a santa Chiesa, e simile
a tutti gli baroni e
città
d'Italia; e poi ciò fatto, il detto Disiderio, e la moglie,
e' figliuoli mandò in
Francia pregioni, e là morirono
tutti in pregione, e così
fallì la signoria de' re
de' Lombardi, detti prima Lungobardi, ch'era
durata
CCV anni in Italia, per la forza de' Franceschi e
del
buono
Carlo Magno, che mai poi nonn ebbe re in
Lombardia. Bene rimasero le schiatte de' signori, e
de' baroni, e borgesi
stratti di Longobardi ed i· Lombardia
e in Puglia; e ancora oggi ne sono in nostro
volgare certi antichi gentili uomini che noi chiamiano
cattani
lombardi, derivato da' detti Longobardi
che n'erano stati signori d'Italia.
Carlo Magno, avuta
la detta vittoria, venne
a
Roma, e dal detto
Adriano e
da' Romani fu ricevuto
a grande triunfo e onore. E
apressandosi
Carlo Magno
a
Roma, vedendo la santa
città di
Roma di su Montemalo,
discese da cavallo, e
per reverenza venne
a piè infino
a
Roma; e là giugnendo,
le porte della
città e di tutte le chiese basciò,
e
a
ciascuna chiesa oferse
riccamente. E giunto in
Roma, fu fatto
patrice di
Roma, e egli
adirizzò lo stato
di santa Chiesa, e de' Romani, e di tutta Italia, e
rimise in loro franchigia e libertade, abattute in tutte
parti le forze dello 'mperadore di
Gostantinopoli, e
del re de' Lombardi, e di loro seguaci. E
confermò
a
la Chiesa ciò che
Pipino suo padre l'avea
dotato; e
oltre
a cciò
dotò la Chiesa
del
ducato di Spuleto e di
Benivento. E nel regno di Puglia ebbe più battaglie
contro
a' Longobardi e ribelli di santa Chiesa, e assediò
e distrusse la
città di
Lacedonia ch'è in
Abruzzi
tra l'Aquila e Sermona, e assediò e vinse
Tuliverno il
forte castello
a l'
entrare di Terra di Lavoro, e più altre
terre
del Regno che teneano ribelli di santa Chiesa,
e tutti gli sottomise
a sua signoria. E ciò fatto, lasciando
Roma e tutta Italia in
pacifico stato e sotto
sua signoria, bene
aventurosamente intese
a perseguitare
i Saracini ch'aveano occupato
Proenza, e Navarra,
e Spagna, e
colla forza de' suoi
dodici baroni e
peri di
Francia, chiamati paladini, tutti gli conquise e
distrusse, e passò oltremare
a richiesta dello 'mperadore
Michele di
Gostantinopoli e
del patriarca di
Gerusalem, e conquistò la Terrasanta e Gerusalem,
che ll'occupavano i Saracini, e aquistò
a lo 'mperadore
di
Gostantinopoli tutto lo 'mperio di levante, il
quale aveano occupato i Saracini e'
Turchi. E tornando
in
Gostantinopoli, lo imperadore Michele gli
volle donare molti grandissimi
tesori, nulla volle
prendere, se non il legno de la santa croce e 'l chiovo
di Cristo, lo quale in
Francia ne recò, ed è oggi in
Parigi. E tornato in
Francia, signoreggiò per sua prodezza
e virtude non solamente il reame di
Francia,
ma tutta Alamagna,
Proenza, Navarra, e Spagna, e
tutta Italia.
L. 3, cap. 14 rubr.Della progenia di Carlo Magno, e di suoi successori.
L. 3, cap. 14E imperciò che questo
Carlo Magno fu di grande
affare, e fu per sua prodezza e bontà rifatta la nostra
città di
Firenze, come innanzi faremo
menzione, volemo
brievemente fare memoria de' suoi discendenti
che furono imperadori e re di
Francia, infino che
fallì
la sua schiatta
al tempo d'Ugo
Ciappetta
duca
d'
Orliens. Apresso
Carlo Magno regnò imperadore e
re di
Francia
Luis suo figliuolo
XXVI anni; poi fu
Lottieri suo figliuolo imperadore, come innanzi faremo
menzione, e
Carlo il Calvo l'altro figliuolo di
Luis fu re di
Francia
anni
XXXIIII.
A la fine, morto
Lottieri suo fratello, fu il detto
Carlo il Calvo imperadore
due
anni, e l'altro figliuolo
del sopradetto
Luis, che per lui
Luis ebbe nome, fu re di Baviera e
d'Alamagna, e di là rimasono re i suoi discendenti.
Poi morto
Carlo il Calvo, fu re di
Francia
Luis il
Balbo
suo figliuolo
due
anni. Questi nonn ebbe lo 'mperio,
ma fu imperadore
Luis figliuolo di
Lottieri
imperadore, come innanzi faremo
menzione. Poi di
questo
Luis il
Balbo re di
Francia rimase la moglie
incinta d'uno figliuolo ch'ebbe nome
Carlo il Semprice:
di questo
Luis il
Balbo rimasono ancora
due
figliuoli grandi, l'uno ebbe nome
Luis, e l'altro
Carlo
Magno; ma non furono di diritto maritaggio nati.
Questi regnarono
V anni, e furono morti; e dopo la
loro
morte gli baroni diedono il reame
a
Carlo il
Grosso imperadore, che fu figliuolo di
Carlo il Calvo,
e regnò, essendo imperadore,
V anni re di
Francia.
Questi fu quello
Carlo che
pacificò gli
Normandi,
e fece parentado co· lloro, e fecegli diventare Cristiani,
e diede loro
Normandia, come innanzi farà
menzione. Ma poi questo
Carlo divenne sì malato,
ch'era perduto
del corpo e della
mente, onde per necessità
fu
disposto dello 'mperio e
del reame, e per
gli baroni dello 'mperio fu eletto uno
Arnolfo imperadore,
come innanzi nella storia degli 'mperadori
farà
menzione; ma non fu
de·
legnaggio di
Carlo, né
poi non ne fu niuno imperadore francesco. I baroni
di
Francia,
disposto
Carlo il Grosso, di concordia feciono
re di
Francia Ugo, overo Oddo, figliuolo Ruberto
conte d'
Angieri, e regnò
VIIII anni, e fu buono
uomo e
dolce, e nudrì onorevolmente
Carlo il Grosso
ch'era malato e
disposto. Ma essendo il detto Oddo
in
Guascogna, i baroni di
Francia fecioro re
Carlo
il Semplice figliuolo
adpostumo che fu di
Luis il
Balbo della diritta schiatta reale; onde sappiendo ciò
Oddo,
crucciato venne di
Guascogna in
Francia, e
fece grande
guerra per
V anni, e poi si morì. Questo
Carlo il Semplice regnò re
XXVII anni; ma essendo
lui re, parte de' baroni di
Francia feciono re Ruberto
fratello
del sopradetto Oddo d'
Angieri, e ebbono
grande
guerra ne reame;
a la fine il detto Ruberto fu
sconfitto e morto da
Carlo. Ma poi il detto
Carlo il
Semplice fu preso da Ruberto
conte di
Vermandos,
ch'era
de·
legnaggio di Ruberto ch'era stato re, e in
pregione il tenne
a
Perona tanto che morì. Ma lui
preso, la moglie di
Carlo, ch'era
serocchia
del re
d'Inghilterra, se n'andò
al fratello con uno suo figliuolo
ch'ebbe nome
Luis. Poi gli baroni di
Francia
feciono loro re
Ridolfo figliuolo
del
duca di Borgogna,
e regnò
due
anni; ma lui morto, i baroni mandarono
inn Inghilterra per lo giovane
Luis figliuolo
di
Carlo il Semplice e
feciollo re di
Francia. Questo
Luis regnò in
Francia
XXVII anni. Questi ebbe per
moglie la
serocchia
del primo
Otto della Magna imperadore,
e
ebbene
due figliuoli,
Lottieri e
Carlo il
Grande; poi negli
anni
VIIII.cXLVII fu il detto
Luis
preso nella
città di Leone sopra Rodano da Ugo il
Grande suo nimico. Ma ciò sappiendo
Otto imperadore,
venne in
Francia con innumerabile oste, e prese
la
città di Leone, e trasse di pregione il re
Luis suo
cognato, e poi puose l'assedio alla
città di Parigi, ove
era il detto Ugo il Grande, e rendési egli e la
città
a
la mercé
del detto
Otto, e
paceficò insieme con
Luis
re, e rimase
Luis in sua signoria. Ma lui morto, fu
fatto re di
Francia
Lottieri suo figliuolo, il quale regnò
XXXI anno, e ebbe
guerra co'
Fiaminghi, e vinsegli,
e prese il
ducato
del
Loreno ch'era dello 'mperio,
onde
Otto secondo imperadore suo
cugino ebbe
guerra co· llui, e
corse il reame di
Francia.
A la fine
fecioro pace, e lasciò
a lo 'mperio il
Loreno. Poi
morto
Lottieri, fu fatto re
Luis suo figliuolo, ma non
vivette che uno
anno, e rimase sanza
reda; e gli baroni
di
Francia feciono loro re Ugo
Ciappetta
duca
d'
Orliens gli
anni di Cristo
VIIII.cLXXXXVIII. Allora
fallì la signoria della schiatta di
Pipino e di
Carlo
Magno. Bene rimase in vita, regnando Ugo
Ciappetta,
Carlo il Grande fratello che fu di
Lottieri e
zio
dell'ultimo
Luis, il quale fece gran
guerra
a Ugo
Ciappetta; ma alla fine fu il detto
Carlo sconfitto e
morto, e rimase il reame paceficamente
a Ugo e
a
sue rede: e regnò i·
legnaggio di
Pipino re di
Francia
anni
CCXXXVI. Avendo detto brievemente il corso e
signoria de' successori e discendenti di
Carlo Magno
i quali apresso lui furono re di
Francia, e tali imperadori
di
Roma, infino che
fallì il loro lignaggio, sì nn'è
di nicessità di dire ancora di quello ch'adoperaro
gl'imperadori franceschi, però che si mischia molto
alla nostra materia per le
novità della nostra provincia
d'Italia e della Chiesa di
Roma che furo
a lloro
tempi; e però torneremo adietro, come
Carlo Magno
re di
Francia fu fatto imperadore di
Roma, e poi degli
altri imperadori di suo
legnaggio che furono appresso.
L. 3, cap. 15 rubr.
Come Carlo Magno re di Francia fu fatto imperadore
di Roma.
L. 3, cap. 15
Carlo Magno tornato d'oltremare in
Francia, come
detto avemo, e avendosi sottoposto Alamagna,
Italia, e Spagna, e
Proenza, i malvagi Romani co'
possenti Lombardi e Toscani si rubellaro dalla Chiesa,
e in
Roma presono papa Leone terzo che allora
regnava, andando alla processione delle Letanie, e
abacinarogli gli occhi, e tagliaro la lingua, e
cacciarollo
di
Roma. E come piacque
a dDio per miracolo
divino, e sì come innocente e santo, riebbe la vista
degli occhi e la loquela
del parlare, e
andonne in
Francia
a
Carlo Magno,
pregandolo che venisse
a
Roma
a rimettere la Chiesa in sua libertà; il quale
Carlo,
a richiesta
del detto papa Leone, co· llui insieme
venne
a
Roma, e rimise il papa e la Chiesa in suo
stato e libertade, e fece grande vendetta di tutti i ribelli
e nemici di santa Chiesa per tutta Italia. Per la
qual cosa il detto Leone papa co' suoi cardinali e
concilio generale, e con volontà de' Romani, per le
virtudiose e sante operazioni fatte per lo detto
Carlo
Magno in istato di santa Chiesa e di tutta
Cristianitade,
per
dicreto levaro lo 'mperio di
Roma
a' Greci, e
elessero il detto
Carlo Magno imperadore de' Romani,
siccome dignissimo dello 'mperio; e per lo detto
papa Leone fu consacrato e
coronato in
Roma gli
anni
di Cristo
VIII.cI con grande solennità e onore il dì
di
Pasqua. Il quale
Carlo bene
aventurosamente
imperiò
anni
XIIII e mesi uno e dì
IIII, signoreggiando
in tutto lo 'mperio
del ponente, e le province dette
di sopra, e eziandio lo 'mperadore di
Gostantinopoli
era
a sua obbedienzia; e fece
edificare tante
badie
quante
lettere ha nell'
abicì, cominciando il nome di
ciascuna per la sua
lettera. E
coronato
Luis suo figliuolo
dello 'mperio e
del reame di
Francia,
dando
tutto suo
tesoro
a' poveri per Dio in questo modo,
ch'egli lasciò il terzo di suo
tesoro, il quale era infinito,
a tutti i poveri di
Cristianità mendicanti, e le
due
parti lasciò
a dispensare
a tutti i suoi arcivescovi di
suo Imperio e di suo reame, acciò che lli partissono
intra gli loro vescovi, e
a tutte chiese, monisteri, e
spedali. E questi sono i nomi degli arcivescovadi e
vescovi principali cui fece suoi
esecutori: quello di
Roma, ciò fu il papa, l'arcivescovo di Ravenna, e
quello di
Melano, e 'l patriarca d'Aquilea, e quello di
Grado, e 'l vescovo di
Firenze, in Italia; in Alamagna,
a l'arcivescovo di
Cologna,
a quello di
Maganza,
a quello di Trievi;
a quello di Legge,
a quello di Senso,
a quello di Bisenzona,
a quello di Leone,
a quello
di Vienna in Borgogna;
a quello di
Ruem,
a quello di
Rens,
a quello
del Torso,
a quello di
Burgi, in
Francia;
a quello di
Garent,
a quello di
Riens, in Navarra;
a quello di Bordello, in
Guascogna; e questo troviamo
per le sue
croniche. E ciò fatto, santamente rendé
l'anima
a Cristo nella terra d'
Aquisgran in Alamagna,
e là fu soppellito
a grande reverenza, cioè
ad
Asia la Cappella. Ciò fu gli
anni di Cristo
VIII.cXIIII, e
vivette
LXXII anni; e molti segni appariro innanzi
a
sua
morte, come raccontano le sue
croniche de' fatti
di
Francia. Questo
Carlo acrebbe molto la Chiesa
santa e la
Cristianità
a lungi e apresso, e fu uomo di
grande virtù.
L. 3, cap. 16 rubr.Come apresso Carlo Magno fu imperadore Lodovico
suo figliuolo.
L. 3, cap. 16Dopo la
morte di
Carlo Magno succedette allo
'mperio di
Roma il re di
Francia
Lodovico suo figliuolo
anni
XXV. Questo
Lodovico ebbe in prima
grande
guerra con
due suoi fratelli, ciò furo
Carlo e
Pipino; e l'uno gli rubellò la Magna, e l'altro Spagna;
e poi le
rivinse loro per forza, e finirono male. Ebbe
il detto
Luis tre figliuoli: il primo
Lottieri, e
fecelo
signore in Italia e luogotenente dello 'mperio; il secondo
ch'ebbe nome
Pipino fece re d'
Equitania; il
terzo, detto
Luis, fece re di Baviera d'Alamagna; e
dicesi che quegli della casa di Baviera sono
stratti di
quello lignaggio. Poi ebbe
Luis d'un'altra moglie uno
figliuolo ch'ebbe nome
Carlo il Calvo, e fu poi re di
Francia
XXXIIII anni, e
a la fine fu imperadore
due
anni, morto
Lottieri imperadore suo fratello. Poi tutti
gli detti figliuoli di
Luis col loro padre distrussono,
Brettagna. Poi nacque
disensione grande tra llui e' figliuoli,
i quali si rubellaro da
Luis, e
allegaronsi col
papa, il quale papa
Ghirigoro quarto
colli suoi cardinali
il
dispuosono dello 'mperio per certe
false
accuse
fatte contra lui, e
rendési monaco in San Marco in
Sansona; il quale papa quello
anno medesimo trovando
il vero, si
ripenté e
rimiselo in sua dignità, e'
figliuoli medesimi si
riconobbono, e tornaro
a la sua
obbidenzia.
L. 3, cap. 17 rubr.Come i Saracini di Barberia passarono in Italia e furono
isconfitti e tutti morti.
L. 3, cap. 17
Al tempo di questo
Luis, overo
Lodovico, re di
Francia e imperadore, e di
Grigorio papa, per alquanti
grandi uomini di
Roma e scellerati e fuori d'ogni
fede, per loro tirannia vollono guastare lo 'mperio,
con giura e ordine di certi grandi Toscani: mandarono
al soldano de' Saracini che venisse
a
Roma e
possedesse Italia; i quali Saracini passarono con
grande navilio in Italia, e fu sì grande
moltitudine
che copria la terra come i grilli, e corsoro e guastaro
Cicilia e Puglia, e assediaro
Roma e presono la parte
della
città
Leonina ov'è la chiesa di San Piero, e di
quella feciono
stalla di
cavagli, e disfeciono la chiesa
di San Piero e di San Paolo, e più altre di fuori di
Roma, e poi tutta
Toscana guastaro. Il detto papa
Gregorio mandò per soccorso in
Francia
a
Lodovico
imperadore, e in Lombardia
al marchese di Monferrato;
il quale
Guido marchese co' Lombardi prima
venne, e poi
Lodovico co' Franceschi; e dopo molte
battaglie e spargimento di sangue i Saracini cacciarono
d'Italia, e
andandone in Africa, in alto
mare per
la
tempesta tutti annegaro; e ciò fu negli
anni di Cristo
VIII.cXXXV.
L. 3, cap. 18 rubr.Ancora come i Saracini passarono in Calavra e'
Normandi in Francia.
L. 3, cap. 18Dopo il detto Lodovico imperiò Lottieri anni X.
Questo Lottieri simigliante ebbe guerra co' fratelli
per volere il reame di Francia che tenea Carlo il Calvo,
e combatté co· lloro, e fu sconfitto in Alzurro; per
la qual cosa lo 'mperio molto abassò, che i possenti
Lombardi e Italiani no· llo ubbidieno, ma si recarono
a tiranno, e signoreggiavano chi più potea. E per
questa cagione i Saracini anche a richiesta de' tiranni
passarono in Italia, in Puglia, e in Calavra; e' Normandi,
ciò furono Noverchi di Norvea, per mare
passaro in Gallia, e distrussono quasi tutta Francia; e
ciò fu negli anni di Cristo VIII.cXLVII, onde lo 'mperio
di Roma e 'l reame di Francia molto abassò. Per la
qual cosa Lottieri per dolore lo 'mperio e parte de·
reame che tenea dal fiume de lo Scalto a Reno lasciò
al figliuolo, e fecesi monaco e religioso di santa vita.
A costui tempo Leone papa quarto rifece la chiesa di
San Piero e di San Paolo, e tutte le chiese di Roma
disfatte da' Saracini, e fece le mura della città detta
Leonina intorno a San Piero, e per suo nome così fu
chiamata.
L. 3, cap. 19 rubr.
Come e in cui fallì lo 'mperio e reame di Francia alla
progenia di Pipino.
L. 3, cap. 19Dopo
Lottieri
imperiò
Luis secondo suo figliuolo
XXI anno. Questi ebbe molte battaglie co' Romani e
co' Toscani, perché nonn
ubbidieno lo 'mperio; e
al
suo tempo il reame di
Francia ebbe molte aversità
da'
Normandi. Dopo costui fu imperadore
Carlo secondo
figliuolo di
Luis primo, detto
Carlo Calvo.
Questi venne
a
Roma, e per podere di sua moneta
che spese
a' possenti Romani e
a papa Giovanni ottavo
si fece coronare imperadore, e non regnò che
XXI mese; e in questo tempo
Luis di Baviera suo fratello
gli fece
guerra, e gli occupò parte dello 'mperio
a'
confini di
Francia. Questo
Carlo rifece tutte le
chiese disfatte da' Saracini in Italia, e cacciogli di Cicilia;
e tornando
Carlo Calvo la seconda volta da
Roma,
fu da uno medico giudeo avelenato, e morì
a
Vercelli in Lombardia, e 'l suo corpo da' suoi fu portato
in
Francia
a Santo
Dionisio. E dopo il detto
Carlo il Calvo succedette
a llui
Carlo il terzo, il quale
fu chiamato
Carlo il Grosso, e imperiò
anni
XII, e
degli ultimi
XII anni gli
V anni fu imperadore e re di
Francia, però ch'era morto
Luis il Semplice suo
zio
re di
Francia
a figliuoli sanza
reda. Ma
al fine il detto
Carlo il Grosso
amalòe, per modo che quasi era perduto,
sì che per nicessità da' baroni fu
disposto dello
imperio e
del reame.
Al tempo di costui i
Normandi
e quegli di
Danesmarce distrussero e guastaro gran
parte di
Francia e d'Alamagna, per la qual cosa il
detto
Carlo il Grosso, innanzi che fosse perduto de
la malatia, andò contra le dette genti con tutto suo
isforzo infino in Alamagna. I
Normandi veggendo la
potenzia dello 'mperadore, si
pacificaro co· llui, e il
loro re tolse per moglie la sua
cugina figliuola che fu
di
Luis il Semplice re di
Francia, e per mano
del detto
Carlo si fece battezzare Cristiano, e tutte sue genti
per lui si feciono Cristiani; e non volendo tornare in
loro paesi, sì diede loro il detto
Carlo
ad abitare la
contrada e paese che allora si chiamava
Laida
Serna,
la quale per loro nome e poi sempre fu chiamata
Normandia, e ciò fu negli
anni di Cristo
VIII.cLXXXX;
e il primo
duca de'
Normandi ebbe nome Ruberto,
del cui lignaggio discesono valenti signori, come innanzi
faremo
menzione.
L. 3, cap. 20 rubr.Di quello medesimo, e come regnaro appresso i· lignaggio
d'Ugo Ciappetta.
L. 3, cap. 20Appresso che fu
disposto dello 'mperio, come
detto avemo,
Carlo il Grosso, i baroni
elessero imperadore
Arnolfo, overo
Arnoldo, uno barone di
Francia,
ma non fu
del lignaggio di
Carlo il Magno. Questi
regnò
XII anni, ma poco si travagliò de' fatti d'Italia,
se non in tanto che per sua forza fece fare papa
Sergio il terzo, il quale fece nella Chiesa molte grandi
mutazioni contra i suoi anticessori, come la
cronica
martiniana fa
menzione. Questo
Arnolfo combatté
in
Maganza con
Danesmarce e
Normandi, e vinsegli
e cacciogli, che
XL anni Alamagna e
Francia aveano
soggiogata. Questi
a la fine per malizia divenne
perduto, e lo 'mperio de' Romani ch'era
appo' Franceschi
al suo tempo
fallì e venne meno, gli
anni di
Cristo
VIIII.cI. E non solamente
fallì lo 'mperio
a'
Franceschi, ma eziandio la signoria d'Alamagna
al
suo figliuolo e successore gli
anni di Cristo
VIIII.cX,
che
Currado primo tedesco ne fu fatto re, e
fallì
a'
Franceschi la signoria di Spagna, e di Navarra, e
Proenza, e non passò
anni
LXXX ch'
al tutto
fallì i·
legnaggio
di
Carlo Magno, che non furono re di
Francia
dal tempo di Ugo
Ciappetta
duca d'
Orliens, come
adietro facemmo
menzione, gli
anni di Cristo
VIIII.c e così mostra che
VII fossero gl'imperadori
franceschi, che vi furono
de·
legnaggio
del buono
Pipino.
Durò lo 'mperio apo' Franceschi discendenti
di
Carlo Magno per
C anni, e per loro
discordie finìo
in loro lo 'mperio, e ritornò
agl'Italiani; però che
nonn atavano gli Romani dalle ingiurie de' Lombardi
e de' Toscani, né 'l papa, né lla Chiesa da' tiranni
che lla perseguieno; e dove i loro anticessori aveano
fatto le chiese e
dotate
riccamente, per loro erano distrutte
e rubate. Avemo detto sì lungamente dello
imperio e de' re de' Franceschi, lasciando nostra materia
de' fatti di
Firenze, per continuare le
novitadi e
persecuzioni ch'
a lloro tempi ebbono gli Romani e
quasi tutta Italia da' Saracini, e dalle
discordie de'
Lombardi ch'ebbono
colla Chiesa; per la qual cosa la
città di
Firenze, di poco tempo rifatta, per le dette
aversitadi poco acrebbe o venne in istato. Lasceremo
le storie de' Franceschi e torneremo
a nostra materia
adietro, per
contare come la
città di
Firenze fu rifatta
e ristorata
al tempo
del buono
Carlo Magno; ma
prima diremo di suo averso stato innanzi ch'ella fosse
rifatta.
L. 3, cap. 21 rubr.Come la città di Firenze istette guasta e disfatta CCCL
anni.
L. 3, cap. 21Dopo la distruzione della
città di
Firenze fatta per
Totile
Flagellum Dei, come adietro è fatta
menzione,
stette così
disfatta e
diserta intorno di
CCCL anni per
lo male stato di
Roma e dello 'mperio, il quale prima
da' Gotti e Vandoli, e poi da' Longobardi e Greci e
Saracini e
Ungari fue perseguitato e abassato, come
adietro è fatta
menzione. Ben v'avea ov'era stata
Firenze
alcuno borgo e abitanti intorno
al
Duomo di
Santo Giovanni, per cagione che'
Fiesolani vi faceano
mercato un dì della settimana, e
chiamavavi Campo
Marti per l'antico nome, però che prima sempre
da'
Fiesolani era loro mercato, e così chiamato anzi
che
Firenze si facesse. Avenne per più volte, infra 'l
detto tempo che la
città era guasta e
disfatta, che
que'
cotanti abitanti de' borghi e
del mercato,
coll'
aiuto di certi nobili
del
contado che
anticamente
erano stati
stratti de'
Fiorentini primi cittadini, e di
quegli di
villaggi intorno, vollero più volte
richiudere
de' fossi e di steccati alcuna parte della
città intorno
al
Duomo; ma per quegli della
città di
Fiesole, e col
loro aiuto i
conti da Mangone, e di
Montecarelli, e
da Certaldo, e di Capraia, ch'erano tutti d'uno lignaggio
co'
conti da Santa Fiore
stratti di Lungobardi,
si mettevano
a riparo e contasto, e non lasciavano
rifare; ma quello che ssi facea, per forza, vegnendo
armati e possenti, il faceano abattere e disfare, sicché
per questa cagione, per l'aversitadi ch'aveano i Romani,
siccome adietro è fatta
menzione, e perché i
Fiesolani sempre si tennono co' Gotti, e poi co' Longobardi,
e con tutti i ribelli e nemici dello 'mperio di
Roma e di santa Chiesa, e erano per la loro forza sì
possenti e grandi che non n'aveano contasto da niuno
loro vicino, non
sofferieno che lla
città di
Firenze
si rifacesse; e per questo modo stette lungo tempo,
infino che Dio puose fine all'aversità della
città di
Firenze,
e recolla
a salute della sua reparazione, come
per noi si tratterà nel
seguente
capitolo, e quarto
libro.
L. 4, cap. 1 rubr.
Qui comincia i· quarto libro: come la città di Firenze
fu redificata colla potenzia di Carlo Magno e de'
Romani tornando alquanto adietro.
L. 4, cap. 1Avenne, come piacque
a dDio, che
al tempo
del
buono
Carlo Magno imperadore di
Roma e re di
Francia, di cui adietro avemo fatta lunga memoria,
dapoi ch'ebbe abbattuta la tirannica superbia de'
Longobardi, e de' Saracini, e degl'infedeli di santa
Chiesa, e messa
Roma e lo 'mperio in buono stato e
in sua libertà, siccome adietro è fatta
menzione, certi
gentili e nobili
del
contado di
Firenze, che si diceano
che caporali furono i
filii Giovanni, e'
filii
Guineldi,
e'
filii Ridolfi,
stratti degli antichi nobili cittadini della
prima
Firenze, si congregarono insieme con quegli
cotanti abitanti
del luogo ove fu
Firenze, ed altri loro
seguaci
abitanti nel
contado di
Firenze, e ordinaro di
mandare
a
Roma ambasciadori de' migliori di loro
a
Carlo imperadore, e
a papa Leone, e
a' Romani, e
così fu fatto;
pregandogli che si
dovessono
ricordare
della loro figliuola la
città di
Firenze, la quale fu guasta
e distrutta da' Gotti e Vandali in
dispetto de' Romani,
a ciò ch'ella si rifacesse, e che
a lloro piacesse
di dare forza di gente d'arme
a riparare i
Fiesolani e
loro seguaci nemici de' Romani, che lla
città di
Firenze
non lasciavano
redificare. I quali ambasciadori
da
Carlo imperadore, e dal papa, e da' Romani onorevolemente
furono ricevuti, e la loro petizione accettata
benignamente e volentieri; e incontanente lo
'mperadore
Carlo Magno vi mandòe le sue forze di
gente d'arme
a cavallo e
a piede in grande quantità;
e' Romani feciono
dicreto e ordine che come i loro
anticessori aveano fatta e
popolata prima la
città di
Firenze, così v'andassero
a
redificare e abitare delle
migliori schiatte di
Roma, e di nobili e di popolo, e
così fue fatto. Con quell'oste dello 'mperadore
Carlo
Magno e de' Romani vi vennono quanti maestri avea
in
Roma, per più tosto
murarla e
afforzarla; e dietro
a lloro gli
seguì molta gente; e tutti i contadini di
Firenze,
e de'
fuggiti cittadini di quella d'ogni parte,
sentendo la
novella, si raunaro
coll'oste de' Romani e
dello imperadore per
redificare la
città; e giunti ov'è
oggi la nostra
città, in su l'
anticaglia e
calcinacci disfatti
s'
acamparono con trabacche e padiglioni. I
Fiesolani
e' loro seguaci veggendo l'oste dello 'mperadore
e de' Romani sì grande e possente, non s'ardiro
a combattere co· lloro, ma tegnendosi
a la fortezza
della loro
città di
Fiesole e
a lloro castella d'intorno,
davano quanto sturbo poteano alla detta
redificazione.
Ma il loro podere fu niente apo la forza de' Romani,
e dell'oste dello imperadore, e de' raunati discendenti
de'
Fiorentini; e così cominciaro
a rifare la
città di
Firenze, non però della grandezza ch'era stata
in prima, ma di minore sito, come apresso farà
menzione, acciò che più tosto fosse murata e afforzata,
e fosse riparo come battifolle della
città di
Fiesole;
e ciò fu negli
anni di Cristo
VIII.cI a l'
entrata
del
mese d'
aprile. E dicesi che gli antichi aveano oppinione
che di rifarla non s'ebbe podere, se prima non
fu ritrovata e tratta d'Arno la imagine di marmo consecrata
per gli primi
edificatori pagani per nigromanzia
a Marte, la quale era stata nel fiume d'Arno dalla
distruzione di
Firenze enfino
a quello tempo; e ritrovata,
la puosero in su uno
piliere in su la riva
del detto
fiume, ov'è oggi il capo
del ponte Vecchio. Questo
nonn affermiamo, né
crediamo, però che cci
pare
oppinione di pagani e d'aguri, e non di ragione, ma
grande simplicità, ch'una sì fatta pietra potesse ciò
adoperare; ma volgarmente si dicea per gli antichi
che
mutandola
convenia che lla
città avesse grande
mutazione. E dissesi ancora per gli antichi che' Romani
per
consiglio de' savi astrolagi,
al
cominciamento
che
rifondaron
Firenze, presono l'ascendente
di tre gradi
del
segno dell'
Ariete,
termine di Giovi e
faccia di
[], essendo il sole nel grado della sua
esaltazione, e la pianeta di Mercurio congiunta
a grado
col sole, e la pianeta di Marti in buono
aspetto
dell'ascendente, acciò che lla
città
multiplicasse per
potenzia d'arme, e di cavalleria, e di popolo sollecito
e
procaccianti in
arti, e in
mercatantie e in ricchezze,
e germinasse d'assai figliuoli e grande popolo. E in
quegli tempi, secondo che ssi dice, gli antichi Romani,
e tutti i Toscani, e gl'Italici, tutto fossero Cristiani
battezzati, ancora teneano certe orlique
a
costume di
pagani, e seguieno i loro cominciamenti secondo la
costellazione; con tutto che questo non s'afermi per
noi, però che costellazione nonn è di nicessità, né
può costrignere il
libero albitrio degli uomini né 'l
giudicio d'Iddio, ma secondo i
meriti e peccati de'
popoli. In alcuna operazione
pare che ssi dimostra la
'nfruenza della costellazione detta, che lla
città di
Firenze
è sempre in grandi
mutazioni e
dissimulazioni
e in
guerra, e talora in vittoria, e talora il contrario, e
sono i cittadini di quella
frequentati in
mercatantie e
in
arti. Ma la nostra oppinione è che lle
discordie e
mutazioni de'
Fiorentini sieno come dicemmo
al
cominciamento
di questo trattato: la nostra
città fue
popolata da
due diversi popoli in ogni
costume, siccome
furono i nobili, e
crudi, e aspri Romani e
Fiesolani;
per la qual cosa nonn è maraviglia se la nostra
città è sempre in
guerra, e
mutazioni, e
disensioni,
e disimulazioni.
L. 4, cap. 2 rubr.Della forma e grandezza che fu redificata la città di
Firenze.
L. 4, cap. 2La
città
nuova di
Firenze si cominciò
a
deficare
per gli Romani, come detto è di sopra, di piccolo sito
e giro,
figurandola
al modo di
Roma, secondo la picciola
impresa; e cominciossi dalla parte di levante
a
la porta di San Piero, la quale fu ove furono le case
di messere
Bellincione
Berti di Ravignani, nobile e
possente cittadino, tutto ch'oggi sieno venuti meno,
onde per retaggio della
contessa
Gualdrada sua figliuola,
e moglie
del primo
conte
Guido, rimasono
a
conti
Guidi suoi discendenti, quando si feciono cittadini
di
Firenze, e poi le venderono
a'
Cerchi neri,
uno casato di
Firenze; e da la detta porta fu uno borgo
infino
a San Piero Maggiore,
al modo di
Roma, e
da quella porta seguirono le
mura in verso il
Duomo,
come tiene oggi la grande
ruga che va
a San Giovanni
infino
al vescovado; e ivi avea un'altra porta che ssi
chiamava porta
del
Duomo, e chi lla chiamò porta
del vescovo; e di fuori di quella porta fue
edificata la
chiesa di Santo Lorenzo,
al modo ch'è in
Roma San
Lorenzo fuor le
mura; e dentro
a quella porta è San
Giovanni, siccome in
Roma San Giovanni Laterano.
E poi conseguendo come
a
Roma, da quella parte
fecero Santa Maria Maggiore; e poi da Sa· Michele
Berteldi infino alla terza porta di San Brancazio, ove
sono oggi le case de' Tornaquinci; e Santo Brancazio
era fuori della
città, e apresso San Paolo,
a modo di
Roma, da l'altro lato della
città incontro
a San Piero,
come in
Roma. E poi dalla detta porta di San Brancazio
conseguendo ov'è oggi la chiesa di Santa Trinita
ch'era fuori delle
mura, e ivi presso ebbe una
postierla
chiamata Porta Rossa, che ancora
a' nostri
tempi la ruga ha ritenuto il nome. E poi si volgieno
le
mura ove sono oggi le case degli
Scali per la
via di
Terma infino in porte Sante Marie, passato alquanto
Mercato Nuovo, e quella era la quarta mastra porta,
la quale era allo incontro delle case che sono oggi
degl'Infangati dall'una parte, e di sopra alla detta
porta era la chiesa di Santa Maria chiamata Sopra
porta, che poi quando si disfece la detta porta,
cresciuta
la
città, si trasmutò la detta chiesa dov'è oggi.
E 'l borgo di Santo Apostolo era di fuori della
città,
e così Santo Stefano,
al modo di
Roma; e di là da
Santo Stefano, in sulla fine della ruga mastra di porta
Santa Maria, fecero e
edeficarono uno ponte con
pile
di macigni fondato in Arno, che poi fu chiamato il
ponte Vecchio, e è ancora; e fu assai più
stretto che
nonn è ora, e fu il primo ponte che si facesse in
Firenze.
E dalla porta di Santa Maria seguieno le
mura
infino
al castello
Altrafonte, ch'era in sul corno della
città sopra il fiume d'Arno, seguendo poi dietro
a la
chiesa di San Piero Scheraggio, che così si chiamava
per uno fossato, overo fogna, che ricoglieva quasi
tutta l'acqua piovana della
città ch'andava in Arno,
che ssi chiamava lo Scheraggio. E dietro alla chiesa
di San Piero Scheraggio avea una
postierla che ssi
chiamava porta
Peruzza, e di là seguivano le
mura
per la grande ruga infino alla
via
del Garbo, e ivi
avea un'altra
postierla; e poi dietro alla
Badia di
Firenze
ritornavano le
mura
a la porta San Piero. E di
così piccolo sito si rifece la
nuova
Firenze con buone
mura e spesse torri, con
quattro porte mastre; ciò sono
dette porta San Piero, porta
del
Duomo, porta
San Brancazio, e porta Santa Maria, le quali erano
quasi inn una croce; e in mezzo della
città era Santo
Andrea,
al modo com'è in
Roma, e Santa Maria in
Campidoglio; e quello ch'è oggi Mercato Vecchio
era il mercato di Campidoglio,
al modo di
Roma. E
la
città era partita in quartieri, ciò sono le dette
quattro
porte; ma poi quando si
crebbe la
città, si recòe
a
sei
sesti, siccome numero perfetto, che s'agiunse il
sesto d'Oltrarno
dapoi che s'abitò; e
disfatta la porta
di Santa Maria, si levò il nome, e si divise come vae
la mastra strada; e dall'una parte si fece il
sesto di
San Piero Scheraggio, e dall'altra parte quello di
Borgo; ed alle
tre prime parti rimase il nome di
sesti,
siccome hanno infino
a' nostri tempi. E feciono capo
il
sesto d'Oltrarno, acciò che andasse in oste
colla
'nsegna
del ponte, e poi San Piero Scheraggio
colla
'nsegna
del carroccio, il quale carroccio di marmi fu
recato da
Fiesole, ed è nella fronte della detta chiesa
di San Piero; e poi Borgo
colla insegna
del becco,
imperciò che in quello
sesto stavano tutti i beccari e
di loro mestiere, e erano
a que' tempi molto innanzi
nella
città; San Brancazio appresso
colla insegna della
branca di leone, per lo nome; e porta
del
Duomo
apresso
colla insegna
del
Duomo; e porta San Piero
da
sezzo
colla insegna delle chiavi. E dove fu de' primi
sesti abitati in
Firenze, fu messo
a l'andare dell'oste
a la
dietroguardia imperciò che in quello
sesto
sempre aveva la migliore cavalleria e gente d'arme
della
città
anticamente.
L. 4, cap. 3 rubr.
Come Carlo Magno venne in Firenze e brivileggiolla,
e fece fare Santo Appostolo.
L. 4, cap. 3Rifatta la
nuova
città di
Firenze nel piccolo
spazio
e forma, e nel tempo che detto è adietro, i capitani
che v'erano per lo 'mperadore e per lo Comune di
Roma l'ordinaro di popolare di gente, e come
anticamente
alla prima
edificazione di
Firenze, l'ordine fu
fatto
a
Roma, che delle migliori schiatte de' Romani
nobili e popolari vi
dovessero rimanere per cittadini
in
Firenze, così fu fatto alla seconda reparazione, e
fu dato
a
ciascuno ricca posessione. E troviamo per
le
croniche di
Francia che poi che lla
città di
Firenze
fu rifatta per lo modo che detto è,
Carlo Magno imperadore
e re di
Francia, partitosi di
Roma e
tornandosi
oltramonti, soggiornò in
Firenze, e fece e tenne
gran festa e solennità il dì della
Pasqua della Resurressione,
gli
anni di Cristo
VIII.cV, e fece in
Firenze
assai cavalieri, e fece
fondare la chiesa di Santo Appostolo
in Borgo, e quella
dotò
riccamente
a onore
di Dio e di santi appostoli; e alla sua partita di
Firenze
brivileggiò la
città, e fece franco e
libero il Comune
e' cittadini di
Firenze, e tre miglia d'intorno, sanza
pagare niuna taglia o spesa, salvo danari
XXVI per
focolare
ciascuno
anno. E per simile modo fece franchi
tutti i cittadini d'intorno che dentro volessero
tornare
ad abitare, e' forestieri; per la qual cosa molti
vi tornaro
ad abitare; e in piccolo tempo per lo
buono sito e agiato luogo, per lo fiume, e per lo piano,
la detta piccola
Firenze fu bene popolata e forte
di
mura e di fossi pieni d'acqua. E ordinaro che lla
detta
città si reggesse e governasse
al modo di
Roma,
cioè per
due consoli e per lo
consiglio di
cento sanatori;
e così si resse gran tempo, come apresso farà
menzione. Bene ebbono lungo tempo i detti cittadini
di
Firenze molto affanno e
guerra, sì per gli
Fiesolani,
ch'erano loro così di presso nemici, e sempre s'
adastiavano,
e erano in
continua
guerra insieme, e
apresso per la venuta che' Saracini feciono in Italia
al
tempo degl'imperadori franceschi, come adietro è
fatta
menzione, che molto
aflissono il paese, e poi
per le diverse
mutazioni ch'ebbe
Roma e tutta Italia,
sì per le
discordie de'
papi, e sì degl'imperadori italiani,
i quali furono in
continua
guerra
colla Chiesa.
Per la qual cosa il nome della
città di
Firenze e la sua
forza stette per
ispazio di
CC anni sanza potersi dilatare
o crescere, stando ne' suoi piccoli termini. Ma
con tutta la
guerra e fatica, sempre
multiplicava in
popolo e in forza, e poco curavano la
guerra de'
Fiesolani,
od altra aversitade di
Toscana; che con tutto
che lla sua forza e signoria si
stendesse poco di fuori
della
città, però che 'l
contado era tutto
incastellato e
occupato da nobili e possenti che non
obbedieno la
città, e tali erano
colla
città di
Fiesole, pure la
città
dentro era unita de' cittadini, e era forte di sito e di
mura e di fossi pieni d'acqua, e dentro
a la detta piccola
città ebbe in poco tempo appresso più di
CL torri
di cittadini, d'altezza di
CXX braccia l'una, sanza
quelle della
città; e per l'altezza delle molte torri
ch'erano allora in
Firenze si dice ch'ella si mostrava
da lungi e di fuori la più
bella e rigogliosa
città
del
suo piccolo sito che si trovasse; e in questo
spazio di
tempo fu molto bene abitata, e piena di
palagi e di
casamenti e grande popolo, secondo il tempo d'allora.
Lasceremo ora alquanto de' fatti di
Firenze, e
brievemente racconteremo gl'imperadori italiani che
regnarono in que' tempi, apresso la
vacazione de'
Franceschi, che cc'è di nicessità, imperciò che per la
loro signoria molte
mutazioni ebbe in Italia, tornando
poi
a nostra materia.
L. 4, cap. 4 rubr.Come e perché lo 'mperio di Roma tornò agl'Italiani.
L. 4, cap. 4Come noi avemo detto dinanzi, lo 'mperio di
Roma
durò alla signoria de' Franceschi intorno di
C anni,
nel quale tempo ebbe
VII imperadori franceschi
da
Carlo Magno infino
ad
Arnolfo, che fu la fine de'
Franceschi; e per cagione delle loro
discordie venne
meno la loro
potenzia, e di
Francia e d'Alamagna,
com'è fatta
menzione. E perché non poteano aiutare
la Chiesa e' Romani dalle ingiurie e forze de' possenti
Lombardi, sì ordinaro per
dicreto che lla degnità
dello 'mperio non fosse più de' Franceschi, ma tornasse
agl'Italiani. E 'l primo imperadore italiano fu
Luigi figliuolo
del re di Puglia, nato per madre della
figliuola di Luigi secondo imperadore che fu de' Romani
e re di
Francia, onde adietro è fatta
menzione.
Questi fu
coronato negli
anni di Cristo
VIIII.cI, e
regnò
VI anni. Questo
Luis ebbe battaglie con
Berlinghieri
che signoreggiava allora in Italia, e
cacciollo di
signoria; ma poi il detto
Luis fu preso
a Verona e fue
accecato, e 'l detto
Berlinghieri fu rimesso in signoria,
e fatto imperadore in Italia, e regnò
IIII anni, e
molte battaglie ebbe co' Romani, e fu
prode in arme.
E
al suo tempo fu il primo re de' Romani in Alamagna,
apresso la signoria de' Franceschi, ch'ebbe nome
Currado di
Sasogna, sicché l'uno regnava in Italia,
e l'altro in Alamagna. E in questo tempo i Saracini
passaro in Italia, e guastaron Puglia e Calavra, e
sparsonsi guastando per molte parti d'Italia infino
a
Roma; ma ivi da' Romani furono contastati e sconfitti,
e tornarsi in Puglia. Dopo il detto
Currado regnò
in Alamagna
Arrigo suo figliuolo
duca di
Sassogna, il
quale fu padre
del primo
Otto, il primo imperadore
d'Alamagna che signoreggiasse in Italia, e fosse per
lo papa consagrato, siccome innanzi farà
menzione.
Dopo il primo
Berlinghieri detto di sopra che fu imperadore
italiano imperiò il secondo
Berlinghieri suo
figliuolo
VIIII anni. In questo tempo papa Giovanni
decimo di
Tosigliano con
Alberigo marchese suo fratello
andaro in Puglia contro
a' Saracini, e co· lloro
ebbono battaglia
al fiume
del
Gariliano, e bene
aventurosamente gli sconfissono, e cacciaro di Puglia.
Poi tornati
a
Roma,
discordia nacque tra 'l papa
e 'l detto marchese, onde il marchese fu cacciato di
Roma, il quale per
cruccio mandò suoi ambasciadori
agli
Ungari, e fecegli passare in Italia; i quali con
grande
multitudine venuti, quasi tutta
Toscana e terra
di
Roma distrussono e guastarono, uccidendo maschi
e femmine, e ogni
tesoro portarono via; ma poi
da' Romani furono cacciati, e ogni
anno per vendetta
per gli Romani s'andava in Ungheria
a
guerreggiargli.
E appresso regnò
Lottieri in Italia
VII anni, e
al
suo tempo fu grande
discordia e
guerra in Italia, e la
città di
Genova fu presa e distrutta da' Saracini d'Africa
negli
anni di Cristo
VIIII.cXXXII, e uccisono e
presono gli uomini, e tutto il loro
tesoro e cose ne
portaro in Africa. E l'
anno dinanzi che' Saracini passassero
apparve in
Genova una fontana che largamente
gittò sangue, il quale fu
segno de la loro futura
distruzione. Apresso
Lottieri regnò imperadore in
Italia il terzo
Berlinghieri con Alberto suo figliuolo
XI anni. Questi furono Romani, e signoreggiaro
aspramente Italia; e prese
Alunda imperadrice, moglie
che fu di
Lottieri imperadore suo anticessore, e
misela in pregione, acciò che non si maritasse
a signore
che gli togliesse lo 'mperio e la signoria per lo
suo
eretaggio.
L. 4, cap. 5 rubr.Come Otto primo di Sassogna passò in Italia a richesta
della Chiesa, e abatté la signoria degl'imperadori
italici.
L. 4, cap. 5Ma
Otto re d'Alamagna
a richiesta
del papa e della
Chiesa, per le
discordie
del detto
Berlinghieri, e
de' Romani, e de' tiranni d'Italia, si mosse d'Alamagna
passando in Italia con grande
potenza, e cacciò
dello 'mperio
Berlinghieri, e trasse di pregione la
detta imperadrice, e
isposolla
a moglie nella
città di
Pavia, la quale donna fue di grande bellezze; ma poi
il detto
Berlinghieri tornò nella grazia d'
Otto e rendégli
la signoria di Lombardia, salvo la Marca
Trivigiana,
e Verona, e Aquilea che ritenne
a sé, e tornossi
in Alamagna. E di là ebbe il detto
Otto molte battaglie
cogli
Ungari e sconfissegli, e vinsegli e recò
a
sua signoria. Ma dimorando lui in Alamagna, poi il
detto Alberto figliuolo di
Berlinghieri per sua signoria
e forza, col séguito de' nobili e possenti Romani,
fece fare papa
Ottaviano suo figliuolo, che fu nomato
papa Giovanni
duodecimo, il quale fu uomo di
mala vita, tegnendo piuvicamente le femmine, e cacciava
e
uccellava come uomo laico, e più cose ree e
furiose fece; per la qual cosa i cardinali e 'l
chericato
di
Roma, e' prencipi d'Italia, per la vergogna che 'l
detto papa Giovanni facea
a santa Chiesa, e
Berlinghieri
dall'altra parte facea le ree opere in Lombardia,
mandarono ambasciadori sagretamente per lo
detto
Otto re in Alamagna, che passasse ancora in
Italia
a correggere la Chiesa, e
adirizzare lo 'mperio,
che
Berlinghieri e Alberto guastavano; il quale
Otto
con grande
potenzia venne in Lombardia, e prese il
detto
Berlinghieri, e
mandollo in pregione in Baviera,
e quivi vilmente finì sua vita. E Alberto si fuggì
d'Italia per paura d'
Otto, e il suo figliuolo papa Giovanni
fu
disposto; e nel detto
Berlinghieri e Alberto
suo figliuolo finì lo 'mperio
agl'Italici, il quale per
VI
imperadori era
durato
LIIII anni, poi che
vacarono i
Franceschi, e mai poi non fu nullo imperadore d'Italia;
e tornò lo 'mperio
agli Alamanni, come innanzi
faremo
menzione; e ciò fu negli
anni di Cristo intorno
di
VIIII.cLV. In quello tempo che regnarono nello
'mperio i Franceschi, e poi gl'Italiani, apresso la
morte
del buono
Carlo Magno, molte diverse
mutazioni
ebbe nella Chiesa, che talora furono
due
papi
a
un'ora, e talora tre; e cacciando l'uno l'altro, e faccendo
morire, e talora accecare, per la forza ch'aveano
l'uno più che
ll'altro, chi
dallo 'mperadore che regnava,
e chi da' possenti Romani e
dagli altri tiranni
d'Italia, onde grande tempo fu in tribolazione e in
iscisma la Chiesa; e con questo molte guerre,
disensioni
e battaglie ebbe per tutta Italia in diversi tempi.
Per la qual cosa lo stato e la signoria de' Romani
venne ogni dì
calando e diminuendo, onde la nostra
città di
Firenze, ch'era camera de' Romani e dello
'mperio, per le sopradette guerre e aflizzioni non
potea spirare né mostrare sue forze in tutto il detto
tempo, però che i
Fiesolani nemici di loro così vicini
sempre teneano cogl'imperadori e cogli altri signori
e tiranni ch'erano ribegli e nimici della Chiesa e de'
Romani; e'
Fiesolani la
città di
Firenze continuo faceano
guerreggiare e guerreggiavano, acciò che
Firenze
non potesse né crescere né sopramontare
a lloro.
Ma come piacque
a dDio, con tutta la
guerra de'
Fiesolani, e degli altri imperadori, e ribelli de' Romani,
la
città di
Firenze sempre
cresceva
a poco
a poco
e
multiplicava, e
Fiesole
venia
calando e diminuendo,
e molta buona gente di
Fiesole lasciaro l'abitare
della
città
del
poggio, e tornaro
a l'agio
del piano e
del fiume
ad abitare in
Firenze,
imparentandosi co'
Fiorentini; e
maggiormente quando cessò la signoria
degli imperadori italiani e tornò
agl'imperadori d'Alamagna,
i quali erano fedeli e divoti di santa Chiesa,
e abattero i tiranni di
Toscana e di Lombardia; e in
quegli tempi la
città di
Firenze
crebbe e
allargossi assai,
e vinse per ingegno di
guerra la
città di
Fiesole, e
disfecela, come innanzi farà
menzione. Lasceremo
al
presente
a parlar di ciò, infino che tempo sarà, e cominceremo
il quinto
libro, come lo 'mperio di
Roma
tornò
agli Alamanni, e quegli che regnaro per gli
tempi, e quello che fecero,
mischiandovi tuttora le
storie e' fatti de'
Fiorentini, come incorsono nella loro
signoria, che ne fia di nicessità
a
volerle
dirittamente
ritrarre e raccontare.
L. 5, cap. 1 rubr.
Qui comincia il quinto libro: come la lezione dello
'mperio di Roma venne agli Alamanni, e come Otto
primo di Sassogna fu consegrato imperadore.
L. 5, cap. 1Regnando nel
papato Giovanni
duodecimo figliuolo
d'Alberto imperadore, come adietro è fatta
menzione, e guastando la Chiesa per le sue ree opere,
fue per parte de' cardinali rimandato per
Otto re
d'Alamagna per levare il detto papa di signoria, e fare
lui imperadore; per la qual cosa il detto papa, sappiendo
ciò,
a Giovanni suo
diacano cardinale ch'avea
ordinato ciò e trattato fece
mozzare il naso, e
a un altro
Giovanni
soddiacano ch'ave' scritto le
lettere fece
tagliare la mano. Per la qual cosa, e per le pessime
opere di
Berlinghieri e d'Alberto, faceano in Lombardia
e in
Toscana,
Otto con tutta sua forza passò
ancora in Italia, e abatté
al tutto la signoria de' detti
imperadori in Lombardia, come in parte fu detto dinanzi.
E poi venne in
Toscana, e da' Lucchesi e da'
Fiorentini fu ricevuto onorevolemente, e soggiornò
assai in Lucca, e alquanto in
Firenze; poi se n'andò
a
Roma, e da' Romani fu ricevuto
a grande gloria e
triunfo; il quale giunto
a
Roma, fece
disporre e cacciare
del
papato il detto Giovanni papa, il quale poi
morì vilmente e in avolterio, e fece
eleggere papa
Leone ottavo, il quale per la malvagità de' Romani
fece decreto che niuno papa fosse fatto sanza l'asentimento
dello 'mperadore. E veggendo il papa e tutto
il
chericato che lla Chiesa non si potea difendere,
né avere sua libertà per la retà de' malvagi Romani e
de' tiranni d'Italia che ll'occupavano, sanza l'aiuto e
forza degli Alamanni, e conoscendo la bontà e
valore
e
potenzia
del detto
Otto re, per dignissimo fue per
lo popolo di
Roma e per la Chiesa eletto imperadore,
e consegrato e
coronato in
Roma dal detto papa
Leone
a grande gloria, negli
anni di Cristo
VIIII.cLV, il
quale fece molti
doni
a santa Chiesa. Questo
Otto fu
di
Sassogna, e regnò imperadore
XII anni, faccendo
grandi e buone opere in
esaltamento della Chiesa e
dello 'mperio, e
pacificò tutta Italia; e ciò fatto, si
tornò in Alamagna
colla sua moglie
Alunda, della
quale avea avuto uno figliuolo, ch'ebbe nome simigliante
al padre
Otto secondo. Ma tornato lui in Alamagna,
per gli malvagi Romani fu
disposto papa
Leone, e feciono papa Benedetto
V, della qual cosa,
sappiendolo
Otto, molto isdegnato e
crucciato tornòe
a
Roma con sua forza, e assediolla; per la qual
cosa i Romani per avere sua pace gli rendero preso il
detto Benedetto papa, e rimise in sedia Leone, che
prima era stato papa, e tornossi in Alamagna, e
menonne
il detto Benedetto, il quale morì vilmente. E
dopo molte pietose e buone opere, e fatti ricchi monasterii,
il detto
Otto si morì in Alamagna. Questo
Otto amendò molto tutta Italia, e mise in pace e
buono stato, e abatté le forze de' tiranni; e
al suo
tempo assai de' suoi baroni rimasono signori in
Toscana
e in Lombardia. Intra gli altri fu il
cominciamento
de'
conti
Guidi, il quale il primo ebbe nome
Guido, che 'l fece
conte Palatino, e diedegli il
contado
di
Modigliana in
Romagna; e poi i suoi discendenti
furono quasi signori di tutta
Romagna, infino
che furono cacciati di Ravenna, e tutti morti dal popolo
di Ravenna per loro
oltraggi, salvo uno picciolo
fanciullo ch'ebbe nome
Guido,
sopranomato Sangue,
per gli suoi che furono tutti in sangue morti; il
quale poi per lo 'mperadore
Otto quarto fu fatto signore
in Casentino, e questi fu quegli che tolse per
moglie in
Firenze la
contessa
Gualdrada, figliuola
che fu
del buono messere
Bellincione
Berti de'
Ravignani
onorevole cittadino di
Firenze. Ancora troviamo
che 'l detto
Otto primo
soggiornava in
Firenze
quando andava e tornava
a
Roma, e mise amore e
piacquegli la
città, e perch'era stata sempre figliuola
della
città di
Roma e fedele allo 'mperio, sì lla
favorì
e brivileggiò, e
dielle infino in
sei miglia di
contado.
E quando tornò in Alamagna, de' suoi baroni vi rimasero
e furono cittadini; e intra gli altri fu quegli
ch'ebbe nome Uberto, onde si dice che nacque la casa
e progenia degli Uberti, e per suo nome così fu
nomata; e un altro barone ch'ebbe nome
Lamberto,
che si dice che discesono i
Lamberti: questo però
non affermiamo; e più altri di sua gente de' migliori
baroni, e di quegli d'
Otto secondo, rimasono in
Toscana
in signoria, onde poi sono
stratti molti lignaggi
in
Firenze di gentili uomini, e molte terre d'Italia.
Questo
Otto primo brivileggiò i Lucchesi che potessero
battere moneta d'oro e d'ariento, e però la loro
moneta è
improntata
del suo nome.
Dapoi che morì
Otto primo fu fatto imperadore
Otto secondo suo figliuolo,
il quale regnò
XV anni.
Al tempo di questo
Otto uno papa Giovanni tredecimo, che ll'avea
coronato,
fue preso da Piero prefetto di
Roma e messo in
Castello Santo Angelo, e poi si fu cacciato in Campagna;
ma il detto
Otto il rimise in sedia, e molti Romani
che di ciò ebbono colpa fece morire di
mala
morte, e molti ne mandò presi in
Sassogna.
Al tempo
di costui i Saracini e' Greci presono Calavra, il quale
andò loro incontro con grande oste di Romani, e Tedeschi,
e Lombardi, e Pugliesi; ma per
mala
condotta,
e perché i Romani e'
Beneventani si fuggiro, fue
sconfitto con grande
danno de' Cristiani, e egli preso
da'
corsali greci; ma per ingegno e
promesse si fece
menare in Cicilia; essendovi arrivato co· lloro, essendo
conosciuto, tutti gli fece morire di
mala
morte. E
poi il detto
Otto assediò
Benivento, e prese la terra e
guastolla per lo loro
tradimento, e
trassene il corpo
di santo
Bartolomeo appostolo, e recollo
a
Roma per
portarlo in
Sassogna; ma tornato
a
Roma morìo poco
appresso, e nell'isola di
Roma lasciò il detto corpo di
santo
Bartolomeo.
L. 5, cap. 2 rubr.Del terzo Otto imperadore, e del marchese Ugo che
fece la Badia di Firenze.
L. 5, cap. 2Dopo la
morte
del secondo
Otto fue eletto imperadore
Otto terzo suo figliuolo, e
coronato per papa
Gregorio quinto negli
anni di Cristo
VIIII.cLXXVIIII, e
regnò questo
Otto
XXIIII anni. Poi che fue incoronato
andòe in Puglia in pellegrinaggio
al Monte Santo
Angelo, e poi si tornò per la
via di
Francia in Alamagna,
lasciando Italia in buono stato e
pacefico. Ma
lui tornato in Alamagna,
Crescenzo
consolo e signore
di
Roma cacciò il detto Gregorio
del
papato, e misevi
uno Greco, ch'era vescovo di Piagenza, molto
savio; ma sentendo ciò
Otto imperadore, molto
crucciato con sua forza tornò in Italia, e assediò in
Roma il detto
Crescenzo e 'l suo papa in Castello
Santo Angelo, che là
entro s'erano fuggiti; il quale
per assedio ebbe il detto castello, e
Crescenzo fece
dicollare, e papa Giovanni
XVI trarre gli occhi e tagliare
le
mani, e rimise in sedia il suo papa Gregorio
che di nazione era suo
parente; e lasciando
Roma e
Italia in buono stato, si tornò in suo paese in Alamagna,
e di là morì bene
aventurosamente. Col detto
Otto terzo venne in Italia il marchese Ugo: credo
che fosse marchese di
Brandimborgo, però che in
Alamagna nonn ha altro marchesato.
A costui piacque
sì la stanza di
Toscana, spezialmente de la nostra
città di
Firenze, ch'egli ci fece venire la moglie, e in
Firenze fece suo dimoro, sì come vicario d'
Otto imperadore.
Avenne, come piacque
a dDio, ch'andando
lui
a una caccia nella contrada di
Bonsollazzo,
per lo bosco si smarrì da sua gente, e
capitò,
a la sua
avisione,
a una
fabbrica dove s'usa di fare il ferro.
Quivi trovando uomeni neri e sformati che in luogo
di ferro parea che
tormentassono con fuoco e con
martella uomeni, domandò che ciò era. Fugli detto
ch'erano anime
dannate, e che
a simile pena era condannata
l'anima
del marchese Ugo per la sua vita
mondana, se non tornasse
a penitenzia; il quale con
grande paura si
raccomandòe
a la
vergine Maria, e
cessata la visione, rimase sì
compunto di spirito, che
tornato in
Firenze, tutto suo patrimonio d'Alamagna
fece
vendere, e
ordinò e fece fare
sette
badie: la prima
fu la
Badia di
Firenze
a onore di santa Maria; la
seconda quella di
Bonsollazzo, ove vide la visione; la
terza fece fare
ad
Arezzo; la quarta
a
Poggibonizzi;
la quinta alla
Verruca di
Pisa; la sesta
a la
Città di
Castello; l'ultima fu quella di Settimo: e tutte queste
badie
dotò
riccamente, e vivette poi
colla moglie in
santa vita, e nonn ebbe nullo figliuolo, e morì nella
città di
Firenze il dì di santo
Tommaso gli
anni di
Cristo
MVI, e
a grande onore fu soppellito alla
Badia
di
Firenze. E vivendo il detto marchese Ugo, fece in
Firenze molti cavalieri della schiatta de'
Giandonati,
de'
Pulci, de'
Nerli, de'
conti da Gangalandi, e di
quegli della Bella, i quali tutti per suo amore ritennero
e portarono l'arme sua adogata rossa e bianca con
diverse
intransegne.
L. 5, cap. 3 rubr.
De' VII prencipi d'Alamagna ch'hanno a eleggere lo
'mperadore.
L. 5, cap. 3Morto
Otto il terzo, per cagione che llo 'mperio
era andato per lignaggio in tre
Otti, l'uno figliuolo
dell'altro, si parve
a Sergio papa quarto, e
a' cardinali,
e
a' prencipi di
Roma che llo 'mperio fosse alla
lezione degli Alamanni, imperciò ch'erano possenti
genti, e grande braccio
del
Cristianesimo; ma che
d'allora innanzi lo 'mperio andasse per elezione
del
più degno,
confermandosi poi per la Chiesa, essendo
aprovato degno: e furono per
dicreto ordinati
sette
lettori dello 'mperio in Alamagna, e ch'altri non potesse
degnamente essere eletto imperadore, se non
per gli detti prencipi. Ciò furono l'arcivescovo di
Maganza
cancelliere d'Alamagna, l'arcivescovo di
Trievi
cancelliere in Gallia, l'arcivescovo di
Cologna
cancelliere in Italia, il marchese di
Brandimborgo camerlingo,
il
duca di
Sassogna che gli porta la spada,
e 'l
conte Palatino
del
Reno che oggi succede per retaggio
al
duca di Baviera, e servelo
a tavola
del primo
messo, e 'l re di Boemme che 'l serve della coppa:
e sanza lui consentire non vale la lezione. E fecesi
dicreto che per cagione che gli Alamanni aveano
tutta la lezione dello 'mperio d'Alamagna, non potesse
essere papa o cardinale, per levare le
disensioni
del
papato; ma non s'attenne. E imperò che,
dapoi
che llo 'mperio venne
al tutto
agli Alamanni, sì seguiremo
omai d'imperadore in imperadore, e simile de'
papa, quanto regnò
ciascuno, e brievemente le sue
operazioni, imperciò che in questi tempi la nostra
città di
Firenze cominciò
ad avere stato e
potenzia
per le revoluzioni de' detti imperadori; e per le
disensioni
che talora ebbono col papa e
colla Chiesa,
molte
mutazioni e parti ebbe nella nostra
città di
Firenze,
come innanzi per gli tempi faremo
menzione
ordinatamente. E ancora n'è di nicessità di fare memoria
degli re di
Francia e di Puglia, imperciò che
molto si mischia la loro signoria alla nostra materia
per le
novità che seguiranno appresso; e però in
brieve per lo primo
capitolo ne faremo
menzione.
L. 5, cap. 4 rubr.Della progenia delli re di Francia che discesono
d'Ugo Ciappetta.
L. 5, cap. 4Ugo
Ciappetta, come addietro facemmo
menzione,
fallito i· lignaggio di
Carlo Magno, fu re di
Francia
nelli
anni di Cristo
VIIII.cLXXXVII. Questo Ugo fu
duca d'
Orliens (e per alcuno si scrive che fur sempre
i suoi antichi e
duchi e di grande lignaggio), figliuolo
d'Ugo il Grande, e nato per madre della
serocchia
d'
Otto primo della Magna; ma per gli più si dice che
'l padre fu uno grande e ricco borgese di Parigi
stratto
di nazione di
bucceri, overo mercatante di bestie;
ma per la sua grande ricchezza e
potenzia, vacato il
ducato d'
Orliens, e rimasene una donna, sì l'ebbe
per moglie, onde nacque il detto Ugo
Ciappetta, il
quale fu molto savio e possente, e· reame di
Francia
tutto si governava per lui; e
fallito i·
legnaggio di
Carlo Magno, come fatta è menzione, si fece fare re,
e regnò
XX anni. Questo Ugo
Ciappetta e suo
legnaggio
sempre portarono il campo azzurro e
fioredaliso
d'oro, e truovasi che
Carlo Magno portò mezza l'arme
dello 'mperio, cioè il campo
ad oro e l'
aguglia nera,
e l'altra metà
fioridaliso; ma in San
Donigi di
Francia si trovarono
insegne vecchie reali, il campo
azzurro con
ispronelle
ad oro; non si sa se furono
del
legnaggio di
Carlo, o de' primi re venuti di
Siccambria.
Apresso Ugo
Ciappetta regnò Uberto suo figliuolo
XII anni, e fu uno grande
cherico inn
iscrittura, e molto cattolico e santo. Poi regnò
Arrigo
suo figliuolo
XXX anni; e poi regnò
Filippo suo figliuolo
XLVIIII anni; poi regnò
Luis il Grosso suo figliuolo
XXXI anno; poi regnò
Luis il Pietoso suo figliuolo
XLIII anni, e fu col nome il fatto, pietoso e
buono, e con tutte le virtù. Questi ebbe per moglie
la
contessa di
Ciarte, la qual fu
discesa
de·
legnaggio
di
Carlo Magno, imperò che fu nata della casa di
Normandia, della qual donna ebbe uno figliuolo
ch'ebbe nome
Filippo il Bornio, il quale regnò
XLIIII
anni. Questo
Filippo fu uomo di grande
valore, e
molto acrebbe il reame. Prima il
conte di
Fiandra,
che ll'avea levato
a' fonti, co li più de' baroni di
Francia si rubellò; il quale per suo senno e prodezza
tutti gli ridusse
a sua signoria, e per lo detto fallo tolse
al
conte di
Fiandra
Vermandosi e Piccardia. Questo
Filippo andò
al conquisto d'oltremare col re Riccardo
d'Inghilterra, e vinse
Acri in Soria; poi ebbe
discordia col re Riccardo per moneta che gli avea
prestata
al passaggio, onde avea pegno la
duchea di
Normandia per
CCm di libbre di parigini; e quando la
venne
a ricogliere, non volle il re di
Francia altro che
parigini piccioli, come dicea la carta; e non potendosi
trovare
al
termine, si
trasattò
Normandia, e recolla
a sua
sugezzione, onde grande
guerra fu poi tra lloro,
che 'l detto re Riccardo s'
allegò contra il re
Filippo
con
Ferrante
conte di
Fiandra, e con
Otto quarto
re de' Romani; il quale, in uno medesimo giorno,
Filippo
re combatté col detto
Otto e
Ferrante
al ponte
al
Bovino in
Fiandra, e sconfissegli, e prese
Ferrante,
e
Otto si fuggì; e
Luis figliuolo
del detto re
Filippo
ebbe battaglie in
Paito contro
al re d'Inghilterra e altri
baroni, e sconfissegli, e recò sotto la sua signoria
Paito,
Guascogna, Torena, e
Angieri, e
Chiermonte;
alla fine lasciò grande
tesoro per
limosina alla terra
d'oltremare, e morì negli
anni di Cristo
MCCXVI.
Apresso
Filippo il Bornio regnò il detto
Luis suo figliuolo
tre
anni. Questo
Luis ebbe
quattro figliuoli
della reina
Biancia figliuola
del re di Spagna: il primo
fu il buono re santo
Luis che succedette
a llui re
di
Francia; il secondo Ruberto il primo
conte d'Artese;
il terzo fu
Alfarante che fu
conte di
Pittieri e di
Lanzone; il quarto fu il buono
Carlo
conte d'Angiò e
poi di
Proenza, e poi per suo
valore e prodezza fu re
di Cicilia e di Puglia, come innanzi farà menzione la
storia
al trattato di
Federigo imperadore e di Manfredi
re suo figliuolo. Il detto santo re
Luis regnò
XLVIII anni, e sconfisse il re d'Inghilterra e 'l
conte
della
Marcia, e andò oltremare
a
Damiata, e là preso
alla Mensura con
Carlo suo fratello, e
morìvi il
conte
d'Artese, e ricomperarsi dal soldano grande
tesoro; e
poi fu
al passaggio di
Tunisi, e là morì santamente
gli
anni di Cristo
MCCLXX. Dopo il re santo
Luis regnò
Filippo suo figliuolo
XIIII anni, e questi fu quegli
che fece il passaggio in
Araona, e là morì. Questo re
Filippo ebbe della figliuola
del re d'
Araona
due figliuoli:
il primo fu
Filippo il Bello, il quale fu il più
bello Cristiano che ssi trovasse
al suo tempo (questi
regnò re in
Francia
XXVIII anni
a' nostri tempi); l'altro
fu
Carlo di
Valois, detto
Carlo
Sanzaterra, che
assai
mutazioni fece
a la nostra
città di
Firenze, come
innanzi
al suo tempo farà menzione. Questo re
Filippo
il Bello ebbe tre figliuoli: il primo fu
Luis re di
Navarra per retaggio della madre; il secondo
Filippo
conte di
Pittieri; il terzo
Carlo
conte della
Marcia; e
morto il padre negli
anni di Cristo
MCCCXV, furono
tutti e tre re di
Francia l'uno apresso l'altro in picciolo
tempo. Avemo raccontato sì per ordine gli re di
Francia e di Puglia
discesi
de·
legnaggio d'Ugo
Ciappetta,
perché
contando le nostre storie di
Firenze, e
dell'altre province e terre d'Italia, si possono meglio
intendere. Lasceremo de' Franceschi, e torneremo
a
nostra materia degl'imperadori di
Roma e de' fatti di
Firenze.
L. 5, cap. 5 rubr.Come Arrigo primo fu fatto imperadore.
L. 5, cap. 5
Dapoi che fu morto il terzo
Otto imperadore gli
elettori della Magna si
elessono nello 'mperio
Arrigo
primo
duca di Baviera; e questi fu
stratto
del
legnaggio
di
Carlo Magno, sì come adietro facemmo menzione,
e ciò fu negli
anni di Cristo
MIII, e regnò
XII
anni e
VI mesi bene
aventurosamente in ogni battaglia
contro
a' suoi nemici in Alamagna, e in Buemmia,
e in Italia, e fece tornare alla fede di Cristo Stefano
re d'Ungheria e tutto suo reame, e
dégli per
moglie la
serocchia. Questi fu il primo
Arrigo imperadore,
ma il secondo fu re della Magna; e però si
scorda la
cronica nel nomare gli
Arrighi; ove dice
IIII vuole dire
III, così lo terzo secondo, quanto allo
'mperio. Questo
Arrigo e la sua moglie, ch'ebbe nome
santa
Cunegonda, stettero e
conservaro insieme
virginitade, overo castitade, e molti miracoli feciono
dopo la loro
morte. Questo imperadore e la detta
sua moglie stettero in
Firenze, e feciono
reedificare
la chiesa di Santo Miniato, siccome adietro facemmo
menzione. Lasceremo alquanto
a raccontare gli
'mperadori, e torneremo
a nostra materia de' fatti di
Firenze, come ne' detti tempi, e con volontà
del detto
imperadore
Arrigo, i
Fiorentini presono e abbatterono
la
città di
Fiesole, e
crebbesi la
città di
Firenze.
L. 5, cap. 6 rubr.Come al tempo del detto Arrigo i Fiorentini presono
la città di Fiesole, e feciolla disfare.
L. 5, cap. 6Ne' detti tempi, regnando imperadore
Arrigo primo,
quegli della
città di
Firenze erano molto
cresciuti
di gente e di podere secondo il loro piccolo sito, e
massimamente per lo favore e aiuto d'
Otto primo
imperadore, e
del secondo e terzo
Otto suo figliuolo
e nipote, che sempre
favoreggiarono la
città di
Firenze;
e come la
città di
Firenze
cresceva, la
città di
Fiesole
sempre calava, avendo
al continuo
guerra e
nimistà
insieme; ma per lo forte sito e fortezza di
mura
e di torri che avea la
città di
Fiesole, invano si travagliavano
i
Fiorentini di
conquistarla, con tutto che
fossero più genti, e di maggiore amistà e aiuto, anzi
erano continuo guerreggiati da'
Fiesolani. Ma veggendo
ciò i
Fiorentini, che per forza no· lla poteano
aquistare, sì ssi
intreguarono co'
Fiesolani, e lasciarono
il
guerreggiare tra lloro; e di triegua in triegua si
cominciarono
a
dimesticare insieme, e usare l'uno
cittadino nella
città dell'altro, e imparentarsi insieme,
e picciola guardia facea l'uno dell'altro. I
Fiorentini
veggendo che lla loro
città di
Firenze nonn avea podere
di fare grande montata, avendo sopra capo sì
fatta fortezza com'era la
città di
Fiesole, provedutamente
e segretamente una notte misono aguato di loro
gente armati da più parti di
Fiesole. I
Fiesolani essendo
assicurati da'
Fiorentini e non prendendosi
guardia, la mattina della loro festa principale di santo
Romolo, aperte le porte, essendo disarmati i
Fiesolani,
i
Fiorentini
entrando nella
città sotto
titolo di
venire alla festa, quando ve n'ebbe dentro buona
quantità, gli altri armati ch'erano nell'aguato presono
le porte della
città; e fatto cenno
a
Firenze, come era
ordinato, tutta l'oste e
potenzia de'
Fiorentini vennero
a cavallo e
a piè
al monte, e
entrarono nella
città
di
Fiesole, e
corsolla tutta sanza uccidere quasi gente,
o fare altro
danno, se non
a chi si contendesse. I
Fiesolani veggendosi subitamente e improviso sopresi
da'
Fiorentini, parte di
coloro che poterono si fuggirono
in su la rocca, la quale era fortissima, e tennersi
lungo tempo apresso. La
città di sotto alla rocca
essendo presa e
corsa per gli
Fiorentini, e prese le
fortezze e le genti che ssi contendeano, l'altro
minuto
popolo s'
arenderono
a
patti che non fossono morti
né rubati di loro cose, faccendo i
Fiorentini loro volontà
di
disfarla, rimanendo il vescovado in sua giuridizione.
Allora i
Fiorentini
patteggiarono che chi volesse
uscire della
città di
Fiesole e venire
ad abitare
in
Firenze potesse venire sano e salvo con tutti i suoi
beni e cose, e andare in altra parte che gli piacesse;
per la qual cosa in grande quantità ne
scesoro
ad
abitare in
Firenze, onde poi furono e sono grandi
schiatte in
Firenze; altri n'andarono
ad abitare intorno
per lo
contado ove aveano loro villate e possessioni.
E ciò fatto, e la
città vota di genti e di cose, i
Fiorentini
la feciono abattere tutta e disfare, salvo il vescovado
e certe altre chiese, e la rocca, che ssi tenea
ancora e non s'
arendeva
a' detti
patti; e ciò fu negli
anni di Cristo
MX, e recarne i
Fiorentini e'
Fiesolani
che ssi feciono cittadini di
Firenze tutte le dignità e
colonne, e tutti gl'
intagli de' marmi che lassù erano,
e il carroccio
del marmo ch'è in San Piero Scheraggio
in
Firenze.
L. 5, cap. 7 rubr.Come molti Fiesolani tornarono ad abitare in Firenze
e fecionsi uno popolo co' Fiorentini.
L. 5, cap. 7Essendo
disfatta la
città di
Fiesole, salvo il castello
della rocca, come detto è di sopra, molti
Fiesolani ne
vennoro
ad abitare in
Firenze e feciono uno popolo
co'
Fiorentini, e per la loro venuta
convenne che ssi
crescesse di
mura e di giro la
città di
Firenze, come
innanzi farà menzione. E acciò che'
Fiesolani venuti
ad abitare in
Firenze fossono con più fede e amore
co'
Fiorentini, sì
raccomunarono l'arme de' detti Comuni,
e feciono allora l'arme dimezzata
vermiglia e
bianca, come ancora
a' nostri tempi si porta in su il
carroccio e nello oste de'
Fiorentini. Il
vermiglio fu
l'antica arme che i
Fiorentini ebbono da' Romani,
come adietro è fatta menzione, che soleano usare
iv'
entro il giglio bianco; e 'l bianco fu l'antica arme
de'
Fiesolani, ma
avevavi dentro una luna cilestra:
ma nella detta arme comune levarono il giglio bianco
e la luna, e fu pur dimezzata; e feciono
leggi e statuti
comuni, vivendo
ad una signoria di
due consoli cittadini
e
consiglio
del senato, ciò era di
C uomini i migliori
della
città, com'era l'usanza data da' Romani
a'
Fiorentini. E così
crebbe molto in quegli tempi la
città di
Firenze e di popolo e di
potenzia per lo disfacimento
della
città di
Fiesole, e per li
Fiesolani
che vennono
ad abitare in
Firenze, ma però nonn
era di grande popolo
a comparazione ch'ella è
a' nostri
tempi; che lla
città di
Firenze era di piccolo sito,
come fatto è menzione, e ancora si vede
al primo giro,
e non v'avea abitanti il quarto ch'è oggi. I
Fiesolani
erano molto scemati, e alla disfazione di
Fiesole
molto si sparsono, e chi andò in una parte e chi in
una altra; ma i più ne vennoro
a
Firenze, e pur fu
grossa
città
al tempo d'allora; ma per quello troviamo,
con tutti i
Fiesolani non furono la metà ch'è oggi
a' nostri dì. E nota perché i
Fiorentini sono sempre
in scisma, e in parti, e in divisioni tra lloro, che
nonn è da maravigliare: l'una ragione si è perché la
città fu
reedificata, come fu detto
al
capitolo della
sua
reedificazione, sotto la signoria e influenzia della
pianeta di Marti che sempre
conforta guerre e divisioni;
l'altra ragione più certa e naturale si è che' Fiorentini
sono oggi
stratti di
due popoli così diversi di
modi, e sempre per antico erano stati nemici, siccome
del popolo de' Romani e di quello de'
Fiesolani;
e ciò potemo vedere per
isperienza vera, e per le diverse
mutazioni e partigioni e
sette che
dapoi che'
detti
due popoli furono congregati in uno avennero
in
Firenze di tempi in tempi, come in questo
libro
omai più
stesamente farà menzione.
L. 5, cap. 8 rubr.
Come la città di Firenze crebbe lo cerchio, prima di
fossi e steccati, poi di mura.
L. 5, cap. 8
Dapoi che'
Fiesolani tornarono in grande parte
ad
abitare in
Firenze, come detto è dinanzi, la
città
s'
empié più di gente e di popolo, e
crescendo in borghi
e abituri di fuori della vecchia e piccola
città, poco
tempo appresso
convenne di nicessità che lla
città
si
crescesse di
cerchio, prima di fossi e di steccati; e
poi
al tempo d'
Arrigo terzo imperadore si feciono le
mura, acciò che lle borgora e acrescimenti di fuori
per le guerre che apparieno in
Toscana per cagione
del detto
Arrigo non potessono essere presi né guasti,
e la
città più tosto assediata da' nemici. E però
a
quel tempo, negli
anni di Cristo
MLXXVIII, come innanzi
incidendo le storie d'
Arrigo terzo farà menzione,
cominciarono i Fiorentini le
nuove
mura, cominciando
dalla parte
del levante alla porta di San Piero
Maggiore, la quale fu alquanto dietro alla detta chiesa,
mettendo il borgo di San Piero Maggiore e la
chiesa detta dentro alle
nuove
mura. E poi
ristrignendosi
dalla parte di tramontana, poco di lungi
al
detto borgo fece gomito
ad una
postierla che ssi
chiamò la porta
Albertinelli per una schiatta ch'era
in quel luogo, che così fu chiamata; poi seguendo insino
alla porta di borgo San Lorenzo, mettendo la
detta chiesa dentro alle
mura; e poi appresso ebbe
due postierle, l'una alla forca di campo
Corbolini, e
l'altra si chiamò poi la porta
del
Baschiera; conseguendo
poi insino alla porta di San Paolo, e appresso
seguendo insino alla porta alla Carraia,
a la quale
fece fine il
muro in su l'Arno, ove poi si cominciò e
fece uno ponte che ssi chiama il ponte alla Carraia
per lo nome di quella porta; e poi seguendo le
mura
non però troppe
alte in su la riva d'Arno, mettendo
dentro ciò ch'era di fuori alle
mura vecchie, ciò era il
borgo di San Brancazio, e quello di
Parione, e quello
di Santo Appostolo, e quello di porte Sante Marie
insino
al ponte Vecchio; e poi appresso in su la riva
d'Arno insino
al castello
Altrafonte. Di là si partirono
alquanto le
mura dalla riva d'Arno, sicché vi rimase
via in mezzo, e
due postierle onde s'andava
al
fiume. Poi faceano tanto e volgeano ove è oggi la coscia
del ponte Rubaconte, e ivi alla rivolta avea una
porta che ssi chiamava la porta de' Buoi, perché ivi
di fuori si facea il mercato de' buoi, che poi fu nomata
la porta di messere Ruggieri da
Quona, però
che i detti da
Quona quando vennero
ad abitare alla
città si puosono in su la detta porta. Poi seguirono le
mura dietro
a Sa· Iacopo tra lle fosse, perché era in
su' fossi, insino ov'è oggi il capo della piazza dinanzi
alla chiesa de' frati minori detta Santa
Croce; e quivi
avea una
postierla ch'andava all'isola d'Arno, poi seguendo
le dette
mura per linea diritta sanza niuna
porta o
postierla, ritornando insino
a San Piero Maggiore
ove cominciano. E così ebbe la
città
nuova di
Firenze di qua dall'Arno
V porte per gli
V sesti, una
porta per
sesto, e più postierle, com'è fatta menzione.
Oltrarno si avea
tre borghi, i quali tutti e tre cominciavano
al ponte Vecchio di là da Arno: l'uno si
chiamava e chiama ancora borgo
Pidiglioso, perch'era
abitato di vile gente, e era in capo
del detto borgo
una porta che ssi chiamava la porta
a
Roma, ove sono
oggi le case de' Bardi presso
a Santa
Lucia de'
Magnoli e passato il ponte Vecchio, e per quella
via
s'andava
a
Roma per lo
cammino da
Fegghine e d'
Arezzo;
altre
mura non avea
al detto borgo se non il
dosso delle case di costa
al
poggio. L'altro borgo era
quello di Santa Felicita, detto il borgo di Piazza, che
avea una porta ove è oggi la piazza di San Filice, onde
va il
cammino
a Siena; e un altro borgo che ssi
chiamava di Sa· Iacopo, che avea una porta ove sono
oggi le case de'
Frescobaldi, che andava il
cammino
a
Pisa.
A' detti tre borghi
del
sesto d'Oltrarno non
avea altre
mura se non le porte dette e'
dossi delle
case di dietro che chiudeano le borgora con giardini
e ortora di dietro. Ma da poi che llo 'mperadore
Arrigo
terzo venne
ad oste
a
fFirenze, i Fiorentini feciono
murare Oltrarno, cominciando
a la detta porta
a
Roma montando adietro
al borgo
a la costa di sotto
a
San Giorgio, e poi
riuscieno dietro
a Santa Felicita,
rinchiudendo il borgo di Piazza e quello di Sa· Iacopo,
e quasi come andavano i detti borghi; ma poi si
feciono le
mura d'Oltrarno
al
poggio più
alte, come
sono ora,
al tempo che di prima i Ghibellini signoreggiarono
la
città di
Firenze, come faremo menzione
a luogo e
a tempo. Lasceremo alquanto de' fatti
di
Firenze, e tratteremo degl'imperadori che furono
appresso il primo
Arrigo, che cci sono di nicessità
a
raccontare per conseguire la nostra storia.
L. 5, cap. 9 rubr.Come Currado primo fu fatto imperadore.
L. 5, cap. 9Dopo la morte d'Arrigo primo imperadore fu eletto
e consegrato Currado primo per Benedetto papa
ottavo negli anni di Cristo XV Questi fu di Soavia,
e regnò nello 'mperio Xanni, e quando egli passò in
Italia, non possendo avere la signoria di Melano, sì ll'
assediò infino ne' borghi; ma prendendo la corona
del ferro di fuori di Melano in una chiesa, cantando
la messa, sì venne uno grande tuono e saetta in quella
chiesa, e alquanti ne morirono; e levato l'arcivescovo
che cantava la messa dall'altare, disse a Currado
imperadore che visibilemente vide santo Ambruogio
che fortemente il minacciava se non si partisse
dall'assedio di Melano; e egli per quella amonizione
si levò da oste, e fece pace co' Melanesi. Questi
fu giusto uomo, e fece molte leggi, e tenne lo
'mperio in pace lungo tempo. Bene andò in Calavra
contro a' Saracini ch'erano venuti a guastare il paese,
e co· lloro combattéo, e con grande spargimento di
sangue de' Cristiani gli cacciò e conquise. Questo
Currado si dilettò assai della stanza della città di Firenze
quando era in Toscana, e molto l'avanzò, e più
cittadini di Firenze si feciono cavalieri di sua mano e
furono al suo servigio. E acciò che si sappia chi erano
i nobili e possenti cittadini in quegli tempi nella
città di Firenze, brievemente ne faremo menzione.
L. 5, cap. 10 rubr.
De' nobili ch'erano nella città di Firenze al tempo del
detto imperadore Currado: prima di quegli d'intorno
al Duomo.
L. 5, cap. 10Come adietro è fatta menzione, la prima
reedificazione
della picciola
Firenze era divisa per quartieri,
cioè per
quattro porte; e acciò che noi possiamo meglio
dichiarire i nobili legnaggi e case che
a' detti
tempi,
disfatta
Fiesole, erano in
Firenze grandi di
podere, sì gli
conteremo per gli quartieri ove abitavano.
E prima quegli della porta
del
Duomo, che fu il
primo ovile e stazzo della rifatta
Firenze, e dove tutti
i nobili cittadini di
Firenze la
domenica facieno riparo
e usanza di
cittadinanza intorno
al
Duomo, e ivi si
faceano tutti i matrimoni e paci, e ogni grandezza e
solennità di Comune: e appresso porta San Piero, e
poi porta San Brancazio, e porta Sante Marie. E porte
del
Duomo erano abitanti il
legnaggio de'
filii
Giovanni, e quegli de'
filii
Guineldi, che furono i
primi che
reedificarono la
città di
Firenze, onde poi
sono
discesi molti lignaggi di nobili in Mugello e in
Valdarno e in
città assai, che oggi sono popolari e
quasi venuti
a fine: furono i
Barucci che stavano da
Santa Maria Maggiore, che oggi sono venuti meno;
bene furono di loro
legnaggio gli
Scali e'
Palermini.
Erano ancora nel detto quartiere
Arrigucci, e'
Sizii,
e' figliuoli della Tosa. Questi della Tosa furono uno
legnaggio co' Bisdomini, e
padroni e difenditori
del
vescovado; ma partissi uno di loro da' suoi di porta
San Piero, e tolse per moglie una donna chiamata la
Tosa, che n'ebbe lo retaggio, onde
dirivò quello nome.
Eravi quelli della Pressa che stavano tra' Chiavaiuoli,
gentili uomini.
L. 5, cap. 11 rubr.Delle case de' nobili del quartiere di porta San
Piero.
L. 5, cap. 11Nel quartiere di porta San Piero erano i Bisdomini
che, come di sopra è detto, e' sono padroni
del
vescovado, e gli
Alberighi, che fu loro la chiesa di
Santa Maria
Alberighi da casa i
Donati, e oggi non
n'è nullo; i
Ravignani furono molto grandi, e abitavano
in sulla porta San Piero, che furono poi le case
de'
conti
Guidi, e poi de'
Cerchi, e di loro per donna
nacquero tutti i
conti
Guidi, come adietro è fatta
menzione, della figliuola
del buono messere
Bellincione
Berti:
a' nostri dì è venuto tutto meno quello
legnaggio. I
Galligari, e Chiarmontesi, e
Ardinghi
che abitano in Orto San Michele, erano molto antichi;
e simile i Giuochi che oggi sono popolani, che
abitavano da Santa Margherita;
Elisei che simile sono
oggi popolani, che stanno presso
a Mercato Vecchio;
e in quello luogo abitavano i
Caponsacchi, che
furono grandi
Fiesolani; i
Donati, overo
Calfucci,
che tutti furono uno
legnaggio, ma i
Calfucci vennoro
meno; e quegli della Bella di San Martino anche
divenuti popolani; e il
legnaggio degli
Adimari i quali
furono
stratti di casa i
Cosi, che oggi abitano in
Porta Rossa, e Santa Maria
Nipotecosa feciono eglino;
e bene che sieno oggi il maggiore
legnaggio di
quello
sesto e di
Firenze, non furono però in quelli
tempi de' più antichi.
L. 5, cap. 12 rubr.Di quegli del quartiere di porta San Brancazio.
L. 5, cap. 12Nel quartiere della porta di San Brancazio erano
grandissimi e potenti la casa de' Lamberti, nati per
loro antichi della Magna; gli Ughi furono antichissimi,
i quali edificarono Santa Maria Ughi, e tutto il
poggio di Montughi fu loro, e oggi sono spenti; i Catellini
furono antichissimi, e oggi non n'è ricordo: dicesi
che' figliuoli Tieri per bastardo nati fossono di
loro lignaggio; i Pigli gentili uomini e grandi in quegli
tempi, Soldanieri, e Vecchietti; molto antichi furono
quegli dell'Arca, e oggi sono spenti; e' Migliorelli,
che oggi sono niente; e' Trinciavelli da Mosciano
furono assai antichi.
L. 5, cap. 13 rubr.Di quegli del grande quartiere di porta Santa Maria
e di San Piero Scheraggio.
L. 5, cap. 13Nel quartiere della porta Sante Marie, ch'è oggi
nel
sesto di San Piero Scheraggio, e quello di Borgo,
avea molto possenti e antichi legnaggi. I maggiori
erano gli Uberti, nati e venuto il loro antico della
Magna, che abitavano ov'è oggi la piazza de' priori e
'l palagio
del popolo; i
Fifanti, detti
Bogolesi, abitavano
in sul canto di porte Sante Marie, e' Galli,
Cappiardi,
Guidi, e
Filippi che oggi sono niente allora
erano grandi e possenti, abitavano in Mercato Nuovo;
e simile i Greci, che fu loro tutto il borgo de'
Greci, oggi sono finiti e spenti, salvo che n'ha in Bologna
di loro
legnaggio;
Ormanni che abitavano ov'è
oggi il detto palagio
del popolo, e chiamansi oggi
Foraboschi. E dietro
a San Piero Scheraggio, ove sono
oggi le case de' figliuoli Petri, furono quegli della
Pera, overo
Peruzza, e per loro nome la
postierla che
ivi era si chiamava porta
Peruzza: alcuno
dice che'
Peruzzi che sono oggi furono
stratti di quello
legnaggio,
ma non l'affermo. I
Sacchetti che abitano nel
Garbo furono molto antichi; intorno
a Mercato
Nuovo erano grandi i
Bostichi, e quegli della
Sannella,
e
Giandonati, e Infangati; in borgo Santo Appostolo
erano grandi
Gualterotti e Importuni, che oggi
sono popolani; i
Bondelmonti erano nobili e antichi
cittadini in
contado, e Montebuoni fu loro castello, e
più altri in Valdigrieve; prima si puosono Oltrarno, e
poi tornarono in Borgo. I
Pulci, e'
conti da Gangalandi,
Ciuffagni, e
Nerli d'Oltrarno furono
ad un
tempo grandi e possenti con
Giandonati e con quegli
della Bella insieme nomati di sopra; e dal marchese
Ugo che fece la
Badia di
Firenze ebbono l'arme e la
cavalleria, imperciò che intorno
a llui furono molto
grandi.
L. 5, cap. 14 rubr.
Come in quegli tempi era poco abitato Oltrarno.
L. 5, cap. 14Avemo nomati i nobili e possenti cittadini che a'
tempi dello imperadore Currado primo erano di rinnomea
e di stato in Firenze; altri più legnaggi v'avea
di più piccolo affare che non se ne facea rinnomea, e
oggi sono fatti grandi e possenti; e degli antichi nomati
di sopra sono calati, e tali venuti meno, che a'
nostri dì apena n'è ricorso se non per questa nostra
cronica. Oltrarno nonn avea in quegli tempi gente di
lignaggio né di rinnomo, però che, come avemo detto
addietro, e' nonn era della città antica, ma borghi
abitati di vili e minute genti. Lasceremo ora di raccontare
de' fatti di Firenze infino che fia tempo e
luogo, quando i Fiorentini cominciarono a mostrare
loro potenzia, e diremo brievemente degl'imperadori
che furono dopo Currado primo, e della contessa
Mattelda, e di Ruberto Guiscardo che conquistò in
quegli tempi Puglia e Cicilia, che di raccontare di
tutti ci è di nicessità per le mutazioni che n'avennero
in Italia e poi alla nostra città di Firenze.
L. 5, cap. 15 rubr.Come fu fatto imperadore Arrigo secondo detto terzo,
e le novità che furono al suo tempo.
L. 5, cap. 15Dopo la
morte
del detto
Currado fu eletto imperadore
Arrigo secondo: e chi disse figliuolo, ma e' fu
pure genero
del detto
Currado imperadore, e figliuolo
del
conte
Leopoldo Palatino di Baviera nipote
del
primo
Arrigo. Questo
Arrigo fu
profetato la notte
ch'egli nacque in questo modo: che 'l detto
Currado
essendo egli cacciando, arrivato di notte solo in una
foresta in povera casa, ove abitava il padre e la madre
isfuggiti e in
bando dello 'mperio per micidio,
ove il detto
Arrigo nacque,
vegnendogli in visione
che 'l detto nato fanciullo sarebbe suo genero e succederebbe
allo 'mperio,
Currado, credendo che fosse
figliuolo di
villano, non conoscendo il
conte suo padre,
per
disdegno il comandò
a uccidere nella foresta;
e i suoi famigliari per volontà di Dio lo lasciarono
vivo, rapportando che ll'aveano morto. E poi
crebbe in bontà e inn istato, sicché nella
corte
del
detto
Currado fu
al
servigio il detto
Arrigo; e
ricordandosi
lo 'mperadore di lui, e
riconoscendolo per
certi indizii e segnali di lui, il mandò alla moglie con
lettere che 'l facesse uccidere incontanente; e per
uno prete con cui albergò in
cammino, come piacque
a dDio, sì levò delle
lettere quelle parole
contamente,
e mise che gli
desse la figliuola per moglie, e
così fu fatto; e il
distino premesso da Dio pure
seguì.
Con tutti i
contasti di
Currado, questo
Arrigo fu
coronato
negli
anni di Cristo
MXL, e regnò
XVII anni.
Questo
Arrigo imperadore passò in Italia, e lui
coronato
a
Roma da papa Clemente secondo, il quale
papa
il detto imperadore fece fare, e
dispuose tre
papi
ch'erano in questione; l'uno si chiamò
papa Benedetto
nono, l'altro
papa
Silvestro terzo, l'altro
papa Gregorio
sesto; e aveano l'uno l'altro
disposto e cacciato
di
Roma. Poi ciò fatto, il detto
Arrigo si andò nel Regno
per
guerreggiare in Puglia e in Campagna tra' signori
insieme; sì prese Pandolfo prencipe di Capova
e
menolne in Alamagna, e mise in signoria un altro
Pandolfo
conte di Tarentino, e poi si tornò nella Magna
dimorando poco in Italia. Per la qual cosa il paese
d'Italia si commosse molto in
guerra l'uno signore
contra l'altro, e' Romani tra lloro, e rubarono la
Chiesa, e le sue possessioni, e cose, e pellegrini. Ma
essendo in quegli tempi tornato in istato
papa Gregorio
sesto, di
Roma cacciò
papa Clemente ch'era
uomo di poco
valore; come signore laico con armata
mano difese e
racquistò le
giuridizioni, possessioni, e
cose della Chiesa; e ebbe
guerra e battaglia col detto
Arrigo che ll'avea
disposto, e
soprastogli; e tutto fosse
per questa cagione uomo di sangue, sì fece buona
fine e con santo
repentimento, mostrando
a' suoi frati
cardinali che ciò che avea fatto era per ricoverare
lo stato di santa Chiesa, e non per niuna singulare
propietà di sua avarizia, assegnando per autorità di
santa Scrittura come i
cherici
al bisogno si
debbono
mettere come
muro dinanzi alle battaglie
a difensione
della fede e di santa Chiesa. E Idio mostrò miracoli
per lui; ché lui morto, i cardinali e l'altro
chericato
di
Roma no· llo voleano soppellire in San Piero
in luogo
sagro, ma missollo di fuori dalle reggi, siccome
alla sua fine
ordinò, perch'era stato uomo di
sangue, che se Idio mostrasse miracolo in lui, che 'l
seppellissono dentro alla chiesa. E ciò fatto, e
chiuse
e serrate le porte di San Piero, subitamente venne
uno turbo con uno vento sì impetuoso che per forza
levò le porte della chiesa, e portolle in coro. Allora
conosciuto il miracolo
del santo uomo, sì 'l soppellirono
nella chiesa con grande solennità e reverenzia.
L. 5, cap. 16 rubr.Come Arrigo terzo fu fatto imperadore, e le novità
d'Italia che furono al suo tempo, e come la corte di
Roma fu in Firenze.
L. 5, cap. 16Apresso la
morte d'
Arrigo secondo fu eletto imperadore
Arrigo terzo, detto quarto quanto in nome di
re, ma terzo ch'ebbe corona d'imperio, negli
anni di
Cristo
MLV, e regnò nello imperio
XLVIIII anni. Questi
fu figliuolo dell'altro
Arrigo di Baviera.
Al tempo
di costui ebbe molte
novità in Italia e in
Firenze, come
faremo menzione.
Al suo tempo fu
fame e mortalità
per tutto il
mondo, e nel
cerchio della luna apparve
la pianeta di Venus chiara e aperta, e mai non
si vide in tale
aspetto. Questo
Arrigo fece fare per
sua fortezza
papa
Vittorio nato d'Alamagna, il quale
papa nella
città di
Firenze fece
concilio negli
anni di
Cristo
MLVIIII, e molti vescovi
dispuose per loro peccati
di fornicazioni e di
simonia. E partendosi la
corte
di
Firenze, e 'l detto
papa andando in Alamagna
allo 'mperadore
Arrigo, ricevuto
a grande onore, poco
appresso si morìo. E dopo lui fu fatto
papa nella
città di
Firenze per gli cardinali
papa Stefano nato di
Lotteringa in Brabante: vivette da
X mesi, e morì nella
detta
città di
Firenze, e nella chiesa maggiore di
Santa Reparata fu sepulto. E dopo lui fu fatto per
forza
papa Benedetto vescovo di
Velletro, e poi fu in
capo de'
VIIII mesi cacciato
del
papato e morì. E dopo
lui fu fatto
papa il vescovo di
Firenze ch'era di
Borgogna, essendo la
corte nella
città di Siena, e fu
chiamato
papa
Niccolaio secondo, e regnò tre
anni e
mezzo, e morì in
Roma. E dopo
a llui regnò
papa
Allessandro
nato di
Melano
XI anni e mezzo, ma
al suo
tempo i Lombardi feciono un altro
papa, chiamato
Calduco vescovo di Parma, e contra
Allessandro
venne
due volte
colla forza de' Lombardi
a
Roma
per avere il
papato, ma niente gli valse. Alla fine
papa
Allessandro
a richiesta d'
Arrigo imperadore andò
a Mantova, e lì fece
concilio, e
chetarsi le
riotte e
scisme ch'erano nella Chiesa; e questo
Allessandro
rimase
papa, e tornossi
a
Roma, e lì morì; e poi fu
papa Gregorio settimo. In questi tempi infino gli
anni
di Cristo
MLXXVIII, essendo la
città di
Firenze assai
agrandita e montata in istato per l'essere della
corte di
Roma che più tempo vi stette, e per la
guerra
che ssi cominciò
al tempo
del detto
papa Gregorio
tra lo 'mperadore
Arrigo e la Chiesa e la
contessa
Mattelda, come innanzi farà menzione, i Fiorentini
feciono il secondo
cerchio di
mura alla
città, ov'erano
i fossi e steccati, come addietro è fatta menzione
nel
capitolo della detta
edificazione.
L. 5, cap. 17 rubr.Come santificò santo Giovanni Gualberti cittadino
di Firenze e padre dell'ordine di Valembrosa.
L. 5, cap. 17
Al tempo
del detto
Arrigo imperadore fu uno
gentile
uomo
del
contado di
Firenze nato di messere
Gualberto cavaliere de' signori da Petroio di
Valdipesa,
il quale avea nome Giovanni. Questi essendo
laico e in
guerra co' suoi vicini, i quali aveano morto
uno suo fratello, vegnendo
a
Firenze con sua compagnia
armati
a cavallo, trovò il nimico suo che aveva
morto il fratello, assai presso della chiesa di San Miniato
a Monte; il quale suo nimico veggendosi
sorpreso,
si gittò in terra
a' piedi di Giovanni
Gualberti,
faccendogli croce delle braccia,
cheggendogli mercé
per Iesù Cristo che fu posto in croce. Il quale Giovanni
compunto da Dio, ebbe pietà e misericordia
del nemico, e
perdonogli, e
menollo
a offerere nella
chiesa di Santo Miniato dinanzi
al
Crocifisso. Della
quale misericordia Iddio mostrò aperto miracolo,
che veggente tutti il
Crocifisso si chinò
al detto Giovanni
Gualberti, e
a llui fece grazia di lasciare il secolo
e
convertirsi
a religione, e fecesi monaco nella detta
chiesa di Santo Miniato. Ma poi trovando l'abate
simoniaco e peccatore, se n'andò come
eremita nell'
alpe di
Valembrosa, e quivi gli
crebbe la grazia
d'Iddio e la sua
santità, che, come piacque
a dDio,
fu il primo cominciatore di quella
badia e santo ordine,
onde poi molte
badie sono scese in
Toscana e in
Lombardia, e molti santi monaci. E egli vivendo, e
poi, fece molti miracoli, come racconta la sua leggenda,
e fu molto tenuto chiaro di fede e di vita da papa
Stefano ottavo, e poi da papa Gregorio settimo; e
passò di questa vita alla
badia di
Pasignano gli
anni
di Cristo
MLXXIII, e dal detto papa Gregorio fu poi
con grande
divozione
calonizzato.
L. 5, cap. 18 rubr.Innarrazione di più cose che furono a questi tempi.
L. 5, cap. 18In questi tempi, gli
anni di Cristo
MLXX, passò in
Italia Ruberto
Guiscardo
duca de'
Normandi, il quale
per sua prodezza e senno fece grandi cose, e operò
in
servigio di santa Chiesa contro
ad
Arrigo terzo imperadore
che lla perseguitava, e contro
Allessio imperadore,
e contro
a' Viniziani, come appresso faremo
menzione; per la qual cosa egli fu fatto signore di
Cicilia e di Puglia
colla
confermagione di santa Chiesa,
e gli suoi discendenti appresso infino
al tempo
d'
Arrigo di Soavia, padre di
Federigo secondo, ne
furono re e signori. E simigliante in questi medesimi
tempi si fu la valente e savia
contessa
Mattelda, la
quale regnava in
Toscana e in Lombardia e quasi di
tutto fu donna, e molte grandi cose fece
al suo tempo
per santa Chiesa, sicché mi
pare ragione e che ssi
convegna dire di loro
cominciamento e stato in questo
nostro trattato, imperciò che molto si mischia
a'
fatti della nostra
città di
Firenze per le successioni
che de' loro fatti seguirono in
Toscana. E prima diremo
di Ruberto
Guiscardo e poi della
contessa
Mattelda, e' loro prencipii e le loro operazioni brievemente,
tornando poi
a nostra materia e fatti della
nostra
città di
Firenze, i quali per acrescimento e
operazioni de' Fiorentini cominciò
a
moltiplicare e
a
istendere la
fama di
Firenze per l'universo
mondo,
più che non era stato per lo
addietro; e imperciò
quasi per necessità ne
conviene nel nostro trattato
raccontare più universalmente da quinci innanzi
de'
papi, e degl'imperadori, e de' re, e di più province
del
mondo le
novità e cose state per gli tempi, imperciò
che molto riferiscono alla nostra materia, e
perché il sopradetto terzo
Arrigo imperadore fu cominciatore
dello
scandalo dalla Chiesa allo 'mperio,
e poi Guelfi e Ghibellini, onde si cominciarono le
parti d'imperio e della Chiesa in Italia, le quali
crebbono
tanto che tutta Italia n'è maculata e quasi tutta
Europia, e molto mali, e
pericoli, e
distruggimenti, e
mutazioni ne sono seguitate alla nostra
città e
a tutto
l'universo
mondo, sì come innanzi conseguendo nel
nostro trattato per li tempi faremo menzione. E cominceremo
omai
al di sopra d'ogni carta
a segnare
gli
anni
Domini seguendo di tempo in tempo ordinatamente,
acciò che più
apertamente si possano ritrovare
le cose passate.
L. 5, cap. 19 rubr.
Di Ruberto Guiscardo e di suoi discendenti i quali
furono re di Cicilia e di Puglia.
L. 5, cap. 19Adunque, come addietro è fatto menzione, nel
tempo di
Carlo imperadore che detto è
Carlo il
Grosso, che imperiò negli
anni
Domini VIII.cLXXX insino
in
VIII.cLXXXII, i
Normanni pagani venuti di
Norvea, in Alamagna e in
Francia passarono, con
guerra
strignendo e
tormentando i Galli e' Germani.
Carlo con potente mano contro
a'
Normanni venne,
e fatta la pace e
confermata per matrimonio, i· re de'
Normanni battezzato, e
del sacro fonte dal detto
Carlo ricevuto fu; e alla perfine non potendo
Carlo i
Normanni di
Francia cacciare,
concedette loro regioni
ch'è di lì dalla
Seccana, chiamata
Lada
Serna, la
qual parte insino
a oggi è detta
Normandia per gli
detti
Normandi, nella qual terra infino d'allora il
duca
per lo re vi sono
mutati. Fu dunque il primo
duca
Ruberto,
a cui succedette il figliuolo suo
Guiglielmo,
il quale generò Ricciardo, e Ricciardo ingenerò il secondo
Ricciardo. Questo Ricciardo ingenerò Ricciardo
e Ruberto
Guiscardo, il quale Ruberto
Guiscardo
non fu
duca di
Normandia, ma fratello
del
duca Ricciardo.
Questi secondo l'usanza loro, però che minore
figliuolo era, non ebbe la signoria
del
ducato, e
imperò volendo
spermentare la sua bontà, povero e
bisognoso in Puglia venne, e era in quel tempo
duca
in Puglia Ruberto nato
del paese,
al quale Ruberto
Guiscardo vegnendo, prima suo
scudiere, e poi da llui
fatto cavaliere. Adunque venuto Ruberto
Guiscardo
a questo
duca Ruberto, molte vittorie con
prodezze contro
a' nemici mostrò, il quale aveva
guerra col
prenze di Salerno, e guidardonato
magnificamente
tornò in
Normandia: le dilizie e le
ricchiezze
di Puglia recò in
fama, ornati i
cavagli con
freni d'oro e con
ferri d'argento
ferrati, in testimonio
di ciò sì com'era; per la qual cosa provocati
a sé più
cavalieri, seguendo questa cosa per
cuvidigia di ricchezze
e di gloria, tornando in Puglia tostamente, seco
gli menò, e stette apo il
duca di Puglia fedelmente
contro
a
Gottifredi
duca de'
Normanni; e non lungo
tempo poi, Ruberto
duca di Puglia vegnendo
a la
morte, di volontà di suoi baroni nel
ducato il fece
successore, e come
promesso gli avea, la figliuola
prese
a moglie, gli
anni di Cristo
MLXXVIII. E poco
tempo passato,
Alesso imperadore di
Gostantinopoli,
che Cicilia e parte di Calavra aveva occupata, e'
Viniziani vinse, e tutto il regno di Puglia e di Cicilia
prese; e avegna che contro alla Chiesa romana questo
facesse
a cui il regno di Puglia era propia possessione,
e la
contessa
Mattelda era contro
a Ruberto
Guiscardo,
guerra facesse in
servigio di santa Chiesa;
ma Ruberto riconciliato alla perfine
colla Chiesa di
sua volontà, fatto ne fu signore. E non molto poscia
Gregorio settimo, assediato co' cardinali da
Arrigo
quarto imperadore nel Castello di Santo Angelo, vegnendo
a
Roma, e cacciato per forza il detto
Arrigo
co l'antipapa suo il quale avea fatto per sua forza,
dall'asedio il papa e' cardinali diliberò, e il papa nel
palagio di Laterano rimise, puniti
gravemente i Romani
che contro
a papa Gregorio favore allo 'mperadore
Arrigo e
al papa per lui fatto aveano dato. Questo
Ruberto
Guiscardo
duca di Puglia faccendo una
volta caccia, seguitando una bestia
al profondo d'una
selva, e ignorando quello che avenisse di lui e compagni,
e dov'egli fosse e che facesse non
potendolo
sapere, veggendo adunque Ruberto appressata la
notte, abbandonata la bestia che seguitava,
a casa
procacciava reddire; e tornando, trovò nella selva
uno lebbroso che
stantemente aiuto gli domandava;
e quando alcuna cosa gli dicesse, rispuose
al lebbroso
che non faccea
a ssé utile penitenzia, ma egli vorrebbe
innanzi portare ogni
incarico e ogni gravamento;
e domandando
al lebbroso che volesse, disse:
«Voglio che dopo voi mi pognate
a cavallo»; acciò
che forse abbandonato nella selva, le bestie no· llo
divorassono.
Allora Ruberto dopo sé nel cavallo lietamente
il ricevette; e come cavalcando procedessero,
a cotal
conte così il lebbroso disse: «Tanto freddo
aghiaccia le mie
mani, che se nelle tue carni no· lle
riscaldo
a cavallo non mi potrò tenere». Allora quegli
al lebbroso
concedette che
sicuramente sotto i suoi
panni le
mani ponesse, e le carni sue e le
membra
contentasse sanza nulla paura. E terza volta il lebbroso
ancora per misericordia
richeggendolo, in sella
il puose, e egli venendo in groppa, il lebbroso abracciava,
e insino alla sua propia camera il menava, e
nel suo propio letto il puose; e acciò che si riposasse,
diligentemente il
collogò, non
sentendolo alcuno
della sua famiglia. E come la festa della
cena fatta
fosse, detto alla moglie che nel letto suo avea
allogato
il lebbroso, la moglie incontanente alla camera andò,
a sapere se quello povero infermo volesse cenare;
la camera sanza
libamina trovò tanto odorifera, come
se di tutte le cose odorifere fosse piena, sì
fattamente
che mai Ruberto né la moglie tanto odore mai non
sentirono, e· lebbroso
cerco che venuto v'era, non
conobbero, maravigliandosi oltre misura il
marito e
la moglie di tanta maraviglia; ma con reverenzia e
con tremore Iddio l'uno e l'altro addimandano che
debbia loro rivelare che ciò sia. E il
seguente dì per
visione apparve Cristo
a Ruberto dicendo che sé in
forma di lebbroso gli s'era mostrato, acciò che provasse
la sua pietà; e
anunziogli che della sua moglie
avrebbe figliuoli, de' quali l'uno imperadore, l'altro
re, il terzo
duca sarebbe. Di questa promessione
confortato Ruberto, abattuti i rubelli di Puglia e di
Cicilia, di tutto aquistò la signoria, e ebbe
V figliuoli:
Guiglielmo, che prese per moglie la figliuola d'
Alesso
imperadore de' Greci, e fu dello 'mperio di colui
duca e possessore, ma morì sanza figliuoli (questi si
dice che fu
Guiglielmo il quale fu detto
Lungaspada;
ma questo
Lungaspada molti dicono che non fu
del
legnaggio di Ruberto
Guiscardo, ma della schiatta
de' marchesi di
Monteferrato); e 'l secondo figliuolo
di Ruberto
Guiscardo,
Boagdinos, che fu in prima
duca di Taranto; il terzo fu Ruggieri
duca di Puglia,
che dopo la
morte
del padre fu
coronato re di Cicilia
da papa Onorio secondo; il quarto figliuolo di Ruberto
Guiscardo fu
Arrigo
duca de'
Normandi; il
quinto figliuolo Ricciardo
conte
Cicerat, credo della
Terra. Questo Ruberto
Guiscardo dopo molte e nobili
cose in Puglia fatte, per cagione di
divozione
dispuose
di volere andare in Gerusalem in peregrinaggio;
e detto gli fu in visione che
morrebbe in Gerusalem.
Dunque acomandato il regno
a Ruggieri suo figliuolo,
prese per
mare il
viaggio verso Gerusalem, e
pervenendo in
Grecia
al porto che si chiamò poi
Porto
Guiscardo per lui, cominciò
ad agravare di
malatia; e confidandosi nella rivelazione che fatta gli
fu, in niuno modo
temea di morire. E era incontro
al
detto porto una isola, alla quale per cagione di
ripigliare
forza e
riposo si fece portare, e
portatolo, là
non migliorava, ma quasi forte agravava. Allora domandò
come si chiamava quella isola; e risposto gli
fu per gli marinai che per l'antica Gerusalem si chiama.
La qual cosa udita, incontanente certificato della
sua
morte, divotamente tutte le cose che alla salute
dell'anima s'appartengono acconciò, e morì grazioso
a dDio, negli
anni di Cristo
MCX; il quale regnò in
Puglia
XXXIII anni. Queste cose di Ruberto
Guiscardo
in alcuna
cronica parte se ne leggono, e parte
a
coloro n'udì narrare i quali le storie
del regno di Puglia
pienamente seppono.
L. 5, cap. 20 rubr.
De' successori di Ruberto Guiscardo che furono re
di Cicilia e di Puglia.
L. 5, cap. 20Apresso, Ruggieri figliuolo
del
duca Ruberto
Guiscardo
generò l'altro Ruggieri; e questo Ruggieri dopo
la
morte
del padre fatto re di Cicilia, generò
Guiglielmo
e Costanzia sua
serocchia. Questo
Guiglielmo
onoratamente e magnamente il regno di Cicilia
possedette, e ebbe per moglie la figliuola
del re di
Inghilterra, e di lei nonn avendone né figliuolo né figliuola,
e con ciò sia cosa che morto Ruggieri il padre,
adempiuta già la signoria
del regno di
Guiglielmo,
alcuna
profezia divolgata fu che Costanzia sua
serocchia in distruzione e ruina reggerebbe il reame
di Cicilia; onde il re
Guiglielmo chiamati gli amici e'
savi suoi,
adomandò
consiglio di quello che avesse
a ffare della
serocchia sua Costanzia; e fu consigliato
dalla maggiore parte di
coloro che se volesse che lla
signoria reale fosse sicura, che lla facesse morire. Ma
intra gli altri uno ch'avea nome
Tancredi
duca di Taranto,
il quale era stato nipote di Ruberto
Guiscardo
della
serocchia che ssi crede che fosse moglie di
Bagnamonte
principe d'Antioccia, questi
contradicendo
il detto degli altri, umiliò il re
Guiglielmo che innocentemente
non facesse morire la donna; e così fu
fatto che lla detta Costanzia fosse riservata da
morte;
la quale non voluntariamente, ma per temenza di
morte, quasi come monaca si nutricava in alcuno
munistero di monache. Morto
Guiglielmo,
Tancredi
sopradetto succedette
a
Guiglielmo nel regno, e recatolo
a ssé sanza volontà della Chiesa di
Roma, alla
quale la ragione di quello regno e la propietà pertenea.
Questo
Tancredi, di natural senno amaestrato,
fu molto pieno di scienzia, e ebbe una moglie più
bella che lla Sibilla, donna sanza
urba secondo l'oppinione
di molti, della quale generò
due figliuoli e
tre figliuole: il primo fu chiamato Ruggieri, il quale
vivendo il padre fu fatto re, e morissi; il secondo fu
Guiglielmo il giovane, il quale vivendo il padre fu
fatto re, e morto il padre alquanto tenne il regno. Intra
queste cose vivendo
Tancredi e regnando, Costanzia
serocchia
del re
Guiglielmo era, già forse d'età
di
L anni,
del corpo non della
mente monaca nella
città di
Palermo. Nata adunque
discordia intra re
Tancredi e l'arcivescovo di
Palermo, forse per questa
cagione che
Tancredi le
ragioni della Chiesa occupava,
pensò adunque l'arcivescovo come il regno di Cicilia
potesse trasmutare
ad altro signore, e trattò segretamente
col papa che
Gostanzia si maritasse
ad
Arrigo
duca di Soavia figliuolo di
Federigo maggiore;
e
Arrigo presa per moglie,
a cui il regno parea
ch'apartenesse di ragione, imperadore fu
coronato
da papa Cilestrino. Questo
Arrigo, morto
Tancredi,
entrò nel regno di Puglia e molti punì di quegli che
con
Tancredi s'erano
tenuti, e che favore gli aveano
dato, e che alla reina Costanzia aveano portata ingiuria,
e vergogna aveano fatta contro
a la nobilità
del suo onore. Questa Costanzia fu madre di
Federigo
secondo, il quale
del romano imperio non nudritore,
ma più tosto
Federigo che
a distruzione il recò,
siccome pienamente ne' suoi fatti aparirà. Morto
adunque
Tancredi, il regno rimase
al suo figliuolo
Guiglielmo, giovane d'età e di senno; ma
Arrigo
entrato
nel regno col suo
esercito gli
anni di Cristo
MCLXXXXVII, pace non vera col giovane re
Guiglielmo
prese d'avere, e lui frodolentemente pigliando e
occultamente, pochi
sentendolo, in Soavia
colla
serocchia
inn
iscacciamento mandò, e privatolo degli occhi,
ivi infino alla
morte il fece sotto guardia guardare.
Con questo
Guiglielmo figliuolo di
Tancredi
furono tre
serocchie, cioè
Alberia, Costanzia, e
Madama.
Morto
Arrigo imperadore, e
Guiglielmo il
giovane castrato e tratti gli occhi morto,
Filippo
duca
di Soavia queste tre figliuole di
Tancredi re,
a
preghiere
della moglie che fu figliuola dello 'mperadore
Manovello di Costantinopoli, e
liberatele dello
esilio
e della carcere, le lasciò andare. E
Alberia, overo
Aceria,
tre mariti ebbe. Il primo fu
conte
Gualtieri
di Brenna fratello
del re Giovanni,
del quale nacque
Gualterano
conte d'
Ioperi,
a cui il re di Cipri diede
la figliuola per moglie; morto il
conte
Gualtieri dal
conte
Tribaldo Tedesco,
Albira si fece
a moglie il
conte Iacopo di
Tricario,
del quale ebbe il
conte Simone
e madonna
Adalitta; e costui morto, papa
Onorio
Albira per moglie diede
al
conte
Tigrimo Palatino
conte in
Toscana, e per
dote gli diede il
contado
di
Letia e di
Montescaglioso nel regno di Puglia.
Ma Costanzia fu moglie di Marche sono
duca de' Viniziani.
La terza
serocchia che
Madama ebbe nome
marito non ebbe. Queste furono cose de' successori
di Ruberto
Guiscardo nel regno di Cicilia e di Puglia
infino
a
Gostanzia madre di
Federigo imperadore figliuolo
del re
Arrigo; e così mostra che signoreggiassono
il regno di Cicilia e di Puglia Ruberto
Guiscardo
e' suoi successori
CXX anni. Lasceremo de' re di
Cicilia e di Puglia, e diremo chi fu la valente
contessa
Mattelda.
L. 5, cap. 21 rubr.Della contessa Mattelda.
L. 5, cap. 21La madre della
contessa
Mattelda è detto che fu
figliuola d'uno che regnò in Costantinopoli imperadore,
nella cui
corte fu uno Italiano di nobili
costumi
e di grande lignaggio e liberale, e amaestrato nell'armi,
destro e
dotato di tutti
doni, sì come quegli in
cui i·
legnaggio
chiaramente suole
militare. Per tutte
queste cose era
a tutti amabile, e grazioso in
costumi.
Cominciando
a guardare la figliuola dello 'mperadore,
occultamente di matrimonio si congiunse, e prese
i gioelli e la pecunia che poterono avere, e co· llui in
Italia si fuggì, e prima pervennono nel vescovado di
Reggio in Lombardia, e di questa donna e
del
marito
nacque la valente
contessa
Mattelda; ma il padre della
detta donna, cioè lo 'mperadore di Costantinopoli,
che non avea altra figliuola, assai fece cercare come
la potesse trovare, e trovata fu da
coloro che lla cercavano
nel detto luogo; e richiesta da lloro che tornasse
al padre che lla
rimariterebbe
a qualunque
principe volesse, rispuose costui sopra tutti avere
eletto, e che impossibile sarebbe che abandonato costui,
mai con altro uomo si congiugnesse. E nunziate
queste cose allo 'mperadore, mandò incontanente
lettere e confermamento
del matrimonio, e pecunia
sanza novero, e comandò che ssi comperasse castella
e ville per cheunque pregio si potessono trovare, e
nuove
edificazioni fare. E comperarono nel detto
luogo tre castella, cioè, insieme, molto presso, per la
quale
pressezza Reggio quelle Tre Castella volgarmente
chiama. E non molto di lungi da' detti tre castelli
la donna
edificare fece una rocca nel monte da
non potere essere combattuta, la qual si chiamava
Canossa, ove poi la
contessa fondò uno nobile munistero
di monache e
dotollo. Questo ne' monti; ma
nel piano fece Guastalla e
Suzzariani, e lungo il fiume
del
Po comperò, e più munisteri
edificò, e più
nobili ponti fece sopra i fiumi di Lombardia. E anche
Carfagnana e la maggiore parte
del Frignano, e
nel vescovado
modonese si dice che furono le sue
possessioni, e nel bolognese
Orzellata e Medicina,
grandi ville e
spaziose, di suo patrimonio furono, e
molte altre n'ebbe in Lombardia; e in
Toscana castella
fece e la torre
a
Polugiano pertinenti alla sua signoria;
e molti nobili uomini largamente
datò; loro
sotto fio vassalli si fece; in diversi luoghi molti munisteri
e
edificò; molte chiese
cattedrali e non cattedrali
dotò. E alla perfine morto il padre e la madre della
contessa
Mattelda, e ella rimasa
ereda, si diliberò di
maritare; e inteso la
fama e la persona e l'altre cose
d'uno nato di Soavia che avea nome Gulfo,
solenni
messi mandò
a llui e legittimi procuratori, che intra
llui e lei, avegna che non fossono presenti, i
patti
del matrimonio
confermassono, e
ratificassono il
luogo ove si
doveano fare le nozze; l'anello si diede
al castello nobile de'
conti
Cinensi, avegna che oggi
sia distrutto. E vegnendo Gulfo
al detto castello, la
contessa
Mattelda con molta cavalleria gli andò incontro,
e con molta letizia ivi sono le feste delle nozze
fatte. Ma tosto la trestizia succedette
a quella allegrezza,
quando il contratto matrimonio non
annodato
si manifestò per lo mancamento dello
ingenerare,
il quale spezialmente è detto d'essere la volontà
del
matrimonio, però che Gulfo la moglie carnalmente
non potea conoscere né altra femmina per
friggidità
naturale, o per altro
impedimento perpetuo impedito;
ma impertanto volendo ricoprire la sua vergogna,
diceva
a la moglie che questo gli aveniva per malie
che fatte gli erano per alcuno che invidiava gli suoi
felici avenimenti. Ma la
contessa
Mattelda piena di
fede dinanzi di Dio e dinanzi
dagli uomini magnanimi,
di questi malificii nulla intendendo, schernita sé
per lo
marito tenendo, la camera sua e tutti gli ornamenti
e letti e vestimenti e tutte cose comandò che ssi
votassero, e la mensa nuda fece apparecchiare, e
chiamato Gulfo suo
marito tutto spogliata di vestimenti,
e'
crini
del capo
diligentemente
scrinati, questa
disse: «Niune malie essere possono, meni e usa il
nostro congiuramento». E quegli non potendo, allora
gli disse la
contessa: «Alle nostre grandezze tu
resummisti di fare inganno; per lo nostro onore
a te
perdonanza
concediamo, ma
comandianti sanza dimoranza
che tti
debbi partire, e alle tue propie case
ritornare; la qual cosa se di fare ti starai, sanza
pericolo
di
morte non puoi scampare»; e egli spaventato
di paura, confessata la verità, avacciò il suo ritorno
in Soavia. La
contessa adunque tacendo, temendo lo
'nganno, e gli altri
incarichi
del matrimonio avendo
in odio, la sua vita infino
a la
morte in castità trasportò;
e attendendo
ad opere di pietà, molte chiese
e monisteri e spedali
edificò e
dotò; e
due volte con
grande oste in
servigio della Chiesa e in suo soccorso
potentemente venne, l'una volta contro
a
Normandi
che 'l
ducato di Puglia violentemente alla Chiesa
aveano tolto, e i
confini di Campagna guastavano, i
quali la
contessa
Mattelda divota figliuola di san Piero
con
Gottifredi
duca di Spuleto cacciò infino
ad
Aquino
al tempo d'
Allessandro papa secondo di
Roma;
l'altra volta contra
ad
Arrigo terzo di Baviera imperadore
combattéo e
vinselo; e poi altra volta contra
ad
Arrigo quarto suo figliuolo combattéo per la
Chiesa in Lombardia e
vinselo
al tempo di papa
Calisto
secondo. E questa fece testamento, e tutto il suo
patrimonio sopra l'altare di San Piero offerse, e la
Chiesa di
Roma ne fece erede; e non molto appresso
morì in Dio, e sepulta è nella chiesa di
Pisa, la quale
magnamente avea
dotata.
Morta la
contessa nell'
anno
della Natività di Cristo
MCXV Lascereno della
contessa
Mattelda, e torneremo adietro
a seguire la
storia d'
Arrigo terzo di Baviera imperadore.
L. 5, cap. 22 rubr.Ancora come Arrigo terzo di Baviera ricominciò
guerra contra la Chiesa.
L. 5, cap. 22Il detto imperadore
Arrigo fu molto savio e malizioso.
Per meglio signoreggiare
Roma, in tutta Italia
sì mise parte e
disensione nella Chiesa, tegnendo
setta
contro
al papa con certi cardinali e altri
cherici; e
a sua petizione uno grande Romano chiamato
, figliuolo
di
Celso, prese il
papa la notte di
Natale,
quando cantava la prima
messa in Santa Maria Maggiore,
e
miselo in pregione in una sua torre; ma il popolo
di
Roma quella medesima notte il liberarono, e
disfeciono la detta torre, e cacciarono di
Roma il
detto figliuolo di
Celso, però che 'l detto Gregorio
papa era uomo di santa vita. Per la quale cosa il detto
papa Gregorio settimo in
concilio di
CX vescovi
scomunicò il detto
Arrigo imperadore che volea
rompere l'unione di santa Chiesa; ma poi vegnendo
il detto imperadore in Lombardia alla misericordia
del detto
papa per molti dì
a piedi scalzo in su la
neve
e in su il
ghiaccio, appena gli fu perdonato, ma
però non fu mai amico della Chiesa, ma sempre la
ditraeva e occupava, e
dava le
'nvestiture delle chiese
contro
al volere
del
papa. Per la qual cosa, stando
egli in Italia, gli
elettori della Magna
elessono re de'
Romani
Ridolfo
duca di
Sassogna, e per aventura il
papa ne fu consenziente; onde
Arrigo imperadore richiese
il detto papa Gregorio che
scomunicasse i
detti
elettori per la detta elezione. Il detto papa
nol
volle fare, se prima non intendesse
a ragione; per la
qual cosa
Arrigo isdegnato se n'andò in Alamagna, e
battaglia fece col detto
Ridolfo e
vinselo, e poi tornò
in Lombardia. E nella
città di Brescia raunata la sua
corte con
XXIIII vescovi e altri prelati che 'l seguivano
e erano ribelli
del papa, si fece processo contro
al
detto papa Gregorio come
a llui piacque, più che
con ragione. E per quello processo
dispuosono il
detto papa, e
anullò e cassò tutte le sue operazioni, e
fece
eleggere un altro papa che avea nome
Silibero
arcivescovo di Ravenna, e
fecelo chiamare papa
Chimento,
e col detto papa venne
a
Roma, e là il fece
consegrare
al vescovo di Bologna e
a quello di
Modona
e
a quello di
Cervia,
faccendolo adorare e fare
grande reverenzia, e da llui si fece
ricoronare dello
imperio; e perciò il primo e il diritto papa Gregorio
co' suoi cardinali scomunicato da capo il detto
Arrigo
e privatolo dello imperio, siccome persecutore
della Chiesa, asolvette tutti i suoi baroni di fio e di
saramento; per la qual cosa il detto
Arrigo assediò il
detto papa co' suoi cardinali col favore de' Romani
in Castello Santo Angelo, il quale mandato per soccorso
in Puglia
al buono Ruberto
Guiscardo, il quale
incontanente venne
a
Roma con grande oste, e il detto
Arrigo col suo papa per tema di Ruberto si partirono
dallo assedio, e guastarono per battaglie e arsono
la
città
Leonina, cioè dal lato di San Piero di qua
dal Tevero, e infino in Campidoglio; e non potendo
resistere alla forza
del detto Ruberto
Guiscardo e di
sua gente, fuggissi col detto suo papa alla
città di
Siena; e poi il detto Ruberto liberato papa Gregorio
e i cardinali, gli mise in sedia e in signoria nel palazzo
di Laterano, e molti Romani che furono colpevoli
delle dette cose punì
gravemente in avere e in persona.
E poi il detto papa Gregorio se n'andò nel Regno
col detto Ruberto
Guiscardo, e morì nella
città di
Salerno santamente, faccendo Idio assai miracoli per
lui. E appresso lui fu fatto papa
Vittorio, il quale
non vivette più che
XVI mesi, e fu
avelenato; e poi fu eletto papa
Urbano secondo negli
anni di Cristo
MLXXXXVIIII.
L. 5, cap. 23 rubr.Come il detto Arrigo imperadore assediò la città di
Firenze.
L. 5, cap. 23Negli
anni di Cristo
MLXXX, tornando il sopradetto
Arrigo imperadore da Siena per
andarsene in
Lombardia, trovando che' Fiorentini teneano la parte
della Chiesa e
del detto papa Gregorio, e non voleano
obbedire né aprire le porte
al detto imperadore
per le sue ree opere, sì si puose
ad oste alla
città di
Firenze dalla parte ove oggi si chiama Cafaggio,
e dov'è oggi la chiesa de' Servi Sante Marie
infino
a l'Arno, e fece gran guasto
a la detta
città;
e statovi più tempo, e date molte battaglie alla terra,
e tutto
adoperato invano, imperciò che lla
città
era fortissima, e' cittadini bene in concordia e in
comune, assalito il suo campo da lloro, se ne levò
a
modo di sconfitta, e lasciò tutto il suo campo e arnesi;
e ciò fu nel detto
anno
a dì
XXI di luglio. E
per lo detto imperadore
Arrigo si cominciò
a dividere
tutta Italia in parte di Chiesa e d'imperio; e
partito il detto
Arrigo di
Toscana, si tornò in Lombardia,
e di là ebbe grande
guerra
colla
contessa
Mattelda, la quale era divota figliuola di santa
Chiesa, e ebbe battaglie co· llui e sconfisselo in
campo, e poi lui mal
capitato in Lombardia, se
n'andò in Alamagna, e poi morì in pregione scomunicato,
ove il mise il figliuolo suo medesimo
chiamato
Arrigo quarto.
L. 5, cap. 24 rubr.Come in questi tempi fu il gran passaggio oltremare.
L. 5, cap. 24Negli
anni di Cristo
MLXXXVIIII, essendo papa
Urbano
secondo, i Saracini di Soria presono la
città di
Gerusalem, e uccisono molti Cristiani, e molti ne
menarono per ischiavi; per la qual cosa il detto papa
Urbano fatto
concilio generale prima
a
Chieramonte
in
Avernia, e poi
al Torso in Torena alla sommossa
di Piero
romito, santa persona, tornato lui di Gerusalem
colle dette
novelle. E in questo tempo apparve
in
cielo la
stella
comata, la quale, secondo che dicono
i savi astrolagi, significa gran cose e
mutazioni di
regni. E certo così
seguì poco apresso, che per la
presura di Gerusalem quasi tutto il ponente si
sommosse
a prendere la croce per andare
al passaggio
d'oltremare, e
andovvi innumerabile popolo
a cavallo
e
a piede, più di
CCm d'uomini
del reame di
Francia,
e della Magna, e di
Proenza, e di Spagna, e di
Lombardia, e di
Toscana, e della nostra
città di
Firenze,
e di Puglia,
intra' quali furono questi signori
principi:
Gottifredi di
Buglione
duca
del
Loreno
(questi fu capitano generale, e fu valente uomo e di
gran senno e
valore); Ugo fratello
del re
Filippo primo
di
Francia; Baldovino e
Guistasso frategli
del
detto
Gottifredi di
Buglione; Anselmo
conte de·
Ribuamonte,
Ruberto
conte di
Fiandra; Stefano
conte
di
Brois; Rinieri
conte di San Gilio;
Buiamonte
duca
di Puglia, e più altri signori e baroni; e passarono
per
mare, ma i più per terra per la
via di
Gostantinopoli
con molto affanno. E prima presono la
città
d'Antioccia, e poi più altre in Soria, e Ierusalem, e
tutte le
città e castella della Terrasanta, e più battaglie
ebbono co' Saracini, delle quali bene
aventurosamente
ebbono vittoria i Cristiani. E 'l detto
Gottifredi
fu re di Ierusalem, ma per sua umiltà, perché
Cristo v'ebbe corona di spine, non volle in suo capo
corona d'oro. Ma chi
a pieno queste storie vorrà sapere
legga i·
libro
del detto passaggio, ove sono
distinte
ordinatamente. E in questo tempo fatto il conquisto
intorno gli
anni di Cristo
MCXX, si cominciarono
le magioni
del tempio e dello spedale di Ierusalem.
L. 5, cap. 25 rubr.Come i Fiorentini cominciarono a crescere il loro
contado.
L. 5, cap. 25Negli anni di Cristo MCVII, essendo la nostra città
di Firenze molto montata e cresciuta di popolo, di
genti, e di podere, ordinarono i Fiorentini di distendere
il loro contado di fuori, e allargare la loro signoria,
e qualunque castello o fortezza non gli ubbidisse,
di fargli guerra. E nel detto anno prima presero per
forza Monte Orlandi ch'era di sopra da Gangalandi
e certi cattani il teneano, i quali non volendo ubbidire
alla città di Firenze furono distrutti, e il castello
disfatto e abattuto.
L. 5, cap. 26 rubr.
Come i Fiorentini vinsono e disfeciono il castello di
Prato.
L. 5, cap. 26E nel detto tempo e anno medesimo i Pratesi si
rubellarono contra a' Fiorentini, onde i Fiorentini
v'andarono ad oste per comune, e per assedio il vinsono
e disfeciollo. Ma in quegli tempi Prato era di
picciolo sito e podere, che di pochi tempi dinanzi
s'erano levati d'uno poggio, ch'è tra Prato e Pistoia
presso a Montemurlo, che ssi chiamava Chiavello,
ove in prima abitavano com'uno casale e villate, e
erano fedeli de' conti Guidi, e per loro danari si ricomperarono,
e puosonsi in quello luogo ov'è oggi la
terra di Prato, per essere in luogo franco da signori;
e Prato gli puosono nome, però che dove è oggi la
terra avea allora uno bello prato il quale comperarono,
e ivi si puosono ad abitare.
L. 5, cap. 27 rubr.Come fu eletto imperadore Arrigo quarto di Baviera,
e come perseguitò la Chiesa.
L. 5, cap. 27Nel detto
anno
MCVII fu eletto per gli prencipi
elettori della Magna il re de' Romani
Arrigo
IIII di
Baviera figliuolo
del sopradetto
Arrigo terzo, e regnò
anni
XV; e se 'l padre fu nimico di santa Chiesa, come
detto avemo, sì fu questo
Arrigo
maggiormente,
che negli
anni di Cristo
MCX passando in Italia per
venire
a
Roma per la corona, sì mandò suoi ambasciadori
a
lettere
a papa
Pasquale che allora regnava
nel
papato, e
a' suoi cardinali, ch'egli volea essere
amico e fedele di santa Chiesa, e volea rifiutare e
restituire
al papa tutte le
'nvestiture de' vescovi e abati
e altri
cherici, le quali il padre od altri suoi anticessori
aveano tolti alla Chiesa. Ciò era che in Alamagna e
in Italia in più parti si metteano e
confermavano i vescovadi
e gli altri prelati cui e come loro piacea; onde
erano nate le
discordie tra gl'imperadori e la
Chiesa. E queste cose fare,
promettea di
confermare
per suo saramento e de' suoi baroni; per la qual cosa
il detto papa
Pasquale il
confermò
a essere imperadore.
E lui vegnendo
a
Roma per la
via che viene di
verso Montemalo, tutto il
chericato col popolo di
Roma gli si fece incontro, con grande processione e
triunfo; e 'l detto papa e' suoi cardinali parati l'attendeano
in su i gradi dinanzi
a la chiesa di San Piero; e
giunto il detto
Arrigo, per reverenzia basciò il piè
al
papa, e poi il papa il basciò in bocca in
segno di pace
e d'amore in su la porta detta
Argentea, e insieme
a mano
a mano
entrando in San Piero, e giunti in su
la porta chiamata
Profica, il detto papa domandò
al
detto
Arrigo il saramento il quale gli avea
promesso,
di rendere le
'nvestiture de' vescovi e prelati. Onde
fatta il papa la detta richesta, il detto
Arrigo consigliatosi
alquanto in
disparte co' suoi baroni, subitamente
a la sua gente d'arme fece pigliare il detto papa
e' cardinali, e col favore de' malvagi Romani, sì
come il
tradimento era ordinato, gli fece mettere in
pregione; e simigliantemente avea in Alamagna guerreggiato
molto col padre
Arrigo terzo, e vintolo in
battaglia, e
messolo in pregione nella
città di Legge,
e ivi
fattolo morire. Poi stato il detto papa
Pasquale
e' suoi cardinali alquanto in pregione, sì fu accordo
da llui
al detto
Arrigo; e trattolo di pregione, e non
potendo fare altro, lasciò
ad
Arrigo le
'nvestiture, e
giurò egli e' suoi cardinali di non
iscomunicarlo per
offese ch'avesse loro fatte, e
comunicossi il papa co· llui
del corpo di Cristo per più fermezza di pace, e sì
'l coronò imperadore di fuori dalla
città di
Roma. E
dapoi che 'l detto papa fu preso, si levarono tre
papi
contra lui, non
degnamente, in diversi tempi: l'uno
ebbe nome Alberto, l'altro
Agnulfo, e l'altro
Teodorico;
ma
ciascuno regnò poco, e ebbono piccolo podere
contra il detto papa
Pasquale. Ma morto
Pasquale,
fu per gli cardinali eletto papa
Gelasio; ma
per cagione che 'l detto
Arrigo non sentì la detta lezione,
né vi fu presente, sì si fece uno suo papa uno
Spagnuolo chiamato
Bordino; per la qual cosa il detto
papa
Gelasio co' suoi cardinali per paura d'
Arrigo
si fuggirono
a
Gaeta ond'egli era nato, e poi si misono
per
mare infino in
Proenza, e
andarne in
Francia
per aiuto
al re di
Francia; ma in quello
viaggio morìo
il detto papa
a la
città d'
Amiaco, e lui morto, per gli
cardinali fue fatto di concordia papa
Calisto secondo
di Borgogna, il quale papa
Calisto iscomunicò il detto
Arrigo imperadore e suoi seguaci, sì come persecutore
di santa Chiesa, e tornando verso
Roma per
Proenza e per Lombardia e per
Toscana, da tutti fu
ricevuto sì come degno papa, e fattogli grande reverenza.
Sentendo la sua venuta
Bordino, il papa ch'avea
fatto
Arrigo imperadore, per paura si fuggì di
Roma
a Sutri; ma per gli Romani fu in Sutri assediato
e preso, e
menato
a
Roma in
diligione in su uno
cammello col viso volto addietro
a la groppa, e
legatagli
in mano la coda
del
cammello, e misollo in pregione
nella rocca di Fummone in Campagna, e ivi
morìo.
L. 5, cap. 28 rubr.Come a la fine il detto Arrigo quarto imperadore
tornò all'obedienza di santa Chiesa.
L. 5, cap. 28Il sopradetto imperadore
Arrigo fatta molta
guerra
a la Chiesa, e stato ancora vinto in battaglia in
Lombardia da l'
antidetta
contessa
Mattelda come fu
il padre, si tornò
a coscienza, e
al detto papa
Calisto
rassegnò tutte le
'nvestiture de' vescovi e arcivescovi
e abati per anella e pasturali, e
rifiutonne ogni ragione
e usanza ch'egli o suoi antichi n'avessero presa
dalla Chiesa, e
ristituìo il Patrimonio di San Piero e
ogni possessione ch'egli o sua gente aveano prese o
vendute della Chiesa o delle chiese, per cagione della
guerra avuta
colla detta Chiesa, e con papa
Pasquale,
e co gli altri; onde il detto papa
Calisto fece pace
co· llui e
ricomunicollo; ma poco vivettono appresso
lo 'mperadore e 'l detto papa, e dicesi per le genti
che per cagione che 'l detto
Arrigo s'era male
portato
del padre, che per giusto giudicio morìo sanza
niuna
reda né figliuolo, né maschio né femmina, gli
anni di Cristo
MCXXV, e succedette
a llui
Lottieri di
Sassogna; e in lui finiro gl'imperadori della casa di
Baviera, che
IIII Arrighi aveano tenuto lo 'mperio
l'uno appresso l'altro, e suti li tre molto contrarii
a
santa Chiesa. Lasceremo ora alquanto degl'imperadori
e papa, e torneremo
a nostra materia de' fatti di
Firenze, ch'assai cominciaro
a ffare i Fiorentini delle
novità e guerre
a' loro vicini per accrescere loro
stato.
L. 5, cap. 29 rubr.Come i Fiorentini isconfissero il vicario d'Arrigo
quarto imperadore.
L. 5, cap. 29Negli anni di Cristo MCXIII i Fiorentini feciono
oste a Montecasciolo, il quale facea guerra alla città,
e avealo rubellato messere Ruberto Tedesco, vicario
dello 'mperadore Arrigo in Toscana, e stava con sue
masnade in Samminiato del Tedesco; e però era
Samminiato sopranomato del Tedesco, però che' vicari
degl'imperadori ch'erano co le loro masnade de'
Tedeschi stavano nella detta terra a guerreggiare le
città e castella di Toscana che non ubbidissero gl'imperadori;
il quale messere Ruberto fu da' Fiorentini
sconfitto e morto, e 'l castello preso e disfatto.
L. 5, cap. 30 rubr.
Come nella città di Firenze per due volte s'apprese
il fuoco, onde arse quasi gran parte della città.
L. 5, cap. 30Negli
anni di Cristo
MCXV,
del mese di maggio,
s'apprese il fuoco in borgo Santo Appostolo, e fu sì
grande e impetuoso che buona parte della
città arse
con grande
danno de' Fiorentini. E in quello
anno
medesimo morì la buona
contessa
Mattelda. E l'
anno
appresso
del
MCXVII anche si prese il fuoco in
Firenze,
e buonamente ciò che non fu arso
al primo fuoco
arse
al secondo, onde i Fiorentini ebbono grande
pestilenzia,
e non sanza cagione e giudicio di Dio; imperciò
che lla
città era malamente corrotta di
resia,
intra l'altre della
setta degli
epicuri per vizio di lussuria
e di
gola, e era sì grande parte che
intra' cittadini
si combatteva per la fede con armata mano in più
parti di
Firenze, e
durò questa maladizione in
Firenze
molto tempo infino alla venuta delle sante religioni
di santo Francesco e di santo
Domenico, le quali
religioni per gli loro santi frati, commesso loro l'oficio
della
eretica pravità per lo papa, molto la
stirparo
in
Firenze, e in Milano, e in più altre
città di
Toscana
e di Lombardia
al tempo
del beato Pietro martiro,
che da' paterini in Milano fu martirizzato, e poi
per gli altri inquisitori. E per l'arsione de' detti fuochi
in
Firenze arsono molti
libri e
croniche che più
pienamente facieno memoria delle cose passate della
nostra
città di
Firenze, sicché
poche ne rimasono;
per la qual cosa
a noi è
convenuto ritrovarle in altre
croniche
autentiche di diverse
città e paesi, quelle di
che in questo trattato è fatto menzione in gran parte.
L. 5, cap. 31 rubr.Come i Pisani presono Maiolica, e' Fiorentini guardarono
la città di Pisa.
L. 5, cap. 31Negli
anni di Cristo
MCXVII i Pisani feciono una
grande armata di
galee e di
navi, e andarono sopra
l'isola di
Maiolica che lla teneano i Saracini; e come
fu partita la detta armata di
Pisa e già raunata insieme
sopra Vada per fare loro
viaggio, i Lucchesi per
comune vennero
a oste sopra
Pisa per prendere la
terra. I Pisani avendo la
novella, per paura che' Lucchesi
non occupassono la terra, non ardivano d'andare
innanzi col loro stuolo, e
ritrarresi della 'mpresa
non pareva loro onore
al grande spendio e
apparecchiamento
ch'aveano fatto; presono per
consiglio di
mandare loro ambasciadori
a' Fiorentini, i quali erano
in quegli tempi molto amici i detti Comuni, e
pregaro
che piacesse loro di guardare loro la
cittade,
confidandosi di loro come di loro intimi amici e
cari
fratelli. Per la qual cosa i Fiorentini accettarono di
servirgli, e di fare loro guardare la
città da' Lucchesi
e da tutta gente; per la qual cosa il Comune di
Firenze
vi mandò gente d'arme assai
a cavallo e
a ppiede,
e puosonsi
ad oste di fuori da la
città
a
due miglia, e
per onestà delle loro donne non vollono
entrare in
Pisa, e mandaro
bando che nullo non
entrasse nella
città sotto pena della persona: uno v'
entrò, sì fu condannato
a
impiccare. I Pisani vecchi ch'erano rimasi
in
Pisa, pregando i Fiorentini che per loro amore gli
dovessero perdonare; no· llo vollono fare. E i Pisani
contradissero, e
pregaro che almeno in su il loro terreno
nol facessono morire, onde segretamente i Fiorentini
dell'oste feciono
a nome
del Comune di
Firenze
comperare uno campo di terra da uno
villano,
e in su quello
rizzarono le forche, feciono la giustizia
per mantenere il loro decreto. E tornata l'oste de' Pisani
dal conquisto di
Maiolica, rendero molte grazie
a' Fiorentini, e domandaro quale
segnale
del conquisto
volessono, o le porte
del
metallo, o
due colonne
del
profferito ch'aveano recate e tratte di
Maiolica. I
Fiorentini chiesono le colonne, e' Pisani le mandaro
in
Firenze coperte di scarlatto; e per alcuno si disse
che innanzi che le mandassero per invidia le feciono
affocare; e le dette colonne sono quelle che sono
diritte
dinanzi
a San Giovanni.
L. 5, cap. 32 rubr.Come i Fiorentini presero e disfecero la rocca di
Fiesole.
L. 5, cap. 32Negli
anni di Cristo
MCXXV i Fiorentini puosono
oste
a la rocca di
Fiesole, che ancora era in piede e
molto forte, e
tenealla certi gentili uomini cattani stati
della
città di
Fiesole, e dentro vi si
riduceano
masnadieri
e sbanditi e
mala gente che alcuna volta faceano
danno alle strade e
al
contado di
Firenze, e
tanto vi stettero
all'assedio che per difalta di vittuaglia
s'
arendéo, che per forza mai non s'arebbe avuta,
e feciolla tutta abbattere e disfare infino alle fondamenta,
e feciono decreto che mai in su
Fiesole non
s'osasse rifare niuna fortezza.
L. 5, cap. 33 rubr.Ove si pigliano le misure delle miglia del contado
di Firenze.
L. 5, cap. 3La misura delle miglia del contado di Firenze si
prendono ed è loro termine de le V sestora che sono
di qua da l'Arno a la chiesa, overo Duomo, di Santo
Giovanni; e del contado di là dal fiume d'Arno si
prendono alla coscia del ponte Vecchio di qua da
l'Arno dal piliere dov'è la figura di Mars. E questa
fue l'antica consuetudine de' Fiorentini; e il migliaio
si fu mille passini, che ogni passino si è tre braccia a
la nostra misura.
L. 5, cap. 34 rubr.Come Ruggieri duca di Puglia ebbe guerra co la
Chiesa e poi si riconciliò col papa, e come poi furono
in Roma due papi a uno tempo.
L. 5, cap. 3In questi tempi, gli
anni di Cristo
MCXXV, regnando
papa Onorio secondo, nato di Bologna, i baroni
di Puglia quasi si rubellarono da Ruggieri
duca di
Puglia e figliuolo di Ruberto
Guiscardo, e con
lusinghe
il detto papa
condussono infino
a Aquino per fare
torre il regno
a Ruggieri; ma Ruggieri co le sue
forze sconfisse l'oste
del papa con grande
dannaggio
di sua gente; e ciò fatto, il detto Ruggieri non ne
montò in superbia, ma con grande umilità venne
al
papa e
gittoglisi
a' piedi
chiedendogli misericordia, e
il papa gli puose il
calcio in sul
collo e disse il verso
del Saltero che
dice: «
Super
aspidem
et
basaliscum
ambulabis,
et
conculcabis
leonem
et
draconem». E
ciò detto, gli
perdonò, e
fecelo levare, e
basciollo in
segno di pace. Il quale Ruggieri mostrò
al detto papa
come i suoi baroni
falsamente gli aponeano, e com'egli
era fedele di santa Chiesa com'era stato il padre;
onde il papa lui
confermò il regno, e coronollo
del
reame di Cicilia, e grande vendetta fece de' suoi ribelli.
Poi morto il detto papa Onorio, fu eletto papa
Innocenzio secondo gli
anni di Cristo
MCXXX. Questi
fue Romano, e regnò papa
XIII anni; ma alla sua lezione
nacque in
Roma grande scisma nella Chiesa,
imperciò che uno messere Piero ch'era cardinale figliuolo
di Pietro Leone possente Romano, per forza
si fece fare papa e chiamossi
Innacreto, e con sua
forza combatté papa
Innocenzio e suoi cardinali nelle
case degl'
Infragnipani di
Roma. Quello messere
Pietro Leone ispogliò tutte le chiese di
Roma d'ogni
tesoro sacro per farne moneta, il quale
tesoro fue infinito,
e con quello corruppe molti Romani contra
Innocenzio papa, il quale non possendo stare in
Roma
per la forza di quello figliuolo di Pietro Leoni,
iscomunicatolo, cassò ogni suo ordine; se n'andòe in
Francia in su
due
galee co' suoi cardinali, e da
Luis il
Grosso re di
Francia furono ricevuti onorevolemente.
E
consecrò re il detto
Luis, e egli
promise d'atare
la Chiesa con tutta sua forza. Ma essendo papa
Innocenzio
in
Francia, fu eletto imperadore
Lottieri di
Sassogna, il quale con grande
potenzia di gente di
suo paese passò in Italia e
menonne seco il detto papa
Innocenzio e' cardinali, e con molti vescovi e arcivescovi
ch'erano stati
al
concilio, prima
a
Chieramonte
in Alvernia e poi
al
Loreno, e rimise in
Roma
in sedia e signoria il detto papa, e per forza cacciò di
Roma Pietro Leoni e tutti i suoi seguaci, e poi prese
la corona dello 'mperio per mano
del detto papa
Innocenzio
negli
anni di Cristo
MCXXX. Questo
Lottieri
regnò re de' Romani e imperadore
XI anni, e fue
cristianissimo
e fedele di santa Chiesa, e per cagione
che Ruggieri figliuolo
del primo Ruggieri ch'era stato
figliuolo di Ruberto
Guiscardo, essendo re di Cicilia
e di Puglia, avendo tenuta la
setta di figliuolo Petro
Leoni contra il detto papa
Innocenzio, questo
Lottieri
imperadore con papa
Innocenzio insieme, e
coll'
armata de' Pisani e de' Genovesi,
passaro nel regno
di Puglia per
mare e per terra sopra il detto Ruggieri
che s'era rubellato dal papa e dalla Chiesa, e lui
colla
detta forza cacciarono di Puglia; e fuggissi in Cicilia;
e
toltogli il regno, feciono
duca di Puglia il
conte
Cammone, ma poco regnò, che poi tornò la signoria
al figliuolo di Ruggieri, ciò fu il buono re
Guiglielmo,
come innanzi faremo menzione. E per cagione
dell'aiuto che' Genovesi e' Pisani feciono
a la Chiesa
sopra il
duca di Puglia, in generale
concilio in
Roma
fu fatto grazia d'arcivescovado
a la
città di
Genova,
dandosi più vescovadi in sua signoria della riviera di
Genova e di Lombardia. E simile fece
a' Pisani,
dandogli
sotto lui certi vescovadi di Sardigna, e quello di
Massa in Maremma, e quello di Grosseto. E ciò fatto,
il detto
Lottieri imperadore bene
aventurosamente
si tornò in Alamagna, e poco appresso morì, e fu
eletto re de' Romani
Currado secondo di
Sassogna
negli
anni di Cristo
MCXXXVIII, e regnò
XV anni, ma
non fu
coronato
a
Roma dello imperio.
L. 5, cap. 35 rubr.Conta del secondo passaggio d'oltremare.
L. 5, cap. 3Nel tempo
del sopradetto
Currado re de' Romani
furono tre
papi
a
Roma l'uno appresso l'altro: papa
Celestino secondo regnò
VII mesi; e poi fu
Luzio primo,
ancora vivette poco; poi fu papa Eugenio di
Pisa
che regnò
anni
VIII e mesi.
Al tempo di questo papa,
gli
anni di Cristo
MCXLVII,
Luis il Pietoso re di
Francia
per amenda d'una
guerra ch'egli
a torto avea presa
col re di Navarra per torreli Campagna, sì
promise
d'andare
al soccorso della Terrasanta, e per la sua
andata si commosse tutto il suo reame per andare oltremare,
e richiese il detto
Currado re de' Romani
che gli piacesse d'imprendere co· llui il detto passaggio,
e egli l'accettò allegramente, e mandarono pregando
il detto papa Eugenio che passasse in
Francia
a lloro dare la croce, e così fece; e coronò il detto re
Luis. E poi
crociati i detti re
Currado e re
Luis tra'
confini d'Alamagna e di
Francia per
comandamento
del detto papa per mano di santo Bernardo abate di
Chiaravalle, i Franceschi e' Tedeschi, innumerabile
gente, passarono per
mare con
CC navi, e i più per terra per
Ungaria e
Pannonia in
Grecia, ma con molto
affanno per la retà de' Greci, che per
fargli morire
o
amalare
mischiavano la calcina
colla farina, onde
molti ne moriro. E poi co'
Turchi in
Turchia ebbono
grande contasto, e fecero più battaglie. Bene
aventurosamente
vinsono
contra' Saracini, ma poco vi dimoraro,
che
Luis prima si tornò in
Francia, e poi
Currado in Alamagna, e sanza venire
a
Roma, e di là
si morìo sanza benedizione imperiale. E 'l papa Eugenio
dopo molte buone opere fatte morìo
a
Roma
gli
anni di Cristo
MCLIIII. E dopo lui succedette papa
Anastasio
IIII, ma vivette poco più d'uno
anno. E
poi fu papa
Adriano
IIII, che coronò il primo
Federigo
imperadore. Torneremo alle
novità che furono
in
Firenze in questo tempo che noi avemo intralasciato
per seguire nostro trattato.
L. 5, cap. 36 rubr.Come i Fiorentini disfecero il castello di Montebuoni.
L. 5, cap. 3Negli
anni di Cristo
MCXXXV, essendo in piè il castello
di
Montebuono, il quale era molto forte e era
di que' della casa de'
Bondelmonti, i quali erano cattani
e antichi gentili uomini di
contado, e per lo nome
del detto loro castello avea nome la casa
Bondelmonti;
e per la fortezza di quello, e che la strada vi
correa
a piè, coglievano
pedaggio; per la qual cosa
a'
Fiorentini non piacea né voleano sì fatta fortezza
presso
a la
città, si v'andarono
ad oste
del mese di
giugno e ebbollo,
a
patti che 'l castello si disfacesse,
e l'altre possessioni rimanessero
a' detti cattani, e
tornassero
ad abitare in
Firenze. E così cominciò il
Comune di
Firenze
a distendersi, e
colla forza più
che con ragione,
crescendo il
contado e sottomettendosi
a la giuridizione ogni nobile di
contado, e disfaccendo
le fortezze.
L. 5, cap. 37 rubr.Come i Fiorentini furono sconfitti a Montedicroce
da' conti Guidi.
L. 5, cap. 37Negli anni di Cristo MCXLVI, avendo i Fiorentini
guerra co' conti Guidi, imperciò che colle loro castella
erano troppo presso a la città, e Montedicroce
si tenea per loro e facea guerra; per la qual cosa, per
arte, de' Fiorentini v'andarono ad oste co· lloro soldati,
e per troppa sicurtade non faccendo buona guardia
furono sconfitti dal conte Guido vecchio e da lloro
amistà Aretini e altri, del mese di giugno. Ma poi
gli anni di Cristo MCLIIII i Fiorentini tornaro a oste a
Montedicroce, e per tradimento l'ebbono, e disfeciollo
infino alle fondamenta; e poi le ragioni che
v'aveano i conti Guidi venderono al vescovado di Firenze,
non possendole gioire né averne frutto. E d'allora
innanzi non furono i conti Guidi amici del Comune
di Firenze, e simile gli Aretini che gli aveano
favorati.
L. 5, cap. 38 rubr.
Come i Pratesi furono sconfitti da' Pistolesi a Carmignano.
L. 5, cap. 38Negli anni di Cristo MCLIIII, avendo guerra i Pratesi
co' Pistolesi per lo castello di Carmignano, e essendovi
cavalcati i Pratesi colle masnade e aiuto de'
Fiorentini, sì vi furo sconfitti da' Pistolesi. Lasceremo
alquanto de' nostri fatti di Firenze, imperciò che
infra XVI anni appresso poche notevoli cose v'ebbe, e
cominceremo il sesto libro, e diremo del primo Federigo
imperadore, il quale egli e le sue rede feciono
di grandi e diverse mutazioni in Italia, e a la Chiesa
di Roma, e a la nostra città di Firenze; onde molto
ne cresce matera, siccome innanzi faremo per gli
tempi menzione.
L. 6, cap. 1 rubr.
Qui comincia il VI libro: come il primo Federigo
detto di Stuffo di Soave fu imperadore di Roma, e de'
suoi discendenti; conseguendo i fatti di Firenze che furono
a loro tempi e di tutta Italia.
L. 6, cap. 1Dopo la
morte di
Currado di
Sassogna re de' Romani
fue eletto imperadore
Federigo
Barbarossa detto
Federigo Grande, overo primo, della casa di Soave,
e chi il
sopranomò di
Stuffo. Questi, rimesse le
boci degli
elettori in lui, si chiamò sé medesimo, e
poi passò in Italia, e fu
coronato
a
Roma per papa
Adriano quarto gli
anni di Cristo
MCLIIII, e regnò
anni
XXXVII che re de' Romani e che imperadore.
Questo
Federigo fu largo e bontadoso,
facondioso e
gentile, e in tutti suoi fatti glorioso.
A la prima fue
amico di santa Chiesa
al tempo
del detto papa
Adriano, e fece rifare Tiboli che era disfatto, ma il dì
medesimo che fu
coronato da' Romani
a la sua gente
ebbe grande zuffa e battaglia nel prato di
Nerone,
ove il detto imperadore era attendato,
a grande
danno
de' Romani, e dentro nel Portico di San Piero; e
quello tutto arse e disfece, cioè la parte di
Roma ch'è
intorno
a San Piero. Questi poi tornando in Lombardia
il primo
anno
del suo imperiato, perché la
città
di Spuleto no· ll'ubbidìo, imperciò ch'era della Chiesa,
vi si puose
ad oste, e
vinsela, e tutta la fece disfare;
e per volere occupare le
ragioni della Chiesa, tosto
si fece nimico; ché dopo la
morte d'
Adriano papa
gli
anni di Cristo
MCLVIIII fu fatto papa
Allessandro
terzo di Siena, che regnò
XXII anni: questi, per
mantenere la giuridizione di santa Chiesa, ebbe
grande
guerra col detto
Federigo imperadore, e per
più tempo; il quale imperadore gli fece fare incontro
IIII antipapi
scismatici in diversi tempi, l'uno appresso
l'altro, che i tre furono cardinali. Il primo fu
Attaviano
che ssi fece chiamare
Vittorio; il secondo
Guido
di Chermona che si fece chiamare
Pasquale; il
terzo fu Giovanni
Strumense che si fece chiamare
Calisto; il quarto ebbe nome
Landone il quale si fece
chiamare
Innocenzo; onde nella Chiesa di Dio ebbe
grande scisma e afflizzione, imperciò che questi
papi
colla forza di
Federigo imperadore teneano tutto il
Patrimonio San Piero e 'l
ducato, che 'l detto papa
Allessandro non avea nulla signoria. Ma il detto papa
Allessandro contro
a tutti valentemente pugnò, e
gli scomunicò: i quali tutti l'uno appresso l'altro, lui
regnando, moriro di
mala
morte. Ma regnando eglino
colla forza di
Federigo, il detto diritto papa
Allessandro,
non potendo stare in
Roma, se n'andò
colla
corte in
Francia
al re
Luis il Pietoso, il quale il ricevette
graziosamente. E dicesi in
Francia che vegnendo
il detto papa
Allessandro
a Parigi
celatamente
con
poca compagnia
a guisa d'uno picciolo prelato,
incontanente che fu
a San Moro presso di Parigi,
non avendo
del papa
novella niuna, per
divino miracolo
si levò una
boce: «Ecco il papa, ecco il papa!»;
e cominciaro
a sonare le
campane, e lo re col
chericato
e popolo di Parigi gli si fece incontro, onde il
papa si
maravigliò forte, però che nullo sapea di sua
venuta; e ringraziò Idio, e
palesossi
al re e
al popolo,
e cominciò
a segnare. E poi in
Francia fece il detto
papa
concilio generale
a la
città
del Torso in Torena,
nel quale scomunicò il detto
Federigo e
dispuose
dello 'mperio, e assolvette tutti i suoi baroni di suo
saramento, e
dispuose quegli della casa della Colonna
di
Roma, che mai né eglino né loro successori potessono
avere dignità in santa Chiesa, però ch'
al tutto
si tennero all'aiuto e favore
del detto
Federigo
contra la Chiesa. E in quello
concilio tutti gli re e signori
di ponente si promisero e
allegarono con
Luis
re di
Francia
a l'aiuto
del detto papa
Allessandro e di
Santa Chiesa contro
a
Federigo detto, e simile molte
città di Lombardia si rubellaro
al detto
Federigo: ciò
fu Milano, e Chermona, e Piagenza, e tennero col
papa e
colla Chiesa. Per la qual cosa il detto
Federigo
passando per la Lombardia per andare in
Francia
contra
Luis re che riteneva papa
Allessandro, trovando
la
città di
Melano che gli s'era ribellata, sì ll'asediò
e per lungo assedio l'ebbe l'
anno di Cristo
MCLXII del mese di marzo, e
fecele disfare le
mura, e
ardere tutta la
città, e
arare e
seminare di
sale; e' corpi
di tre re, overo
magi, che vennoro
ad adorare Cristo
per lo
segno della
stella, i quali erano nella
città
di Milano in tre tombe cavate di
profferito, gli fece
trarre di Milano e
mandargline
a
Cologna, onde tutti
i Lombardi furono molto
crucciosi. E poi passando i
monti per distruggere il reame di
Francia
collo aiuto
del re di Buem e con quello di
Dazia, cioè
Dannesmarce,
entrò in Borgogna; ma lo re
Luis di
Francia
coll'aiuto d'
Arrigo re d'Inghilterra suo genero, e con
più signori e baroni furono
a contradiallo, sicché per
la grazia d'Iddio non ebbe nullo podere, né v'aquistò
terra, ma per difetto di vittuaglia si tornaro adietro
quegli re in loro paesi, e
Federigo in Italia. E faccendo
guerreggiare i Romani perché s'erano tornati dalla
parte della Chiesa e di
papa
Allessandro, essendo i
detti Romani
a oste
a Toscolano, per lo
cancelliere
del detto
Federigo
colle sue masnade de' Tedeschi
furono sconfitti ne· luogo detto Monte
del Porco, e
molti Romani presi, e morti sì grande quantità che
nelle
carra tornarono morti
a
Roma per
soppellirli; e
questa sconfitta si dice che fue per
tradimento de'
Colonnesi, i quali furono sempre
collo imperadore e
contro alla Chiesa, onde furono per lo
papa privati
d'ogni benificio temporale e spirituale; e per la detta
sconfitta i Romani cacciarono di
Roma i Colonnesi, e
disfeciono loro una antica e bellissima fortezza che si
chiamava l'Agosta, la quale si dice che fece fare Cesare
Agusto; e ciò fu gli
anni di Cristo
MCLXVII. E
ciò fatto, lo 'mperadore venne
all'assedio di
Roma
per distruggerla, e aveala molto
stretta. I Romani feciono
al
chericato di
Roma prendere la testa di santo
Piero e quella di santo Paolo, e portarle
a processione
per tutta
Roma; per la qual cosa i Romani si
crocciaro
tutti contra lo 'mperadore, e 'l primo che lla
prese fue messere
Matteo Rosso il vecchio degli
Orsini,
avolo che fu di
papa Niccola terzo, e per vecchiezza
avea lasciate l'armi e preso abito di penitenzia;
e per questa cagione lasciò l'abito e riprese l'armi,
onde molto fue commendato; e per questa cagione
egli e' suoi vennero in grazia della Chiesa, e
agrandiro molto. Apresso il detto messere
Matteo
prese la croce
Gianni
Buovo, grande cittadino di
Roma,
e poi tutti gli altri con grande animo e volontà;
per la qual cosa,
sentendolo lo 'mperadore, o per
paura, ma più per miracolo de' beati appostoli, subito
si partì dall'assedio di
Roma con sua gente, e tornossi
a Viterbo, e la
città di
Roma fu liberata.
L. 6, cap. 2 rubr.Come papa Allessandro tornò di Francia a Vinegia,
e lo 'mperadore venne a le sue comandamenta.
L. 6, cap. 2Poi appresso stato il detto papa
Allessandro lungamente
in
Francia,
colla forza
del re di
Francia e di
quello d'Inghilterra tornò
colla
corte sua in Italia per
mare, e
capitando in
Cicilla, dal re
Guiglielmo che
allora n'era re, divotamente fu ricevuto e
favorato,
riconoscendosi
fedele di santa Chiesa, e che
ll'isola tenea
da llui; per la qual cosa il detto papa il ne
confermò
re di Cicilia, e rendégli Puglia, onde il detto re
Guiglielmo col suo navilio per
mare l'acompagnò infino
a la
città di Vinegia, nella quale volle andare il
detto papa per più
sicurtà di lui, acciò che
Federigo
imperadore
nol potesse offendere; e per
favorare i
fedeli di santa Chiesa di Lombardia fece sua stanza
nella detta
città di Vinegia, e da' Viniziani
reverentemente
fu ricevuto e onorato; per lo cui favore i Milanesi
rifeciono la
città di Milano gli
anni di Cristo
MCLXVIII. Poi poco tempo apresso i Milanesi
coll'
aiuto de'
Piagentini e di
Chermonesi e d'altre
città
di Lombardia che
obbedieno santa Chiesa feciono
una terra in Lombardia, quasi per una bastita e battifolle,
incontro alla
città di Pavia, che sempre fu contra
Milano, e si tenea
collo imperio; e quella
città fatta,
per onore
del detto papa
Allessandro, e perché
fosse più famosa, la chiamarono
Allessandra; e poi
fu
sopranomata de la Paglia,
a
dispregio, per quegli
di Pavia; e
a
priego de' Lombardi le diede il papa vescovo,
e
dispuose quello di Pavia e
tolsegli la dignità
del palio e della croce, imperciò che sempre avea tenuto
con
Federigo imperadore contro
a la Chiesa.
L. 6, cap. 3 rubr.Come lo 'mperadore Federigo Barbarossa si riconciliò
co la Chiesa, e passò oltremare, e là morìo.
L. 6, cap. 3Veggendosi lo 'mperadore
Federigo molto abbassato
di suo stato e signoria, e molte
città di Lombardia
e di
Toscana ribellarsi da llui, e teneansi
colla
Chiesa e col papa
Allessandro, il quale era molto
montato in istato col favore
del re di
Francia e di
quello d'Inghilterra e di
Guiglielmo re di Cicilia, si
procacciò di
riconciliarsi
colla Chiesa e col papa, acciò
che
al tutto non perdesse l'onore dello 'mperio, e
con
solenni ambasciadori mandò
a Vinegia
a papa
Allessandro
a dimandare pace, promettendo di fare
ogni amenda
a santa Chiesa; il quale dal detto papa
fue
esaudito
benignamente. Per la qual cosa il detto
Federigo andòe
a Vinegia, e gittossi
a' piè
del detto
papa
a misericordia. Allora il detto papa gli puose il
piede ritto in sul
collo, e disse il verso
del Saltero che
dice: «
Super
aspidem
et
basaliscum
ambulabis,
et
conculcabis
leonem
et
draconem», e lo 'mperadore
rispuose: «
Non
tibi
set
Petro», e 'l
papa rispuose:
«
Ego
sum
vicarius
Petri»; e poi gli
perdonò ogni
offesa ch'avesse fatta
a santa Chiesa, faccendo
ristituire
ciò che tenesse di santa Chiesa; e così
promise
e fece con
patti, che ciò che ssi trovasse che lla Chiesa
in quello dì tenesse nel Regno
a perpetuo fosse di
santa Chiesa; e trovossi che
Benivento; e questo fu
l'origine perché la Chiesa tiene per sua la
città di
Benivento.
E ciò fatto, il
pacificò co' Romani e con
Manuello
imperadore di
Gostantinopoli, e con
Guiglielmo
re di Cicilia, e co' Lombardi, e per amenda e penitenzia
gl'impuose, ed elli
promise, d'andare oltremare
al soccorso della Terrasanta, imperciò che 'l
Saladino soldano di Babillonia avea ripresa Ierusalem,
e più altre terre che teneano i Cristiani; e così
fece. Poi il detto
Federigo, lui
crocciato, gli
anni di
Cristo
MCLXXXVIII con grandissima oste d'Alamagna
si partìo, e andò per terra per Ungaria e
Gostantinopoli
infino in
Erminia; ma giunto il detto
Federigo in
Erminia, essendo di state e grande caldo, bagnandosi
a diletto in uno piccolo fiume chiamato il fiume
del
Ferro,
disaventuratamente affogò; e ciò si crede che
fosse per giudicio di Dio per le molte persecuzioni
che fece
a santa Chiesa: e di lui rimase uno figliuolo
il quale ebbe nome
Arrigo che 'l fece
eleggere re de'
Romani innanzi che passasse oltremare negli
anni di
Cristo
MCLXXXVI; e morto il detto
Federigo, la moglie
col figliuolo e
colla loro gente, tutto che molta
ne morisse in quello
viaggio, si tornaro di Soria in
ponente sanza niuno acquisto fatto. Torneremo omai
alla nostra matera de' fatti di
Firenze e d'altre cose
che furono
al tempo che regnò il detto
Federigo; ma
prima diremo
del re
Filippo di
Francia e
del re Ricciardo
d'Inghilterra ch'andarono oltremare
al soccorso
della Terrasanta in questo medesimo tempo.
L. 6, cap. 4 rubr.Come il re di Francia e quello d'Inghilterra andarono
oltremare al passaggio.
L. 6, cap. 4E nel detto passaggio lo re
Filippo il Bornio di
Francia e lo re Ricciardo d'Inghilterra con molti
conti
e baroni di
Francia, e d'Inghilterra, e di
Proenza, e
d'Italia,
crociati,
passaro per
mare in Soria, e assediaro
e presero la
città di Tolomaida, detta
Acri, che
la teneano i Saracini, e quella ebbono per assedio;
ma molta di loro buona gente vi moriro di
pestilenzia
d'infermitade; e in questo
viaggio s'incominciò
grande
discordia tra 'l detto re
Filippo il Bornio e 'l
re Ricciardo d'Inghilterra. L'una cagione fu perché il
re Ricciardo volea la signoria d'
Acri, siccome il re
Filippo,
e assai avea operato
al conquisto; appresso,
perché il re
Filippo gli tolse, tornato lui in
Francia, la
ducea di
Normandia per forza per
CC.m di livre di parigini
che gli avea prestati quando andò oltremare
sopra la detta
Normandia, e no· lla lasciò ricogliere,
come toccammo adietro nel
capitolo ove raccontammo
il lignaggio e' discendenti de' presenti re di
Francia.
Ma imperciò che gli antichi
del re Ricciardo
d'Inghilterra e poi gli suoi successori feciono di
grandi cose le quali si mischiano molto
a la nostra
matera, e ancora perché sono stati possenti re tra'
Cristiani, si è convenevole che in questo si racconti
di loro progenia, e come furono
distratti
de· lignaggio
de'
Normandi, siccome fue il buono Ruberto
Guiscardo, come di lui avemo adietro fatta menzione,
in questo modo: che il primo
duca di
Normandi
che fu Cristiano, fatto per lo 'mperadore
Carlo il
Grosso e re di
Francia, come adietro è fatta menzione;
del detto Ruberto nacque
Guiglielmo detto
Spadalunga;
di
Guiglielmo nacque Ruberto e Ricciardo; di Ricciardo
nacque Ricciardo che fu padre di Ruberto
Guiscardo re di Puglia; e di Ruberto che rimase
duca di
Normandia nacque Ruberto il Bastardo
che l'acquistò in questo modo:
credendosi giacere
con una figliuola d'uno suo ricco borgese la quale
molto gli piacea, la madre per iscampare la vergogna
de la figliuola trovòe una molto
bella
damigella povera
che molto si
somigliava
colla
figlia, e quella inn
iscambio di lei mise in camera col detto
duca Ruberto,
onde nacque il detto
Guiglielmo il Bastardo; e la
notte che la madre il generò le venne in visione che
di corpo l'usciva una
quercia e
crescea tanto che i
suoi rami si
stendeano insino inn Inghilterra; e
veramente
fu
avisione di vera
profezia, come diremo appresso.
E perché bastardo fosse, nonn è da tacere di
lui, che come fue in etade, e seppe di sua nazione,
incontanente si mise in fatti d'arme, e fu
maraviglioso
in prodezza e senno e in cortesia, e per sua valentia
passò in Inghilterra, e combatté con
Raul che allora
n'era re
istratto di Spagna, e lui vinse e uccise in
battaglia, e fecesi re d'Inghilterra gli
anni di Cristo
MLXVI, e regnòe
XXVI anni. E dopo lui regnòe
Guiglielmo
suo figliuolo, e dopo
Guiglielmo regnòe
Arrigo
suo figliuolo, il quale ebbe per moglie la figliuola
del re
Luis il Pietoso re di
Francia; e questo
Arrigo
fue col detto re
Luis e con
papa
Allessandro incontro
a
Federigo primo imperadore quando venne
in Borgogna, come è fatta menzione. Questo
Arrigo
fue quegli che fece uccidere il beato
Tommaso arcivescovo
di Conturbiera, perch'egli il riprendea de'
suoi vizii, e togliea le
decime della santa Chiesa; onde
Idio fece grande giudicio, che poco appresso cavalcando
per Parigi col re
Luis, gli si traversò uno
porco tra' piè
del cavallo e
fecelo cadere, e subitamente
della caduta morìo. Di lui rimase uno figliuolo
ch'ebbe nome Stefano; dopo Stefano regnòe un altro
Arrigo, il quale ebbe
due figliuoli, il re Giovane e lo
re Ricciardo. Questo re Giovane fue il più cortese signore
del
mondo, e ebbe
guerra col padre per
indotta
d'alcuno suo barone, ma poco vivette, e di lui non
rimase
reda. Dopo il re Giovane regnò il re Ricciardo,
quegli onde
al
cominciamento facemmo menzione
che andò oltremare
al passaggio col re
Filippo di
Francia e fu
pro' d'arme e
valoroso, e egli assieme
con
XII altri baroni di
Francia e d'Inghilterra tenne il
passo
al Saladino soldano di Babilonia con tutto suo
esercito. Di Ricciardo nacque
Arrigo suo figliuolo
che regnò appresso lui, ma fue sempice uomo e di
buona fe' e di poco
valore.
Del detto
Arrigo nacque
il buono re
Adoardo che
a' nostri presenti tempi
regna,
il quale fece di gran cose, come innanzi per gli
tempi faremo menzione. Lasceremo le storie de' detti
signori, e torneremo
a' nostri fatti di
Firenze.
L. 6, cap. 5 rubr.Come i Fiorentini sconfissono gli Aretini.
L. 6, cap. 5Negli anni di Cristo MCLXX i Fiorentini fecero oste
sopra gli Aretini perch'erano stati co' conti Guidi
contro al Comune di Firenze; e uscendo gli Aretini
loro incontro, da' Fiorentini furono sconfitti del mese
di novembre, e poi feciono accordo co' Fiorentini
con onorevoli patti per lo Comune di Firenze, e promisero
di non essere loro incontro per neuna cagione,
e riebbono i loro pregioni.
L. 6, cap. 6 rubr.Come si cominciò la prima guerra da' Fiorentini a'
Sanesi.
L. 6, cap. 6Nel detto tempo si cominciò
guerra tra' Fiorentini
e' Sanesi per cagione delle castella che
confinano
co· lloro in Chianti, che
ciascuno Comune si volea dilatare,
e crescere il suo
contado, e
del castello di
Staggia; e per questa cagione i Fiorentini presono
ad
aiutare quegli di Montepulciano da' Sanesi che gli
guerreggiavano; e andarono i Fiorentini infino là per
fornirlo; e tornando da fornirlo, i Sanesi si fecero loro
incontro
al castello d'
Asciano, e qui si combatterono,
e furono sconfitti da' Fiorentini, e molti de'
Sanesi presi e morti vi furono; e ciò fu
del mese di
giugno gli
anni di Cristo
MCLXXIIII.
L. 6, cap. 7 rubr.Come di prima fu edificato il nobile e forte castello
di Poggibonizzi e quello di Colle di Valdelsa.
L. 6, cap. 7Nel detto tempo essendo
colà ov'è oggi la terra di
Poggibonizzi
al piano uno ricco borgo che si chiamava
il borgo di Marti, per cagione che diceano ch'erano
stati
stratti di parte de'
martirizzati di
Catellina ribelli
del popolo di
Roma, che in quello luogo s'erano
rimasi, scampati de la battaglia di Piceno, overo di
Piteccio, e tornando l'oste di su detta de' Fiorentini
da la vittoria d'
Asciano, alcuno giovane fiorentino
isforzò nel detto borgo una pulcella; onde tutta la
terra si commosse
a zuffa contra i Fiorentini, e alquanti
ve ne rimasono morti, e assai fediti e
vergognati;
per la quale offesa quegli
del borgo di Marti,
impauriti de' Fiorentini, feciono lega e giura con
VIII
castella e Comuni vicini, e per essere più
sicuri e forti
al riparo della
potenzia de' Fiorentini, sì ordinarono
di concordia di disfare le loro terre, e di porresi
in su il bello
poggio ove fu poi il detto castello, in sul
quale era una selva d'uno terrazzano ch'avea nome
Bonizzo, e dal detto il suo nome fu derivato; e questo
in brieve tempo ripuosono e afforzaro, però che
il luogo da sua natura è forte e agiato e bello, e partirlo
ad abituro in
VIIII contrade, come si fece di
VIIII terre, e in
ciascuna contrada ripuosono la chiesa
principale de la loro antica terra onde s'erano levati,
e quello di ricche
mura e porte e torri di pietre adornarono,
e fu sì forte e bello, e fornito di molti e ricchi
abitanti, ch'elli curavano poco i Fiorentini o altri
loro vicini; e per contradio de' Fiorentini s'allegarono
co' Sanesi, e poi diede molta briga
a' suoi vicini e
a' Fiorentini, come innanzi per gli tempi fareno menzione.
E nota che 'l detto
poggio è de' meglio
assituati
che sia in Italia, e appunto il bilico è in mezzo
la provincia di
Toscana. Afforzato il detto castello, i
Fiorentini ne furono molto
crucciati, e con
due castelletta
di
Valdelsa loro vicini e contradi de'
Poggibonizzesi
s'accostaro, e recarlo
a lloro lega, e
colle
forze de' Fiorentini ordinaro e feciono porre il castello
di
Colle di
Valdelsa
colà dov'è oggi, per fare
battifolle
a
Poggibonizzi; e di quelle
due castelletta e
con altre ville d'intorno il
popolaro, e la prima pietra
che ssi mise
a
fondarlo, la calcina fue intrisa
del sangue
che si
segnaro delle braccia i sindachi
a cciò
mandati per lo Comune di
Firenze,
a perpetua memoria
e
segno d'amicizia e fratellanza di quelli di
Colle
al Comune di
Firenze, e certo per
isperienzia
poi sempre è istato quello Comune come figliuolo di
quello di
Firenze.
L. 6, cap. 8 rubr.De' grandi fuochi che furono nella città di Firenze.
L. 6, cap. 8Negli anni di Cristo MCLXXVII s'apprese il fuoco
nella città di Firenze a dì V d'agosto, e arse da piè del
ponte Vecchio infino a Mercato Vecchio. E poi nel
detto anno medesimo s'apprese il fuoco a Sammartino
del Vescovo, e arse infino a Santa Maria Ughi e
infino al Duomo di Santo Giovanni con grandissimo
danno della città, e non sanza giudizio di Dio, imperciò
che' Fiorentini erano venuti molto superbi
per le vittorie avute sopra i loro vicini, e tra loro
molto ingrati a dDio, e con altri disonesti peccati. E
in questo anno cadde per soperchia piena del fiume
d'Arno il ponte Vecchio, che ancora fu segno di future
aversitadi alla nostra città.
L. 6, cap. 9 rubr.Come in Firenze si cominciò battaglia cittadina tra
gli Uberti e la signoria de' consoli.
L. 6, cap. 9Imperciò che nel detto medesimo
anno si cominciò
in
Firenze
disensione e
guerra grande tra' cittadini,
che mai non era più stata in
Firenze, e ciò fu per
troppa grassezza e
riposo mischiato
colla superbia
ingratitudine, ché quelli della casa degli Uberti ch'erano
i più possenti e maggiori cittadini di
Firenze
co· lloro seguaci nobili e popolari cominciaro
guerra
co' consoli ch'erano signori e guidatori
del Comune
a certo tempo e con certi ordini, per la 'nvidia della
signoria che nonn era
a lloro volere. E fu sì diversa e
aspra
guerra, che quasi ogni dì, o di
due dì l'uno, si
combatteano i cittadini insieme in più parti della
città
da vicinanza
a vicinanza, com'erano le parti, e
aveano armate le torri, che n'avea nella
città in grande
numero,
alte
C e
CXX braccia. E in quelli tempi
per la detta
guerra assai torri di nuovo vi si
muraro
per le comunitadi delle contrade, de' danari comuni
delle vicinanze, che si chiamavano le torri delle compagnie.
E sopra quelle faceano mangani e manganelle
per gittare l'uno
a l'altro, ed era asserragliata la
terra in più parti. E
durò questa
pestilenzia più di
due
anni, onde molta gente ne morì, e molto
pericolo
e
danno ne
seguì alla
città; ma tanto venne poi in
uso quello guerreggiare tra' cittadini, che l'uno dì si
combatteano, e l'altro mangiavano e beveano insieme,
novellando delle virtudi e prodezze l'uno dell'altro
che si faceano
a quelle battaglie. E quasi per
istraccamento e rincrescimento si rimasono per loro
medesimi
del combattere, e si
pacificarono, e rimasero
i consoli in loro signoria; ma
a la fine pur
criarono,
e poi partoriro le maladette parti che furono appresso
in
Firenze, siccome innanzi per li tempi faremo
menzione.
L. 6, cap. 10 rubr.
Come i Fiorentini presono il castello di Montegrossoli.
L. 6, cap. 10Negli anni di Cristo MCLXXXII, rimase le battaglie
cittadine in Firenze, i Fiorentini feciono oste al castello
di Montegrossoli in Chianti e presollo per forza.
E quell'anno valse lo staio del grano fiorini VIII,
che fu a quello tempo grande caro, imperciò che allora
correa in Firenze una moneta d'argento, che si
chiamavano fiorini, di danari XII l'uno, che oggi varrebbono
a la presente piccola moneta per lega e per
peso l'uno danaio tre.
L. 6, cap. 11 rubr.Come i Fiorentini presono il castello di Pogna.
L. 6, cap. 11Negli anni di Cristo MCLXXXIIII, del mese di giugno,
i Fiorentini assediarono il castello di Pogna perché
non volea obedire al Comune di Firenze, e era
molto forte, e guerreggiava la contrada di Valdelsa
infino a la Pesa; ed era di gentili uomini cattani che
si chiamavano i signori di Pogna.
L. 6, cap. 12 rubr.Come Federigo primo imperadore tolse il contado a
la città di Firenze e a più altre città di Toscana.
L. 6, cap. 12Nel detto
anno di Cristo
MCLXXXIIII Federigo primo
imperadore andando di Lombardia in Puglia,
passò per la nostra
città di
Firenze
a dì
XXXI di luglio
del detto
anno, e in quella soggiornato alquanti dì, e
fattagli querimonia per gli nobili
del
contado, come
il Comune di
Firenze avea prese per forza e occupate
molte loro castella e fortezze contra l'onore dello
'mperio, sì tolse
al Comune di
Firenze tutto il
contado
e la signoria di quello infino alle
mura, e per lo
contado facea stare per le villate suoi vicarii che rendeano
ragione e faceano giustizia; e simile fece
a tutte
l'altre
città di
Toscana ch'aveano tenuta la parte
della Chiesa quando egli ebbe la
guerra con papa
Allessandro,
salvo che non tolse il
contado né alla
città
di
Pisa né
a quella di Pistoia che tennero co· llui. E in
questo
anno il detto
Federigo assediò la
città di Siena,
ma no· ll'ebbe. E queste
novitadi fece alle dette
città di
Toscana, imperciò che nonn erano state di
sua parte, sì che, con tutto che s'era
pacificato
colla
Chiesa e venuto
a la misericordia
del detto papa, come
adietro è fatta menzione, non lasciò di partorire
il suo male volere contro alle
città ch'aveano ubbidita
a la Chiesa; e così stette la
città di
Firenze sanza
contado
IIII anni, infino che 'l detto
Federigo andòe
al passaggio d'oltremare ove annegò, come addietro
facemmo menzione.
L. 6, cap. 13 rubr.
Come i Fiorentini si crociaro e andarono oltremare
al conquisto di Dammiata, e però ne liberò il contado
loro.
L. 6, cap. 13Negli anni di Cristo MCLXXXVIII, essendo commossa
quasi tutta la Cristianità per andare al soccorso
della Terrasanta, vegnendo in Firenze l'arcivescovo
di Ravenna legato del papa a predicare la croce
per lo detto passaggio, molta buona gente di Firenze
presono la croce dal detto arcivescovo a San Donato
tra le Torri, overo a San Donato a Torri di là da Rifredi,
overo il munistero delle Donne, però che 'l
detto arcivescovo era dell'ordine di Cestella; e ciò fu
a dì II del mese di febbraio del detto anno. E furono
sì grande quantità i Fiorentini, che feciono oste oltremare
per loro, e furono al conquisto della città di
Dammiata, e de' primi che presono la terra, e per insegna
ne recarono uno stendale vermiglio che ancora
è nella chiesa di San Giovanni, e per la detta devozione
e susidio fatto per gli Fiorentini per santa
Chiesa e per la Cristianità dal papa Gregorio e dallo
imperadore Federigo detto fu renduta la giurisdizione
del contado a la città di Firenze, di lungi a la città
di Firenze X miglia.
L. 6, cap. 14 rubr.Come i Fiorentini ebbono il braccio del beato appostolo
santo Filippo.
L. 6, cap. 14Nel tempo che regnava in
Gostantinopoli lo 'mperadore
Manuello,
cristianissimo e obbediente
a santa
Chiesa, si maritò una sua nipote figliuola
del fratello,
la quale avea nome Isabella,
al re di Gerusalem e di
Cipri, e
dielle intra gli altri
doni e gioelli in sua
dote
l'orlique
del beato
Filippo appostolo. Avenne che
uno messere monaco di
Firenze era
cancelliere
del
patriarca di Ierusalem, e poi fu per sua bontà fatto
arcivescovo d'
Acri
al tempo che il soldano Saladino
prese la
città di Ierusalem; ma poi ripresa la Terrasanta
per gli Cristiani, il detto arcivescovo tornò oltremare,
e fu fatto per lo papa patriarca di Ierusalem.
E sappiendo come la detta Isabella reina di Ierusalem
avea la detta santa reliquia, disiderando d'averla
per onorare la sua
città di
Firenze, la domandò
a la detta reina,
assegnandole come nonn era lecito
a
donna che fosse
al secolo sì santa reliquia tenere infra
le sue gioie
mondane, ma si
convenia che fosse in
parte ove fosse venerata
a Dio; per la qual cosa la detta reina la
donò
al detto patriarca. E ciò sappiendo
il vescovo di
Firenze, ch'avea nome messere Piero,
ne scrisse più
lettere
al detto patriarca cittadino
di
Firenze, che gli piacesse di mandare la detta santa
reliquia in
Firenze. Avvenne che 'l detto patriarca
amalòe
a
morte, e commise
a uno messere Rinieri di
Firenze priore
del Sepolcro e suo cappellano che 'l
detto braccio mandasse
a
Firenze; ma il
capitolo de'
calonaci di Ierusalem
nol voleva lasciare portare.
A
la fine il sopradetto vescovo di
Firenze mandòe oltremare
per lo detto braccio uno messere
Gualterotto
calonaco di
Firenze, il quale con molta istanzia e
studio adoperò tanto col detto priore
del Sepolcro,
ch'egli ebbe il detto santo braccio, e recollo in
Firenze
l'
anno di Cristo
MCLXXXX, essendo rettore di
Firenze
il
conte
Ridolfo da Capraia;
al quale per lo vescovo
di
Firenze con tutto il
chericato, e col detto
rettore con tutto il popolo, uomini e femmine, andarono
incontro
a processione incontro
al detto braccio,
e con grande solennità recato fu in
Firenze, e
messo nell'altare di Santo Giovanni Batista, il quale
fece molti e aperti miracoli in più cittadini di
Firenze,
i quali
a la sua venuta ebbono fede e
devozione.
L. 6, cap. 15 rubr.Come il papa pacificò i Pisani e' Genovesi per fornire
il passaggio d'oltremare.
L. 6, cap. 15Nel detto
anno
MCLXXXVIII, per cagione
del detto
passaggio, il detto papa Gregorio, essendone molto
sollecito, venne in
Pisa e per acconcio
del detto passaggio
pacificòe i Pisani co' Genovesi, ch'aveano
avuto gran
guerra insieme per l'isola di Sardigna; e
in
Pisa morì il detto papa in questo
anno, e poco vivette
papa. E da papa
Allessandro detto adietro insino
a questo Gregorio fue papa
Lucio di
Toscana, e
sedette papa da
IIII anni, ma poco fece
al suo tempo;
e poi fu papa
Urbano di Lombardia che fue papa da
due
anni. E questo
Urbano cominciò in Italia l'ordine
di questo passaggio, e papa Gregorio il
seguì
mentre che vivette papa, che fu poco più d'uno
anno;
ma poi papa Clemente di
Roma il mise
a
seguizione,
e partissi il detto passaggio d'Italia
del mese di
febbraio
MCLXXXVIIII. Lasceremo alquanto de' papa
che furono, e de' nostri fatti di
Firenze, e diremo
d'
Arrigo di Soavia figliuolo
del sopradetto
Federigo,
e le
novità che furono
al suo tempo.
L. 6, cap. 16 rubr.Come Arrigo di Soavia fu fatto imperadore per la
Chiesa, e datagli per moglie Gostanza reina di Cicilia.
L. 6, cap. 16
Arrigo di Soavia figliuolo che fu
del grande
Federigo,
come dicemmo dinanzi, vivendo il padre il fece
eleggere re de' Romani; ma, tornato
Arrigo d'oltremare,
e riformato in Alamagna la sua signoria, sì passò
in Italia, e venne
a
Roma
a richiesta
del papa Clemente,
e da' Romani fu ricevuto onorevolmente, imperciò
ch'egli
concedette loro la
città di Toscolano e
il suo
contado, ch'erano stati ribelli de' Romani, la
quale
città da' Romani fu tutta
disfatta e abbattuta, e
mai poi non si rifece. E vegnendo
a
Roma il detto
Arrigo, trovò morto il detto papa Clemente che per
lui avea mandato, e eletto papa
Cilestino, nato di
Roma,
per li cardinali,
al quale il detto
Arrigo si fue
a la
sua
consecrazione, la quale fu il dì di
Pasqua di
Risoresso
d'
aprile, gli
anni di Cristo
MCLXXXXII; e vivette
papa
anni
VI, e mesi
VIII, e dì
XI. E fatto papa Celestino,
il secondo
dìe della sua
consecrazione coronò
il detto
Arrigo imperadore. E in prima che 'l detto
Arrigo si partisse da la Magna, avendo la Chiesa
discordia
con
Tancredi re di Cicilia e di Puglia, figliuolo
che fu dell'altro
Tancredi nipote per femmina di
Ruberto
Guiscardo, siccome nel
capitolo ove trattammo
del detto Ruberto facemmo menzione, per
cagione ch'egli, siccome
dovea, fedelmente non rispondea
del censo
a la Chiesa, e
promutava vescovi e
arcivescovi
a sua volontà, in vergogna
del papa e della
Chiesa, il detto papa Clemente trattò
coll'arcivescovo
di
Palermo di torre il regno di Cicilia e di Puglia
al detto
Tancredi, e fece ordinare
al detto arcivescovo
che
Gostanza
serocchia che fu
del re
Guiglielmo,
e diritta
ereda
del reame di Cicilia, la quale era
monaca in
Palermo, siccome adietro facemmo menzione,
e era già d'età di più di
L anni, sì lla fece uscire
dal munistero, e dispensò in lei ch'ella potesse essere
al secolo e usare matrimonio; e di
nascoso il detto
arcivescovo fattala partire di
Cicilla e venire
a
Roma,
la Chiesa la fece dare per moglie
al detto
Arrigo imperadore,
onde poco appresso nacque
Federigo secondo
imperadore, che fece tante persecuzioni
a la
Chiesa, come innanzi nel suo trattato diremo. E non
sanza cagione e giudicio di Dio
dovea
riuscire sì fatto
ereda, essendo nato di monaca sacra, e in età di lei
di più di
LII anni, ch'è quasi impossibile
a natura di
femmina
a portare figliuolo, sicché nacque di
due
contrarii, allo spirituale, e quasi contra ragione
al
temporale. E troviamo quando la 'mperadrice
Gostanza
era grossa di
Federigo, s'avea sospetto in Cicilia
e per tutto il reame di Puglia che per la sua grande
etade potesse essere grossa; per la qual cosa
quando venne
a partorire fece tendere uno padiglione
in su la piazza di
Palermo, e mandare
bando che
qual donna volesse v'andasse
a
vederla, e molte ve
n'andarono e vidono, e però cessò il sospetto.
L. 6, cap. 17 rubr.Come lo 'mperadore Arrigo conquistò il regno di
Puglia.
L. 6, cap. 17Come il detto
Arrigo fu
coronato imperadore, e
isposata
Gostanza imperadrice, onde ebbe in
dota il
reame di Cicilia e di Puglia con
consentimento
del
papa e della Chiesa, e rendendone il censo usato, e
già nato
Federigo suo figliuolo, incontanente con sua
oste e
colla moglie n'andòe nel Regno, e vinse tutto il
paese infino
a la
città di Napoli, ma que' di Napoli
non si vollono
arrendere, onde
Arrigo vi puose l'assedio,
e stettevi tre mesi. E nella detta oste fue tanta
pestilenzia d'infermità e di mortalità, che 'l detto
Arrigo
e la moglie v'infermaro, e della sua gente vi morì
la maggiore parte; onde per necessità si levò dal detto
assedio con pochi quasi inn isconfitta, e infermo
tornò
a
Roma, e la 'mperadrice
Gostanza per malatia
presa ne l'oste poco appresso si morìo, e lasciò
Federigo
suo figliuolo
piccolino in guardia e in
tutela di
santa Chiesa. Poi il detto
Arrigo imperadore fatta venire
nuova gente da la Magna e riformato suo stato,
un'altra volta passò nel Regno con grande oste gli
anni di Cristo
MCLXXXXVI. Il quale regno di Puglia e
reame di Cicilia signoreggiava
Guiglielmo il giovane,
figliuolo ch'era stato di
Tancredi re, e era giovane di
tempo e di senno, il quale ingannato dal detto
Arrigo,
sotto trattato di pace, il fece prendere con tre sue
serocchie, e
mandollo in pregione in Alamagna; e 'l
detto
Guiglielmo fece accecare degli occhi e castrare,
acciò che mai non potesse generare figliuoli, e in
pregione vilmente finì sua vita; ma le
serocchie, morto
Arrigo, da
Filippo suo fratello furono
dilibere di
pregione per lo modo che addietro di loro facemmo
menzione nella fine
del
legnaggio di Ruberto
Guiscardo.
L. 6, cap. 18 rubr.Come Arrigo imperadore si ribellò da la Chiesa e
funne persecutore, e com'egli morìo.
L. 6, cap. 18
Dapoi che
Arrigo fece prendere il detto re
Guiglielmo,
il reame ebbe sanza gran contasto, e tutti
quegli che gli erano stati incontro uccise e disperse
crudelmente; e quand'elli fu
al tutto signore
del reame,
sì
seguì l'orme
del padre d'essere ingrato
a santa
Chiesa, e non solamente ingrato, ma persecutore,
che più vescovi e arcivescovi e altri prelati fece nel
suo regno morire, occupando le chiese e
mettendovi
cui
a llui piaceva, e non rispondendo
del censo alla
Chiesa. Per la qual cosa papa
Innocenzo terzo, il
quale fu di Campagna e succedette
a Celestino, scomunicò
il detto
Arrigo e' suoi seguaci. E lui regnato
nello imperio
VIII anni, morì scomunicato nella
città
di
Palermo gli
anni di Cristo
MCC, e di lui rimase
Federigo
piccolo fanciullo, come detto è dinanzi, il
quale dalla Chiesa, siccome sua madre e buona
tutrice,
il detto
pupillo fu guardo e conservo il suo regno,
non guardando
al misfatto
del padre.
L. 6, cap. 19 rubr.Come Otto IIII di Sassogna fue eletto imperadore.
L. 6, cap. 19Morto
Arrigo imperadore, contasto grande fu intra
gli
elettori d'Alamagna d'
eleggere re de' Romani;
e partiti tra lloro, feciono
due lezioni. L'una parte
elesse
Filippo
duca di Soavia fratello
del detto
Arrigo,
e l'altra parte
elessono
Otto di
Sassogna; ma
Filippo
vincea per aiuto e forza de' baroni d'Alamagna
a essere re de' Romani. Ma il sopradetto papa
Innocenzo
favorava
Otto, perché
Filippo non fosse, perch'
era stato fratello d'
Arrigo ch'avea perseguitata la
Chiesa. E in questo contasto, per frode dell'antigrado,
il detto
Filippo fu morto, e fue con favore della
Chiesa
confermato il detto
Otto
a re de' Romani
l'
anno
MCCIII. E credendo la Chiesa avere migliorato
stato per fare imperadore il detto
Otto, troppo lo
peggiorò; che se
Arrigo fu contra la Chiesa reo, questo
Otto fue pessimo, siccome innanzi nel tempo che
regnò faremo menzione. Lasceremo
a ddire alquanto
d'
Otto imperadore infino che sarà tempo, e torneremo
a ddire de' fatti di
Firenze, e dell'altre
novità dell'
universo
mondo che furono
al tempo d'
Arrigo, toccando
in brieve di cose notabili: e da qui innanzi ne
tratteremo
al generale, imperciò che cci
pare di nicessità
in gran parte, che per le diverse parti che nacquono
in Italia per le
discordie dalla Chiesa
agl'imperadori,
quasi tutto il
mondo ne fu poi commosso e
contaminato, e l'una
novità
risurse
del rimbalzo dell'
altra. E perché la nostra
città di
Firenze venne
crescendo
di
fama e d'essere e di
potenza, quasi le più
delle notabili
novità de' Cristiani in alcuna parte si
riferiscono
a' nostri fatti di
Firenze.
L. 6, cap. 20 rubr.Come iscurò tutto il corpo del sole.
L. 6, cap. 20Negli anni di Cristo MCLXXXXII, a dì XXII di giugno,
iscurò tutto il corpo del sole, e durò d'alquanto
dopo terza infino a la nona; la qual cosa secondo il
detto de' savi astrolagi è segno di grandi novitadi future
tra' Cristiani.
L. 6, cap. 21 rubr.Come i Samminiatesi disfecero la loro terra per discordia.
L. 6, cap. 21Negli anni di Cristo MCLXXXXVII i terrazzani del
castello di Samminiato del Tedesco per loro discordie
si disfeciono la detta loro terra, e tornaro ad abitare
al piano a piede di Samminiato nel borgo detto
San Giniegio e in quello di Santa Gonda per essere
più a l'agio del piano e dell'acqua, e presso del fiume
d'Arno e di quello d'Elsa, credendosi ivi fare una
grande cittade, ma il loro intendimento tosto venne
vano.
L. 6, cap. 22 rubr.
Come i Fiorentini comperarono Montegrossoli.
L. 6, cap. 22Nel detto anno i Fiorentini comperaro il castello
di Montegrossoli in Chianti da certi cattani cui era,
che lungamente aveano fatta guerra a' Fiorentini, e
andatavi più volte l'oste de' Fiorentini, come addietro
è fatta menzione. E in questo medesimo anno fue
generale pace in tutta Italia; e allora era consolo in
Firenze Compagno degli Arrigucci.
L. 6, cap. 23 rubr.Come fu fatto papa Innocenzo terzo.
L. 6, cap. 23Negli anni di Cristo MCLXXXXVIII fu fatto papa Innocenzo
terzo nato di Campagna, e regnò papa più
di XVII anni, e fu savio e valente uomo in iscienzia di
scrittura, e savio naturale di costumi; e al suo tempo
furono molte cose, come innanzi farà menzione.
Questi fu quegli che iscomunicò lo 'mperadore Arrigo,
e fece fare Otto di Sassogna imperadore.
L. 6, cap. 24 rubr.Come si comincio l'ordine de' frati minori.
L. 6, cap. 24
Al tempo
del detto papa
Innocenzo si cominciò la
santa ordine de' frati minori, onde fu cominciatore il
beato Francesco nato della
città d'Ascesi nel
ducato,
e per questo
papa fu accettata e approvata la detta
ordine con privilegio, imperciò che tutta fu fondata
in umilità, e carità, e
povertà, seguendo in tutto il
santo Vangelio di Cristo, e schifando ogni delizia
umana. E 'l detto
papa in visione vide santo Francesco
sostenere sopra i suoi omeri la chiesa di Laterano,
sì come poi per simile modo vide di santo
Domenico;
la quale visione fue figura e
profezia come per
loro si
dovea sostenere santa Chiesa e la fede di Cristo.
L. 6, cap. 25 rubr.Come si cominciò l'ordine de' frati predicatori.
L. 6, cap. 25E
al tempo ancora
del detto
papa,
similemente si
cominciò l'ordine de' frati predicatori, onde fu cominciatore
il beato
Domenico nato di Spagna, ma
al
suo tempo no· lla
confermò, con tutto che in
avisione
avvenne
al detto
papa che la chiesa di Laterano gli
cadea adosso, e 'l beato
Domenico la
sostenea in su
le sue spalle. E per questa visione era
disposto di
confermarla, ma
sopravennegli la
morte, e il suo successore
appresso
papa Onorio la
confermò, gli
anni
di Cristo
MCCXVI. E
vere furono le visioni
del sopradetto
Innocenzo di santo Francesco e di santo
Domenico,
che lla Chiesa di Dio cadea per molti errori
e per molti
dissoluti peccati, non temendo Iddio; e 'l
detto beato
Domenico per la sua santa scienza e predicazione
gli
corresse, e fune il primo
stirpatore degli
eretichi; e 'l beato Francesco per la sua umilità e vita
appostolica e di penitenzia
corresse la vita
lascibile, e
ridusse i Cristiani
a penitenzia e
a vita di salute. E
veramente la Sibilla
Irtea, seguendo questi tempi,
profetizzò di queste
due sante ordini, dicendo che
due stelle
orierebbono in
alluminando il
mondo.
L. 6, cap. 26 rubr.Come i Fiorentini disfecioro il castello di Frondigliano.
L. 6, cap. 26Negli anni di Cristo MCLXXXXVIIII, essendo consoli
della città di Firenze conte Arrighi della Tosa e'
suoi compagni, i Fiorentini assediaro il castello di
Frondigliano, che s'era rubellato e facea guerra al
Comune di Firenze, e presollo e disfeciollo infino alle
fondamenta, e mai non si rifece. E nel detto anno i
Fiorentini puosono oste a Simifonti, il quale era molto
forte, e non ubbidia alla città.
L. 6, cap. 27 rubr.Come i Samminiatesi disfeciono San Giniegio, e
tornarono ad abitare al poggio.
L. 6, cap. 27Negli anni di Cristo MCC i Samminiatesi disfeciono
il borgo a San Giniegio ch'era nel piano di Samminiato,
ed era molto ricco e bene abitato; e per più
fortezza si tornaro ad abitare al poggio; e rifare il castello
di Samminiato il quale aveano disfatto poco
tempo dinanzi, sicché in corto tempo feciono due
follie.
L. 6, cap. 28 rubr.
Come i Franceschi e' Viniziani presono Gostantinopoli.
L. 6, cap. 28Nel detto anno MCC molti baroni franceschi ch'erano
mossi per andare oltremare al soccorso della
Terrasanta, con navilio de' Viniziani e 'l marchese di
Monferrato e più altri baroni d'Italia, sì s'accordaro,
trovandosi quasi in sul verno infra l'isole d'Arcipelago
in Grecia, di guerreggiare i Greci infino alla primavera,
imperciò che per loro frode e malizie aveano
per più volte fatto grande danno e impedimento a'
Latini, che per loro paese andavano al passaggio
d'oltremare. E così assaliro la nobile città di Gostantinopoli
per mare e per terra, e per forza la presono,
e Baldovino conte di Fiandra per universale accordo
di tutti i baroni e de' Viniziani, per la sua bontà, senno,
e valore, ne fu coronato imperadore. Ma poco
duròe il detto imperio, che fu sconfitto e morto da'
Cumani. E chi queste storie vorrà più pienamente
trovare legga il libro del conquisto d'oltremare, ove
sono distesamente. E per questo conquisto ritengono
i Viniziani il titolo di parte del detto imperio.
L. 6, cap. 29 rubr.Come i Tartari scesono le montagne di Gog e Magog.
L. 6, cap. 29Negli
anni di Cristo
MCCII la gente che si chiamano
i Tartari usciro dalle montagne di
Gog e Magog,
chiamate in
latino Monti di
Belgen; i quali si dice
che furono
stratti di quegli tribi d'Isdrael che il grande
Allessandro re di
Grecia, che conquistò tutto il
mondo, per loro brutta vita gli
rinchiuse in quelle
montagne, acciò che non si
mischiassono con altre
nazioni, e ivi per viltà di loro e vano intendimento, vi
stettono rinchiusi da
Allessandro infino
a questo
tempo,
credendosi che l'oste d'
Allessandro sempre
vi fosse; imperciò ch'egli per
maestrevole artificio sopra
i monti
ordinò trombe grandissime sì
dificiate,
che
ad ogni vento
trombavano con grande suono.
Ma poi si dice che per gufi che nelle bocche di quelle
trombe feciono
nidio, e
stopparono i detti artificii
per modo che rimase il detto suono, e per questa cagione
hanno i gufi in grande reverenzia, e per leggiadria
portano i grandi signori di loro le penne
del gufo
in capo, per memoria che
stopparo le trombe e artificii
detti. Per la qual cosa il detto popolo, il quale
come
a guisa di bestie viveano, e erano
multiplicati
in innumerabile
numero, sì si cominciarono
a
sicurare,
e certi di loro
a passare i detti monti; e trovando
come sopra le montagne non avea gente, se none il
vano inganno delle trombe turate, scesono
al piano e
al paese d'
India ch'era fruttifero, e ubertoso, e
dolce;
e tornando e rapportando
al loro popolo e genti le
dette
novelle, allora si congregaro insieme, e feciono
per divina visione loro imperadore e signore uno
fabbro di povero stato, il quale avea nome
Cangius,
il quale in su un povero
feltro fu levato imperadore;
e come fu fatto signore, fu chiamato il sopranome
Cane, cioè in loro lingua imperadore. Questi fu molto
valoroso e savio, e per suo senno e valentia uscì
con tutto quello popolo de le dette montagne, e ordinogli
a
decine e
a centinaia e
a migliaia, con capitani
acconci
a combattere; e per essere più obbedito,
prima
a' maggiori di sua gente fece per suo
comandamento
uccidere
a
ciascuno il suo figliuolo primogenito
di loro mano; e quando si vide così obbedito,
e dato suo ordine
a la sua gente,
entrò in
India, e
vinse il
Presto Giovanni, e sottomisesi tutto il paese.
E ebbe più figliuoli, che appresso lui feciono di
grandi
conquisti, e quasi di tutta la parte d'Asia i populi
e li re si misono sotto loro signoria, e parte
d'
Europia inverso
Cumania, e Alania, e
Bracchia infino
al
Danubio. E' discendenti de' figliuoli
del detto
Cangius Cane sono oggi signori
intra' Tartari. Questi
non hanno ordinata legge, che chi è stato di loro Cristiano,
e chi Saracino, ma i più pagani idolatri. Avemo
raccontato di loro
nascimento e
movimento, imperciò
che in così piccolo tempo mai gente non fece
sì gran conquisto, né nullo popolo né
setta nonn ha
tanta signoria, podere, e ricchezza. E chi delle loro
geste vorrà meglio sapere
cerchi il
libro di frate
Aiton,
signore
del
Colco d'
Erminia, il quale fece
ad
istanza di
papa
Chimento quinto, e ancora il
libro
detto
Milione, che fece messere Marco Polo di Vinegia,
il quale
conta molto di loro podere e signoria,
imperciò che lungo tempo fu tra lloro. Lasceremo
de' Tartari, e torneremo
a nostra materia de' fatti di
Firenze.
L. 6, cap. 30 rubr.Come i Fiorentini disfecero il castello di Simifonti e
quello di Combiata.
L. 6, cap. 30Negli anni di Cristo MCCII, essendo consolo in Firenze
Aldobrandino Barucci da Santa Maria Maggiore,
che furono molto antichi uomini, co la sua compagnia
i Fiorentini ebbono il castello di Simifonti, e
feciollo disfare, e il poggio apropiare al Comune, però
che lungamente avea fatta guerra a' Fiorentini. E
ebbollo i Fiorentini per tradimento per uno da San
Donato in Poci, il quale diede una torre, e volle per
questa cagione egli e' suoi discendenti fossono franchi
in Firenze d'ogni incarico, e così fu fatto, con
tutto che prima nella detta torre, combattendola, fu
morto da' terrazzani il detto traditore. E nel detto
anno i Fiorentini andarono ad oste al castello di
Combiata, ch'era molto forte in sul capo del fiume
della Marina verso il Mugello, il quale era de' cattani
della contrada che non voleano obbedire il Comune
e facevano guerra; e disfatti i detti castelli, feciono
dicreto che mai non si dovessono rifare.
L. 6, cap. 31 rubr.
Disfacimento di Montelupo, e come i Fiorentini ebbono
Montemurlo.
L. 6, cap. 31Negli anni di Cristo MCCIII, essendo consolo in Firenze
Brunellino Brunelli de' Razzanti e suoi compagni,
i Fiorentini disfeciono il castello di Montelupo
perché non volea ubidire al Comune. E in questo anno
medesimo i Pistolesi tolsono il castello di Montemurlo
a' conti Guidi; ma poco appresso, il settembre,
v'andarono ad oste i Fiorentini in servigio de'
conti Guidi, e riebborlo, e renderlo a' conti Guidi. E
poi nel MCCVII i Fiorentini feciono fare pace tra' Pistolesi
e' conti Guidi; ma poi non possendo bene difendere
i conti da' Pistolesi Montemurlo, però ch'era
loro troppo vicino, e aveanvi fatto appetto il castello
del Montale, sì 'l vendero i conti Guidi al Comune di
Firenze libbre Vm di fiorini piccioli, che sarebbono
oggi Vm fiorini d'oro; e ciò fu gli anni di Cristo
MCCVIIII. Ma i conti da Porciano mai non vollono
dare parola per la loro parte a la vendita.
L. 6, cap. 32 rubr.
Come i Fiorentini elessono di prima podestade.
L. 6, cap. 32Negli
anni di Cristo
MCCVII i Fiorentini ebbono di
prima signoria forestiera, che infino allora s'era
retta
la
città sotto signoria de' consoli cittadini, de' maggiori
e migliori della
città, con
consiglio
del senato,
cioè di
cento buoni uomini; e quelli consoli
al modo
di
Roma tutto guidavano, e governavano la
città, e
rendeano ragione, e facevano giustizia: e
durava il loro
officio uno
anno. E erano
quattro consoli mentre
che lla
città fu
a quartieri, per
ciascuna porta uno; e
poi furono
VI quando la
città si partì
a
sesti. Ma gli
antichi nostri non faceano menzione de' nomi di tutti,
ma dell'uno di loro di maggiore stato e
fama, dicendo:
al tempo di cotale
consolo e de' suoi compagni.
Ma poi
cresciuta la
città e di genti e di vizii, e faceansi
più
malifici, sì s'accordaro per meglio
del Comune,
acciò che i cittadini nonn avessono sì fatto
incarico
di signoria, né per
prieghi, né per tema, o per
diservigio, o per altra cagione non mancasse la giustizia,
sì ordinaro di chiamare uno
gentile uomo d'altra
città, che fosse loro podestà per uno
anno, e rendesse
le
ragioni civili con suoi
collaterali e giudici, e
facesse l'
esecuzione delle
condannagioni e giustizie
corporali. E 'l primo che fu podestà in
Firenze fu nel
detto
anno
Gualfredotto da Milano, e abitò
al vescovado,
imperciò che ancora non ave' in
Firenze palazzo
di Comune. E però non rimase la signoria de'
consoli, ritegnendo
a lloro l'aministragione d'ogn'altra
cosa
del Comune. E per la detta signoria si resse
la
cittade infino
al tempo che ssi fece il primo popolo
in
Firenze, come innanzi faremo menzione; e allora
si
criò l'officio degli anziani.
L. 6, cap. 33 rubr.Come i Fiorentini sconfissono i Sanesi a Monte
Alto.
L. 6, cap. 33Nel detto anno, a la signoria di Gualfredotto di
Milano il primo anno, i Fiorentini ricominciaro guerra
co Sanesi, però che' Sanesi aveano ricominciata
guerra a Montepulciano e Monte Alcino contra i
patti della pace; per la qual cosa i Fiorentini andarono
a oste in su quello di Siena al castello di Montalto.
I Sanesi per soccorrere il detto castello combattero
co' Fiorentini, e furono sconfitti, e molti morti; e
presi ne vennero in Firenze MCCC Sanesi; e' Fiorentini
ebbono il detto Montalto e disfeciollo.
L. 6, cap. 34 rubr.Come i Sanesi richiesono di pace i Fiorentini ed ebbolla.
L. 6, cap. 34Apresso, l'
anno
MCCVIII, il secondo
anno della signoria
del detto
Gualfredotto, essendo rifermato, i
Fiorentini feciono oste sopra i Sanesi, e disfeciono
Rugomagno loro castello, e andarono infino
a
Rapolano
nel
contado di Siena,
menandone grande preda
e molti pregioni; ma poi l'
anno nel
MCCX i Sanesi
non potendo più durare la
guerra co' Fiorentini, e
per riavere i loro pregioni, richiesono pace
a' Fiorentini,
e
quetarono Montepulciano e Monte Alcino e
tutte le castella che' Fiorentini aveano prese sopra
loro. E in quello tempo era
consolo in
Firenze
messer
Catalano della Tosa e sua compagnia. Lasceremo
alquanto
a dire de' fatti di
Firenze, e diremo d'
Otto
il quarto di
Sassogna imperadore, e quello che fece
al suo tempo.
L. 6, cap. 35 rubr.Come Otto quarto fu coronato imperadore, e come
si fece nimico e persecutore di santa Chiesa.
L. 6, cap. 35
Otto quarto di
Sassogna fue eletto re de' Romani,
per lo modo detto addietro, quando fu eletto
Filippo
di Soavia, il quale fu morto. Ma questo
Otto,
a petizione
e
studio di
papa
Innocenzio terzo, fu
confermato
re de' Romani l'
anno di Cristo
MCCIII, ma però
non venne incontanente
a
Roma per molta
guerra li
surse in Alamagna, sì che Italia stette sanza imperio
da
XII anni; ma tratte
a fine
Otto le guerre d'Alamagna,
passò in Italia, e dal sopradetto
papa
Innocenzo
fu
coronato l'
anno di Cristo
MCCX. Ma incontanente
ch'ebbe la corona dello 'mperio, ove la Chiesa e 'l
detto
papa si
credeano fosse amico e difenditore, si
fece nemico e persecutore, e
a' Romani incominciò
incontanente
guerra, e contra volontà
del detto
papa
e della Chiesa passò in Puglia, e prese gran parte
del
Regno, il quale la Chiesa guardava siccome
tutrice e
madre di
Federigo il giovane, figliuolo che fu dello
'mperadore
Arrigo di Soavia e di
Gostanza imperadrice.
Per la qual cosa il detto
papa scomunicò il
detto
Otto e
dispuose dello imperio in uno grande
concilio che fece in
Roma, e mandò in Alamagna per
lo giovane
Federigo, e
colla forza della Chiesa
raquistò
il Regno e Cicilia. E 'l detto
Otto si tornò in Alamagna,
e di là per contradio della Chiesa fece lega e
congiura col
conte
Ferrante di
Fiandra, e con quello
di
Bari e di Bologna, e più altri baroni di
Francia, i
quali s'erano rubellati
al re
Filippo il Bornio re di
Francia. E essendo il detto re acampato contra il detto
imperadore e gli altri signori, quasi tutti i suoi baroni
il voleano
abandonare; per la qual cosa fece uno
altare nel campo, e trassesi la corona in presenza de'
suoi baroni e
puoselavi suso, e disse: «
Donatela
a
chi è più degno di me, e io l'
obbedirò volentieri». I
baroni vedendo la sua umilità, si rivolsono e
promisogli
d'essere leali e fedeli
a la battaglia. Il quale re
Filippo avendo con seco riconciliati i suoi baroni, col
detto
Otto imperadore, e
Ferrante
conte di
Fiandra,
e gli altri rubelli, battaglia di campo fece
al ponte
a
Bovino
a'
confini di
Fiandra, là
dove ebbe molta
gente francesca e tedesca morta.
A la fine il detto
buono re
Filippo per la grazia di Dio ebbe vittoria, e
però che si ritenne in una schiera con
Vc cavalieri
vecchi e indurati in battaglie e
tornianti, de' quali
parte di loro non intesono se non
a rompere le schiere
co'
destrieri, sanza fedire
colpi, e così ruppono i
Tedeschi; e prese il detto
conte
Ferrante di
Fiandra,
e
tolsegli Artese e
Vermandois; e
Otto imperadore
a
gran
periglio e vergogna fuggì con
poca di sua gente
del campo, e grande
danno ricevette di sua gente; e
ciò fu gli
anni di Cristo
MCCXIIII. E il dì medesimo
essendo il giovane
Luis figliuolo
del detto re
Filippo
a oste in
Paico, battaglia ebbe col re
Arrigo d'Inghilterra
e' suoi
allegati che da l'altra parte venieno sopra
il re di
Francia, e lui vinse e sconfisse. E in quello
giorno medesimo essendo il
conte di Barzellona e
di Valenza, onde furono poi i suoi discendenti re
d'
Aragona,
ad assedio de la
città di Carcasciona che
vi
cosava ragione, la quale tenea il detto re di
Francia
e eravi dentro il
conte di
Monforte con buona gente,
il quale uscì fuori vigorosamente, e assalì improviso e
sconfisse l'oste de' Catalani, e fu preso il
conte di
Barzellona, e per gli Franceschi tagliatagli la testa.
Per le quali tre sì grandi e bene
aventurose vittorie
molto sormontò il re di
Francia, e prese
Paico e la
Roccella e molto acrebbe suo reame.
L. 6, cap. 36 rubr.Come vivendo Otto fu eletto imperadore Federigo
secondo di Soavia a richiesta della Chiesa di Roma.
L. 6, cap. 36Essendo il detto
Otto nimico della Chiesa e
disposto
per
concilio generale dello 'mperio, la Chiesa
ordinò
colli
elettori d'Alamagna ch'egli
elessono
a re
de' Romani
Federigo il giovane re di Cicilia, il quale
era in Alamagna, e contra il detto
Otto ebbe grande
vittoria. E poi il detto
Otto tornato
a coscienza, andòe
al passaggio di
Dammiata oltremare, e di là morìo,
e rimase
Federigo
colla elezione. E poi
al tempo
d'Onorio terzo papa, che succedette
a
Innocenzo
detto di sopra, il detto
Federigo d'Alamagna venne
a
Vinegia, e poi per
mare nel suo regno di Puglia, e
poi
a
Roma; e dal detto papa Onorio e da' Romani
fu ricevuto
a grande onore, e
coronato imperadore,
come innanzi nel suo trattato faremo menzione. Lasceremo
alquanto dello 'mperadore, e diremo de'
fatti de' Fiorentini che furono infino alla sua coronazione.
L. 6, cap. 37 rubr.Come morì il conte Guido vecchio, e di sua progenia.
L. 6, cap. 37Negli
anni di Cristo
MCCXIII morì il
conte
Guido
vecchio,
del quale rimasono
cinque figliuoli, ma l'uno
morìo e lasciò
reda della sua parte quegli ch'ebbono
Poppi, però che di lui non rimasono figliuoli;
poi de'
quattro figliuoli sono
discesi tutti i
conti
Guidi.
Questo
conte
Guido, la sua progenia si dice che
anticamente furono d'Alamagna grandi baroni, i
quali passarono con
Otto primo imperadore, il quale
diede loro il
contado di
Modigliana in
Romagna, e di
là rimasono; e poi i loro discendenti per loro podere
furono signori quasi di tutta
Romagna, e faceano loro
capo in Ravenna, ma per soperchi ch'egli usarono
a' cittadini di loro donne, e d'altre tirannie,
a romore
di popolo furono cacciati in uno giorno,
corsi, e
morti in Ravenna, che nullo ne campò piccolo o
grande, se none uno picciolino fanciullo ch'avea nome
Guido, il quale era
a
Modigliana
a balìa, il quale
fu
sopranomato
Guido
Besangue per lo
molesto de'
suoi, come nelle storie d'
Otto imperadore adietro facemmo
menzione. Questo
Guido fu padre
del detto
conte
Guido vecchio, onde poi tutti i
conti
Guidi sono
discesi. Questo
conte
Guido vecchio prese per
moglie la figliuola di messere
Bellincione
Berti de'
Ravignani, ch'era il maggiore e 'l più onorato cavaliere
di
Firenze, e le sue case succedettono poi per retaggio
a'
conti, le quali furono
a porta San Piero in
su la porta vecchia. Quella donna ebbe nome
Gualdrada,
e per bellezza e bello parlare di lei la tolse,
veggendola in Santa Reparata
coll'altre donne e
donzelle
di
Firenze. Quando lo 'mperadore
Otto quarto
venne in
Firenze, e veggendo le belle donne della
città
che in Santa Reparata per lui erano raunate, questa
pulcella più piacque allo 'mperadore; e 'l padre
di lei dicendo allo 'mperadore ch'egli avea podere di
fargliele basciare, la
donzella rispuose che già uomo
vivente la
bascerebbe se non fosse suo
marito, per la
quale parola lo 'mperadore molto la commendò; e il
detto
conte
Guido preso d'amore di lei per la sua
avenentezza, e per
consiglio
del detto
Otto imperadore,
la si fece
a moglie, non guardando perch'ella
fosse di più basso lignaggio di lui, né guardando
a
dote; onde tutti i
conti
Guidi sono nati
del detto
conte e della detta donna in questo modo; che, come
dice di sopra, ne rimasono
IIII figliuoli che nne discesono
rede. In primo ebbe nome
Guiglielmo, di cui
nacque il
conte
Guido
Novello e 'l
conte Simone.
Questi furono Ghibellini, ma per
oltraggi che
Guido
Novello fece
al
conte Simone suo fratello per la parte
del suo patrimonio, si fece Guelfo e s'
allegò co'
Guelfi di
Firenze, e di questo Simone nacque il
conte
Guido da Battifolle. L'altro figliuolo ebbe nome
Ruggieri, onde nacquero il
conte
Guido
Guerra e 'l
conte Salvatico; e questi tennero parte guelfa. L'altro
ebbe nome
Guido da
Romena, onde sono
discesi
quegli da
Romena, gli quali sono stati Guelfi e Ghibellini.
L'altro fu il
conte
Tegrimo, onde sono quegli
da Porciano, e sempre furono Ghibellini. Il sopradetto
Otto imperadore privileggiò il detto
conte
Guido della signoria di Casentino. Avemo sì lungo
parlato
del detto
conte
Guido, bene che in altra parte
avessimo trattato
del
cominciamento di suo lignaggio,
però che fue valente uomo, e di lui sono
tutti i
conti
Guidi
discesi, e perché' suoi discendenti
molto si
mischiarono poi de' fatti di
Firenze, come
per gli tempi faremo menzione.
L. 6, cap. 38 rubr.
Come si cominciò parte guelfa e ghibellina in Firenze.
L. 6, cap. 38Negli
anni di Cristo
MCCXV, essendo podestà di
Firenze messere
Gherardo Orlandi, avendo uno
messer
Bondelmonte de'
Bondelmonti nobile cittadino
di
Firenze promesse
a ttorre per moglie una
donzella
di casa gli
Amidei, onorevoli e nobili cittadini; e
poi cavalcando per la
città il detto
messer
Bondelmonte,
ch'era molto leggiadro e bello cavaliere, una
donna di casa i
Donati il chiamò, biasimandolo della
donna ch'egli avea
promessa, come nonn era
bella né
sofficiente
a llui, e dicendo: «Io v'avea guardata
questa mia figliuola»; la quale gli mostrò, e era bellissima;
incontanente per
subsidio diaboli preso di
lei, la
promise e isposò
a moglie. Per la qual cosa i
parenti della prima donna promessa raunati insieme,
e
dogliendosi di ciò che
messer
Bondelmonte aveva
loro fatto di vergogna, sì presono il maladetto isdegno
onde la
città di
Firenze fu guasta e partita; che
di più causati de' nobili si
congiuraro insieme di fare
vergogna
al detto
messer
Bondelmonte per vendetta
di quella ingiuria. E stando tra lloro
a
consiglio in
che modo il
dovessero offendere, o di
batterlo o di
fedirlo, il
Mosca de'
Lamberti disse la
mala parola
«Cosa fatta capo ha», cioè che fosse morto: e così
fu fatto; ché la mattina di
Pasqua di
Risurresso si
raunaro in casa gli
Amidei da Santo Stefano, e vegnendo
d'Oltrarno il detto messere
Bondelmonte vestito
nobilemente di nuovo di roba tutta bianca, e in
su uno
palafreno bianco, giugnendo
a piè
del ponte
Vecchio dal lato di qua, apunto
a piè
del pilastro
ov'era la 'nsegna di Mars, il detto
messer
Bondelmonte
fue atterrato
del cavallo per lo Schiatta degli
Uberti, e per lo
Mosca
Lamberti e
Lambertuccio degli
Amidei assalito e fedito, e per
Oderigo
Fifanti gli
furono segate le vene e tratto
a
ffine; e
ebbevi co· lloro
uno de'
conti da Gangalandi. Per la qual cosa la
città
corse
ad arme e romore. E questa
morte di messere
Bondelmonte fu la cagione e
cominciamento
delle maladette parti guelfa e ghibellina in
Firenze,
con tutto che dinanzi assai erano le
sette tra' nobili
cittadini e le dette parti, per cagione delle brighe e
questioni dalla Chiesa allo 'mperio; ma per la
morte
del detto messere
Bondelmonte tutti i legnaggi de'
nobili e altri cittadini di
Firenze se ne partiro, e chi
tenne co'
Bondelmonti che presono la parte guelfa e
furonne capo, e chi cogli Uberti che furono capo de'
Ghibellini; onde alla nostra
città
seguì molto di male
e ruina, come innanzi farà menzione, e mai non si
crede ch'abbia fine, se Idio
nol termina. E bene mostra
che 'l nemico dell'umana generazione per le
peccata
de' Fiorentini avesse podere nell'idolo di Mars,
che i Fiorentini pagani
anticamente adoravano, ché
a
piè della sua figura si commise sì fatto micidio, onde
tanto male è seguito alla
città di
Firenze. I maladetti
nomi di parte guelfa e ghibellina si dice che ssi
criarono
prima in Alamagna, per cagione che
due grandi
baroni di là aveano
guerra insieme, e aveano
ciascuno
uno forte castello l'uno incontro
all'altro, che l'uno
avea nome Guelfo e l'altro Ghibellino, e
durò
tanto la
guerra, che tutti gli Alamanni se ne partiro, e
l'uno tenea l'una parte, e l'altro l'altra; e eziandio infino
in
corte di
Roma ne venne la questione, e tutta
la
corte ne prese parte, e l'una parte si chiamava
quella di Guelfo, e l'altra quella di Ghibellino: e così
rimasero in Italia i detti nomi.
L. 6, cap. 39 rubr.Delle case e de' nobili che divennero Guelfi e
Ghibellini in Firenze.
L. 6, cap. 39Per la detta divisione questi furono i legnaggi de'
nobili che
a quello tempo furono e divennoro Guelfi
in
Firenze,
contando
a
sesto
a
sesto, e simile i Ghibellini.
Nel
sesto d'Oltrarno furono Guelfi i
Nerli
gentiluomini, tutto fossero prima abitanti in Mercato
vecchio, la casa de'
Giacoppi detti Rossi, non però di
grande progenia d'antichità, e già cominciavano
a venire
possenti i
Frescobaldi, i Bardi, e'
Mozzi, ma di
piccolo
cominciamento; Ghibellini nel
sesto d'Oltrarno,
de' nobili, i
conti da Gangalandi,
Obbriachi,
e' Mannelli. Nel
sesto di San Piero Scheraggio, i nobili
che furono Guelfi, la casa de'
Pulci, i
Gherardini,
i
Foraboschi, i
Bagnesi, i
Guidalotti, i
Sacchetti,
e' Manieri, e quegli da
Quona
consorti di quegli da
Volognano, i
Lucardesi, i
Chiermontesi, e'
Compiobesi,
i Cavalcanti; ma di poco tempo erano
stratti di
mercatanti. Nel detto
sesto furono i Ghibellini la casa
degli Uberti, che ne fu capo di parte, i
Fifanti,
gl'Infangati, e
Amidei, e quegli da
Volognano, e'
Malespini, con tutto che poi per gli
oltraggi degli
Uberti loro vicini eglino e più altri legnaggi di San
Piero Scheraggio si feciono Guelfi. Nel
sesto di Borgo
furono Guelfi la casa de'
Bondelmonti, e furonne
capo, la casa de'
Giandonati, i
Gianfigliazzi, la casa
degli
Scali, la casa de'
Gualterotti, e quella degl'Importuni;
i Ghibellini
del detto
sesto, la casa degli
Scolari, che furono di ceppo
consorti de'
Bondelmonti,
la casa de'
Iudi, quella de' Galli, e'
Cappiardi.
Nel
sesto di San Brancazio furono Guelfi i
Bostichi, i
Tornaquinci, i Vecchietti; i Ghibellini
del detto
sesto
furono i
Lamberti, i Soldanieri, i Cipriani, i Toschi, e
gli
Amieri, e
Palermini, e
Megliorelli, e
Pigli, con
tutto che poi parte di loro si fecioro Guelfi. Nel
sesto
di porte
del
Duomo furono in quegli tempi di
parte guelfa i
Tosinghi, gli
Arrigucci, gli
Agli, i
Sizii;
i Ghibellini
del detto
sesto, i
Barucci, i cattani da
Castiglione e da
Cersino, gli
Agolanti, i
Brunelleschi;
e poi si feciono Guelfi parte di loro. Nel
sesto di
porte San Piero furono de' nobili guelfi gli
Adimari,
i Visdomini, i
Donati, i Pazzi, que' della Bella, gli
Ardinghi, e'
Tedaldi detti que' della Vitella; e già i
Cerchi cominciavano
a ssalire in istato, tutto fossono
mercatanti. I Ghibellini
del detto
sesto, i
Caponsacchi,
i
Lisei, gli Abati, i
Tedaldini, i Giuochi, i
Galigari;
e molte altre schiatte d'orrevoli cittadini e popolani
tennero l'uno
coll'una parte e l'altro
coll'altra, e si
mutaro per gli tempi d'animo e di parte, che sarebbe
troppa lunga matera
a raccontare. E per la detta cagione
si cominciaro di prima le maladette parti in
Firenze;
con tutto che di prima assai
occultamente, pure
era parte tra' cittadini nobili, che chi amava la signoria
della Chiesa e chi quella dello 'mperio, ma
però inn istato e bene
del Comune tutti erano in
concordia.
L. 6, cap. 40 rubr.Come fu presa la città di Dammiata per gli Cristiani,
e poi perduta.
L. 6, cap. 40Nell'
anno
MCCXV papa
Innocenzo celebrò generale
concilio
a
Roma per fare passaggio oltremare
al
soccorso della Terrasanta, e più ordini fece, ma poco
appresso morì. E l'
anno
MCCXVI fu fatto papa Onorio
terzo nato di
Roma, il quale
seguì poi il detto
passaggio, ove andarono molti Romani, e Italiani, e
Fiorentini, e
andovvi d'oltramonti
Otto imperadore,
e più altri baroni d'Alamagna e di
Francia l'
anno
MCCXVIII. E assediaro la
città di
Dammiata in
Egitto
per
due
anni, e dopo grande
danno di mortalità de'
Cristiani, che vi moriro il detto
Otto e molta di sua
gente, e l'
anno appresso ebbono
Dammiata per forza;
e la 'nsegna
del Comune di
Firenze, il campo rosso
e 'l giglio bianco, fu la prima che ssi vide in sulle
mura di
Dammiata, per virtù de' pellegrini fiorentini
che furono de' primi combattendo
a vincere la terra;
e ancora per
ricordanza il detto gonfalone si mostra
per le feste nella chiesa di San Giovanni. E vinta
Dammiata per gli Cristiani, tutti i Saracini vi furono
morti e presi; ma poco la tennero i Cristiani, per
disensione
che avenne
tra· legato
del papa e' signori
franceschi ch'aveno fatto il conquisto, per tale modo
che l'
anno di Cristo
MCCXXI per assedio la rendero i
Cristiani
a' Saracini, riavendo i loro pregioni.
L. 6, cap. 41 rubr.Come i Fiorentini fecero giurare alla città tutti i
contadini e si cominciò il ponte nuovo da la Carraia.
L. 6, cap. 41Negli anni di Cristo MCCXVIII, essendo podestà di
Firenze Otto da Mandella di Milano, i Fiorentini feciono
giurare tutto il contado alla signoria del Comune,
che prima la maggiore parte si tenea a signoria
de' conti Guidi, e di quegli di Mangone, e di quegli
di Capraia, e da Certaldo, e di più cattani che 'l
s'aveano occupato per privilegi, e tali per forza degl'
imperadori. E in questo anno si cominciaro a fondare
le pile del ponte alla Carraia.
L. 6, cap. 42 rubr.
Come i Fiorentini presono Mortennana, e compiési
il ponte nuovo detto dalla Carraia.
L. 6, cap. 42Negli anni di Cristo MCCXX, essendo podestà di
Firenze messer Ugo del Grotto di Pisa, i Fiorentini
andarono a oste sopra uno castello degli Squarcialupi
che ssi chiamava Mortennana, il quale era molto
forte; ma per forza e ingegno si vinse; e quegli che
per suo ingegno l'ebbe fu fatto a perpetuo franco
d'ogni gravezza di Comune, e egli e' suoi discendenti;
e 'l detto castello fu tutto disfatto infino alle fondamenta.
E in questo anno medesimo si compié di
fare il ponte alla Carraia, il quale si chiamava il ponte
Nuovo, però che allora la città di Firenze nonn
avea che due ponti, cioè il ponte Vecchio e questo
detto Nuovo.
L. 7, cap. 1 rubr.
Qui comincia il VII libro: come Federigo secondo
fue consecrato e fatto imperadore, e le grandi novitadi
che furono.
L. 7, cap. 1Negli
anni di Cristo
MCCXX, il dì di santa Cecilia
di novembre, fue
coronato e
consecrato
a
Roma
a
imperadore
Federigo secondo re di Cicilia, figliuolo
che fu dello 'mperadore
Arrigo di Soavia e della imperadrice
Gostanza, per papa Onorio terzo
a grande
onore.
Al
cominciamento questi fu amico della Chiesa,
e bene
dovea esser; tanti benefici e grazie avea
dalla Chiesa ricevute, ché per la Chiesa il padre suo
Arrigo ebbe per moglie
Gostanza reina di
Cicilla, e
in
dote il detto reame e regno di Puglia, e poi morto
il padre, rimanendo
piccolino fanciullo, dalla Chiesa,
come da madre, fu guardato e conservato, e eziandio
difeso il suo reame, e poi
fattolo re de' Romani
eleggere
contro
a
Otto quarto imperadore, e poi
coronato
imperadore, come di sopra è detto. Ma elli figliuolo
d'ingratitudine, non riconoscendo santa
Chiesa come madre, ma come nemica matrigna, in
tutte le cose le fu contrario e perseguitatore, egli e'
suoi figliuoli, quasi più che' suoi anticessori, sì come
innanzi faremo di lui menzione. Questo
Federigo regnò
XXX anni imperadore, e fue uomo di grande affare
e di gran
valore, savio di scrittura e di senno naturale,
universale in tutte cose; seppe la lingua
latina,
e la nostra
volgare, tedesco, e francesco, greco, e saracinesco,
e di tutte virtudi copioso, largo e cortese
in donare,
prode e savio in arme, e fue molto temuto.
E fue dissoluto in lussuria in più guise, e tenea
molte concubine e
mammoluchi
a guisa de' Saracini:
in tutti diletti corporali volle abbondare, e quasi vita
epicuria tenne, non faccendo
conto che mai fosse altra
vita. E questa fu l'una principale cagione perché
venne nemico de'
cherici e di santa Chiesa. E per la
sua avarizia di prendere e d'occupare le
giuridizioni
di santa Chiesa per male
dispenderle, e molti monasteri
e chiese distrusse nel suo regno di Cicilia e di
Puglia, e per tutta Italia, sicché, o colpa de' suoi vizii
e difetti, o de' rettori di santa Chiesa che co· llui non
sapessono o non volessono
praticare, né esser
contenti
ch'elli avessero le
ragioni dello 'mperio, per la
qual cosa sottomise e percosse santa Chiesa; overo
che Idio il
permettesse per giudicio
divino, perché i
rettori della Chiesa furono operatori ch'egli nascesse
della monaca sagra
Gostanza, non
ricordandosi delle
persecuzioni che
Arrigo suo padre e
Federigo suo
avolo aveano fatte
a santa Chiesa. Questi fece molte
notabili cose
al suo tempo, che fece
a tutte le
caporali
città di Cicilia e di Puglia uno forte e ricco castello,
come ancora sono in piede, e fece il castello di
Capovana
in Napoli, e le torri e porta sopra il ponte
del
fiume
del Volturno
a Capova, le quali sono molto
maravigliose, e fece il
parco dell'
uccellagione
al Pantano
di
Foggia in Puglia, e fece il
parco della caccia
presso
a
Gravina e
a
Melfi
a la montagna. Il verno
stava
a
Foggia, e la state
a la montagna
a la caccia
a
diletto. E più altre notabili cose fece fare: il castello
di Prato, e la rocca di Samminiato, e molte altre cose,
come innanzi faremo menzione. E ebbe
due figliuoli
della sua prima donna,
Arrigo e
Currado, che
ciascuno
a sua vita fece l'uno appresso l'altro
eleggere
re de' Romani; e della figliuola
del re Giovanni di
Ierusalem ebbe Giordano re, e d'altre donne ebbe il
re
Federigo, onde sono
discesi il
legnaggio di
coloro
che si chiamano d'Antioccia, il re
Enzo e lo re Manfredi,
che assai furono nimici di santa Chiesa. E alla
sua vita egli e' figliuoli vivettono e signoreggiaro con
molta gloria
mondana, ma alla fine egli e' suoi figliuoli
per gli loro peccati
capitaro e finiro male, ed
ispensesi la sua progenia, sì come innanzi faremo
menzione.
L. 7, cap. 2 rubr.La cagione perché si cominciò la guerra da' Fiorentini
a' Pisani.
L. 7, cap. 2
A la detta coronazione dello 'mperadore
Federigo
si ebbe grande e ricca ambasceria di tutte le
città d'Italia;
e di
Firenze vi fue molta buona gente, e simile
di
Pisa. Avvenne che uno grande signore romano
ch'era cardinale, per fare onore
a' detti ambasciadori,
convitò
a mangiare gli ambasciadori di
Firenze, e
andati
al suo
convito, uno di loro veggendo uno bello
catellino di camera
al detto signore, sì gliele domandò;
e il detto signore disse che mandasse per esso
a sua volontà. Poi il detto cardinale il dì appresso
convitò gli ambasciadori di
Pisa, e per simile modo
uno de' detti ambasciadori invaghì
del detto catellino,
e
domandollo in
dono. Il detto cardinale non
ricordandosi
come l'avea donato
all'ambasciadore di
Firenze, il
promise
a quello di
Pisa. E partiti dal
convito,
l'ambasciadore di
Firenze mandò per lo catellino,
e ebbelo. Poi vi mandò quello di
Pisa, e trovò
come l'aveano avuto gli ambasciadori di
Firenze:
recarlosi
in onta e in
dispetto, non sappiendo com'era
andato il detto
dono
del catellino. E trovandosi per
Roma insieme i detti ambasciadori, richeggendo il
catellino, vennero insieme
a
villane parole, e di parole
si toccaro; onde gli ambasciadori di
Firenze furono
alla prima soperchiati e
villaneggiati dalle persone,
però che cogli ambasciadori pisani avea
L soldati
di
Pisa. Per la qual cosa tutti i Fiorentini ch'erano intorno
alla
corte
del papa e dello 'mperadore, ch'erano
in gran quantità (e ancora ve n'andarono assai di
Firenze per volontà, onde fu capo
messer
Oderigo
de'
Fifanti), s'accordarono e assaliro i detti Pisani
con aspra vendetta. Per la qual cosa scrivendo eglino
a
Pisa come erano stati soperchiati e vergognati da'
Fiorentini, incontanente il Comune di
Pisa fece
arrestare
tutta la roba e
mercatantia de' Fiorentini che si
trovò in
Pisa, ch'era in buona quantità. I Fiorentini
per fare
ristituire
a' loro mercatanti, più ambascerie
mandaro
a
Pisa, pregando che per amore dell'amistà
antica
dovessono
ristituire la detta
mercatantia. I Pisani
non l'assentiro,
dando cagione che la detta
mercatantia
era
barattata. Alla fine s'
agecchiro
a tanto i
Fiorentini, che mandarono pregando il Comune di
Pisa che in luogo della
mercatantia mandassero almeno
altrettante some di qual più vile cosa si fosse,
acciò che quella onta non facessono
a lloro, e il Comune
di
Firenze de' suoi danari
ristituirebbe i suoi
cittadini; e se ciò non volessono fare, che
protestavano
che più non poteano durare l'amistà insieme, e
che
comincerebbono loro
guerra; e questa richesta
durò per più tempo. I Pisani per loro superbia, parendo
loro esser signori
del
mare e della terra, rispuosono
a' Fiorentini che qualunque ora eglino
uscissono
a oste
rammezzerebbono loro la
via. E così
avenne che' Fiorentini, non possendo più
sostenere
l'onta e 'l
danno che faceano loro i Pisani, cominciaro
loro
guerra. Questo
cominciamento e cagione della
detta
guerra, com'è detto di sopra, sapemo il vero
da antichi nostri cittadini, che i loro padri furono
presenti
a queste cose, e ne feciono loro
ricordo e
memoria.
L. 7, cap. 3 rubr.Come i Pisani furono sconfitti da' Fiorentini a Castello
del Bosco.
L. 7, cap. 3Avenne che gli
anni di Cristo
MCCXXII i Fiorentini
s'apparecchiaro d'andare
ad oste sopra la
città di
Pisa,
e partiti di
Firenze
del mese di luglio, i Pisani, come
aveano
promesso, si feciono loro allo 'ncontro
a
luogo detto Castello
del Bosco nel
contado di
Pisa.
Quivi s'afrontaro insieme, e fuvi grande battaglia.
A
la fine i Pisani vi furono sconfitti da' Fiorentini
a dì
XXI di luglio
del detto
anno, e molti ne furono morti,
e presi ne vennoro
a
Firenze per numero
MCCC uomini,
e de' migliori della
città di
Pisa; e così si mostra
per giudicio d'Iddio che' Pisani avessono quella
disciplina per la loro superbia,
arroganza, e ingratitudine.
Avemo sì lungamente detto sopra questa matera
da' Fiorentini
a' Pisani, perché sia notorio
a
ciascuno
il
cominciamento di tanta
guerra e
dissensione
che ne
seguì appresso, e grandi aversità e battaglie e
pericoli in tutta Italia, e
massimamente in
Toscana, e
alla
città di
Firenze e di
Pisa; e cominciossi per così
vil cosa, come fu per la
contenza d'uno piccolo
cagniuolo,
il qual si può dire che fosse diavolo in ispezie
di catellino, perché tanto male ne seguìo, come
per innanzi faremo menzione.
L. 7, cap. 4 rubr.Come i Fiorentini andarono ad oste a Fegghine, e
feciono l'Ancisa.
L. 7, cap. 4Negli
anni di Cristo
MCCXXIII quegli
del castello
di
Fegghine in Valdarno, il quale era molto forte e
possente di genti e di ricchezze, sì si rubellaro, e non
vollono ubbidire
al Comune di
Firenze; per la qual
cosa nel detto
anno, essendo podestà in
Firenze messere
Gherardo Orlandi, i Fiorentini per comune feciono
oste
a
Figghine, e guastarla intorno, ma non
l'ebbono; e per battifolle, overo bastita, tornando
l'oste de' Fiorentini
a
Firenze, sì puosono i Fiorentini
il castello di l'
Ancisa, acciò ch'
al continuo
colle
masnade de' Fiorentini fosse guerreggiato il castello
di
Fegghine.
L. 7, cap. 5 rubr.Come i Fiorentini fecero oste sopra Pistoia, e guastarla
intorno.
L. 7, cap. 5Negli anni di Cristo MCCXXVIII, essendo podestà
di Firenze messer Andrea da Perugia, i Fiorentini feciono
oste sopra la città di Pistoia col carroccio; e
ciò fu perché i Pistolesi guerreggiavano e trattavano
male quegli di Montemurlo; e guastò la detta oste intorno
alla città infino alle borgora, e disfeciono le
torri di Montefiore ch'erano molto forti; e 'l castello
di Carmignano s'arendé al Comune di Firenze. E nota
che in su la rocca di Carmignano avea una torre
alta LXX braccia, e ivi su due braccia di marmo, che
faceano le mani le fiche a Firenze, onde per rimproccio
usavano gli artefici di Firenze quando era loro
mostrata moneta o altra cosa, diceano: «No lla veggo,
però che m'è dinanzi la rocca di Carmignano»; e
per questa cagione feciono i Pistolesi le comandamenta
de' Fiorentini, sì come seppono divisare i Fiorentini,
e feciono disfare la detta rocca di Carmignano.
L. 7, cap. 6 rubr.
Come i Sanesi ricominciaro la guerra a' Fiorentini
per Montepulciano.
L. 7, cap. 6Negli
anni di Cristo
MCCXXVIIII i Sanesi ruppono
la pace
a' Fiorentini, imperciò che contra i
patti della
detta pace i Sanesi feciono oste sopra Montepulciano
del mese di giugno nel detto
anno. Per la qual cosa
il settembre vegnente, essendo podestà di
Firenze
messer Giovanni Bottacci, i Fiorentini feciono oste
sopra i Sanesi, e guastarono il loro
contado infino
a
la pieve
a Sciata verso Chianti, e disfeciono Montelisciai,
uno loro castello presso
a Siena
a
tre miglia. E
poi l'
anno appresso, essendo podestà di
Firenze
Otto
da
Mandella di Milano, i Fiorentini fecero generale
oste sopra Siena
a dì
XXI di maggio l'
anno
MCCXXX, e menaro il carroccio, e
valicaro la
città di
Siena, e andarono
a San
Chirico
a
Rosenna, e disfeciono
il bagno
a
Vignone. E poi andaro per la valle
d'Orcia infino
a Radicofani, e
passaro le Chiane per
guastare i Perugini, perché aveano
favorati i Sanesi,
domandando giuridizione
del lago, per ragione che
v'avea la
Badia di
Firenze per privilegio
del marchese
Ugo. Ma i Perugini richesto l'aiuto de' Romani, i
Fiorentini si partiro di sopra il
contado di Perugia, e
tornaro in su quello di Siena, e disfeciono da
XX tra
castella e gran fortezze, e tagliaro il pino da Montecellese,
e tornando si puosono
a Siena
a campo, e
per forza combattero l'antiporte, e ruppero i serragli,
e
entraro ne' borghi della
città, e
menarne
presi
a
Firenze
più di
MCC uomini.
In questo
anno
MCCXXX i Fiorentini andarono
ad
oste
a Caposelvoli in Valdambra
a le
confine d'
Arezzo,
imperciò che facea
guerra in Valdarno nel
contado
di
Firenze co la forza degli Aretini, e sì era della
diocesi di
Fiesole e
del
distretto di
Firenze, e
presollo,
e
disfeciollo.
L. 7, cap. 7 rubr.D'uno grande miracolo ch'avenne a Santo Ambruogio
in Firenze del corpo di Cristo.
L. 7, cap. 7Nel detto anno MCCXXVIIII, il dì di san Firenze, dì
XXX di dicembre, uno prete della chiesa di Santo
Ambruogio di Firenze ch'avea nome prete Uguiccione,
avendo detta la messa e celebrato il sacrificio, e
per vecchiezza non asciugò bene il calice; per la qual
cosa il dì appresso prendendo il detto calice, trovovvi
dentro vivo sangue appreso e incarnato, e ciò fu
manifesto a tutte le donne di quello munistero, e a
tutti i vicini che vi furono presenti, e al vescovo, e a
tutto il chericato, e poi si palesò tra tutti i Fiorentini,
i quali vi trassono a vedere con grande devozione, e
trassesi il detto sangue del calice, e misesi in una ampolla
di cristallo, e ancora si mostra al popolo con
grande reverenza.
L. 7, cap. 8 rubr.
Ancora della guerra da' Fiorentini a' Sanesi.
L. 7, cap. 8Negli anni di Cristo MCCXXXII i Sanesi presono
Montepulciano, e disfeciono le mura e tutte le fortezze
de la terra, imperciò che quelli di Montepulciano
per mantenersi in loro libertade si erano in lega e
compagnia co' Fiorentini. Per la qualcosa i Fiorentini
andaro ad oste sopra i Sanesi, essendo podestà di
Firenze messer Iacopo da Perugia, e guastarono molto
del loro contado, e puosono oste al castello di
Querciagrossa, presso a Siena a quattro miglia, il
quale era molto forte, e per forza d'edifici s'arendero;
e avuto il castello, il feciono tutto disfare, e gli
uomini che v'erano dentro menaro pregioni a Firenze.
L. 7, cap. 9 rubr.Di novità da Firenze.
L. 7, cap. 9Nel detto anno s'apprese il fuoco in Firenze da casa
i Caponsacchi presso di Mercato Vecchio, onde
arsono molte case, e arsono uomini e femmine e fanciulli
XXII, onde fu grande danno.
L. 7, cap. 10 rubr.Ancora della guerra di Siena.
L. 7, cap. 10L'
anno appresso
MCCXXXIII i Fiorentini feciono
grande oste sopra la
città di Siena, e assediarla dalle
tre parti, e con molti
difici vi gittaro dentro pietre assai,
e per più
dispetto e vergogna vi
manganarono
asini e altra bruttura.
L. 7, cap. 11 rubr.Ancora della guerra co' Sanesi.
L. 7, cap. 11Apresso, l'anno MCCXXXIIII i Fiorentini ancora rifeciono
oste sopra i Sanesi, e mossesi di Firenze a dì
IIII di luglio, essendo podestà di Firenze messer Giovanni
del Giudice di Roma, e stettono in oste sopra
il loro contado LIII dì, e disfeciono Asciano e Orgiale,
con XLIII tra castella e ville e grandi fortezze, onde
i Sanesi ricevettono gran dannaggio.
L. 7, cap. 12 rubr.Di novità di Firenze.
L. 7, cap. 12Nel detto anno, per pasqua di Natale, s'apprese il
fuoco in Firenze nel borgo di piazza Oltrarno, e quasi
arse tutto con grandissimo danno. E nota quanta
pestilenzia la nostra città ha ricevuta di fuochi appresi,
che quasi tra più volte il più della città è stato arso
e rifatto.
L. 7, cap. 13 rubr.Come fu fatta pace da' Fiorentini a' Sanesi.
L. 7, cap. 13Negli
anni di Cristo
MCCXXXV, essendo podestà di
Firenze
messer Compagnone
del Poltrone, apparecchiandosi
i Fiorentini di fare sopra la
città di Siena
maggiore oste che per gli
anni passati non aveano
fatta, e' Sanesi veggendosi molto guasti
del loro
contado,
e la loro forza e
potenza molto
affiebolita, sì richiesono
di pace i Fiorentini, la quale fu
esaudita e
ferma con
patti, che' Sanesi alle loro spese
rifacessono
Montepulciano, e
quetassollo d'ogni ragione e
domanda, e alle loro spese,
a
ppetizione de' Fiorentini,
fornissono il castello di Monte Alcino, il quale era
in lega co' Fiorentini, e riebbono i loro pregioni; la
quale
guerra pienamente era
durata
VI anni, onde i
Fiorentini ebbono grande onore. Lasceremo alquanto
de' fatti di
Firenze e
del paese intorno, faccendo
incidenzia, tornando addietro, per raccontare de'
fatti, e dell'opere, e guerre dello 'mperadore
Federigo
alla Chiesa di
Roma; le quali
novitadi furono sì
grandi, che bene sono da notare, imperciò che furono
commovimento quasi
a tutto il
mondo, onde molto
ne cresce materia di dire.
L. 7, cap. 14 rubr.Come lo 'mperadore Federigo venne in discordia
colla Chiesa.
L. 7, cap. 14
Dapoi che
Federigo secondo fue
coronato da papa
Onorio, come detto avemo addietro, nel suo
cominciamento
fu amico della Chiesa, ma poco tempo
appresso per la sua superbia e avarizia cominciò
ad
esurpare le
ragioni della Chiesa in tutto suo imperio,
e nel reame di Cicilia e di Puglia,
promutando vescovi,
e arcivescovi, e altri prelati, e cacciandone quegli
messi per lo papa, e faccendo imposte e taglie sopra i
cherici
a vergogna di santa Chiesa; per la qual cosa
da papa Onorio detto che ll'avea
coronato fue citato
e
ammonito che lasciasse
a santa Chiesa le sue
giuridizioni,
e rendesse il censo. Il quale imperadore veggendosi
in grande
potenzia e stato, sì per la forza degli
Alamanni e per quella
del reame di Cicilia, e ch'era
signore
del
mare e della terra, e temuto da tutti i
signori de' Cristiani, e eziandio da' Saracini, e veggendosi
abracciato de' figliuoli che della prima donna
figliuola dell'antigrado d'Alamagna avea,
Arrigo e
Currado, il quale
Arrigo già avea fatto coronare in
Alamagna re de' Romani, e
Currado era
duca di Soavia,
e
Federigo d'Antioccia suo primo figliuolo naturale
fece re, e
Enzo suo figliuolo naturale era re di
Sardigna, e Manfredi
prenze di Taranto, non si volle
dechinare all'obedienza della Chiesa, anzi fu pertinace,
vivendo
mondanamente in tutti i diletti corporali.
Per la qual cosa dal detto papa Onorio fu scomunicato
gli
anni di Cristo
, e per ciò non lasciò di
perseguire la Chiesa, ma
maggiormente occupava le
sue
ragioni, e così stette nimico della Chiesa e di papa
Onorio infino che vivette. Il quale papa passò di
questa vita gli
anni di Cristo
MCCXXVI, e dopo lui fu
fatto papa Gregorio nono nato d'Alagna di Campagna,
il quale regnò papa
anni
XIIII; il quale papa
Gregorio ebbe
collo imperadore
Federigo grande
guerra, imperciò che llo 'mperadore in nulla guisa
volea lasciare le
ragioni e
giuridizioni di santa Chiesa,
ma
maggiormente l'occupava, e molte chiese
del
Regno fece abattere e
disertare, faccendo imposte
gravi
a'
cherici, e alle chiese. E' Saracini, i quali erano
in sulle montagne di
Trapali in Cicilia, per esser
più
al
sicuro dell'isola, e dilungati da' Saracini della
Barberia, e ancora per tenere per loro in paura i suoi
suditi
del regno di Puglia, con ingegno e
promesse
gli trasse di quelle montagne, e misegli in Puglia in
una antica
città
diserta, che
anticamente fue in lega
co' Romani, e fue
disfatta per gli Sanniti, cioè per
quelli di
Benevento, la quale allora si chiamava
Licera,
e oggi si chiama Nocera, e furono più di
XXm uomini
d'arme, e quella
città rifeciono molto forte; i
quali più volte corsono le terre di Puglia e guastarle.
E quando il detto imperadore
Federigo ebbe
guerra
colla Chiesa, gli fece venire sopra il
ducato di Spuleto,
e assediaro in quel tempo la
città d'Ascesi, e feciono
gran
danno
a santa Chiesa. Per la qual cosa il
detto papa Gregorio
confermò contra lui le sentenzie
date per papa Onorio suo
predecessore, e di
nuovo
gli
diè sentenzia di scomunicazione gli
anni di
Cristo
L. 7, cap. 15 rubr.Come fu fatto accordo da papa Gregorio e lo 'mperadore
Federigo.
L. 7, cap. 15Avenne in que' tempi,
dapoi che 'l soldano e' Saracini
d'
Egitto ripresono la
città di
Dammiata, e
quella di Ierusalem, e gran parte della Terrasanta, il
re Giovanni ch'era allora re di Ierusalem, il quale fu
del
legnaggio
del
conte di Brenna, e per sua bontà
essendo oltremare ebbe per moglie la figliuola che fu
del re
Almerigo re di Ierusalem, della schiatta di
Gottifredi di
Buglione, ch'era
reda, e per lei era re di
Ierusalem, veggendo la Terrasanta in male stato per
la soperchia forza de' Saracini, passò in ponente per
avere aiuto dal papa e da la Chiesa, e
dallo imperadore
Federigo, e dal re di
Francia, e
dagli altri re di
Cristianità, e trovò papa Gregorio detto di sopra co
la Chiesa
a
Roma molto tribolato da
Federigo imperadore;
e mostrando
al detto papa il grande bisogno
che lla Terrasanta avea d'aiuto e di soccorso, e come
Federigo imperadore era quegli che più vi potea
operare di bene per la sua gran forza e podere ch'egli
avea in
mare e in terra, sì
cercò pace tra la Chiesa
e 'l detto imperadore, acciò ch'egli andasse oltremare
al passaggio, e il papa gli perdonasse l'offese fatte alla
Chiesa e
ricomunicasselo. Il quale accordo fu fatto
per lo detto re Giovanni, ch'era savio e
valoroso signore.
E oltre
a cciò fatta la detta pace, il detto papa
Gregorio
diè per moglie allo 'mperadore
Federigo,
ch'era morta la sua prima donna, la figliuola
del detto
re Giovanni ch'era
reda
del reame di Ierusalem
per la madre, e
promise e
giurò il detto imperadore
di difendere il detto papa e la Chiesa da' malvagi Romani,
che tutto dì erano ribelli contra la Chiesa per
loro avarizia, e poi d'andare oltremare con tutta sua
forza
al passaggio ordinato per lo detto papa. E fatta
la detta pace, la figliuola
del re Giovanni venne di
Soria
a
Roma, e lo 'mperadore la sposò con gran festa
per mano
del detto papa Gregorio, e di lei ebbe
tosto uno figliuolo ch'ebbe nome Giordano, ma poco
tempo vivette. Ma per l'opera
del nimico dell'umana
generazione, trovando
Federigo corrotto in vizio
di lussuria, si giacque con una
cugina della detta
imperadrice e reina, ch'era pulcella e di sua camera
privata; e la 'mperadrice lasciando, e
trattandola male,
sì si
dolfe
al re Giovanni suo padre dell'onta e
vergogna che
Federigo le facea, e avea fatto della nipote.
Per la qual cosa il re Giovanni
crucciato, di ciò
dolendosi allo 'mperadore, e ancora
minacciandolo,
lo 'mperadore batté la moglie, e
misela in pregione, e
mai poi non istette co· llei; e secondo che ssi disse, tosto
la fece morire.
E lo re Giovanni, il quale era in
Puglia, tutto governatore per la Chiesa e per lo
'mperadore
a ffare fornire e apparecchiare lo stuolo
del passaggio che
dovea andare oltremare, sì ll'
acommiatò
del Regno, onde molto
isconciò il passaggio
per la detta
discordia.
Poi il re Giovanni tornò
a
Roma
al papa,
dogliendosi molto di
Federigo, e andossene
in Lombardia, e da' Lombardi molto fue onorato,
e
ubbidieno lui più che llo 'mperadore; onde
grande parte e
sette si cominciaro in Lombardia e in
Toscana, che molte terre si teneano dalla parte della
Chiesa e
del re Giovanni e altre
collo imperadore.
Poi lo re Giovanni andòe in
Francia e inn Inghilterra,
e grande aiuto ebbe da tutti que' signori per lo
passaggio, e per mantenere le terre d'oltremare
che ssi teneano per gli Cristiani.
L. 7, cap. 16 rubr.
Come la Chiesa ordinò il passaggio oltremare, ond'
era capitano lo 'mperadore Federigo, il quale mosso
lo stuolo si tornò e addietro.
L. 7, cap. 16Infra questo tempo papa Gregorio con grande
sollecitudine formò l'
apparecchiamento
del passaggio
d'oltremare. Per lo detto papa Gregorio sì richiese
lo 'mperadore
Federigo che attenesse la
promessa
e saramento fatto
a la Chiesa, d'andare oltremare
con uno legato cardinale, e egli fosse signore dello
stuolo in
mare e in terra. Il quale imperadore fece
tutto l'
apparecchiamento, e
collo stuolo de' Cristiani
si partì di Brandizio in Puglia gli
anni di Cristo
MCCXXXIII, e come lo stuolo fu alquanto infra
mare e
mosso
a
piene
vele, lo 'mperadore
Federigo segretamente
fece volgere la sua
galea, e tornossi in Puglia,
sanza andare oltremare, egli e gran parte di sua gente.
Per la qual cosa il papa e tutta la Chiesa indegnati
dell'opere e
falli di
Federigo, tegnendo ch'egli avesse
ingannata e tradita la Chiesa e tutta la
Cristianità, e
messo in grande
pericolo le bisogne e 'l soccorso della
santa terra d'oltremare, il detto papa Gregorio
scomunicò da capo il detto imperadore
Federigo, gli
anni di Cristo
MCCXXXIII. Questo ritorno che llo
'mperadore fece, e non seguire il passaggio giurato,
egli medesimo e chi llo volle difendere disse ch'avea
sentito che come fosse oltremare, il papa e la Chiesa
col re Giovanni gli
dovea rubellare il regno di Cicilia
e di Puglia. Altri dissono che 'l detto imperadore
al
continuo s'intendea col soldano di Babbillonia per
lettere e messaggi e grandi presenti, e ch'egli mandò
con
patti fatti e fermi che s'egli rompesse il detto
grande passaggio (temendo forte de' Cristiani), che
a ssua volontà il metterebbe in signoria e
sagina
del
reame di Ierusalem sanza
colpo di spada; le quali di
su dette cagioni e l'una e l'altra pareano esser il vero,
per le cose che avennero appresso; imperciò che con
tutta la pace e accordo fatto da la Chiesa allo 'mperadore,
sempre di
ciascuna parte rimase la
mala volontà,
e
maggiormente nello 'mperadore, per la sua
superbia.
L. 7, cap. 17 rubr.Come lo 'mperadore Federigo passòe oltremare, e
fece pace col soldano, e riebbe Ierusalem contra volontà
della Chiesa.
L. 7, cap. 17Poi gli
anni di Cristo
MCCXXXIIII lo 'mperadore
Federigo fatta sua armata e grande
apparecchiamento,
sanza richiedere il papa o la Chiesa, o nullo altro
signore de' Cristiani, si mosse di Puglia e
andonne
oltremare più per avere la signoria di Ierusalem, come
gli avea
promessa il soldano, che per altro benificio
di
Cristianità; e ciò apparve
apertamente, ché
giunto lui in Cipri, e mandato in Soria innanzi il suo
maliscalco con parte di sua gente, non intese
a
guerreggiare
i Saracini, ma i Cristiani; ché tornando i pellegrini
d'una cavalcata fatta sopra i Saracini con
grande preda e molti pregioni, il detto maliscalco
combatté co· lloro, e molti n'uccise, e
rubò loro tutta
la preda. E questo si disse che fece per lo trattato
che llo 'mperadore tenea col soldano, stando lui in
Cipri, che spesso si mandavano ambasciadori e ricchi
presenti. E ciò fatto, lo 'mperadore n'andòe in
Acri, e volle disfare il tempio d'
Acri
a'
Tempieri, e
fece torre loro castella, e mandòe suoi ambasciadori
a papa Gregorio, che gli piacesse di
ricomunicarlo,
imperciò ch'avea fatta sua penitenza e saramento;
dal quale papa non fu intesa sua petizione e richesta,
imperciò che
al papa e alla Chiesa era palese per
lettere
e per messaggi venuti di Soria dal legato
del papa,
e dal patriarca di Ierusalem, e dal mastro
del
Tempio, e da quello dello Spedale, e da più altri signori
di là, che llo imperadore non
facie in Soria nullo
beneficio comune de' Cristiani, né co' signori
ch'erano di là non consigliava
al
racquisto della Terrasanta,
ma istava in trattati col soldano e co' Saracini.
E
al detto trattato e accordo diede compimento
abboccandosi
a
parlamento col soldano, nel quale il
soldano gli fece molta reverenza,
dicendogli: «Tu
se'
Cesare de' Romani, maggiore signore di me». L'accordo
fu tra lloro in questo modo, che 'l soldano gli
rendé
a
queto la
città di Ierusalem, salvo il tempio
Domini che volle rimanesse
a la guardia de' Saracini,
acciò che vi si gridasse la salì, e chiamasse
Maometto;
e lo 'mperadore l'asentì per
dispetto e
mala volontà
ch'avea co'
Tempieri, e lasciogli il soldano tutto
il reame di Ierusalem, salvo il castello chiamato il
Craito di Monreale, e più altre castella fortissime alle
frontiere, e erano la chiave e l'
entrata
del reame.
A la
qual pace non fu consenziente il legato
del papa cardinale,
né 'l patriarca di Ierusalem, né
Tempieri, né
gli Spedalieri, né gli altri signori di Soria, né' capitani
de' pellegrini, imperciò che
a lloro parve falsa pace,
e
a
danno e vergogna de' Cristiani, e
a sconcio
del
racquisto della Terrasanta. Ma però lo 'mperadore
Federigo non lasciò, ma co' suoi baroni e col mastro
maggiore de la
magione degli Alamanni andò in Ierusalem,
e fecesi coronare in mezza
quaresima, gli
anni di Cristo
MCCXXXV. E ciò fatto, sì mandò suoi
ambasciatori in ponente
a significarlo
al papa, e
al re
di
Francia, e
a più altri re e signori, com'era
coronato,
e possedea il reame di Ierusalem; de la qual cosa
il papa e tutta la Chiesa ne furono
crucciosi
a
morte,
conoscendo come ciò era falsa pace, e con inganno
a
piacere
del soldano, acciò che' pellegrini ch'erano iti
al passaggio
nol potessono
guerreggiare. E videsi
apertamente, ché poco appresso che
Federigo fu tornato
in ponente i Saracini ripresono Ierusalem e
quasi tutto il paese che 'l soldano gli avea renduto,
a
grande
danno e vergogna de' Cristiani; e rimase la
Terrasanta e la Soria in peggiore stato che no· lla
trovò.
L. 7, cap. 18 rubr.
Come lo 'mperadore tornò d'oltremare perché gli
era rubellato il Regno, e come ricominciò la guerra
colla Chiesa.
L. 7, cap. 18Come papa Gregorio seppe la falsa pace fatta per
lo 'mperadore
Federigo e col soldano,
a vergogna e
danno de' Cristiani, incontanente
ordinò col re Giovanni,
il quale era in Lombardia, che
colla forza della
Chiesa
entrasse con gente d'arme nel regno di Puglia
a rubellare il paese
a
Federigo imperadore; e così
fece, e gran parte
del Regno ebbe
a' suoi comandamenti
e della Chiesa. Incontanente che
Federigo
ebbe oltremare la
novella, lasciò il suo maliscalco, il
quale non intese
ad altro ch'
a
guerreggiarsi co' baroni
di Soria per occupare loro
città e signoria, che' loro
anticessori con grande affanno e dispendio e spargimento
di sangue aveano conquistato sopra i Saracini,
e
combattési col re
Arrigo di Cipri e co' baroni di
Soria, e sconfissegli
a saetta; ma poi fue egli sconfitto
in Cipri, e perdé quasi tutto il reame di Ierusalem in
poco tempo, ché 'l ripresono i Saracini per la
discordia
ch'era tra 'l detto maliscalco e gli altri signori cristiani.
E chi queste storie vorrà meglio sapere le troverrà
distesamente nel
libro
del conquisto. Lasceremo
omai de' fatti d'oltremare, e diremo di
Federigo,
il quale con
due
galee solamente, gli
anni di Cristo
MCCXXXVI, arrivò
al castello d'
Astone in Puglia, la
quale fu la prima terra che gli s'
arrendé. E lui arrivato
in Puglia, raunò le sue forze, e cominciarsi le terre
a ritornare alla sua signoria; e mandò in Alamagna
per
Currado suo figliuolo e per lo
duca d'
Ostericchi,
i quali con gente grande vennero in Puglia, e per la
loro forza tutto il paese che gli s'era rubellato
racquistaro,
e più; che 'l Patrimonio San Piero, e il
ducato
di Spuleto, che sono propio retaggio della Chiesa, e
la Marca d'Ancona, e la
città di
Benevento, camera
della Chiesa, occupò, menando in loro oste i Saracini
di Nocera, tutto tolsono
a santa Chiesa, e 'l papa
Gregorio quasi assediaro in
Roma, e con dispendio
di moneta fatto per
Federigo
a certi malvagi nobili
romani avrebbe preso il detto papa Gregorio in
Roma,
il quale accorgendosi di ciò, trasse di Santo
Santoro
di Laterano la testa de' beati appostoli Pietro e
Paulo, e con essi in mano, con tutti i cardinali, vescovi,
e arcivescovi, e altri prelati ch'erano in
corte, e
col
chericato di
Roma, con
solenni
digiuni e orazioni
andò per tutte le principali chiese di
Roma
a processione;
per la quale
devozione e miracolo de' detti
santi appostoli il popolo di
Roma fu tutto rivocato
a
la difensione
del papa e della Chiesa, e quasi tutti si
crucciaro contra
Federigo,
dando il detto papa indulgenza
e perdono di colpa e di pena. Per la qual
cosa
Federigo, che di
queto si
credeva
intrare in
Roma
e prendere il detto papa, sentita la detta
novitade,
temette
del popolo di
Roma e si ritrasse in Puglia,
e il detto papa fu liberato, con tutto che molto
fosse afflitto dal detto imperadore, però ch'egli tenea
tutto il Regno e Cicilia, e avea preso il
ducato di
Spuleto, e Campagna, e il Patrimonio Santo Piero, e
la Marca, e
Benevento, come detto è di sopra, e distruggea
in
Toscana e in Lombardia tutti i fedeli di
santa Chiesa.
L. 7, cap. 19 rubr.Come lo 'mperadore Federigo fece che' Pisani presono
in mare i parlati della Chiesa che venieno al
concilio.
L. 7, cap. 19Papa Gregorio veggendo la Chiesa di Dio così
tempestata da
Federigo imperadore,
ordinò di fare
a
Roma
concilio generale, e mandò in
Francia
due legati
cardinali, l'uno fu
messer Iacopo vescovo di
Pilestrino,
e l'altro
messer Oddo vescovo di Porto detto
il cardinale Bianco, acciò che richiedessono il re
Luis di
Francia e quello d'Inghilterra d'aiuto contra
Federigo, e che
sommovessono tutti i prelati d'oltremonti
a venire
al
concilio, per dare sentenzia contra
Federigo. I quali legati sollicitamente fecero loro legazione,
e predicando contro
a
Federigo, tutto il ponente
scommossono contra lui. E 'l cardinale Bianco
ne venne innanzi con molti prelati, arcivescovi, e vescovi,
e abati, i quali arrivarono
a
Nizza in
Proenza,
e poco appresso vi venne e arrivò l'altro cardinale di
Pilestrino, imperciò che per Lombardia non poterono
avere il
cammino, ché
Federigo avea
a sua
gente fatti prendere i passi e le strade in
Toscana e in
Lombardia. Per la qual cosa papa Gregorio mandò
a' Genovesi che co· lloro navilio, alle spese della
Chiesa,
dovessono levare i detti cardinali e parlati da
Nizza, e
conducergli per
mare
a
Roma; la quale cosa
fu fatta, ch'egli
armaro in
Genova che
galee, e che
uscieri, e
batti, e
barcosi, in quantità di
LX legni, onde
fu ammiraglio messere
Guiglielmo
Ubbriachi di
Genova. Lo 'mperadore
Federigo, il quale non dormia
a perseguitare santa Chiesa, mandò
Enzo suo figliuolo
bastardo con
galee armate
del Regno
a
Pisa,
e mandò
a' Pisani che
dovessono armare
galee, e intendere
col detto
Enzo
a prendere i detti parlati; i
quali
armaro
XL galee di molta buona gente, onde
fue ammiraglio messer Ugolino
Buzzaccherini di
Pisa;
e sentendo la venuta de' legni de' Genovesi, si feciono
loro incontro tra Porto Pisano e l'isola di
Corsica.
E ciò sentendo i cardinali, e' parlati, e' signori
ch'erano in sull'armata de' Genovesi, pregarono l'amiraglio
che tenesse la
via di fuori dall'isola di
Corsica
per ischifare l'armata de' Pisani, non sentendo la
loro armata con tante
galee di corso e da battaglia, e
molti legni grossi carichi di
cavalli, e d'arnesi, e di
cherici, e di gente disutile
a battaglia. Messere
Guiglielmo
Obbriaco, ch'era di nome e di fatto e uomo
di testa e di poco senno, non volle seguire quello
consiglio, ma per sua superbia e
disdegno de' Pisani
si volle
conducere alla battaglia, la quale fu aspra e
dura, ma tosto fu sconfitta l'armata de' Genovesi da'
Pisani, onde furono presi i detti legati cardinali e
prelati, e molti n'
anegaro e gittaro in
mare sopra lo
scoglio, overo isoletta, che si chiama la Meloria,
presso
a Porto Pisano, e gli altri ne menarono
presi
nel Regno, e più tempo gli tenne lo 'mperadore in
diverse pregioni; e ciò fu gli
anni di Cristo
MCCXXXVII. Per la qual cosa la Chiesa di Dio ricevette
grande
danno e persecuzione; e se non fossono i
messaggi
del re
Luis di
Francia, e le minacce, se non
lasciasse i parlati di suo reame,
Federigo non gli
avrebbe mai diliberi; ma per paura della forza de'
Franceschi, quegli ch'erano rimasi in vita poveramente
diliberò di pregione, ma molti ne moriro innanzi
per diverse pregioni,
fame, e
disagi. Per la detta
presura furono scomunicati i Pisani, e tolto loro
ogni benificio di santa Chiesa, e cominciossene la
prima
guerra tra Genovesi e' Pisani; onde poi Iddio
per lo suo giudicio, de' Pisani per la forza de' Genovesi
fece giusta e aspra vendetta, come
innanzi farà
menzione.
L. 7, cap. 20 rubr.Come i Melanesi furono sconfitti dallo 'mperadore.
L. 7, cap. 20Poi che
Federigo imperadore si fu partito dall'asedio
di
Roma e tornato in Puglia, come addietro facemmo
menzione, ebbe
novelle come la
città di Milano,
e Parma, e Bologna, e più altre terre di Lombardia
e di
Romagna s'erano rubellate dalla sua signoria,
e teneano parte
colla Chiesa; per la qual cosa
si partì dal Regno, e
andonne
colle sue forze in Lombardia,
e là fece molta
guerra alle cittadi che si teneano
colla Chiesa.
A la fine i Melanesi con tutta loro
forza, e
del legato
del papa, e di tutta la lega di Lombardia,
che teneano
colla Chiesa, s'afrontaro
a battaglia
col detto imperadore
al luogo detto
Cortenuova,
e dopo la grande battaglia Melanesi e tutta loro oste
furono sconfitti, gli
anni di Cristo
MCCXXXVII, onde
ricevettono gran
danno di morti e de' presi; e prese
il carroccio loro, e la loro podestà ch'era figliuolo
del
dogio di Vinegia, e lui e molti nobili di Milano e di
Lombardia ne mandò
presi in Puglia, e la detta podestà
fece
impiccare
a Trani in Puglia sopra un'alta
torre
a la marina, e gli altri pregioni, cui fece morire
a tormento, e cui in
crudeli carcere. Per la detta vittoria
lo 'mperadore ricoverò la sua signoria, e assediò
Brescia con più di
VI.m cavalieri, e furonvi i Guelfi
e' Ghibellini di
Firenze
a gara
al
servigio dello 'mperadore,
e poi l'ebbe
a
patti; e simile tutte le
città e
terre di Lombardia, salvo Parma e Bologna; e montò
in grande superbia e signoria, e 'l papa e lla Chiesa e
tutti i suoi seguaci n'
abassaro molto in tutta Italia.
Per la qual cosa poco tempo appresso papa Gregorio
quasi per dolore infermò, e poi morì
a
Roma gli
anni di Cristo
MCCXXXVIIII; e dopo lui fu fatto papa
Celestino nato di Milano, ma non vivette che
XVII dì
nel
papato, e vacò la Chiesa sanza pastore
XX mesi in
mezzo, imperciò che era tanta la forza di
Federigo,
che non lasciava fare papa, se non fosse
a sua volontà.
E di ciò era grande contasto nella Chiesa, che'
cardinali erano tornati
a picciolo numero per le tribolazioni
e aversitadi ch'avea avuta la Chiesa dal detto
Federigo, e che era sì infiebolita la forza e la baldanza
della Chiesa, che non ardivano gli cardinali
a
fare più ch'allo 'mperadore piacesse, e
a fare il suo
volere non s'accordavano e non piaceva loro.
L. 7, cap. 21 rubr.
Come Federigo imperadore assediò e prese la città
di Faenza.
L. 7, cap. 21Nella detta
vacazione, cioè gli
anni di Cristo
MCCXL,
Federigo imperadore tribolando e perseguendo
tutte le terre e
città e signori che si teneano
a
la fedeltà e obbedienza di santa Chiesa, sì
entrò nella
contea di
Romagna, la quale si dicea ch'era di ragione
di santa Chiesa, e quella ribellò e tolse per forza,
salvo che si tenne la
città di
Faenza,
a la quale stette
con sua oste all'asedio
VII mesi, e poi l'ebbe
a
patti; e
nel detto asedio ebbe gran difalta e di vittuaglia e di
moneta, e poco vi fosse più dimorato all'assedio, era
stancato. Ma lo 'mperadore per suo senno,
fallitagli
la moneta, e
impegnati i suoi gioelli e vasellamenti, e
più moneta non potea rimedire, sì
ordinò di dare
a'
suoi cavalieri e
a chi servia l'oste una
stampa in
cuoio
di sua figura,
stimandola in luogo di moneta, sì come
la
valuta d'uno
agostaro d'oro; e quelle
stampe
promise
di fare buone per la detta
valuta
a chiunque poi
l'arecasse
al suo
tesoriere, e fece bandire che ogni
maniera di gente per tutte vittuaglie le prendesse sì
come moneta d'oro, e così fu fatto, e in questo modo
civanzò la sua oste. E poi avuta la
città di
Faenza,
a
chiunque avea delle dette
stampe gli cambiò
ad
agostari
d'oro, i quali valea l'uno la
valuta di fiorini uno
e quarto; e dall'uno lato dell'
agostaro
improntato era
il viso dello 'mperadore
a modo di Cesari antichi, e
da l'altro una
aguglia, e era grosso, e di
carati
XX di
fine
paragone, e questa molto ebbe grande corso
al
suo tempo e poi assai nella detta oste. Furono i Fiorentini,
Guelfi e Ghibellini, in
servigio dello imperadore.
L. 7, cap. 22 rubr.Come lo 'mperadore fece pigliare il re Arrigo suo figliuolo.
L. 7, cap. 22In questi medesimi tempi, con tutto che prima si
cominciasse,
Arrigo Sciancato, primogenito
del detto
Federigo imperadore, il quale avea fatto
eleggere da'
lettori d'Alamagna re de' Romani, come addietro fatta
è menzione, veggendo egli che llo 'mperadore suo
padre
facie ciò che potea di contradio
a santa Chiesa,
de la qual cosa prese
conscienzia, e più volte riprese
il padre, ch'egli faceva male. Della qual cosa lo
'mperadore il si recò
a contradio, e non amandolo né
trattandolo come figliuolo, fece nascere falsi
accusatori
che 'l detto
Arrigo gli volea fare
rubellazione,
a
petizione della Chiesa, di suo imperio; per la qual
cosa, o vero o falso che fosse, fece prendere il detto
suo figliuolo re
Arrigo e
due suoi figliuoli piccoli
garzoni, e
mandogli in Puglia in diverse carcere, e in
quelle il fece morire
a inopia
a grande tormento, i figliuoli
poi fé morire Manfredi. Lo 'mperadore mandò
inn Alamagna, e di capo fece
eleggere re de' Romani
succedente
a llui
Currado suo secondo figliuolo;
e ciò fu gli
anni di Cristo
MCCXXXVI. Poi alquanto
tempo lo 'mperadore fece abbacinare il savio uomo
maestro Piero da le Vigne, il buono dittatore,
opponendogli
tradigione; ma ciò gli fu fatto per invidia di
suo grande stato. Per la qual cosa il detto per dolore
si lasciò tosto morire in pregione, e chi disse ch'egli
medesimo si tolse la vita.
L. 7, cap. 23 rubr.Come si cominciò la guerra tra papa Innocenzio
quarto e lo 'mperadore Federigo.
L. 7, cap. 23Avenne poi, come piacque
a dDio, che fu eletto
papa messer
Ottobuono dal
Fiesco, de'
conti da
Lavagna
di
Genova, il quale era cardinale, e fu fatto papa
per lo più amico e confidente che llo 'mperadore
Federigo avesse in santa Chiesa, acciò che accordo
avesse dalla Chiesa
a llui, e fu chiamato papa
Innocenzio
quarto. E ciò fu gli
anni di Cristo
MCCXLI, e
regnò papa
anni
XI, e riempié la Chiesa di molti cardinali
di diversi paesi di
Cristianità. E come fu eletto
papa, fu recata la
novella allo 'mperadore
Federigo
per grande festa, sappiendo ch'egli era suo grande
amico e protettore. Ma ciò udito lo 'mperadore, si
turbò forte, onde i suoi baroni si
maravigliarono
molto. E que' disse: «Non vi
maravigliate, però che
di questa elezione avemo molto
disavanzato; ch'egli
ci era amico cardinale, e ora ci fia nimico papa»; e
così avenne, ché come il detto papa fu
consecrato, sì
fece richiedere allo 'mperadore le terre e le
giuridizioni
che tenea della Chiesa, della quale richesta lo
'mperadore il tenne più tempo in trattato d'accordo,
ma tutto era vano e per inganno.
A la fine veggendosi
il detto papa menare per ingannevoli parole,
a
danno e vergogna di lui e di santa Chiesa, divenne
più nimico di
Federigo imperadore che nonn erano
stati i suoi anticessori; e veggendo che la forza dello
imperadore era sì grande che quasi tutta Italia tirannescamente
signoreggiava, e' cammini tutti presi, e
per sue guardie guardati, che nullo potea venire
a
corte di
Roma sanza sua volontà e licenza, e 'l detto
papa veggendosi per lo detto modo così assediato, sì
ordinò segretamente per gli suoi
parenti di
Genova,
e fece armare
XX galee, e subitamente le fece venire
a
Roma, e ivi su montò con tutti i cardinali e con tutta
la
corte, e di presente si fece portare alla sua
città di
Genova sanza contasto niuno; e soggiornato alquanto
in
Genova, se n'andò
a Leone sovra Rodano per la
via
di
Proenza; e ciò fu gli
anni di Cristo
MCCXLI.
L. 7, cap. 24 rubr.Della sentenzia che papa Innocenzo diede al concilio
a lLeone sovra Rodano sopra Federigo imperadore.
L. 7, cap. 24Come papa
Innocenzo fue
a Leone,
ordinò
concilio
generale nel detto luogo, e fece richiedere per l'universo
mondo vescovi e arcivescovi e altri prelati, i
quali tutti vi vennero. E
vennollo
a vedere infino
a la
badia di
Crugnì in Borgogna il buono re
Luis di
Francia, e poi venne infino
al
concilio
a lLeone, ove
sé e 'l suo reame proferse
al
servigio
del detto papa e
di santa Chiesa contra
Federigo imperadore, e contra
chi fosse nimico di santa Chiesa, e
crociossi per
andare oltremare. E partito il re
Luis, il papa fece
nel detto
concilio più cose in bene della
Cristianità, e
canonizzò più santi, come fa menzione la
cronica
martiniana nel suo trattato. E ciò fatto, il detto papa
fece
citare il detto
Federigo, che
personalmente
dovesse
venire
al detto
concilio, sì come in luogo comune,
a
scusarsi di
XIII articoli provati contro
a llui
di cose fatte contra
a la fede di Cristo e contra
a santa
Chiesa. Il quale imperadore non vi volle comparire,
ma
mandovvi suoi ambasciadori e proccuratori, il
vescovo di
Freneborgo d'Alamagna, e frate Ugo mastro
della
magione di Santa Maria degli Alamanni, e
il savio
cherico e maestro Piero da le Vigne
del Regno,
i quali
scusando lo 'mperadore come nonn era
potuto venire per malatia e
disagio di sua persona,
ma pregando il detto papa e' suoi frati che gli
dovessono
perdonare, e ch'egli tornerebbe
a misericordia,
e renderebbe ciò che occupava della Chiesa, e
profersono,
se 'l papa gli volesse perdonare, s'
obbligava
che infra uno
anno adoperrebbe sì che 'l soldano de'
Saracini renderebbe
a' suoi comandamenti la Terrasanta
d'oltremare. E 'l detto papa udendo le 'nfinte
scuse e vane proferte dello 'mperadore, domandò i
detti ambasciadori se di ciò fare aveano autentico
mandato, li quali appresentaro piena procura
a tutto
promettere e obbligare sotto bolla d'oro
del detto
imperadore. E come il papa l'ebbe
a ssé, in pieno
concilio e presenti i detti ambasciadori,
abbominò
Federigo di tutti i detti
XIII articoli colpevole, e per
ciò
confermare disse: «Vedete, fedeli Cristiani, se
Federigo tradisce santa Chiesa e tutta
Cristianità,
che secondo il suo mandato egli
proffera infra uno
anno di fare rendere la Terrasanta
al soldano; assai
chiaramente si mostra che 'l soldano la tiene per lui,
a vergogna di tutti i Cristiani». E ciò detto e sermonato,
fece piuvicare il processo incontro
al detto
impradore,
e condannollo e scomunicollo siccome
eretico
e persecutore di santa Chiesa,
agravandolo di
più
crimini
disonesti contra lui provati, e privollo
della signoria dello 'mperio, e
del reame di
Cicilla, e
di quello di Ierusalem, assolvendo d'ogni fedeltà e
saramento tutti i suoi baroni e sudditi,
iscomunicando
chiunque l'ubbidisse, o gli
desse aiuto o favore, o
più il chiamasse imperadore o re. E il detto processo
fu fatto
al detto
concilio
a Leone sopra Rodano gli
anni di Cristo
MCCXLV, dì
XVII di luglio. Le principali
ragioni perché
Federigo fu condannato furono
IIII:
la prima imperciò che, quando la Chiesa lo
'nvestì
del reame di
Cicilla e di Puglia, e poi dello 'mperio,
giurò
a la Chiesa dinanzi
a' suoi baroni, e dinanzi allo
'mperatore Baldovino di Costantinopoli, e
a ttutta
la
corte di
Roma di difendere santa Chiesa in tutti
suoi onori e
diritti contra tutte genti, e di dare il debito
censo, e
ristituire tutte le possessioni e
giuridizioni
di santa Chiesa; delle quali cose fece il contradio,
e fu ispergiuro, e
tradimento commise, e infamò
villanamente
a torto papa Gregorio
VIIII e' suoi cardinali
per sue
lettere per l'universo
mondo. La seconda
cosa fu che ruppe la pace fatta da llui alla
Chiesa, non
ricordandosi della perdonanza
a llui fatta
delle
scomuniche e degli altri misfatti per lui operati
contra santa Chiesa; e quegli che furono
colla
Chiesa contro
a llui in quella pace
giurò e
promise di
mai non offendere, e elli fece tutto il contradio; che
tutti gli disperse, o per
morte o per
esilio, loro e loro
famiglie, levando loro possesioni, e non
ristituì
a'
Tempieri né
agli Spedalieri le loro magioni per lui
occupate, le quali per
patti della pace avea
promessi
di
ristituire e rendere, e lasciò per forza vacanti
XI
arcivescovadi, con molti vescovadi e
badie nello imperio
e nel reame, i quali non lasciava
a quegli che
degnamente erano eletti per lo papa tenere né coltivare,
faccendo forze e torzioni alle sacre persone, recandoli
a piati dinanzi
a' suoi
balii e
corti secolari.
La terza causa fu per sacrilegio che fece, che per le
galee di
Pisa e per lo figliuolo re
Enzo fece pigliare i
cardinali e molti parlati in
mare, come detto è in
adietro, e di quegli mazzerare in
mare, e tenere morendo
in diverse e aspre carcere. La quarta causa fu
perch'egli fu trovato e
convinto in più articoli di
resia
di fede; e di certo egli non fu cattolico Cristiano,
vivendo sempre più
a suo diletto e piacere, che
a ragione,
o
a giusta legge, e participando co' Saracini:
sempre usò poco o niente la Chiesa e 'l suo oficio, e
non
facie
limosina; sì che non sanza grandi cagioni e
evidenti fue
disposto e condannato; e con tutto che
molta
molestia e persecuzione facesse
a santa Chiesa,
come fue condannato, ogni onore e stato e
potenzia
e grandezza in poco di tempo Idio gli levò, e gli mostrò
la sua
ira, sì come innanzi faremo menzione. E
perché molti fecero questione chi avesse il torto della
discordia, o la Chiesa o lo 'mperadore, udendo le
sue
scuse per le sue
lettere,
a cciò rispondo e dico,
manifestamente e per
divino miracolo, ma più miracoli
si mostrarono, che 'l torto fu dello 'mperadore,
imperciò che aperti e visibili giudicii Idio mostrò per
la sua
ira
a
Federigo e
a sua progenia.
L. 7, cap. 25 rubr.Come il papa e la Chiesa feciono eleggere nuovo
imperio contra Federigo disposto imperadore.
L. 7, cap. 25E
disposto e condannato il detto
Federigo, com'è
detto di sopra, il papa mandò
agli
elettori d'Alamagna
che hanno
a
eleggere il re de' Romani, che
dovessono
sanza indugio fare
nuova elezione d'imperio,
e così fue fatto; ch'eglino
elessono
Guiglielmo
conte d'
Olanda e antigrado, valente signore,
al quale
la Chiesa
diè le sue forze, e fecegli rubellare gran
parte d'Alamagna, e diede indulgenza e perdono, sì
come andasse oltremare,
a chi fosse contro
al detto
Federigo; onde in Alamagna ebbe grande
guerra tra
'l detto eletto re
Guiglielmo d'
Olanda e 'l re
Currado
figliuolo
del detto
Federigo. Ma poco
durò di là
la
guerra, ché si morì il detto re
Guiglielmo gli
anni
di Cristo
, e regnò in Alamagna
Currado detto, il
quale il padre
Federigo imperadore avea fatto
eleggere
re, come faremo menzione. Di questa sentenzia
Federigo appellò
al successore di papa
Innocenzo, e
mandò sue
lettere e messaggi per tutta la
Cristianità,
dolendosi della detta sentenzia, e mostrando com'era
iniqua, come appare per la sua
pistola la quale
dittò
il detto maestro Piero da le Vigne, che comincia
detta la salutazione: «Avegna che noi
crediamo che
parole della innanzi
corritrice
novella etc
.». Ma considerando
la verità
del processo e dell'opere di
Federigo
fatte contro
a la Chiesa, e della sua dissoluta e
non cattolica vita, egli fu colpevole e degno della
privazione,
per le
ragioni dette nel detto processo, e poi
per l'opere commesse per lo detto
Federigo appresso
la sua
privazione; che se prima fue, e era stato crudele
e persecutore di santa Chiesa e de' suoi fedeli in
Toscana e in Lombardia, appresso fu
maggiormente
infino che vivette, come innanzi faremo menzione.
Lasceremo alquanto la storia de' fatti di
Federigo, ritornando
addietro, ove lasciammo,
a' fatti di
Firenze,
e dell'altre notevoli
novitadi avenute per gli tempi
per l'universo
mondo, ritornando poi all'opere e alla
fine
del detto
Federigo e de' suoi figliuoli.
L. 7, cap. 26 rubr.
Incidenza, e diremo de' fatti di Firenze.
L. 7, cap. 26Negli anni di Cristo MCCXXXVII, essendo podestà
di Firenze messer Rubaconte da Mandello da Milano,
si fece in Firenze il ponte nuovo, e elli fondò con
sua mano la prima pietra, e gittò la prima cesta di
calcina; e per lo nome della detta podestà fu nomato
il ponte Rubaconte. E alla sua signoria si lastricarono
tutte le vie di Firenze, che prima ce n'avea poche lastricate,
se non in certi singulari luoghi, e mastre
strade lastricate di mattoni; per lo quale acconcio e
lavorio la cittade di Firenze divenne più netta, e più
bella, e più sana.
L. 7, cap. 27 rubr.Come e quando scurò tutto il sole.
L. 7, cap. 27L'
anno appresso, ciò fu
MCCXXXVIII a dì
III di giugno,
iscurò il sole tutto
a ppieno nell'ora di nona, e
durò
scurato parecchie ore, e
del giorno si fece notte;
onde molte genti ignoranti
del corso
del sole e
dell'altre pianete si
maravigliaro molto, e con grande
paura e spavento molti uomini e femmine in
Firenze,
per la tema della non usata
novità, tornaro
a confessione
e penitenzia. Dissesi per gli astrolaghi che la
detta
scurazione
anunziò la
morte di papa Gregorio,
che morì l'
anno appresso, e l'
abassamento e
scuritade
ch'ebbe la Chiesa di
Roma da
Federigo imperadore,
e molto
danno de' Cristiani, come poi fu appresso.
L. 7, cap. 28 rubr.Della venuta de' Tartari nelle parti d'Europia infino
in Alamagna.
L. 7, cap. 28Nel detto
anno
MCCXXXVIIII i Tartari, i quali erano
scesi di levante, e presa
Turchia e
Cumania, sì
passaro in
Europia, e feciono
due parti di loro, l'una
andòe nel reame da
pPollonia, e l'altra gente
entraro
in Ungaria, e
colle dette nazioni ebbono
dure e aspre
battaglie; ma alla fine il fratello
del re d'Ungaria
ch'avea nome Filice,
duca di
Colmano in
Pannonia, e
lo re
Arrigo da
pPollonia uccisono e sconfissono in
battaglia, e tutta la gente, sì uomini come femmine e
fanciulli, misono alle spade e
a
morte; per la qual cagione
i detti
due così grandi paesi e reami furono
quasi
diserti d'abitanti. E dopo lo
stimolo de' Tartari,
quegli
cotanti che di loro mano scamparono, fu sì
grande e sì crudele
fame nel paese, che la madre per
la
fame mangiava il figliuolo, e gran parte polvere
d'uno monte che v'era, come diciamo gesso, in luogo
di farina mangiavano. E guasti i Tartari quelli paesi,
scorsono infino in Alamagna, e volendo passare il
grande fiume
del
Danubio in
Ostericchi, chi di loro
con
navi e, co· lloro
cavagli, e chi con otri pieni di
vento, si misono nel fiume; e difesi con saette e altri
ingegni e armi
al passo
del detto fiume, onde forati
gli otri
colle saette da' paesani, quasi tutti annegaro,
e furono morti sanza potere ritornare adietro; e così
finìo la loro
pestilenzia, non sanza infinito e gravissimo
danno de'
Cristiani di quegli paesi lontani da nnoi.
E di questa venuta de' Tartari fu sì grande e
spaventevole
fama, che infino in questo nostro paese
si temea
fortemente di loro, che non passassono in
Italia.
L. 7, cap. 29 rubr.D'uno grande miracolo di tremuoto ch'avvenne in
Borgogna.
L. 7, cap. 29Nel detto anno avvenne nella Borgogna imperiale,
nella contrada di , per diversi tremuoti certe
montagne si dipartirono, e per ruina nelle valli somersero;
onde tutte le villate di quelle valli furono
sommerse, ove morirono più
di Vm persone.
L. 7, cap. 30 rubr.D'uno grande miracolo che si trovò in Ispagna.
L. 7, cap. 30Nel detto tempo e
anno avenne uno miracolo in
Ispagna, il quale è bene da notare, e per ogni Cristiano
d'avere in reverenzia, e bene che sia in altre
croniche,
da recarlo in memoria in questo: ché regnando
Ferrante re di Castello e di Spagna, nella contrada
di Tolletta, uno Giudeo cavando una ripa per
crescere una sua vigna,
sotterra trovò uno grande
sasso, il quale di fuori era tutto saldo e sanza neuna
fessura, e rompendo il detto sasso, il trovò dentro
vacuo, e dentro
al vacuo, quasi
imarginato col sasso,
vi trovò uno
libro con fogli sottili, quasi di legno, ed
era di volume quasi com'uno saltero: iscritto era di
tre lingue, greca,
ebraica, e
latina, e contenea in sé
tre
membri
del
mondo, da
Adam infino
ad Anticristo,
le propietà degli uomini che
doveano essere
al
mondo ne' detti isvariati tempi. Il principio
del terzo
mondo, overo secolo, puose così: «Nel terzo
mondo
nascerà il figliuolo di Dio d'una
vergine ch'avrà nome
Maria, il quale
patirà
morte per salute dell'umana
generazione»; le quali cose leggendo il detto Giudeo,
incontanente con tutta sua famiglia divenne
Cristiano, e si feciono battezzare. E ancora era scritto
a la fine
del detto
libro che nel tempo che
Ferrante
re regnerà in Castella si troverebbe il detto
libro:
lo quale miracolo veduto per molta gente degni di
fede, fu
rapportato
al detto re, e fattane memoria, e
grande reverenza. E 'l detto
libro fu traslatato e
isposto,
e molte grandi
profezie e
vere vi si trovaro. E di
certo si disse, e si
dee credere, che ciò fosse opera
fatta per la volontà di Dio. E simile miracolo si trovò
in
Gostantino
sesto, i quali miracoli sono molto
efficaci
e
affermativi
a la nostra fede.
L. 7, cap. 31 rubr.Come fue fatto e poi disfatto il borgo a San Giniegio.
L. 7, cap. 31Negli anni di Cristo MCCXL fue rifatto il borgo a
San Giniegio a piè di Samminiato per quegli della
terra, per lo buono sito e trapasso, il quale era in sul
cammino di Pisa; ma poi l'anno MCCXLVIII, l'ultimo
di giugno, fue disfatto per modo che mai più non si
rifece.
L. 7, cap. 32 rubr.Come i Tartari sconfissono i Turchi.
L. 7, cap. 32Negli
anni di Cristo
MCCXLIIII Hoccata Cane imperadore
de' Tartari mandò
Bacho suo secondo figliuolo
contra il soldano d'Alappo e contra quello di
Turchia, ch'avea nome
Givatadin, con
XXX.m Tartari
a
cavallo, e nel luogo chiamato
Cosadach fue
dura e
aspra battaglia tra' detti Tartari e'
Turchi, e certi
Cristiani ch'erano
al soldo
del soldano.
A la fine il
soldano e sua gente furono sconfitti, e più di
XX.m Saracini
vi furono tra morti e presi.
L. 7, cap. 33 rubr.Come di prima fu cacciata la parte guelfa di Firenze
per gli Ghibellini e la forza di Federigo imperadore.
L. 7, cap. 33Ne' detti tempi, essendo
Federigo in Lombardia,
e essendo
disposto
del
titolo dello imperio per papa
Innocenzio, come detto avemo, in quanto potéo si
mise
a distruggere in
Toscana e in Lombardia i fedeli
di santa Chiesa in tutte le
città ov'ebbe podere. E
prima cominciò
a volere
stadichi di tutte le
città di
Toscana, e tolse de' Ghibellini e de' Guelfi, e
mandogli
a Sa·
Miniato
del Tedesco; ma ciò fatto, fece
lasciare i Ghibellini e ritenere i Guelfi, i quali poi
abandonati, come poveri pregioni, di
limosine in
Samminiato stettono lungo tempo. E imperciò che la
nostra
città di
Firenze in quelli tempi nonn era delle
meno notabili e poderose d'Italia, sì volle in quella
spandere il suo veleno e fare partorire le maladette
parti guelfa e ghibellina, che più tempo dinanzi erano
incominciate per la
morte di messer
Bondelmonte,
e prima, sì come adietro facemmo menzione. Ma
bene che poi fossono le dette parti tra' nobili di
Firenze,
e spesso si
guerreggiassono tra loro di propie
nimistadi, e erano in
setta per le dette parti e si teneano
insieme, e quegli che si chiamavano Guelfi
amavano lo stato
del papa e di santa Chiesa, e quegli
che si chiamavano Ghibellini amavano e
favoravano
lo 'mperadore e suoi seguaci, ma però il popolo e
Comune di
Firenze si mantenea in unitade,
a bene e
onore e stato della repubblica. Ma il detto imperadore
mandando
sodducendo per suoi ambasciadori e
lettere quegli della casa delli Uberti ch'erano caporali
di sua parte, e loro seguaci che si chiamavano Ghibellini,
ch'elli cacciassono della
cittade i loro nemici
che si chiamavano Guelfi,
profferendo loro aiuto de'
suoi cavalieri; sì fece
a' detti cominciare
dissensione
e battaglia cittadina in
Firenze, onde la
città si cominciò
a
scominare, e
a ppartirsi i nobili e tutto il
popolo, e chi tenea dall'una parte, e chi dall'altra; e
in più parti della
città si combattero più tempo. Intra
gli altri luoghi, il principale era per gli Uberti alle loro
case, ch'erano ov'è oggi il gran palagio
del popolo:
si raunavano co' loro seguaci, e
combattiesi, co'
Guelfi
del
sesto di San Piero Scheraggio, ond'erano
capo quegli dal Bagno, detti
Bagnesi, e'
Pulci, e'
Guidalotti, e tutti i seguaci di parte guelfa di quello
sesto; e ancora gli Guelfi d'Oltrarno su per le pescaie
passando, gli venieno
a soccorrere quando erano
combattuti
dagli Uberti. L'altra puntaglia era in
porte San Piero, ond'erano capo de' Ghibellini i
Tedaldini,
perch'aveano più forti casamenti di
palagi e
torri, e co· lloro teneano
Caponsacchi,
Lisei, Giuochi,
e Abati, e
Galigari, e erano le battaglie con quegli
della casa de'
Donati, e con Visdomini, e Pazzi, e
Adimari. E l'altra puntaglia era in porte
del
Duomo
a la torre di messer Lancia de' cattani da
Castiglione,
e da
Cersino, ond'erano capo de' Ghibellini con
Agolanti e
Bruneleschi, e molti popolari di loro parte,
contra i
Tosinghi,
Agli, e
Arrigucci. E l'altra
punga
e battaglia era in San Brancazio, ond'erano capo
per gli Ghibellini i
Lamberti, e Toschi,
Amieri, Cipriani,
e
Megliorelli, e con molto seguito di popolo,
contra i Tornaquinci, e Vecchietti, e
Pigli, tutto che
parte de'
Pigli erano Ghibellini. E' Ghibellini faceano
capo in San Brancazio
a la torre dello
Scarafaggio
de' Soldanieri; e di quella venne
a messer
Rustico
Marignolli, ch'avea la 'nsegna de' Guelfi, cioè il campo
bianco e 'l giglio
vermiglio, uno quadrello nel viso,
ond'egli morìo; e il dì che' Guelfi furono cacciati,
e innanzi che si partissono, armati il vennono
a soppellire
a San Lorenzo; e partiti i Guelfi, i
calonaci di
San Lorenzo tramutaro il corpo, acciò che' Ghibellini
nol
disotterrassono e facessone strazio, però ch'era
uno grande caporale di parte guelfa. E l'altra forza
de' Ghibellini era in Borgo, ond'erano capo gli
Scolari,
e Soldanieri, e
Guidi, contra i
Bondelmonti,
Giandonati,
Bostichi, e Cavalcanti,
Scali, e
Gianfigliazzi.
Oltrarno erano tra gli
Ubbriachi e' Mannelli
(e altri nobili di
rinnomo non n'avea, se none di case
de' popolari), incontro
a' Rossi e'
Nerli. Avenne
che lle dette battaglie
duraro più tempo, combattendosi
a' serragli, overo
isbarre, da una vicinanza
ad altra,
e alle torri l'una
a l'altra (che molte n'avea in
Firenze
in quegli tempi, e
alte da
C braccia in suso); e
con manganelle, e altri
difici si combatteano insieme
di dì e di notte. In questo contasto e battaglie
Federigo
imperadore mandò
a
Firenze lo re
Federigo suo
figliuolo bastardo, con
XVI.c di cavalieri di sua gente
tedesca. Sentendo i Ghibellini ch'egli erano presso
a
Firenze, presono vigore, e con più forza e ardire pugnando
contra i Guelfi, i quali nonn aveano altro
aiuto, né attendeano nullo soccorso, perché la Chiesa
era
a Leone sopra Rodano oltremonti, e la forza di
Federigo era troppo grande in tutte parti in Italia.
E in questo usarono i Ghibellini una
maestria di
guerra,
che
a casa gli Uberti si raunava il più della forza
de' detti Ghibellini, e cominciandosi le battaglie ne'
sopradetti luoghi, sì andavano tutti insieme
a contastare
i Guelfi, e per questo modo gli vinsono quasi in
ogni parte della
città, salvo nella loro vicinanza contra
il serraglio de'
Guidalotti e
Bagnesi, che più
sostennono;
e in quello luogo si ridussono i Guelfi, e
tutta la forza de' Ghibellini contra loro. Alla fine
veggendosi i Guelfi aspramente menare, e sentendo
già la cavalleria di
Federigo imperadore in
Firenze,
entrato già lo re
Federigo con sua gente la
domenica
mattina, sì si tennero i Guelfi infino
al
mercolidì vegnente.
Allora non potendo più
resistere
a la forza
de' Ghibellini, si
abandonarono la
difenza, e partirsi
della
città la notte di santa Maria
Candellara gli
anni
di Cristo
MCCXLVIII. Cacciata la parte guelfa di
Firenze,
i nobili di quella parte si ridussono parte nel
castello di
Montevarchi in Valdarno, e parte nel castello
di Capraia; e Pelago, e
Ristonchio, e
Magnale,
infino
a Cascia per gli Guelfi si tenne, e chiamossi la
Lega; e in quelli faceano
guerra
a la
cittade e
al
contado
di
Firenze. Altri popolani di quella parte si ridussono
per lo
contado
a lloro poderi e di loro amici.
I Ghibellini che rimasono in
Firenze signori
colla
forza e cavalleria di
Federigo imperadore sì riformaro
la
cittade
a lloro guisa, e feciono disfare da
XXXVI
fortezze de' Guelfi, che
palagi e grandi torri, intra le
quali fu la più nobile quella de'
Tosinghi in su Mercato
Vecchio, chiamato il Palazzo, alto
LXXXX braccia,
fatto
a colonnelli di marmo, e una torre con esso
alta
CXXX braccia. Ancora mostraro i Ghibellini
maggiore
empiezza, per cagione che i Guelfi faceano
di loro molto capo
a la chiesa di San Giovanni, e tutta
la buona gente v'usava la
domenica mattina, e
faceansi
i matrimoni. Quando vennero
a disfare le torri
de' Guelfi, intra l'altre una molto grande e bella
ch'era in sulla piazza di San Giovanni
a l'
entrare
del
corso degli
Adimari, e chiamavasi la torre
del
Guardamorto,
però che
anticamente tutta la buona gente
che moria si soppelliva
a San Giovanni, i Ghibellini
faccendo tagliare dal piè la detta torre, sì lla feciono
puntellare per modo che, quando si mettesse il fuoco
a' puntelli, cadesse in su la chiesa di Santo Giovanni;
e così fu fatto. Ma come piacque
a Dio, per reverenza
e miracolo
del beato Giovanni, la torre, ch'era alta
CXX braccia, parve
manifestamente, quando venne
a
cadere, ch'ella schifasse la santa chiesa, e rivolsesi, e
cadde per lo diritto della piazza, onde tutti i Fiorentini
si
maravigliaro, e il popolo ne fu molto allegro. E
nota che poi che lla
città di
Firenze fu rifatta, non
v'era
disfatta casa niuna, e allora si cominciò la detta
maladizione di
disfarle per gli Ghibellini. E ordinaro
che della gente dello 'mperadore ritennero
VIII.c cavalieri
tedeschi
al loro soldo, onde fu capitano il
conte
Giordano. Avvenne che infra l'
anno medesimo
che' Guelfi furono cacciati di
Firenze quegli ch'erano
a
Montevarchi furono assaliti da le masnade de'
Tedeschi che stavano in guernigione nel castello di
Gangareta nel
mercatale
del detto
Montevarchi, e di
poca gente fue aspra battaglia, infino nell'Arno,
dagli
usciti guelfi di
Firenze
a' detti Tedeschi;
a la fine i
Tedeschi furono sconfitti, e gran parte di loro furono
tra morti e presi; e ciò fu dì
, gli
anni di Cristo
MCCXLVIII.
L. 7, cap. 34 rubr.Come l'oste di Federigo imperadore fu sconfitta da'
Parmigiani e dal legato del papa.
L. 7, cap. 34In questo tempo
Federigo imperadore si puose
ad
assedio
a la
città di Parma in Lombardia, imperciò
ch'erano rubellati dalla sua signoria e teneano
colla
Chiesa, e dentro in Parma era il legato
del papa con
gente d'arme
a cavallo per la Chiesa in loro aiuto.
Federigo con tutte le sue forze e quelle de' Lombardi
v'era intorno, e stettevi per più mesi, e giurato
aveva di non partirsi mai, se prima non l'avesse; e
però avea fatto incontro
a la detta
città di Parma una
bastita
a modo d'un'altra
cittade con fossi, e steccati,
e torri, e case coperte e murate,
a la quale puose nome
Vittoria; e per lo detto assedio avea molto
ristretta
la
città di Parma, e era sì assottigliata di fornimento
di vittuaglia, che poco tempo si poteano più tenere,
e ciò sapea bene lo 'mperadore per sue spie; e
per la detta cagione quasi gli tenea come gente vinta,
e poco gli curava. Avenne, come piacque
a Dio, che
uno giorno lo 'mperadore, per prendere suo diletto,
si andò in caccia con
uccegli e con cani, con certi
suoi baroni e famigliari, fuori di Vittoria; i cittadini
di Parma avendo ciò saputo per loro spie, come gente
avolontata, ma più come disperata, uscirono tutti
fuori di Parma armati, popolo e cavalieri,
a una ora,
e vigorosamente da più parti assaliro la detta bastita
di Vittoria. La gente dello 'mperadore improvisi, e
non con ordine, e con
poca guardia, come
coloro
che non curavano i nemici, veggendosi così sùbiti e
aspramente assaliti, e non essendovi il loro signore,
non ebbono nulla difesa, anzi si misono in fugga e
inn isconfitta; e sì erano tre
cotanti cavalieri e genti
a
piè che quegli di Parma; ne la quale sconfitta molti
ne furono presi e morti, e lo 'mperadore medesimo
sappiendo la
novella, con gran vergogna si fuggìo
a
Chermona; e' Parmigiani presono la detta bastita,
ove trovarono molto guernimento e vittuaglia, e molte
vasellamenta d'argento, e tutto il
tesoro che llo
'mperadore aveva in Lombardia, e la corona
del detto
imperadore, la quale i Parmigiani hanno ancora
nella sagrestia
del loro vescovado, onde furono tutti
ricchi; e spogliato il detto luogo della preda, vi misero
fuoco, e tutto l'abattero, acciò che mai non v'avesse
segno di
cittade, né di bastita; e ciò fu il primo
martedì di febbraio, gli
anni di Cristo
MCCXLVIII.
L. 7, cap. 35 rubr.
Come i Guelfi usciti di Firenze furono presi nel castello
di Capraia.
L. 7, cap. 35Poco tempo appresso lo 'mperadore si partì di
Lombardia, e lasciovvi suo vicario generale
Enzo re
di Sardigna suo figliuolo naturale, con gente assai
a
cavallo, sopra la taglia de' Lombardi, e venne in
Toscana,
e trovò che lla parte de' Ghibellini, che signoreggiavano
la
città di
Firenze,
del mese di marzo s'erano
posti
ad assedio
al castello di Capraia, nel quale
erano i caporali delle maggiori case de' nobili guelfi
usciti di
Firenze. Lo 'mperadore vegnendo in
Toscana,
non volle
entrare nella
città di
Firenze, né mai
v'era
entrato, ma se ne guardava, che per suoi aguri,
overo detto d'alcuno demonio, overo
profezia, trovava
ch'egli
dovea morire in
Firenze, onde forte
temea;
ma passò all'oste, e andossene
a soggiornare nel castello
di Fucecchio, e la maggior parte di sua gente
lasciò all'asedio di Capraia, il quale castello per forte
assedio e
fallimento di vittuaglia non possendosi più
tenere, feciono quegli d'
entro
consiglio di
patteggiare,
e avrebbono avuto ogni largo
patto ch'avessono
voluto; ma uno calzolaio uscito di
Firenze, ch'era
stato uno grande anziano, non essendo richesto
al
detto
consiglio, isdegnato si fece alla porta, e gridò
a
quegli dell'oste che lla terra non si potea più tenere;
per la qual cosa quegli dell'oste non vollono intendere
a
patteggiare, onde quegli d'
entro, come gente
morta, s'
arrendero
a la mercé dello imperadore; e ciò
fu
del mese di maggio, gli
anni di Cristo
MCCXLVIIII.
E' capitani de' detti Guelfi era il
conte
Ridolfo di
Capraia e messer Rinieri
Zingane de'
Bondelmonti; e
rapresentati
a Fucecchio allo 'mperadore, tutti gli ne
menò seco pregioni in Puglia, e poi per
lettere
a ambasciadori
mandatigli per gli Ghibellini di
Firenze,
a
tutti quegli delle gran case nobili di
Firenze fece
trarre gli occhi, e poi mazzerare in
mare, salvo messer
Rinieri
Zingane: perché 'l trovò savio e magnanimo
no· llo volle fare morire, ma
fecelo
abacinare degli
occhi, e poi in su l'isola di
Montecristo come religioso
finì sua vita. E 'l sopradetto calzolaio da quegli
di fuori fu guarentito, il quale, tornati poi i Guelfi in
Firenze, egli vi ritornò, e riconosciuto in
parlamento,
a grido di popolo fu lapidato, e vilmente per gli fanciulli
strascinato per la terra, e gittato
a' fossi.
L. 7, cap. 36 rubr.Come il re Luis di Francia fue sconfitto e preso da'
Saracini a la Monsura in Egitto.
L. 7, cap. 36Nel detto tempo essendo il buono
Luis re di
Francia
andato oltremare con grande stuolo e passaggio
di navilio, e in sua compagnia Ruberto
conte d'Artese
e
Carlo
conte d'Angiò suoi fratelli, con tutta la baronia
di
Francia, puosono in
Egitto con allegro
cominciamento,
ma con tristo fine; che nella loro venuta
ebbono di presente la
città di
Dammiata, e poi volendo
andare per forza d'arme
al
Caro e Babbillonia
d'
Egitto, ov'era il soldano e tutto suo podere, come
furono
al luogo detto la Monsura, avendo avute più
battaglie e assalti da Saracini, e di tutte essendo vincitori
i Franceschi, il soldano conoscendo ch'egli erano
in quella parte ch'
a llui piaceva,
maestrevolmente
fece rompere in più parti gli argini
del fiume
del Calice,
ch'esce dal fiume
del
Nilo, i quali argini sono
a
modo di quelli che sono sopra il fiume
del
Po in
Lombardia; e rotti i detti argini, il fiume che
soprasta
alle pianure d'
Egitto incontanente allagò tutto il
piano dov'era l'oste de' Franceschi per tale modo
che molti n'anegaro, e non potevano andare
a neuno
salvamento, né riconoscere
via o
cammino, né avere
mercato né vittuaglia; onde gran parte dell'oste chi
morì di
fame e chi affogò in acqua, e tutti i loro
cavalli
e bestiame moriro. Per la qual cosa di nicessità
quegli che scampati erano s'
arendero
a pregioni
al
soldano e
a' Saracini, e fu preso il detto re
Luis e
Carlo
conte d'Angiò suo fratello con molti baroni; e
morìvi Ruberto
conte d'Artese. Ma come piacque
a
Dio, avuti i Cristiani la detta aversità, il detto
Luis e'
suoi baroni tosto trovarono pace e redenzione da'
Saracini, ché rendendo la
città di
Dammiata, e pagando
CC.m di parigini furono liberi; ma
Carlo si fuggì
colla guardia ch'avea nome
Ferzacata. La detta
scofitta
fue
a dì
XXVII di marzo, gli
anni di Cristo
MCCL.
E come lo re
Luis e gli suoi baroni furono ricomperati,
e pagata la detta moneta, si tornarono in ponente;
e per
ricordanza della detta
presura, acciò che
vendetta ne fosse fatta o per
Luis o per li suoi, lo re
Luis fece fare nella moneta
del tornese grosso dal lato
della
pila le
bove da pregioni. E nota che quando
questa
novella venne in
Firenze, signoreggiando i
Ghibellini, ne feciono festa e
falò, secondo che si dice.
Lasceremo
a parlare de' Franceschi, e torneremo
a nostra materia,
a dire de' fatti di
Firenze, e di
Federigo
imperadore, e della sua fine.
L. 7, cap. 37 rubr.Come lo re Enzo figliuolo di Federigo imperadore
fue sconfitto e preso da' Bolognesi.
L. 7, cap. 37Negli anni di Cristo MCCL, del mese di maggio, lo
re Enzo figliuolo di Federigo imperadore, essendo
rimaso generale vicario e capitano della taglia in
Lombardia, venne ad oste sopra la città di Bologna, i
quali si teneano colla Chiesa di Roma, ed eravi il legato
del papa con gente d'arme al soldo della Chiesa.
I Bolognesi uscirono fuori vigorosamente, popolo e
cavalieri, incontra il detto re Enzo, e combattersi
co· llui, e sconfissollo e presollo nella detta battaglia
con molta di sua gente, e lui misono in carcere in
una gabbia di ferro, e in quella con grande misagio
finì sua vita a grande dolore.
L. 7, cap. 38 rubr.Come certi Ghibellini di Firenze furono sconfitti
nel borgo di Fegghine dagli usciti guelfi
L. 7, cap. 38Per la partita che llo 'mperadore fece di
Toscana,
e per la sconfitta ch'ebbe lo re
Enzo da' Bolognesi, come detto
avemo, la forza dello 'mperio cominciò
alquanto
a calare in
Toscana e in Lombardia; e quegli
che teneano parte guelfa e della Chiesa cominciarono
a prendere forza e vigore. Avenne che essendo
il vicario dello 'mperadore co' Fiorentini ghibellini
ad assedio
al castello d'Ostina in Valdarno, il quale
gli usciti guelfi di
Firenze aveano rubellato, e essendo
grande parte de la detta oste nel borgo di
Fegghine
per guardia, acciò che' Guelfi ch'erano co· lloro
amistade in
Montevarchi raunati non potessono venire
a soccorrere il detto castello d'Ostina, i detti
Guelfi partendosi di
Montevarchi la notte di santo
Matteo di settembre, gli
anni di Cristo
MCCL, vennero
e
entraro ne' detti borghi di
Fegghine, e subitamente
assalendo la detta gente, per la notte ch'era,
e sùbito assalto, sanza nulla
difenza furono sconfitti, e
la maggiore parte morti e presi per le case; e la mattina
vegnente si levò l'oste villanamente da Ostina, e
tornò in
Firenze.
L. 7, cap. 39 rubr.Come in Firenze si fece il primo popolo per riparare
le forze e le 'ngiurie che facieno i Ghibellini.
L. 7, cap. 39Tornata la detta oste in
Firenze, si ebbe infra' cittadini
grande
ripitio, imperciò che i Ghibellini che
signoreggiavano la terra gravavano il popolo d'incomportabili
gravezze, libbre e imposte; e con poco
frutto, che' Guelfi erano già isparti per lo
contado di
Firenze, e teneano molte castella, e faceano
guerra
alla
cittade, e oltre
a cciò quegli della casa degli
Uberti e tutti gli altri nobili ghibellini tiranneggiavano
il popolo di gravi torsioni e forze e ingiurie. Per
la qual cosa i buoni uomini di
Firenze raunandosi insieme
a romore, e feciono loro capo
a la chiesa di
San
Firenze; e poi per la forza degli Uberti non v'ardiro
a stare, sì n'andarono
a stare
a la chiesa de' frati
minori
a Santa
Croce, e ivi stando armati, non s'ardivano
di tornare
a lloro case, acciò che
dagli Uberti e
gli altri nobili, avendo lasciate l'arme, non fossono
rotti, e da le signorie condannati. Sì n'andaro armati
alle case delli
Anchioni da San Lorenzo, ch'erano
molto forti, e qui armati
durando, co· lloro forza feciono
XXXVI caporali di popolo, e levarono la signoria
a la podestà ch'allora era in
Firenze, e tutti gli uficiali
rimossono. E ciò fatto, sanza contasto sì ordinarono
e feciono popolo con certi
nuovi ordini e statuti,
e
elessono capitano di popolo messer Uberto da
Lucca; e fu il primo capitano di
Firenze; e feciono
XII anziani di popolo,
due per
ciascuno
sesto, i quali
guidavano il popolo e consigliavano il detto capitano,
e
ricogliensi nelle case della
Badia sopra la porta
che vae
a Santa Margherita, e tornavansi alle loro case
a mangiare e
a dormire. E ciò fu fatto
a dì
XX d'ottobre,
gli
anni di Cristo
MCCL, e in quello dì si diedono
per lo detto capitano
XX gonfaloni per lo popolo
a certi caporali partiti per compagnie d'arme e per
vicinanze, e
a più popoli insieme, acciò che quando
bisognasse,
ciascuno
dovesse trarre armato
al gonfalone
della sua compagnia, e poi co' detti gonfaloni
trarre
al detto capitano
del popolo. E feciono fare
una campana, la quale tenea il detto capitano in su la
torre
del Leone; e 'l gonfalone principale
del popolo,
ch'avea il capitano, era dimezzata bianca e
vermiglia.
Le
'nsegne de' detti gonfaloni erano queste: nel
sesto
d'Oltrarno, il primo si era il campo
vermiglio e la
scala bianca; il secondo, il campo bianco con una
ferza nera; il terzo, il campo azzurro iv'
entro una
piazza bianca con nicchi
vermigli; il quarto, il campo
rosso con uno
dragone verde. Nel
sesto di San Piero
Scheraggio, il primo fu il campo azzurro e uno carroccio
giallo, overo
a oro; il secondo, il campo giallo
con uno toro nero; il terzo, il campo bianco con uno
leone rampante nero; il quarto, era pezza gagliarda,
cioè
a liste
a traverso bianche e nere: questa era di
San
Pulinari. Nel
sesto di Borgo, il primo era il campo
giallo e una vipera, overo serpe verde; il secondo,
il campo bianco e una
aguglia nera; il terzo, il campo
verde con uno cavallo isfrenato
covertato
a bianco e
a croce rossa. Nel
sesto di San Brancazio, il primo, il
campo verde con uno
leone naturale rampante; il secondo,
il campo bianco con uno
leone rampante rosso;
il terzo, il campo azzurro con uno
leone rampante
bianco. In porte
del
Duomo, il primo, il campo
azzurro con uno
leone
a oro; il secondo, il campo
giallo con uno
drago verde; il terzo, il campo bianco
con uno
leone rampante azzurro incoronato. Nel
sesto
di porte San Piero, il primo, il campo giallo con
due chiavi rosse; il secondo,
a ruote
acerchiate bianche
e nere; il terzo, il di
sotto
a vai e di sopra rosso.
E come
ordinò il detto popolo le
'nsegne e gonfaloni
in
città, così fece in
contado
a tutti i
pivieri il suo
ch'erano
LXXXXVI; e
ordinargli
a leghe, acciò che
ll'una
atasse l'altra, e venissero
a
città e in oste quando
bisognasse. Per questo modo s'ordinò il popolo vecchio
di
Firenze, e per più fortezza di popolo ordinaro
e cominciaro
a fare il palagio il quale è di dietro
a
la
Badia, e in su la piazza di San
Pulinari, cioè quello
ch'è di pietre
conce
colla torre; ché prima non avea
palagio di Comune in
Firenze, anzi stava la signoria
ora in una parte de la
città e ora in altra. E come il
popolo ebbe presa signoria e stato, sì ordinaro per
più fortezza di popolo che tutte le torri di
Firenze,
che ce n'avea grande quantità
alte
CXX braccia, si tagliassono
e tornassono alla
misura di
L braccia e non
più, e così fu fatto; e delle pietre si
murò poi la
città
oltrarno.
L. 7, cap. 40 rubr.
Delle insegne per guerra ch'usava il Comune di
Firenze.
L. 7, cap. 40Poi ch'avemo detto de' gonfaloni e
insegne
del popolo,
è convenevole che facciamo menzione di quelle
de' cavalieri e della
guerra, e come i
sesti andavano
per ordine nell'osti. La 'nsegna della cavalleria
del
sesto d'Oltrarno era tutta bianca; quella di San Piero
Scheraggio
a traverso nera e gialla, e ancora oggi l'usano
i cavalieri in loro sopransegne
ad armeggiare;
quello di Borgo addogato per lungo bianco e azzurro;
quello di San Brancazio tutto
vermiglio; quello di
porte
del
Duomo era
; quello di porte San Piero
era tutto giallo. Le
'nsegne dell'oste erano le prime
del Comune
dimezzate bianche e
vermiglie: queste
aveva la podestà. Quelle della posta dell'oste e guardia
del carroccio erano
due, l'uno campo bianco e
croce piccola rossa, l'altro per contrario campo rosso
e croce bianca. Quello
del mercato era
; quelle
de'
balestrieri erano
due, l'una il campo bianco, e
l'altra
vermiglio, in
ciascuno il balestro; e per simile
modo quelle de' pavesari, l'uno gonfalone bianco col
pavese
vermiglio e il giglio bianco, e l'altro rosso col
pavese bianco e 'l giglio rosso; e quegli degli
arcadori
l'uno bianco e l'altro rosso, iv'
entro gli
archi; quello
della salmeria era bianco col
mulo nero; e quello
de' ribaldi bianco co' ribaldi dipinti in gualdana e
giucando. Queste
insegne de' cavalieri e dell'oste si
davano sempre il dì di Pentecosta ne la piazza di
Mercato Nuovo, e per antico così ordinate, e
davansi
a' nobili e popolani possenti per la podestà. I
sesti
quando andavano
tre insieme, era ordinato Oltrarno
Borgo, e San Brancazio, e gli altri
tre insieme: e
quando andavano
a
due
sesti insieme, andava Oltrarno
e San Brancazio, San Piero Scheraggio e Borgo,
porte
del
Duomo e porte San Piero; e questo ordine
fu molto antico. Lasceremo degli ordini di
Firenze, e
diremo della
morte di
Federigo imperadore, che
molto fu utole e bisognevole
a santa Chiesa, e
al nostro
Comune.
L. 7, cap. 41 rubr.Come lo 'mperadore Federigo morì a Firenzuola in
Puglia.
L. 7, cap. 41Nel detto
anno
MCCL, essendo
Federigo imperadore
in Puglia nella
città di
Fiorenzuola
a l'uscita
d'
Abruzzi, si amalò forte, e già
del suo aguro non si
seppe guardare, che trovava che
dovea morire in
Firenze,
e come dicemmo adietro, per la detta cagione
mai non volle
entrare in
Firenze, né in
Faenza;
ma male seppe interpetrare la parola
mendace
del dimonio,
che gli disse si guardasse che
morrebbe in
Firenze,
e elli non si guardò di
Fiorenzuola. Avenne che
agravando de la detta malatia, essendo co· llui uno
suo figliuolo bastardo ch'avea nome Manfredi, disiderando
d'avere il
tesoro di
Federigo suo padre, e la
signoria
del Regno e di Cicilia, e temendo che
Federigo
di quella malatia non iscampasse o facesse testamento,
concordandosi col suo segreto
ciamberlano,
promettendoli molti
doni e signoria, con uno
pimaccio
che
a
Federigo puose il detto Manfredi in su la
bocca, sì ll'afogò; e per lo detto modo morì il detto
Federigo
disposto dello 'mperio e scomunicato da
santa Chiesa, sanza penitenzia, o nullo sagramento di
santa Chiesa. E per questo potemo notare la parola
che Cristo disse nel Vangelio: «Voi
morrete nelle
peccata
vostre»; che così avenne
a
Federigo, il quale
fu così nimico di santa Chiesa, ch'egli fece morire la
moglie e
Arrigo re suo figliuolo, e
e videsi sconfitto
e preso
Enzo suo figliuolo, e egli dal suo figliuolo
Manfredi vilmente morto e sanza penitenza; e ciò
fu il dì di santa
Lucia di dicembre, gli
anni detti
MCCL. E lui morto, Manfredi detto prese la guardia
del reame e tutto il
tesoro, e 'l corpo di
Federigo fece
portare e soppellire nobilemente alla chiesa di
Monreale di sopra
a la
città di
Palermo in Cicilia, e
a
la sua
sepultura volendo scrivere molte parole di sua
grandezza e podere, e grandi cose fatte per lui, uno
cherico
Trottano fece questi brievi versi, i quali piacquero
molto
a Manfredi e
agli altri baroni, e fecegli
intagliare nella detta
sepultura, gli
quali diceano:
Si
probitas,
sensus,
virtutum
gratia,
census,
Nobilitas
orti
possint
resistere
morti,
Non
foret
extintus
Federicus
qui
iacet
intus.
E nota che in quello tempo che lo 'mperadore
Federigo
morìo avea mandato in
Toscana per tutti gli
stadichi
di Guelfi per
fargli morire; e andando in Puglia,
quando furono in Maremma, seppono
novelle
della
morte di
Federigo, le guardie per paura gli lasciarono;
i quali ricoverarono in Campiglia, e di là
tornarono
a
Firenze e nell'altre terre di
Toscana molto
poveri e bisognosi.
L. 7, cap. 42 rubr.Come il popolo di Firenze rimisono per pace i Guelfi
in Firenze.
L. 7, cap. 42La notte medesima che morì Federigo imperadore
morì il podestà che per lui era in Firenze, ch'avea
nome messer Rinieri da Montemerlo, che dormendo
nel letto suo gli cadde adosso una volta ch'era sopra
la camera, e ciò fu in casa gli Abati. E ciò fu bene segnale
che nella città di Firenze dovea morire la sua
signoria, e così avenne assai tosto; ché essendo levato
popolo in Firenze per le forze e oltraggi de' nobili
ghibellini, come avemo detto adietro, e vegnendo in
Firenze novelle de la morte del detto Federigo, pochi
giorni appresso, il popolo di Firenze rappellò e
rimisono in Firenze la parte de' Guelfi che fuori n'erano
cacciati, faccendo loro fare pace co' Ghibellini;
e ciò fu a dì VII di gennaio, gli anni di Cristo MCCL.
L. 7, cap. 43 rubr.
Come al tempo del detto popolo i Fiorentini sconfissono
i Pistolesi, e poi cacciarono certe case di Ghibellini
di Firenze.
L. 7, cap. 43Molto
esultò la parte della Chiesa e parte guelfa
per tutta Italia e per la
morte dello 'mperadore, e la
parte d'imperio e ghibellina abassò, imperciò che papa
Innocenzo tornò d'oltre i monti
colla
corte
a
Roma,
favorando i fedeli della Chiesa. Avenne che
del
mese di luglio, gli
anni di Cristo
MCCLI, il popolo e
Comune di
Firenze feciono oste
a la
città di Pistoia,
ch'erano loro ribelli, e combattero co' detti
Pistolesi,
e sconfissongli
a Monte
Robbolini con grande
danno
de' morti e de'
presi de'
Pistolesi. E allora era podestà
di
Firenze messer Uberto da
Mandella di Milano.
E per cagione che la maggiore parte delle case de'
Ghibellini di
Firenze non piacea la signoria
del popolo,
perché parea loro che
favorassono più ch'
a lloro
non piacea i Guelfi, e per lo passato tempo erano
usi di fare le forze e tiranneggiare per la baldanza
dello 'mperadore, sì non vollono seguire il popolo né
'l Comune
a la detta oste sopra Pistoia; anzi in detto
e in fatto la contradiaro per animosità di parte, imperciò
che Pistoia in quelli tempi si reggea
a parte
ghibellina; per la quale cagione e sospetto, tornata
l'oste da Pistoia vittoriosamente, le dette case de'
Ghibellini di
Firenze furono cacciati e mandati fuori
della
città per lo popolo di
Firenze il detto mese di
luglio
MCCLI. E cacciati i caporali de' Ghibellini di
Firenze, il popolo e gli Guelfi che dimoraro
a la signoria
di
Firenze si mutaro l'arme
del Comune di
Firenze;
e dove
anticamente si portava il campo rosso
e 'l giglio bianco, si feciono per contradio il campo
bianco e 'l giglio rosso, e' Ghibellini si ritennero la
prima insegna; ma lla insegna antica
del Comune dimezzata
bianca e rossa, cioè lo stendale ch'andava
nell'osti in sul carroccio, non si mutò mai. Lasceremo
alquanto de' fatti de' Fiorentini, e diremo alquanto
della venuta
del re
Currado figliuolo dello
'mperadore
Federigo.
L. 7, cap. 44 rubr.Come lo re Currado figliuolo di Federigo imperadore
venne d'Alamagna in Puglia, e ebbe la segnoria del
reame di Cicilia, e come morì.
L. 7, cap. 44Come il re
Currado d'Alamagna seppe la
morte
dello 'mperadore
Federigo suo padre, s'aparecchiò
con grande compagnia per passare in Puglia e in Cicilia,
per possedere il detto Regno,
del quale Manfredi
suo fratello bastardo s'era fatto vicario generale e
signoreggiava tutto, salvo la
città di Napoli e di Capova,
i quali s'erano rubellati per la
morte di
Federigo,
e tornati
a l'ubbidenza della Chiesa. E per cagione
della
morte
del detto
Federigo molte cittadi di
Lombardia e di
Toscana aveano fatta
mutazione, e
tornate
all'obedienza della Chiesa. Non si volle il
detto
Currado mettere
a passare per terra, ma lui arrivato
nella Marca di Trevigi, fece co' Viniziani apparecchiare
grande navilio, e di là per
mare con tutta
sua gente arrivò in Puglia gli
anni di Cristo
MCCLI. E
con tutto che Manfredi fosse
cruccioso della sua venuta,
perché intendea
a esser signore
del detto Regno,
a
Currado suo fratello fece grande accoglienza,
rendendogli molto onore e reverenza. E come fue in
Puglia, sì fece oste sopra la
città di Napoli, la quale
prima da Manfredi
prenze di Salerno per
V volte era
stata
osteggiata e assediata, e no· ll'avea potuta vincere,
ma
Currado con sua grande oste per lungo assedio
ebbe la
cittade, salvi le persone e la terra. Ma
Currado non attenne loro i
patti, ma come fu in Napoli
sì fece disfare le
mura e tutte le fortezze di Napoli;
e simigliantemente fece
a la
città di Capova che
s'era rubellata, e in poco di tempo tutto il Regno recò
sotto la sua signoria, abbattendo ogni ribello, o
che fosse amico o seguace di santa Chiesa; e non solamente
i laici, ma i religiosi e le sacre persone, fece
morire per
tormenti,
rubando le chiese, e abbattendo
chi non era della sua obbedienza, e promovendo i
benefici, come fosse papa, sì che se
Federigo suo padre
fue persecutore di santa Chiesa, questo
Currado,
se fosse vivuto lungamente, sarebbe stato peggiore.
Ma come piacque
a Dio, poco appresso infermò di
grande malatia, ma non però mortale, e faccendosi
curare
a medici
fisiziani, Manfredi suo fratello, per
rimanere signore, il fece
a' detti medici per moneta e
gran
promesse avelenare in uno
cristeo, e per tale
sentenzia di Dio, per opera
del fratello, di tale
morte
morìo sanza penitenzia e scomunicato gli
anni di
Cristo
MCCLII. E di lui rimase in Alamagna uno picciolo
figliuolo ch'ebbe nome
Curradino, nato per
madre della
figlia
del
duca di Baviera.
L. 7, cap. 45 rubr.
Come Manfredi figliuolo naturale di Federigo prese
la signoria del regno di Cicilia e di Puglia, e fecesi coronare
re.
L. 7, cap. 45Morto
Currado detto re della Magna, Manfredi rimase
signore e balio di Cicilia e
del Regno, con tutto
che per la
morte di
Currado alquante terre
del Regno
si
rubellassono, e papa
Innocenzo quarto con
grande oste della Chiesa si mise nel Regno per
racquistare
la terra che tenea Manfredi contra volontà
della Chiesa, e sì come scomunicato. E come la detta
oste della Chiesa fu
entrata nel Regno, tutte le
città e
castella infino
a Napoli s'
arendero
al detto papa; ma
poco lui dimorato in Napoli, infermò e passò di questa
vita gli
anni di Cristo
MCCLII, e nella
città di Napoli
fue soppellito. E per la
morte
del detto papa, e
per la
vacazione che dopo lui ebbe la Chiesa, che più
di
due
anni stette sanza pastori, Manfredi
racquistò
tutto il Regno, e
crebbe molto la sua forza e lungi e
appresso; e con grande
studio s'intendea con tutte le
città d'Italia, ch'erano Ghibellini e fedeli dello imperio,
e
aiutavagli co' suoi cavalieri tedeschi, faccendo
co· lloro taglia e compagnia in
Toscana e in Lombardia.
E quando il detto Manfredi si vide in gloria e
inn istato, si pensò di farsi fare re di Cicilia e di Puglia,
e perché ciò gli venisse fatto, si recò
ad amici
con ispendio, e
doni, e
promesse, e ufici, i maggiori
baroni de· Regno. E sappiendo come
del re
Currado
suo fratello era rimaso uno suo figliuolo chiamato
Curradino, il quale per ragione era diritto erede
del
reame di Cicilia, e era in Alamagna
a la guardia della
madre, sì si pensò una frodolente malizia per esser
re, ch'elli raunò tutti i baroni
del Regno, e propuose
loro quello ch'avesse
a ffare della signoria, con ciò
fosse
cosa che elli avesse
novelle come il suo nipote
Curradino era grave infermo, e da non potere mai
reggere reame; onde per gli suoi baroni fue consigliato
che mandasse suoi ambasciadori in Alamagna
a sapere dello stato di
Curradino, e se fosse morto o
infermo. Infino allora consigliavano che Manfredi
fosse fatto re.
A cciò s'accordò Manfredi, come colui
che tutto avea ordinato fittiziamente, e mandati i
detti ambasciadori
a
Curradino e
a la madre con ricchi
presenti e grandi proferte. I quali ambasciadori
giunti in Soavia, trovarono il garzone che la madre
ne facea gran guardia, e co· llui tenea più altri fanciulli
di gentili uomini vestiti di sua roba: dimandando
i detti ambasciadori
Curradino, la madre temendo
di Manfredi, sì mostrò loro uno de' detti fanciulli.
E quegli con ricchi presenti gli feciono
doni e reverenzia,
intra' quali
doni furono de'
confetti di Puglia
avelenati, e quello garzone prendendone, tosto morìo.
Eglino credendo
Curradino avere morto di veleno,
si partirono d'Alamagna, e come furono tornati
in Vinegia, feciono fare alla loro
galea
vele di panno
nero e tutti gli
arredi neri, e eglino si vestiro
a nero;
e sì come giunsono in Puglia feciono sembiante di
grande dolore, sì come da Manfredi erano amaestrati.
E
rapportato
a Manfredi e
a' baroni tedeschi
del
Regno come
Curradino era morto, e fatto per Manfredi
sembiante di grande corrotto,
a grido de' suoi
amici e di tutto il popolo, sì come avea ordinato, fu
eletto re di
Cicilla e di Puglia, e
a Monreale in Cicilia
si fece coronare gli
anni di Cristo
MCCLV.
L. 7, cap. 46 rubr.De la guerra che fu tra papa Allessandro e lo re
Manfredi.
L. 7, cap. 46Dopo la
morte di papa
Innocenzo e della sua
vacazione
fu eletto papa
Allessandro quarto, nato della
città d'Alagna di Campagna, gli
anni di Cristo
MCCLV, e sedette nel
papato
anni
VII, mesi, e dì. Il
qual papa
Allessandro avendo inteso come Manfredi
s'era
coronato re di Cicilia contra la volontà di santa
Chiesa, per lo detto papa fu richesto Manfredi che
lasciasse la signoria
del Regno e di Cicilia, il quale
non volle intendere né ubidire; per la qual cosa il
detto papa prima lo scomunicò e privò. E poi mandò
contro
a llui
Otto cardinale legato con grande oste
della Chiesa, e prese molte terre della marina di Puglia,
ciò fu la
città di
Sipanto, e il Monte
Santagnolo,
e
Barletta, e
Bari, infino
a
Otranto in Calavra; ma
poi la detta oste per la
morte
del detto legato tornò
in vano, e Manfredi riprese e
racquistò tutto; e ciò fu
gli
anni di Cristo
MCCLVI. Il detto re Manfredi fue
nato per madre d'una
bella donna de' marchesi Lancia
di Lombardia, con cui lo 'mperadore ebbe affare;
e fu bello
del corpo, e come il padre, e più, dissoluto
in ogni lussuria; sonatore e cantatore era, volentieri
si vedea intorno
giocolari e uomini di
corte, e belle
concubine, e sempre si vestìo di
drappi verdi; molto
fue largo e cortese e di buon'
aire, sì ch'egli era molto
amato e grazioso; ma tutta sua vita fue
epicuria, non
curando quasi Idio né santi, se non
al diletto
del corpo.
Nimico fu di santa Chiesa, e di
cherici e de' religiosi,
occupando le chiese, come il suo padre e più;
ricco signore fu, sì
del
tesoro che gli rimase dello
'mperadore e
del re
Currado suo fratello, e per lo
suo regno ch'era largo e fruttuoso. E egli, mentre che
vivette, con tutte le guerre ch'ebbe
colla Chiesa, il
tenne in buono stato, sì che 'l montò molto di ricchezze
e in podere per
mare e per terra. Per moglie
ebbe la figliuola
del dispoto di
Romania, ond'ebbe
figliuoli e figliuole. L'arme che prese e portò fue
quella dello 'mperio, salvo ove lo 'mperadore suo padre
portò il campo
ad oro e l'
aguglia nera, egli portò
il campo d'argento e l'
aguglia nera. Questo Manfredi
fece disfare la
città di
Sipanto in Puglia, perché per
gli paduli che l'erano intorno non era sana, e non
avea porto; e di quelli cittadini fece ivi presso
a
due
miglia, in su la roccia e in luogo d'avere buono porto,
fece
fondare una terra, la quale per suo nome la
fece chiamare Manfredonia, la quale ha oggi il migliore
porto che sia da Vinegia
a Brandizio. E di
quella terra fue Manfredi
Bonetta,
conte camerlingo
del detto re Manfredi, uomo di gran diletto, sonatore
e cantatore, il quale per sua memoria fece fare la
grande campana di Manfredonia, la qual è la più
grande che si truovi di larghezza, e per la sua grandezza
non può sonare. Lasceremo alquanto
a parlare
di Manfredi infino che luogo e tempo sarà, e torneremo
ove lasciammo adietro
a nostra materia de' fatti
di
Firenze, e di
Toscana, e di Lombardia, con tutto
ch'assai si
mischiaro co' fatti
del detto re Manfredi
in più cose.
L. 7, cap. 47 rubr.Come i Fiorentini sconfissono gli Ubaldini in Mugello.
L. 7, cap. 47Negli anni di Cristo MCCLI i signori della casa degli
Ubaldini co· lloro amistadi di Ghibellini e di Romagnuoli
aveano fatta gran raunanza in Mugello per
fare oste a Monte Accianico, che ancora non era loro.
I Fiorentini vi cavalcaro, e sconfissono i detti
Ubaldini con gran danno di loro e di loro amistà.
L. 7, cap. 48 rubr.Come i Fiorentini presono Montaia, e misono in
isconfitta le masnade de' Sanesi e de' Pisani.
L. 7, cap. 48Nel detto
anno essendo i Ghibellini usciti di
Firenze
entrati con masnade di Tedeschi, e rubellato
al
Comune di
Firenze il castello di Montaia in Valdarno,
e
cavalcatovi i cavalieri delle
quattro sestora di
Firenze, che v'erano andati per porvi l'oste, i Ghibellini
colla forza delle masnade de' Tedeschi non lasciarono
acampare i Fiorentini, ma da' detti Ghibellini
e Tedeschi furono rotti e cacciati. Per la qual cosa
i Fiorentini per comune, popolo e cavalieri, co'
Lucchesi e loro amistade
del mese di gennaio v'andaro
ad oste, e non lasciarono per lo forte tempo e
grandissime
nevi ch'erano allora che non tenessono
l'assedio intorno intorno
al castello, per modo che
non vi potea
entrare né uscire persona, gittandovi
dentro più
difici.
Al soccorso
del detto castello vennoro
le masnade de' cavalieri di Siena e di
Pisa, con
popolo assai
del
contado di Siena, che allora si teneano
a parte ghibellina; per la qual venuta de' Sanesi
e de' Pisani si ricominciò la
guerra da lloro
a'
Fiorentini. E loro venuti,
colle loro forze si puosono
a campo
a la
badia
a
Coltobuono presso
a Montaia
a
uno miglio. I Fiorentini ordinati i loro battifolli intorno
al castello di pedoni e di buone guardie, la cavalleria
di
Firenze con certi pedoni eletti lasciarono
l'assedio, e francamente s'
adirizzaro contro
a' Pisani
e' Sanesi per combattere, non lasciando per le
nevi
né per la salita
del
poggio. Veggendo ciò i nimici,
sanza attendere i Fiorentini si fuggiro vilmente in
isconfitta con grande
danno di loro e di loro arnesi;
e veggendo ciò quegli
del castello, s'
arendero
a pregioni,
i quali tutti ne furono
menati legati in
Firenze,
e 'l castello disfatto e abattuto; e ciò fu
del detto mese
di gennaio, essendo podestà di
Firenze messere
Filippo degli
Ugoni da Brescia.
L. 7, cap. 49 rubr.
Come i Fiorentini presono Tizzano e poi sconfissono
i Pisani al Ponte ad Era, avendo i Pisani sconfitti i
Lucchesi.
L. 7, cap. 49Nel detto anno MCCLII i Fiorentini andaro per comune
ad oste a Pistoia, e guastarla intorno, e puosono
l'assedio al loro castello di Tizzano, e ebbollo a
patti a dì XXIIII di giugno nel detto anno. E essendo
la detta oste de' Fiorentini a Tizzano, ebbono novelle
come i Pisani coll'aiuto de' Sanesi aveano sconfitti
i Lucchesi a Montetopoli; incontanente compiero i
patti e ebbono il castello, e si levaro da oste, e passaro
in Valdarno per seguire i Pisani e loro oste, i quali
sopragiunsono al Ponte ad Era, e quivi ebbe grande
battaglia. A la fine i Pisani furono sconfitti, e' Lucchesi,
che gli aveano legati pregioni, legaro e presono
i Pisani, e la caccia fu infino a la badia a San Savino
presso a Pisa a tre miglia, onde molti ne furono
morti de' Pisani e de' Sanesi, e presi più di III.m, i
quali ne vennero legati a Firenze, sanza quegli che ne
menarono i Lucchesi; e fu presa la podestà di Pisa,
ch'avea nome messer Angiolo di Roma. E ciò fu al
tempo ch'era podestà di Firenze messere Filippo delli
Ugoni di Brescia, il primo dì del mese di luglio nel
detto anno MCCLII.
L. 7, cap. 50 rubr.Come fu fatto il ponte a Santa Trinita.
L. 7, cap. 50In questo tempo essendo la
città di
Firenze per la
signoria
del popolo in felice stato, si fece il ponte sopra
l'Arno di Santa Trinita
a casa i
Frescobaldi oltrarno;
e in ciò adoperò molto il
procaccio di
Lamberto
Frescobaldi, il quale era nel popolo grande anziano,
ed egli e' suoi venuti in grande stato e ricchezza.
L. 7, cap. 51 rubr.Come i Fiorentini presono il castello di Fegghine.
L. 7, cap. 51Nel detto tempo, essendo gli usciti ghibellini di
Firenze col conte Guido Novello della casa de' conti
Guidi e ritratti nel castello di Fegghine, il quale era
molto forte, e rubellatolo al Comune di Firenze, essendo
l'oste de' Fiorentini fuori sopra i Pisani, come
detto è di sopra, tornata la detta oste vittoriosamente
in Firenze, incontanente sanza soggiorno andarono e
puosonsi ad oste a Fegghine, e a quella dirizzarono
difici, e diedonvi aspre battaglie; alla fine s'arendero
a patti d'andarne sani e salvi il conte co' forestieri, e'
Ghibellini usciti di tornare in Firenze per pace; e ciò
fu perché più casati guelfi ch'erano terrazzani di
Fegghine, non piacendo loro la signoria de' Ghibellini,
cercaro il detto trattato. E chi disse che quegli
della casa de' Franzesi, per moneta ch'ebbono da'
Fiorentini, aveano ordinato di dare loro il castello;
per la qual cosa il conte e gli usciti di Firenze vennero
a' detti patti. E partitone il conte e sua gente, la
terra fue contra' patti rubata e arsa e abattuta; e ciò
fu alla signoria del detto messer Filippo degli Ugoni,
del mese d'agosto gli anni di Cristo MCCLII.
L. 7, cap. 52 rubr.
Come i Sanesi furono sconfitti da' Fiorentini a
Monte Alcino.
L. 7, cap. 52Nel detto tempo, essendo l'oste de' Fiorentini a
Fegghine, i Sanesi andarono ad oste a Monte Alcino,
il qual era raccomandato del Comune di Firenze per
gli patti della pace tra' Fiorentini e' Sanesi, e molto
aveano istretto il castello con battaglie e difici; e ciò
sentendo i Fiorentini, incontanente v'andarono al
soccorso, e combattero co' Sanesi, e sconfissongli, e
molti ne furono morti e presi, e per gli Fiorentini fue
guernito Monte Alcino; ed era podestà di Firenze il
detto messer Filippo degli Ugoni; ciò fu gli anni di
Cristo MCCLII del mese di settembre. E tornaro in
Firenze con grande vittoria di più battaglie di campo,
vinte e più terre e castella; ma a quello tempo i
Fiorentini erano uniti per lo buono popolo, e andavano
in persona a cavallo e a piè nell'osti, e con cuore
e con franchezza, sicché di tutte patti bene aventurosamente
in questo anno recarono triunfo e vittoria
in Firenze.
L. 7, cap. 53 rubr.Come di prima si feciono in Firenze i fiorini dell'
oro.
L. 7, cap. 53Tornata e riposata l'oste de' Fiorentini
colle vittorie
dette dinanzi, la
cittade montò molto inn istato e
in ricchezze e signoria, e in gran tranquillo: per la
qual cosa i mercatanti di
Firenze, per onore
del Comune,
ordinaro col popolo e comune che ssi battesse
moneta d'oro in
Firenze; e eglino
promisono di fornire
la moneta d'oro, che in prima battea moneta
d'ariento da danari
XII l'uno. E allora si cominciò la
buona moneta d'oro fine di
XXIIII carati, che si chiamano
fiorini d'oro, e
contavasi l'uno soldi
XX; e ciò
fu
al tempo
del detto messere
Filippo degli
Ugoni di
Brescia,
del mese di novembre gli
anni di Cristo
MCCLII. I quali fiorini, gli
otto pesavano una oncia, e
dall'uno lato era la
'mpronta
del giglio, e dall'altro il
san Giovanni. Per cagione della detta
nuova moneta
del fiorino d'oro, sì cci
acadde una
bella
novelletta, e
da
dovere notare. Cominciati i detti
nuovi fiorini
a
spargersi per lo
mondo, ne furono portati
a
Tunisi in
Barberia; e recati dinanzi
al re di
Tunisi, ch'era valente
e savio signore, sì gli piacque molto, e
fecene
fare
saggio, e trovata di fine oro, molto la commendò,
e fatta interpetrare
a' suoi interpetri la
'mpronta
e scritta
del fiorino, trovò dicea: «Santo Giovanni
Batista»; e dal lato
del giglio: «
Fiorenzia». Veggendo
era moneta di Cristiani, mandò per gli mercatanti
pisani che allora erano franchi e molto innanzi
al re
(e eziandio i Fiorentini si
spacciavano in
Tunisi per
Pisani), e
domandogli che
città era tra' Cristiani
quella
Florenza che faceva i detti fiorini. Rispuosono
i Pisani dispettosamente e per invidia, dicendo: «Sono
nostri
Arabi fra terra», che tanto viene
a dire come
nostri
montanari. Rispuose
saviamente il re:
«Non mi
pare moneta d'
Arabi; o voi Pisani, quale
moneta d'oro è la vostra?». Allora furono
confusi e
non seppono rispondere. Domandò se tra lloro era
alcuno di
Florenza;
trovovisi uno mercatante d'Oltrarno
ch'avea nome Pera
Balducci, discreto e savio.
Lo re lo domandò dello stato e essere di
Firenze, cui
i Pisani faceano loro
Arabi; lo quale
saviamente rispuose,
mostrando la
potenzia e la magnificenzia di
Fiorenza, e come
Pisa
a comparazione non era di podere
né di gente la metà di
Firenze, e che non aveano
moneta d'oro, e che il fiorino era guadagnato per
gli Fiorentini sopra loro per molte vittorie. Per la
qual cagione i detti Pisani furono
vergognati, e lo re
per cagione
del fiorino, e per le parole
del nostro savio
cittadino, fece franchi i Fiorentini, e che avessono
per loro fondaco d'abitazione e chiesa in
Tunisi,
e
privilegiogli come i Pisani. E questo sapemo di vero
dal detto Pera, uomo degno di fede, che cci trovammo
co· llui in compagnia all'uficio
del priorato.
L. 7, cap. 54 rubr.Come i Fiorentini feciono oste a Pistoia, e ebborla,
e poi la città di Siena, e presono più loro castella.
L. 7, cap. 54Negli
anni di Cristo
MCCLIII i Fiorentini feciono
oste sopra la
città di Pistoia, che si tenea
a parte ghibellina,
e guastarla intorno intorno, per modo che
neuno ne potea uscire. I
Pistolesi veggendosi così assediati,
sanza speranza di soccorso o aiuto neuno, sì
s'
arrenderono,
a
patti di rimettere i loro usciti guelfi
in Pistoia, e che i Fiorentini vi facessono uno castello
il quale fosse in sulla porta che viene da
Firenze,
e quello si facesse guardare per gli Fiorentini; e così
fue fatto forte e bello, con tutto che assai dispiacesse
a'
Pistolesi; ma tuttora si tenne per gli Fiorentini infino
che
durò il buono popolo vecchio. Ma dopo la
sconfitta da Monte Aperti, tornati i Ghibellini in Pistoia,
si disfece il detto castello per gli
Pistolesi. E
tornata la detta felice oste
a
Firenze, incontanente
andarono sopra la
città di Siena, e diedono il guasto,
e andarono infino
al castello di Monte Alcino ch'è di
là da Siena, e contra la forza de' Sanesi guernirono il
detto castello, imperciò ch'era
a lloro lega e
accomandagione;
e presono
Rapolano e più altre castella
e fortezze de' Sanesi, e tornarono in
Firenze con
grande onore; e
a quello era podestà di
Firenze messer
Paolo da Soriano.
L. 7, cap. 55 rubr.Come i Fiorentini feciono oste a Siena, e' Sanesi feciono
le comandamenta, e fue pace tra lloro.
L. 7, cap. 55Nell'
anno
seguente
MCCLIIII, essendo podestà di
Firenze messer
Guiscardo da Pietrasanta di Milano, i
Fiorentini feciono oste per comune sopra la
città di
Siena, e puosono il campo e assedio
al castello di
Montereggione; e di certo l'avrebbono avuto, però
che i Tedeschi che 'l guardavano erano in trattato di
renderlo per libbre
L.m di soldi
XX il fiorino d'oro; e
trovato gli anziani in una notte solo
XX cittadini che
ciascuno ne proferse
M, sanza quegli delle minori
somme; sì erano allora i cittadini in buona
disposizione
per lo bene
del comune! Ma i Sanesi per non
perdere
Montereggioni feciono le comandamenta
de' Fiorentini, e fue fatta pace tra lloro e' Sanesi, e
al
tutto
quetaro
a' Fiorentini il castello di Monte Alcino.
L. 7, cap. 56 rubr.Come i Fiorentini ebbono il castello di Poggibonizzi
e quello di Mortenana.
L. 7, cap. 56Nel detto anno partitasi la detta bene aventurosa
oste de' Fiorentini di su il contado di Siena, sì ebbono
il castello di Poggibonizzi a patti, e poi il castello
di Mortenana degli Isquarcialupi ebbono per forza e
per ingegno, ch'era rubellato da' Fiorentini; e coloro
che prima v'entrarono dentro furono fatti franchi in
perpetuo da' Fiorentini.
L. 7, cap. 57 rubr.Come i Fiorentini sconfissono i Volterrani e combattendo
presono la città di Volterra.
L. 7, cap. 57Come la detta oste si partì da
Poggibonizzi, sanza
tornare in
Firenze, andò sopra la
città di Volterra
che lla teneano i Ghibellini, e giugnendo la detta
oste su per le piagge e vigne di Volterra guastando,
per intendimento che come l'avessono guasta tornarsi
a
Firenze, con ciò fosse che lla
città di Volterra
fosse delle più forti terre d'Italia, avenne, come piacque
a Dio, una
bella e improvisa vittoria
a' Fiorentini;
che' Volterrani, veggendo l'oste presso
a le porte
della loro
città, con grande rigoglio e baldanza tutta
la buona gente de la terra usciro fuori
a la battaglia
sanza niuno buono ordine di
guerra o
capitaneria, e
assaliro i Fiorentini molto aspramente, e assai gli
danneggiaro per lo
vantaggio della scesa dal
poggio.
Ma il buono popolo de' Fiorentini vigorosamente
sostennero
la battaglia; e cominciato l'asalto, la cavalleria
de' Fiorentini
pinse
al
poggio all'aiuto
del popolo
che combatteano co' Volterrani, per modo che per
forza gli misono in volta e in isconfitta. E fuggendo i
Volterrani per ricoverare nella
città, ch'erano le porte
aperte, i Fiorentini mischiati co' Volterrani, combattendo
co· lloro e cacciando insieme, sanza grande
contasto si misono dentro
a le porte; e quegli ch'erano
a la guardia, veggendo i loro cittadini tornare in
isconfitta, si misono
a la fugga per modo che, ingrossando
la gente de' Fiorentini, presono le porte, e le
fortezze di sopra guerniro di loro gente, e
entrato
dentro, incontanente corsono la
città sanza contasto
niuno, anzi vennono loro incontro il vescovo con
tutto il
chericato della
città
colle
croci in mano, e le
donne della
città scapigliate, gridando pace e misericordia.
Per la qual cosa i Fiorentini,
entrati nella terra,
non vi lasciarono fare nulla ruberia, né micidio,
né altro malificio, se non che
a lloro guisa riformaro
la signoria, e poi ne mandarono fuori i caporali de'
Ghibellini; e questo fue
del mese d'
agosto gli
anni di
Cristo
MCCLIIII,
a la detta signoria di messere
Guiscardo
da Pietrasanta.
L. 7, cap. 58 rubr.
Come i Fiorentini andaro ad oste sopra Pisa, e' Pisani
feciono le loro comandamenta.
L. 7, cap. 58Come i Fiorentini ebbono riformata la
città di
Volterra
a lloro volontà, sanza tornare in
Firenze, la
loro bene
aventurosa oste andarono sopra la
città di
Pisa. I Pisani avendo intese le vittorie de' Fiorentini,
e la presa della forte
città di Volterra, isbigottiti molto,
mandarono loro ambasciadori
a l'oste de' Fiorentini
colle chiavi in mano in
segno d'umiltà, per trattare
di pace, e fare il piacere de' Fiorentini; la qual pace
fue accettata in questo modo: che' Fiorentini
a
perpetuo fossono franchi in
Pisa, sanza pagare niente
di gabella né di niuno diritto di nulla
mercatantia
che
entrasse o uscisse in
Pisa per
mare o per terra, e
che i Pisani terrebbono il peso di
Firenze, e la
misura
de' panni, e una lega di moneta, e di non essere
contradi né fare
guerra
a' Fiorentini, né dare aiuto
privato o palese
a' loro nemici; e per
patto domandaro
la terra di Piombino o 'l castello di Ripafratta.
E sentendo ciò i Pisani furono molto
crucciosi, spezialmente
perché i Fiorentini non prendessero Piombino
per cagione
del porto, e disdire non poteano la
richesta de' Fiorentini. Uno Pisano ch'avea nome
Vernagallo disse: «Se noi vogliamo ingannare i Fiorentini,
mostrianne più
teneri di Ripafratta che di
Piombino, e eglino per prendere più tosto quello che
più ci
spiaccia, e per
infestamento de' Lucchesi,
prenderanno Ripafratta»; e così avenne, e Ripafratta
presono, e poco appresso i Fiorentini la donaro
a'
Lucchesi. E ciò fu poco senno per gli Fiorentini,
ch'avendo Piombino, e porto in
mare, e la signoria
di Volterra, troppo n'acrescea la
città di
Firenze. E
per ciò tenere fermo, diedono i Pisani
a' Fiorentini
cinquanta
stadichi de' migliori uomini di
Pisa, i quali
ne vennero in
Firenze; ma poco tempo i detti Pisani
attennero la detta pace. E ciò fatto per gli Fiorentini,
la detta felice e bene
aventurosa oste tornò in
Firenze
con grande trionfo e onore; e ciò fu
del mese di
settembre, gli
anni di Cristo
MCCLIIII, essendo podestà
di
Firenze il detto messer
Guiscardo da Pietrasanta
di Milano. E il detto
anno fue per gli Fiorentini
chiamato l'
anno vittorioso; che ciò che per la detta
oste s'imprese di fare venne loro bene fatto, e con
grande vittoria e onore. Lasceremo alquanto de' fatti
di
Firenze, e diremo d'altre
novitadi state ne' detti
tempi in diverse parti brievemente.
L. 7, cap. 59 rubr.Come il grande Cane de' Tartari si fece Cristiano, e
mandò sua oste col fratello sopra i Saracini in Soria.
L. 7, cap. 59Negli
anni di Cristo
MCCLIIII Mango, nipote che
fu de
Occota Cane imperadore de' Tartari,
a richesta
e amaestramento
del re
Aiton d'
Ermenia si fece battezzare
Cristiano, e col detto re d'
Ermenia mandò
Haloon suo fratello con grandissimo
esercito di Tartari
a cavallo per conquistare la Terrasanta, e
renderla
a' Cristiani. E vegnendo per lo reame di Persia,
isconfisse il calif di Baldacca, ciò era il papa de' Saracini,
e prese il detto calif e la
città di
Baldracca, che
anticamente fue la grande Babbillonia chiamata, e 'l
detto calif mise in pregione nella camera
del suo
tesoro
medesimo, la quale era la più ricca d'oro e d'argento
e di pietre preziose che fosse
al
mondo, e per
avarizia non avea soldati, cavalieri, e genti
a sua
difenzione.
Per la qual cosa il detto imperadore de'
Tartari gli disse che
del suo
tesoro che s'avea serbato
convenia che mangiasse, e vivesse sanza altra
vivanda;
e così tra quello
tesoro morì di
fame: e ciò fu gli
anni di Cristo
MCCLVI. Appresso il detto
Haloon col
re d'
Ermenia discesono in Soria, vegnendo conquistando
le province e terre di Saracini, e per forza
presono la
città d'Alappo, e quella di
Damasco, e
Antioccia, che teneano i Saracini; e il soldano d'Alappo
fu preso, e tutto suo paese distrutto; e ciò fu
gli
anni di Cristo
MCCLX. Ma ciò fatto, non compié
di
racquistare Gerusalem, perch'ebbe
novelle che
Mango Cane imperadore suo fratello era morto; e
per essere egli gran Cane, cioè in nostra lingua grande
imperadore, tornò in suo paese, e lasciòe il conquisto
della detta Terrasanta.
L. 7, cap. 60 rubr.Come si cominciò la prima guerra tra' Genovesi e'
Viniziani.
L. 7, cap. 60Negli
anni di Cristo
MCCLVI si cominciò nella
città
d'
Acri in Soria la
guerra tra' Genovesi e' Viniziani,
per cagione che
ciascuno di loro Comuni vi volea essere
il maggiore, e per la possessione di San Sabe
d'
Acri, che
ciascuno la volea; onde
derivò molto di
male per gli tempi appresso, come di loro fatti faremo
menzione. In quella
riotta i Viniziani furono soperchiati
da' Genovesi, ma ivi
a
due
anni, ciò fu nel
MCCLVIII, trovandosi in
Acri l'armata de' Genovesi,
ch'erano
L galee e
IIII navi, furono sconfitti dall'armata
de' Viniziani, e prese
XXIIII galee, e morti più
di
MDCC Genovesi; e disfeciono i Viniziani la ruga
de' Genovesi e una loro
bella torre che si chiamava
la Mongioia, e recarne delle pietre infino in Vinegia:
era loro amiraglio uno di quegli da ca'
Corino.
L. 7, cap. 61 rubr.Come il conte Guido Guerra cacciò la parte ghibellina
d'Arezzo, e come i Fiorentini la vi rimisono.
L. 7, cap. 61Negli
anni di Cristo
MCCLV i Fiorentini in
servigio
delli Orbitani, i quali aveano
guerra co' Viterbesi e
cogli altri loro vicini ghibellini e fedeli dello 'mperio
e di Manfredi, mandarono loro inn aiuto
Vc cavalieri,
onde feciono capitano il
conte
Guido
Guerra de'
conti
Guidi; e giunto lui in
Arezzo
colla detta cavalleria,
sanza volontà o mandato
del Comune di
Firenze,
cacciò d'
Arezzo la parte ghibellina, i quali Aretini
erano in pace co' Fiorentini. Per la qual cosa il popolo
di
Firenze, adirato contro
al detto
conte, v'andarono
ad oste
ad
Arezzo, e tanto vi stettono ch'egli
ebbono la terra
a lloro
comandamento, e
rimisonvi i
Ghibellini, e 'l detto
conte se ne partì; ma vi si volle
prima
dagli Aretini libbre
XIIm, i quali i Fiorentini
prestarono
al Comune di
Arezzo, ma non so s'elli si
riebbono mai. E in questo tempo messer Alamanno
de la Torre di Milano era podestà di
Firenze.
L. 7, cap. 62 rubr.Come i Pisani ruppono la pace; e come i Fiorentini
gli sconfissono al ponte al Serchio.
L. 7, cap. 62Negli
anni di Cristo
MCCLVI, ancora essendo podestà
di
Firenze il detto messer Alamanno, i Pisani
per caldo e
sodducimento
del re Manfredi ruppono
la pace ch'era tra lloro e' Fiorentini e' Lucchesi, e andarono
sopra il
contado di Lucca
a oste
al castello
del ponte
al Serchio. Per la qual cosa i Fiorentini andaro
ad oste sopra
Pisa da la parte di Lucca
al soccorso
del detto castello; e quivi assaliti i Pisani da'
Fiorentini e Lucchesi, furono rotti e sconfitti, e molti
morti, e presi più di
III.m, e annegati nel fiume
del
Serchio in grande quantità. E ciò fatto, i Fiorentini
vennero
ad oste
a
Pisa infino
a Sa· Iacopo in Valdiserchio,
e quivi tagliaro uno grande pino, e battero
in sul ceppo
del detto pino i fiorini d'oro; e per
ricordanza
quelli che in quello luogo furono
coniati
ebbono per
contrasegna tra' piedi di santo Giovanni
quasi come uno trefoglio,
a guisa d'uno piccolo albero;
e de' nostri dì ne vedemmo noi assai di quelli fiorini.
I Pisani vedendosi così sconfitti e assediati, feciono
pace co' Fiorentini e co' Lucchesi, con ogni
reverenza e
patti che' Fiorentini seppono divisare.
Intra gli altri
patti vollono i Fiorentini in
servigio de'
Lucchesi, e ancora per avere libera la piaggia
del
Motrone per le loro
mercatantie, che 'l castello
del
Motrone, che 'l teneano i Pisani, fosse
a lloro
comandamento,
o fatto o disfatto, come piacesse
al popolo
di
Firenze; e così fu
promesso per gli Pisani. E essendo
sopra cciò tenuto segreto
consiglio tra
ll'uficio
degli anziani
del popolo di
Firenze, fu preso partito
che 'l
Mutrone si
dovesse disfare per lo migliore, e il
dì appresso si
dovea in publico
parlamento sentenziare.
I Pisani temendo che' Fiorentini non giudicassero
che rimanesse fatto
a la signoria de' Lucchesi, sì
mandarono incontanente in
Firenze uno segreto e
discreto cittadino con danari assai
a dispendere per
ciò riparare. E trovando in
Firenze il più grande anziano
e possente in popolo e in Comune (era
Aldobrandino
Ottobuoni, uno franco
popolano da San
Firenze), segretamente gli fece parlare
a uno suo
amico, profferendogli di dare
IIII.m fiorini d'oro e più,
se ne volesse, e egli adoperasse che 'l
Mutrone si disfacesse.
Il buono anziano
Aldobrandino udendo la
promessa, non fece come
cupido o avaro, ma come
leale e virtudioso cittadino; e avisandosi che il
consiglio
preso il dì dinanzi per lui e per gli altri anziani
di disfare il
Mutrone era
al piacere de' Pisani, e potea
esser
danno de' Fiorentini e de' Lucchesi, si tornò
al
consiglio sanza scoprire la
promessa che gli era
stata fatta, e consigliò per belle e utili
ragioni il contrario,
cioè che 'l
Mutrone non si disfacesse; e così fu
preso e stanziato. E nota
lettore la virtù di tanto cittadino,
che non essendo troppo ricco d'avere, ebbe
in sé tanta continenza e sincerità per lo suo Comune,
che più non ebbe
del tanto il buono romano
Fabbrizio
del
tesoro
a llui proferto per gli Sanniti; e però
ne
pare degna cosa di fare di lui memoria, per dare
buono esemplo
a' nostri cittadini che sono e che saranno,
d'essere leali
al loro Comune, e d'amare meglio memoria
di
fama di virtù che lla corruttibile pecunia.
Il detto
Aldobrandino, come piacque
a Dio,
poco tempo appresso morì in tanta buona
fama per
le sue virtudiose opere fatte per lo popolo e 'l Comune:
per non essere ingrato feciono grande onore
al
suo corpo e
a la sua memoria, che alle spese
del Comune
feciono fare nella chiesa di Santa Reparata uno
monimento di marmo levato più che niuno altro, e in
quello soppellire il suo corpo
a grande onore; e nel
detto sepolcro feciono
intagliare questi versi:
Fons
est
suppremus
Aldibrandinus
amenus
Ottoboni
natus,
a
bono
civita
datus.
E poi dopo la sconfitta da Monte Aperti, tornati i
ghibellini in
Firenze, e rotto il popolo, certi per
empiezza
di parte feciono abattere la detta
sepultura, e
trarne il corpo morto di tre
anni passati, e farlo strascinare
per la
città e gittare
a' fossi. E però ancora
nota gli atti della
fallace fortuna
a ricevere la sua memoria
indegnamente sì fatta vergogna, dopo tanto
degno onore ricevuto per lui
a la sua vita e
a la sua
morte; ma faccendo comparazione
a la sua buona
fama
e opere di virtù, le quali non si possono torre per
la
fallace ventura, ogni non
dovuta vergogna fatta
al
suo corpo fu corona perpetua della sua buona
fama,
e obrobrio e vergogna degl'iniqui e malvagi operanti.
L. 7, cap. 63 rubr.Come i Fiorentini disfecero la prima volta il castello
di Poggibonizzi.
L. 7, cap. 63Negli anni di Cristo MCCLVII, essendo podestà di
Firenze Matteo da Coreggia di Parma, i Fiorentini
avendo sospetto del castello di Poggibonizzi, perché
teneano parte ghibellina e d'imperio, ed erano in lega
co' Sanesi, che allora nonn erano amici de' Fiorentini,
sì v'andarono i Fiorentini subitamente, e entrati
nel castello, presono la terra per disfare le mura
e fortezze. Per la qual cosa i Poggibonizzesi, ch'erano
per loro grande Comune, vennero a fFirenze colle
coregge in collo a chiedere mercè al Comune di Firenze,
che 'l castello non fosse disfatto; ma invano
furono le loro richeste, che 'l castello per gli Fiorentini
fue abattuto e disfatto.
L. 7, cap. 64 rubr.Incidenza, raccontando uno grande miracolo del
corpo di Cristo ch'avenne nella città di Parigi.
L. 7, cap. 64Ne' detti tempi, regnando in
Francia il buono re
Luis, avenne uno grande miracolo
del corpo di Cristo;
che celebrando uno prete il sacramento in una
cappella di Parigi presso
a la
sala
del re, come piacque
a Dio, apparve in sulle
mani
del prete
a la vista
de le genti, in luogo dell'ostia sacra, uno piccolo fanciullo
molto bello e grazioso, il quale veduto da molti,
pregaro il prete il
sostenesse infino che
al re
Luis
fosse fatto assapere, e che 'l venisse
a vedere; così fece,
onde molta quantità di gente
entrasse
a vedere. E
essendo ciò detto
al re
Luis, e ch'egli v'andasse
a
vederlo,
rispuose: «
Vadalo
a vedere chi
nol crede,
ch'io il veggio tuttavia nel mio cuore»; per la quale
risposta fue commendato molto il re di grandissimo
senno e di cattolica fede.
L. 7, cap. 65 rubr.Come il popolo di Firenze cacciò la prima volta i
Ghibellini di Firenze, e la cagione perché.
L. 7, cap. 65Negli
anni di Cristo
MCCLVIII, essendo podestà di
Firenze messere Iacopo Bernardi di Porco, all'uscita
del mese di luglio quegli della casa degli Uberti co· lloro
séguito de' Ghibellini, per sodducimento di
Manfredi, ordinarono di rompere il popolo di
Firenze,
perché parea loro che
pendessono in parte guelfa.
Iscoperto il detto trattato per lo popolo, fatti richiedere
e
citare da la signoria, non vollono comparire
né venire dinanzi, ma la famiglia della podestà
da lloro furono
duramente fediti e percossi. Per la
qual cosa il popolo
corse
ad arme, e
a ffurore corsono
alle case degli Uberti, ov'è oggi la piazza
del palagio
del popolo e de' priori, e
uccisorvi
Schiattuzzo
degli Uberti, e più loro
masnadieri e famigliari; e fue
preso Uberto
Caini degli Uberti e Mangia degl'Infangati,
i quali per loro confessata la congiura in
parlamento,
in Orto Sa· Michele fu loro tagliata la testa;
e gli altri della casa degli Uberti con più altre case
de' Ghibellini uscirono di
Firenze. I nomi delle case
di
rinnomo ghibelline ch'uscirono di
Firenze furono
queste: gli Uberti, i
Fifanti, i
Guidi, li
Amidei, i
Lamberti, gli
Scolari, e parte degli Abati,
Caponsacchi,
Migliorelli, Soldanieri, Infangati,
Ubriachi,
Tedaldini,
Galigari, que' della Pressa,
Amieri, que' da
Cersino, e' Razzanti, e più altre case e schiatte di popolari
e grandi
scaduti, che tutti non si possono nominare,
e altre case de' nobili di
contado; e
andarne
a Siena, la quale si reggea
a parte ghibellina, e erano
nemici de' Fiorentini: e furono disfatti i loro
palagi e
torri, che n'aveano assai, e di quelle pietre si
murarono
le
mura da San Giorgio Oltrarno, che 'l popolo di
Firenze fece in quelli tempi cominciare per la
guerra
de' Sanesi. E poi
del mese di settembre prossimo
del
detto
anno il popolo di
Firenze fece pigliare l'abate
di
Valembrosa, il quale era
gentile uomo de' signori
di Beccheria di Pavia in Lombardia, essendoli apposto
che
a petizione de' Ghibellini usciti di
Firenze
trattava
tradimento, e quello per martiro gli fece
confessare, e scelleratamente nella piazza di Santo
Appolinare
gli feciono
a grido di popolo tagliare il
capo, non guardando
a sua dignità, né
a ordine sacro.
Per la qual cosa il Comune di
Firenze e' Fiorentini
dal papa furono scomunicati; e dal Comune di
Pavia, ond'era il detto abate, e da' suoi
parenti i Fiorentini
che passavano per Lombardia ricevevano
molto
danno e
molestia. E di vero si disse che 'l religioso
uomo nulla colpa avea, con tutto che di suo
legnaggio
fosse grande Ghibellino. Per lo quale peccato,
e per molti altri fatti per lo scellerato popolo, si
disse per molti savi che Iddio per giudicio
divino
permise vendetta sopra il detto popolo
a la battaglia
e sconfitta da Monte Aperti, come innanzi faremo
menzione. Il detto popolo di
Firenze, che in quegli
tempi resse la
città, fue molto superbo e d'
alte e
grandi imprese, e in molte cose fue molto
trascotato;
ma una cosa ebbono i rettori di quello, che furo molto
leali e
diritti
a Comune; e perché uno ch'era anziano
fece ricogliere e
mandollo in sua villa uno cancello
ch'era stato della
chiusa
del Leone, e andava
per lo
fango per la piazza di San Giovanni, sì ne fu
condannato in libbre
M, e sì come
frodatore delle cose
del Comune.
L. 7, cap. 66 rubr.Come gli Aretini presono e disfeciono Cortona.
L. 7, cap. 66Negli anni di Cristo MCCLVIIII, essendo podestà
d'Arezzo messere Stoldo Giacoppi de' Rossi di Firenze,
per suo senno e valentia menò gli Aretini, e di
notte con iscale entraro in Cortona, la quale era molto
fortissima, ma per la mala guardia la perdero i
Cortonesi; e gli Aretini disfeciono le mura e le fortezze,
e feciogli loro suggetti; onde i Fiorentini,
i quali erano a lloro lega, furono molto crucciosi,
e recarsi che gli Aretini avessono rotta loro
pace.
L. 7, cap. 67 rubr.
Come i Fiorentini presono e disfeciono il castello di
Gressa.
L. 7, cap. 67Per la detta cagione i Fiorentini, il febbraio vegnente
del detto anno, andarono ad oste a uno castello
del vescovo d'Arezzo, ch'avea nome Gressa,
molto forte con due cinte di mura, in Casentino, e
quello per forza e per assedio ebbono, e poi il feciono
disfare. Era podestà di Firenze messer Danese
Crevelli di Milano.
L. 7, cap. 68 rubr.Come il popolo di Firenze prese i castelli di Vernia
e di Mangone.
L. 7, cap. 68E poi tornata la detta oste, incontanente andaro
ad oste sopra il castello di
Vernia de'
conti
Alberti, e
quello per assedio ebbono e disfeciono; e presono il
castello di Mangona, e le genti e' fedeli feciono giurare
a la fedeltà e ubidenza
del popolo e Comune di
Firenze,
dando ogn'
anno per san Giovanni certo
censo
al Comune. La cagione di ciòe fue che essendo
il
conte
Allessandro, che di ragione n'era signore,
piccolo garzone, il
conte Nepoleone suo
consorto e
Ghibellino, imperciò ch'egli era
a la sua guardia
del
popolo di
Firenze, sì gli tolsono le dette castella, e
guerreggiavano i Fiorentini; e per lo popolo di
Firenze
per lo modo detto furono
racquistate; per la
qual cosa
rinvestironne poi il
conte
Allessandro,
quando i Guelfi tornarono in
Firenze: non vogliendo
esser figliuolo d'ingratitudine, sì donò e fece testamento
intervivos, che
se'
due suoi figliuoli
Nerone e
Alberto
morissono sanza rede maschi e legittimi, lasciava
i detti
Vernia e Mangone
a la massa della parte
guelfa di
Firenze; e ciò fu gli
anni di Cristo
MCCLXXIII.
L. 7, cap. 69 rubr.Incidenza, de' fatti che furono in Firenze al tempo
del popolo
L. 7, cap. 69
Al tempo
del detto popolo di
Firenze fu
al Comune
presentato uno bellissimo e forte leone, il quale
era inchiuso nella piazza di Santo Giovanni. Avenne
che per
mala guardia di quelli che 'l
custodiva uscì il
detto
leone della sua stia correndo per la terra, onde
tutta la
città fu commossa di paura.
Capitò inn Orto
Sammichele, e quivi prese uno fanciullo e
tenealsi tra
le branche.
Udendolo la madre che non avea più, e
questo fanciullo le rimase in ventre quando il padre
gli fu morto, come disperata, con grande pianto scapigliata
corse contra il leone, e trassegli il fanciullo
tra lle branche; e
leone nullo male fece né
a la donna
né
al fanciullo se non ch'egli guatò, e ristettesi. Fu
questione qual caso fosse, o la gentilezza della natura
del
leone, o la fortuna riserbasse la vita
del detto fanciullo
perché poi facesse la vendetta
del padre, com'
elli fece, e fu poi chiamato
Orlanduccio
del leone
di
Calfette. E nota ch'
al tempo
del detto popolo, e in
prima, e poi
a gran tempo, i cittadini di
Firenze viveano
sobri, e di grosse
vivande, e con piccole spese,
e di molti
costumi e leggiadrie grossi e
ruddi; e di
grossi
drappi
vestieno loro e loro donne, e molti portavano
le pelli scoperte sanza panno, e
colle
berrette
in capo, e tutti
colli
usatti in piede, e le donne fiorentine
co' calzari sanza ornamenti, e
passavansi le
maggiori d'una gonnella assai
stretta di grosso scarlatto
d'Ipro, o di
Camo, cinta ivi su d'uno scaggiale
a
l'antica, e uno mantello foderato di vaio col
tassello
sopra, e
portavallo in capo; e le comuni donne vestite
d'uno grosso verde di Cambragio per lo simile
modo; e libbre
C era comune
dota di moglie, e libbre
CC o
CCC era
a quegli tempi tenuta
isfolgorata; e le
più delle pulcelle aveano
XX o più
anni anzi ch'andassono
a
marito. Di sì fatto abito e di grossi
costumi
erano allora i Fiorentini, ma erano di buona fe' e
leali tra lloro e
al loro Comune; e
colla loro grossa vita
e
povertà feciono maggiori e più virtudiose cose,
che non sono fatte
a' tempi nostri con più
morbidezza
e con più ricchezza.
L. 7, cap. 70 rubr.Come il Paglialoco imperadore de' Greci tolse Gostantinopoli
a' Franceschi e a' Viniziani.
L. 7, cap. 70Nel detto
anno di Cristo
MCCLVIIII la
città di
Gostantinopoli,
la quale fue conquistata per gli Franceschi
e per gli Viniziani, come adietro facemmo menzione,
essendone imperadore Baldovino nato della
casa di
Fiandra,
Paglialoco imperadore de' Greci
colla forza de' Genovesi, i quali con loro
galee e navilio
l'ataro per
dispetto de' Viniziani loro nemici,
fue presa, e
cacciatine i Franceschi, e' Viniziani, e
tutti i
Latini; e mai poi non n'ebbono signoria. E
a'
Genovesi donò il
Paglialoco molto
tesoro, e diede
per loro stanza la terra che ssi chiama Pera, la quale
è presso di
Gostantinopoli in sul corno
del
golfo,
non fidandosi ch'eglino né altri
Latini avessono fortezza
in
Gostantinopoli.
L. 7, cap. 71 rubr.D'una grandissima battaglia che fu tra gli re d'Ungaria
e quello di Buem.
L. 7, cap. 71Nell'
anno
MCCLX, essendo grande
discordia tra 'l
re d'Ungaria e quello di Buem per certe terre infra lloro
confini, il re d'Ungaria
entròe nel reame di
Buem con più di
LXXX.m uomini
a cavallo, che
Ungheri,
e
Cumani, e
Bracchi, e
Alani, la maggiore parte
pagani. Lo re di Buem si fece loro incontro con
più di
C.m uomini
a cavallo; ma nota che tutti vanno
a
cavallo in su ogni
ronzino,
ferrato o
isferrato, si nominano
per cavalieri; ma infra questi n'ebbe bene
VII.m a grandi
cavagli coverti di maglia di ferro. E cominciata
la grande battaglia
a'
confini de' detti reami,
per la
moltitudine e
discorso de'
cavagli si levò sì
grande polvere, che di mezzodì si fece sì
oscura l'aria,
che l'uno non conoscie l'altro. Alla fine essendo
il re d'Ungaria
duramente fedito, gli
Ungari si misono
in fugga, e
al trapasso d'una riviera più di
XIIII.m si
dice che n'anegaro. E dopo la detta sconfitta il re di
Buem
entrato in Ungaria, per
solenni ambasciadori
dagli
Ungari fu richesto di pace, il quale raunate le
terre ond'era il contasto, si fermòe con matrimonio
tra lloro.
L. 7, cap. 72 rubr.Come il grande tiranno Azzolino di Romano fu
sconfitto da' Chermonesi; e morì in pregione.
L. 7, cap. 72Nel detto
anno
MCCLX Azzolino di Romano, cioè
d'uno castello di
trivigiana, dal marchese
Palavigino
e da'
Chermonesi nel
contado di Milano, presso
al
ponte di Casciano in sul fiume d'Adda, avendo con
seco più di
MD cavalieri, e andava per torre la
città di
Milano, fue sconfitto, e fedito, e preso; delle quali
fedite in pregione morìo, nel castello di
Solcino nobilemente
fue soppellito. Elli trovava per sua
profezia
ch'egli
dovea morire in uno castello
del
contado
di Padova ch'avea nome Basciano, e in quello non
entrava; e quando si sentì fedito, domandò come si
chiamava il luogo; fugli detto Casciano; allora disse:
«Casciano Basciano tutto è uno»; e
giudicossi morto.
Questo
Azzolino fue il più crudele e ridottato tiranno
che mai fosse tra' Cristiani, e signoreggiò per
sua forza e tirannia, essendo di sua nazione della casa
di Romano gentile uomo, grande tempo tutta la
Marca di Trivigi, e la
città di Padova, e gran parte di
Lombardia; e' cittadini di Padova molta gran parte
consumò, e
acceconne pur de' migliori e de' più nobili
in grande quantità, e togliendo le loro possesioni,
e mandandogli mendicando per lo
mondo, e molti
altri per diversi martìri e
tormenti fece morire, e
a
una ora
XI.m Padovani fece ardere, e per la innocenzia
del loro sangue, per miracolo, mai poi in quello non
nacque
erba niuna. E sotto l'ombra d'una
rudda e
scellerata giustizia fece molti mali, e fue uno grande
fragello
al suo tempo nella Marca
Trevigiana e in
Lombardia, per
pulire il peccato de la loro ingratitudine.
A la fine, come piacque
a Dio, vilmente da
men possente gente della sua fue sconfitto e morto, e
tutta la sua gente si sperse, e la sua signoria venne
meno e suo
legnaggio.
L. 7, cap. 73 rubr.Come furono eletti re di Romani il re di Castello e
Ricciardo conte di Cornovaglia.
L. 7, cap. 73Nel detto
anno, essendo d'assai tempo prima per
gli
elettori dello 'mperio eletti per
discordia
due imperadori,
l'una parte (ciò furono tre de'
lettori)
elessono
il re
Alfonso di Spagna, e l'altra parte degli
elettori
elessono Ricciardo
conte di
Cornovaglia e fratello
del re d'Inghilterra; e perché il reame di Boemia
era in
discordia, e
due se ne faceano re,
ciascuno diede
la sua
boce
a la sua parte. E per molti
anni era
stata la
discordia de'
due eletti, ma la Chiesa di
Roma
più
favoreggiava
Alfonso di Spagna, acciò ch'egli
colle sue forze venisse
ad abattere la superbia e signoria
di Manfredi; per la qual cagione i Guelfi di
Firenze gli mandarono ambasciadori per
somuoverlo
del passare,
promettendogli grande aiuto acciò che
favorasse parte guelfa. E l'ambasciadore fue ser
Brunetto
Latini, uomo di grande senno e autoritade; ma
innanzi che fosse fornita l'ambasciata, i Fiorentini furono
sconfitti
a Monte Aperti, e lo re Manfredi prese
grande vigore e stato in tutta Italia, e 'l podere della
parte della Chiesa n'abassò assai, per la qual cosa
Alfonso
di Spagna lasciò la 'mpresa dello 'mperio, e
Ricciardo d'Inghilterra no· lla seguìo.
L. 7, cap. 74 rubr.Come gli usciti ghibellini di Firenze mandaro in
Puglia al re Manfredi per soccorso.
L. 7, cap. 74In questi tempi i Ghibellini scacciati di
Firenze
(ed erano nella
città di Siena, e da' Sanesi erano male
aiutati contra i Fiorentini, imperciò che non aveano
podere contra la loro
potenzia) sì ordinarono tra lloro
di mandare loro ambasciadori in Puglia
al re
Manfredi per soccorso. I quali andati, pure de' migliori
e più caporali di loro, più tempo seguendo,
Manfredi no· lli
spacciava, né udiva la loro richesta,
per molte bisogne ch'avea
a ffare.
A la fine volendosi
partire, e prendendo commiato da llui molto male
contenti, Manfredi
promise loro di dare
cento cavalieri
tedeschi per loro aiuto. I detti ambasciadori
turbatisi
della prima proferta, e traendosi
a
consiglio di
fare loro
risposta, quasi per rifiutare sì povero aiuto,
vergognandosi di tornare
a Siena, ch'aveano speranza
che
desse loro aiuto di più di
VI.c cavalieri, messer
Farinata degli Uberti disse: «Non vi sconfortate, e
non rifiutiamo niuno suo aiuto, e sia piccolo quanto
si vuole; facciamo che di grazia mandi co· lloro la sua
insegna, che venuti
a Siena, noi la metteremo in tale
luogo, che
converrà ch'egli ce ne mandi anche»; e
così avenne. E preso il savio
consiglio
del cavaliere,
accettaro la profetta di Manfredi, graziosamente
pregandolo
che
al capitano di loro
desse la sua insegna;
e così fece. E tornati in Siena con sì piccolo aiuto,
grande scherna ne fu fatta da' Sanesi, e grande isbigottimento
n'ebbono gli usciti di
Firenze, attendendo
troppo maggiore aiuto e
sussidio da Manfredi.
L. 7, cap. 75 rubr.Come il Comune e popolo di Firenze feciono una
grande oste infino a le porte di Siena col carroccio.
L. 7, cap. 75Avenne che gli
anni di Cristo
MCCLX,
del mese di
maggio, il popolo e Comune di
Firenze feciono oste
generale sopra la
città di Siena, e menarvi il carroccio.
E nota che 'l carroccio che menava il Comune e
popolo di
Firenze era uno
carro in su
quattro ruote
tutto dipinto
vermiglio, e
aveavi su commesse
due
grandi antenne
vermiglie, in su le quali stava e ventilava
il grande stendale dell'arme
del Comune, ch'era
dimezzato bianco e
vermiglio, e ancora oggi si mostra
in San Giovanni; e
tiravalo uno grande paio di buoi
coverti di panno
vermiglio, che solamente erano
diputati
a cciò, e erano dello spedale di
Pinti, e 'l
guidatore era franco in Comune. Questo carroccio
usavano i nostri antichi per trionfo e dignità; e quando
s'andava in oste, e'
conti vicini e' cavalieri il traevano
dell'opera di San Giovanni, e
conduciello in su
la piazza di Mercato Nuovo, e posato per me' uno
termine che ancora v'è d'una pietra intagliata
a carroccio,
sì ll'
acomandavano
al popolo. E' popolani il
guidavano nell'osti, e
a quello erano diputati in guardia
i migliori e più forti e virtudiosi popolani
a piè
della
cittade; e
a quello s'
amassava tutta la forza
del
popolo. E quando l'oste era bandita, uno mese dinanzi
dove
dovesse andare, si ponea una campana in
su l'arco di porte Sante Marie, ch'era in sul capo di
Mercato Nuovo; e quella
al continuo era sonata di
dìe e di notte, e per grandigia di dare campo
al nimico
ov'era bandita l'oste, che s'apparecchiasse. E chi
la chiamava Martinella, e chi la campana degli asini.
E quando l'oste de' Fiorentini andava, si
sponeva
dell'arco, e poneasi in su uno castello di legname in
su uno
carro, e
al suono di quella si guidava l'oste.
Di queste
due pompe
del carroccio e della campana
si reggea la signorevole superbia
del popolo vecchio
e de' nostri antichi nell'osti. Lasceremo di ciò, e torneremo
come i Fiorentini feciono sopra i Sanesi, che
presono il castello di Vico, e quello di Mezano, e
Casciole,
ch'erano de' Sanesi, e puosonsi
a oste
a Siena
presso
a l'antiporta
al munistero di Santa
Petronella,
e
fecionvi fare ivi presso, in su uno poggetto rilevato
che si vedea dalla
cittade, una torre, ove teneano la
campana; e
a
dispetto de' Sanesi, e
a
ricordanza di
vittoria, ripiena di terra, vi
piantarono suso uno ulivo,
il quale infino
a' nostri dì ancora v'era. Avenne in
quello assedio che gli usciti di
Firenze uno giorno
diedono mangiare
a' Tedeschi di Manfredi, e fattigli
bene
avinazzare e
innebbriare,
a romore caldamente
gli feciono armare e montare
a cavallo per
fargli assalire
l'oste de' Fiorentini, promettendo loro grandi
doni e paga
doppia; e ciò fu fatto cautamente per gli savi,
seguendo il
consiglio di
Farinata degli Uberti
preso infino in Puglia. I Tedeschi forsennati e caldi
di vino uscirono fuori di Siena, e vigorosamente assaliro
il campo de' Fiorentini, e perch'erano
improvisi
e con
poca guardia, avendo la forza de' nemici per
niente, con tutto che' Tedeschi fossono
poca gente,
in quello assalto feciono all'oste grande
danno; e
molti
del popolo e della cavalleria in quello sùbito
assalto feciono
mala vista fuggendo, per tema che gli
assalitori non fossono maggiore gente. Ma alla fine
ravveggendosi, presono l'arme e la
difenza contra i
Tedeschi; e di quanti n'uscirono di Siena non ne
scampò niuno vivo, che tutti furono morti e abbattuti,
e la 'nsegna di Manfredi presa e strascinata per lo
campo, e recata in
Firenze; e ciò fatto, poco appresso
si tornò l'oste de' Fiorentini in
Firenze.
L. 7, cap. 76 rubr.
Come i Sanesi e gli usciti ghibellini di Firenze ebbono
dal re Manfredi i· lloro aiuto il conte Giordano con
VIIIc Tedeschi.
L. 7, cap. 76I Sanesi e gli usciti di
Firenze veggendo la
mala
pruova che' Fiorentini aveano fatta per l'asalto di sì
pochi cavalieri tedeschi, avisaro che avendone maggior
quantità, sarebbono vincitori de la
guerra. Incontanente
si providono di moneta, e
accattaro da la
compagnia de'
Salimbeni, ch'allora erano mercatanti,
XX.m fiorini d'oro, e puosono loro pegno la rocca
a
Tentennana, e più altre castella
del Comune, e rimandarono
loro ambasciadori in Puglia co la detta
moneta
al re Manfredi dicendo come la sua
poca
gente di Tedeschi per loro grande vigore e valentia
s'erano
messi
ad assalire tutta l'oste de' Fiorentini, e
gran parte di quella messa in fugga, ma se più fossono
stati, aveano la vittoria; ma per la
poca gente
ch'erano, tutti erano rimasi morti
al campo, e la sua
insegna strascinata e vergognata per lo campo, e in
Firenze e intorno.
A cciò dissono quelle
ragioni che
seppono meglio per ismuovere Manfredi, il quale intesa
la
novella fu
crucciato, e co la moneta de' Sanesi,
che pagaro la metade per tre mesi, e
a suo soldo,
mandò in
Toscana il
conte Giordano suo maliscalco
con
VIII.c cavalieri tedeschi co' detti ambasciadori, i
quali giunsono in Siena
a l'uscita di luglio, gli
anni di
Cristo
MCCLX; e da' Sanesi furono ricevuti
a gran festa,
e eglino e tutti i Ghibellini di
Toscana ne presono
grande vigore e baldanza. E giunti in Siena, incontanente
i Sanesi
bandirono oste sopra il castello
di Monte Alcino, il quale era accomandato
del Comune
di
Firenze, e mandaro per aiuto
a' Pisani e
a
tutti i Ghibellini di
Toscana, sì che co' cavalieri di
Siena, e cogli usciti di
Firenze, e co' Tedeschi, e loro
amistade, si trovarono con
XVIII.c di cavalieri in Siena,
che la maggiore parte erano Tedeschi.
L. 7, cap. 77 rubr.Come gli usciti ghibellini di Firenze ordinaro d'ingannare
e fare tradire il Comune e popolo di Firenze.
L. 7, cap. 77Li usciti di
Firenze, per cui trattato e opera il re
Manfredi avea mandato il
conte Giordano con
VIII.c
cavalieri tedeschi, si pensarono ch'elli aveano fatto
niente, se non
attraessono i Fiorentini fuori
a campo,
imperciò che' sopradetti Tedeschi nonn erano pagati
per più di tre mesi, e già n'era passato più d'uno e
mezzo
colla loro venuta; né moneta nonn aveano da
più
conducergli, né attendeano da Manfredi; e passando
il tempo di loro soldo, sanza fare alcuna cosa
si tornavano in Puglia, con grande
pericolo di loro
stato. Ragionaro che ciò non si potea fornire sanza
maestria e inganno di
guerra, la quale industria fu
commessa in messer
Farinata degli Uberti e messer
Gherardo Ciccia de'
Lamberti. Costoro sottilemente
ordinarono
due savi frati minori loro messaggi
al popolo
di
Firenze, e innanzi gli
acozzaro con
VIIII de'
più possenti di Siena, i quali infintamente feciono
veduta
a' detti frati come
spiacea loro la signoria di
messer
Provenzano
Salvani, ch'era il maggiore
del
popolo di Siena, e che volentieri
darebbono la terra
a' Fiorentini, avendo
X.m fiorini d'oro, e che venissono
con grande oste sotto cagione di fornire Monte
Alcino, e andassono infino in sul fiume d'
Arbia; e allora
co la forza di loro e di loro seguaci
darebbono
a'
Fiorentini la porta di Santo Vito, ch'è nella
via d'
Arezzo.
I frati, sotto questo inganno e
tradimento,
vennero
a
Firenze con
lettere e
suggegli de' detti, e
feciono capo
agli anziani
del popolo, e
profersono
che recavano gran cose per onore
del popolo e Comune
di
Firenze; ma la cosa era sì
sagreta, che si volea
sotto saramento manifestare
a pochi. Allora gli
anziani
elessono di loro lo Spedito di porte San Piero,
uomo di grande opera e ardire, ed era de' principali
guidatori
del popolo, e co· llui messer
Gianni
Calcagni di
Vacchereccia; e fatto il saramento in su
l'altare, i frati
discopersono il detto trattato, e mostrarono
le dette
lettere. I detti
due anziani, che gli
portava più volontà che fermezza, diedono fede
al
trattato, e incontanente si trovaro i detti
X.m fiorini
d'oro, e si misono in
diposito, e raunarono
consiglio
di grandi e di popolo, e misono innanzi che di nicessità
bisognava di fare oste
a Siena per fornire Monte
Alcino, maggiore che nonn era stata quella di maggio
passato
a Santa
Petornella. I nobili de le gran case
guelfe di
Firenze, e 'l
conte
Guido
Guerra ch'era
co· lloro, non sappiendo il falso trattato, e sapeano
più di
guerra che' popolani, conoscendo la
nuova
masnada de' Tedeschi ch'era venuta in Siena, e la
mala vista che fece il popolo
a Santa
Petornella
quando i
cento Tedeschi gli asaliro, non parea loro
la 'mpresa sanza grande
pericolo. E ancora sentendo
i cittadini variati d'animi, e male
disposti
a fare più
oste, rendero savio
consiglio, che per lo migliore l'oste
non procedesse
al presente per le
ragioni di su
dette, e ancora mostrando come per poco
costo si
potea fornire Monte Alcino, e
prendeallo
a fornire
gli Orbitani, e assegnando come i detti Tedeschi non
aveano paga per più di tre mesi, e già aveano servito
mezzo il tempo, e
lasciandogli stentare sanza fare
oste, tosto sarebbono straccati e
tornerebbonsi in
Puglia, e' Sanesi e gli usciti di
Firenze
rimarrebbono
in peggiore stato che di prima. E 'l dicitore fu per
tutti messer
Tegghiaio
Aldobrandi degli
Adimari, cavaliere
savio e
prode e di grande autoritade; e di largo
consigliava il migliore. Il sopradetto Spedito anziano,
uomo molto
prosuntuoso, compiuto il suo
consiglio, villanamente il riprese, dicendo si
cercasse
le brache, s'aveva paura. E messer
Tegghiaio gli rispuose
ch'
al bisogno non ardirebbe di
seguirlo nella
battaglia
colà ov'egli si metterebbe. E finite le dette
parole, poi si levò messere Cece de'
Gherardini per
dire il simigliante ch'avea detto messer
Tegghiaio: gli
anziani gli comandaro che non dicesse, e era pena
libbre
C, chi aringasse contra il
comandamento degli
anziani. Il cavaliere le volle pagare per contradire la
detta andata: non vollono gli anziani, anzi
raddoppiarono
la pena; ancora volle pagare, e così infino
libbre
CCC; e quando ancora volle dire e pagare, fu
comandamento pena la testa; e così rimase. Ma per
lo popolo superbo e
traccurato si vinse il peggiore,
che la detta oste presentemente e sanza indugio procedesse.
L. 7, cap. 78 rubr.Come i Fiorentini feciono oste per fornire Monte
Alcino, e furono sconfitti dal conte Giordano e da' Sanesi
a Monte Aperti.
L. 7, cap. 78Preso il mal consiglio per lo popolo di
Firenze che
l'oste si facesse, richiesono loro amistadi d'aiuto, i
quali, i Lucchesi vennero per comune popolo e cavalieri,
e' Bolognesi, e'
Pistolesi, e'
Pratesi, e' Volterrani,
e' Saminiatesi, e San Gimignano, e
Colle di
Valdelsa
ch'erano in taglia col Comune e popolo di
Firenze;
e in
Firenze aveva
VIII.c cavallate de' cittadini,
e più di
Vc soldati. E raunata la detta gente in
Firenze,
si partì l'oste all'uscita d'
agosto, e menarono per
pompa e grandigia il carroccio, e una campana che si
chiamava Martinella in su uno
carro con uno castello
di legname
a ruote, e andarvi quasi tutto il popolo
colle
insegne delle compagnie, e non rimase casa né
famiglia di
Firenze, che non v'andasse pedone
a piè
o
a cavallo, il meno uno per casa, e di tali
due, e più,
secondo ch'erano potenti. E quando si trovaro in sul
contado di Siena
al luogo ordinato in sul fiume d'
Arbia,
nel luogo detto Monte Aperti, con Perugini e
Orbitani che là s'aggiunsono co' Fiorentini, si ritrovaro
più di
IIIm cavalieri e più di
XXX.m pedoni. In
questo apparecchio dell'oste de' Fiorentini, i sopradetti
maestri
del trattato ch'erano in Siena, acciò che
pienamente venisse fornito, anche mandarono
a
Firenze
altri frati
a trattare
tradimento con certi grandi
e popolani ghibellini ch'erano rimasi in
Firenze, e
doveano venire per comune nell'oste, che come fossono
assembiati, si
dovessono da più parti fuggire
delle schiere, e tornare dalla loro parte, per isbigottire
l'oste de' Fiorentini, parendo
a lloro avere
poca
gente
a comparazione de' Fiorentini; e così fu fatto.
Avenne che, essendo la detta oste in su i
colli di
Monte Aperti, e' savi anziani guidatori dell'oste e
del
trattato attendeano che per gli traditori d'
entro fosse
loro data la porta promessa. Uno grande popolare di
Firenze di porte San Piero, ch'era Ghibellino, e avea
nome il
Razzante, avendo alcuna cosa spirato dell'attendere
dell'oste de' Fiorentini, con volontà de' Ghibellini
del campo ch'erano
al
tradimento, gli fu commesso
ch'
entrasse in Siena, ond'egli si fuggì
a cavallo
del campo per fare assapere
agli usciti di
Firenze come
si
dovea tradire la
città di Siena, e come i Fiorentini
erano bene in concio, e con molta
potenza di cavalieri
e di popolo, e per dire
a que' d'
entro che non
s'
avisassono
a battaglia. E giunto in Siena, e scoperte
queste cose
a' detti messer
Farinata e messer
Gherardo
trattatori, sì gli dissono: «Tu ci uccideresti, se
tu
ispandessi queste
novelle per Siena, imperciò che
ogni uomo faresti impaurire, ma vogliamo che dichi
il contrario; imperciò che se ora ch'avemo questi Tedeschi
non si combatte, noi siamo morti, e mai non
ritorneremo in
Firenze; e per noi farebbe meglio la
morte e d'essere isconfitti, ch'andare più
tapinando
per lo
mondo»; e facea per loro di mettersi
a la fortuna
della battaglia. Il
Razzante
assettato da' detti,
intese e
promise di così dire; e con una
ghirlanda in
capo, co' detti
a cavallo, mostrando grande allegrezza,
venne
al
parlamento
al palagio ov'era tutto il popolo
di Siena, e' Tedeschi, e l'altre amistadi; e in
quello con lieta faccia disse le
novelle larghe da parte
de' Ghibellini e traditori
del campo, e come l'oste si
reggea male, e erano male guidati, e peggio in concordia,
e che assalendogli francamente, di certo erano
sconfitti. E fatto il falso
rapporto per
Razzante,
a
grido di popolo si mossono tutti
ad arme dicendo:
«Battaglia, battaglia!». I Tedeschi vollono
promessa
di paga
doppia, e così fue fatto; e loro schiera misono
innanzi all'asalto per la detta porta di San Vito,
che
dove'
a' Fiorentini essere data; e gli altri cavalieri
e popolo usciro appresso. Quando quegli dell'oste
ch'attendeano che fosse loro data la porta vidono
uscire i Tedeschi e l'altra cavalleria e popolo fuori di
Siena inverso loro con vista di combattere, sì ssi
maravigliarono
forte e non sanza isbigottimento grande,
veggendo il sùbito avenimento e assalto non proveduto;
e
maggiormente gli fece isbigottire che più
Ghibellini ch'erano nel campo
a cavallo e
a piè, veggendo
appressare le schiere de' nemici, com'era ordinato
il
tradimento, si fuggirono da l'altra parte; e ciò
furono di que' della Pressa, e degli Abati, e più altri.
E però non lasciarono i Fiorentini e l'altra loro amistade
di fare loro schiere, e attendere la battaglia. E
come la schiera de' Tedeschi rovinosamente percosse
la schiera de' cavalieri de' Fiorentini ov'era la 'nsegna
della cavalleria
del Comune, la quale portava
messer Jacopo
del
Naca della casa de' Pazzi di
Firenze,
uomo di grande
valore, il traditore di messer
Bocca degli Abati, ch'era in sua schiera e presso di
lui,
colla spada fedì il detto messer Jacopo e tagliogli
la mano co la quale tenea la detta insegna, e ivi fu
morto di presente. E ciò fatto, la cavalleria e popolo
veggendo
abattuta la 'nsegna, e così traditi da lloro, e
da' Tedeschi sì forte assaliti, in poco d'ora si misono
inn isconfitta. Ma perché la cavalleria di
Firenze prima
s'avidono
del
tradimento, non ne rimasono che
XXXVI uomini di nome di cavallate tra morti e presi.
Ma la grande mortalità e
presura fue
del popolo di
Firenze
a piè, e di Lucchesi, e Orbitani, però che si
rinchiusono nel castello di Monte Aperti, e tutti furono
presi; ma più di
MMD ne rimasono
al campo
morti, e più di
MD presi pur de' migliori
del popolo
di
Firenze di
ciascuna casa, e di Lucca, e degli altri
amici che furono
a la detta battaglia. E così s'
adonò
la rabbia dell'ingrato e superbio popolo di
Firenze; e
ciò fu uno martedì,
a dì
IIII di settembre, gli
anni di
Cristo
MCCLX; e rimasevi il carroccio, e la campana
detta Martinella, con innumerabile preda d'arnesi di
Fiorentini e di loro amistade. E allora fu rotto e annullato
il popolo vecchio di
Firenze, ch'era
durato in
tante vittorie e grande signoria e stato per
X anni.
L. 7, cap. 79 rubr.Come i Guelfi di Firenze dopo la detta sconfitta si
partirono di Firenze, e andarsene a Lucca.
L. 7, cap. 79Venuta in
Firenze la
novella della
dolorosa sconfitta,
e tornando i miseri
fuggiti di quella, si levò il
pianto d'uomini e di femmine in
Firenze sì grande,
ch'andava infino
a
cielo; imperciò che non avea casa
niuna in
Firenze, piccola o grande, che non vi rimanesse
uomo morto o preso; e di Lucca e
del
contado
ve ne rimasono gran quantità, e degli Orbitani. Per
la qual cosa i caporali de' Guelfi, nobili e popolari,
ch'erano tornati dalla sconfitta, e quegli ch'erano in
Firenze, isbigottiti e impauriti, e temendo degli usciti
che venieno da Siena
colle masnade tedesche; e'
Ghibellini ribelli e
confinati ch'erano fuori della
cittade
cominciarono
a tornare nella terra; per la qual
cosa i Guelfi, sanz'altro commiato o cacciamento,
colle loro famiglie piagnendo uscirono di
Firenze, e
andarsene
a Lucca, giuovedì
a dì
XIII di settembre,
gli
anni di Cristo
MCCLX. Queste furono le principali
case guelfe ch'uscirono di
Firenze:
del
sesto d'Oltrarno,
i Rossi, e'
Nerli, e parte de' Mannelli, i Bardi,
e'
Mozzi, e'
Frescobaldi; gli popolani
del detto
sesto
case notabili,
Canigiani, Magli, e
Machiavelli,
Belfredelli,
e
Orciolini,
Aglioni, Rinucci,
Barbadori, e
Battimammi,
e
Soderini, e
Malduri, e
Amirati. Di San
Piero Scheraggio, i nobili:
Gherardini,
Lucardesi,
Cavalcanti,
Bagnesi,
Pulci,
Guidalotti,
Malispini,
Foraboschi,
Manieri, quelli da
Quona,
Sacchetti,
Compiobbesi;
i popolani: Magalotti,
Mancini,
Bucelli, e
quelli della Vitella.
Del
sesto di Borgo, i nobili: i
Bondelmonti,
Scali, Spini,
Gianfigliazzi,
Giandonati,
Bostichi,
Altoviti, i
Ciampali,
Baldovinetti e altri.
Del
sesto di San Brancazio, i nobili: Tornaquinci, Vecchietti,
e'
Pigli parte di loro,
Minerbetti,
Becchenugi,
e Bordoni e altri. Di porte
del
Duomo: i
Tosinghi,
Arrigucci,
Agli,
Sizii,
Marignolli, e ser
Brunetto
Latini
e' suoi, e più altri. Di porte San Piero:
Adimari,
Pazzi, Visdomini, e parte de'
Donati; dal lato delli
Scolari rimasono que' della Bella, i
Carri, i
Ghiberti,
i
Guidalotti di
Balla, i
Mazzocchi, gli
Uccellini,
Boccatonde;
e oltre
a questi molti
confinati grandi e popolani
per
ciascuno
sesto. E della partita molto furono
da riprendere i Guelfi, imperciò che lla
città di
Firenze era molto forte di
mura e di fossi pieni d'acqua,
e da
poterla bene difendere e tenere; ma il giudicio
di Dio per punire le
peccata
conviene che faccia
suo corso sanza riparo; e
a cui Idio vuole male gli
toglie il senno e l'accorgimento. E partiti i Guelfi il
giuovidì, la
domenica vegnente
a dì
XVI di settembre,
gli usciti di
Firenze ch'erano stati
a la battaglia
a
Monte Aperti, col
conte Giordano e
colle sue masnade
de' Tedeschi, e cogli altri soldati de' Ghibellini
di
Toscana,
arricchiti delle prede de' Fiorentini e
degli altri Guelfi di
Toscana,
entrarono nella
città di
Firenze sanza contasto neuno. E incontanente feciono
podestà di
Firenze per lo re Manfredi
Guido
Novello
de'
conti
Guidi dal dì
a calen di gennaio vegnente
a
due
anni; e tenea ragione nel palagio vecchio
del popolo da San
Pulinari, ed era la scala di
fuori. E poco tempo appresso fece fare la porta Ghibellina,
e aprire quella
via di fuori, acciò che per
quella
via che risponde
al palagio potesse avere
entrata
e uscita
al bisogno, per mettere in
Firenze i suoi
fedeli di Casentino
a guardia di lui e della terra; e
perché si fece
al tempo de' Ghibellini, la porta e la
via ebbe sopranome Ghibellina. Questo
conte
Guido
fece giurare tutti i cittadini che rimasono in
Firenze
la fedeltà
del re Manfredi, e per
patti promessi
a' Sanesi fece disfare
cinque castella
del
contado di
Firenze ch'erano alle loro
frontiere; e rimase in
Firenze
per capitano di
guerra, e vicario generale per
lo re Manfredi, il detto
conte Giordano
colle masnade
de' tedeschi
al soldo de' Fiorentini, i quali molto
perseguitarono i Guelfi in più parti in
Toscana, come
innanzi faremo menzione; e tolsono tutti i loro
beni, e disfeciono molti
palagi e torri de' Guelfi, e
misono in comune i loro beni. Il detto
conte Giordano
fu gentile uomo di Piemonte in Lombardia, e
parente
della madre
del re Manfredi; e per la sua prodezza,
e perch'era molto fedele di Manfredi, e di vita
e di
costumi così
mondano com'egli, il fece
conte e li
diè terra in Puglia, e di piccolo stato il mise in grande
signoria.
L. 7, cap. 80 rubr.
Come la novella della sconfitta de' Fiorentini fu in
corte di papa, e la profezia che ne disse il cardinale
Bianco.
L. 7, cap. 80Come in corte di Roma venne la novella della sopradetta
sconfitta, il papa e' cardinali, ch'amavano lo stato
di santa Chiesa, n'ebbono grande dolore e
compassione, sì per gli Fiorentini, e sì perché di ciò
montava lo stato e podere di Manfredi nimico della
Chiesa; ma il cardinale Attaviano degli Ubaldini
ch'era Ghibellino ne fece gran festa; onde ciò veggendo
il cardinale Bianco, il qual era grande astrolago
e maestro di nigromanzia, disse: «Se 'l cardinale
Attaviano sapesse il futuro di questa guerra de' Fiorentini,
e' non farebbe questa allegrezza». Il collegio
de' cardinali il pregaro che dovesse dichiarire più in
aperto. Il cardinale Bianco non volea dire, perché
parlare del futuro gli pareva inlicito a la sua dignità,
ma i cardinali pregarono tanto il papa che gliele comandasse
sotto ubbidienza ch'egli il dicesse. Avuto il
detto comandamento, disse in brieve sermone: «I
vinti vittoriosamente vinceranno, e in etterno non
saranno vinti». Ciò s'interpetrò che' Guelfi vinti e cacciati
di Firenze vittoriosamente tornerebbono inn
istato, e mai in etterno non perderebbono loro stato
e signoria di Firenze.
L. 7, cap. 81 rubr.
Come i Ghibellini di Toscana ordinarono di disfare
la città di Firenze, e come messer Farinata degli Uberti
la difese.
L. 7, cap. 81Per lo simile modo ch'uscirono i Guelfi di
Firenze,
così feciono quegli di Prato, e di Pistoia, e di Volterra,
e di Samminiato, e di San Gimignano, e di più
altre terre e castella di
Toscana, le quali tornarono
tutte
a parte ghibellina, se non fu la
città di Lucca, la
quale si tenne
a parte guelfa uno tempo, e fu
rifuggio
de' Guelfi di
Firenze, e degli altri usciti di
Toscana. I
quali Guelfi di
Firenze feciono loro
istanza in Lucca
in borgo intorno
a San Friano; e la loggia dinanzi
a
San Friano feciono i Fiorentini. E ritrovandosi i Fiorentini
in quello luogo, messer
Tegghiaio
Aldobrandi
veggendo lo Spedito che nel
consiglio gli avea detta
villania, e che si
cercasse le brache, s'alzò e trassesi
de'
caviglioni
V fiorini d'oro ch'avea, e
mostrogli allo
Spedito che di
Firenze era uscito assai povero;
disse per rimproccio: «Vedi com'io ho
conce le brache?
A questo hai tu
condotto te e me e gli altri per
la tua audacia e superbia signoria». Lo Spedito rispuose:
«E voi perché cci
credavate?». Avemo di
queste piccole e
vili parole fatta menzione per
assempro
che niuno cittadino, e
massimamente i popolani
o di piccolo affare, quando ha signoria non
dee
essere troppo ardito o
prosuntuoso. In questo tempo
i Pisani, e' Sanesi, e gli Aretini col detto
conte Giordano
e cogli altri caporali ghibellini di
Toscana ordinaro
di fare
parlamento
a
Empoli, per riformare lo
stato di parte ghibellina in
Toscana, e fare taglia; e
così feciono. E però che
al
conte Giordano
convenia
tornare in Puglia
al re Manfredi, per mandato
del
detto Manfredi fue ordinato suo vicario generale e
capitano di
guerra in
Toscana il
conte
Guido
Novello
de'
conti
Guidi di Casentino e di
Modigliana, il
quale per parte
disertò il
conte Simone suo fratello, e
'l
conte
Guido
Guerra suo
consorto, e tutti quegli
del suo lato che teneano parte guelfa; e
disposto era
al tutto di cacciarne chi Guelfo fosse di
Toscana. E
nel detto
parlamento tutte le
città vicine, e'
conti
Guidi, e'
conti
Alberti, e que' da Santa Fiore, e gli
Ubaldini, e tutti i baroni d'intorno propuosono e furono
in concordia, per lo migliore di parte ghibellina,
di disfare
al tutto la
città di
Firenze, e di
recarla
a
borgora, acciò che mai di suo stato non fosse
rinnomo,
fama, né podere.
A la quale proposta si levò e
contradisse il valente e savio cavaliere messer
Farinata
degli Uberti, e nella sua
diceria propuose gli antichi
due grossi proverbi che dicono: «Com'asino
sape,
così
minuzza
rape» e «Vassi
capra
zoppa, se 'l
lupo no· lla
'ntoppa»; e questi
due proverbi
rinestò
in uno, dicendo. «Com'asino
sape, sì va
capra
zoppa;
così
minuzza
rape, se 'l lupo no· lla
'ntoppa»; recando
poi con savie parole
assempro e comparazioni
sopra il grosso proverbio, com'era follia di ciò parlare,
e come gran
pericolo e
danno ne potea avenire; e
s'altri ch'egli non fosse, mentre ch'egli avesse vita in
corpo,
colla spada in mano la difenderebbe. Veggendo
ciò il
conte Giordano, e l'uomo, e della autoritade
ch'era messer
Farinata, e il suo gran seguito, e come
parte ghibellina se ne potea partire e avere
discordia,
sì ssi rimase, e intesono
ad altro; sicché per
uno buono uomo cittadino scampò la nostra
città
di
Firenze da tanta
furia, distruggimento, ruina. Ma poi
il detto popolo di
Firenze ne fu ingrato, male
conoscente
contra il detto messer
Farinata, e sua progenia
e lignaggio, come innanzi faremo menzione; ma per
la
sconoscenza dello ingrato popolo, nondimeno è
da commendare e da ffare notabile memoria
del virtudioso
e buono cittadino, che fece
a guisa
del buono
antico
Cammillo di
Roma, come racconta
Valerio,
e
Tito Livio.
L. 7, cap. 82 rubr.Come il conte Guido vicario colla taglia de' Ghibellini
di Toscana andarono sopra Lucca, e ebbono Santa
Maria a Monte, e più castella.
L. 7, cap. 82Negli
anni di Cristo
MCCLXI il
conte
Guido
Novello
vicario per lo re Manfredi in
Firenze, co la taglia
di parte ghibellina di
Toscana, feciono oste sopra il
contado di Lucca
del mese di settembre, e furono
III.m cavalieri tra Toscani e Tedeschi, e popolo grandissimo.
E ebbono Castello Franco, e Santa
Croce, e
puosono assedio
a Santa Maria
a Monte, e
a quello
stettono per tre mesi; e poi per difalta di vittuaglia
s'
arendero
a
patti, salvi avere e persone. E poi ebbono
Montecalvi, e 'l
Pozzo; e poi tornarono all'asedio
di Fucecchio, che v'erano dentro il fiore di tutti gli
usciti guelfi di
Toscana, e
a quello stettono all'assedio,
gittandovi più
difici, e con molti ingegni e assalti,
per
XXX dì.
A la fine per la buona gente che dentro
v'era, e bene guernito, ma
maggiormente per
grande acquazzone (che 'l terreno d'intorno, ch'è
forte, per la
piova male si può osteggiare),
convenne
si partisse l'oste, e
nol poterono avere; e sì vi fu intorno
all'assedio le masnade de' Tedeschi ch'erano
a
la taglia de' Ghibellini di
Toscana, ch'erano
M cavalieri,
onde
Guido
Novello era vicario generale per lo
re Manfredi, e tutta la forza de' Ghibellini di
Firenze,
e di
Pisa, e di Siena, e d'
Arezzo, e di Pistoia, e di
Prato, e dell'altre
città e castella di
Toscana; e compiuta
la detta oste, si tornarono
a
Firenze.
L. 7, cap. 83 rubr.Come gli usciti guelfi di Firenze mandarono loro
ambasciadori in Alamagna per sommuovere Curradino
contra Manfredi.
L. 7, cap. 83In questi tempi veggendosi gli usciti guelfi di
Firenze,
e dell'altre terre di
Toscana, esser così perseguiti
da la forza di Manfredi e de' Ghibellini di
Toscana,
e veggendo che nullo signore si levava contra
la forza di Manfredi, e eziandio la Chiesa avea piccolo
podere contra llui, sì ssi pensarono di mandare loro
ambasciadori nella Magna
a sommuovere lo picciolo
Curradino contro
a Manfredi suo
zio, che
falsamente
gli tenea il regno di Cicilia e di Puglia, profferendogli
grande aiuto e favore. E così fu fatto, ché
de' maggiori usciti di
Firenze v'andarono per ambasciadori
con quegli
del Comune di Lucca; e per gli
usciti guelfi di
Firenze v'andò messer
Bonaccorso
Bellincioni degli
Adimari e messer Simone
Donati.
E trovarono
Curradino sì piccolo garzone, che la madre
in nulla guisa
acconsentìo di lasciarlo partire da
sé, con tutto che di volere e d'animo era grande contro
a Manfredi, e avealo per nimico e ribello di
Curradino.
E tornando i detti ambasciadori d'Alamagna,
per insegna e arra della venuta di
Curradino, si feciono
donare la sua mantellina foderata di vaio, la
quale recata
a Lucca, grande festa ne fu fatta per gli
Guelfi, e mostravasi in San Friano di Lucca com'una
santuaria. Ma non sapeano il futuro
distino i Guelfi
di
Toscana, come il detto
Curradino
dovea esser loro
nemico.
L. 7, cap. 84 rubr.Come gli usciti guelfi di Firenze presono Signa, ma
poco la tennono.
L. 7, cap. 84L'anno appresso MCCLXII i Guelfi usciti di Firenze
e gli altri usciti di Toscana, essendo l'oste e la taglia
de' Ghibellini tornati tutti a lloro terre, per alcuno
trattato ch'aveano in Firenze, subitamente partiti da
Lucca, una notte entrarono in Signa e presono la terra,
e quella intendeano afforzare; onde in Firenze
ebbe grande romore e sombuglio. Il conte Guido incontanente
mandò a Pisa, e a Siena, e all'altre terre
vicine per soccorso di genti, e incontanente vennero
con grande cavalleria. Gli usciti guelfi sentendo loro
venuta, non s'ardirono di restare in Signa, ma si partirono
e tornarono in Lucca; e ciò fu del mese di
L. 7, cap. 85 rubr.
Come il conte Guido vicario colla taglia di Toscana
e colla forza de' Pisani feciono oste sopra Lucca, per la
qual cosa i Lucchesi s'accordaro a pace, e cacciarono di
Lucca gli usciti guelfi.
L. 7, cap. 85La state appresso il detto vicario co' Fiorentini,
co' Pisani, e l'altre amistà della taglia de' Ghibellini
di
Toscana,
a petizione de' Pisani, feciono oste sopra
le terre e castella de' Lucchesi, ed ebbono
Castiglione,
e
sconfissonvi i Lucchesi, e gli usciti guelfi di
Firenze;
e messer Cece de'
Bondelmonti vi fu preso, e
miselsi in groppa messer
Farinata degli Uberti: chi
dice per iscamparlo. Messer Piero Asino degli Uberti
gli diede d'una
mazza di ferro in testa, e in groppa
del fratello l'uccise; onde furono assai ripresi. E dopo
la detta sconfitta il
conte
Guido co' Pisani e' Ghibellini
di
Firenze ebbono il castello di
Nozano, e
ponte
al Serchio, e
Rotaia; e
Serrezzano s'
arrendé
a lloro.
I Lucchesi veggendosi così assalire e spogliare
di loro castella, e per riavere i loro pregioni, che ancora
n'avea in Siena della sconfitta di Monte Aperti
grande quantità, e pur de' migliori, e veggendo che
degli usciti guelfi delle terre di
Toscana non aveano
altro che briga, e impaccio, e
danno per la loro
povertà,
segretamente feciono trattato col vicario di
Manfredi di cacciare gli usciti guelfi di
Firenze e dell'
altre terre di
Toscana, di Lucca, e di riavere i loro
pregioni e le loro castella, e di tenere alla taglia, e
prendere vicario, mantenendosi in unitade e in
pacifico
stato, sanza cacciare di Lucca parte alcuna. E
così fu fatto e fermo l'accordo, e sì segreto, che nullo
uscito ne sentì nulla, che bene l'avrebbono
sturbato.
E subitamente fu
a tutti comandato che sotto pena
dell'avere e della persona che
dovessono isgombrare
Lucca e 'l
contado infra i tre dì; onde gli sventurati
Guelfi usciti di
Firenze e dell'altre terre guelfe di
Toscana,
sanz'altro rimedio o misericordia,
convenne
loro uscire di Lucca e
del
contado
colle loro famiglie;
imperciò che di presente furono in Lucca le masnade
tedesche, e fatto capitano per lo vicario messer
Gozello da
Ghianzuolo; per la qual cosa molte gentili
donne
mogli degli usciti di
Firenze per
niccessità
in su l'alpe di San Pellegrino, che sono tra Lucca e
Modona, partoriro loro figliuoli, e con tanto
esilio e
miseria se n'andarono alla
città di Bologna; e ciò fu
del mese di
, gli
anni di Cristo
MCCLXIII. Ben si
dice per molti antichi che l'uscita de' Guelfi di
Firenze
di Lucca fu cagione di loro ricchezza, perciò
che molti Fiorentini usciti n'andarono oltremonti in
Francia
a guadagnare, che prima non erano mai usati,
onde poi molte ricchezze ne reddiro in
Firenze; e
cadeci il proverbio che
dice: «Bisogno fa
prod'uomo».
E partiti i Guelfi di Lucca, non rimase
città né
castello in
Toscana, picciolo o grande, che non tornasse
a parte ghibellina. In questi tempi, essendo il
conte
Guido
Novello signore in
Firenze, tutta la camera
del Comune votò, e
trassene tra più volte assai
bellissime balestra e altri guernimenti da oste, e
mandonnegli
a
Poppi in Casentino suo castello.
L. 7, cap. 86 rubr.Come gli usciti guelfi di Firenze e gli altri usciti di
Toscana cacciarono i Ghibellini di Modona, e poi di
Reggio.
L. 7, cap. 86Venuti nella
città di Bologna i miseri Guelfi cacciati
di
Firenze e di tutte le terre di
Toscana, che
niuna se ne tenea
a parte guelfa, più tempo stettono
in Bologna con grande
soffratta e
povertà, chi
a soldo
a piè, e chi
a cavallo, e chi sanza soldo. Avenne in
quegli tempi che quegli della
città di
Modona, la
parte guelfa co' Ghibellini, vennono
a
disensione e
battaglia
cittadinesca tra lloro, com'è usanza delle
terre di Lombardia di raunarsi e di combattersi in su
la piazza
del Comune: più dì stettono
afrontati l'uno
contra l'altro sanza
soprastare l'una parte l'altra.
Avenne che' Guelfi mandarono per soccorso
a Bologna,
e spezialmente
agli usciti guelfi di
Firenze, i
quali incontanente, come gente bisognosa e che per
loro
facie
guerra, sì v'andarono
a piè e
a cavallo, come
meglio
ciascuno potéo. E giunti
a
Modona, per
gli Guelfi fu data loro una porta, e
messi dentro; e
incontanente, venuti in su la piazza di
Modona, come
gente
virtudiosa, e
disposta
ad arme e
a
guerra, si
misono
a la battaglia contro
a' Ghibellini, i quali poco
sostennero, che furono sconfitti, e morti, e cacciati
della terra, e rubate le loro case, e beni; delle quali
prede i detti usciti di
Firenze guelfi e dell'altra
Toscana
molto
ingrassaro, e si
forniro di
cavagli e d'arme,
che n'aveano grande bisogno; e ciò fu gli
anni di
Cristo
MCCLXIII. E stando in
Modona, poco tempo
appresso, per simile modo come fece
Modona, si cominciò
battaglia nella
città di Reggio in Lombardia
tra' Guelfi e' Ghibellini; e mandato per gli Guelfi di
Reggio per soccorso
agli usciti guelfi di
Firenze ch'erano
in
Modona, incontanente v'andarono, e feciono
capitano di loro messere Forese degli
Adimari. E
entrati
in Reggio, furono in su la piazza
a la battaglia, la
quale molto
durò, imperciò che' Ghibellini di Reggio
erano molto possenti, e intra gli altri v'avea uno
chiamato il
Caca da Reggio, e ancora per ischerne
del nome di lui si fa menzione in
motti. Questi era
grande quasi com'uno gigante, e di maravigliosa forza,
e con una
mazza di ferro in mano, nullo gli s'ardiva
ad appressare che non abbattesse in terra o morto
o guasto, e per lui era ritenuta quasi tutta la battaglia.
Veggendo ciò i gentili uomini di
Firenze usciti,
si
elessono tra lloro
XII de' più
valorosi, e
chiamaronsi
gli
XII paladini, i quali
colle coltella in mano si
strinsono adosso
al detto valente uomo, il quale dopo
molto grande difesa, e molti de' nimici abattuti, sì
fu
aterrato e morto in su la piazza; e sì tosto come i
Ghibellini vidono atterrato il loro campione, si misono
in fuga e in sconfitta, e furono cacciati di Reggio.
E se gli usciti guelfi di
Firenze e dell'altre terre di
Toscana
arricchirono delle prede de' Ghibellini di
Modona,
maggiormente
aricchirono di quelle de'
Ghibellini di Reggio; e tutti s'
incavallaro, sicché in
poco tempo, standosi in Reggio e in
Modona, furono
più di
CCCC a cavallo di buona gente d'arme bene
montati, e vennono
a grande bisogno e
sussidio di
Carlo
conte d'Angiò e di
Proenza, quando passò in
Puglia contra Manfredi, come innanzi faremo menzione.
Lasceremo alquanto de' fatti di
Firenze e degli
usciti guelfi, e torneremo alle
novitadi che ne' detti
tempi furono tra la Chiesa di
Roma e Manfredi.
L. 7, cap. 87 rubr.Come Manfredi perseguitò papa Urbano e la Chiesa
co'suoi Saracini di Nocera, e come fu predicata la croce
contro a lloro.
L. 7, cap. 87Per la sconfitta de' Fiorentini e degli altri Guelfi
di
Toscana
a Monte Aperti, come detto avemo adietro,
lo re Manfredi montò in grande signoria e stato,
e tutta la parte imperiale di
Toscana e di Lombardia
molto n'asaltò; e la Chiesa e' suoi divoti e fedeli n'
abassarono
molto in tutte parti. Avenne che molto
poco tempo appresso, nel detto
anno
MCCLX, papa
Allessandro passò di questa vita nella
città di Viterbo,
e vacò la Chiesa sanza pastore
V mesi per
discordia
de' cardinali. Poi
elessono papa
Urbano il
IIII,
della
città di Tresi di Campagna in
Francia, il quale
fue di vile nazione, siccome figliuolo d'uno
ciabattiere,
ma valente uomo fu, e savio. Ma la sua elezione
fu in questo modo: egli era in
corte di
Roma povero
cherico, e piativa una sua chiesa che gli era tolta, di
libbre
XX di tornesi l'
anno; i cardinali per loro
discordia
serrarono con chiavi ov'erano rinchiusi, e feciono
tra lloro
dicreto segreto che 'l primo
cherico
che picchiasse la porta fosse papa. Come piacque
a dDio, questo
Urbano fu il primo, e dove piativa la
povera chiesa di libbre
XX di tornesi, ebbe l'universale
Chiesa, come
dispuose Idio,
al modo della elezione
del beato
Niccolaio. Perché fu miracolosa la elezione,
n'avemo fatta menzione e memoria; il quale fu
consecrato gli
anni di Cristo
MCCLXI. Questi trovando
la Chiesa in grande
abassamento per la forza di
Manfredi, il quale occupava quasi tutta Italia, e l'oste
de' suoi Saracini di Nocera avea messa nelle terre
del
Patrimonio di San Piero, sì predicò croce contro
a lloro,
onde molta gente fedeli si
crucciaro, e andarono
ad oste contra loro; per la qual cosa i detti Saracini
si fuggirono in Puglia; ma però non lasciava Manfredi
di continuo fare perseguitare il papa e la Chiesa
a' suoi fedeli e masnade; e egli stava quando in Cicilia
e quando in Puglia
a grande delizia e in grandi diletti,
seguendo vita
mondana e
epicurea,
ad ogni suo
piacere, tenendo più concubine, vivendo
lussuriosamente,
e non parea che curasse né Dio né santi. Ma
Idio giusto signore, il quale per grazia indugia il suo
giudicio
a' peccatori perché si
riconoscano, ma alla
fine non perdona chi non ritorna
a llui, tosto mandò
la sua maladizione e ruina
a Manfredi, quando egli si
credea esser in maggiore stato e signoria, come innanzi
faremo menzione.
L. 7, cap. 88 rubr.Come la Chiesa di Roma elesse Carlo di Francia a
esser re di Cicilia e di Puglia.
L. 7, cap. 88Essendo il detto papa
Urbano e la Chiesa così abbassata
per la
potenzia di Manfredi, e li eletti
due
imperadori (ciò era quello di Spagna e quello d'Inghilterra)
nonn aveano concordia né
potenzia di passare
in Italia, e
Curradino figliuolo
del re
Currado,
a
cui apartenea per retaggio il regno di Cicilia e di Puglia,
era sì piccolo garzone, che non potea ancora venire
contro
a Manfredi, il detto papa per
infestamento
di molti fedeli della Chiesa, i quali per le forze di
Manfredi erano cacciati di loro terre, e spezialmente
per gli usciti guelfi di
Firenze e di
Toscana che
al
continuo erano seguendo la
corte, compiagnendosi
a' piè
del papa, il detto papa
Urbano fece uno grande
concilio de' suoi cardinali e di molti prelati, e
propuose come la Chiesa era soggiogata da Manfredi,
e come sempre quegli di sua casa e lignaggio erano
stati nimici e persecutori di santa Chiesa, non essendo
grati di molti benifici ricevuti, che, quando
a lloro
paresse, avea pensato di trarre santa Chiesa di
servaggio, e di
recarla in suo stato e libera; e ciò potea
esser, chiamando
Carlo
conte d'Angiò e di
Proenza, figliuolo
del re di
Francia, e fratello
del
buono re
Luis, il quale era il più sofficiente prencipe
di prodezza d'arme e d'ogni virtù che fosse
al suo
tempo, e di sì possente casa come quella di
Francia,
e che fosse campione di santa Chiesa, e re di Cicilia e
di Puglia,
raquistandola dal re Manfredi, il quale la
tenea per forza
inlicitamente, e era scomunicato e
dannato, e contro
a la volontà di santa Chiesa, e come
suo ribello; e egli si confidava tanto nella prodezza
del detto
Carlo e della baronia di
Francia, che 'l
seguiterebbono, ch'egli non
dubitava ch'egli non
contastasse Manfredi, e gli togliesse la terra e il regno
tutto in poco tempo, e mettesse la Chiesa in
grande stato.
Al quale
consiglio s'accordarono tutti i
cardinali e prelati, e così
elessono il detto
Carlo
a re
di Cicilia e di Puglia, egli e' suoi discendenti insino
in quarta di sua generazione appresso
a lui; e fermata
la elezione, gli mandarono il decreto; e ciò fu gli
anni di Cristo
MCCLXIII.
L. 7, cap. 89 rubr.Come Carlo conte d'Angiò e di Proenza accettò la
elezione fattagli di Puglia e di Cicilia per la Chiesa di
Roma.
L. 7, cap. 89Come la detta elezione fu portata in
Francia
al
detto
Carlo per lo cardinale Simone dal Torso, sì
n'ebbe
consiglio col re
Luis di
Francia, e col
conte
d'Artese, e con quello di
Lanzone suoi fratelli, e cogli
altri grandi baroni di
Francia, e per tutti fu consigliato
ch'
al nome di Dio
dovesse fare la detta impresa
in
servigio di santa Chiesa, e per portare onore di
corona e di reame. E lo re
Luis di
Francia suo maggiore
fratello gli proferse aiuto di gente e di
tesoro; e
simigliante gli
profersono tutti i baroni di
Francia. E
la donna sua, ch'era figliuola minore
del buono
conte
Ramondo
Berlinghieri di
Proenza, per la quale ebbe
in retaggio la detta
contea di
Proenza, come sentì
la elezione
del
conte
Carlo suo
marito, per esser reina
si impegnò tutti i suoi
gioegli, e richiese tutti i
baccellieri d'arme di
Francia e di
Proenza, che fossono
alla sua bandiera, e
a
farla reina. E ciò fece
maggiormente
per uno
dispetto e sdegno, che poco dinanzi
le sue tre maggiori
serocchie, che tutte erano reine,
l'aveano fatto, di
farla sedere uno grado più
bassa di loro, onde con grande
duolo se ne richiamò
a
Carlo suo
marito, il quale le rispuose: «
Datti pace,
ch'io ti farò tosto maggiore reina di loro»; per la
qual cosa ella procacciò e ebbe la migliore baronia di
Francia
al suo
servigio, e quegli che più
adoperarono
nella detta impresa. E così intese
Carlo
al suo
apparecchiamento
con ogni sollecitudine e podere, e rispuose
al papa e
a' cardinali per lo detto legato cardinale,
come avea accettata la loro elezione, che sanza
guari d'indugio passerebbe in Italia con forte
braccio e grande
potenzia alla difensione di santa
Chiesa e contro
a Manfredi, per
cacciarlo della terra
di Cicilia e di Puglia; della quale
novella la Chiesa e
tutti suoi fedeli, e chiunque era di parte guelfa, si
confortarono assai e presono grande vigore. Come
Manfredi sentì la
novella, si provide
al riparo di gente
e di moneta, e
colla forza della parte ghibellina di
Lombardia e di
Toscana,
ch'erano in sua lega e compagnia,
ordinò taglia e guernimento di più gente assai
che prima nonn aveano, e
fecene venire della Magna
per suo riparo, acciò che 'l detto
Carlo né sua
gente di
Francia non potessono
entrare in Italia né
passare
a
Roma; e con moneta e con
promesse si recò
gran parte de' signori e delle
città d'Italia sotto
sua signoria, e in Lombardia fece suo vicario il marchese
Palavigino di Piemonte suo
parente, che molto
il
somigliava di persona e di
costumi. E simigliante
fece apparecchiare grande guardia in
mare di
galee
armate de' suoi Ciciliani e Pugliesi, e de' Pisani ch'erano
in lega con lui, e poco
dottava la venuta
del
detto
Carlo, il quale chiamavano per
dispetto
Carlotto.
E imperciò che
a Manfredi parea esser, e era, signore
del
mare e della terra, e la sua parte ghibellina
era
al di sopra e signoreggiava
Toscana e Lombardia,
la sua venuta avea per niente.
L. 7, cap. 90 rubr.Incidenza, raccontando del buono conte Ramondo
di Proenza.
L. 7, cap. 90Poi che nel
capitolo di sopra avemo
contato della
valente donna, moglie che fu
del re
Carlo e figliuola
del buono
conte
Ramondo
Berlinghieri di
Proenza, è
ragione ch'alcuna cosa in brieve diciamo
del detto
conte, onde il re
Carlo rimase
reda. Il
conte
Ramondo
fu
gentile signore di
legnaggio, e fu d'una progenia
di que' della casa d'
Araona, e di quella
del
conte
di Tolosa; per retaggio fu sua la
Proenza di qua dal
Rodano. Signore fu savio e cortese, e di nobile stato,
e virtuoso, e
al suo tempo fece onorate cose, e in sua
corte usarono tutti i gentili uomini di
Proenza, e di
Francia, e Catalogna per la sua cortesia e nobile stato;
e molte
cobbole e canzoni
provenzali di gran sentenzie
fece. Arrivò in sua
corte uno romeo che tornava
da Sa· Jacopo, e udendo la bontà
del
conte
Ramondo,
ristette in sua
corte, e fu sì savio e valoroso,
e venne tanto in grazia
al
conte, che di tutto il fece
maestro e guidatore; il quale sempre in abito onesto
e riligioso si
mantenne, e in poco tempo per sua industria
e senno
radoppiò la
rendita di suo signore in
tre
doppi, mantenendo sempre grande e onorata
corte. E avendo
guerra col
conte di Tolosa per
confini
di loro terre (e il
conte di Tolosa ch'era il maggiore
conte
del
mondo, e sotto sé avea
XIIII conti), per
la cortesia
del
conte
Ramondo, e per lo senno
del
buono romeo, e per lo
tesoro ch'egli gli avea raunato,
ebbe tanti baroni e cavalieri, ch'egli venne
al disopra
della
guerra, e con onore.
Quattro figliuole
avea il
conte e nullo figliuolo maschio. Per lo senno e
procaccio
del buono romeo, prima gli maritò la maggiore
al buono re
Luis di
Francia per moneta, dicendo
al
conte: «Lasciami fare, e non ti gravi il
costo,
che se tu mariti bene la prima, tutte l'altre per lo suo
parentado le
mariterai meglio, e con meno
costo». E
così venne fatto, che incontanente il re d'Inghilterra
per esser cognato
del re di
Francia tolse l'altra per
poca moneta; appresso il fratello carnale essendo
eletto re de' Romani, simile tolse la terza; la quarta
rimanendo
a maritare, disse il buono romeo: «Di
questa voglio che abbi uno valente uomo per figliuolo,
che rimanga tua
reda»; e così fece. Trovando
Carlo
conte d'Angiò, fratello
del re
Luis di
Francia,
disse: «
A costui la da', ch'è per esser il migliore uomo
del
mondo», profetando di lui; e così fu fatto.
Avenne poi per invidia, la quale guasta ogni bene,
che' baroni di
Proenza
appuosono
al buono romeo
ch'egli avea male guidato il
tesoro
del
conte, e feciongli
domandare
conto; il valente romeo disse:
«
Conte, io t'ho servito gran tempo, e messo di picciolo
stato in grande, e di ciò per lo falso
consiglio di
tue genti
se' poco grato; io venni in tua
corte povero
romeo, e onestamente
del tuo sono vivuto:
fammi
dare il mio muletto, e 'l mio bordone, e scarsella, com'
io ci venni, e
quetoti ogni
servigio». Il
conte non
volea si partisse; per nulla volle rimanere, e com'era
venuto, così se n'andò, che mai non si seppe onde si
fosse, né dove s'andasse: avisossi
per molti che fosse
santa anima la sua.
L. 7, cap. 91 rubr.Come in quegli tempi apparve una grande stella comata,
e le sue significazioni.
L. 7, cap. 91Negli
anni di Cristo
MCCLXIIII,
del mese d'
agosto,
apparve in
cielo una
stella
comata con grandi raggi e
chioma dietro, che levandosi dall'oriente con grande
luce infino ch'era
al mezzo il
cielo, inverso l'occidente,
la sua chioma
risplendea, e
durò tre mesi: ciò fu
infino
del mese di novembre. E la detta
stella
comata
significò diverse
novitadi in più parti
del secolo; e
molti dissono ch'
apertamente significò la venuta
del
re
Carlo di
Francia, e la
mutazione che
seguì l'
anno
appresso
del regno di Cicilia e di Puglia, il quale
si trasmutò per la sconfitta e
morte
del re Manfredi
della signoria de' Tedeschi
a quella de' Franceschi; e
simigliante molte
mutazioni e traslazioni di parti, per
cagione di quella
del Regno, avennero
a più
città di
Toscana e di Lombardia, come innanzi faremo menzione.
E come s'apruovi che queste stelle comate significano
mutazioni di
regni, per gli antichi autori in
loro versi, si mostra per
Istazio poeta, nel primo suo
libro di Tebe, ove disse: «
Bella
quibus
populis
que
mutat
regni
comete». E Lucano nel primo suo
libro
disse: «
Sideris
et
terris
mutante
regna
comete». Ma
questa intra l'altre significazioni fu
evidente e aperta,
che come la detta
stella apparve, papa
Urbano amalò
d'infermità, e la notte che la detta cometa venne meno
si passò il detto papa di questa vita nella
città di
Perugia, e là fu soppellito; della cui
morte alquanto
tardò la venuta di
Carlo, e Manfredi e' suoi seguaci
furono molto allegri, avisando che morto il detto papa
Urbano ch'era Francesco, s'impedisse la detta impresa
di
Carlo. E vacò la Chiesa sanza pastore
V mesi;
ma come piacque
a dDio, fu fatto papa Clemente
IIII della
città di San Gilio in
Proenza, il quale
fu buono uomo e di santa vita per orazioni, e
digiuni, e
limosine, tutto che prima fosse suto laico, e avesse
avuto moglie e figliuoli, cavaliere e grande avogado
in ogni
consiglio
del re di
Francia; ma
morta la moglie,
si fece
cherico, e fu vescovo dal Poi, e appresso
arcivescovo di Nerbona, e poi cardinale di Savina, e
regnò presso di
IIII anni, e molto fu
favorevole alla
venuta
del detto
Carlo, e rimise santa Chiesa in buono
stato. Lasceremo alquanto
del papa e dell'altre
novità d'Italia, imperciò che tutte seguiro all'avento
del detto
Carlo e de' suoi successori, e le
novità che
furono quasi per tutto il
mondo.
L. 8, cap. 1 rubr.
Qui comincia il VIII libro, il quale tratta dell'avenimento
del re Carlo, e di molte mutazioni e novitadi
che ne seguirono appresso.
L. 8, cap. 1
Carlo figliuolo secondo che fu di
Luis Piacevole re
di
Francia, e nipote
del buono re
Filippo il Bornio
suo avolo, onde facemmo menzione adietro, e fratello
del buono re
Luis di
Francia, e di Ruberto
conte
d'Artese, e d'
Infons
conte di Pettieri, tutti e
quattro
fratelli, furono nati della reina
Biancia figliuola
del re
Alfons di Spagna. Il detto
Carlo
conte d'Angiò per
retaggio
del padre, e
conte di
Proenza di qua dal Rodano
per retaggio della moglie, figliuola
del buono
conte
Ramondo
Berlinghieri, sì come per lo papa e
per la Chiesa fu eletto re di Cicilia e di Puglia, sì
s'apparecchiò di cavalieri e di baroni per fornire sua
impresa e passare in Italia, come
innarrammo dinanzi.
Ma acciò che più
apertamente si possa sapere per
quegli che sono
a venire come questo
Carlo fu il primo
origine de' re di Cicilia e di Puglia
stratti della
casa di
Francia, sì direno alquanto delle sue virtù e
condizioni; ed è bene ragione di far memoria di tanto
signore, e tanto amico e protettore e difenditore
di santa Chiesa e della nostra
città di
Firenze, sì come
innanzi faremo menzione. Questo
Carlo fu savio,
di sano
consiglio, e
prode in arme, e aspro, e molto
temuto e ridottato da tutti i re
del
mondo, magnanimo
e d'alti intendimenti, in fare ogni grande impresa
sicuro, in ogni aversità fermo, e veritiere d'ogni sua
promessa, poco parlante, e molto
adoperante, e quasi
non ridea se non poco, onesto com'uno religioso, e
cattolico; aspro in giustizia, e di feroce
riguardo;
grande di persona e nerboruto, di
colore
ulivigno, e
con grande naso, e parea bene maestà reale più ch'altro
signore. Molto vegghiava e poco dormiva, e usava
di dire che dormendo tanto tempo si perdea. Largo
fu
a' cavalieri d'arme, ma
covidoso d'aquistare
terra, e signoria, e moneta, d'onde si venisse, per fornire
le sue imprese e guerre. Di gente di
corte,
minestrieri
o
giucolari, non si dilettò mai. La sua arme era
quella di
Francia, cioè il campo azzurro e
fioridaliso
d'oro, e di sopra uno rastrello
vermiglio: tanto si
divisava
da quella
del re di
Francia. Questo
Carlo
quando passò in Italia era d'età di
XLVI anni, e regnò
re di Cicilia e di Puglia, come faremo menzione innanzi,
anni
XVIIII. Ebbe della moglie
due figliuoli e
più figliuole: il primo ebbe nome
Carlo secondo, e
fu
sciancato alquanto, e fu
prenze di Capova, e appresso
del primo
Carlo suo padre fu re di Cicilia e di
Puglia, come innanzi faremo menzione; l'altro ebbe
nome
Filippo, il quale per la moglie fu
prenze della
Morea, ma morì giovane, e sanza figliuoli, però che
si guastò
a tendere uno balestro. Lasceremo alquanto
della progenie
del buono re
Carlo, e seguiremo
nostra storia
del suo passaggio in Italia e d'altre cose
conseguenti
a quello.
L. 8, cap. 2 rubr.Come i Guelfi usciti di Firenze ebbono l'arme da
papa Chimento, e come seguirono la gente francesca
del conte Carlo.
L. 8, cap. 2In questi tempi i Guelfi usciti di
Firenze e dell'altre
terre di
Toscana, i quali s'erano molto avanzati
per la
presura ch'aveano fatta della
città di
Modona
e di Reggio, come addietro facemmo menzione, sentendo
come il
conte
Carlo s'apparecchiava di passare
in Italia, sì si misono con tutto loro podere in arme e
in
cavagli, isforzandosi
ciascuno giusta sua possa, e
feciono più di
CCCC buoni uomini
a cavallo gentili di
lignaggio, e provati in arme, e mandarono loro ambasciadori
a papa
Chimento, acciò che gli raccomandasse
al
conte
Carlo eletto re di Cicilia, e profferendosi
al
servigio di santa Chiesa; i quali dal detto papa
furono ricevuti graziosamente, e proveduti di moneta
e d'altri benifici; e volle il detto papa che per
suo amore la parte guelfa di
Firenze portasse sempre
la sua arme propia in bandiera e in
suggello, la quale
era, e è, il campo bianco con una
aguglia
vermiglia in
su uno serpente verde, la quale portarono e tennero
poi, e fanno insino
a' nostri presenti tempi; bene
v'hanno poi agiunto i Guelfi uno giglietto
vermiglio
sopra il capo dell'aquila. E con quella insegna si partirono
di Lombardia in compagnia de' cavalieri franceschi
del
conte
Carlo quando passarono
a
Roma,
come appresso faremo menzione; e fu della migliore
gente, e che più
adoperarono d'arme ch'avesse
del
tanto il re
Carlo alla battaglia contro
a Manfredi. Lasceremo
alquanto degli usciti guelfi di
Firenze, e diremo
della venuta
del
conte
Carlo e di sua gente.
L. 8, cap. 3 rubr.Come il conte Carlo si partì di Francia, e per mare
si passò di Proenza a Roma.
L. 8, cap. 3Negli
anni di Cristo
MCCLXV Carlo
conte d'Angiò
e di
Proenza, fatta sua raunata di baroni e di cavalieri
di
Francia, e di moneta per fornire suo
viaggio, e
fatta sua mostra, si lasciò il
conte
Guido di
Monforte
capitano e guidatore di
MD cavalieri franceschi, i
quali
dovessono venire
a
Roma per la
via di Lombardia.
E fatta la festa della
Pasqua della Resurressione
di Cristo col re
Luis di
Francia e cogli altri suoi fratelli
e amici, subitamente si partì di Parigi con
poca
compagnia: sanza
soggiorno venne
a Marsilia in
Proenza, là
dove avea fatte apparecchiare
XXX galee
armate, in su le quali si ricolse con alquanti baroni
che di
Francia avea
menato seco, e con certi de' suoi
baroni e cavalieri
provenzali, e
misesi in
mare per venire
a
Roma
a grande
pericolo; però che 'l re Manfredi
colle sue forze avea fatte armare in
Genova, e
in
Pisa, e nel Regno più di
LXXX galee, le quali stavano
in
mare alla guardia, acciò che 'l detto
Carlo non
potesse passare. Ma il detto
Carlo, come franco e ardito
signore, si mise
a passare, non guardando
agli
aguati de' suoi nimici, dicendo uno proverbio, overo
sentenzia di filosofo, che
dice: «Buono
studio rompe
rea fortuna». E ciò avenne
al detto
Carlo bene
a
bisogno; ché essendo
colle sue
galee sopra il
mare di
Pisa, per fortuna di
mare si
sciarrarono, e
Carlo con
III delle sue
galee, per forza
straccando, arrivò
a Porto
Pisano. Sentendo ciò il
conte
Guido
Novello,
ch'allora era in
Pisa vicaro
del re Manfredi, s'armò
colle sue masnade di Tedeschi per cavalcare
a Porto,
e prendere il
conte
Carlo; i Pisani presono loro punto,
e chiusono le porte della
città, e furono
ad arme,
e mossono questione
al vicario, che
rivoleano il cassero
del
Mutrone ch'egli tenea per gli Lucchesi, il
quale era
a lloro molto caro e bisognevole; e così
convenne che fosse fatto innanzi si potesse partire. E
per lo detto intervallo e dimoro, quando il
conte
Guido partito di
Pisa e giunto
a Porto, il
conte
Carlo,
cessata alquanto la fortuna, e con grande sollecitudine
fatte racconciare le sue
galee, e messosi in
mare, di poco dinanzi s'era partito di Porto, e cessato
tanto
pericolo e isventura: e così come piacque
adDio, passando poi assai di presso
del navilio
del
re Manfredi, prendendo alto
mare, arrivò
colla sua
armata sano e salvo alla foce
del Tevero di
Roma
del
mese di maggio
del detto
anno, la cui venuta fu tenuta
molto maravigliosa e sùbita, e dal re Manfredi e
da sua gente appena si potea credere. Giunto
Carlo
a
Roma, da' Romani fu ricevuto
a grande onore, imperciò
che non amavano la signoria di Manfredi, e
incontanente fu fatto sanatore di
Roma per volontà
del papa e
del popolo di
Roma. Con tutto che papa
Chimento fosse
a Viterbo, li diede ogni aiuto e favore
contro
a Manfredi, spirituale e temporale; ma per
cagione che lla sua cavalleria che
venia di
Francia
per terra, per molti impedimenti apparecchiati per le
genti di Manfredi in Lombardia, penarono molto
a
giugnere
a
Roma, come faremo menzione, sicché
al
conte
Carlo
convenne soggiornare
a
Roma, e in
Campagna, e
a Viterbo tutta quella state, nel quale
soggiorno provide e
ordinò come potesse
entrare nel
Regno con sua oste.
L. 8, cap. 4 rubr.Come il conte Guido di Monforte colla cavalleria
del conte Carlo passò per Lombardia a Roma.
L. 8, cap. 4Il
conte
Guido di
Monforte
colla cavalleria che 'l
conte
Carlo gli lasciò
a guidare, e
colla
contessa moglie
del detto
Carlo, e co' suoi cavalieri si partirono
di
Francia
del mese di giugno
del detto
anno. E questi
furono i caporali de' baroni col
conte di
Monforte:
messer
Boccardo
conte di
Vandomo, e messere
Giovanni suo fratello, messer
Guido di
Bieluogo vescovo
d'
Alsurro, messere
Filippo di
Monforte, messere
Guiglielmo e messer Piero di
Bielmonte, messer
Ruberto di Bettona primogenito
del
conte di
Fiandra
il quale era genero
del
conte
Carlo, messer Gilio il
Bruno
conastabolo di
Francia, maestro e balio
del
detto Ruberto, il maliscalco di
Mirapesce, messere
Guiglielmo lo Stendardo, messer
Gianni di
Bresiglia
maliscalco
del
conte
Carlo, cortese e valente cavaliere;
e feciono la
via di Borgogna e di Savoia, e passarono
le montagne di Monsanese; e arrivati nella contrada
di Torino e d'Asti, dal marchese di Monferrato
ch'era signore di quello paese furono ricevuti onorevolmente,
perché 'l detto marchese tenea
colla Chiesa,
e era contro
a Manfredi; e per lo suo
condotto, e
coll'aiuto de' Melanesi, si misono
a passare la Lombardia
tutti in arme, e cavalcando schierati, e con
molto affanno di Piemonte infino
a Parma, però che
'l marchese
Palavigino
parente di Manfredi,
colla
forza de'
Chermonesi e dell'altre
città ghibelline di
Lombardia ch'erano in lega con Manfredi, era
a
guardare i passi con più di
III.m cavalieri, che Tedeschi
e che Lombardi. Alla fine, come piacque
a dDio,
veggendosi assai di presso le dette
due osti
al
luogo detto
, i Franceschi passarono sanza contasto
di battaglia, e arrivarono alla
città di Parma. Bene
si disse che uno messer
Buoso della casa di que'
da
Duera di Chermona, per danari ch'ebbe da' Franceschi,
mise
consiglio per modo che l'oste di Manfredi
non fosse
al contasto
al passo, com'erano ordinati,
onde poi il popolo di Chermona
a ffurore distrussono
il detto
legnaggio di quegli da
Duera. Giunti i
Franceschi alla
città di Parma, furono ricevuti graziosamente;
e gli usciti guelfi di
Firenze e dell'altre
città di
Toscana, con più di
CCCC cavalieri, onde
aveano fatto loro capitano il
conte
Guido
Guerra de'
conti
Guidi, andarono loro incontro infino
a Mantova.
E quando i Franceschi si scontrarono con gli
usciti guelfi di
Firenze e di
Toscana, parve loro sì
bella gente e sì
riccamente
a
cavagli e
ad arme, che
molto si
maravigliarono che usciti di loro terre potessono
esser così nobilemente adobbati, e la loro
compagnia ebbono molto
cara de' detti nostri usciti.
E poi gli
scorsono e
condussono per Lombardia
a
Bologna, e per
Romagna, e per la Marca, e per lo
Ducato, che per
Toscana non poterono passare, però
che tutta era
a parte ghibellina e alla signoria di
Manfredi; per la qual cosa misono molto tempo in
loro
viaggio, sicché prima fu l'
entrante
del mese di
dicembre
del detto
anno
MCCLXV, che giugnessono
a
Roma; e giunti loro alla
città di
Roma, il
conte
Carlo
fu molto allegro, e gli ricevette
a gran festa e onore.
L. 8, cap. 5 rubr.Come lo re Carlo fu coronato in Roma re di Cicilia,
e come incontanente si partì con sua oste per andare
incontro al re Manfredi.
L. 8, cap. 5Come la cavalleria
del
conte
Carlo fu giunta
a
Roma,
sì intese
a prendere sua corona, e il dì della Befania,
gli
anni detti
MCCLXV, per
due cardinali legati
e mandati dal papa fue
consecrato in
Roma e
coronato
del reame di Cicilia e di Puglia, egli e la donna
sua,
a grande onore; e sì tosto come fu finita la festa
della sua coronazione, sanza alcuno
soggiorno si mise
al camino con sua oste per la
via di Campagna inverso
il regno di Puglia; e Campagna ebbe assai tosto
grande parte sanza contasto
al suo
comandamento.
Lo re Manfredi sentendo la loro venuta,
del detto
Carlo, e poi della sua gente, com'era passata per difalta
della sua grande oste ch'era in Lombardia, fu
molto
cruccioso: incontanente mise tutto suo
studio
alla guardia de' passi
del Regno, e
al passo
al ponte
a
Cepperano mise il
conte Giordano e quello di
Caserta,
i quali erano della casa di quegli d'Aquino, e con
genti assai
a piè e
a cavallo, e in San
Germano mise
grande parte di sua baronia, Tedeschi e Pugliesi, e
tutti i Saracini di Nocera
coll'arcora e balestra e con
molto saettamento, confidandosi più in quello riparo
che inn altro, per lo forte luogo e per lo sito, che
dall'una parte ha grandi montagne e dall'altra paduli
e marosi, ed era fornito di vittuaglia e di tutte cose
bisognevoli per più di
due
anni. Avendo fatto il re
Manfredi di fornimento
a' passi, come detto avemo,
sì mandò suoi ambasciadori
al re
Carlo, per trattare
co· llui triegue o pace; ed
isposta loro ambasciata, il
re
Carlo di sua bocca volle fare la
risposta, e disse in
sua lingua in francesco: «
Ales e
dite
moi
a
le
sultam de
Nocere:
o
gie
metterai
lui
en
enferne
o
il
mettra
moi
em
paradis»; ciò vuole dire: «Io non voglio altro
che lla battaglia, ove o io ucciderò lui, o egli
me»; e ciò fatto, sanza
soggiorno si mise
al
cammino.
Avenne che giunto il re
Carlo con sua oste
a Fresolone
in Campagna, iscendendo verso Cepperano, il
detto
conte Giordano che
a quello passo era
a guardia,
veggendo venire la gente
del re per passare, volle
difendere il passo; il
conte di
Caserta disse ch'era
meglio
a lasciarne prima alquanti passare, sì gli
avrebbono di là dal passo sanza
colpo di spada. Il
conte Giordano credendo che consigliasse il migliore,
aconsentì, ma quando vide ingrossare la gente,
ancora volle
assalirgli con battaglia; allora il
conte di
Caserta, il quale era nel trattato, disse che lla battaglia
era di gran rischio, imperciò che troppi n'erano
passati. Allora il
conte Giordano veggendo sì possente
la gente
del re,
abandonarono la terra e 'l ponte,
chi
dice per paura, ma i più dissono per lo trattato
fatto da re
al
conte di
Caserta, imperciò ch'egli
nonn amava Manfredi, però che per la sua disordinata
lussuria per forza avea giaciuto
colla moglie
del
conte di
Caserta, onde da llui si tenea forte
ontato, e
volle fare questa vendetta col detto
tradimento. E
a
questo
diamo fede, però che furono de' primi egli e'
suoi che s'
arrenderono
al re
Carlo, e lasciato Cepperano,
non tornaro
a l'oste
del re Manfredi
a San
Germano,
ma si tennero in loro castella.
L. 8, cap. 6 rubr.Come il re Carlo, avuto il passo di Cepperano, ebbe
per forza la terra di San Germano.
L. 8, cap. 6Come lo re
Carlo e sua oste ebbono preso il passo
di Cepperano, presono Aquino sanza contasto, e per
forza ebbono la rocca d'
Arci, ch'è delle più forti tenute
di quello paese; e ciò fatto, si misono
a campo
coll'oste
a San
Germano. Quegli della terra per lo
forte luogo, e perch'era bene fornito di genti e di tutte
cose, aveano per niente la gente
del re
Carlo, ma
per
dispregio,
a lloro ragazzi che
menavano i
cavagli
a l'acqua faceano
spregiare, e dire onta e villania,
chiamando: «Ov'è il vostro
Carlotto?». Per la qual
cosa i ragazzi de' Franceschi si misono
a badaluccare
e
a combattere con quegli d'
entro, per la qual cosa
tutta l'oste de' Franceschi si levò
a romore. E temendo
che 'l campo non fosse assalito, tutti furono
ad
arme i Franceschi subitamente, correndo inverso la
terra; quegli d'
entro non prendendosi di ciò guardia,
non furono così tosto tutti
a l'arme. I Franceschi con
grande furore assalirono la terra, e
dando battaglia
da più parti; e chi migliore
schermo non potea avere,
ismontando de'
cavagli, e levando loro le
selle, e con
esse in capo andavano sotto le
mura e torri della terra.
Il
conte di
Vandomo con messer
Gianni suo fratello,
e co· lloro bandiera, i quali furono de' primi
che s'armarono, seguirono i ragazzi di que' d'
entro
ch'erano usciti
al badalucco, e cacciandogli, co· lloro
insieme si misono dentro per una
postierla ch'era
aperta per
ricoglierli; e ciò non fu sanza grande
pericolo,
imperciò che lla porta era bene guardata da più
gente d'arme, e
rimasonvene e morti e fediti di quegli
che seguivano il
conte di
Vandomo e 'l fratello;
ma eglino per loro grande ardire e virtù pur vinsono
la
punga
a la porta per forza d'arme, e
entrarono
dentro, e incontanente la loro insegna misono in su
le
mura. E de' primi che gli seguirono furono gli
usciti guelfi di
Firenze, ond'era capitano il
conte
Guido
Guerra, e la 'nsegna portava messer Stoldo
Giacoppi de' Rossi: i quali Guelfi alla presa
del detto
San
Germano si portarono
maravigliosamente e come
buona gente, per la qual cosa quegli di fuori presono
cuore e ardire, e chi meglio poteva si mettea
dentro alla terra. Quegli d'
entro, vedute le
'nsegne
de' nemici in su le
mura, e presa la porta, molti ne
fuggirono, e pochi ne stettono alla difensione; per la
qual cosa la gente
del re
Carlo combattendo ebbono
la terra di San
Germano
a dì
X di febbraio
MCCLXV, e
fu tenuta grandissima maraviglia, per la fortezza della
terra, e piuttosto
fattura di Dio che forza umana,
perché dentro v'avea più di
M cavalieri e più di
Vm
pedoni,
intra' quali avea molti arcieri saracini di Nocera;
ma per una zuffa che la notte dinanzi, come
a
Dio piacque, surse tra' Cristiani e' Saracini, della
quale i Saracini furono soperchiati, il giorno appresso
non furono in fede alla difensione della terra; e
questa infra l'altre fu bene una delle cagioni perché
perderono la terra di San
Germano. Delle masnade
di Manfredi furono assai morti e presi, e la terra tutta
corsa e rubata per li Franceschi, e ivi soggiornò lo
re e sua oste alquanto per prendere
riposo, e per sapere
gli andamenti di Manfredi.
L. 8, cap. 7 rubr.Come lo re Manfredi andò a Benivento, e come ordinò
sue schiere per combattere col re Carlo.
L. 8, cap. 7Lo re Manfredi intesa la
novella della
perdita di
San
Germano, e tornandone la sua gente sconfitti, fu
molto isbigottito, e prese suo
consiglio quello ch'avesse
a ffare, il quale fu consigliato per lo
conte
Calvagno,
e per lo
conte Giordano, e per lo
conte
Bartolomeo,
e per lo
conte camerlingo, e per gli altri
suoi baroni ch'egli con tutto suo podere si ritraesse
alla
città di
Benivento per forte luogo, e per avere la
signoria di prendere la battaglia
a sua posta, e per ritrarsi
inverso Puglia, se bisognasse, e ancora per
contradiare il passo
al re
Carlo, imperciò che per altra
via non potea
entrare in Principato e
a Napoli, né
passare in Puglia se non per la
via di
Benivento; e
così fu fatto. Lo re
Carlo sentendo l'andata di Manfredi
a
Benivento, incontanente si partì da San
Germano,
per
seguirlo con sua oste, e non tenne il
cammino
diritto di Capova, e per Terra di Lavoro, imperciò
che
al ponte di Capova non avrebbe potuto
passare, per la fortezza ch'è in su il fiume delle torri
del ponte, e il fiume è grosso; ma si mise
a passare il
fiume
del
Voltorno presso
a
Tuliverno, ove si può
guadare, e tenne per la contrada d'
Alifi, e per aspri
cammini delle montagne di
beneventana, e sanza
soggiorno, e con grande
disagio di muneta e di vittuaglia,
giunse all'ora di mezzogiorno
a piè di
Benevento,
alla valle d'incontro alla
città, per
ispazio di
lungi di
due miglia alla riva
del fiume di Calore, che
corre
a piè di
Benevento. Lo re Manfredi veggendo
apparire l'oste
del re
Carlo, avuto suo
consiglio, prese
partito
del combattere, e d'uscire fuori
a campo
con sua cavalleria, per assalire la gente
del re
Carlo
anzi che si riposassono; ma in ciò prese mal partito,
che se fosse atteso uno o
due giorni, lo re
Carlo e sua
oste erano morti e presi sanza
colpo di spada, per difalta
di
vivanda per loro e per gli loro
cavagli; ché 'l
giorno dinanzi che giugnessono
a piè di
Benevento,
per nicessità di vittuaglia, molti di sua oste
convenne
vivesse di
cavoli, e' loro
cavagli di
torsi, sanza altro
pane, o
biada per gli
cavagli, e la moneta per dispendere
era loro
fallita. Ancora era la gente e forza
del
re Manfredi molto sparta, che messer
Currado d'Antioccia
era in
Abruzzi con gente, il
conte
Federigo
era in Calavra, il
conte di
Ventimiglia era in Cicilia:
che se avesse alquanto atteso
crescevano le sue forze;
ma
a cui Iddio vuole male gli toglie il senno. Manfredi
uscito di
Benevento con sua gente, passò il ponte
ch'è sopra il detto fiume di Calore, nel piano ove si
dice Santa Maria della
Grandella, il luogo detto la
pietra
a Roseto; ivi fece tre battaglie overo schiere:
l'una fu di Tedeschi di cui si
rifidava molto, e erano
bene
MCC cavalieri, ond'era capitano il
conte
Calvagno;
la seconda era di Toscani e Lombardi, e anche
Tedeschi, in numero di
M cavalieri, la quale guidava
il
conte Giordano; la terza fu de' Pugliesi co' Saracini
di Nocera, la quale guidava lo re Manfredi, la quale
era di
MCCCC cavalieri, sanza i pedoni e gli arcieri
saracini ch'erano in grande quantità.
L. 8, cap. 8 rubr.Come il re Carlo ordinò sue schiere per combattere
col re Manfredi.
L. 8, cap. 8Lo re
Carlo veggendo Manfredi e sua gente venuti
a campo per combattere, ebbe suo
consiglio di prendere
la battaglia il giorno o d'
indugiarla. Gli più de'
suoi baroni consigliarono
del
soggiorno infino
a la
mattina vegnente, per riposare i
cavagli dell'affanno
avuto per lo forte
cammino, e messer Gilio il Bruno
conastabole di
Francia disse il contrario, e che indugiando,
i nimici
prenderanno cuore e ardire, e
a lloro
potea
al tutto
fallire la
vivanda, e che se altri dell'oste
no· lla volesse la battaglia, egli solo col suo signore
Ruberto di
Fiandra e con sua gente si metterebbe alla
ventura
del combattere, avendo
fidanza in Dio
d'avere la vittoria
contra' nemici di santa Chiesa.
Veggendo ciò il re
Carlo, s'attenne e prese il suo
consiglio, e per la grande volontà ch'avea
del combattere,
disse con alta
voce
a' suoi cavalieri: «
Venus
est
le
iors
ce
nos
avons
tant
desiré»; e fece sonare le
trombe, e comandò ch'ogni uomo s'armasse e apparecchiasse
per andare alla battaglia, e così in
poca
d'ora fu fatto. E
ordinò, sì come i suoi nemici,
a petto
di loro tre schiere principali: la prima schiera era
de' Franceschi in quantità di
M cavalieri, ond'erano
capitani messer
Filippo di
Monforte e 'l maliscalco
di
Mirapesce; la seconda lo re
Carlo col
conte
Guido
di
Monforte, e con molti de' suoi baroni e cavalieri
della reina, e co' baroni e cavalieri di
Proenza, e Romani,
e Campagnini, ch'erano intorno di
VIIII.c cavalieri,
e le
'nsegne reali portava messer
Guiglielmo lo
Stendardo, uomo di grande
valore; la terza fu guidatore
Ruberto
conte di
Fiandra col suo maestro Gilio
maliscalco di
Francia, con
Fiamminghi, e
Bramanzoni,
e
Annoieri, e
Piccardi, in numero di
VII.c cavalieri.
E di fuori di queste schiere furono gli usciti guelfi di
Firenze con tutti gl'Italiani, e furono più di
CCCC cavalieri,
de' quali molti di loro delle maggiori case di
Firenze si feciono cavalieri per mano
del re
Carlo in
su il cominciare della battaglia; e di questa gente,
Guelfi di
Firenze e di
Toscana, era capitano il
conte
Guido
Guerra, e la 'nsegna di loro portava in quella
battaglia messer
Currado da
Montemagno di Pistoia.
E veggendo il re Manfredi fatte le schiere, domandò
della schiera quarta che gente erano, i quali
comparivano
molto bene inn arme e in
cavagli e in
arredi e
sopransegne; fugli detto ch'erano la parte guelfa
usciti di
Firenze e dell'altre terre di
Toscana. Allora
si
dolfe Manfredi dicendo: «Ov'è l'aiuto ch'io hoe
dalla parte ghibellina, ch'io ho
cotanto servita, e
messo in loro
cotanto
tesoro?», e disse: «Quella
gente», cioè la schiera de' Guelfi, «non possono oggi
perdere»; e ciò venne
a dire, s'egli avesse vittoria
ch'egli sarebbe amico de' Guelfi di
Firenze, veggendogli
sì fedeli
al loro signore e
a lloro parte, e nemico
de' Ghibellini.
L. 8, cap. 9 rubr.Come la battaglia dal re Carlo al re Manfredi fu, e
come il re Manfredi fu sconfitto e morto.
L. 8, cap. 9Ordinate le schiere de'
due re nel piano della
Grandella per lo modo detto dinanzi, e
ciascuno de'
detti signori amonita la sua gente di ben fare, e dato
il nome per lo re
Carlo
a' suoi, «Mongioia, cavalieri»,
e per lo re Manfredi
a' suoi, «Soavia, cavalieri»,
il vescovo d'
Alsurro, siccome legato
del papa,
asolvette e benedisse tutti quelli dell'oste
del re
Carlo,
perdonando colpa e pena, però ch'essi combatteano
in
servigio di santa Chiesa. E ciò fatto, si cominciò
l'aspra battaglia tra le prime
due schiere de'
Tedeschi e de' Franceschi, e fu sì forte l'asalto de'
Tedeschi, che malamente
menavano la schiera de'
Franceschi, e assai gli feciono
rinculare adietro, e
presono campo. E 'l buono re
Carlo veggendo i suoi
così malmenare, non tenne l'ordine della battaglia di
difendersi
colla seconda schiera, avisandosi che se la
prima schiera de' Franceschi ove avea tutta sua
fidanza
fosse rotta, piccola speranza di salute attendea
dell'altre; incontanente
colla sua schiera si mise
al
soccorso della schiera de' Franceschi contro
a quella
de' Tedeschi; e come gli usciti di
Firenze e loro
schiera vidono lo re
Carlo fedire alla battaglia, si misono
appresso francamente, e feciono
maravigliose
cose d'arme il giorno, seguendo sempre la persona
del re
Carlo; e simile fece il buono Gilio il Bruno
conastabile
di
Francia con Ruberto di
Fiandra con sua
schiera, e da l'altra parte fedì il
conte Giordano
colla
sua schiera, onde la battaglia fu aspra e
dura, e grande
pezza
durò, che non si sapea chi avesse il migliore;
però che gli Tedeschi per loro virtude e forza colpendo
di loro spade, molto
danneggiavano i Franceschi.
Ma subitamente si levò uno grande grido tra lle
schiere de' Franceschi, chi che 'l si cominciasse, dicendo:
«
Agli
stocchi,
agli
stocchi,
a fedire i
cavagli!»;
e così fu fatto, per la qual cosa in piccola d'ora
i Tedeschi furono molto malmenati e molto
abattuti,
e quasi inn isconfitta volti. Lo re Manfredi, lo quale
con sua schiera de' Pugliesi stava
al soccorso dell'oste,
veggendo gli suoi che non poteano durare la battaglia,
sì
confortò la sua gente della sua schiera, che
'l seguissono alla battaglia, da' quali fu male inteso,
però che la maggiore parte de' baroni pugliesi e
del
Regno, in tra gli altri il
conte camerlingo, e quello
della Cerra, e quello di
Caserta e altri, o per viltà di
cuore, o veggendo
a loro avere il peggiore, e chi disse
per
tradimento, come genti infedeli e vaghi di
nuovo signore, si
fallirono
a Manfredi,
abandonandolo
e fuggendosi chi verso
Abruzzi e chi verso la
città di
Benevento. Manfredi rimaso con pochi, fece
come valente signore, che innanzi volle in battaglia
morire re, che fuggire con vergogna; e mettendosi
l'elmo, una aquila d'argento ch'egli avea ivi su per
cimiera
gli cadde in su l'arcione dinanzi. E egli ciò
veggendo isbigottì molto, e disse
a' baroni che gli
erano dal lato in
latino: «
Hoc est signum Dei, però
che questa
cimiera appiccai io
colle mie
mani in tal
modo che non
dovea potere cadere». Ma però non
lasciò, ma come valente signore prese cuore, e incontanente
si mise alla battaglia, non con sopransegne
reali per non esser
conosciuto per lo re, ma come un
altro barone, lui fedendo francamente nel mezzo della
battaglia. Ma però i suoi poco
duraro, che già erano
in volta: incontanente furono sconfitti, e lo re
Manfredi morto in mezzo de' nemici, dissesi per uno
scudiere francesco, ma non si seppe il certo. In quella
battaglia ebbe gran mortalità d'una parte e d'altra,
ma troppo più della gente di Manfredi. E fuggendo
del campo verso
Benevento, cacciati da quegli dell'oste
del re
Carlo, infino nella terra, che ssi facea già
notte, gli seguirono, e presono la
città di
Benevento,
e quegli che fuggieno. Molti de' baroni caporali
del
re Manfredi rimasono
presi: intra gli altri furono
presi il
conte Giordano, e messer Piero Asini degli
Uberti, i quali il re
Carlo mandò in pregione in
Proenza, e di là d'aspra
morte in carcere gli fece morire.
Gli altri baroni pugliesi e tedeschi ritenne in
pregione in diversi luoghi nel Regno. E pochi dì
apresso la moglie
del detto Manfredi e' figliuoli e la
suora, i quali erano in Nocera de' Saracini in Puglia,
furono renduti
presi
al re
Carlo, i quali poi morirono
in sua pregione. E bene venne
a Manfredi e
a sue rede
la maladizione d'Iddio, e assai chiaro si mostrò il
giudizio d'Iddio in lui, perch'era scomunicato e nimico
e persecutore di santa Chiesa. Nella sua fine, di
Manfredi si
cercò più di tre giorni, che non si ritrovava,
e non si sapea se fosse morto, o preso, o scampato,
perché nonn avea avuto
a la battaglia indosso
armi reali. Alla fine per uno ribaldo di sua gente fu
riconosciuto per più
insegne di sua persona in mezzo
il campo ove fu la battaglia. E trovato il suo corpo
per lo detto ribaldo, il mise traverso in su uno asino,
vegnendo gridando: «Chi
acatta Manfredi, chi
acatta
Manfredi?»; il quale ribaldo da uno barone
del re
fu battuto, e
recato il corpo di Manfredi dinanzi
al
re, fece venire tutti i baroni ch'erano presi, e domandato
ciascuno s'egli era Manfredi, tutti temorosamente
dissono di sì. Quando venne il
conte Giordano
sì si diede delle
mani nel volto piagnendo e gridando:
«Omè, omè, signore mio!»; onde molto ne
fu commendato da' Franceschi, e per alquanti de'
baroni
del re fu
pregato che gli facesse fare onore alla
seppultura. Rispuose il re: «
Si
feisse
ie
volontiers,
s'
il
non
fust
scomunié»; ma imperciò ch'era scomunicato,
non volle il re
Carlo che fosse
recato in luogo
sacro; ma appiè
del ponte di
Benevento fu soppellito,
e sopra la sua fossa per
ciascuno dell'oste gittata
una pietra, onde si fece grande mora di sassi. Ma per
alcuni si disse che poi per mandato
del papa il vescovo
di Cosenza il trasse di quella
sepultura, e
mandollo
fuori
del Regno, ch'era terra di Chiesa, e fu sepolto
lungo il fiume
del
Verde
a'
confini
del Regno e di
Campagna: questo però nonn affermiamo. Questa
battaglia e sconfitta fu uno
venerdì, il sezzaio di febbraio,
gli
anni di Cristo
MCCLXV.
L. 8, cap. 10 rubr.
Come lo re Carlo ebbe la signoria de' Regno e di
Cicilia, e come don Arrigo di Spagna venne a llui.
L. 8, cap. 10Come il re
Carlo ebbe sconfitto e morto Manfredi,
la sua gente furono tutti ricchi delle spoglie
del
campo, e maggioremente de' signoraggi e de'
baronaggi
che teneano i baroni di Manfredi, che in poco
tempo appresso tutte le terre
del Regno, di Puglia e
gran parte di quelle dell'isola di Cicilia feciono le comandamenta
del re
Carlo; delle quali baronie, e signoraggi,
e
fii de' cavalieri
rinvestì
a tutti
coloro
che ll'aveano servito, Franceschi, e Provenzali, e
Latini,
ciascuno secondo il suo grado. E quando il re
Carlo venne in Napoli, da' Napoletani fu ricevuto
come signore
a grande onore, e ismontò
al castello di
Capova, il quale avea fatto fare lo 'mperadore
Federigo,
nel quale trovò il
tesoro di Manfredi quasi tutto
in oro di terì
spezzato, il quale si fece venire innanzi,
e porre in su'
tappeti ov'era egli e la reina e messer
Beltram
del Balzo; e fece venire bilance, e disse
a
messer
Beltram che 'l partisse. Il magnanimo cavaliere
disse: «
Che
a
gie
a
fer
de
balance
a
departir
vostre
tesor?», ma co' piedi vi salì suso, e co' piedi ne
fece tre parti: «L'una parte», disse, «sia di monsignor
lo re, e l'altra di
madama la reina, e l'altra sia
de' vostri cavalieri»; e così fu fatto. Lo re veggendo
la
magnanimità di messere
Beltram, incontanente gli
diede la
contea d'
Avellino, e fecenelo
conte. E poco
appresso
a re non piacque d'abitare nel castello di
Capova, perch'era abitato
al modo tedesco;
ordinò
che si facesse castello nuovo
al modo francesco, il
quale è presso
a San Piero in Castello da l'altra parte
di Napoli. E poco tempo appresso tutti i baroni pugliesi,
i quali lo re avea presi alla battaglia, fece scapolare,
e
a molti rendé loro terre e retaggi, per avere
più l'amore di que'
del paese; della qual cosa, di gran
parte, fece il peggiore per la rea uscita che poco tempo
appresso gli feciono certi de' detti baroni pugliesi,
siccome innanzi faremo menzione. Avenne poco
tempo appresso, il
seguente
anno che il re
Carlo ebbe
il reame e signoria di Cicilia e di Puglia, che
don
Arrigo figliuolo secondo
del re di Spagna
cugino
del
re
Carlo, nato di
serocchia e di fratello, il quale era
stato in Africa
a' soldi
del re di
Tunisi, udendo lo
stato
del re suo
cugino, passò di
Tunisi in Puglia con
più di
VIIIc cavalieri
spagnuoli, molto
bella e buona
gente; il quale
don
Arrigo dal re
Carlo fu ricevuto
graziosamente, e ritenuto
a' suoi soldi, e in luogo di
lui il fece senatore di
Roma, e guardia di tutte le terre
di Campagna e dal
Patrimonio. Ma il detto
don
Arrigo, il quale da
Tunisi era tornato ricco di danari,
per bisogno
del re
Carlo gli
prestò, si dice,
XLm dobble
d'oro, le quali non riebbe mai, onde nacque poi
grande
scandalo tra lloro, come innanzi faremo menzione.
E intra l'altre cagioni della
discordia da
don
Arrigo e lo re fu che
don
Arrigo procacciava
colla
Chiesa d'avere l'isola di Sardigna, e lo re
Carlo la volea
per sé; e per la
discordia no· ll'ebbe né
ll'uno né
ll'
altro; e per questo isdegno
don
Arrigo si fece nimico,
e in parte nonn ebbe il torto, che lo re
Carlo avea
bene tanta terra, che bene
dovea volere che 'l suo
cugino avesse quella
poca, ma per l'avarizia e invidia
nol volle
a vicino; e
don
Arrigo disse: «Per lo cor
Dio, o el mi
matrà, o io il
matrò». Lasceremo ora alquanto
de' fatti
del re
Carlo, e diremo d'altre cose
che furono in quelli tempi, tornando
a nostra materia
de' fatti di
Firenze, che per la vittoria
del re
Carlo
ebbe grandi
mutazioni.
L. 8, cap. 11 rubr.Come i Saracini di Barberia passarono inn Ispagna,
e come vi furono sconfitti.
L. 8, cap. 11Negli
anni di Cristo
MCCLXVI grandissimo
esercito
di numero di Saracini passarono d'Africa per lo
stretto di
Sibilia per
racquistare la Spagna e l'
Araona,
e agiunti co' Saracini di
Granata, i quali ancora
abitavano in Ispagna, grande
danno feciono
a' Cristiani.
Ma sentendo ciò lo re di Spagna, col re di
Portogallo e con quello d'
Araona raunati insieme, e
con molti altri Cristiani di croce segnati per indulgenzia
di colpa e pena data per lo papa e per la
Chiesa di
Roma, co' detti Saracini ebbono grande
battaglia, e dopo molto sangue de' Cristiani sparto, i
Saracini furono sconfitti e morti, che quasi di quegli
che passarono non ne campò niuno che non fosse
morto o preso, e simile molti di quelli di
Granata. E
nota che come i Cristiani fanno loro podere di
raquistare
la Terrasanta per
boti, per
promesse, e lasci di
moneta, o prendere croce, e pellegrinaggi per indulgenzia
de' loro peccati, per simile modo fanno i Saracini
per
racquistare la Spagna, e per mantenere la
terra di
Granata, la quale ancora tengono di qua da
mare i Saracini
a grande obbrobbio e vergogna de'
Cristiani.
L. 8, cap. 12 rubr.Come i Fiorentini ghibellini assediarono Castello
Nuovo in Valdarno, e come se ne partirono a modo di
sconfitti.
L. 8, cap. 12Ne' tempi che il re
Carlo fu
coronato
a
Roma, come
è fatta menzione, il vescovo d'
Arezzo, ch'era degli
Ubertini, tutto fosse Ghibellino, perché non era
in accordo cogli Aretini, né col
conte
Guido
Novello
vicario per Manfredi in
Toscana, perché gl'ingiuriavano
il vescovado e sue terre, sì diede in guardia le
sue castella
agli usciti guelfi di
Firenze, i quali per lo
favore della venuta
del re
Carlo feciono gran
guerra
in Valdarno
a' Ghibellini che teneano
Firenze, e
aveano preso
Castelnuovo in Valdarno. Per la qual
cosa le masnade de' Fiorentini ch'erano col
conte
Guido
Novello, con gente
a piè assai, e con certi caporali
ghibellini cittadini di
Firenze, v'andarono
ad
oste, e
a quello diedono più battaglie per modo che
quasi più non si potea tenere, se non fosse il senno e
sagacità di
guerra ch'usò messer Uberto
Spiovanato
de' Pazzi di Valdarno
del lato guelfo, ch'era capitano
in quello castello, il quale prese e levò uno
suggello
di cera intero d'una
lettera ch'egli avea avuta dal detto
vescovo suo
zio d'altra materia, e fece fare una
lettera,
dicendo come francamente si
dovesse tenere,
imperciò che di presente avrebbono soccorso di
VIII.c
cavalieri franceschi
del re
Carlo, e rimise il
suggello
a
quella, e
miselasi in borsa di
seta con altre
lettere e
con danari. E uscito fuori
ad uno badalucco, cautamente
la borsa si tagliò e lasciolla; la quale da' nemici
trovata, fu portata
a' capitani, e
letta la detta
lettera,
diedono fede alla venuta de' Franceschi. Incontanente
presono partito di levarsi da oste, e per la
fretta
si partiro
a modo di sconfitta, co· lloro
danno e
vergogna tornato in
Firenze; per la qual cosa quasi
tutte le terre di Valdarno si rubellarono
a' Ghibellini.
In questi tempi venne in
Firenze uno Saracino
ch'avea nome
Buzzeca, ed era il migliore maestro di
giucare
a
scacchi, e in su il palagio
del popolo dinanzi
al
conte
Guido
Novello giucò
a un'ora
a
tre
scacchieri
co' migliori maestri di
scacchi di
Firenze, cogli
due
a
mente, e
coll'uno
a veduta; e gli
due giuochi
vinse, e l'uno fece tavola; la qual cosa fu tenuta grande
maraviglia.
L. 8, cap. 13 rubr.
Come in Firenze si feciono i XXXVI e come si diede
ordine e gonfaloni a l'arti.
L. 8, cap. 13Come la
novella fu in
Firenze e per
Toscana della
sconfitta di Manfredi, i Ghibellini e i Tedeschi cominciarono
ad invilire e avere paura in tutte parti, e'
Guelfi usciti di
Firenze ch'erano ribelli, e tali
a'
confini
per lo
contado e in più parti, cominciarono
a
invigorire
e
a prendere cuore e ardire. E faccendosi
presso alla
città, ordinarono dentro alla terra
novità
e
mutazioni, per trattati co' loro amici d'
entro, che
s'
intendeano con loro, e vennero infino ne' Servi
Sancte Marie
a fare
consiglio, avendo speranza di loro
gente ch'erano stati alla vittoria col re
Carlo, i
quali attendeano con gente de' Franceschi in loro
aiuto; onde il popolo di
Firenze ch'era più Guelfo
che Ghibellino d'animo per lo
danno ricevuto, chi di
padre, chi di figliuolo, e chi di fratelli, alla sconfitta
di Monte Aperti, simile cominciarono
a
rinvigorire, e
a mormorare, e parlare per la
città,
dogliendosi delle
spese e
incarichi disordinati che riceveano dal
conte
Guido
Novello e
dagli altri che reggeano la terra.
Onde quegli che reggeano la
città di
Firenze
a parte
ghibellina, sentendo nella
città il detto
subuglio e
mormorio, e avendo paura che 'l popolo non si rubellasse
contro
a lloro per una cotale
mezzanità, e
per contentare il popolo,
elessono
due cavalieri frati
godenti di Bologna per podestadi di
Firenze, che l'uno
ebbe nome messer Catalano de'
Malavolti, e l'altro
messer
Loderigo delli
Andalò, e l'uno era tenuto
di parte guelfa, ciò era messer Catalano, e l'altro di
parte ghibellina. E nota che' frati godenti erano chiamati
cavalieri di santa Maria, e cavalieri si faceano
quando prendeano quello abito, che lle robe aveano
bianche e uno mantello
bigio, e l'arme il campo
bianco e la croce
vermiglia con
due stelle, e
doveano
difendere le vedove e'
pupilli, e intramettersi di paci;
e altri ordini, come religiosi, aveno. E il detto messer
Loderigo ne fu cominciatore di quello ordine; ma
poco
durò, che seguiro
al nome il fatto, cioè d'intendere
più
a godere ch'
ad altro. Questi
due frati per lo
popolo di
Firenze furono fatti venire, e misongli nel
palagio
del popolo d'incontro
a la
Badia, credendo
che per l'onestà dell'abito fossono comuni, e guardassono
il Comune di soperchie spese; i quali, tutto
che d'animo di parte fossono
divisi, sotto
coverta di
falsa ipocresia furono in concordia più
al guadagno
loro propio ch'
al bene comune; e ordinarono
XXXVI
buoni uomini mercatanti e artefici, de' maggiori e
migliori che fossono nella
cittade, i quali
dovessono
consigliare le dette
due potestadi, e provedere alle
spese
del Comune; e di questo novero furono de'
Guelfi e de' Ghibellini, popolani e grandi non sospetti,
ch'erano rimasi in
Firenze alla cacciata de'
Guelfi. E raunavansi i detti
XXXVI a consigliare ogni
dì per lo buono stato comune della
città nella bottega
e
corte de' consoli di
Calimala, ch'era
a piè di casa
i Cavalcanti in Mercato Nuovo, i quali feciono molti
buoni ordini e stato comune della terra,
intra' quali
ordinarono che
ciascuna delle
VII arti maggiori di
Firenze
avessono consoli e
capitudini, e
ciascuna avesse
suo gonfalone e insegna, acciò che se nella
città si
levasse niuno con forza d'arme, sotto i loro gonfaloni
fossono
a la difesa
del popolo e
del Comune. E le
'nsegne delle
VII arti maggiori furono queste: i giudici
e notari, il campo azzurro e una
stella grande
ad
oro; i mercatanti di
Calimala, cioè de' panni franceschi,
il campo rosso con una
aguglia
ad oro in su uno
torsello bianco; i cambiatori, il campo
vermiglio e
fiorini d'oro iv'
entro seminati; l'
arte della lana, il
campo
vermiglio iv'
entro uno montone bianco; i medici
e speziali, il campo
vermiglio iv'
entro santa Maria
col figliuolo Cristo in
collo; l'
arte de' setaiuoli e
merciari, il campo bianco e una porta rossa iv'
entro
per lo
titolo di porte Sante Marie; i
pillicciai, l'arme
a vai, e nell'uno capo uno
agnus Dei in campo azzurro.
L'altre
V seguenti alle maggiori
arti s'ordinarono
poi quando si
criò in
Firenze l'uficio de' priori dell'
arti, come
a tempo più innanzi faremo menzione; e
fu loro ordinato, per simile modo delle
VII arti, gonfaloni
e arme.
Ciò furono i
baldrigari, ciò sono mercatanti
di
ritaglio di panni fiorentini,
calzaiuoli, e
pannilini, e rigattieri, la 'nsegna bianca e
vermiglia; i
beccari, il campo giallo e un becco nero; i calzolai,
a traverso
listata bianca e nero, chiamata pezza gagliarda;
i maestri di pietre e di legname, il campo
rosso iv'
entro la sega, e la
scure, e mannaia, e piccone;
i
fabbri e
ferraiuoli, il campo bianco e
tanaglie
grandi nere
.
L. 8, cap. 14 rubr.Come in Firenze si levò il secondo popolo, per la
quale cagione il conte Guido Novello co' caporali ghibellini
uscirono di Firenze.
L. 8, cap. 14Per le dette
novitadi fatte in
Firenze per le dette
due podestadi e per gli
XXXVI, i grandi Ghibellini di
Firenze, com'erano Uberti, e
Fifanti, e
Lamberti, e
Scolari, e gli altri delle grandi case ghibelline, presono
sospetto di parte, parendo loro che' detti
XXXVI
sostenessono e
favorassono i Guelfi popolani ch'erano
rimasi in
Firenze, e ch'ogni
novità fosse contro
a
parte. Per questa gelosia, e per la
novella della vittoria
del re
Carlo, il
conte
Guido
Novello mandò per
genti
a tutte l'amistà vicine, come furono Pisani, Sanesi,
Aretini,
Pistolesi, e
Pratesi, e Volterrani,
Colle,
e Sangimignano, sì che con
VI.c Tedeschi ch'avea si
trovarono in
Firenze con
MD cavalieri. Avenne che
per pagare le masnade tedesche ch'erano col
conte
Guido
Novello capitano della taglia, il quale volea
che si ponesse una libbra di soldi
X il centinaio, i
detti
XXXVI cercavano altro modo di trovare danari
con meno gravezza
del popolo, e per questa cagione
aveano indugiato alquanti dì più che non parea
al
conte e
agli altri grandi Ghibellini di
Firenze; per lo
sospetto preso per gli ordini fatti per lo popolo, i
detti grandi ordinarono di mettere la terra
a romore,
e disfare l'oficio de' detti
XXXVI col favore della grande
cavalleria ch'avea il vicario in
Firenze, e
armatisi, i
primi che cominciarono furono i
Lamberti, che co· lloro
masnadieri armati uscirono di loro case in
Calimala,
dicendo: «Ove sono questi ladroni de'
XXXVI,
che noi gli taglieremo tutti per pezzi?»; i quali
XXXVI erano allora
al
consiglio insieme nella bottega
ove i consoli di
Calimala teneano ragione sotto casa i
Cavalcanti in Mercato Nuovo. Sentendo ciò i
XXXVI
si partirono dal
consiglio, e incontanente si levò la
terra
a romore, e
serrarsi le botteghe, e ogni uomo fu
a l'arme. Il popolo si ridusse tutto nella
via larga di
Santa Trinita, e messer
Gianni de' Soldanieri si fece
capo
del popolo per montare inn istato, non guardando
al fine, che
dovea
riuscire
a sconcio di parte
ghibellina e suo
dammaggio, che sempre
pare sia
avenuto in
Firenze
a chi s'è fatto capo di popolo; e
così armati
a piè di casa i Soldanieri s'
amassarono i
popolani in grandissimo numero, e feciono serragli
a piè della torre de'
Girolami. Il
conte
Guido
Novello
con tutta la cavalleria e con grandi Ghibellini di
Firenze
furono in arme e
a cavallo in su la piazza di
San Giovanni, e mossonsi per andare contro
al popolo,
e
schierarsi
a la 'ncontra
del serraglio in su i
calcinacci delle case de' Tornaquinci, e feciono vista
e
saggio di combattere, e alcuno Tedesco
a cavallo si
mise infra il serraglio; il popolo francamente si tenne
difendendo
colle balestra, e gittando dalle torri e case.
Veggendo ciò il
conte, che non poteano
diserrare
il popolo, volse le
'nsegne, e con tutta la cavalleria ritornò
in su la piazza di San Giovanni, e poi venne
al
palagio nella piazza di San
Pulinari, ov'erano le
due
podestadi, messer Catalano e messer
Loderigo frati
godenti, e tenea la cavalleria da porte San Piero infino
a San
Firenze. Il
conte domandava le chiavi delle
porti della
città per partirsi della terra, e per tema
non gli fosse gittato delle case; e per sua
sicurtà si
mise il
conte dall'uno lato Uberto de'
Pulci, e dall'altro
Cerchio de'
Cerchi, e di dietro
Guidingo
Savorigi,
ch'erano de' detti
XXXVI e de' maggiori della terra.
I detti
due frati gridando
del palagio, e chiamando
con grandi grida i detti Uberto e
Cerchio ch'andassono
a lloro, acciò che pregassono il
conte che ssi
tornasse all'albergo e non si
dovesse partire, ch'eglino
aqueterebbono il popolo, e farebbono che' soldati
sarebbono pagati: il
conte
entrato in gelosia e in
paura
del popolo più che non gli bisognava, non si
volle attendere, ma volle pur le chiavi delle porti, e
ciò mostrò che fosse più opera di Dio che altra cagione;
che quella cavalleria sì grande e possente non
combattuti, non cacciati, né
acommiatati, né forza di
nimici non era contro
a lloro; che perché il popolo
fosse armato e raunato insieme, erano più per paura
che per offendere
al
conte e
a sua cavalleria, e tosto
sarebbono
aquetati, e tornati
a lloro case, e disarmati.
Ma quando è
presto il giudicio di Dio è aparecchiata
la cagione. Il
conte avute le chiavi, essendo
grande silenzio, fece gridare se v'erano tutti i Tedeschi:
fu risposto di sì; appresso disse de' Pisani, e simile
di tutte le terre della taglia, e risposto di tutti di
sì, disse
al suo banderaio che si movesse
colle
'nsegne;
e così fu fatto. E tennero la
via larga da San
Firenze,
e dietro da Santo Piero Scheraggio, e da San
Romeo alla porta vecchia de' Buoi, e quella fatta
aprire, il
conte con tutta sua cavalleria n'uscì, e tenne
su per li fossi dietro
a Sa· Jacopo, e dalla piazza di
Santa
Croce, ch'allora nonn avea case, e per lo borgo
di
Pinti; e in quello fu loro gittato de' sassi; e volsonsi
per Cafaggio, e la sera se n'andarono in Prato; e
ciò fu il dì di santo Martino,
a dì
XI di novembre, gli
anni di Cristo
MCCLXVI.
L. 8, cap. 15 rubr.Come il popolo rimise i Guelfi in Firenze, e come
poi ne cacciarono i Ghibellini.
L. 8, cap. 15Giunto in Prato il
conte
Guido
Novello con tutta
sua cavalleria e con molti caporali ghibellini di
Firenze,
furono
ravisati ch'egli aveano fatta gran follia
a partirsi della
città di
Firenze sanza
colpo di spada
od essere cacciati; e parve loro avere mal fatto, e presono
per
consiglio di tornare
a
Firenze la mattina vegnente,
e così feciono; e giunsono tutti armati e
schierati in su l'ora di terza
a la porta
del ponte alla
Carraia ov'è oggi il borgo d'Ognesanti, ch'allora non
v'avea case, e
domandarono che fosse loro aperta la
porta. Il popolo di
Firenze fu
ad arme, e per tema
che
rientrando il
conte
colla sua cavalleria in
Firenze
non volesse fare vendetta, e correre la terra, s'accordarono
di non aprire, ma di difendere la terra, la
quale era molto forte di
mura e di fossi pieni d'acqua
alle
cerchie seconde. E volendosi strignere alla porta,
furono
saettati e fediti; e dimorati infino dopo nona,
né per
lusinghe né per minacce non poterono tornare
dentro. Si tornarono tristi e
scornati
a Prato, e
tornando per
cruccio diedono battaglia
al castello di
Capalle, e no· ll'ebbono. E venuti in Prato, ebbono
tra lloro di molti
ripitii; ma dopo cosa male consigliata
e peggio fatta invano è il pentere. I Fiorentini
rimasi riformarono la terra, e mandarono fuori le
dette
due podestadi frati godenti di Bologna, e mandarono
ad Orbivieto per aiuto di gente, e per podestà
e capitano; i quali Orbitani mandarono
C cavalieri
alla guardia della terra: e messer
Ormanno
Monaldeschi
fu podestà, e un altro gentile uomo d'Orbivieto
ne fu capitano
del popolo. E per trattato di
pace il gennaio vegnente il popolo rimise in
Firenze i
Guelfi e' Ghibellini, e feciono fare tra lloro più matrimonii
e parentadi. Intra li quali questi furono i maggiorenti,
che messer
Bonaccorso
Bellincioni degli
Adimari diede per moglie
a messer Forese suo figliuolo
la figliuola
del
conte
Guido
Novello, e messer
Bindo suo fratello tolse una degli
Ubaldini, e
messer Cavalcante de' Cavalcanti diede per moglie
a
Guido suo figliuolo la figliuola di messer
Farinata
degli Uberti, e messer Simone
Donati diede la figliuola
a messer
Azzolino di messer
Farinata degli
Uberti; per gli quali parentadi gli altri Guelfi di
Firenze
gli ebbono tutti
a sospetti
a parte; e per la detta
cagione poco
durò la detta pace, ché tornati i detti
Guelfi in
Firenze, sentendosi poderosi della baldanza
della vittoria ch'aveano avuta col re
Carlo contro
a
Manfredi, segretamente mandarono in Puglia
al detto
re
Carlo per gente e per uno capitano, il quale
mandò il
conte
Guido di
Monforte con
VIII.m cavalieri
franceschi; e giunse in
Firenze il dì della
Pasqua di
Risoresso, gli
anni di Cristo
MCCLXVII. E sentendo i
Ghibellini la sua venuta, la notte dinanzi uscirono di
Firenze sanza
colpo di spada, e
andarsene
a Siena, e
chi
a
Pisa, e inn altre castella. I Fiorentini guelfi diedono
la signoria della terra
al re
Carlo per
X anni; e
mandatagli la elezione libera e piena con
mero e
misto
imperio per
solenni ambasciadori, lo re rispuose
che de' Fiorentini volea il cuore e la loro buona volontà,
e non altra giuridizione; tuttora
a
priego
del
Comune la prese simplicemente;
al quale
reggimento
vi mandava d'
anno in
anno suoi vicarii e
XII buoni
uomini cittadini che col vicario reggeano la
cittade.
E puossi notare in questa cacciata de' Ghibellini che
fu in quello medesimo dì di
Pasqua di
Risoresso
ch'eglino aveano commesso il micidio di messere
Bondelmonte de'
Bondelmonti, onde si scoprirono
le parti in
Firenze, e se ne guastò la
città; e parve che
fosse giudicio d'Iddio, che mai poi non tornarono
inn istato.
L. 8, cap. 16 rubr.
Come, cacciati i Ghibellini di Firenze, si riformò la
città d'ordini e di consigli.
L. 8, cap. 16Tornata parte guelfa in
Firenze, e venuto il vicario
overo podestà per lo re
Carlo, che 'l primo fu messer
,
e fatti
XII buoni uomini
a modo ch'
anticamente
faceano gli anziani
che reggeano la repubblica, sì riformarono
il
consiglio di
C buoni uomini di popolo,
sanza la diliberazione de' quali nulla grande cosa né
spesa si potea fare; e poi che per quello
consiglio si
vincesse, andava
a partito
a
pallottole
al
consiglio
delle
capitudini dell'
arti maggiori, e
a quello della
credenza, ch'erano
LXXX. Questi consiglieri, che col
generale erano
CCC, erano tutti popolani e Guelfi:
poi vinti
a' detti
consigli,
convenia il dì
seguente le
medesime proposte rimettere
al
consiglio della podestà,
ch'era il primo di
LXXXX uomini grandi e popolani,
e co· lloro ancora le
capitudini dell'
arti, e poi il
consiglio generale, ch'erano
CCC uomini d'ogni condizioni,
e questi si chiamavano i
consigli opportuni;
e in quegli si
davano le castellanerie, dignità, ufici
piccoli e grandi; e ciò ordinato, feciono
àrbitri, e
corressono tutti statuti e ordinamenti, e ordinarono
ogni
anno si facessono. In questo modo s'ordinò lo
stato e corso
del Comune e
del popolo di
Firenze alla
tornata de' Guelfi; e
camerlenghi della pecunia feciono
religiosi di Settimo e d'Ognesanti di
sei in
sei
mesi.
L. 8, cap. 17 rubr.Come i Guelfi di Firenze ordinarono gli ordini di
parte.
L. 8, cap. 17In questi tempi, cacciati i Ghibellini di
Firenze, i
Guelfi che vi tornarono, avendo tra lloro questioni
per gli beni de' Ghibellini ribelli, sì mandarono loro
ambasciadori
a
corte
a papa
Urbano e
al re
Carlo,
che gli
dovesse ordinare. Il quale papa
Urbano e il re
Carlo per loro stato e pace gli ordinarono in questo
modo, che de' beni fossono fatte tre parti: l'una fosse
del Comune; l'altra fu diputata per amenda de'
Guelfi ch'erano stati disfatti e rubelli; l'altra fu diputata
a la parte guelfa certo tempo; ma poi tutti i detti
beni rimasono
a la parte, onde ne cominciarono
a ffare
mobile, e ogni dì il
cresceano, per avere da dispendere
quando bisognasse per la parte;
del quale
mobile,
udendolo il cardinale
Attaviano degli
Ubaldini,
disse: «
Dapoi che' Guelfi di
Firenze fanno mobile,
già mai non vi tornano i Ghibellini». E feciono
per mandato
del papa e
del re i detti Guelfi tre cavalieri
rettori di parte, e
chiamargli prima consoli de'
cavalieri, e poi gli chiamarono capitani di parte; e
durava il loro uficio
due mesi,
a
tre
sesti
a
tre
sesti, e
raunarsi
a' loro
consigli nella chiesa
nuova di Santa
Maria sopra Porta, per lo più comune luogo della
città, e dov'ha più case guelfe intorno. E feciono loro
consiglio segreto di
XIIII, e il maggiore
consiglio di
LX grandi e popolani, per lo cui scruttino s'
eleggessono
i capitani di parte e gli altri uficiali. E chiamarono
tre grandi e tre popolani priori di parte, i quali
sono sopra l'ordine e guardia della moneta della parte,
e uno che tenesse il
suggello, e uno sindaco
accusatore
de' Ghibellini. E tutte loro segrete cose dipongono
alla chiesa de' Servi Sante Marie. Per simili
ordini e capitani feciono gli usciti ghibellini. Assai
avemo detto degli ordini di parte, e torneremo
a' fatti
comuni, e altre cose.
L. 8, cap. 18 rubr.Come il soldano de' Saracini prese Antioccia.
L. 8, cap. 18Ne' detti tempi, gli anni di Cristo MCCLXVII, il soldano
di Babbillonia con suo esercito de' Saracini
corse e guastò quasi tutta l'Erminia, ch'erano e sono
Cristiani; e poi si puose ad assedio alla città d'Antioccia,
ch'era delle famose terre del mondo, e era
de' Cristiani, e quella prese per forza del mese di
maggio, e quanti Cristiani, uomini e femmine e fanciulli,
v'erano dentro, furono morti e presi e menati
per ischiavi, onde per tutta Cristianità n'ebbe grande
dolore; ma per lo peccato per gli Cristiani s'intendea
più alle guerre tra lloro per le maladette parti, ch'al
benificio comune di fare guerra co' Saracini.
L. 8, cap. 19 rubr.
Come i Guelfi di Firenze presono il castello di Santellero
con molti ribelli ghibellini.
L. 8, cap. 19Nel detto anno di Cristo MCCLXVII, del mese di
giugno, essendo di poco cacciata la parte ghibellina
di Firenze, una gente de' detti Ghibellini, pur de'
migliori e caporali, si rinchiusono co· lloro masnade
nel castello di Santo Ellero, onde fu loro capitano
messer Filippo da Quona, overo da Volognano, e cominciarono
guerra a la città di Firenze. Per la qual
cosa i Fiorentini guelfi v'andarono ad oste le due sestora,
e andovvi il maliscalco del re Carlo con tutta la
cavalleria de' Franceschi ch'erano co· llui, e per battaglia
ebbono il detto castello, nel quale avea rinchiusi
bene VIII.c uomini, che lla maggiore parte furono
morti e tagliati, e parte presi; e rimasonvi di quegli
della casa degli Uberti, e de' Fifanti, e Scolari, e di
quegli da Volognano, e di più altre case ghibelline
uscite di Firenze, e loro seguaci, onde i Ghibellini ricevettono
gran dammaggio, e allora perderono anche
i Ghibellini Campi di Firacchi, e Gressa; e dicesi
che uno giovane degli Uberti il quale era fuggito in
sul campanile, veggendo che non potea scampare,
per non venire a mano de' Bondelmonti suoi nemici,
si gittò di sua volontà del campanile in terra, e morì.
E Geti da Volognano fu menato preso con altri suoi
consorti, e messo nella torre del palagio; e però poi
sempre fu chiamata la Volognana.
L. 8, cap. 20 rubr.
Come molte città e terre di Toscana tornarono a
parte guelfa.
L. 8, cap. 20In quegli tempi che lla città di Firenze tornò a
parte guelfa, e furonne cacciati i Ghibellini, e venuto
in Toscana il maliscalco del re Carlo, come adietro
avemo fatta menzione, molte delle terre di Toscana
tornarono a parte guelfa, e cacciarono i Ghibellini,
come fu la città di Lucca, e di Pistoia, e Volterra, e
Prato, e San Gimignano, e Colle, e feciono taglia co'
Fiorentini, ond'era capitano il maliscalco del re Carlo
con VIII.c cavalieri franceschi, e non rimase a parte
ghibellina se non la città di Pisa e di Siena; e così in
poco di tempo si rivolse lo stato in Toscana e in molte
terre di Lombardia di tornare a parte guelfa e della
Chiesa, ch'erano a parte ghibellina e d'imperio,
per la sconfitta del re Manfredi e vittoria del re Carlo.
E però non dee niuno porre fede o speranza in
queste signorie e stati mondani, che sono dati a' tempi
secondo la disposizione di Dio, e secondo i meriti
o peccati delle genti; e questo vedemo per provati
esempli, e in tra gli altri questo fu uno di quegli che
fu assai visibile, che in poco di tempo essendo Toscana
quasi tutte città e castella a parte ghibellina, e
simile Lombardia, e quasi de' Guelfi non n'era ricordo,
tornarono a parte guelfa.
L. 8, cap. 21 rubr.
Come il maliscalco del re Carlo co' Fiorentini feciono
oste a Siena, e come il re venne in Firenze, e prese
Poggibonizzi.
L. 8, cap. 21Nel detto tempo,
del mese di luglio, gli
anni di
Cristo
MCCLXVII, il maliscalco
del re
Carlo con sua
gente e cavalleria di
Firenze ricominciarono
guerra
a' Sanesi per l'offesa ricevuta
a Monte Aperti, e imperciò
ch'aveano ritenuti i Ghibellini usciti di
Firenze,
e
favoreggiavagli, onde faceano
guerra nel
contado
di
Firenze, e andarono
a oste sopra Siena. E stando
ad oste sopra quello di Siena, gli usciti ghibellini
di
Firenze con masnade tedesche ch'erano in Siena e
in
Pisa, per trattato de' Ghibellini e terrazzani
del
castello di
Poggibonizzi,
entrarono nel detto castello
di
Poggibonizzi, il quale era
al
poggio molto forte.
Per la qual cagione il detto maliscalco
coll'oste si
partì
del
contado di Siena, e infra il terzo dì si puose
ad oste
al detto castello di
Poggibonizzi, e' Fiorentini
vi cavalcarono per comune in mezzo luglio, e simigliante
vi venne gente di tutte le terre di
Toscana
ch'erano
a lega co' Fiorentini
a parte guelfa, e
isteccarlo
intorno intorno, e con torri e
difici di legname,
acciò che la gente che v'erano rinchiusi dentro non
ne potessono uscire né avere soccorso, e gittandovi
dentro con molti
difici. E essendo
al detto assedio, lo
re
Carlo essendo fatto per lo papa e per la Chiesa generale
vicario di
Toscana, mentre che imperio vacasse,
sì venne di Puglia in
Toscana, e il presente mese
di
agosto con sua baronia
entrò in
Firenze, il quale
da' Fiorentini fu ricevuto
a grande onore come loro
signore,
andandogli incontro il carroccio e molti armeggiatori.
E in
Firenze soggiornò
VIII dì, e fece più
gentili uomini di
Firenze cavalieri, e appresso in persona
con tutta sua cavalleria volle andare nell'oste
a
Poggibonizzi, perché sentiva che' Pisani, e' Sanesi, e
gli altri Ghibellini faceano grande raunata di gente
a
cavallo e
a piè per soccorrere la gente ch'era assediata
in
Poggibonizzi; e
al detto assedio si stette
IIII mesi.
Alla fine per difalta di vittuaglia il detto castello di
Poggibonizzi s'
arendé
al re in mezzo dicembre
MCCLXVII, salvi l'avere e le persone, giurando i forestieri
e' terrazzani di non essergli mai incontro.
E avuto il castello, vi soggiornò
XV giorni, e misevi podestà,
e
fecevi cominciare una fortezza, ma non si
compié poi, per molto affare
del re e
del Comune di
Firenze.
L. 8, cap. 22 rubr.Come il re Carlo co' Fiorentini andarono a oste sopra
la città di Pisa.
L. 8, cap. 22Partito il re
Carlo da oste da
Poggibonizzi co' Fiorentini,
sì cavalcarono sopra la
città di
Pisa, e prese
molte castella con grande
danno de' Pisani, e ebbe
Porto Pisano, e
fecelo disfare, e abattere le torri
del
porto. E poi
del mese di febbraio, nel detto
anno
MCCLXVII, lo re
Carlo andò
a Lucca, e poi in
servigio
de' Lucchesi assediò il castello
del
Mutrone ch'era
fortissimo di
mura grossissime, e invano vi sarebbe
stato assai, senno che fece vista di cavallo e di tagliarlo
da piè, ma in
sei mesi non se ne sarebbe venuto
a fine; ma per ingegno e inganno la notte faceano
recare
calcinacci d'altra parte, e il dì lo faceano gittare
fuori, mostrando che fosse
del tagliamento
del
muro
del castello, per la qual cosa quegli d'
entro impauriti
s'
arenderono, salve le persone; e usciti
del castello,
e vedute le cave, s'avidono dello 'nganno. E
avuto il re il detto castello, sì 'l donò
a' Lucchesi.
L. 8, cap. 23 rubr.Come il giovane Curradino figliuolo del re Currado
venne d'Alamagna in Italia contro al re Carlo.
L. 8, cap. 23Istando lo re
Carlo in
Toscana, i Ghibellini usciti
di
Firenze co' Pisani e' Sanesi sì feciono lega e compagnia,
e ordinaro con
don
Arrigo di Spagna, il quale
era sanatore di
Roma, fatto già nemico
del re
Carlo
suo
cugino; e con certi baroni di Puglia e di Cicilia
fece congiurazione e
cospirazione di
rubellargli
certe terre di Cicilia e di Puglia, e di mandare in Alamagna,
e fare sommuovere
Curradino figliuolo che
fu
del re
Currado figliuolo dello 'mperatore
Federigo,
che passasse in Italia per torre Cicilia e il Regno
al re
Carlo. E così fu fatto, che subitamente in Puglia
si rubellò Nocera de' Saracini, e Aversa in Terra di
Lavoro, e molte terre in Calavra, e in
Abruzzi quasi
tutte, se non fu l'
Aguglia, e in Cicilia quasi tutta o
gran parte dell'isola di Cicilia, se non fu Messina e
Palermo. E
don
Arrigo rubellò
Roma, e tutta Campagna,
e 'l paese d'intorno; e' Pisani, e' Sanesi, e l'altre
terre ghibelline gli mandarono di loro danari
Cm
fiorini d'oro per sommuovere il detto
Curradino, il
quale molto giovane, di
XVI anni, si mosse d'Alamagna
a contradio della madre, ch'era figliuola
del
duca
d'
Osteric, che per la sua giovanezza
nol volea lasciare
venire. E giunse
a Verona
del mese di febbraio, gli
anni di Cristo
MCCLXVII, con molta baronia e buona
gente d'arme d'Alamagna in sua compagnia; e dicesi
il seguiro infino
a Verona presso
a
X.m uomini tra
a
cavallo e
ronzini, e per necessità di moneta gran parte
si tornò in Alamagna; ma de' migliori si ritenne da
III.mD cavalieri tedeschi. E di Verona passò per Lombardia,
per la
via di Pavia venne nella riviera di
Genova,
e arrivò di là da Saona
a la piaggia di
Varagine,
e ivi
entrò in
mare, e per la forza de' Genovesi co· lloro
navilio di
XXV galee passò per
mare
a
Pisa, e là
giunse di maggio
MCCLXVIII, e da' Pisani e da tutti i
Ghibellini d'Italia fu ricevuto
a grande onore, quasi
come imperadore. La sua cavalleria venne per terra
passando le montagne di
Pontriemoli, e arrivarono
a
Serrezzano, che si tenea per gli Pisani, e poi feciono
la
via della marina con
iscorta infino
a
Pisa. Lo re
Carlo sentendo come
Curradino era passato in Italia,
e sentendo la
rubellazione delle sue terre di Cicilia e
di Puglia fatta per gli baroni
del Regno traditori, i
quali i più avea lasciati di pregione, e per
don
Arrigo
di Spagna, sì si partì incontanente di
Toscana, e
a
grandi giornate n'andò in Puglia, e in
Toscana lasciò
messer
Guiglielmo di
Berselve suo maliscalco, e co· llui
messer
Guiglielmo lo Stendardo con
VIII.c cavalieri
franceschi e
provenzali, per mantenere le
città di
Toscana
a sua parte, e per contastare
Curradino che
non potesse passare. E sentendo papa
Chimento la
venuta di
Curradino, sì gli mandò suoi
messi e legati,
comandando sotto pena di scomunicazione ch'egli
non
dovesse passare, né essere contra lo re
Carlo
campione e vicario di santa Chiesa. Il quale
Curradino
però non lasciò sua impresa, né volle obbedire i
comandamenti
del papa, parendogli avere giusta
causa, e che 'l Regno e Cicilia fosse sua e di suo patrimonio;
e però cadde in sentenzia di scomunicazione
della Chiesa, la quale ebbe
a
dispetto, e poco curò;
ma istando lui in
Pisa, raunò moneta e genti, e
tutti i Ghibellini e chi era di parte imperiale si ridusse
a llui, onde gli
crebbe grandissima forza. E stando
in
Pisa, venne
a oste sopra la
città di Lucca, la quale
si tenea per la parte di santa Chiesa, e eravi dentro il
maliscalco
del re
Carlo con sua gente, e il legato
del
papa e della Chiesa, e
colla forza de' Fiorentini e degli
altri Guelfi di
Toscana e di più gente di croce segnati,
i quali per predicazione, e indulgenzia, e perdoni
dati dal papa e da' suoi legati erano venuti contra
Curradino. E stette sopra Lucca
dieci dì
a oste; e
aboccarsi insieme per combattere le dette
due osti
a
Pontetetto
a
due miglia presso di Lucca, ma non
combattero, ma
ciascuno schifò la battaglia, e era in
mezzo la
Guiscianella, e però si tornaro chi
a
Pisa e
chi
a Lucca.
L. 8, cap. 24 rubr.
Come il maliscalco del re Carlo fu sconfitto al ponte
a Valle per la gente di Curradino.
L. 8, cap. 24Poi si partì
Curradino con sua gente di
Pisa, e
venne
a
Poggibonizzi, il quale come i terrazzani
sentirono
la venuta di
Curradino in
Pisa si rubellarono
dal re
Carlo e dal Comune di
Firenze, e gli mandarono
le chiavi infino
a
Pisa. E poi di
Poggibonizzi n'andò
in Siena, e da' Sanesi ricevuto
a grande onore; e
soggiornando in Siena, il maliscalco
del re
Carlo
ch'avea nome, come detto avemo, messer
Guiglielmo
di
Berselve, con sua gente si partì da
Firenze il dì di
santo Giovanni di giugno per andare
ad
Arezzo per
impedire gli andamenti di
Curradino; e da' Fiorentini
furono
scorti e acompagnati infino
a
Montevarchi
e voleagli acompagnare infino
ad
Arezzo, sentendo il
cammino
dubbioso, e temendo d'aguato per lo
contado
d'
Arezzo. Il detto maliscalco rendendosi di soperchio
sicuro di sua gente, non volle più
condotto
di Fiorentini, inanzi
al passare si mise messer
Guiglielmo
lo Stendardo con
CCC cavalieri bene armati e
in concio, e passò sano e salvo. Il maliscalco con
V.c
de' suoi cavalieri, non prendendosi guardia e sanza
ordine, e i più di sua gente disarmata, si mise
a passare,
e quando giunse
al ponte
a Valle, ch'è in su
l'Arno presso
a Laterino, uscì loro adosso uno aguato
della gente di
Curradino, i quali sentendo l'andamento
del detto maliscalco, erano partiti di Siena per
lo
condotto degli
Ubertini e d'altri Ghibellini usciti
di
Firenze, e sopragiunti
al detto ponte, i Franceschi
non proveduti e sanza gran difesa furono sconfitti e
morti, e presi la maggiore parte, e quegli che fuggirono
verso il Valdarno nel
contado di
Firenze furono
così
presi e rubati come da' nimici; e il detto messer
Guiglielmo maliscalco, e messer
Amelio di
Corbano,
e più baroni e cavalieri, furono
presi e
menati in Siena
a
Curradino; e ciò fu il dì appresso la festa di san
Giovanni,
a dì
XXV del mese di giugno, gli
anni di
Cristo
MCCLXVIII. Della quale sconfitta e
presura la
gente
del re
Carlo e tutti quegli di parte guelfa ne
sbigottirono molto, e
Curradino e sua gente ne montarono
in grande superbia e baldanza, e quasi aveano
per niente i Franceschi; e sentendosi ciò nel Regno,
si rubellarono assai terre
al re
Carlo. E ne' detti tempi
il re
Carlo era
ad assedio alla
città di Nocera de'
Saracini in Puglia, la quale s'era rubellata, acciò che
l'altre terre della marina di Puglia, che tutte erano
sommosse, non gli si ribellassono.
L. 8, cap. 25 rubr.Come Curradino entrò in Roma, e poi con sua oste
passò nel regno di Puglia.
L. 8, cap. 25Soggiornato
Curradino alquanto in Siena, sì n'andò
a
Roma, e da' Romani e da
don
Arrigo senatore
fu ricevuto
a grande onore
a guisa d'imperadore, e in
Roma fece sua raunata di gente e di moneta, e spogliò
il
tesoro di San Piero e d'altre chiese di
Roma
per fare danari, e trovossi in
Roma con più di
Vm cavalieri
tra Tedeschi e Italiani con quegli di
don
Arrigo
senatore, fratello
del re di Spagna, ch'avea seco
bene
VIII.c buoni cavalieri
spagnuoli. E sentendo
Curradino che 'l re
Carlo era
a oste in Puglia alla
città
di Nocera, e molte delle terre e baroni
del Regno
erano rubellati, e dell'altre in sospetto, sì gli parve
tempo accettevole d'
entrare nel Regno, e partissi da
Roma
a dì
X d'
agosto, gli
anni di Cristo
MCCLXVIII,
col detto
don
Arrigo e con sua compagnia e baronia,
e con molti Romani; e non fece la
via di Campagna,
però che seppe che 'l passo da Cepperano era guernito
e guardato: sì non si volle mettere alla
contesa,
ma fece la
via delle montagne tra l'
Abruzzi e Campagna
per Valle di Celle, ove non avea guardie né
guernigione, e sanza niuno contasto passò e arrivò
nel piano di San
Valentino nella contrada detta Tagliacozzo.
L. 8, cap. 26 rubr.Come l'oste di Curradino e quella del re Carlo
s'affrontarono per combattere a Tagliacozzo.
L. 8, cap. 26Lo re
Carlo sentendo come
Curradino era partito
di
Roma con sua gente per
entrare nel Regno, si levò
da oste da Nocera, e con tutta sua gente
a grandi
giornate venne incontro
a
Curradino, e alla
città dell'
Aquila in
Abruzzi attese sua gente. E stando lui
nell'Aquila, e tenendo
consiglio cogli uomini della
terra,
amonendogli fossono fedeli e leali, e
fornissono
l'oste, uno savio
villano e antico si levò, e disse:
«Re
Carlo, non tenere più
consigli, e non schifare
uno poco di fatica, acciò che tu ti
possi riposare sempre;
togli ogni dimoranza, e va' contra il nimico, e
nol lasciare prendere più campo, e noi ti saremo leali
e fedeli». Lo re udendosi sì
saviamente consigliare,
sanza nullo indugio o più parole di là si partìo per la
via traversa delle montagne, e
acozzossi assai di presso
all'oste di
Curradino nel luogo e piano di San
Valentino,
e nonn avea in mezzo se non il fiume
del
Lo re
Carlo avea di sua gente, tra Franceschi e Provenzali
e Italiani, meno di
IIIm cavalieri, e veggendo
che
Curradino avea troppa più gente di lui, per lo
consiglio
del buon messere
Alardo di
Valleri, cavaliere
francesco di grande senno e prodezza, il quale
di quegli tempi era arrivato in Puglia tornando d'oltremare
dalla Terrasanta, sì disse
al re
Carlo se volesse
essere vincitore gli
convenia usare
maestria di
guerra più che forza. Il re
Carlo confidandosi molto
nel senno
del detto messer
Alardo,
al tutto gli commise
il
reggimento dell'oste e della battaglia; il quale
ordinò della gente
del re tre schiere, e dell'una fece
capitano messer
Arrigo di Cosance, grande di persona
e buono cavaliere d'arme: questi fu armato
colle
sopransegne reali in luogo della persona de· re, e
guidava Provenzali, e Toscani, e Lombardi, e Campagnini.
L'altra schiera furono de' Franceschi, onde
furono capitani messer
Gianni di
Crarì e messer
Guiglielmo lo Stendardo. E mise i Provenzali
a la
guardia
del ponte
del detto fiume, acciò che l'oste di
Curradino non potesse passare sanza
disavantaggio
della battaglia. Il re
Carlo col fiore della sua baronia,
di quantità di
VIII.c cavalieri, fece riporre in aguato
dopo uno
colletto in una vallea, e col re
Carlo rimase
il detto messer
Alardo di
Valleti con messer
Guiglielmo
di Villa, e
Arduino
prenze della Morea, cavaliere
di grande
valore.
Curradino dall'altra parte fece
di sua gente tre schiere: l'una de' Tedeschi, ond'egli
era capitano col
dogi d'
Osteric, e con più
conti e baroni;
l'altra degl'Italiani, onde fece capitano il
conte
Calvagno con alquanti Tedeschi; l'altra fu di Spagnuoli,
ond'era capitano
don
Arrigo di Spagna loro
signore. In questa stanza, l'una oste appetto
a l'altra,
i baroni
del Regno ribelli
del re
Carlo fittiziamente,
per fare isbigottire lo re
Carlo e sua gente, feciono
venire nel campo di
Curradino falsi ambasciadori
molto parati, con chiavi in mano e con grandi presenti,
dicendo ch'egli erano mandati dal Comune
dell'Aquila per
dargli le chiavi e signoria della terra,
sì come suoi uomini e fedeli, acciò che gli traesse
della tirannia
del re
Carlo. Per la qual cosa l'oste di
Curradino e egli medesimo, stimando fosse vero, feciono
grande allegrezza; e sentito ciò nell'oste
del re
Carlo, n'ebbe grande isbigottimento, temendo non
fallisse loro la vittuaglia che veniva loro di quella
parte, e l'aiuto di quegli dell'Aquila. Lo re medesimo
sentendo ciò, n'
entròe in tanta gelosia, che di notte
tempore si partì con pochi dell'oste in sua compagnia,
e venne all'Aquila la notte medesima, e faccendo
domandare le guardie delle porte per cui si tenea
la terra, rispuosono: «Per lo re
Carlo»; il quale
entrato
dentro sanza ismontare de'
cavagli,
amonitigli
di buona guardia, incontanente tornò all'oste, e fuvi
la mattina
a buona ora, e per l'affanno dell'andare e
tornare la notte lo re
Carlo dall'Aquila si posava e
dormiva.
L. 8, cap. 27 rubr.
Come Curradino e sua gente furono sconfitti dal re
Carlo.
L. 8, cap. 27
Curradino e sua oste avendo vana speranza che
l'Aquila fosse ribellata
al re
Carlo, con grande vigore
e grida, fatte le sue schiere, si strinse
a valicare il passo
del fiume per combattere col re
Carlo. Lo re
Carlo,
con tutto si posasse, come detto avemo, sentendo
il romore de' nimici, e com'erano inn arme per venire
a la battaglia, incontanente fece armare e schierare
sua gente per l'ordine e modo che dinanzi facemmo
menzione. E stando la schiera de' Provenzali, la quale
guidava messer
Arrigo di
Consancia, alla guardia
del ponte, contastando
a
don
Arrigo di Spagna e
a
sua gente il passo, gli Spagnuoli si misono
a passare
il
guado della riviera ch'era assai piccolo, e incominciarono
a
inchiudere la schiera de' Provenzali, che
difendeano il ponte.
Curradino e l'altra sua oste veggendo
passati gli Spagnuoli, si mise
a passare il fiume,
e con grande furore assaliro la gente
del re
Carlo,
e in
poca d'ora ebbono barattati e sconfitti la
schiera de' Provenzali; e 'l detto messer
Arrigo di
Consancia
colle
'nsegne
del re
Carlo abattute, e egli
morto e tagliato;
credendosi
don
Arrigo e' Tedeschi
avere la persona
del re
Carlo, perché vestiva le sopransegne
reali, tutti gli s'
agreggiarono adosso. E
rotta la detta schiera de' Provenzali, simile feciono di
quella de' Franceschi e degl'Italiani, la quale guidava
messer
Gianni di
Crarì, e messer
Guiglielmo lo Stendardo,
però che lla gente di
Curradino erano per
uno
due che quegli
del re
Carlo, e fiera gente e aspra
in battaglia: e veggendosi la gente
del re
Carlo così
malmenare, si misono in fugga e
abandonarono il
campo. I Tedeschi si
credettero avere vinto, che non
sapeano dell'aguato
del re
Carlo, si cominciarono
a
spandere per lo campo, e intendere
a la preda e alle
spoglie. Lo re
Carlo era in sul
colletto di sopra alla
valle, dov'era la sua schiera, con messer
Alardo di
Valleri e col
conte
Guido di
Monforte per riguardare
la battaglia, e veggendo la sua gente così barattare,
prima l'una schiera e poi l'altra, e venire in fugga,
moria
a dolore, e volea pure fare muovere la sua
schiera per andare
a soccorrere i suoi. Messer
Alardo,
maestro dell'oste e savio di
guerra, con grande
temperanza e con savie parole ritenne assai lo re, dicendo
che per Dio sì sofferisse alquanto, se volesse
l'onore della vittoria, però che conoscea la
covidigia
de' Tedeschi, come sono vaghi delle prede, per lasciargli
più spartire dalle schiere, e quando gli vide
bene
sparpagliati, disse
al re: «Fa' muovere le
bandiere,
ch'ora è tempo»; e così fu fatto. E uscendo la
detta schiera della valle,
Curradino né' suoi non
credeano
che fossono nimici, ma che fossono di sua
gente, e non se ne prendeano guardia. E vegnendo lo
re con sua gente stretti e serrati,
al diritto se ne vennero
ov'era la schiera di
Curradino co' maggiori di
suoi baroni, e quivi si cominciò la battaglia aspra e
dura, con tutto che poco
durasse, però che lla gente
di
Curradino erano lassi e stanchi per lo combattere,
e non erano tanti cavalieri schierati
ad assai quanti
quegli
del re, e sanza ordine di battaglia, però che lla
maggiore parte di sua gente, chi era cacciando i nemici,
e chi ispartito per lo campo per guadagnare
preda e pregioni, e la schiera di
Curradino per lo improviso
assalto de' nimici tuttora scemava, e quella
del re
Carlo tuttora
cresceva per gli primi di sua gente
ch'erano fuggiti della prima sconfitta, conoscendo
le
'nsegne
del re si metteano in sua schiera, sicché in
poca d'ora
Curradino e sua gente furono sconfitti. E
quando
Curradino s'avide che lla fortuna della battaglia
gli era incontro, e per
consiglio de' suoi maggiori
baroni, si mise alla fugga egli, e 'l
dogi d'
Osteric, e il
conte
Calvagno, e il
conte
Gualferano, e 'l
conte
Gherardo da
Pisa, e più altri. Messere
Alardo di
Valleri
veggendo fuggire i nimici, con grandi grida dice
e pregava lo re e' capitani della schiera non si partissono
né seguissono caccia de' nimici né altra preda,
temendo che lla gente di
Curradino non si
ranodasse,
o niuno aguato uscisse fuori, ma stessono fermi e
schierati in sul campo; e così fu fatto. E venne bene
a bisogno, che
don
Arrigo co' suoi
Spagnoli e altri
Tedeschi i quali aveano seguita la caccia de' Provenzali
e Italiani, i quali aveano prima sconfitti per una
valle, e non aveano veduta la battaglia
del re
Carlo e
la sconfitta di
Curradino, alla ricolta che fece di sua
gente, e ritornando
al campo, veggendo la schiera
del re
Carlo,
credette che fosse
Curradino e sua gente;
sì scese il
colle dov'era ricolto per venire
a' suoi, e
quando si venne appressando conobbe le
'nsegne de'
nimici, e come ingannato si tenne
confuso; ma com'
era valente signore, si strinse
a schiera, e serrò
colla
sua gente per tale modo che 'l re
Carlo e' suoi, i
quali per l'afanno della battaglia erano travagliati,
non s'ardirono di fedire alla schiera di
don
Arrigo, e
per non recare in giuoco vinto
a partito stavano
aringati
l'una schiera appetto
a l'altra buona pezza. Il
buono messer
Alardo veggendo ciò, disse
al re che
bisognava di
fargli dipartire da schiera per rompergli:
lo re gli commise facesse
a suo senno. Allora prese
de' migliori baroni della schiera
del re da
XXX in
XL, e uscirono della schiera faccendo sembianti che
per paura si fuggissono, siccome gli avea amaestrati.
Gli Spagnuoli veggendogli con più delle
bandiere di
quegli signori si metteano in volta e in vista di fuggire,
con vana speranza cominciarono
a gridare: «E'
sono in fugga!», e cominciarono
a dipartirsi da
schiera e volergli seguire. Lo re
Carlo veggendo
schiarire e aprire la schiera degli Spagnuoli e altri
Tedeschi, francamente si misono
a fedire
tra lloro; e messer
Alardo co' suoi
saviamente si
raccolsono e
tornarono alla schiera. Allora fu la battaglia aspra e
dura; ma gli Spagnuoli erano bene armati, per
colpi
di spade non gli poteano aterrare, e spesso
al loro
modo si
rannodavano insieme. Allora i Franceschi
cominciarono con gridare
ad
ire, e
a
prendelli
a
braccia, e
abattergli de'
cavagli
a modo de' torniamenti;
e così fu fatto, per modo che in
poca d'ora gli
ebbono rotti, e sconfitti, e
messi in fugga, e molti ve
ne rimasono morti.
Don
Arrigo con assai de' suoi si
fuggì in
Montecascino, e diceano che 'l re
Carlo era
sconfitto. L'abate ch'era signore di quella terra conobbe
don
Arrigo, e
a' segnali di loro com'erano
fuggiti, sì fece prendere lui e gran parte di sua gente.
Lo re
Carlo con tutta sua gente rimasono in sul campo
armati e
a cavallo infino alla notte per ricogliere i
suoi e per avere de' nemici piena e sicura vittoria. E
questa sconfitta fu la
vilia di santo
Bartolomeo
a dì
XXIII d'
agosto, gli
anni di Cristo
MCCLXVIII. E in
quello luogo fece poi fare lo re
Carlo una ricca
badia
per l'anime della sua gente morta, che si chiama Santa
Maria della Vittoria, nel piano di Tagliacozzo.
L. 8, cap. 28 rubr.Della avisione ch'avenne a papa Chimento della
sconfitta di Curradino.
L. 8, cap. 28Avenne grande maraviglia che, essendo stata la
detta sconfitta di Curradino, la vilia di santo Bartolomeo,
e era già notte anzi che 'l certo si sapesse a cui
fosse rimaso il campo colla vittoria, per le molte riprese
e variazioni ch'ebbe la detta battaglia, la mattina
per tempo vegnente della festa di santo Bartolomeo,
essendo papa Chimento in Viterbo, e sermonava,
e vegnendoli subitamente uno pensiero per lo
quale parve al popolo che contemplasse uno buono
pezzo lasciando la materia del sermone, levato della
detta contemplazione disse: «Correte, correte alle
strade a prendere i nimici di santa Chiesa, che sono
sconfitti e morti»; e della detta sconfitta nulla novella
né messo era venuto al papa, né potea venire in
così corto spazio di tempo come una notte, però che
da Viterbo al luogo dove fu la battaglia avea più di C
miglia; e fu l'altro giorno, inanzi che nullo messaggio
ne venisse in corte; ma di certo si disse per gli savi
che in corte erano che il papa l'ebbe per ispirazione
divina, e egli era uomo di santa vita.
L. 8, cap. 29 rubr.
Come Curradino con certi suoi baroni furono presi
dal re Carlo, e fece loro tagliare la testa.
L. 8, cap. 29
Curradino col
dogio d'
Ostaric e con più altri, i
quali
del campo erano fuggiti co· llui, sì arrivarono alla
piaggia di
Roma in su la marina
a una terra ch'ha
nome
Asturi, ch'era degl'
Infragnipani di
Roma,
gentili
uomini; e in quella arrivati, feciono armare una
saettia per passare in Cicilia, credendo scampare dal
re
Carlo, e in Cicilia, che era quasi tutta rubellata
a
lo re, ricoverare suo stato e signoria. Essendo loro
già
entrati in
mare
sconosciuti nella detta barca, uno
de' detti
Infragnipani ch'era in
Asturi, veggendo
ch'erano gran parte Tedeschi, e begli uomini, e di
gentile
aspetto, e sappiendo della sconfitta, sì s'avisò
di guadagnare e d'esser ricco, e però i detti signori
prese; e saputo di loro esser, e com'era tra quegli
Curradino, sì gli menò
al re
Carlo pregioni, per gli
quali lo re gli donò terra e signoraggio
a la
Pilosa, tra
Napoli e
Benevento. E come lo re ebbe
Curradino e
que' signori in sua balia, prese suo
consiglio quello
ch'avesse
a ffare. Alla fine prese partito di
fargli morire,
e fece per via di giudicio formare inquisizione
contro
a lloro, come
a traditori della corona e nemici
di santa Chiesa; e così fu fatto; che
a dì
fu
dicollato
Curradino, e 'l
duca d'
Osteric, e 'l
conte
Calvagno,
e 'l
conte
Gualferano, e 'l
conte
Bartolomeo e
due suoi figliuoli, e 'l
conte
Gherardo de'
conti da
Doneratico di
Pisa in sul mercato di Napoli lungo il
ruscello dell'acqua che corre di contra alla chiesa de'
frati
del
Carmino; e non sofferse il re che fossono
soppelliti in luogo sacro, ma in su il sabbione
del
mercato, perch'erano scomunicati. E così in
Curradino
finì il
legnaggio della casa di Soave, che fu in così
grande
potenzia d'imperadori e di re, come adietro è
fatta menzione. Ma di certo si vede per ragione e per
isperienza che chiunque si leva contra santa Chiesa e
è scomunicato
conviene che lla fine sia rea per l'anima
e per lo corpo; e però è sempre da temere la sentenza
della scomunicazione di santa Chiesa giusta o
ingiusta, che assai aperti miracoli ne sono stati, chi
legge l'antiche
croniche, e per questa il può vedere
per gl'imperadori e signori passati, che furono ribelli
e persecutori di santa Chiesa. Della detta sentenzia
lo re
Carlo ne fu molto ripreso, e dal papa, e da' suoi
cardinali, e da chiunque fu savio, però ch'egli avea
preso
Curradino e' suoi per caso di battaglia, e non
per
tradimento, e meglio era
a tenerlo pregione che
farlo morire. E chi disse che 'l papa l'asentì; ma non
ci
diamo fede, perch'era tenuto santo uomo. E parve
che lla innocenzia di
Curradino, ch'era di così giovane
etade
a giudicarlo
a
morte, Iddio ne mostrasse
miracolo contra lo re
Carlo, che non molti
anni appresso
Iddio gli mandò di grandi aversitadi quando
si
credea essere in maggiore stato, sì come innanzi
nelle sue storie faremo menzione.
Al giudice che
condannò
Curradino Ruberto figliuolo
del
conte di
Fiandra, genero
del re
Carlo, com'ebbe
letta la
condannagione,
gli diede d'uno
stocco, dicendo ch'
a llui
nonn era licito di sentenziare
a
morte sì grande e
gentile uomo;
del quale
colpo il giudice, presente lo
re, morì, e non ne fu parola, però che Ruberto era
molto grande apo lo re, e parve
al re e
a tutti i baroni
ch'egli avesse fatto come valente signore.
Don
Arrigo
di Spagna, il quale era de' pregioni
del re, però ch'egli era
suo
cugino carnale, e perché l'abate di
Montecascino
che ll'avea dato preso
al re, per non essere
inregolare, per
patti l'avea dato che
nol farebbe morire,
nol fece giudicare il re
a
morte, ma condannollo
a perpetuale carcere, e
mandollo in pregione
al castello
del Monte Sante Marie in Puglia; molti degli
altri baroni di Puglia e d'
Abruzzi ch'erano stati contro
a lo re
Carlo e suoi ribelli fece morire con diversi
tormenti.
L. 8, cap. 30 rubr.Come lo re Carlo raquistò tutte le terre di Cicilia e
di Puglia che gli s'erano rubellate.
L. 8, cap. 30Lo re
Carlo avuta la vittoria contra
Curradino,
tutte le terre
del regno di Puglia ch'erano rubellate
s'
arrenderono
al re sanza contasto; e molti de' caporali
ribelli che ll'aveano ribellate gli fece morire di
mala
morte. E in Cicilia mandò incontanente il
conte
Guido di
Monforte, e messer
Filippo suo fratello, e
messer
Guiglielmo di Belmonte, e messer
Guiglielmo
lo Stendardo, suoi baroni, con grande armata di
galee e con grande compagnia di cavalieri franceschi
e provenzali per
racquistare le terre dell'isola, le quali
quasi tutte s'erano rubellate dal re, salvo che Messina
e
Palermo; ed erane capitano uno messer
Currado,
detto Caputo overo d'Antioccia, de' discendenti
dello 'mperadore
Federigo, il quale con suo seguito
de' rubelli
mantenea le terre rubellate contro
al re
Carlo, e fecegli grande
guerra. Ma come i detti signori
furono in Cicilia, e per la vittoria che 'l re avea
avuta contra
Curradino, molte delle terre s'
arrenderono
a' detti signori, e assediarono il detto
Currado
nel castello di Santo
Orbe, il quale per assedio vinsono,
e 'l detto
Currado presono, e feciongli cavare gli
occhi, e poi il feciono
impiccare. E morto il detto
Currado e i più de' caporali rubelli suoi seguaci, tutte
le terre dell'isola furono all'ubidenza
del re
Carlo.
E ciò fatto, riformò il reame di Cicilia e di Puglia in
buono e
pacifico stato, e
guidardonò i suoi baroni
che ll'aveano servito di terre e di signoraggi. Lasceremo
alquanto de' fatti
del re
Carlo, e torneremo
a nostra
materia de' fatti di
Firenze.
L. 8, cap. 31 rubr.Come i Fiorentini sconfissono i Sanesi a piè di Colle
di Valdelsa.
L. 8, cap. 31Gli
anni di Cristo
MCCLXVIIII,
del mese di giugno,
i Sanesi, ond'era governatore messer
Provenzano
Salvani di Siena, col
conte
Guido
Novello,
colle masnade
de' Tedeschi e di Spagnuoli, e cogli usciti ghibellini
di
Firenze e dell'altre terre di
Toscana, e
colla
forza de' Pisani, i quali erano in quantità di
MCCCC
cavalieri e da
VIII.m pedoni, sì vennono
ad oste
al castello
di
Colle di
Valdelsa, il quale era alla guardia
de' Fiorentini; e ciò feciono, perché i Fiorentini il
maggio dinanzi erano venuti
a oste e guastare
Poggibonizzi.
E postosi
a campo
a la
badia
a
Spugnole, e
venuta la
novella in
Firenze il venerdì sera, il sabato
mattina messer
Giambertaldo vicario
del re
Carlo
per la taglia di
Toscana si partì di
Firenze
colle sue
masnade, il quale allora avea in
Firenze da
IIII.c cavalieri
franceschi; e sonando la campana, i Guelfi di
Firenze
seguendolo
a cavallo e
a piedi, giunsono in
Colle la cavalleria la
domenica sera, e trovarsi intorno
di
VIII.c cavalieri, o meno, con poco popolo, però
che così tosto come i cavalieri non poterono giugnere
a
Colle. Avenne che i· lunedì mattina vegnente, il
dì di santo
Bartolomeo di giugno, sentendo i Sanesi
la venuta della cavalleria di
Firenze, si levarono da
campo dalla detta
badia per recarsi in più salvo luogo.
Messer
Giambertaldo veggendogli mutare il
campo, sanza attendere più gente, passò
colla cavalleria
ch'avea il ponte, e schierata sua gente
colla cavalleria
di
Firenze, e quello popolo che v'era giunto,
e'
Colligiani (ma per la sùbita venuta de' Fiorentini
nullo ordine aveano di capitani d'oste, né d'insegna
del Comune), e prendendo messer
Giambertaldo la
'nsegna
del Comune di
Firenze, e richeggendo i cavalieri
di
Firenze che v'erano di tutte le case guelfe,
ch'alcuno di loro la prendesse, e nullo si movea
a
prenderla, o per viltà o per gara l'uno dell'altro, e
stato gran pezza alla
contesa, messer
Aldobrandino
della casa de' Pazzi francamente si trasse avanti e
disse: «Io la rendo
a l'onore d'Iddio, e di vittoria
del
nostro Comune»; onde fu molto comendato in franchezza,
e incontanente mosse, e tutta la cavalleria
seguendolo,
e francamente percosse alla schiera de' Sanesi;
e tutto che non fosse tenuta troppo savia e proveduta
capitaneria di
guerra, come ardita e franca
gente, bene
aventurosamente, come piacque
a dDio,
ruppono e sconfissono i Sanesi e loro amistà, ch'erano
quasi
due
cotanti cavalieri e popolo grandissimo,
onde molti ne furono morti e presi; e se dalla parte
de' Fiorentini fossono giunti e stati alla battaglia i loro
pedoni, non ne campava quasi niuno de' Sanesi. Il
conte
Guido
Novello si fuggì, e messer
Provenzano
Salvani signore e guidatore dell'oste de' Sanesi fu
preso, e tagliatogli il capo, e per tutto il campo portato
fitto in su una lancia. E bene s'adempié la
profezia
e revelazione che gli avea fatta il diavolo per
via
d'incantesimo, ma no· lla intese; ch'avendolo fatto costrignere
per sapere come
capiterebbe in quella oste,
mendacemente rispuose, e disse: «Anderai e combatterai,
vincerai non, morrai alla battaglia, e la tua
testa fia la più alta
del campo»; e egli credendo avere
la vittoria per quelle parole, e credendo rimanere
signore sopra tutti, non fece il punto alla
fallace, ove
disse: «Vincerai no, morrai etc
.»; e però è grande
follia
a credere
a sì fatto
consiglio come quello
del
diavolo. Questo messer
Provenzano fu grande uomo
in Siena
al suo tempo dopo la vittoria ch'ebbono
a
Monte Aperti, e guidava tutta la
città, e tutta parte
ghibellina di
Toscana facea capo di lui, e era molto
presentuoso di sua volontà. In questa battaglia si
portò il detto messere
Giambertardo come valente
signore in pugnare contro
a' nimici, e simigliantemente
la sua gente, e tutti Guelfi di
Firenze, faccendo
grande uccisione de' nimici per vendetta di loro
parenti e amici che rimasono alla sconfitta
a Monte
Aperti; quasi nullo o pochi ne menarono
a pregioni,
ma gli misono
a
morte e alle spade; onde la
città di
Siena,
a comparazione
del suo popolo, ricevette
maggiore
danno de' suoi cittadini in questa sconfitta,
che non fece
Firenze
a quella di Monte Aperti, e lasciarvi
tutto il loro arnese. Per la qual cosa, poco
tempo appresso, i Fiorentini rimisono in Siena i
Guelfi usciti, e cacciarne i Ghibellini, e
pacificarsi
l'uno Comune
coll'altro, rimagnendo poi sempre
amici e compagni. E in questo modo ebbe fine la
guerra tra' Fiorentini e' Sanesi, che tanto tempo era
durata.
L. 8, cap. 32 rubr.Come i Fiorentini presono il castello d'Ostina in
Valdarno.
L. 8, cap. 32Nel detto anno, del mese di settembre, essendo
rubellato il castello d'Ostina in Valdarno, e entrativi
i Ghibellini usciti di Firenze co' Pazzi di Valdarno, i
Fiorentini v'andarono ad oste, e stettonvi infino a
l'ottobre, e per difalta di vittuaglia non potendosi
più tenere, e quegli d'entro uscendone una notte, furono
quasi tutti morti e presi, e' Fiorentini ebbono il
castello e disfeciollo.
L. 8, cap. 33 rubr.Come i Fiorentini in servigio de' Lucchesi andarono
a oste sopra Pisa.
L. 8, cap. 33Partita l'oste de' Fiorentini da Ostina, i Fiorentini
con messer Giambertaldo maliscalco del re Carlo, in
servigio de' Lucchesi andarono ad oste a Castiglione
di Valdiserchio, e poi infino alle mura di Pisa, e presono
il castello d'Asciano per forza; e' Lucchesi, per
ricordanza e vergogna de' Pisani, presso alla città di
Pisa feciono battere loro moneta e tornarono sani e
salvi.
L. 8, cap. 34 rubr.
Come fu grande diluvio d'acqua, e rovinarono il
ponte a Santa Trinita e quello dalla Carraia.
L. 8, cap. 34Nel detto anno MCCLXVIIII, la notte di calen di ottobre
fu sì grande diluvio di pioggia d'acqua da cielo
col continuo piovere due notti e uno dì, che tutti i
fiumi d'Italia crebbono più che crescessono mai; e 'l
fiume Arno uscì de' suoi termini sì disordinatamente,
che gran parte della città di Firenze allagò, e ciò
fu la cagione per più legname che 'l fiume menava, il
quale ristette e s'atraversò al piè del ponte a Santa
Trinita per modo che l'acqua del fiume ringorgava sì
adietro che si spandea per la città, onde molte persone
annegarono e molte case rovinarono. Alla fine fu
sì forte l'empito del corso del fiume, che fece rovinare
il detto ponte di Santa Trinita, e ancora per lo
sgorgare di quello l'empito dell'acqua e del legname
percosse e fece rovinare quello dalla Carraia: e come
furono rovinati e caduti, l'altezza del corso del fiume,
ch'era per lo detto ringorgamento e rattenuta,
rabassò, e cessò la piena dell'acqua ch'era sparta per
la cittade.
L. 8, cap. 35 rubr.Come a certi nobili ribelli di Firenze furono tagliate
le teste.
L. 8, cap. 35Negli
anni di Cristo
MCCLXX, fatto l'accordo e pace
tra 'l Comune di
Firenze e quello di Siena, e
rimessivi
i Guelfi, e
cacciatine i Ghibellini, messer
Azzolino
e
Neracozzo e
Conticino della casa degli
Uberti, e messer Bindo de' Grifoni da
Fegghine rubelli
di
Firenze, co· lloro compagnia partendosi da
Siena per
andarsene in Casentino, furono
presi e
menati
in
Firenze, e scritto in Puglia
al re
Carlo quello
ch'
a llui piacesse se ne facesse; il quale per sua
lettera
mandò
a messer Bernardo d'
Ariano, podestà per lo
re in
Firenze, che sì come traditori della corona fossono
giudicati:
a' quali fue loro tagliate le teste il dì
di santo Michele di maggio. E la mattina, quando
s'andavano
a giudicare,
Neracozzo domandò messer
Azzolino: «Ove andiamo noi?». Rispuose il cavaliere:
«
A pagare uno debito che cci lasciarono i nostri
padri»; salvo che
Conticino, il quale, perch'era giovane,
fu mandato nel Regno preso, e morì in pregione
nelle torri di Capova.
L. 8, cap. 36 rubr.Come i Fiorentini presono il castello di Piano di
Mezzo in Valdarno, e come disfeciono Poggibonizzi.
L. 8, cap. 36Nel detto
anno,
del mese di giugno, i Fiorentini
andarono
ad assedio
al castello di Piano di Mezzo,
ch'era de' Pazzi di Valdarno, rubellato per loro e per
gli usciti di
Firenze contra il Comune di
Firenze, il
quale per assedio s'
arrendé
a
patti, salve le persone, i
quali se n'uscirono fuori; e' Fiorentini ebbono il castello,
e
feciollo abattere e disfare; e simile il castello
di
Ristuccioli de' Pazzi, ch'era molto forte castello. E
ciò fatto, e tornato l'oste de' Fiorentini in
Firenze, i
Fiorentini cavalcarono
a
Poggibonizzi, e feciono
abattere e disfare tutto il castello, e recare
a borgo
al
piano con licenza
del re
Carlo; però che nulla
convenenza,
che
promisono per gli
patti
al re
Carlo e Comune
di
Firenze, non voleano attenere, e sempre riteneano
i ribelli di
Firenze, e aveano lega
colle terre
ghibelline di
Toscana. Questo
Poggibonizzi fu il più
bello castello, e de' più forti d'Italia, e posto quasi
nel bilico di
Toscana, e era con belle
mura e torri, e
con molte belle chiese, e pieve, e ricca
badia, e con
bellissime fontane di marmo, e acasato e abitato di
genti com'una buona
città; ma per la loro superbia,
però che ssi voleano essere per loro sì come castello
d'imperio, e contastare il Comune di
Firenze, fue
abattuto e
toltogli ogni giurisdizione.
L. 8, cap. 37 rubr.Come lo re Luis di Francia fece il passaggio a Tunisi
nel quale morìo.
L. 8, cap. 37Negli
anni di Cristo
MCCLXX il buono
Luis re di
Francia, il quale era
cristianissimo e di santa vita e
opere, non tanto quanto s'appartiene
a secolare, essendo
re di sì grande reame e
potenzia, ma come
religioso, sempre operando in favore di santa Chiesa
e della
Cristianitade, e nonn
ispaventandosi delle
grandi
fatiche e spendio, il quale fece
al passaggio
d'oltremare, quando egli e' frategli furono
presi alla
Monsura de' Saracini, come addietro facemmo menzione,
come piacque
a dDio si puose in cuore d'andare
ancora sopra i Saracini e nimici de' Cristiani; e
così con grande effetto e opera mise
a
seguizione,
prendendo la croce, e raunando
tesoro, e sommovendo
tutta la baronia, e cavalieri, e buona gente di
suo reame. E ciò fatto, si mosse di Parigi, e
andonne
in
Proenza, e di là con grande navilio si partì
del suo
porto dell'Agua Morta in
Proenza con tre suoi figliuoli,
Filippo,
Gianni, e
Luis, e col re di Navarra
suo genero, e con tutti caporali suoi,
conti,
duchi, e
baroni
del reame di
Francia, e fuori
del reame suoi
amici. E per la sua andata il
seguì poi
Adoardo figliuolo
del re d'Inghilterra con molti Inghilesi, e
Scotti, e Fresoni, e Alamanni, di più di
XV.m cavalieri,
il quale stuolo, e
croceria fu quasi d'inumerabile
gente
a cavallo e
a piede, e stimarsi
CC.m d'uomini da
battaglia. E credendo prendere il migliore, si
diliberarono
d'andare sopra il regno di
Tunisi, avisandosi
se quello si prendesse per gli Cristiani, era in parte
molto mediata da potere più
leggermente prendere
poi il regno d'
Egitto, e da tagliare, e
al tutto impedire
la forza de' Saracini
del reame di
Setta, e eziandio
quello di
Granata. E passò il detto stuolo sani e salvi
co· lloro navilio, e arrivarono
al porto dell'antica
città
di Cartagine, ch'è di lungi da
Tunisi da
XV miglia, e
quella Cartagine, ch'alcuna parte n'era rifatta e afforzata
per gli Saracini per la guardia
del porto, per gli
Cristiani fu assai tosto presa per forza. E volendo andare
la detta oste alla
città di
Tunisi, come piacque
a
Dio, per le
peccata de' Cristiani si cominciò una
grande corruzzione d'aria in quelle marine, e
massimamente
nell'oste de' Cristiani non
costumati all'aria,
e per gli
disagi, e per lo soperchio di gente, e delle
bestie; per la qual cosa prima vi morì
Gianni figliuolo
del detto re
Luis, e poi il cardinale d'
Albano,
che v'era per lo papa, e poi infermò e morì il detto
buono re
Luis con grandissima quantità di
conti e di
baroni, e infinita gente di popolo vi morirono. Onde
la
Cristianità ricevette grandissimo
danno, e la detta
oste fu quasi tutta
scerrata, e venuta quasi
al niente,
sanza
colpo de' nimici. E come il detto re
Luis non
bene aventurato fosse nelle dette imprese sopra i Saracini,
ma per la sua anima bene
aventuroso morisse,
lo re di Navarra ch'era presente
al cardinale Toscolano
per sue
lettere lo scrisse, che nella sua infermità
non cessava di lodare Idio, e ispesso dicendo questa
orazione: «Fa' noi, Signore, le cose
prosperevoli
del
mondo avere in odio, e nessuna aversità temere».
Ancora adorava per lo popolo il quale ave'
menato
seco, dicendo: «Sia, Signore,
del popolo
tuo santificatore
e guardiano»; e l'altre parole che seguitano
alla detta orazione. E alla fine quando venne
a
morte,
levò gli occhi
a
cielo, e disse: «
Introibo
in
domum
tuam,
adorabo
ad
templum
santum
tuum,
et
confitebor
nomini
tuo»; e ciò detto, morì in Cristo.
E sentendo la sua
morte la sua oste fu molto turbata,
e' Saracini molto
rallegrati; ma in questo dolore fu
fatto
Filippo suo figliuolo re di
Francia; e lo re
Carlo
fratello
del detto re
Luis, il quale egli vivendo ave'
mandato per lui, venne di Cicilia, e arrivò
a Cartagine
con grande navilio e con molta gente e
rinfrescamento,
onde l'oste de' Cristiani riprese grande vigore,
e' Saracini paura. E con tutto che
ll'oste de' Saracini
fosse
cresciuta d'inumerabile gente, che di tutte
parti erano venuti gli
Arabi
a lloro soccorso, e fossono
troppi più che' Cristiani, mai non s'ardirono di
venire
a battaglia affrontata co' Cristiani; ma con
aguati e ingegni venieno, e faceano loro molto
molesto.
Intra gli altri fu questo l'uno, che la detta contrada
è molto
sabbionosa, e quando è secco fa molta
polvere: onde i Saracini quando traeva vento contra
l'oste de' Cristiani, in grandissimo numero di loro
genti stavano in su' monti ov'era il detto sabbione,
calpitandolo co'
cavalli e co' piedi il facevano muovere,
onde facea all'oste molta
molestia e affanno;
ma piovendo acqua da
cielo cessò la detta
pestilenzia,
e lo re
Carlo co' Cristiani, apparecchiati
difici di
diverse maniere per
mare e per terra, si strinse per
combattere la
città di
Tunisi; e di certo si disse, s'avessono
seguito, in brieve tempo avrebbono avuta la
terra per forza, o il re di
Tunisi co' suoi
Turchi e
Arabi l'avrebbe abandonata.
L. 8, cap. 38 rubr.Come il re Carlo patteggiò accordo col re di Tunisi
e partissi lo stuolo.
L. 8, cap. 38Lo re di
Tunisi co' suoi Saracini veggendo in mal
punto, e temendo di perdere la
città e 'l paese d'intorno,
si feciono cercare pace col re
Carlo, e cogli altri
signori con grandi e larghi
patti,
a la qual pace il
re
Carlo intese e diede compimento per lo 'nfrascritto
modo: prima, che tutti i Cristiani ch'erano pregioni
in
Tunisi, o in tutto quello reame, fossono liberi, e
che monisteri e chiese per gli Cristiani si potessono
edificare, e in quelle l'oficio sacro si potesse celebrare;
e che per gli frati minori e predicatori e per altre
persone
eclesiastiche si potesse liberamente predicare
il Vangelio di Cristo; e qual Saracino si volesse battezzare
e tornare alla fede di Cristo, liberamente
il potesse fare; e tutte le spese che i detti re avessono
fatte pienamente fossono loro rendute; e oltre
a cciò
il re di
Tunisi fosse tributario di dare ogni
anno
a
Carlo re di Cicilia
XX.m dobble d'oro, e molti altri
patti,
che sarebbono lunghi
a dire. Di questa pace alcuni
dissono che 'l re
Carlo e gli altri signori la faceano
per lo migliore, e considerando il loro male stato della
corruzzione dell'aria e mortalità de' Cristiani, che
il re di Navarra, morto il re
Luis, si partì malato dell'
oste e morì in Cicilia, e morì il legato
del papa cardinale,
e la Chiesa di
Roma in quelli tempi vacava di
pastore, che
dovea provedere
a tutto, e
Filippo novello
re di
Francia si voleva partire dell'oste e tornare
in
Francia col corpo
del padre. Altri dierono colpa
al
re
Carlo, che 'l fece per avarizia, per avere innanzi
per la detta pace sempre
a tributario il re di
Tunisi in
sua spezialtà; che 'l regno di
Tunisi fosse conquistato
per lo stuolo de' Cristiani, ch'era poi
a parte
del re di
Francia, e di quello d'Inghilterra, e di quello di Navarra,
e di quello di Cicilia, e della Chiesa di
Roma, e
di più altri signori ch'erano
al conquisto. E potrebbe
essere stata l'una cagione e l'altra; ma quale si fosse,
compiuto il detto accordo, si partì la detta oste da
Tunisi, e arrivati col loro navilio nel porto di
Trapali
in Cicilia, come piacque
a dDio, sì grande fortuna
avenne, essendo il navilio nel detto porto, che sanza
nulla redenzione la maggiore parte perirono, e ruppe
l'uno legno l'altro, ove tutto l'arnese di quello oste si
perdé, ch'era d'inumerabile
valuta, e molte genti vi
perirono. E per molti si disse che ciò avenne per gli
peccati de' Cristiani, e perché aveano fatto accordo
co' Saracini per
cuvidigia di moneta, potendo vincete
e conquistare
Tunisi e 'l paese.
L. 8, cap. 39 rubr.Come fu fatto papa Ghirigoro X a Viterbo, e come
vi fu morto Arrigo figliuolo del re d'Inghilterra.
L. 8, cap. 39Arrivato lo detto stuolo de' Cristiani in Cicilia, sì
vi
soggiornarono alquanto per
guerire i malati, e
prendere
rinfrescamento, e rifare loro navilio; e
quelli re e signori furono assai onorati da
Carlo re di
Cicilia; e poi si partirono di Cicilia, e lo re
Carlo co· lloro
ne vennero per lo regno di Puglia, e per Calavra
a Viterbo, ov'era la
corte della Chiesa in
vacazione, e
a Viterbo
soggiornarono i detti re
Filippo di
Francia,
e
Carlo di Cicilia, e
Adoardo e
Arrigo suo fratello e
figliuoli
del re d'Inghilterra, per fare che' cardinali
ch'erano in
discordia
eleggessono buono pastore per
riformare l'apostolica sedia. E non potendo avere
concordia di niuno di loro ch'erano presenti,
elessono
papa Gregorio
X di Piagenza, il quale era cardinale
e legato in Soria alla Terrasanta, e lui eletto, tornato
d'oltremare fu
consecrato papa gli
anni di Cristo
MCCLXXII. Essendo i sopradetti signori in Viterbo,
avenne una laida e abominevole cosa sotto la
guardia
del re
Carlo: che essendo
Arrigo fratello
d'
Adoardo figliuolo
del re Ricciardo d'Inghilterra in
una chiesa alla
messa, celebrandosi
a quell'ora il sacrificio
del corpo di Cristo,
Guido
conte di
Monforte,
il quale era per lo re
Carlo vicario in
Toscana,
non guardando reverenza di Dio né
del re
Carlo suo
signore, uccise di sua mano con uno
stocco il detto
Arrigo, per vendetta
del
conte Simone di
Monforte
suo padre, morto
a sua colpa per lo re d'Inghilterra.
E di ciò è bene da farne notevole memoria. Regnando
inn Inghilterra
Arrigo padre
del buono
Adoardo,
fu uomo di semplice vita, sicché i baroni l'aveano per
niente, perch'egli mandò per lo detto
conte Simone
suo
parente che gli guidasse il reame, ch'
Adoardo
era giovane. Questi era molto temuto e ridottato; e
come si vide il
reggimento
del reame in mano, come
fellone e traditore, gli oppuose
falsamente che il re
avesse fatte certe inique
leggi contra il popolo, e mise
lui e
Adoardo in pregione, nella torre di
Dovero, e
teneasi il reame. La reina
zia per madre d'
Adoardo,
per
volerlo scampare, sappiendo che per ogni
Pasqua il
conte Simone
venia
a
Dovero, e traeva
Adoardo della torre e
facealo cavalcare seco, e come
si partia il facea rimettere in pregione con grande e
stretta guardia, eziandio di
lettere, la savia reina
mandò
a
Dovero una savia e
bella
damigella che sapea
operare di gioelli, borse, e carnieri.
Adoardo
veggendola si prese di lei, e tanto adoperò
colle
guardie, che gli menarono la detta
damigella, e
volendola
toccare, gli disse: «Io ci sono per altro»; e
trasse fuori
lettere gli mandava la reina, avisandolo
del suo scampo e salute; e per quelle l'avisò come gli
mandava per uno nostro Fiorentino cozzone, ch'avea
nome Persona
Fulberti, con belli
destrieri, e uno
batto armato con molti remi, avisandolo come avesse
a ffare. Ora, com'era usato per la
Pasqua, il
conte Simone
venne
a
Dovero, e tratto
Adoardo della torre,
e provando i
destrieri
del detto cozzone,
Adoardo
con licenza
del
conte salì in su il migliore,
menandolo
a grandi rote; alla fine prese campo, e
dilungossi,
e venne
al porto, e trovò apparecchiato il batto. Lasciato
il cavallo, su vi salìo, e arrivò in
Francia, e poi
coll'aiuto
del re di
Francia, di
Fiandra, di Brabante,
e della Magna, con grande stuolo passò in Inghilterra,
e combatté col
conte Simone, e sconfisselo, e prese
una coppa, e
fecelo
tranare, e poi
impiccare, e diliberò
il padre; e quegli morto, fu
Adoardo
coronato
re d'Inghilterra
a grande onore. Tornando
a nostra
principale materia, come per la detta vendetta fu
morto il
conte
Arrigo,
conte di
Cornovaglia, fratello
del re
Adoardo, come dicemmo dinanzi, onde la
corte
si turbò forte,
dando di ciò grande riprensione
al
re
Carlo, che ciò non
dovea sofferire, se ll'avesse saputo,
e se no· ll'avesse saputo no· llo
dovea lasciare
scampare sanza vendetta. Ma il detto
conte
Guido
proveduto di compagnia di gente d'arme
a cavallo e
a piè, non solamente gli bastò d'avere fatto il detto
micidio; perché uno cavaliere il domandò che egli
avea fatto, e egli rispuose: «
Ie
a
fet
ma
vengianze»;
e quello cavaliere disse: «
Comant?
Vostre
pere
fu
trainé»; incontanente tornò nella chiesa, e prese
Arrigo
per gli capelli, e così morto il
tranò infino fuori
della chiesa villanamente; e fatto il detto sacrilegio, e
omicidio, si partì di Viterbo, e
andonne sano e salvo
in Maremma nelle terre
del
conte Rosso suo suocero.
Per la
morte
del detto
Arrigo
Adoardo suo fratello
molto
cruccioso e isdegnato contro
a re
Carlo si partì
di Viterbo, e vennesene con sua gente per
Toscana,
e soggiornò in
Firenze, e fece cavalieri più cittadini,
donando loro
cavagli e tutti
arredi di cavalieri
nobilemente, e poi se n'andò inn Inghilterra, e 'l
cuore
del detto suo fratello in una coppa d'oro fece
porre in su una colonna in capo
del ponte di Londra
sopra 'l fiume di Tamisi, per memoria
agl'Inghilesi
del detto
oltraggio ricevuto. Per la qual cosa
Adoardo
poi che fu re, mai non fu amico
del re
Carlo, né
di sua gente. Per simile modo si partì
Filippo re di
Francia con sua gente, e passò, e albergò più giorni
in
Firenze; e giunto in
Francia, soppellito il corpo
del buono re
Luis suo padre
a grande onore, e' si fece
coronare con grande solennità
a
Rens.
L. 8, cap. 40 rubr.Come i Tartari scesono in Turchia, e come ne cacciarono
i Saracini.
L. 8, cap. 40Nel detto
anno
MCCLXX Banducdar soldano de'
Saracini, dopo la presa ch'egli avea fatta della
città
d'Antioccia, gran parte
del reame d'
Erminia, passò
con suo
esercito in
Turchia, la quale si tenea per gli
Tartari, e per forza e per
tradimento la
raquistò, e'
Tartari che ll'abitavano ne cacciò; per la qual cosa lo
re d'
Erminia andò per soccorso alla grande
città
del
Torigi
ad
Abaga Cane figliuolo che fu
Aloon signore
de' Tartari, onde adietro facemmo menzione. E fornita
sua ambasciata, il detto
Abaga Cane, il quale era
molto amico de' Cristiani e nimico de' Saracini, il ricevette
onorevolemente, e l'
anno appresso venne con
suo
esercito di Tarteri col detto re d'
Erminia in
Turchia.
E 'l detto soldano sentendo la venuta de' Tarteri,
si partì, e
abandonò la
Turchia, per la qual cosa i
Tarteri ebbono la signoria della
Turchia e d'
Erminia,
e volle il detto
Abaga Cane dare
a' Cristiani e
a re
d'
Erminia la detta
Turchia. Lo re d'
Erminia non
sentendosi poderoso, e la Chiesa e' signori di ponente
per le loro guerre l'aiutavano male, riprese il suo
reame d'
Erminia, e lasciò
a' Tartari la
Turchia, la
quale non molto tempo appresso per difetto de' Cristiani,
e spezialmente de' Greci che vi sono vicini, i
Saracini la ripresono.
L. 8, cap. 41 rubr.Come lo re Enzo figliuolo dello imperadore Federigo
morì in pregione in Bologna.
L. 8, cap. 41L'
anno appresso
MCCLXXI,
del mese di marzo, il re
Enzo, figliuolo che fu di
Federigo imperadore, morì
nella pregione de' Bolognesi, nella quale era stato
lungo tempo, e fu soppellito da' Bolognesi onorevolemente
a la chiesa di San
Domenico in Bologna, e in
lui finìo la progenia dello imperadore
Federigo. Ben
si dice ch'ancora n'era uno figliuolo che fu de· re
Manfredi, il quale stette lungamente nella pregione
del re
Carlo nel castello dell'Uovo
a Napoli, e in
quello per vecchiezza e
disagio accecato della vista
miseramente finìo sua vita.
L. 8, cap. 42 rubr.Come papa Ghirigoro colla corte venne in Firenze,
e fece fare pace tra' Guelfi e' Ghibellini.
L. 8, cap. 42Negli
anni
MCLXXII Gregorio
decimo di Piagenza,
tornato lui della legazione d'oltremare, fu consegrato
e
coronato papa, e per lo grande affetto e volontà
ch'egli avea
del soccorso della Terrasanta, e che generale
passaggio si facesse oltremare, incontanente
che fu fatto papa,
ordinò
concilio generale
a lLeone
sopra Rodano in Borgogna, e fece che per suo mandato
gli
elettori dello 'mperio d'Alamagna
elessono
re de' Romani
Ridolfo
conte di
Furimborgo, il quale
era valente uomo d'arme, tutto che fosse di piccola
potenza; ma per sua prodezza conquistò Soavia e
Osteric: e
in Osteric che vacava per lo
dogio che
fu
morto con
Curradino dal re
Carlo fece
dogio Alberto
suo figliuolo. Il sopradetto papa l'
anno appresso
la sua coronazione si partì
colla
corte da
Roma
per andare
a Leone su Rodano
al
concilio per lui ordinato,
e
entrò in
Firenze co' suoi cardinali, e
collo
re
Carlo, e
collo imperadore Baldovino di
Gostantinopoli,
il quale fu
del
legnaggio della casa prima di
Fiandra. Questo Baldovino fu figliuolo d'
Arrigo fratello
del primo Baldovino, che conquistò
Gostantinopoli
co' Viniziani, come addietro facemmo menzione.
E col papa e col re
Carlo vennero in
Firenze e
più altri signori e baroni
a dì di
XVIII di giugno, gli
anni di Cristo
MCCLXXIII, e da' Fiorentini furono ricevuti
onorevolemente. E piaccendogli la stanza di
Firenze per l'agio dell'acqua, e per la sana aria, e che
la
corte avea ogni agiamento, sì
ordinò di soggiornare
e di fare la state in
Firenze. E trovando lui che sì
buona
città, com'era
Firenze, era guasta per cagione
delle parti, che n'erano fuori i Ghibellini, volle che
tornassono in
Firenze, e facessono pace co' Guelfi, e
così fu fatta; e
a dì
II di luglio nel detto
anno il detto
papa co' suoi cardinali, e col re
Carlo, e col detto imperadore
Baldovino, e con tutta la baronia e gente
della
corte, e congregato il popolo di
Firenze nel
greto d'Arno
a piè
del capo
del ponte Rubaconte,
fatti in quello luogo grandi
pergami di legname ove
stavano i detti signori, in presenzia di tutto il popolo
diede sentenzia, sotto pena di scomunicazione chi la
rompesse, e sopra la differenzia ch'era tra la parte
guelfa e la ghibellina, faccendo basciare in bocca i
sindachi di
ciascuna parte, e fare pace, e dare
mallevadori
e
stadichi; e tutte le castella che' Ghibellini
teneano renderono in mano
del re
Carlo, e gli
stadichi
ghibellini andarono in Maremma
a la guardia
del
conte Rosso. La qual pace poco
durò, sì come appresso
faremo menzione. E quello dì il detto papa
fondò la chiesa di Santo Gregorio, e per lo suo nome
così la
titolòe, la qual feciono fare quegli della casa
de'
Mozzi, i quali erano mercatanti
del papa e della
Chiesa, e in picciolo tempo venuti in grande ricchezza
e stato, e ne' loro
palagi in capo
del ponte Rubaconte
di là da Arno abitò il detto papa, mentre soggiornò
in
Firenze; e lo re
Carlo abitò
al giardino de'
Frescobaldi, e lo 'mperadore Baldovino
al vescovado.
Ma
al quarto dì appresso il papa si partì di
Firenze,
e
andonne
a soggiornare in Mugello col cardinale
Attaviano ch'era della casa degli
Ubaldini, da'
quali fu ricevuto, e fatto grande onore. Alla fine della
state si partì il papa, e' suo' cardinali, e il re
Carlo,
e
andarne oltremonti
a Leone sopra Rodano in Borgogna.
E la cagione perché il papa si partì così tosto
di
Firenze si fu che avendo fatti venire in
Firenze i
sindachi della parte ghibellina, e fattigli basciare in
bocca pace faccendo, come detto avemo, co' sindachi
de' Guelfi, e rimasi in
Firenze per dare compimento
a' contratti della pace, e tornando
ad albergo
a casa i
Tebalducci in Orto
Sammichele, o vero o
non vero che fosse,
a lloro fu detto che 'l maliscalco
del re
Carlo
a petizione de' grandi Guelfi di
Firenze
gli farebbe tagliare per pezzi, se non si partissono di
Firenze. Alla quale cagione
diamo fede per la iniquità
delle parti; e incontanente si partirono di
Firenze,
e
andarsene, e fu rotta la detta pace; onde il papa si
turbò forte, e partissi di
Firenze lasciando la
città interdetta,
e
andonne, come detto avemo, in Mugello;
e col re
Carlo per questa cagione rimase in grande
isdegno.
L. 8, cap. 43 rubr.
Come papa Ghirigoro fece concilio a Leone sopra
Rodano.
L. 8, cap. 43Negli
anni di Cristo
MCCLXXIIII papa Gregorio celebrò
concilio
a Leone sopra Rodano
del mese di
maggio infino
a dì
IIII d'
agosto, nel quale
concilio
Paglialoco imperadore de' Greci e il patriarca di
Gostantinopoli
si
riconciliarono
colla Chiesa di
Roma,
promettendo di correggersi di certi errori che i detti
Greci hanno tenuti, e seguire per innanzi secondo la
nostra fede e ordini della santa Chiesa romana, tutto
che poi no· llo
attenessono come
promisono. E tutto
questo
riconciliamento fece il papa co' Greci per acconcio
del passaggio d'oltremare, ordinato per lui
al
detto
concilio, ond'egli ave' grande affezzione e
studio.
Ma per lo
riconciliamento col
Paglialoco e co'
Greci lo re
Carlo fu molto contrario e
cruccioso, per
amore dello 'mperadore Baldovino, suo genero della
figliuola,
al quale di ragione di conquisto
sucedea il
detto imperio; e lo re
Carlo ch'avea già impreso
ad
atargliele
racquistare, onde
crebbe lo sdegno tra lui e
'l papa cominciato in
Firenze, come di sopra facemmo
menzione. Per lo quale
riconciliamento de' Greci
il detto papa
confermò il detto
Paglialoco imperadore
dello 'mperio di
Gostantinopoli, e
confermò
Ridolfo
conte di
Furimborgo eletto re de' Romani, signore
di gran
valore, tutto fosse di piccolo lignaggio,
e ch'egli era degno dello 'mperio di
Roma, e acciò
ch'egli venisse per la corona
a
Roma, e fosse capitano
e imperadore
del passaggio d'oltremare, e ch'egli
venisse più tosto, il papa gli
promise e dipuose de'
danari della Chiesa apo le compagnie di
Firenze e di
Pistoia, i quali erano mercatanti
del papa e della
Chiesa,
CCm di fiorini d'oro nella
città di
Melano; e il
detto
Ridolfo
promise sotto pena di scomunicazione
d'essere in
Melano infra certo tempo; la quale promessione
per sue imprese e guerre d'Alamagna non
venne, e non passò i monti, e mai nonn ebbe la corona,
né lla benedizione dello 'mperio, ma rimase scomunicato;
e per avere poi sua pace col papa e
colla
Chiesa, e esser
ricomunicato, sì privileggiò la
contea
di
Romagna, come potea di ragione, alla Chiesa di
Roma, e da indi innanzi la possedette la Chiesa per
sua. E nel detto
concilio il detto papa
ordinò il passaggio
generale d'oltremare
a ricovero della Terrasanta,
e che lle
decime si
ricogliessono per tutta la
Cristianità
sei
anni in
susidio
del detto passaggio, e
diede la croce, e
ordinò si
desse la croce per tutta
Cristianità per lo detto passaggio, perdonando colpa
e pena chi lla prendesse, o v'andasse, o mandasse;
e vietò l'usura, e scomunicò chi lla facesse piuvica, e
vietò tutte l'ordini de' frati mendicanti, salvo che
ll'
ordine de' frati minori e predicatori;
confermò i
romitani,
e'
carmellini si riservò sospesi. E molte altre
costituzioni e decreti utili per la Chiesa vi si feciono,
e vietò i soperchi ornamenti delle donne per tutta la
Cristianità.
L. 8, cap. 44 rubr.
Come la parte ghibellina fu cacciata di Bologna.
L. 8, cap. 44Nel detto anno MCCLXXIIII, a dì II del mese di giugno,
la parte ghibellina di Bologna, detti Lambertacci
per uno casato che n'era capo così chiamato, furono
cacciati di Bologna; e ciò fu per cagione e sospetto
che lla parte ghibellina era molto cresciuta in Romagna,
e poco innanzi cacciata la parte guelfa di
Faenza; alla quale cacciata de' Ghibellini di Bologna
i Fiorentini vi mandarono in servigio de' Guelfi gente
d'arme a cavallo; ma il popolo di Bologna non gli
lasciarono entrare nella terra, ma si feciono loro incontro
in su il Reno; e fuvi morto il cavaliere della
podestà di Firenze ch'era capitano de' detti cavalieri,
dicendo i Bolognesi che non voleano che i Fiorentini
guastassono la loro città, siccom'eglino aveano guasta
Firenze. La quale sopradetta parte ghibellina di
Bologna si ridusse in Faenza; per la qual cosa i Bolognesi
il settembre vegnente andarono ad oste alla città
di Faenza, e guastarla intorno, onde i Ghibellini di
Romagna colli usciti di Bologna feciono loro capitano
di guerra Guido conte di Montefeltro, savio e
sottile d'ingegno di guerra più che niuno che fosse al
suo tempo.
L. 8, cap. 45 rubr.Come giudice di Gallura con certi Guelfi fu cacciato
di Pisa.
L. 8, cap. 45Negli
anni di Cristo
MCCLXXIIII Giovanni giudice
del
giudicato di
Gallura, grande e possente cittadino
di
Pisa, con suo séguito d'alquanti Guelfi di
Pisa, per
oltraggio di sua signoria, e perché il popolo di
Pisa si
tenea
a parte d'imperio, fue cacciato di
Pisa. Per la
qual cosa il detto giudice si legò co' Fiorentini, e co'
Lucchesi, e cogli altri Guelfi della taglia di
Toscana;
e co· lloro insieme
del mese d'ottobre andarono
ad
oste sopra il castello di Montetopoli, il quale ebbono
a
patti,
uscendone i forestieri sani e salvi, e 'l castello
rimase
al detto giudice di
Gallura, il quale poco vivette,
perché il maggio seguente, gli
anni di Cristo
MCCLXXV, morì nel castello di Samminiato.
L. 8, cap. 46 rubr.D'uno grande miracolo ch'avenne in Baldacca e
Mansul oltremare.
L. 8, cap. 46Negli
anni di Cristo
MCLXXV avenne uno grande e
bello miracolo,
del quale è bene da farne menzione
in questa nostra opera, in
adificazione della nostra
santa fede. Egli era in que' tempi uno califfo de' Saracini
in Baldacca e 'n
Mansul, molto savio e litterato,
e nimico e persecutore de' Cristiani, che in quello
paese n'avea assai; e trovando egli per lo Vangelo di
santo
Matteo, ove Cristo disse
a' suoi discepoli che
chi avesse tanta fede quant'uno
granello di
senape, e
nel suo nome comandasse
a uno monte si levasse di
suo luogo e si ponesse altrove, sì il farebbe essere;
trovando questo argomento, per
confondere i Cristiani,
sì richiese i vescovi e' caporali de' Cristiani, e
mostrò loro il detto Vangelio, e se 'l volessono aprovare,
tutti dissono di sì. Allora comandò loro che
«infra
X dì voi comandiate
a uno grande monte ch'era
in quello luogo si levasse e si riponesse in altra
parte, e se ciò non farete, voi
sete sanza fede
al vostro
Iddio, e falsi Cristiani, e voglio che
rinneghiate
Cristo e
facciatevi Saracini, e se non, sì vi farà tutti
morire di
mala
morte». Ricevuto l'aspro e crudele
comandamento, non sapeano che ssi dire né che ssi
fare, ma con grandi pianti e dolori, come gente
giudicata
a
morte, ricorsono alla misericordia d'Iddio, e
alla penitenzia,
digiuni, e orazioni di dì e di notte.
Infra quegli giorni più volte venne in visione
a uno
santo vescovo che uno povero
ciabattiere, che aveva
pure uno occhio, gli
doveva liberare:
manifestollo
al
popolo, e
cercossi
del
ciabattiere, e trovossi; il quale
era uomo di santa vita, e ciò ch'egli avanzava di sua
povera
arte, fornita miseramente sua vita,
dava per
Dio
a' poveri, e l'occhio ch'egli avea meno perdé,
che
calzando una bella
Cristiana gli venne tentazione
di carnalità, onde si
scandalizzò molto, e
ricordandosi
del Vangelio di Cristo, ove disse: «Se 'l
tuo occhio
ti
scandalizza, sì il ritrai», ed egli prendendo il semplice
della
lettera, con una lesina si
punse l'occhio,
onde il perdé. E venuto il
termine
del
comandamento
del calif, furono raunati tutti i Cristiani, uomini e femmine e
fanciulli,
colle
croci innanzi, nel piano
dov'era
al di sopra il detto monte, i quali erano in
quantità di più di
Cm, co' Saracini e
Turchi armati intorno
a cavallo e
a piè per
distruggergli.
Richiesto il
ciabattiere di fare il
priego
a dDio, si
disdicea come
indegno e peccatore; ma per la piatà e pianto
del popolo
s'inginocchiò, e disse in piagnendo: «Signore
Idio onipotente. io ti
priego che tu facci grazia e misericordia
a questo
tuo popolo, e mostri
a questi miscredenti
la virtù
del
tuo figliuolo Iesù Cristo, e dimostri
visibile miracolo, acciò che sia glorificato il
tuo santo nome»; e ciò detto, comandò
al monte
che per la virtù di Cristo si
dovesse mutare, il quale
con grandi tremuoti, e spaventevole tempo di tuoni e
baleni e venti, si mosse, e si ripuose ove fu comandato;
onde il detto popolo cristiano con grande letizia
furono liberi, ringraziando e magnificando Iddio.
Per lo quale visibile miracolo molti de' Saracini si feciono
Cristiani, e 'l califfo medesimo
al segreto; e
quando venne
a
morte gli si trovò la santa croce
a
collo, e vivuto dopo il miracolo in santa vita. Lasceremo
de' fatti d'oltremare, e torneremo
a quegli d'Italia.
L. 8, cap. 47 rubr.Come il conte Ugolino con tutto il rimanente de'
Guelfi fu cacciato di Pisa.
L. 8, cap. 47Negli
anni di Cristo
MCCLXXV il
conte Ugolino
della casa de'
Gherardeschi di
Pisa, col rimanente
de' possenti Guelfi di
Pisa, fu cacciato di
Pisa
del
mese di maggio; per la qual cosa s'
allegò co' Fiorentini,
e Lucchesi, e l'altra taglia de' Guelfi di
Toscana,
e andarono
ad oste sopra la
città di
Pisa
del mese di
luglio prossimo, e guastarono
Vicopisano, e ebbono
più castella de' Pisani; e la detta oste fu fatta contra
il
comandamento
del papa, per la qual cosa fece contra
loro scomunicazione e interdetto.
L. 8, cap. 48 rubr.Come i Bolognesi furono sconfitti al ponte a San
Brocolo dal conte da Montefeltro e da' Romagnuoli.
L. 8, cap. 48Negli
anni di Cristo
MCCLXXV,
del mese di giugno,
i Bolognesi per comune andarono
ad oste in
Romagna
sopra la
città di Forlì e quella di
Faenza, perché
riteneano i loro usciti ghibellini; e di loro era capitano
messer
Malatesta da
Rimine; dalla parte de' Romagnuoli
era capitano il
conte
Guido da Montefeltro,
il quale col podere de' Ghibellini di
Romagna, e
cogli usciti di Bologna, e cogli usciti ghibellini di
Firenze,
ond'era capitano messer
Guiglielmino de'
Pazzi di Valdarno, si feciono loro incontro
al ponte
a
San
Brocolo aboccandosi
a battaglia; nel quale
aboccamento
la cavalleria de' Bolognesi non resse, ma
quasi sanza dare
colpo si misono alla fugga, chi
dice
per loro viltà, e chi
dice perché il popolo di Bologna,
il quale trattava male i nobili, furono
contenti i nobili
di lasciargli
al detto
pericolo; e 'l
conte da
Panago,
ch'era co' nobili di Bologna, quando si partì dal popolo
di Bologna, disse per rimproccio: «
Leggi gli
statuti, popolo
marcio». Il quale popolo abandonato
da lloro cavalleria, si tennero
amassati in su il campo
grande pezza
del giorno, difendendosi francamente.
Alla perfine il
conte da Montefeltro fece venire le
balestra grosse, le quali il
conte
Guido
Novello, ch'era
podestà di
Faenza, aveva tratte della camera
del
Comune di
Firenze quando ne fu signore, e con
quelle balestra saettando alle loro schiere, le partì, e
le ruppe, e sconfisse, onde molti cittadini di Bologna
ch'erano
a piè in quella oste furono morti e presi.
L. 8, cap. 49 rubr.Come i Pisani furono sconfitti da' Lucchesi al castello
d'Asciano.
L. 8, cap. 49Nel detto anno, a dì II di settembre, i Lucchesi col
conte Ugolino e cogli altri usciti guelfi di Pisa, e con
soldati di Firenze, e col vicaro del re Carlo in Toscana,
ch'avea nome , andarono ad oste sopra la città
di Pisa contra il comandamento del papa, e sconfissono
i Pisani al castello d'Asciano presso Pisa a III
miglia, onde molti Pisani vi furono morti e presi, e 'l
detto castello rimase a' Lucchesi.
L. 8, cap. 50 rubr.Della morte di papa Ghirigoro e di tre altri papi
appresso.
L. 8, cap. 50Negli
anni di Cristo
MCCLXXV,
a dì
XVIII di dicembre,
papa
Ghirigoro
X tornando dal
concilio da Leone
sopra Rodano, arrivò nel
contado di
Firenze, e
per cagione che lla
città di
Firenze era interdetta, e
gli uomini di quella scomunicati, perché nonn aveano
oservata la sentenzia della pace ch'avea fatta tra'
Guelfi e' Ghibellini, come dicemmo adietro, sì non
volle
entrare in
Firenze, ma per ingegno fu guidato
di fuori delle vecchie
mura; e chi disse che non potéo
fare altro, perché 'l fiume d'Arno era per piogge
sì grosso ch'egli no· llo
poté guadare, ma di nicessità
gli
convenne passare per lo ponte Rubaconte, sicché
non aveggendosi, e non potendo altro fare,
entrò in
Firenze; mentre passò per lo ponte e per lo borgo di
San
Niccolò, ricomunicò la terra, e andò segnando la
gente, e come ne fu fuori, lasciò lo 'nterdetto, e scomunicò
da capo la
città, con malo animo dicendo il
verso
del Saltero che
dice: «In
camo
et
freno
maxillas
eorum
constringe etc
.»; onde i Guelfi che reggeano
Firenze ebbono grande sospetto e paura. E
partitosi il detto papa di
Firenze, n'andò
ad albergare
a la
badia
a Ripole, e di là sanza
soggiorno se n'andò
ad
Arezzo; e giunto lui in
Arezzo, cadde malato,
e come piacque
a dDio, passò di questa vita
a dì
X
del seguente mese di gennaio, e in
Arezzo fu soppellito
a grande onore; della cui
morte i Guelfi di
Firenze
furono molto allegri, per la
mala volontà che 'l
detto papa avea contra loro. Morto il papa, incontanente
i cardinali furono rinchiusi, e
a dì
XX del detto
mese di gennaio chiamarono papa
Innocenzio quinto
nato di Borgogna, il quale era stato frate predicatore,
e allora era cardinale; e vivette papa infino
al giugno
vegnente, sì che poco fece, e morì alla
città di Viterbo,
e in quella fu soppellito onorevolemente. E appresso
lui,
a dì
XII di luglio, fu chiamato messere
Ottobuono
cardinale dal
Fiesco della
città di
Genova, il
quale non vivette che
XXXVIIII dì nel
papato, e fu
chiamato papa
Adriano quinto, e fu soppellito in
Roma.
E appresso lui,
del presente mese di settembre,
fu eletto papa maestro Piero Spagnuolo cardinale, il
quale fu chiamato papa Giovanni
XXI, e non vivette
papa che
VIII mesi e dì; che dormendo in sua camera
in Viterbo gli cadde la volta di sopra adosso, e morìo,
e fu soppellito in Viterbo
a dì
XX di maggio
MCCLXXVII; e vacò la Chiesa
VI mesi. E nel presente
anno fu grandissimo
caro di tutte vittuaglie, e valse
lo
staio
del grano soldi
XV da soldi
XXX il fiorino. E
nota una grande e vera visione che avenne della
morte
del detto papa
a uno nostro Fiorentino mercatante
della compagnia degli speziali, ch'avea nome
Berto
Forzetti, della quale è bene da fare menzione. Il detto
mercatante avea uno vizio naturale di diversa fantasia,
che sovente fra sonno dormendo si levava in su
il letto
a sedere, e parlava diverse maraviglie; e più
ancora, che essendo da'
desti ch'erano co· llui domandato
di quello ch'egli parlava, rispondea
a proposito,
e tuttavia dormia. Avenne che lla notte che
morìo il detto papa, essendo il detto in
nave in alto
pelago, e andava in
Acri, si levò e gridò: «Omè!
Omè!». E' compagni si
destarono, e
domandarlo
ch'egli avesse. Rispuose: «Io veggio uno grandissimo
uomo nero con una grande
mazza in mano, e vuole
abattere una colonna in su ched è una volta». E poco
stante
rigridò, e disse: «Egli l'hae
abattuta, ed è
morto»; fu domandato: «Chi?», rispuose: «Il papa».
I detti suoi compagni misono in iscritta le parole,
e la notte; e giunti loro in
Acri, poco tempo appresso
vi vennono
novelle della
morte
del detto papa,
che apunto in quella notte avenne. E io scrittore
ebbi di ciò testimonianza da quegli mercatanti ch'erano
presenti col detto in su la detta
nave, e udirono
il detto
Berto, i quali erano uomini di grande autorità
e degni di fede, e la
fama di ciò fu per tutta la
città
nostra. Poi fu eletto papa Niccola
III di casa gli
Orsini
di
Roma, ch'avea nome propio messer
Gianni
Guatani cardinale, il quale vivette papa
II anni e
VIIII
mesi e mezzo. Avemo detto de' sopradetti
papi, perché
in
XVI mesi morirono
IIII papi. Lasceremo di dire
alquanto de' detti
papi, e diremo delle cose che
furono
a lloro tempo in
Firenze e per l'universo
mondo.
L. 8, cap. 51 rubr.Come i Fiorentini e' Lucchesi sconfissono i Pisani
al fosso Arnonico.
L. 8, cap. 51Negli
anni di Cristo
MCCLXXVI,
del mese di giugno,
i Fiorentini e' Lucchesi,
a sommossa
del
conte
Ugolino e degli altri usciti guelfi di
Pisa, col maliscalco
del re
Carlo ch'avea nome
, in quantità di
MD
cavalieri e popolo assai, andarono
ad oste sopra
Pisa
verso il Ponte
ad Era, e i Pisani, per tema de' Fiorentini,
aveano fatto di nuovo uno grande fosso poco di
là dal Ponte
ad Era, presso di
Pisa
a
VIII miglia, il
quale era lungo più di
X miglia, e mettea in Arno, e
chiamavasi il fosso
Arnonico; e
a quello aveano fatti
ponti e fortezze di steccati e bertesche, e di là da
quello i Pisani stavano co· lloro oste alla difensione. E
giuntavi l'oste de' Fiorentini, combattendo il detto
fosso, alcuna parte di loro gente
a piè e poi
a cavallo
di lungi all'oste
valicarono per
punga il detto fosso
lungo l'Arno. I Pisani incontanente che
sentirono
che' nemici aveano valicato il fosso, si misono alla
fugga e inn isconfitta, onde l'oste tutta valicò cacciando
i Pisani infino
a
Pisa; onde molti ne furono
morti e in grande quantità presi; per la quale sconfitta
i Pisani feciono le comandamenta de' Fiorentini e
pace, e rimisono i Pisani il detto
conte Ugolino e tutti
i loro usciti guelfi.
L. 8, cap. 52 rubr.Come furono sconfitti i signori della Torre di Melano.
L. 8, cap. 52Negli
anni di Cristo
MCCLXXVI,
a dì
XX del mese
di gennaio, furono sconfitti i signori della Torre di
Milano
a
Cortenuova dal marchese di Monferrato e
da' nobili cattani, e
varvassori, e
dagli altri loro seguaci
e usciti di Milano, e furono morti
due di quegli
della Torre in quella battaglia, e presi
VI, e eglino e
tutta loro parte, i quali teneano
a parte guelfa, furono
cacciati di Milano, e
tornovvi l'arcivescovo, ch'era
de' Visconti, e suoi
consorti, e gli altri nobili, e ogni
altro uscito; e fu fatto capitano
del popolo di Milano
messer
Maffeo Visconti fratello dell'arcivescovo in
questo modo: che tornati i nobili in Milano, furono
eletti
IIII capitani, i
capi delle maggiori case di Milano,
messer
Maffeo Visconti, messer
Otto da
Mandello
figliuolo di messer Rubaconte, uno di quegli da
Posterla, e uno di quegli da
Castiglione, e
ciascuno
dovea essere uno
anno; ma il primo fu messer
Maffeo
per
riverenzia dell'arcivescovo, ch'era suo fratello.
Poi infra l'
anno l'arcivescovo adoperò che
Otto fu
fatto capitano di Piagenza, e l'altro da Postierla di
Pavia, e quello da
Castiglione di Lodi: e così in capo
del
termine rimase signore e capitano messer
Maffeo
Visconti
colla forza e senno dell'arcivescovo; e poi
durò molto tempo in signoria, e di fuori quelli della
Torre. E nota che' signori della Torre erano la maggiore
e la più possente casa d'avere e di persone che
fosse in Italia o in nulla
cittade, e di loro era il patriarca
Ramondo d'Aquilea, il quale regnò
XXVI anni
patriarca, e
colla sua forza e per loro medesimi metteano
MD cavalieri in campo sanza il podere
del Comune
di Milano, ond'erano
al tutto signori, e spezialmente
del popolo. E
cacciatine i nobili cattani e
varvassori,
e in quella signoria regnarono uno buono
tempo, onde prima fu capitano
del popolo di Milano
messer Alamanno della Torre, figliuolo che fu di
messer Martino e fratello
del patriarca, e fu buono
uomo e giusto, e
amato da tutti; poi fu capitano messer
Nappo, overo
Nepoleon, suo fratello, e cominciò
a
tirannezzare; e poi fu capitano messer Francesco
loro fratello, il quale fu pessimo in tutte cose, e per
lo suo soperchio e
oltraggi alla sua signoria furono
sconfitti e perderono lo stato, come detto è di sopra.
L. 8, cap. 53 rubr.
Come il re Filippo di Francia fece pigliare tutti i
prestatori italiani.
L. 8, cap. 53Negli anni di Cristo MCCLXXVII, a dì XXIIII d'aprile,
in uno giorno il re Filippo di Francia fece pigliare
tutti i prestatori italici di suo reame, e eziandio de'
mercatanti, sotto colore che usura non s'usasse in
suo paese, accomiatandogli del reame per lo divieto
ch'avea fatto papa Ghirigoro al concilio di Leone;
ma ciò mostra che facesse più per covidigia di moneta
che per altra onestade, però che gli fece finire per
libbre LX.m di parigini, di soldi X il fiorino d'oro, e poi
la maggiore parte si rimasono al paese come di prima
a prestare.
L. 8, cap. 54 rubr.Come fu fatto papa Niccola terzo degli Orsini, e
quello che fece al suo tempo.
L. 8, cap. 54Nel detto
anno, come alcuna cosa
ricordammo
adietro, fu fatto papa messer
Gianni
Guatani, cardinale
di casa degli
Orsini di
Roma, il quale mentre fu
giovane
cherico e poi cardinale fu onestissimo e di
buona vita, e dicesi ch'era di suo corpo vergine; ma
poi che fue chiamato papa Niccola
III, fu magnanimo,
e per lo caldo de' suoi
consorti imprese molte
cose per
fargli grandi, e fu de' primi, o il primo papa,
nella cui
corte s'usasse palese
simonia per gli suoi
parenti; per la qual cosa gli
agrandì molto di possessioni
e di castella e di moneta sopra tutti i Romani in
poco tempo ch'egli vivette. Questo papa fece
VII cardinali
romani, i più suoi
parenti, intra gli altri,
a
priego
di messer
Gianni capo della casa della Colonna
suo
cugino, fece cardinale messer Jacopo della Colonna,
acciò che' Colonnesi non s'
apprendessono all'
aiuto degli
Anibaldeschi loro nemici, ma fossono in
loro aiuto; e fu tenuta gran cosa, però che lla Chiesa
avea privati tutti i Colonnesi, e chi di loro progenia
fosse, d'ogni benificio
eclesiastico infino
al tempo di
papa
Allessandro terzo, però ch'aveano tenuto
collo
imperadore
Federigo primo contra
a la Chiesa. Appresso
il detto papa fece fare i nobili e grandi palazzi
papali di Santo Piero; ancora prese
tenza col re
Carlo
per cagione che 'l detto papa fece richiedere lo re
Carlo d'imparentarsi co· llui, volendo dare una sua
nipote per moglie
a uno nipote
del re, il quale parentado
il re non volle asentire, dicendo: «Perch'egli
abbia il calzamento rosso, suo lignaggio nonn è degno
di
mischiarsi col nostro, e sua signoria nonn era
retaggio»; per la qual cosa il papa contro
a llui isdegnato,
e poi non fu suo amico, ma in tutte cose
al sagreto
gli fu contrario, e
del
palese gli fece rifiutare il
sanato di
Roma e il vicariato dello imperio, il quale
avea dalla Chiesa
vacante imperio; e
fugli molto contra
in tutte sue imprese, e per moneta che ssi disse
ch'ebbe dal
Paglialoco aconsentì e diede aiuto
a favore
al trattato e
rubellazione ch'
al re
Carlo fu fatta
dell'isola di Cicilia, come innanzi faremo menzione;
e tolse alla Chiesa Castello Santo Angelo, e
diello
a
messer
Orso suo nipote. Ancora il detto papa si fece
privileggiare per la Chiesa la
contea di
Romagna e la
città di Bologna
a
Ridolfo re de' Romani, per cagione
ch'egli era caduto in amenda alla Chiesa della
promessa ch'egli aveva fatta
a papa
Ghirigoro
al
concilio
da lLeone su Rodano quando il
confermò, cioè
di passare in Italia per fornire il passaggio d'oltremare,
come adietro facemmo menzione; la qual cosa
nonn avea fatta per altre sue imprese e guerre d'Alamagna.
Né questa
dazione e
brivilegiare alla Chiesa
il
contado di
Romagna e la
città di Bologna né potea
né
dovea fare di ragione; intra l'altre, perché il detto
Ridolfo non era pervenuto alla benedizione imperiale:
ma quello che'
cherici prendono, tardi sanno rendere.
Incontanente che 'l detto papa ebbe privilegio
di
Romagna, sì nne fece
conte per la Chiesa messer
Bertoldo degli
Orsini suo nipote, e con forza di cavalieri
e di gente d'arme il mandò in
Romagna, e co· llui
per legato messer fra
Latino di
Roma cardinale
ostiense suo nipote, figliuolo della
suora, nato de'
Brancaleoni, ond'era il
cancelliere di
Roma per retaggio;
e ciò fece per trarre la signoria di mano
al
conte
Guido di Montefeltro, il quale tirannescamente
la si tenea e signoreggiava; e così fu fatto, per modo
che in poco tempo quasi tutta
Romagna fu alla signoria
della Chiesa, ma non sanza
guerra e grande
spendio della Chiesa, come innanzi diremo
a lluogo
e
a tempo.
L. 8, cap. 55 rubr.
Come lo re Ridolfo de la Magna sconfisse e uccise
lo re di Buem.
L. 8, cap. 55Negli anni di Cristo MCCLXXVII, essendo grande
guerra tra re Ridolfo della Magna e lo re di Buemme
per cagione che nol volea ubbidire né fare omaggio,
per la qual cosa il re Ridolfo eletto imperadore con
grandissimo oste andò sopra il detto re di Buem, il
quale gli si fece incontro con grandissima cavalleria,
e dopo la dura e aspra battaglia che fu tra così aspre
genti d'arme, come piacque a dDio il detto re di
Buem nella detta battaglia fu morto, e la sua gente
sconfitta, nella quale innumerabile cavalleria furono
morti e presi, e quasi tutto il reame di Buem Ridolfo
ebbe a sua signoria. E ciò fatto, col figliuolo del detto
re di Buem fece pace, faccendolsi prima venire a
misericordia; e stando il re Ridolfo in sedia in uno
grande fango, e quello di Buem stava dinanzi a llui
ginocchione innanzi a tutti i suoi baroni; ma poi lui
riconciliato, il re Ridolfo gli diede la figliuola per moglie,
e rendégli il reame; e ciò fu a dì XXVI d'agosto
del detto anno. Questo re Ridolfo fu di grande
affare, e magnanimo, e pro' in arme, e bene aventuroso
in battaglie, molto ridottato dagli Alamanni e
dagli Italiani; e se avesse voluto passare in Italia, sanza
contasto n'era signore. E mandocci suoi ambasciadori
l'arcivescovo di Trievi, e fu in Firenze negli anni
MCCLXXX, significando sua venuta, onde i Fiorentini
non sapeano che si fare; e se fosse passato, di certo
l'avrebbono ubbidito. E lo re Carlo, ch'era così possente
signore, il temette forte; e per essere bene di
lui, diede a Carlo Martello, figliuolo del figliuolo, la
figliuola del detto re Ridolfo per moglie.
L. 8, cap. 56 rubr.
Come il cardinale Latino per mandato del papa fece
la pace tra' Guelfi e' Ghibellini di Firenze, e tutte l'altre
della città.
L. 8, cap. 56In questi tempi i grandi Guelfi di
Firenze riposati
delle guerre di fuori con vittorie e onori, e ingrassati
sopra i beni de' Ghibellini usciti, e per altri loro
procacci,
per superbia e invidia cominciarono
a riottare
tra lloro, onde nacquero in
Firenze più brighe e
nimistadi
tra' cittadini, mortali, e di fedite. Intra l'altre
maggiori era la briga tra lla casa degli
Adimari dall'una
parte, ch'erano molto grandi e possenti, e dall'altra
parte i
Tosinghi, e la casa de'
Donati, e quella de'
Pazzi legati insieme contro
agli
Adimari, per modo
che quasi tutta la
città n'era partita, e chi tenea
coll'
una parte e chi
coll'altra; onde la
città e parte guelfa
n'era in grande
pericolo. Per la qual cosa il Comune
e' capitani della parte guelfa mandarono loro ambasciadori
solenni
a
corte
a papa Niccola, che mettesse
consiglio e 'l suo aiuto
a
pacificare i Guelfi di
Firenze
insieme; se non, parte guelfa si
dovidea, e cacciava
l'uno l'altro. E per simile modo gli usciti ghibellini
di
Firenze mandarono loro ambasciadori
al detto papa
e
pregarlo e richiederlo ch'egli mettesse
a
seguizione
la sentenzia della pace data per papa
Ghirigoro
nono tra lloro e' Guelfi di
Firenze. Per le sopradette
cagioni il detto papa provide e
confermò la
detta sentenzia, e
ordinò
paciato e legato e commise
le dette questioni
a frate
Latino cardinale, ch'era in
Romagna per la Chiesa, uomo di grande autorità e
scienza, e grande apo il papa, il quale per lo mandamento
del papa si partì di
Romagna, e giunse in
Firenze
con
CCC cavalieri della Chiesa
a dì
VIII del mese
d'ottobre, gli
anni di Cristo
MCCLXXVIIII, e da'
i Fiorentini e dal
chericato fu ricevuto
a grande onore
e processione,
andandogli incontro il carroccio, e
molti armeggiatori; e poi il detto legato il dì di santo
Luca
Vangelista, nel detto
anno e mese, fondò e benedisse
la prima pietra della
nuova chiesa di Santa
Maria Novella de' frati predicatori, ond'egli era frate;
e in quello luogo de' frati trattò e
ordinò
generalmente
le paci tra tutti i cittadini, Guelfi con Guelfi, e
poi da' Guelfi
a' Ghibellini. E la prima fu tra gli
Uberti e'
Bondelmonti (e fu la terza pace), salvo che'
figliuoli di messer Rinieri
Zingane de'
Bondelmonti
no· llo assentiro, e furono scomunicati per lo legato, e
isbanditi per lo Comune. Ma per loro non si lasciò la
pace; che poi il legato bene
aventurosamente
del mese
di febbraio vegnente, congregato il popolo di
Firenze
a
parlamento nella piazza vecchia della detta
chiesa, tutta coperta di
pezze, e con grandi
pergami
di legname, in su' quali era il detto cardinale, e più
vescovi, e prelati, e
cherici, e religiosi, e podestà, e
capitano, e tutti i consiglieri, e gli ordini di
Firenze, e
in quello per lo detto legato sermonato nobilemente
e con grandi e molte belle autoritadi, come alla materia
si
convenia, sì come quegli ch'era savio e bello
predicatore; e ciò fatto, sì fece basciare in bocca i
sindachi ordinati per gli Guelfi e per gli Ghibellini,
pace faccendo con grande allegrezza per tutti i cittadini;
e furono
CL per parte. E in quello luogo presentemente
diede sentenzia de' modi, e de'
patti, e
condizioni che si
dovessono oservare intra l'una parte
e l'altra, fermando la detta pace con
solenni e
vallate
carte, e con molti idonei
mallevadori. E d'allora
innanzi poterono tornare e tornarono i Ghibellini in
Firenze e le loro famiglie, e furono cancellati d'ogni
bando e
condannagione; e furono arsi tutti i
libri
delle
condannagioni e bandi ch'erano in camera; e'
detti Ghibellini riebbono i loro beni e possessioni,
salvo che alquanti de' più principali fu ordinato per
più
sicurtà della terra che certo tempo stessono
a'
confini. E ciò fatto per lo legato cardinale, fece fare
le
singulari paci de' cittadini; e la prima fu quella ond'
era la maggiore
discordia, cioè tra gli
Adimari e'
Tosinghi, e' Pazzi e'
Donati, faccendo più parentadi
insieme; e per simile modo si feciono tutte quelle di
Firenze e
del
contado, quali per volontà e quali per
la forza
del Comune,
datane sentenzia per lo cardinale
con buoni sodamenti e
mallevadori; delle quali
paci il detto legato ebbe grande onore, e quasi tutte
s'osservarono, e la
città di
Firenze ne dimorò buono
tempo in
pacifico e buono e tranquillo stato. E fece e
ordinò il detto legato
al governamento comune della
città
XIIII buoni uomini grandi e popolani, che gli
VIII erano Guelfi e
VI Ghibellini, e
durava il loro uficio
di
due in
due mesi con certo ordine di loro elezione;
e raunavansi in su la casa della
Badia di
Firenze
sopra la porta che va
a Santa Margherita, e tornavansi
a dormire e
a
desinare alle loro case. E ciò fatto,
il detto cardinale
Latino con grande onore si tornò
in
Romagna alla sua legazione. Lasceremo alquanto
de' fatti di
Firenze, e diremo d'altre
novità
ch'avennero in questi tempi, e spezialmente della
rubellazione
dell'isola di Cicilia
al re
Carlo, la quale fu
notabile e grande, onde poi
seguì molto male, e fu
quasi cosa maravigliosa e impossibile, e però la tratteremo
più distesamente.
L. 8, cap. 57 rubr.Come fu il trattato e tradimento che l'isola di Cicilia
fosse rubellata al re Carlo.
L. 8, cap. 57Ne' detti tempi, cioè negli
anni di Cristo
MCCLXXVIIII, lo re
Carlo re di Gerusalem e di Cicilia
era il più possente re e il più ridottato in
mare e in
terra, che nullo re de' Cristiani; e per lo suo grande
stato e signoria imprese (
a petizione dello imperadore
Baldovino suo genero, il quale era stato
scacciato
dello 'mperio di
Gostantinopoli per
Paglialoco imperadore
de' Greci) di fare uno grande passaggio e
maraviglioso
per prendere e conquistare il detto imperio,
con intendimento ch'avendo lo 'mperio di
Gostantinopoli
assai gli era appresso di
raquistare Gerusalem
e la Terrasanta; e
ordinò e mise in concio
d'armare più di
C galee sottili di corso, e
XX navi
grosse; e fece fare
CC uscieri da portare
cavagli, e più
altri legni
passaggeri grande numero. E
coll'aiuto e
moneta della Chiesa di
Roma, e col
tesoro, che ll'avea
grandissimo, e
coll'aiuto
del re di
Francia, invitò
alla detta impresa tutta la buona gente di
Francia e
d'Italia; e' Viniziani col loro isforzo vi
doveano venire;
e lo re col detto navilio, e con
XL conti, e con
X.m
cavalieri
dovea e s'apparecchiava di fare il detto passaggio
il seguente
anno avenire. E di certo gli
venia
fatto sanza riparo o contasto niuno, che 'l
Paglialoco
nonn avea podere, né in
mare né in terra, di
risistere
alla
potenzia e
apparecchiamento
del re
Carlo, e già
grande parte della
Grecia era sollevata
a
rubellazione.
Avenne, come piacque
a dDio, che fu
sturbata la
detta impresa per abattere la superbia de' Franceschi,
ch'era già tanto montata in Italia per le vittorie
del re
Carlo, che' Franceschi teneano i Ciciliani e'
Pugliesi per peggio che servi, isforzando e villaneggiando
le loro donne e
figlie; per la qual cosa molta
di buona gente
del Regno e di Cicilia s'erano partiti e
rubellati,
intra' quali fu per la
sudetta cagione di sua
mogliera e
figlia
a llui tolte, e morto il figliuolo che lle
difendea, uno savio e ingegnoso cavaliere e signore
stato dell'isola di
Procita, il qual si chiamava messer
Gianni di
Procita. Questi per suo senno e industria
si pensò di sturbare il detto passaggio, e di recare
la forza
del re
Carlo in basso stato, e in parte gli
venne fatto; ch'egli segretamente andò in
Gostantinopoli
al
Paglialoco imperadore per
due volte, e
mostrogli
il
pericolo che gli
venia adosso per la forza
del
re
Carlo e dello imperadore Baldovino
coll'aiuto della
Chiesa di
Roma, e s'egli volesse credere e dispendere
del suo avere e
tesoro, disturberebbe i detto
passaggio, faccendo rubellare l'isola di Cicilia
al re
Carlo
coll'aiuto de' rubelli di Cicilia, e cogli altri signori
dell'isola, i quali nonn amavano il re
Carlo
né lla signoria de' Franceschi, e
collo aiuto e forza
del re d'
Araona, mostrandogli ch'egli imprenderebbe
la bisogna per lo retaggio di sua
mogliera, figliuola
ch'era stata dello re Manfredi. Il
Paglialoco, tutto
che ciò gli paresse impossibile, conoscendo la
potenzia
del re
Carlo, e com'era ridottato più ch'altro signore,
quasi come disperato d'ogni salute e soccorso,
seguì il
consiglio
del detto messer
Gianni, e fecegli
lettere come gli
ordinò il detto messer
Gianni, e
mandò co· llui in ponente suoi ambasciadori con
molti ricchi gioelli, e di moneta gran
tesoro. E arrivando
messer
Gianni cogli ambasciadori
del
Paglialoco
sagretamente in Cicilia, e' scoperse il detto trattato
a messere
Alamo da Lentino, e
a messere Palmieri
Abate, e
a messer
Gualtieri di
Catalagirona, i
maggiori baroni dell'isola, gli quali non amavano lo
re
Carlo né sua signoria; e da' detti prese
lettere
a lo
re di Raona, raccomandandosi che per Dio gli traesse
di servaggio, e promettendo di
volerlo per loro signore.
E ciò fatto, il detto messer
Gianni venne in
corte di
Roma
sconosciuto
a guisa di frate minore, e
tanto adoperò, ch'egli parlò
a papa Niccola
III degli
Orsini
al segreto
a uno suo castello che si chiamava
Soriana, e
manifestogli il suo trattato; e da parte
del
Paglialoco, raccomandandolo alla sua signoria, e
presentò
a llui e
a messer
Orso
del suo
tesoro
riccamente,
secondo che per gli più si disse e si trovò la
verità,
commovendolo segretamente
colla detta moneta
contro
al re
Carlo. E con questo agiunse cagione,
perché lo re
Carlo non s'era voluto imparentare
co· llui, come adietro facemmo menzione; onde il
detto papa in segreto e palese sempre adoperò contro
al re
Carlo, mentre visse in sul
papato, e sturbò
quello
anno il detto passaggio di
Gostantinopoli,
non
ategnendo
al re
Carlo l'aiuto e promessa di moneta
e d'altro che gli avea fatta la Chiesa. E ciò fatto,
il detto messer
Gianni avute le
lettere
del detto papa
con segreto
suggello
al re di Raona,
promettendogli
la signoria di Cicilia,
vegnendola
a conquistare, si
partì messer
Gianni di
corte e
andonne in Catalogna
allo re di Raona; e ciò fu l'
anno
MCCLXXX. E giunto
messer
Gianni
al re Piero di Raona
colle
lettere
del
papa ove gli
promettea il suo aiuto, e le
lettere de'
baroni di Cicilia ove prometteano di rubellare l'isola,
e le promesse di
Paglialoco, sì accettò sagretamente
di fare la 'mpresa; e rimandò adietro messer
Gianni
e gli altri ambasciadori, che sollecitassono di dare ordine
alle cose, e di fare venire la moneta per fornire
sua armata. Ma in questo mezzo
isturbò molto l'opera
la
morte di papa Niccola, che morì l'
agosto vegnente,
come apresso faremo menzione.
L. 8, cap. 58 rubr.Come morì papa Niccola degli Orsini, e fu fatto papa
Martino dal Torso di Francia.
L. 8, cap. 58Nell'
anno
MCCLXXXI,
del mese d'
agosto, papa Niccola
III degli
Orsini passò di questa vita nella
città di
Viterbo, onde lo re
Carlo fu molto allegro, non perch'
egli sapesse né avesse iscoperto il
tradimento che
messer
Gianni di
Procita avea
menato col
Paglialoco
e col detto papa, ma sapea e
avedeasi bene ch'egli in
tutte cose gli era contrario, e grande sturbo avea messo
nella sua impresa e passaggio di
Gostantinopoli.
Per la qual cosa trovandosi in
Toscana quando morì
il detto papa, incontanente fu
a Viterbo per procacciare
d'avere papa che fosse suo amico, e trovò il
collegio
de' cardinali in grande
disensione e partiti; che
l'una parte erano i cardinali
Orsini e loro seguaci, e
voleano papa
a lloro volontà, e tutti gli altri cardinali
erano col re
Carlo contrarii; e
durò la tira e
vacazione
più di
V mesi. Essendo i cardinali
rinchiusi e
distretti
per gli Viterbesi, alla fine nonn avendo concordia,
i Viterbesi,
a petizione si disse
del re
Carlo,
trassono tra 'l
collegio de' cardinali messere
Matteo
Rosso e messere Giordano cardinali degli
Orsini, i
quali erano capo della loro
setta, e villanamente furono
messi in pregione; per la quale cosa gli altri cardinali
s'accordarono d'
eleggere e
elessono papa messer
Simone dal Torso di
Francia cardinale, e fu chiamato
papa Martino quarto; il quale fu di vile nazione,
ma molto fu magnanimo e di grande cuore ne'
fatti della Chiesa, ma per sé propio e per suoi
parenti
nulla
cuvidigia ebbe; e quando il fratello il venne
a
vedere papa, incontanente il rimandò in
Francia con
piccoli
doni e
colle spese, dicendo che' beni erano
della Chiesa e non suoi. Questi fu molto amico
del re
Carlo, e sedette papa tre
anni, e uno mese, e
XXVII
dì. Questi come fu fatto papa, fece
conte di
Romagna
messer
Gianni di
Epa di
Francia per
trarne il
conte
Bertoldo degli
Orsini, e scomunicò
Paglialoco
imperadore di
Gostantinopoli e tutti i Greci, perché
non
ubbidieno la Chiesa di
Roma. Questo papa fece
fare la rocca e' grandi
palagi di
Montefiascone, e là
fece molto sua stanzia mentre fu papa; e più altre cose
furono
al suo tempo, come innanzi faremo menzione.
Per la sopradetta
presura e villania che' Viterbesi
feciono
a' cardinali degli
Orsini, mai la casa degli
Orsini furono loro amici, ma corporali nimici; e
vennonvi poi
ad oste gli
Orsini alle loro spese, ove
consumarono molto
del
tesoro male aquistato per loro
al tempo di papa Niccola terzo; sì che ogni diritto
alla fine Iddio rende per diversi modi. Lasceremo
de' fatti della
corte di
Roma, e torneremo
a nostra
materia sopra il trattato di Cicilia.
L. 8, cap. 59 rubr.Come il re Piero d'Aragona giurò e promise al Paglialoco
e a' Ciciliani di venire in Cicilia e prendere la
signoria.
L. 8, cap. 59Nel detto
anno
MCCLXXXI il sopradetto messer
Gianni di
Procita cogli ambasciadori di
Paglialoco
arrivati in Catalogna la seconda volta, sì richiesono il
re Piero d'
Araona, ch'egli s'
allegasse col
Paglialoco, e
prendesse la signoria dell'isola di Cicilia, e cominciasse
la
guerra contra lo re
Carlo, recandogli grande
quantità di moneta perché cominciasse l'armata e
impresa promessa di fare; e
apresentategli
nuove
lettere
del
Paglialoco e quelle de' baroni di Cicilia, i
quali aveano
promesso, come ordinato era, di rubellare
l'isola, e di
dargli la signoria; della qual cosa il
detto re Piero stette assai, innanzi che ssi volesse diliberare
di seguire e fare la 'mpresa promessa che prima
avea fatta,
dubitando e temendo della
potenza
del re
Carlo e della Chiesa di
Roma, e
maggiormente
per la
morte di papa Niccola degli
Orsini,
del quale
vivendo si
rendea molto
sicuro, sappiendo ch'egli
nonn era amico
del re
Carlo, e quasi per la detta cagione
era tutto ismosso di fare la 'mpresa la quale
avea
promessa. Alla fine per le savie parole e indottive
di messer
Gianni, e
rimproverandogli come quegli
della casa di
Francia aveano morto il suo avolo, e lo
re
Carlo il suo suocero re Manfredi, e
Curradino nipote
del detto Manfredi, e come di ragione di retaggio
gli succedea il reame di Cicilia per la reina
Gostanza
sua moglie, e
reda e figliuola
del detto re
Manfredi, e mostrandogli ancora come i Ciciliani il
disideravano
a signore, e prometteano di rubellare
l'isola
al re
Carlo, e veggendo la molta moneta che
gli mandava
Paglialoco, il detto re Piero
covidoso
d'aquistare signoria e terra, come ardito e franco signore,
giurò da capo, e
promise di seguire la detta
impresa segretamente nelle
mani degli ambasciadori
del
Paglialoco e di messere
Gianni di
Procita, comandando
la
credenza, e che tornassono in Cicilia
a
dare ordine alla
rubellazione, quando fosse tempo e
luogo, e egli avesse in
mare la sua armata; e così fu
fatto.
L. 8, cap. 60 rubr.
Come il detto re d'Araona s'apparecchiò di fare sua
armata, e come il papa gliele mandò difendendo.
L. 8, cap. 60Lo re Piero di Raona com'ebbe fatto il saramento
della sopradetta impresa, e ricevuta la moneta, la
quale fu
XXX.m once d'oro, sanza maggiore quantità
che gli
promise il
Paglialoco, venuto lui in Cicilia, fece
di presente apparecchiare
galee e navilio, e
dando
soldo
a' cavalieri e marinari largamente; e diede
boce
e levò stendale d'andare sopra i Saracini. Divolgata
la
boce e la
fama di suo
apparecchiamento, il re
Filippo
di
Francia, il quale avea avuto per moglie la
serocchia
del detto re d'
Araona, mandò
a llui suoi ambasciadori
per sapere in che paese e sopra quali Saracini
andasse,
promettendoli aiuto di gente e di moneta;
il quale re Piero non gli volle manifestare sua
impresa, ma ch'egli di certo andava sopra i Saracini,
il luogo e dove non volea manifestare, ma tosto si saprebbe
per tutto il
mondo; ma
domandogli aiuto di
libbre
XL.m di buoni tornesi, e lo re di
Francia gliele
mandò incontanente. E conoscendo il re di
Francia
che il re Piero d'
Araona era ardito e di gran cuore,
ma, come Catalano, di natura fellone, e per la coperta
risposta, mandò
a ddire incontanente, e per suoi
ambasciadori il fece assapere
al suo
zio lo re
Carlo in
Puglia, ch'egli si prendesse guardia di sue terre. Lo
re
Carlo incontanente venne
a
corte
a papa Martino,
e fecegli assapere della 'mpresa
del re d'
Araona, e
quello che il re
Filippo di
Francia gli aveva mandato
a ddire; per la qual cosa il papa incontanente mandò
al re d'
Araona suo ambasciadore uno savio uomo,
frate Jacopo de' predicatori, per volere sapere in
qual parte sopra i Saracini andasse, che volea pur sapere,
però che lla Chiesa gli volea dare aiuto e favore,
e era impresa che molto toccava alla Chiesa; e oltre
a cciò mandandogli comandando che non andasse
sopra niuno fedele Cristiano. Il quale ambasciadore
giunto in Catalogna, e
disposta sua ambasciata, lo
re ringraziò molto il papa della larga proferta, raccomandandosi
a llui; ma di sapere in qual parte andasse,
al presente in nulla guisa il potea sapere; e sopra
ciò disse uno
motto molto sospetto, che se
ll'una delle
sue
mani il
manifestasse all'altra, ch'egli la
taglierebbe.
Non potendo l'ambasciadore
del papa avere
altra
risposta, si tornò in
corte, e
dispuose
al papa e
al re
Carlo la
risposta
del re di Raona, la quale
ispiacque assai
a papa Martino. Lo re
Carlo, ch'era
di sì grande cuore e teneasi sì possente, poco o niente
ne curò, ma per
dispetto disse
a papa Martino:
«Non vi diss'io che Piero d'
Araona era uno fellone
briccone?». Ma non si ricordò lo re
Carlo
del proverbio
del comune popolo che
dice: «Se t'è detto
"Tu hai meno il naso",
ponviti la mano»; anzi si diede
a non calere, e non si mise
a sentire i trattati e tradimenti
che si faceano in Cicilia per messer
Gianni
di
Procita, e per gli altri baroni ciciliani; ma cui Idio
vuole giudicare, è apparecchiato chi fa tosto l'
esecuzione.
L. 8, cap. 61 rubr.
Come e per che modo si rubellò l'isola di Cicilia al
re Carlo.
L. 8, cap. 61Negli
anni di Cristo
MCCLXXXII, i· llunedì di
Pasqua
di
Risoresso, che fu
a dì
XXX di marzo, sì come
per messer
Gianni di
Procita era ordinato, tutti i baroni
e' caporali che teneano mano
al
tradimento furono
nella
città di
Palermo
a
pasquare. E andandosi
per gli Palermitani, uomini e femmine, per comune
a
cavallo e
a piè alla festa di Monreale fuori della
città
per tre miglia (e come v'andavano quelli di
Palermo,
così v'andavano i Franceschi, e il capitano
del re
Carlo
a diletto), avenne, come s'adoperò per lo nimico
di Dio, ch'uno Francesco per suo orgoglio prese
una donna di
Palermo per farle villania: ella cominciando
a gridare, e la gente era tenera, e già tutto il
popolo commosso contra i Franceschi, per famigliari
de' baroni dell'isola si cominciò
a difendere la donna,
onde nacque grande battaglia tra' Franceschi e'
Ciciliani, e furonne morti e fediti assai d'una parte e
d'altra; ma il peggiore n'ebbono quegli di
Palermo.
Incontanente tutta la gente si ritrassono fuggendo alla
città, e gli uomini
ad armarsi, gridando: «
Muoiano
i Franceschi!». Si raunavano in su la piazza, com'
era ordinato per gli caporali
del
tradimento, e
combattendo
al castello il giustiziere che v'era per lo
re, e lui preso e ucciso, e quanti Franceschi furono
trovati nella
città furono morti per le case e nelle
chiese, sanza misericordia niuna. E ciò fatto, i detti
baroni si partirono di
Palermo, e
ciascuno in sua terra
e contrada feciono il somigliante, d'uccidere tutti i
Franceschi ch'erano nell'isola, salvo che in Messina
s'
indugiarono alquanti dì
a ribellarsi; ma per mandato
di quegli di
Palermo,
contando le loro miserie per
una
bella
pistola, e ch'egli
doveano amare libertà e
franchigia e fraternità co· lloro, sì ssi mossono i
Missinesi
a
ribellazione, e poi feciono quello e peggio che'
Palermitani
contra' Franceschi. E trovarsene morti
in Cicilia più di
IIII.m, e nullo non potea nullo scampare,
tanto gli fosse amico, come amasse di perdere
sua vita; e se l'avesse
nascoso,
convenia che 'l rassegnasse
o uccidesse. Questa
pestilenzia andò per tutta
l'isola, onde lo re
Carlo e sua gente ricevettono grande
dammaggio di persone e d'avere. Queste contrarie
e ree
novelle l'arcivescovo di Monreale incontanente
le fece assapere
al papa e
al re
Carlo per suoi
messi.
L. 8, cap. 62 rubr.Come lo re Carlo si compianse alla Chiesa e al re di
Francia e a tutti suoi amici e l'aiuto ch'ebbe da lloro.
L. 8, cap. 62Nel detto tempo lo re
Carlo era in
corte col papa:
com'ebbe la
dolorosa
novella della
rubellazione di
Cicilia,
cruccioso molto nell'animo e ne' sembianti,
e' disse: «Sire Iddio,
dapoi t'è piaciuto di farmi
aversa la mia fortuna,
piacciati che 'l mio calare sia
a
petitti passi». E incontanente fu
a papa Martino e
a'
suoi cardinali, domandando loro aiuto e
consiglio, i
quali si
dolfono assai co· llui insieme, e
confortarono
lo re che sanza indugio intendesse
a
raquisto, prima
per via di pace, se potesse, e se non, per
via di
guerra,
promettendogli ogni aiuto che lla Chiesa potesse
fare, spirituale e temporale, sì come
a figliuolo e
campione di santa Chiesa. E fece il papa legato per
andare in Cicilia
a trattare l'accordo, e con molte
lettere
e processi, messer
Gherardo da Parma cardinale,
uomo di gran senno e bontà, il quale si partì di
corte col re
Carlo insieme, e
andarne in Puglia. Per
simile modo si pianse lo re
Carlo per
lettere e ambasciadori
al re di
Francia suo nipote, e mandò
a
Carlo
suo figliuolo
prenze di Salerno, ch'era in
Proenza,
che 'ncontanente
dovesse andare in
Francia
al re, e
al
conte d'Artese, e
agli altri baroni
a
pregargli che 'l
dovessono aiutare. Il quale
prenze dal re di
Francia
fu ricevuto graziosamente,
dogliendosi lo re co· llui
della
perdita
del re
Carlo, dicendo: «Io
temo forte
che questa
ribellazione di Cicilia non sia fatta
a sommossa
del re d'
Araona, però che quand'egli facea sua
armata, e ch'io gli prestai libbre
XL.m di tornesi, e
mandalo pregando mi facesse assapere ove e in che
parte
dovesse andare,
nol mi volle manifestare; ma
non port'io mai corona, s'egli avrà fatta questa tradigione
alla casa di
Francia, s'io non ne fo alta vendetta».
E ciò attenne bene, ch'assai ne fece innanzi, sì
ch'egli ne morì con molta di sua baronia, come innanzi
a lluogo e
a tempo ne faremo menzione. E di
presente disse lo re
al
prenze, che ne tornasse in Puglia,
e appresso di lui mandò il
conte di
Lanzone della
casa di
Francia con più altri
conti e baroni e grande
cavalleria alle spese
del re di
Francia per aiuto
del
re
Carlo.
L. 8, cap. 63 rubr.Come quegli di Palermo e gli altri Ciciliani mandarono
a papa Martino loro ambasciadori.
L. 8, cap. 63In questo tempo, parendo a quegli di Palermo e
agli altri Ciciliani avere mal fatto, e sentendo l'apparecchiamento
che il re Carlo facea per venire sopra
loro, sì mandarono loro ambasciadori frati e religiosi
a papa Martino, dimandandogli misericordia, proponendo
in loro ambasciata solamente: «Agnus Dei
qui tollis peccata mundi, miserere nobis; Agnus Dei
qui tollis peccata mundi, miserere nobis; Agnus Dei
qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem». E il
papa in pieno concestoro fece loro questa risposta,
sanza altre parole, che questo è scritto nel Passio Domini:
«Ave rex Iudeorum, et dabant ei alapam. Ave
rex Iudearum, et dabant ei alapam. Ave rex Iudeorum,
et dabant ei alapam». Onde si partirono molto
sconsolati.
L. 8, cap. 64 rubr.
Dell'aiuto che 'l Comune di Firenze mandò al re
Carlo.
L. 8, cap. 64Il Comune di Firenze mandò in aiuto del re Carlo
cinquanta cavalieri di corredo, e cinquanta donzelli
gentili uomini di tutte le case di Firenze per farli cavalieri,
e con loro compagnia furono V.c bene a cavallo
e in arme, e loro capitano fu per lo Comune il
conte Guido da Battifolle della casa de' conti Guidi,
e giunsono a la Catona in Calavra, quando lo re v'era
con sua oste e stuolo per valicare a Messina, onde lo
re si tenne dal Comune di Firenze riccamente servito,
e ricevette la detta cavalleria graziosamente; e
molti di loro fece cavalieri, e servirlo mentre dimorò
a Messina alle spese del detto Comune. E portovvi il
detto conte e capitano il padiglione grande del Comune
di Firenze, il quale rimase alla partita da Messina,
e' Missinesi il misono per ricordanza nella loro
grande chiesa. E per simile modo molte città di Toscana
e di Lombardia mandarono aiuto di genti a lo
re, ciascuno secondo suo podere.
L. 8, cap. 65 rubr.Come lo re Carlo si puose a oste a Messina per mare
e per terra.
L. 8, cap. 65Lo re
Carlo ordinata sua oste
a Napoli per andare
in Cicilia, tutta sua cavalleria e gente
a piè mandò
per terra in Calavra alla
Catona incontra
a Messina,
il
Faro in mezzo, e lo re n'andò
a Brandizio, ov'era in
concio il suo navilio, il quale avea apparecchiato più
tempo dinanzi per passare in
Gostantinopoli, e furono
CXXX tra
galee, e
uscieri, e legni grossi, sanza gli
altri legni di
servigio, che furono in grande quantità;
e di Brandizio sì partirono col detto navilio, e giunse
incontra Messina
a dì
VI di luglio, gli
anni di Cristo
MCCLXXXII, e puosesi
a campo da la parte di
Tavermena
a Santa Maria di Rocca Maiore; e poi ne venne
a le
Paliare, assai presso alla
città di Messina, e il navilio
nel Fare incontro
al porto. E fu lo re con più di
V.m uomini
a cavallo tra Franceschi, e Provenzali, e
Italiani, e popolo sanza numero. E ciò veggendo i
Missinesi impaurirono forte, veggendosi abandonati
d'ogni salute, e la speranza
del soccorso
del re d'
Araona
pareva loro lunga e vana, sì mandarono incontanente
loro ambasciadori nel campo
al re
Carlo e
al
legato,
pregandogli per Dio che perdonasse il loro
misfatto, e avesse di loro misericordia, e mandasse
per la terra. Lo re insuperbito no· lli volle torre
a misericordia,
che di certo
a
queto avea la terra e poi
tutta l'isola, però ch'erano i
Missinesi e Ciciliani
isproveduti, e non ordinati
a difensione, né con nullo
capitano; ma
fellonescamente gli
disfidò lo re
a
morte
loro e' loro figliuoli, siccome traditori della Chiesa
di
Roma e della corona, ch'elli si difendessono, s'avessono
podere, e mai con
patti gli venissono innanzi;
onde lo re
fallò troppo apo Idio, e in suo
danno;
ma
a cui Iddio vuole male gli toglie il senno. I
Missinesi
udendo la crudele
risposta
del re, non sapeano
che ssi fare, e per
IIII dì istettono in
contesa tra lloro
d'
arrendersi o di difendersi con grande paura.
L. 8, cap. 66 rubr.Come la gente del re ebbono Melazzo, e come i
Missinesi mandarono per lo legato per trattare accordo
col re Carlo.
L. 8, cap. 66Avenne in questa stanzia che lo re fece passare co'
suo'
uscieri per lo Fare dinanzi
a Messina il
conte di
Brenna e quello di
Monforte con
VIII.c cavalieri e più
pedoni, dall'altra parte di Messina verso
Melazzo,
guastando il paese d'intorno. Per la qual cosa certi di
quegli di Messina venendo
al soccorso di
Melazzo, e
per non lasciargli prendere terra, con que' di
Melazzo
insieme furono sconfitti dalla gente
del re
Carlo, e
furonne morti presso di mille, tra di Messina e di
Melazzo, chi alla battaglia, e molti
traffelando, fuggendo
verso Messina; e fu presa la terra e castello di
Melazzo per la gente
del re. E come i
Missinesi ebbono
la detta
novella, incontanente mandarono nel
campo
al legato cardinale, che per Dio venisse in
Messina per acconciargli col re
Carlo. Il legato venuto,
v'
entrò incontanente con grande buono volere
per accordargli, e appresentò le
lettere
del papa
al
Comune di Messina, per le quali gli mandava molto
riprendendo della follia fatta per loro contro allo re
Carlo e sua gente; e questa fu la forma: «
A'
perfidi e
crudeli dell'isola di Cicilia, Martino papa terzo quelle
salute che voi
sete degni, siccome corrompitori di
pace, e de' Cristiani
ucciditori, e spargitori
del sangue
de' nostri fratelli.
A voi comandiamo che vedute
le nostre
lettere,
dobbiate rendere la terra
al nostro
figliuolo e campione
Carlo re di Gerusalem e Cicilia
per autorità di santa Chiesa, e che
dobbiate lui e noi
ubbidire, siccome vostro
legittimo signore; e se ciò
non faceste, mettiamo voi scomunicati e interdetti
secondo la divina ragione,
anunziandovi giustizia
spirituale». E lette le dette
lettere per lo legato cardinale,
sì comandò che sotto pena di scomunicazione,
e d'esser privati d'ogni benificio di santa Chiesa,
si
dovessono accordare col re, e rendergli la terra, e
ubbidirlo come loro signore e campione di santa
Chiesa; e 'l detto legato con savie parole
amonendogli
e
consigliandogli che ciò
dovessono fare per lo loro
migliore; per la qual cosa i
Missinesi
elessono
XXX
buoni uomini della
città
a trattare l'accordo col legato,
e vennero
a volere questi
patti, cioè: «Che llo re
ci perdoni ogni misfatto, e noi gli renderemo la terra
dandogli per
anno quello che' nostri antichi
davano
al re
Guiglielmo; e volemo signoria
latina, e non
Franceschi né Provenzali, e
sarello obbedienti e buoni
fedeli». I quali
patti il legato mandò dicendo
al re
per lo suo camerlingo,
pregandolo per Dio
dovesse
loro perdonare e prendere i detti
patti, però che da
poi saranno indurati e messisi alla difensione, ogni dì
peggiorrebbe
patti; ma avendo egli la terra con volontà
de' cittadini medesimi, ogni dì gli potrebbe allargare:
ed era sano e buono
consiglio. Come lo re
ebbe la detta
risposta s'adirò forte, e disse
fellonosamente:
«I nostri
suditi che contro
a noi hanno servita
morte
domandano
patti, e
voglionne torre la signoria,
e
vogliommi rendere censo all'uso
del re
Guiglielmo,
che quasi nonn avea niente; non ne farei
nulla; ma
dapoi che
al legato piacce, io perdonerò
loro in questo modo, ch'io voglio di loro
VIII.c stadichi
quali io vorrà, e farne mia volontà, e tenendo da
me quella signoria che
a mme piacerà, sì come loro
signore, pagando quelle colte e
dogane che sono usati;
e se questo vogliono fare, sì 'l prendano, e se non,
sì ssi difendano». La qual
risposta fu molto biasimata
da' savi; che se llo re non gli avea voluti prendere
a' primi
patti, quando si puose all'asedio, ch'erano
per lui più larghi e onorevoli,
a' secondi fece fallo
del
doppio, e non considerò gli avenimenti e casi
fortunosi ch'
agli assedi delle terre possono avenire,
e che avennero
a llui, come innanzi faremo menzione:
onde fu esemplo, e sarà sempre
a quegli che saranno,
di prendere i
patti che ssi possono avere da' nemici,
potendo avere la terra assediata. Ma cui vince il peccato
universale della superbia e dell'
ira in nullo caso
può prendere buono
consiglio.
L. 8, cap. 67 rubr.Come si ruppe il trattato dell'acordo ch'avea menato
il legato dal re Carlo a' Messinesi.
L. 8, cap. 67Come i
lettori di Messina ebbono l'acerba
risposta
dal legato, che lo re avea fatta
al suo camerlingo, i
detti
XXX buoni uomini raunarono il popolo, e feciolla
loro manifesta, onde tutti come disperati gridando:
«In prima mangiamo i nostri figliuoli, che
a
questi
patti ci
arendiamo; che
ciascuno di noi sarebbe
di quegli
VIII.c ch'egli
domanda: innanzi volemo
tutti morire dentro alla
città nostra,
colle
mogli nostre
e co' figliuoli, ch'andare morendo per
tormenti e
pregioni in
istrani paesi». Come il legato vide i
Missinesi
così male
disposti
a rendersi
a lo re
Carlo, fu
molto
cruccioso, e innanzi si partisse gli pronunziò
scomunicati e interdetti, e comandò
a tutti i
cherici
che infra 'l terzo dì si
dovessono partire della terra, e
protestò
al Comune che infra i
XL dì
dovessono mandare
per sofficiente sindaco
a comparire dinanzi
al
papa, e ubbidire e udire sentenzia, e partissi della
terra molto turbato.
L. 8, cap. 68 rubr.Come Messina fu combattuta dalla gente del re Carlo,
e come si difesono.
L. 8, cap. 68Come il cardinale fu tornato nell'oste, i più de'
maggiori dell'oste ne furono molto
crucciosi, perché
parea loro il migliore e il più senno
ad avere presa la
terra
ad ogni
patto; ma lo re
Carlo era sì temuto, che
nullo gli ardiva
a dire nulla più ch'
a llui piacesse. Ma
tegnendo lo re
consiglio di quello ch'avesse
a ffare, i
più de'
conti e baroni consigliaro che
dapoi ch'egli
nonn avea voluta la terra
a
patti, ch'ella si combattesse
aspramente da più parti, e spezialmente dall'una
parte che lla terra nonn avea
muro, ma eravi
barrata
di
botti e altro legname; e assai era possibile di
poterla vincere per battaglia, che
cominciandovisi
uno badalucco, i nostri Fiorentini aveano già vinte le
sbarre e
entrati dentro alquanti; e se que' dell'oste
avessono seguito, s'avea la terra per forza. Ma sappiendolo
il re
Carlo, fece suonare le trombe alla ritratta,
e disse che non volea guastare sua villa, onde
avea grande
rendita, né uccidere i
fantini, ch'erano
innocenti, ma che la voleva per affanno d'
edificii, e
per assedio
aseccargli di
vivanda, vincere. Ma non
fece ragione di quello che potea avenire nel lungo assedio,
e bene gli avenne. Ma
al fallo della
guerra incontanente
v'è la disciplina e penitenzia apparecchiata.
Per lo detto modo stette lo re con sua oste intorno
a
Messina da
due mesi, e
dando la sua gente
alcuna battaglia dalla parte ove nonn era murata, i
Missinesi
colle loro donne, le migliori e maggiori
della terra, e con loro figliuoli piccioli e grandi, subitamente
in tre dì feciono il detto
muro, e ripararono
francamente
agli asalti de' Franceschi. E allora si fece
una canzonetta che disse:
Deh, com'egli è gran pietade
Delle donne di Messina,
Veggendole scapigliate
Portando pietre e calcina.
Iddio gli dea briga e travaglia,
A chi Messina vuole guastare etc.
Lasceremo alquanto dell'asedio di Messina, e diremo
quello che fece Piero d'
Araona con sua armata.
L. 8, cap. 69 rubr.
Come lo re Piero d'Araona si partì di Catalogna e
venne in Cicilia, e come fu fatto e coronato re da' Ciciliani.
L. 8, cap. 69Nel detto
anno
MCCLXXXII,
del mese di luglio, lo
re Piero d'
Araona
colla sua armata si partì di Catalogna,
e furono
L galee e con
VIII.c cavalieri e altri legni
di carico assai, della quale armata fece suo amiraglio
uno valente cavaliere di Calavra, ribello
del re
Carlo,
il quale avea nome messer Ruggieri di
Loria, e arrivò
in Barberia nel reame di
Tunisi, e
a la infinta si puose
ad assedio
ad una terra che ssi chiamava
Ancalle
per attendere
novelle di Cicilia, e
a quella diede alcuna
battaglia, e stettonvi
XV giorni. E in quella stanza,
sì come era ordinato, vennero
a llui con messer
Gianni di
Procita ambasciadori di Messina e sindachi
con pieno mandato di tutte le terre di Cicilia,
a
pregarlo ch'egli prendesse la signoria, e s'avacciasse
di venire nell'isola per soccorrere la
città di Messina,
la quale dal re
Carlo e da sua oste era molto
stretta.
Lo re Piero udendo la gente e la
potenza
del re
Carlo,
e che la sua
a comparazione era niente, alquanto
temette; ma per lo
conforto e
consiglio di messer
Gianni, e veggendo che tutta l'isola era per fare le
sue comandamenta, e aveano tanto misfatto
al re
Carlo, che di loro si potea bene sicurare, sì rispuose
ch'egli era apparecchiato
del venire e
del soccorrere
Messina. E incontanente si levò da oste da
Ancolle, e
ricolsesi
a
galee, e
misesi in
mare, e arrivò alla
città
di
Trapali all'
entrante d'
agosto. E come giunse
a
Trapali,
per messere
Gianni di
Procita e per gli altri baroni
di Cicilia fu consigliato che sanza
soggiorno cavalcasse
a
Palermo, e 'l navilio mandasse per
mare; e
a
Palermo saputo
novelle dell'oste
del re
Carlo e dello
stato di Messina, prenderebbono
consiglio. E così
fu fatto, che
a dì
X d'
agosto lo re Piero giunse nella
città di
Palermo, e da' Palermitani fu ricevuto
a
grande onore e processione sì come loro signore, e
credendo scampare da
morte per lo suo aiuto; e
a
grido di popolo il feciono loro re, salvo che non fu
coronato per l'arcivescovo di Monreale, come si
costumava
per gli altri re, però che s'era partito e
itosene
al papa; ma coronollo il vescovo di
Cefalù d'una
picciola terra di Cicilia, ch'era rubello
del re
Carlo.
L. 8, cap. 70 rubr.Del parlamento che 'l re d'Araona tenne in Palermo
per soccorrere la città di Messina.
L. 8, cap. 70Quando il re Piero fu
coronato in
Palermo, fece
grande
parlamento sopra ciò ch'avesse
a ffare, ove
furono tutti i baroni dell'isola. I baroni veggendo il
picciolo podere
del re d'
Araona apo la grande
potenzia
del re
Carlo, sì furono molto isbigottiti, e feciono
di loro parlatore messer Palmieri Abati, il quale
ringraziò molto lo re di sua venuta, e che lla sua
promessa era venuta bene fornita, se fosse venuto
con più gente d'arme, però che llo re
Carlo avea più
di
V.m cavalieri e popolo infinito, e temiamo che Messina
non sia già renduta, sì era
stretta di
vivanda; e
consigliava che ssi raunasse gente, e si richiedessono
gli amici di tutte parti, sicché l'altre
città e terre dell'
isola si potessono difendere. Come il re Piero intese
il
consiglio de' baroni di Cicilia, ebbe grande
dottanza,
e parvegli esser in mal luogo, e pensò di partirsi
dell'isola, se il re
Carlo o sua gente venisse verso
Palermo.
Avenne che stando quello
parlamento,
al re
d'
Araona venne da Messina una saettia armata con
lettere, nelle quali si contenea che Messina era sì
stretta di
vivanda, che non si potea tenere più di
VIII
giorni, e che gli piacesse di soccorrergli; se non, sì lli
convenia di necessità
arendere
al re
Carlo. Come lo
re Piero ebbe le dette
novelle, le mostrò
a' baroni, e
domandò
consiglio. Levossi messer
Gualtieri di
Catalagirona,
e disse che per Dio si soccorresse Messina,
che s'ella si perdesse, tutta l'isola e eglino tutti
erano in grande
pericolo e aventura; e pareali che 'l
re Piero con tutta sua gente cavalcasse verso Messina
pressovi
a
L miglia, per avventura lo re
Carlo si leverà
da oste. Messer
Gianni di
Procita si levò, e poi
disse che llo re
Carlo nonn era garzone che ssi movesse
per lieva lieva, «ma
colla buona e grande cavalleria
ch'ha seco ci verrebbe incontro per la battaglia;
ma parmi che il nostro re gli mandi suoi messaggi
a dirgli ch'egli si parta di sua terra, la quale gli
scade per retaggio di sua
mogliera, e fugli
confermata
per la Chiesa di
Roma per papa Niccola terzo degli
Orsini; e se ciò non vuole fare, il
disfidi. Ciò fatto,
incontanente si mettessono in concio tutte le
galee
sottili, e che l'amiraglio andasse su per lo Fare,
prendendo
trite e ogni legno di carico ch'
a l'oste
portasse vittuaglia, e per questo modo con poco rischio
e fatica
asseccheremo il re
Carlo, e sua oste
converrà si parta dall'asedio; e se rimane in terra,
egli e sua gente morranno di
fame». Incontanente
per lo re e per tutti i baroni fu preso il
consiglio di
messere
Gianni, e furono mandati
due cavalieri catalani
con
lettere e
coll'ambasciata assai
oltraggiosa e
villana, e questa fu la forma della
lettera.
L. 8, cap. 71 rubr.La lettera che 'l re d'Araona mandò al re Carlo.
L. 8, cap. 71«Piero d'Araona e di Cicilia re, a te Carlo re di
Gerusalem e di Proenza conte.
Significhiamo a te il nostro avenimento nell'isola
di Cicilia, siccome nostro giudicato reame per l'autorità
di santa Chiesa, e di messer lo papa, e de' venerabili
cardinali, e però comandiamo a te che, veduta
questa lettera, ti debbi levare dell'isola di Cicilia con
tutto tuo podere e gente, sappiendo che se nol facessi,
i nostri cavalieri e fedeli vedresti di presente in
vostro dammaggio, offendendo voi e vostra gente».
L. 8, cap. 72 rubr.Come lo re Carlo tenne suo consiglio, e rispuose al
re d'Araona per sua lettera.
L. 8, cap. 72Come i detti ambasciadori furono nel campo e
oste
del re
Carlo, e date loro
lettere, e
sposta l'ambasciata
al re
Carlo e
a tutti suoi baroni, tennero sopra
ciò
consiglio, e parve uno grande orgoglio e
dispetto
quello che 'l re d'
Aragona avea mandato
a dire
al
maggiore o de' maggiori re de' Cristiani, e egli era di
sì piccolo affare; e queste parole furono
del
conte di
Monforte, dicendo che contro
a llui si volea fare
gran vendetta. Il
conte di Brettagna consigliò che il
re
Carlo gli rispondesse per sua
lettera, comandandogli
che sgombrasse l'isola, appellandolo come traditore,
e
disfidandolo; e così fu preso di fare. E la
somma della
lettera la quale mandò il re
Carlo fu in
questa forma.
L. 8, cap. 73 rubr.Come lo re Carlo rispuose per sua lettera al re d'Araona.
L. 8, cap. 73«Carlo per la Dio grazia di Gerusalem e di Cicilia
re, prenze di Capova, d'Angiò e di Folcalchieri e di
Proenza conte, a te Piero d'Aragona re, e di Valenza
conte.
Maravigliamo molto come fosti ardito di venire in
su il reame di Cicilia, giudicato nostro per l'autorità
di santa Chiesa di Roma; e però ti comandiamo che,
veduta questa lettera, ti debbi partire del reame nostro
di Cicilia, sì come malvagio traditore d'Iddio e
di santa Chiesa; e se ciò non facessi, disfidianti siccome
nostro nemico e traditore, e di presente ci vedrete
venire in vostro dammaggio, però che disideriamo
di vedere voi e vostra gente colle nostre forze».
L. 8, cap. 74 rubr.
Come il re d'Araona mandò il suo amiraglio per
prendere il navilio del re Carlo.
L. 8, cap. 74Come
al re d'
Aragona furono per gli suoi ambasciadori
apresentate le dette
lettere, e
disposta l'ambasciata
e
risposta
del re
Carlo, incontanente fu
a
consiglio per prendere partito di quello ch'avesse
a ffare.
Allora si levò messer
Gianni di
Procita, e disse:
«Signore nostro, com'io t'ho detto altra volta, per
Dio, manda l'amiraglio tosto
colle tue
galee
a la bocca
del Fare, e fa' prendere il navilio che porta la
vivanda
all'oste, e avrai vinta la
guerra; e se il re
Carlo
si mette
a stare, rimarrà preso e morto con tutta sua
gente». Il
consiglio di messer
Gianni fu preso, e
messer Ruggieri di
Loria amiraglio, uomo di grande
ardire e
valore, e il più bene
aventuroso in battaglie
in terra e in
mare che fosse mai di suo essere, come
innanzi faremo menzione in più parti, s'apparecchiò
con
LX galee sottili armate di Catalani e Ciciliani.
Queste cose sentì una
spia di messer
Aringhino da
Mare di
Genova amiraglio
del re
Carlo, e incontanente
con una saettia armata venne
a Messina, e
anunziò
al detto amiraglio la venuta dell'armata
del
re d'
Araona. Incontanente messer
Aringhino fu
al re
Carlo e
al suo
consiglio, e disse: «Per Dio, sanza indugio
pensiamo di passare
colla nostra gente in Calavra,
ch'i' ho
novelle
vere come l'amiraglio
del re d'
Araona
viene qua di presente con sue
galee armate; e
io nonn ho
galee armate da battaglia, ma legni di
mestieri, e disarmati; se non ci partiano, egli prenderà
e arderà tutto nostro navilio sanza nullo riparo, e
tu re con tutta tua gente perirai per difalta di vittuaglia;
e ciò fia intra tre giorni, secondo m'aporta la
mia vera
spia: e però non si vuole punto di dimoro,
però che ancora ci viene adosso il verno, e in Calavra
nonn ha porti vernerecci, tutti i legni con tua gente
potrebbono perire
a le piagge, s'avessono uno tempo
contrario».
L. 8, cap. 75 rubr.Come allo re Carlo convenne per necessità partire
dall'asedio di Messina, e tornossene nel Regno.
L. 8, cap. 75Quando il re
Carlo udì questo, isbigottì forte, che
mai per
pericolo di battaglia né per altra aversità non
avea avuto paura, e sospirando disse: «Volesse Idio
ch'io fossi morto,
dapoi che lla fortuna m'è così contraria,
ch'ho perduta mia terra avendo tanta
potenzia
di gente in
mare e in terra; e non so perché m'è tolta
da gente ch'io mai non diservì; e molto mi
doglio,
ch'io non
presi Messina con
patti ch'io la potei avere.
Ma da che altro non
posso», con grande dolore
disse, «levisi l'oste, e passiamo; e chi m'avrà colpa di
questo
tradimento, o
cherico o laico, ne farò grande
vendetta». E il primo giorno fece passare la reina
con ogni gente di mestiere e con parte degli arnesi
dell'oste; il secondo dì passò il re con tutta sua gente,
salvo ch'
a cautela di
guerra lasciò in aguato di
fuori da Messina
due capitani con
MM cavalieri,
a
ffine
che levata l'oste, se quegli di Messina uscissono
fuori per guadagnare della roba
del campo, venissono
loro adosso e
entrassono nella terra; e se fatto venisse,
ritornerebbe il re con sua gente incontanente.
L'ordine fu bene fatto, e così fu bene
contrapensato,
che'
Missinesi
iscopersono il guato, e comandarono
sotto pena della vita che nullo uscisse fuori della
città;
e così fu fatto. I Franceschi ch'erano rimasi in
aguato, veggendosi scoperti, procacciarono di passare,
e
vennorne il terzo dì
a lo re in Calavra, e dissono
come il suo aviso era loro
fallito; onde
al re
Carlo
radoppiò
il dolore, perché alcuna speranza n'avea. E
così fu partita tutta l'oste da Messina, e diliberata la
città ch'era in ultima
stremità di
vivanda, che non
avea che
vivere tre giorni,
a dì
XXVII di settembre, gli
anni di Cristo
MCCLXXXII. Il seguente dì giunse l'amiraglio
del re d'
Araona con sua armata su per lo
Fare di Messina menando grande
gazzarra e trionfo,
e prese
XXVIIII tra
galee grosse e
trite, intra lle quali
furono
V galee
del Comune di
Pisa, ch'erano
al
servigio
del re
Carlo. E poi vegnendo alla
Catona e
a Reggio
in Calavra, il detto amiraglio fece mettere fuoco e
ardere da
LXXX uscieri
del re
Carlo, ch'erano alle
piagge disarmati, e questo vide il re
Carlo e sua gente
sanza
potergli soccorrere, onde gli
radoppiò il dolore.
E avendo il re
Carlo una
bacchetta in mano, com'
era sua usanza di portare, per
cruccio la cominciò
a rodere, e disse: «
Ai
Dius,
molt
m'
aves
sofert
a
sormonter;
gie
t'
en
pri
che l'
avallee
soit
tut
bellamant».
E così si mostra che senno umano né forza di gente
non ha riparo
al giudicio d'Iddio. Come lo re
Carlo
fu passato in Calavra, diede commiato
a tutti gli suoi
baroni e amici, e molto
doloroso si ritornò
a Napoli.
Lo re Piero d'
Araona avuta la
novella della partita
del re
Carlo e di sua oste da Messina, e come il suo
amiraglio avea operato, fu molto allegro; e di presente
si partì da
Palermo con tutti i baroni e cavalieri, e
venne
a Messina
a dì
X d'ottobre della detta
indizione,
e da'
Missinesi, uomini e donne, fu ricevuto
a
grande processione e festa, siccome loro
novello signore,
e che gli avea liberati delle
mani
del re
Carlo
e de' suoi Franceschi. Lasceremo alquanto dello stato
in che rimase l'isola di Cicilia, e lo Regno di qua
dal Fare, e direno della progenia
del detto re di Raona,
perché séguita materia grande de' suoi fatti e de'
suoi figliuoli.
L. 8, cap. 76 rubr.Chi fu il primo re d'Araona cristiano.
L. 8, cap. 76Quelli della casa d'
Araona non furono
anticamente
di
legnaggio reale, ma grandi
conti furono, cioè
conte di Barzellona e di Valenza; e come dicemmo
addietro, l'antico loro, ciò fu il
conte
Anfuso, fu
sconfitto e morto da' Franceschi
a
l'oste
a Carcasciona
al tempo
del re
Filippo il Bornio re di
Francia. E
dicesi ch'
anticamente quelli d'
Araona furono d'uno
legnaggio col
conte di Tolosa e
del buono
conte
Ramondo
di
Proenza; ma poi il buono
conte
Giammo
figliuolo
del detto
Anfus e padre che fu
del re Piero
che prese Cicilia, onde tanto avemo parlato, per sua
prodezza e
valore prese sopra i Saracini di Spagna il
reame d'
Araona, e uccise il loro re, e
del loro reame
si
coronò, e popolò de' suoi Catalani, e
fecelo uno
colla Catalogna, e fu egli e sue rede
confermato re
d'
Araona per la Chiesa di
Roma. E poi appresso per
simile modo conquistò sopra i Saracini il reame e l'isola
di
Maiolica e di
Minorica, e per avere pace co'
Franceschi diede la figliuola per moglie
al re
Filippo,
figliuolo che fu
del buono re
Luis di
Francia, e in
dote parte della signoria di Perpignano e di Monpulieri.
E quando venne
a
morte, lo 'nfante Piero
suo primo figliuolo fece e lasciò re d'
Araona, e
Giammo il secondo figliuolo re di
Maiolica, onde
poi sono
discesi valenti re e signori, come innanzi faremo
menzione. E la loro arme principale è oro e
fiamma, cioè
addogata per lungo
ad oro e
vermiglia,
le bande di fuori
ad oro. Lasceremo di quegli d'
Araona
e della
rubellazione di Cicilia infino che luogo
e tempo verrà di ciò parlare, e torneremo
a nostra
materia de' fatti di
Firenze, e raccontando in brieve
dell'altre
novità notevoli per l'universo
mondo avenute
in questi tempi.
L. 8, cap. 77 rubr.Come i Lucchesi arsono e guastarono la terra di
Pescia.
L. 8, cap. 77Negli
anni di Cristo
MCCLXXXI i Lucchesi arsono e
guastarono tutto il castello e terra di
Pescia in Valdinievole,
perché teneano parte d'imperio e ghibellina,
e non voleano ubbidire né stare sotto la signoria della
città di Lucca; e alla detta oste vi furono i Fiorentini
molto grossi in
servigio de' Lucchesi. E perché i
Fiorentini s'
intramisono nella detta oste d'accordo
da' Lucchesi
a que' di
Pescia, quando l'oste tornò in
Lucca,
a' Fiorentini fu fatta e detta villania dal popolo
di Lucca.
L. 8, cap. 78 rubr.Come Ridolfo eletto imperadore mandò suo vicario
in Toscana.
L. 8, cap. 78Nel detto anno MCCLXXXI Ridolfo re de' Romani
essendo in Alamagna a richiesta e priego de' Ghibellini
di Toscana, mandò nella detta Toscana per suo
vicario messer conte di d'Alamagna con III.c
cavalieri, acciò che' Toscani facessono la sua fedeltà
e comandamenti; ma non trovò nulla terra che 'l volesse
ubbidire, se non la città di Pisa e Samminiato
del Tedesco. E nel detto Samminiato colle sue masnade,
e col favore de' Pisani cominciò guerra a' Fiorentini,
e a' Lucchesi, e ad altre terre guelfe d'intorno;
ma alla fine per poco podere e séguito s'aconciò
co' Fiorentini e cogli altri Guelfi di Toscana, e tornossi
in Alamagna.
L. 8, cap. 79 rubr.
Come di prima si criò l'uficio de' priori in Firenze.
L. 8, cap. 79Negli
anni di Cristo
MCCLXXXII, essendo la
città di
Firenze
al governamento dell'ordine di
XIIII buoni
uomini, come avea lasciato il cardinale
Latino, ciò
erano
VIII Guelfi e
VI Ghibellini, come addietro facemmo
menzione, parendo
a' cittadini il detto uficio
de'
XIIII uno grande volume e
confusione,
ad accordare
tanti divisati animi
a uno, e
massimamente perché
a' Guelfi non piacea la
consorteria nell'uficio co'
Ghibellini per le
novitadi ch'erano già nate, siccome
della
perdita che 'l re
Carlo avea già fatta dell'isola di
Cicilia, e della venuta in
Toscana
del vicario dello
'mperio, e sì per guerre cominciate in
Romagna per
lo
conte di Montefeltro per gli Ghibellini, per iscampo
e salute della
città di
Firenze sì
annullarono il
detto uficio de'
XIIII, e si
creò e fece nuovo uficio e
signoria
al governo della detta
città di
Firenze, il
quale si chiamarono priori dell'
arti; il quale nome
priori dell'
arti viene
a dire i primi eletti sopra gli altri;
e fu tratto
del santo Vangelio, ove Cristo disse
a'
suoi discepoli: «
Vos
estis
prior». E questo trovato e
movimento si cominciò per li consoli e
consiglio dell'
arte di
Calimala, de la quale erano i più savi e possenti
cittadini di
Firenze, e
del maggiore séguito,
grandi e popolani, i quali intendeano
a
procaccio di
mercatantia ispezialmente, che i più amavano parte
guelfa e di santa Chiesa. E' primi priori dell'
arti furono
tre, i nomi de' quali furono questi: Bartolo di
messer Jacopo de' Bardi per lo
sesto d'Oltrarno e
per l'
arte di
Calimala; Rosso
Bacherelli per lo
sesto
di San Piero Scheraggio per l'
arte de' cambiatori;
Salvi
del Chiaro
Girolami per lo
sesto di San Brancazio
e per l'
arte della lana. E cominciarono il loro officio
in mezzo giugno
del detto
anno, e
durò per
due
mesi infino
a mezzo
agosto, e così
doveano seguire
di
due in
due mesi per le dette tre maggiori
arti
tre
priori. E furono
rinchiusi per dare audienza, e
a dormire
e
a mangiare alle spese
del Comune nella casa
della
Badia, dove
anticamente, come avemo detto
addietro, si raunavano gli anziani
al tempo
del popolo
vecchio, e poi i
XIIII. E fu ordinato
a' detti priori
VI berrovieri e
VI messi per richiedere i cittadini; e
questi priori col capitano
del popolo aveano
a governare
le grandi e gravi cose
del Comune, e raunare e
fare i
consigli e le
provisioni. E stando i detti
due
mesi,
a' cittadini piacque l'uficio; e per gli altri
due
mesi seguenti ne chiamarono
VI, uno per
sesto, e
agiunsono alle dette tre maggiori
arti l'
arte de' medici
e speziali, e l'
arte di porte Sante Marie, e quella
de' vaiai e
pillicciai. Poi di tempo in tempo vi furono
aggiunte tutte l'altre infino alle
XII maggiori
arti; ed
eranvi de' grandi come de' popolani uomini grandi
di buona
fama e opere, e che fossono artefici o mercatanti.
E così
seguì infino che ssi fece il secondo popolo
in
Firenze, siccome innanzi
al tempo debito faremo
menzione. D'allora innanzi non vi fu niuno
grande; ma fuvi
arroto il gonfaloniere della giustizia,
e talora furono
XII priori secondo le
mutazioni dello
stato della
città e opportuni bisogni che
occorressono,
e
del numero di tutte e
XXI arti, e di quegli che
non erano artefici, essendo stati artefici i loro anticessori.
La lezione
del detto uficio si facea per gli
priori vecchi
colle
capitudini delle
XII arti maggiori,
e con certi arroti ch'
alleggiano i priori per
ciascuno
sesto, andando
a
squittino segreto, e quale più
boci
avea, quegli era fatto priore; e questa elezione si facea
nella chiesa di San Piero Scheraggio, e 'l capitano
del popolo stava allo 'ncontro della detta chiesa
nelle case che furono de' Tizzoni. Avenne tanto detto
del
cominciamento di questo officio de' priori,
perché molte e grandi
mutazioni ne seguirono alla
città di
Firenze, come innanzi per gli tempi faremo
menzione. Lasceremo di dire
al presente alquanto
de' fatti di
Firenze, e diremo d'altre
novitadi che furono
in questi tempi.
L. 8, cap. 80 rubr.Come papa Martino mandò messer Gianni d'Epa
conte in Romagna, e come prese la città di Faenza, e
assediò Forlì.
L. 8, cap. 80Nel detto
anno
MCCLXXXII, essendo il
conte
Guido
da Montefeltro
colla forza de' Ghibellini
entrato
in
Romagna, e' gran parte delle terre fece ribellare
alla Chiesa, sì come quegli ch'era il più sagace e il
più sottile uomo di
guerra che
al suo tempo fosse in
Italia. Per la qual cosa papa Martino
rimosse messer
Bertoldo
Orsini che n'era
conte e rettore per la Chiesa,
e
mandòvi messer
Gianni d'
Epa, gentile uomo di
Francia, e molto provato cavaliere in arme, e tenuto
uno de' migliori battaglieri di
Francia; e portava in
sue arme il campo verde e gli
aguglini
ad oro. Il quale
messer
Gianni d'
Epa il detto papa per la Chiesa il
fece
conte, e con grande cavalleria di soldati per la
Chiesa, Franceschi e Italiani,
entrò in
Romagna; e i
Perugini vi mandarono
al loro soldo
C cavalieri;
al
quale fu data per
tradimento e moneta la
città di
Faenza per
Tribaldello de' Manfredi de' maggiori di
quella terra. Poi il detto messer
Gianni d'
Epa
colle
masnade della Chiesa, e
coll'aiuto de' Bolognesi, e
con
CC cavalieri che vi mandò il Comune di
Firenze
in
servigio della Chiesa, e
colla forza de'
Malatesti da
Rimino e di quegli da Polenta di Ravenna assediarono
la
città di Forlì, ma no· lla poterono avere.
L. 8, cap. 81 rubr.Come messere Gianni d'Epa conte di Romagna fu
sconfitto a Forlì dal conte da Montefeltro.
L. 8, cap. 81Nel detto tempo, stando il detto messer
Gianni
d'
Epa
conte di
Romagna in
Faenza, e facea
guerra
alla
città di Forlì,
cercò trattato d'avere per
tradimento
la detta terra; il qual trattato il
conte
Guido
da Montefeltro, che n'era signore, fece muovere e
cercare, come quegli che n'era mastro di
guerra e de'
trattati, e conosceva la follia de' Franceschi. Alla fine,
il dì di calen di maggio, gli
anni di Cristo
MCCLXXXII, il detto messer
Gianni con sua gente la
mattina per tempo anzi giorno venne alla
città di
Forlì,
credendolasi avere; e come per lo
conte da
Montefeltro era ordinato, gli fu data l'
entrata d'una
porta, il quale v'
entrò con parte di sua gente, e parte
ne lasciò di fuori con ordine, che
a ogni bisogno soccorressono
a que' d'
entro, e se caso contrario avenisse,
si
ramassassono tutta sua gente in uno campo sotto
una grande
quercia. I Franceschi ch'
entrarono in
Forlì corsono la terra sanza contasto niuno; e 'l
conte
da Montefeltro, che sapea tutto il trattato, con sue
genti se n'uscì fuori della terra; e dissesi per agurio e
consiglio d'uno
Guido
Bonatti ricopritore di tetti,
che ssi facea astrolago, overo per altra
arte, il
conte
da Montefeltro si reggea e
davagli le mosse; e alla
detta impresa gli diede il gonfalone, e disse: «In tale
punto l'hai che, mentre se ne terrà pezzo, ove il porterai
sarai vittorioso»; ma più tosto credo che lle sue
vittorie fossero per lo suo senno e
maestria di
guerra;
e come avea ordinato, e' percosse
a quelli di fuori
ch'erano rimasi all'albero, e
miseli in
rotta. Quelli
ch'
entrarono dentro,
credendosi avere la terra, aveano
fatta la ruberia e prese le case; come ordinato fu
per lo
conte da Montefeltro, fu alla maggiore parte
di loro tolti i
freni e lle
selle de'
cavagli da' cittadini;
e incontanente il detto
conte con parte di sua gente
da una delle porte rientrò in Forlì e
corse la terra, e
parte di sua cavalleria e genti
a piè lasciò sotto la
quercia schierati, com'era l'ordine e postura de'
Franceschi. Messer
Gianni d'
Epa e' suoi veggendosi
così guidati,
credendosi avere vinta la terra, si tennero
morti e traditi, e chi potéo ricoverare
a suo cavallo
si fuggì della terra, e
andonne all'albero di fuori
credendovi trovare la loro gente; e là andando, erano
da' loro nimici o presi o morti, e simile quegli ch'erano
rimasi nella terra, onde i Franceschi e la gente
della Chiesa ricevettono grande sconfitta e
dannaggio,
e
morirvi molti buoni cavalieri franceschi e de'
Latini caporali, intra gli altri il
conte
Taddeo da
Montefeltro
cugino
del
conte
Guido, il quale per
quistioni de' suoi
eretaggi tenea
colla Chiesa contro
al detto
conte
Guido; e
morivvi
Tribaldello de' Manfredi
ch'avea tradita
Faenza, e più altri; ma il
conte
di
Romagna, messer
Gianni d'
Epa, pure scampò con
certi della detta sconfitta, e tornossi in
Faenza.
L. 8, cap. 82 rubr.Come Forlì s'arrendé alla Chiesa, e fu accordo in
Romagna.
L. 8, cap. 82Come papa Martino seppe la detta sconfitta di
Forlì, sì mandò
al
conte di
Romagna gente assai
a cavallo
e
a piè
al soldo della Chiesa, faccendo
guerra
a
Forlì; e in questa istanzia,
a mezzo marzo vegnente
MCCLXXXII, il detto
conte ebbe per
tradimento la
città
di
Cervia in
Romagna, per
XVI.m fiorini d'oro che
se ne spesono per la Chiesa. Per la qual cosa per
trattato d'accordo quegli di Forlì s'
arrenderono alla
Chiesa
del mese di maggio
MCCLXXXIII a
patti, salvi
l'avere e le persone, mandandone fuori il
conte
Guido
da Montefeltro, e
disfaccendosi le fortezze della
terra; e quasi tutta
Romagna fu all'ubidienza della
Chiesa. E poi il detto
conte da Montefeltro con sue
masnade partito da Forlì, si ridusse nel castello di
Meldola, faccendo grande
guerra; per la qual cosa il
conte di
Romagna con tutte le masnade della Chiesa
v'andò
ad oste
del mese di luglio, e stettervi
V mesi, e
no· lla potero avere. In quella stanzia dell'asedio di
Meldola venne fatta
a messer
Gianni d'
Epa una
presta
e notabile cavalleria, ch'egli avea in usanza ogni
giorno in sulla terza, egli con
poca compagnia e quasi
disarmato, andava intorno
al castello
proveggendo;
uno valente uomo uscito di
Firenze, il quale era
dentro, ch'avea nome Baldo da
Montespertoli, sì
pensò d'uccidere messer
Gianni d'
Epa, e armossi di
tutte armi
a cavallo, e
a
corsa
coll'elmo in capo e
colla
lancia abassata si mosse per fedire messer
Gianni,
il quale s'avide della venuta
del cavaliere, ma però
non si mosse, ma attese; e come s'apressò, diede
del
bastone che portava in mano nella lancia
del
giostratore
e
levollasi da
dosso, e passando oltre, il prese
a
braccia, e
levollo della sella
del cavallo in terra, e di
sua mano col suo
spuntone l'uccise; e così quegli che
credea uccidere, da colui medesimo fu morto. Lasceremo
de' fatti di
Romagna, e direno d'altre
novitadi
che furono per l'universo
mondo ne' detti
tempi, che nel detto
anno ne furono assai.
L. 8, cap. 83 rubr.
Come il re d'Erminia con grande gente di Tarteri fu
sconfitto alla Cammella in Soria dal soldano d'Egitto.
L. 8, cap. 83Nel detto anno MCCLXXXII, lo re d'Erminia essendo
andato al grande Cane de' Tartari per soccorso e
aiuto contro a' Saracini loro nemici, li diede uno suo
nipote, ch'ave' nome Mangodamor, con XXX.m Tarteri
a cavallo, il quale venne in Soria col detto re d'Erminia,
ove s'accozzarono co' Cristiani dinanzi alla città
de Hames, detta oggi la Camelle, ov'era ad assedio il
soldano d'Egitto con grandissimo esercito di Saracini.
E congiunte le dette osti, grande e pericolosa battaglia
fu tra l'una parte e l'altra; ed avendo a la prima
i Cristiani co' Tartari insieme quasi la vittoria sopra i
Saracini, il detto Mangodamor, corrotto per danari
da' Saracini, usò tradimento contro a' Cristiani in
questo modo: che quand'elli vide che' Saracini erano
messi in isconfitta, Mangodamor capitano de' Tartari
ismontò da cavallo, onde tutti i suoi Tartari, com'è
loro usanza, ismontarono quando vidono ismontato
loro signore; per la qual cosa il soldano, com'era ordinato,
raccolse sue genti, e ricoverò il campo, e
sconfisse i Cristiani con grandissimo danno di loro, e
tutte le terre della Soria ch'avea perdute si riprese.
Ma tornando i Tartari che scamparono di quella
sconfitta ad Abaga gran Cane, tutti i caporali fece
uccidere, e agli altri comandò che sempre andassono
vestiti come femmine per loro dirisione, e così feciono
a sua vita.
L. 8, cap. 84 rubr.
Come si cominciò la guerra da' Genovesi a' Pisani.
L. 8, cap. 84In questi tempi la
città di
Pisa era in grande e nobile
stato de' grandi e possenti cittadini più d'Italia,
e erano in accordo e unità, e
manteneano grande stato,
che v'era cittadino il giudice di
Gallura, il
conte
Ugolino, il
conte
Fazio, il
conte
Nieri, il
conte Anselmo;
il giudice d'Alborea n'era cittadino; e
ciascuno
per sé tenea gran
corte. E con molti cittadini e cavalieri
affiati cavalcavano
ciascuno per la terra; e per la
loro grandezza erano signori di Sardigna, e di
Corsica,
e d'
Elba, onde aveano grandissime
rendite in
propio e per lo Comune; e quasi
dominavano il
mare
co· lloro legni e
mercatantie; e oltremare nella
città
d'
Acri erano molto grandi, e con molti parentadi con
grandi borgesi d'
Acri. Per la qual cosa avendo per
più tempo dinanzi avuta gara co· lloro vicini Genovesi
per la signoria di Sardigna, e quasi in
mare gli
aveano come femmine, e in ogni parte gli soperchiavano,
e in
Acri gli
oltraggiarono molto i Pisani, e
colla
forza de' loro
parenti borgesi d'
Acri disfeciono
per battaglia e per fuoco la ruga de' Genovesi d'
Acri,
e cacciargli della terra. Per la qual cosa i Genovesi
veggendosi soperchiati, e di loro natura erano
molto orgogliosi, per vendicarsi de' Pisani, feciono
una armata di
LXX galee, e
del mese d'
agosto, gli
anni
di Cristo
MCCLXXXII, vennero sopra Porto Pisano
a
due miglia. I Pisani
colla loro armata di
LXXV galee
uscirono di Porto per combattere co' Genovesi, i
quali veggendo ch'erano più di loro, e la loro armata
era il più de' Lombardi e
Piemontani
a soldo,
non si vollono mettere alla fortuna della battaglia, ma si
tornarono
a
Genova. I Pisani ne montarono in superbia,
e
del mese di settembre vegnente
colla detta
armata andarono infino nel porto di
Genova per la
condotta di messer Natta
Grimaldi rubello di
Genova,
e saettarono nella
città quadrella d'ariento, poi
tornarono
a
Portovenero, e puosonsi all'isola
del
Tiro,
e guastarono intorno
a
Portoveneri, e
al
golfo
della Spezia; e partendosi di là per tornare
a
Pisa, essendo
in alto
mare, come piacque
a dDio, si levò una
fortuna con vento
a
gherbino sì forte e impetuoso,
che tutta
isciarrò la detta armata, e parte di loro
galee,
intorno di
XXIII, percosse, e ruppono alla piaggia
del
Viereggio e alla foce di Serchio, ma
poche genti
vi perirono, ma tornarono in
Pisa chi
ignudo e chi in
camicia,
a modo di sconfitta. E per tema che s'ebbe
in
Pisa della detta
rotta, si commosse tutta la
città, e
le donne scapigliate
a pianto e dolore, e
ciascuna si
credea avere meno chi il
marito, e chi il padre, o figliuolo,
o fratello. E questo fu grande
segno
del futuro
danno de' Pisani, come innanzi per gli tempi faremo
menzione. I Genovesi per l'
oltraggio ricevuto da'
Pisani si
dispuosono di vendicarsi, e come valenti
uomini feciono ordine di non navicare in legni grossi
né in
navi, se non in
galee sottili, e di non
armarle di
niuno soldato forestiere, com'erano usati di fare, ma
de' migliori e maggiori cittadini che vi fossono
compartite
per
soprasaglienti per
galee, e studiare alle
balestra e galeotti di loro riviera; e per questo modo
divennero
prodi e
sperti in
mare, e ricoverarono loro
stato, e ebbono vittoria sopra i Pisani, come innanzi
al tempo faremo menzione. Lasceremo alquanto della
incominciata
guerra de' Pisani e Genovesi, e torneremo
a la materia cominciata per lo re d'
Araona
al
re
Carlo, e parte delle seguenti di quella.
L. 8, cap. 85 rubr.Come il prenze figliuolo del re Carlo con molta baronia
di Francia e di Proenza passarono per Firenze
per andare sopra i Ciciliani.
L. 8, cap. 85Nel detto anno MCCLXXXII, del mese d'ottobre,
venne in Firenze Carlo prenze di Salerno e figliuolo
primogenito del grande re Carlo con VIc cavalieri, il
quale veniva di Proenza e di Francia per mandato
del suo padre per essere all'assedio di Messina colla
sua oste, e venuto a corte di Roma al papa, siccome
addietro facemmo menzione. In Firenze fu ricevuto
il detto prenze a grande onore, e fece tre cavalieri
della casa de' Bondelmonti; e incontanente se n'andò
a corte di Roma, ov'era il re Carlo con sua baronia.
Per simile modo passarono e vennero in Firenze, a dì
XXIIII di novembre vegnente, il conte di Lanzone
fratello del re di Francia con molti baroni e cavalieri,
i quali il re Filippo di Francia mandava in soccorso
al re Carlo. E soggiornati alquanti dì in Firenze, e
da' Fiorentini veduti onorevolemente, se n'andaro a
corte di Roma al re Carlo.
L. 8, cap. 86 rubr.
Come lo re Carlo e lo re Piero d'Araona s'ingaggiarono
di combattere insieme a Bordello in Guascogna
per la tenza di Cicilia.
L. 8, cap. 86In questi tempi essendo lo re
Carlo con tutta la
sua baronia
a
corte di
Roma nella
città di
Roma, e
dinanzi
a papa Martino e
a tutti i suoi cardinali avea
fatto appello di tradigione contro
a Piero re d'
Araona,
il quale gli avea tolta l'isola di Cicilia, e che il detto
re
Carlo era apparecchiato di provarlo per battaglia,
il detto re Piero mandati suo' ambasciadori alla
detta
corte
a contastare
al detto appello, e
a
scusarsi
di tradigione, e che ciò ch'avea fatto era
a llui con
giusto
titolo, e che di ciò era apparecchiato di combattere
corpo
a corpo col re
Carlo in luogo comune;
onde si prese concordia sotto saramento in presenza
del papa di fare la detta battaglia,
ciascuno de' detti
re con
C cavalieri, i migliori che sapessono scegliere,
a Bordello in
Guascogna, sotto la guardia
del balio,
overo siniscalco,
del re d'Inghilterra, di cui era la terra;
con
patti, che quale de' detti re vincesse la detta
battaglia avesse di
queto l'isola di Cicilia con volontà
della Chiesa, e quelli che fosse vinto s'intendesse per
ricreduto e traditore per tutti i Cristiani, e mai non
s'apalesasse re,
dispognendosi d'ogni onore. Per la
qual cosa il detto re
Carlo si tenne molto per contento,
disiderando la battaglia, e parendogli avere ragione;
e
invitarsi
a llui de' migliori cavalieri
del
mondo
d'arme per essere alla detta battaglia, per parte più
di
Vc, e feciono apparecchio, la maggiore parte Franceschi
e Provenzali, e alcuno altro
baccelliere d'arme
nominato, d'Alamagna, e d'Italia, e di
Firenze se ne
profersono assai. E simile
al re Piero d'
Araona s'invitarono
molti cavalieri, i più di suo paese, e alquanti
Spagnuoli, e alcuno Italiano di parte ghibellina, e alcuno
Tedesco
del
legnaggio di Soave; e il figliuolo
del re di Morrocco saracino si proferse
al re d'
Araona,
e
promise, se 'l volesse, di farsi Cristiano quello
giorno. E partissi di Cicilia, e lasciòvi
don Giacomo
suo secondo figliuolo per re, e egli n'andò in Catalogna
per essere
a Bordello alla detta giornata. E 'l detto
re
Carlo lasciò
Carlo
prenze suo figliuolo alla
guardia
del Regno, e partissi di
corte per andare
a
Bordello, e passò per
Firenze
a dì
XIIII di marzo, nel
detto
anno
MCCLXXXII, e da' Fiorentini fu ricevuto
con grande onore, e fece in
Firenze
VIII cavalieri tra
Fiorentini, e Lucchesi, e
Pistolesi. E ciò fatto, se
n'andò
a Lucca, e alla piaggia di
Mutrone si ricolse
in
XVI galee armate venute di
Proenza, e
andonne
a
Marsilia, e di là in
Francia per esser
a la detta battaglia
ordinata
a Bordello. E dissesi, e fu manifesto,
che lla maggiore cagione perché lo re d'
Araona ingaggiò
la detta battaglia, fu fatto per lui con grande
senno e per grande sagacità di
guerra, per fare partire
lo re
Carlo d'Italia, acciò che non andasse più con
armata e sua oste sopra i Ciciliani, però ch'egli era
povero di moneta, e non poderoso
al soccorso e riparo
de' Ciciliani contro
a re
Carlo e della Chiesa di
Roma, e
temea de' Ciciliani che non si volgessono
per paura o per altra cagione, però che non gli sentiva
costanti, e egli e sua gente Catalani erano ancora
co· lloro salvatichi, come nuovo signore e
nuova gente.
E così il savio provedimento gli venne fatto.
L. 8, cap. 87 rubr.Come lo re Piero d'Araona fallì la giornata promessa
a Bordello, onde per lo papa fu scomunicato e privato.
L. 8, cap. 87Come lo re
Carlo fu in
Francia, sì apparecchiò sé
e' suoi cavalieri d'arme e di
cavagli, come
a così alta
e grande impresa si
convenia, e partissi di Parigi, e
co· llui lo re
Filippo di
Francia suo nipote con molta
baronia, e bene con
III.m cavalieri d'arme, per andare
a Bordella. E quando furono presso
a Bordella
a una
giornata, lo re di
Francia rimase
colla sua gente e baronia,
e lo re
Carlo con suoi
C cavalieri andò
a Bordella
alla giornata promessa, la quale fu
a dì
XXV di
giugno
MCCLXXXIII, e in quello luogo il detto re
Carlo
con suoi
C cavalieri comparirono alla giornata armati
e
a cavallo per fare la promessa e giurata battaglia,
e tutto il giorno dimorarono armati in sul campo,
attendendo lo re Piero d'
Araona co' suoi cavalieri,
il quale non vi venne né comparì. Ben si disse
che lla sera della giornata
al tardi comparì
sconosciuto
dinanzi
al siniscalco
del re d'Inghilterra, per non
rompere il saramento, e protestò com'era venuto e
apparecchiato di combattere, quando il re di
Francia
con sua gente, il quale v'era presso
a una giornata,
ond'elli avea tema e sospetto, si partisse; e ciò fatto,
sanza soggiornare si tornò in
Araona, e il primo dì
che ssi partì cavalcò bene
LXXXX miglia. Per la qual
cosa il re
Carlo si tenne forte ingannato, e lo re
Filippo
di
Francia molto adontato, e tornaronsi
a Parigi.
E saputa la
novella papa Martino della difalta
del re
Piero d'
Araona, col suo
collegio de' cardinali diede
sentenzia contro
al detto Piero d'
Araona, sì come
scomunicato, e pergiuro, e ribello, e occupatore delle
possessioni di santa Chiesa, e sì 'l privò e
dispuose
del reame d'
Araona e d'ogni altro onore, e scomunicò
chiunque l'obedisse o chiamasse re. Ma il detto re
d'
Araona per leggiadria si fece intitolare «Piero d'
Araona
cavaliere, e padre di
due re, e signore
del
mare».
E il detto papa Martino fatto il detto processo,
sì brivileggiò
del detto reame d'
Araona
Carlo
conte
di
Valos, secondo figliuolo
del detto re
Filippo re di
Francia, e mandò in
Francia uno legato cardinale
a
confermare il detto
Carlo della detta elezione, e predicare
croce e indulgenzia contro
al detto Piero d'
Araona
e sue terre. E lo re
Carlo con
dispensagione
del papa diede per moglie
al detto messer
Carlo di
Valos la sua nipote, figliuola
del
prenze
Carlo suo figliuolo,
e in
dota la
contea d'Angiò, acciò ch'egli col
padre re di
Francia fossero più
ferventi alla
guerra
del re d'
Araona. Lasceremo alquanto de' fatti
del re
Carlo e di quello d'
Araona, e torneremo
a quelli di
Firenze.
L. 8, cap. 88 rubr.
Come in Firenze fu diluvio d'acque e grande caro di
vittuaglia.
L. 8, cap. 88Negli anni di Cristo MCCLXXXII, a dì XV di dicembre,
per soperchie pioggie fu grandissimo diluvio
d'acque, e crebbono i fiumi disordinatamente, e in
Firenze crebbe sì il fiume d'Arno, che uscito de' termini
suoi allagò grande parte del sesto di San Piero
Scheraggio, e più altre contrade della città che sono
nella riva d'Arno. E in questo anno fu grande caro
d'ogni vittuaglia, e valse lo staio del grano alla misura
rasa soldi XIIII di soldi XXXIII il fiorino d'oro; che,
acomputando la moneta e la misura, fu grandissimo
caro.
L. 8, cap. 89 rubr.Come ne la città di Firenze si fece una nobile corte
e festa, vestiti tutti di robe bianche.
L. 8, cap. 89Nell'
anno appresso
MCCLXXXIII,
del mese di giugno,
per la festa di santo Giovanni, essendo la
città
di
Firenze in felice e buono stato di
riposo, e tranquillo
e
pacifico stato, e utile per li mercatanti e artefici,
e
massimamente per gli Guelfi che signoreggiavano
la terra, si fece nella contrada di Santa Felicita
Oltrarno, onde furono capo e cominciatori quegli
della casa de' Rossi co· lloro vicinanze, una compagnia
e brigata di
M uomini o più, tutti vestiti di robe
bianche, con uno signore detto dell'Amore. Per la
qual brigata non s'intendea se non in giuochi, e in
sollazzi, e in balli di donne e di cavalieri e d'altri popolani,
andando per la terra con trombe e diversi
stormenti in gioia e allegrezza, e stando in
conviti insieme,
in
desinari e in
cene. La qual
corte
durò presso
a
due mesi, e fu la più nobile e nominata che mai
fosse nella
città di
Firenze o in
Toscana; alla quale
vennero di diverse parti molti gentili uomini di
corte
e
giocolari, e tutti furono ricevuti e proveduti onorevolemente.
E nota che ne' detti tempi la
città di
Firenze
e' suoi cittadini fu nel più felice stato che mai
fosse, e
durò insino
agli
anni
MCCLXXXIIII, che si cominciò
la divisione tra 'l popolo e' grandi, appresso
tra' Bianchi e' Neri. E ne' detti tempi avea in
Firenze
da
CCC cavalieri di corredo e molte brigate di cavalieri
e di
donzelli, che sera e mattina metteano tavola
con molti uomini di
corte, donando per le
pasque
molte robe vaie; onde di Lombardia e di tutta Italia
traeano
a
fFirenze i buffoni e uomini di
corte, e erano
bene veduti, e non passava per
Firenze niuno forestiere,
persona nominato o d'onore, che
a gara erano
fatti invitare dalle dette brigate, e accompagnati
a
cavallo per la
città e di fuori, come avesse bisogno.
L. 8, cap. 90 rubr.Come i Genovesi feciono gran danno a' Pisani che
tornavano di Sardigna.
L. 8, cap. 90Nel detto
anno e mese di giugno, vegnendo dell'isola
di Sardigna
V navi grosse e
V galee armate de'
Pisani, cariche di
mercatantia e d'argento sardesco, i
Genovesi avendone novelle, armarono
XXV galee,
onde fu amiraglio messer
di
Genova. E andando
incontro alle dette
navi e
galee, le scontrò sopra capo
Corso, e combattendo co· lloro, dopo la fiera battaglia
i Genovesi gli sconfissono, e presono, e menarono
in
Genova, che v'avea su più di
MD Pisani, che
tutti furono pregioni con altra buona gente, e tanta
mercatantia e argento, che fu stimato di
valuta di
C.m
libbre di genovini, ch'erano più di
CXX.m di fiorini
d'oro, onde i Pisani ricevettono una grande
perdita e
sconfitta.
L. 8, cap. 91 rubr.Ancora de' fatti de' Pisani co' Genovesi.
L. 8, cap. 91Apresso acrebbe a' Pisani, come piacque a dDio,
giudicio sopra la loro infortuna, che del mese d'aprile
appresso, l'anno MCCLXXXIIII, mandando in Sardigna
il conte Fazio loro grande cittadino con armata
di XXX galee e una nave grossa, i Genovesi si scontrarono
co· lloro sopra con XXXV galee, ond'era amiraglio
messer , e combatterono con loro in mare,
e fu aspra e dura battaglia, e molti ne furono morti e
d'una parte e d'altra. Alla fine i Genovesi isconfissono
i Pisani, e presono il detto conte Fazio con molti
buoni cittadini di Pisa, e presono bene la metà delle
dette galee, e menargli pregioni in Genova, onde i
Pisani ricevettono grande perdita e dannaggio.
L. 8, cap. 92 rubr.
Come i Genovesi sconfissono i Pisani a la Meloria.
L. 8, cap. 92Negli
anni di Cristo
MCCLXXXIIII,
del mese di luglio,
i Pisani non istanchi delle sconfitte avute da'
Genovesi, come di sopra avemo fatta menzione, feciono
loro isforzo per vendicarsi delle 'ngiurie ricevute
da' Genovesi, e armarono, tra di loro genti e di
soldati toscani e altri, da
LXX galee, onde fu amiraglio
messer Benedetto
Buzacherini, e andarono insino
nel porto di
Genova, e in quello stettero, e
balestrarono,
com'altra volta aveano fatto, quadrella d'argento,
e feciono grande onta e soperchio
a' Genovesi,
e presono più barche e altri legni, e rubarono e
guastarono in più parti della riviera, e con grande
pompa e romore, essendo nel porto di
Genova, richiesono
i Genovesi di battaglia. I Genovesi non ordinati
né
disposti alla battaglia, però ch'aveano disarmate
le loro
galee, con leggiadra e signorile
risposta
feciono loro
iscusa, e dissono che perch'eglino combattessono
co· lloro, e
vincessongli nel loro porto e
contrada, non avrebbono fatta loro vendetta né sarebbe
loro onore, ma ch'eglino si tornassono
al loro
porto, e eglino si metterebbono in concio, e sanza indugio
gli verrebbono
a vedere, e sarebbono signori
della battaglia. E così fu fatto, che' Pisani si partirono
faccendo grandi grida, di rimprocci e schernie de'
Genovesi, e tornaronsi in
Pisa. I Genovesi sanza indugio
niuno armarono
CXXX tra
galee e legni, e suso
vi montarono tutta la buona gente di
Genova e della
riviera, ond'era amiraglio messer Uberto
Doria, e
del
mese d'
agosto vegnente vennero
colla detta armata
nel
mare di
Pisa. I Pisani sentendo ciò,
a grido e
a
romore
entrarono in
galee, chi
a Porto Pisano, e la
podestà, e il loro amiraglio, e tutta la buona gente
montarono in
galee tra'
due ponti di
Pisa in Arno. E
levando il loro
istendale con grande festa, e essendo
l'arcivescovo di
Pisa in sul ponte parato con tutta la
chericia per fare all'armata la sua benedizione, la
mela
e la croce ch'era in su l'antenna dello stendale cadde;
onde per molti savi si recòe per
mala
agura
del
futuro
danno. Ma però non lasciarono, ma con grande
orgoglio, gridando: «Battaglia, battaglia!», uscirono
della foce d'Arno, e accozzarsi
colle
galee
del
porto, e furono da
LXXX tra
galee e legni armati; e'
Genovesi
colla loro armata
aspettando in alto
mare,
s'
affrontarono alla battaglia co' Pisani all'isoletta,
overo scoglio, il quale è sopra Porto Pisano, che si
chiama la Meloria, e ivi fu grande e aspra battaglia, e
morìvi molta buona gente d'una parte e d'altra di fedite,
e d'anegati in
mare. Alla fine, come piacque
a dDio, i Genovesi furono vincitori, e' Pisani furono
sconfitti, e ricevettono infinito
dammaggio di
perdita
di buone genti, che morti e che presi, bene
XVI.m uomini,
e rimasono prese
XL galee de' Pisani, sanza l'altre
galee rotte e profondate in
mare; le quali
galee
co' pregioni menarono in
Genova, e sanza altra
pompa, se non di fare dire
messe e processioni rendendo
grazie
a dDio; onde furono molto commendati.
In
Pisa ebbe grande dolore e pianto, che non
v'ebbe casa né famiglia che non vi rimanessero più
uomini o morti o presi; e d'allora innanzi
Pisa non ricoverò
mai suo stato né podere. E nota come il giudicio
d'Iddio rende giusti e
debiti
meriti e pene, e
tutto che talora s'indugino e sieno occulti
a noi. Ma
in quello luogo propio ove i Pisani
sursono e anegarono
in
mare i prelati e'
cherici che venieno d'oltremonti
a
Roma
al
concilio l'
anno
MCCXXXVII, come
addietro facemmo menzione, ivi furono sconfitti e
morti e gittati in
mare i Pisani da' Genovesi, come
detto avemo. Lasceremo
a ddire alquanto de' Pisani,
e torneremo
a quello che fu ne' detti tempi della
guerra di Cicilia dal re
Carlo
a quello d'
Araona,
ch'ancora ne surge materia.
L. 8, cap. 93 rubr.Come Carlo prenze di Salerno fu sconfitto e preso
in mare da Ruggieri di Loria coll'armata de' Ciciliani.
L. 8, cap. 93Negli
anni di Cristo
MCCLXXXIIII,
a dì
V del mese
di giugno, messer Ruggieri di
Loria amiraglio
del re
d'
Araona venne di Cicilia con
XLV tra
galee e legni
armati di Ciciliani e Catalani nelle parti di Principato,
facendo
guerra e grande
danno alla gente
del re
Carlo; e il sopradetto dì venne nel porto di Napoli
colla detta armata gridando e dicendo grandi
spregi
del re
Carlo e di sue genti, e domandando battaglia,
e saettando nella terra. E ciò
facie il detto Ruggieri
di
Loria per trarre il
prenze e sue genti
a battaglia,
come quegli ch'era il più savio amiraglio di
guerra di
mare ch'allora fosse
al
mondo, e sapea per sue saettie
che il re
Carlo
colla sua grande armata
venia di
Proenza, e già era nel
mare di
Pisa, sicché s'affrettava
o di
trarreli
a battaglia, o di partirsi e tornare in
Cicilia, acciò che il re
Carlo
nol sopraprendesse.
Avenne, come piacque
a dDio, che 'l
prenze figliuolo
del re
Carlo ch'era in Napoli con tutta la sua baronia,
Franceschi, e Provenzali, e
del Regno, veggendosi
così oltraggiare da' Ciciliani e Catalani,
a furia
sanza ordine o provedimento montarono in
galee,
così i cavalieri come le genti di
mare in compagnia
del
prenze, eziandio contro
al
comandamento
spresso
che il re
Carlo avea fatto
al figliuolo, che per niuno
caso che incorresse si mettesse
a battaglia infino
alla sua venuta. E così
disubidiente e male ordinato
si mise con
XXXV galee e più altri legni con tutta la
sua cavalleria alla battaglia fuori
del porto di sopra
a
Napoli. Ruggieri di
Loria maestro di
guerra percosse
colle sue
galee vigorosamente, amonendo i suoi che
non intendessono
a niuna caccia, ma lasciassono fuggire
chi volesse, ma solamente attendessono alla
galea
dello stendale, ov'era la persona
del
prenze con
molti baroni, e così fu fatto; ché come le dette armate
galee si percossono insieme, più
galee di quegli di
Principato, e spezialmente quelle di Surrenti, sì diedono
la volta e tornaronsi
a Surrenti, e per simile
modo feciono grande parte delle
galee di Principato.
Il
prenze rimaso alla battaglia
colla metà delle sue
galee, ov'erano i baroni e' cavalieri, che di battaglia
di
mare s'
intendeano poco, tosto furono isconfitti e
presi con
VIIII delle loro
galee; e il
prenze
Carlo in
persona con molta baronia furono
presi e
menati in
Cicilia, e furono
messi in pregione in Messina nel castello
di
Mattagrifone. E avenne, come fu fatta la
detta sconfitta e preso il
prenze, che quelli di Surrenti
mandarono una loro
galea co· lloro ambasciadori
a
Ruggieri di
Loria con
IIII cofani pieni di
fichi fiori,
i quali egli chiamavano
palombole, e con
CC agostari
d'oro per presentare
al detto amiraglio; e giugnendo
a la
galea ov'era preso il
prenze,
veggendolo
riccamente
armato e con molta gente intorno,
credettono
che fosse messer Ruggieri di
Loria, sì gli si inginocchiarono
a' piedi, e feciongli il detto presente, dicendo:
«Messer l'amiraglio, come ti piace, da parte
del
tuo Comune da
Sorrenti
ilocati
quissi
palombola, e
stipati
quissi
agostari per uno taglio di calze: e plazesse
a
dDeo com'hai preso lo figlio avessi lo
patre; e
sacci che
fuimo li primi che
boltaimo». Il
prenze
Carlo con tutto il suo
dammaggio cominciò
a ridere,
e disse all'amiraglio: «
Per
le
san
Dio,
che
sont
bien
fetable
a
monsignor
le
roi!». Questo avemo messo
in nota per la
poca fede ch'hanno quegli
del Regno
al loro signore.
L. 8, cap. 94 rubr.Come il re Carlo arrivò a Napoli colla sua armata, e
poi s'apparecchiò per passare in Cicilia.
L. 8, cap. 94Il giorno seguente che fu la detta sconfitta lo re
Carlo arrivò
a
Gaeta con
LV galee armate e con tre
navi grosse cariche di baroni e
cavalli e arnesi; e come
intese la
novella della sconfitta e presa
del
prenza
suo figliuolo, fu molto
cruccioso e disse: «
Or
fost
il
mort,
por
se
qu'
il
a
falli
nostre
mandamant!». Ma
sentendo la
poca fede degli uomini
del Regno, e che
quegli di Napoli già
ciancellavano, e certi
corsa la
terra e gridando: «Muoia il re
Carlo, e
viva Ruggieri
di
Loria!», incontanente si partì da
Gaeta e giunse
in Napoli
a dì
VIII di giugno; e come fu sopra Napoli
non volle ismontare nel porto, ma di sopra
al
Carmino,
con intendimento di fare mettere fuoco nella
città
e arderla, per lo fallo che' Napoletani aveano fatto
di levare
a romore la terra contro
al re. Ma messer
Gherardo da Parma legato cardinale con certi buoni
uomini di Napoli gli vennero incontro per
domandargli
perdono e misericordia, dicendo: «Furono
folli». Lo re riprese: «I savi come ciò aveano sofferto
a' folli?». Ma per gli
prieghi
del legato, fatta fare
giustizia di farne
impiccare più di
CL, sì
perdonò alla
cittade, e riformata la terra, si fece lo re compiere
d'armare
colle
galee, ch'egli avea
menate infino in
LXXV galee, e partissi di Napoli
a dì
XXIII di giugno;
l'armata mandò verso Messina, e il re
Carlo n'andò
per terra
a Brandizio per accozzare l'armata ch'avea
fatta apparecchiare in Puglia con quella di Principato
per andare in Cicilia. E di Brandizio si partì lo re
coll'altra armata
a dì
VII di luglio
del detto
anno, e
acozzossi
coll'armata di Principato
a
Controne in
Calavra, e furono
CX tra
galee e
uscieri armati, e con
cavalieri, con molti altri legni grossi e sottili di carico.
In questa stanzia avea in Cicilia
due legati cardinali,
messer
Gherardo da Parma e messer
, i quali
aveva mandati il papa
a trattare pace, e per riavere il
prenze
Carlo; e stando il detto stuolo in bistento in
attendere
novelle de' detti legati, come avessero
adoperato,
i quali
maestrevolemente dal re d'
Araona furono
tenuti in parole sanza potere fare nullo accordo
acciò che 'l detto stuolo non ponesse in Cicilia, sì ssi
trovò la detta armata
del re
Carlo male proveduta, e
con difalta di vittuaglia. Per la qual cosa lo re fu consigliato
che
convenia di necessità che tornasse
a
Brandizio, perché s'
appressava l'autunno, e gli tempi
contrarii
a
sostenere in
mare sì grande armata; e
ch'egli facesse disarmare, e riposasse sé e sue genti
infino
al primo tempo; e così fu fatto, onde lo re
Carlo si diede grande dolore sì per la
presura
del figliuolo,
e che la fortuna gli era fatta così aversa e
contraria, e per gli più si disse che ciò fu cagione
dell'avacciamento di sua
morte, come diremo appresso.
L. 8, cap. 95 rubr.Come lo buono re Carlo passò di questa vita alla
città di Foggia in Puglia.
L. 8, cap. 95Lo re
Carlo tornato con suo stuolo
a Brandizio, sì
'l fece disarmare, e tornossi
a Napoli per dare ordine,
e fornirsi di moneta e di gente per ritornare in
Cicilia
al primo tempo. E come quegli che lla sua
sollecita
mente non posava, come fu passato il mezzo
dicembre, ritornò in Puglia per essere
a Brandizio
per fare avacciare il suo navilio. Com'egli fu
a
Foggia
in Puglia, e come piacque
a dDio, amalò di forte malatia,
e passò di questa vita il seguente giorno della
Bifania, dì
VII di gennaio, gli
anni di Cristo
MCCLXXXIIII. Ma innanzi che morisse, con grande
contrizione prendendo il corpo di Cristo, disse con
grande reverenza «Sire
Idius,
con
ie
croi
vraimant
che
vos
est
mon
salveur,
ensi
vos
pri
que
vos
aies
mersi
de
ma
arme,
ensi
con
ie
fis
l'
amproise
de
roiame
de
Sesilia
plus
por
servir
sante
Egrise
que
per
mon
profit
o
altre
covidise,
ensi
me
perdones
mes
pecces»; e passò poco appresso di questa vita; e fu
recato il suo corpo
a Napoli, e dopo il grande lamento
fatto di sua
morte fu soppellito all'arcivescovado
di Napoli con grande onore. Di questa
morte
del re
Carlo fu grande maraviglia, che il dì medesimo ch'elli
passò fu piuvicato in Parigi per uno frate
Arlotto
ministro de' minori e per maestro
Giandino da
Carmignanola
maestro allo
Studio, e vegnendo ciò in
notizia
del re di
Francia, mandò per loro per sapere
onde l'aveano. Dissono che sapeano la sua natività,
ch'era sotto la signoria di Saturno, e per gli suoi effetti
erano procedute le sue
esultazioni e le sue aversità:
e alcuno disse che 'l sapeano per revelazione di
spirito, che
ciascuno di loro erano grandi astrolagi e
negromanti. Quello
Carlo fu il più temuto e ridottato
signore, e il più valente d'arme e con più alti intendimenti,
che niuno re che fosse nella casa di
Francia da
Carlo Magno infino
a llui, e quegli che
più
esaltò la Chiesa di
Roma; e più avrebbe fatto, se
non che alla fine
del suo tempo la fortuna gli tornò
contraria. Venne poi per guardiano e difenditore
del
Regno Ruberto
conte d'Artese
cugino
del detto re,
con molti cavalieri franceschi, e
colla
prenzessa e col
figliuolo
del
prenze nipote
del re
Carlo, il quale per
lui ebbe nome
Carlo Martello, e era d'età di
XII in
XIII anni.
Del re
Carlo non rimase altra
reda che
Carlo secondo
prenze di Salerno, di cui avemo fatta
menzione. E questo
Carlo era bello uomo
del corpo,
e grazioso, e largo, e vivendo il re
Carlo suo padre, e
poi, ebbe più figliuoli della prenzessa sua moglie figliuola
e
reda
del re d'Ungaria. Il primo fu il detto
Carlo Martello, che poi fu re d'Ungaria; il secondo
fu
Lois, che si rendé frate minore, e poi fu
vescovo di Tolosa; il terzo fu Ruberto
duca di Calavra; il
quarto fu
Filippo
prenze di Taranto; il quinto fu
Ramondo
Berlinghieri
conte (
dovea essere) di
Proenza;
il
sesto fu messer
Gianni
prenze della Morea; il settimo
fu messer Piero
conte d'
Eboli.
L. 8, cap. 96 rubr.Come il prenze figliuolo del re Carlo fu condannato
a morte da' Ciciliani, e poi per la reina Gostanza mandato
in Catalogna preso.
L. 8, cap. 96Nel detto
anno partiti i detti cardinali legati di Cicilia,
e perché nonn aveano potuto fare accordo,
fortemente
agravarono di
scomuniche, e di torre ogni
benificio e grazie spirituali,
a re d'
Araona e
a' Ciciliani.
Per questa cagione e per la
morte de· re
Carlo
que' di Messina si mossono
a ffurore, e corsono alle
pregioni dov'erano i Franceschi per uccidergli, e egli
difendendosi, i
Missinesi misono fuoco nelle pregioni,
e
a grande dolore e stento gli feciono morire. E fu
bene giudicio di Dio, che l'orgoglio e superbia de'
Franceschi usata in Cicilia fosse
pulita per così disordinata
e furiosa sentenzia de' Ciciliani, come fu
a
questa volta, e era suta alla
rubellazione, come addietro
facemmo menzione. Dopo questo fatto tutte
le terre di Cicilia feciono sindaco con ordine, e congregati
insieme di concordia, condannarono
a
morte
il
prenze
Carlo, il quale aveano in pregione, e che gli
fosse tagliata la testa, siccome lo re
Carlo suo padre
avea fatto
a
Curradino. Ma come piacque
a dDio, la
reina
Gostanza moglie
del re Piero d'
Araona, la quale
allora era in Cicilia, considerando il
periglio ch'
al
suo
marito e
a' suoi figliuoli poteva avenire della
morte
del
prenze
Carlo, prese più sano
consiglio, e
disse
a' sindachi delle dette terre che nonn era convenevole
che lla loro sentenzia procedesse sanza la
volontà
del re Piero loro signore, ma le parea che 'l
prenze si mandasse
a llui in Catalogna, e egli come
signore ne facesse
a ssua volontà; e così fu preso, e
poi fatto. Lasceremo di questa materia, e torneremo
a' fatti di
Firenze.
L. 8, cap. 97 rubr.Come in Firenze fu grande diluvio d'acqua, e rovinò
parte del poggio de' Magnoli.
L. 8, cap. 97Negli
anni di Cristo
MCCLXXXIIII, il dì di
domenica
d'ulivo
a dì
II d'
aprile, in
Firenze ebbe grandissimo
diluvio d'acque e di
piova sì disordinatamente,
che 'l fiume d'Arno
crebbe sì disordinatamente,
ch'allagò molta della
città presso alle sue rive; e per
la detta acquazzone il
poggio che ssi chiamava de'
Magnoli di sotto
a San Giorgio e di sopra
a Santa
Lucia si commosse
a ruina, e venne rovinando infino
in Arno, e fece cadere e guastare più di
L case ch'erano
sopra il detto
poggio, e in su la
via di Santa Lucia
lungo l'Arno, e
morìvi gente assai.
L. 8, cap. 98 rubr.Come i Fiorentini con Genovesi e con Toscani feciono
lega sopra i Pisani, onde i Ghibellini furono cacciati
di Pisa.
L. 8, cap. 98Nel detto
anno,
del mese di settembre, i Fiorentini
feciono lega e compagnia con saramento co' Lucchesi,
e' Sanesi, e'
Pistolesi, e'
Pratesi, e' Volterrani,
e San Gimignano, e
Colle, insieme co' Genovesi, sopra
la
città di
Pisa
a ffare
guerra; i Fiorentini co' detti
Toscani per terra, e' Genovesi per
mare. E' Fiorentini
ch'erano in
Pisa se ne partirono
a dì
X di novembre,
per
comandamento
del Comune di
Firenze;
e mandarono i Fiorentini dalla parte di Volterra
VIc
cavalieri
a ffare
guerra
a' Pisani, e così mandarono
tutte l'altre terre della lega secondo la loro taglia. E
in Valdera feciono grande
guerra, e presono molte
castella di quelle de' Pisani, e ordinarono d'assediare
Pisa alla primavera vegnente per
mare e per terra.
Per la qual cagione il
conte Ugolino de'
Gherardeschi,
ch'era il maggiore cittadino di
Pisa,
cercò trattato
d'accordo co' Fiorentini e' Sanesi e gli altri Toscani
di cacciare i Ghibellini di
Pisa, e farne signori i
Guelfi, acciò che
ll'oste ordinata della taglia detta
che si
dovea fare sopra
Pisa non procedesse; e così
fu fatto. E dissesi in
Firenze che 'l detto
conte Ugolino
presentando
a certi caporali cittadini di
Firenze
vino di
vernaccia in certi
fiaschi, che vi mandò dentro
col vino fiorini d'oro, acciò che
assentissono
al
detto accordo sanza la richiesta de' Genovesi e de'
Lucchesi; e ciò ordinato,
del mese di gennaio vegnente
il detto
conte Ugolino cacciò di
Pisa i Ghibellini,
e
fecene signore sé co' Guelfi. Ma
al detto accordo
non furono richiesti i Genovesi, e' Lucchesi
nol vollono assentire, onde i Genovesi e' Lucchesi si
tennero gravati e ingannati da' Fiorentini e
dagli altri
Toscani della taglia; e non lasciarono però di venire
sopra
Pisa, com'era ordinato, i Genovesi per
mare
con
LXX galee armate, e' Lucchesi
ad oste per terra,
e guastarono e disfeciono Porto Pisano; e' Lucchesi
dalla loro parte presono più castella. E di certo
se'
Fiorentini avessono attenuta la 'mpromessa, la
città
di
Pisa sarebbe stata presa, e
disfatta, e recata
a borghi,
com'era ordinato. Ma i Fiorentini ordinarono
che' Sanesi mandassono i loro cavalieri alla guardia
de' Guelfi di
Pisa, e perciò fu difesa; onde i Fiorentini
furono molto ripresi da' Genovesi e Lucchesi per
lo rompere che feciono di loro promessa e saramento
per scampare
Pisa; ma
ebbonne il
merito e il guidardone
da' Pisani ch'
a cciò si
convenia, siccome innanzi
per gli tempi faremo menzione; onde i Fiorentini
n'ebbono poi più volte pentimento per la 'ngratitudine
e superbia de' Pisani.
L. 8, cap. 99 rubr.
Come i Fiorentini cominciarono a fondare le porte
per fare le nuove mura alla cittade.
L. 8, cap. 99Nel detto anno, del mese di febbraio, essendo i
Fiorentini in buono e pacefico stato, e la città cresciuta
di popolo e di grandi borghi, sì ordinarono di
crescere il circuito della città, e cominciarsi a fondare
le nuove porte, ove poi conseguirono le nuove
mura, cioè quella di Santa Candida di là di Santo
Ambruogio, e quella di San Gallo in sul Mugnone e
quella del Prato d'Ognisanti, e quella d'incontro a le
Donne che ssi dicono di Faenza ancora in sul Mugnone;
il quale fiumicello di Mugnone alquanto dinanzi
era adirizzato, che prima correa avolto per Cafaggio
e presso alle seconde cerchie della città, faccendo
molesto assai alla città quando crescea, e fecionvi
su i ponti dinanzi alle dette porte, e rimase il
lavoro di quelle innanzi che fossono a l'arcora, per la
novella che venne in Firenze che 'l prenze Carlo era
stato sconfitto in mare da Ruggieri di Loria e da' Ciciliani.
E in questi tempi si fece per lo Comune di Firenze
la loggia sopra la piazza d'Orto Sammichele,
ove si vende il grano, e lastricossi e amattonossi intorno,
la quale allora fu molto ricca e bella opera e
utile. E nel detto anno si cominciò a rinnovare la Badia
di Firenze, e fecesi il coro e le cappelle che vengono
in su la via del palagio e 'l tetto; che prima era
la Badia più addietro, piccola, e disorrevole in sì fatto
luogo della cittade.
L. 8, cap. 100 rubr.
Delle grandi novitadi che furono tra' Tarteri dal
Turigi.
L. 8, cap. 100Nel detto anno MCCLXXXIIII Tangodar
fratello d'Abaga Cane signore de' Tarteri dal Torigi e di Persia,
il quale da giovane fu Cristiano battezzato e chiamato
Niccola, com'egli ebbe la signoria, si fece Saracino
e rinnegato, e fecesi chiamare Mahomet, e grande
persecuzione fece a' Cristiani in due anni ch'egli
regnò in signoria. Alla fine Argon suo nipote e padre
che fu di Casano, onde innanzi faremo al suo tempo
menzione, si rubellò da llui, e gli tolse il regno e la
vita. Questo Argon fu figliuolo d'Abaga Cane, e fu
grande amico de' Cristiani e nimico de' Saracini, e
fece rifare tutte le chiese de' Cristiani che Maomet
suo zio avea fatte distruggere in suo regno, e gli Cristiani
rimise in istato, e gli tempii de' Saracini fece
distruggere e abbattere, e tutti i Saracini cacciare di
suo paese, e fu uno savio e valoroso signore in arme.
L. 8, cap. 101 rubr.Come i Saracini presono e distrussono Margatto in
Soria.
L. 8, cap. 101Negli
anni di Cristo
MCCLXXXV,
del mese di maggio,
i Saracini col soldano d'
Egitto vennono
ad oste
a
la terra di
Margatto in Soria, la quale era della
magione
dello Spedale di Santo Giovanni, e era molto
fortissimo, e quello con cave misono grande parte in
puntelli, e
sicurarono i capitani d'
entro che venissono
a vedere com'era
puntellato; per la qual cosa i
Cristiani che v'erano dentro, veggendo che non si
poteano tenere, s'
arrenderono, salve le persone; e il
castello rimase
a' Saracini.
Lascereno delle
novità
d'oltremare, e torneremo
a dire della grande impresa
che llo re di
Francia fece sopra lo re d'
Araona.
L. 8, cap. 102 rubr.Come il re Filippo di Francia andòe con grande
esercito sopra lo re Piero d'Araona.
L. 8, cap. 102Negli
anni di Cristo
MCCLXXXIIII,
a mezza
quaresima,
vegnente l'ottantacinque, lo re
Filippo di
Francia figliuolo di san
Luis, avendo grande animo
contro
a Piero d'
Araona per la
nimistà presa contro
a llui per lo re
Carlo, e
a
ppetizione
del papa e della
Chiesa di
Roma, abbiendo raunata grande oste in tolosana
di più di
XX.m cavalieri e più di
LXXX.m di pedoni
di croce segnati, che Franceschi, Provenzali, e della
Magna, e altre genti, e raunato infinito
tesoro, si
partì di
Francia con
Filippo e
Carlo suoi figliuoli, e
con messer Cervagio, detto Gian
Coletto, cardinale e
legato
del papa, e
andonne
a Nerbona per passare in
Catalogna per prendere il reame d'
Araona, onde
Carlo suo secondo figliuolo era privileggiato dalla
Chiesa di
Roma, e per
mare avea armate in
Proenza
CXX tra
galee e altri legni; e trovossi con Giacomo re
di
Maiolica fratello e nimico
del re Piero d'
Araona,
però ch'egli gli avea fatta torre l'isola di
Maiolica
ad
Anfus suo primogenito figliuolo, e
coronatolne re il
detto
Anfus; e
del mese di maggio
MCCLXXXV si partì
il detto
esercito di nerbonese, e
andarne
a Perpignano
per le terre
del detto re di
Maiolica; e trovando
nella
contea di
Rossiglione la
città di
Ianne, la qual
s'era rubellata
al re di
Maiolica e teneasi per lo re
d'
Araona, il re di
Francia vi puose l'assedio; e per
forza combattendo l'ebbe, e uccisono uomini, femmine,
e fanciulli, che non ne rimase altro che 'l bastardo
di
Rossiglione con pochi, il quale s'
arrendé in
uno campanile; e poi che 'l re l'ebbe presa, la fece
tutta distruggere; e ciò fatto, si partì
del paese e
andonne
co l'oste infino
a piè delle montagne dette
Pirre
altissime molto, le quali sono alle
confini della Catalogna.
Lo re Piero d'
Araona sentendosi venire
adosso sì fatto
esercito, si provide di non mettersi
a
battaglia campale, però che lla sua forza era niente
apo quella
del re di
Francia; ma di stare alle difese, e
guardare i passi; e aveva fornito e afforzato il passo
delle
Schiuse, onde si
valicavano le dette montagne
di gente d'arme; e egli in persona v'era alla guardia
a
tende e
a padiglioni per non lasciare passare l'oste
del re di
Francia. E
a quella
contesa stette l'oste de'
Franceschi più dì, che in nulla guisa poteano passare;
alla fine il re di
Francia per
consiglio
del bastardo
di
Rossiglione fece armare tutta la sua gente, e fece
vista di combattere il detto passo. E una mattina
molto per tempo il detto re con parte di sua gente,
alla guida
del detto bastardo, tennero per altro camino
su per le montagne, lasciando il più di sua oste e
tutti i suoi arnesi incontro
al passo delle
Schiuse, e
tennero per aspre e diverse vie
piene di spine e di
pietre, le quali erano impossibili
a potersi fare per
gente umana, e onde Piero d'
Araona non si prendea
guardia; ma alla fine con grande affanno, e perdendo
e guastando molti di loro
cavagli, furono di sopra alla
detta montagna. Piero d'
Araona veggendo che 'l
re di
Francia gli era
al di sopra
del passo,
abbandonò
la speranza di quello, e partissi con tutta sua gente,
lasciando le
tende e gli arnesi, e tornossi adietro in
sue terre, e lasciò il detto passo. Allora tutta la gente
ch'era rimasa
a piè
del passo nel campo
del re di
Francia con loro
somieri e arnesi e bestiame passarono
per lo detto passo sanza contrario niuno, e vennero
là dov'era il re di
Francia, la quale oste stette in su
le montagne tre giorni con grande difalta di vittuaglia.
Poi lo re con tutta sua oste scese delle montagne
nel piano di Catalogna, e prese e ebbe
al suo
comandamento
Pietralata, e
Fighiera, e molte terre
del
contado
d'
Ampuri; e 'l navilio e l'armata sua, ch'era
a
l'Agua Morta in
Proenza carichi di vittuaglia e d'arnesi
da oste, fece venire per
mare
al porto di
Roses.
E lo re con sua oste si puose
ad assedio alla
città di
Girona, la quale era molto forte e ben guernita, e
eravi dentro per guardia e capitano messer
Ramondo
signore di Cardona con buona compagnia. E vegnendo
l'oste de' Franceschi, misono fuoco nel borgo
acciò che lla terra fosse più forte, e molto
danneggiavano
l'oste de' Franceschi e difendeano la terra.
Ma lo re di
Francia
giurò di mai non partirsi, ch'egli
avrebbe la terra. Ma stando
al detto assedio, l'oste
del re di
Francia cominciò molto
a scemare per cagione
del lungo dimoro
del campo in uno luogo fermo;
per la molta
ordura e carogna di bestie morte,
per lo grande caldo v'apparìo diversa quantità di
mosche e di
tafani, i quali pareano
avelenati, e pugnendo,
e uomini e bestie ne
morivano; e
crebbe
tanto la
pestilenzia, che ssi corruppe l'aria, e molta
gente
morieno nell'oste, onde
al re di
Francia, e
al
suo
consiglio, e
a tutta l'oste molto era grave, e volentieri
vorrebbe lo re essere sofferto
del suo saramento.
L. 8, cap. 103 rubr.Come lo re d'Araona fu sconfitto e fedito da' Franceschi,
della quale fedita poi morìo.
L. 8, cap. 103Istando lo re di
Francia all'assedio di Gironda, la
vittuaglia e fornimento dell'oste gli
venia dal suo navilio
dal porto di
Roses, presso all'oste
a
IIII miglia.
Lo re Piero d'
Araona con sua gente impediva quanto
potea la
scorta che
conducea la vittuaglia, e
convenia
che e' Franceschi la guidassono con molta gente e
con grande fatica. Avenne che lla
vilia di santa Maria
d'
agosto lo re d'
Araona s'era messo in aguato con
V.c
de' migliori de' suoi cavalieri e con
MM mugaveri
a
piè per impedire la
scorta
del re di
Francia, e ancora
si dicea che in quella
scorta
venia la paga della gente
del re di
Francia, e però lo re d'
Araona in persona si
mise nell'aguato: fu
rapportato per una
spia
a messer
Raul di Rasi e
a messer Gian d'
Ericorte
conastabole
e maliscalco dell'oste
del re di
Francia. I detti ebboro
loro
consiglio, e co' migliori cavalieri dell'oste, per
andare
a combattere col detto aguato, e ragionando
d'andarvi grossi di gente, erano certi che 'l re d'
Araona
né sua gente non uscirebbono
a battaglia, com'
altre volte non avea fatto se non
a suo
vantaggio.
Ma disse messer
Raul di
Rois valente cavaliere: «Se
noi volemo essere valenti uomini, e
trarrelo
a battaglia,
andianvi con
poca gente, sì che gli
paia avere
buono mercato di noi». E così fu fatto; ch'eglino
presono il
conte della
Marcia e de' più eletti baroni e
baccellieri d'arme che fossono in tutta l'oste, infino
in quantità di
IIIc cavalieri sanza più, e misonsi contro
l'aguato. Lo re d'
Araona veggendo che non erano
maggior quantità, e egli avea gente troppa più di loro,
lasciando i pedoni s'affrettò di fedire co' suoi cavalieri,
e si mise alla battaglia, la quale fu
dura e
aspra, sì come di tanti eletti e provati cavalieri. Alla
fine, come piacque
a dDio, i Franceschi sconfissono
il re d'
Araona, e egli fu fedito
duramente nel viso
d'una lancia, e fu ritenuto e preso per le redine di
suo cavallo. Il detto re con tutta la fedita ch'avea, fu
accorto, e
colla spada tagliò le redine
al suo cavallo,
e diegli degli sproni, e uscì della pressa, e fuggì con
sua gente; alla quale battaglia rimasono morti da
C
buoni cavalieri
araonesi e catalani, e molti fediti. Lo
re Piero tornato
a Villafranca, non abbiendo buona
cura della sua fedita, e per alcuno si disse ch'egli
giacque carnalmente con una donna non essendo
salda né guerita la piaga, onde poco appresso ne morìo,
a dì
VIIII del mese di novembre, gli
anni di Cristo
MCCLXXXV, e fu soppellito in Barzellona nobilemente.
Ma innanzi ch'egli morisse
raquistò Gironda,
come appresso faremo menzione, e fece suo testamento,
e lasciò che l'isola di
Maiolica fosse renduta
al re Giamo suo fratello, e lasciò re d'
Araona
Nanfus
suo primogenito figliuolo, e Giacomo suo secondo
figliuolo re di Cicilia, con tutto che 'l detto
Nanfus
vivette poco, e succedette il reame
al suo fratello re
Giamo. Il sopradetto Piero re d'
Araona fu valente signore
e
pro' in arme, e bene
aventuroso e savio, e
ridottalo
da' Cristiani, e da' Saracini altrettanto o più,
come nullo che regnasse
al suo tempo.
L. 8, cap. 104 rubr.Come lo re di Francia ebbe la città di Gironda, e come
la sua armata fu sconfitta in mare.
L. 8, cap. 104Come lo re d'
Araona fu sconfitto per lo modo
detto di sopra, il re di
Francia ebbe grande allegrezza,
e misesi forte
a strignere la
città di Gironda, la
quale sentendo come lo re d'
Araona loro signore era
stato sconfitto e fedito
a
morte, e essendo in grande
stretta di vittuaglia, che non era loro rimaso
a
vivere
che per tre giorni, sì s'
arrenderono
al re di
Francia,
salve le persone e ciò che nne potessono trarre, e così
fu fatto; e lo re fece fornire Gironda di vittuaglia e
di sua gente. In questa stanzia lo re di
Francia prese
suo
consiglio di tornare
a vernare in tolosana, e parte
di suo navilio s'era partito dal porto di
Roses in Catalogna
e tornato in
Proenza. Avenne che in quegli
giorni era venuto di Cicilia in Catalogna Ruggieri di
Loria ammiraglio
del re d'
Araona con
XLV galee armate
in aiuto di suo signore; sentendo che 'l navilio
del re di
Francia era nel porto di
Roses, e assai scemato
e straccato, sì l'asaliro
colle sue
galee e
coll'aiuto
di quegli della terra che ssi rubellarono
al re di
Francia e tennono co' Ciciliani, sì furono sconfitti e
presi i Franceschi, e fu arso gran parte
del navilio
del
re di
Francia, e fu preso l'amiraglio, ch'avea nome
messer
Inghirramo di
Baliuolo. E alla detta battaglia
del porto di
Roses venne
al soccorso dell'oste
del re
di
Francia il suo maliscalco con grande gente
a piede
e
a cavallo; ma poco e niente poterono adoperare alla
difensione
del loro navilio ch'era in
mare, ma
veggendolo
preso, misono fuoco nella terra
del porto di
Roses, e si tornarono all'oste
del re di
Francia.
L. 8, cap. 105 rubr.Come il re di Francia si partì d'Araona, e morì a
Perpignano.
L. 8, cap. 105Lo re
Filippo di
Francia veggendosi la fortuna così
mutata e contraria, e preso e arso il suo navilio che
gli portava la vittuaglia
a l'oste, sì si diede molta maninconia
e dolore, per la quale amalò forte di febbre
e di flusso, onde i suoi baroni presono per
consiglio
di partirsi e tornare in tolosana, e per nicessità il
conveniva loro fare per la difalta della vittuaglia, e
del tempo contrario dell'autunno, e per la malatia
del loro re. E così si partirono intorno le calen di ottobre,
recandone lo re malato in bara, e con
poca ordine
sciarrati, e chi meglio e più tosto potea
camminare;
onde passando il forte passo delle
Schiuse delle
grandi montagne
Phyris, i Raonesi e' Catalani ch'erano
al passo vollono impedire la bara dove il re di
Francia era malato. Veggendo ciò i Franceschi, come
disperati si misono alla battaglia contro
a quegli ch'erano
al passo, per non lasciare prendere il corpo
del
re, e per forza d'arme gli ruppono e sconfissono, e
cacciarono
del passo; ma molta gente
minuta
a piè
de' Franceschi furono presi e morti, e molti
somieri,
arnesi, e
cavagli straccati e presi per gli Catalani e
Raonesi. E poco appresso la partita
del re di
Francia
e di sua oste il re d'
Araona riebbe Gironda
a
patti.
E giunta l'oste
del re di
Francia
a modo di sconfitta
a
Perpignano, come piacque
a dDio, il re
Filippo di
Francia passò di questa vita
a dì
VI d'ottobre, gli
anni
di Cristo
MCCLXXXV, ed in Perpignano la reina Maria
sua moglie con sua compagnia feciono grande corrotto
e dolore. E poi
Filippo e
Carlo suoi figliuoli feciono
recare il corpo
a Parigi, e fu soppellito
a San
Donis co' suoi anticessori
a grande onore. Questa
impresa d'
Araona fue
colla maggiore
perdita di gente,
e
consumazione di
cavagli e di
tesoro, che quasi
mai per gli tempi passati avesse avuto il reame di
Francia; che poi lo re appresso il detto
Filippo e gli
più de' baroni sempre furono in debito e male agiati
di moneta. E appresso la
morte
del re
Filippo di
Francia fu fatto re di
Francia il re
Filippo il Bello suo
maggiore figliuolo, e
coronato
a re alla
città di
Riens
colla reina Giovanna di Navarra sua moglie il giorno
della
Pifania appresso. E nota che in uno
anno o poco
più, come piacque
a dDio, morirono
IIII così
grandi signori de' Cristiani, come fu papa Martino, e
il buono
Carlo re di Cicilia e di Puglia, e il valente
Piero re d'
Araona, e il possente
Filippo re di
Francia,
di cui avemo fatta menzione. Questo re
Filippo
fu signore di gran cuore, e in sua vita fece grandi imprese,
prima quando andò sopra lo re di Spagna, e
poi sopra lo
conte di Fusci, e poi sopra il re d'
Araona,
con più
potenzia che mai suo anticessoro avesse
fatto. Lasceremo
a dire de' fatti d'oltremonti, ch'assai
ne avemo detto
a questa volta, e torneremo
a dire
de' fatti della nostra Italia avenuti ne' detti tempi.
L. 8, cap. 106 rubr.Della morte di papa Martino quarto, e come fu fatto
papa Onorio de' Savelli di Roma.
L. 8, cap. 106Negli anni di Cristo passati MCCLXXXV, a dì XXIIII
di marzo, morì papa Martino in Perugia, e là fu soppellito
onorevolemente. Questi fu buono uomo e
molto favorevole per santa Chiesa a quelli della casa
di Francia, perché era natio dal Torso in Torena di
Francia. E poi la domenica appresso, primo dì d'aprile,
gli anni di Cristo MCCLXXXVI, fu eletto e fatto
papa Onorio quarto della casa de' Savelli gentili uomini
di Roma, e vivette nel papato II anni e II dì, e
quello che fu al suo papato ne faremo menzione appresso
per gli tempi.
L. 8, cap. 107 rubr.
Come certo navilio de' Genovesi furono presi da'
Pisani.
L. 8, cap. 107Nel detto anno MCCLXXXV, del mese di novembre,
i Pisani presono V navi grosse de' Genovesi e più altri
legni di Catalani e Ciciliani, i quali veniano di Romania
e di Cicilia, e per fortuna di tempo, per forza
del vento a scilocco, fuggirono in Porto Pisano, non
possendolo schifare, e parte ne ruppono, e' Pisani vi
trassono da Pisa a cavallo e a piè, e presono il detto
navilio; onde i Genovesi ricevettono danno di valuta
di L.m fiorini d'oro, e gli uomini rimasono pregioni, e'
legni de' Catalani e Ciciliani furono mendi per li Pisani.
L. 8, cap. 108 rubr.Come il conte Guido da Montefeltro signore in Romagna
s'arrendé alla Chiesa di Roma.
L. 8, cap. 108Negli
anni di Cristo
MCCLXXXV, essendo papa
Onorio quarto de' Savelli di
Roma, il
conte
Guido
da Montefeltro, il quale più tempo avea tenuta occupata
la provincia di
Romagna, sì come tiranno contro
alla Chiesa di
Roma in parte ghibellina, ove grandissimo
spargimento di sangue era fatto, come in
parte è fatta menzione adietro, e innumerabile spoglio
di moneta per la Chiesa di
Roma, e per gli Fiorentini
e Bolognesi in
servigio della Chiesa, e già perduta
per lo detto
conte da Montefeltro la
città di
Faenza e quella di
Cervia, e rendute alle comandamenta
della Chiesa, il detto
conte
Guido con
patti
ordinati venne
a' comandamenti
del detto papa, il
quale gli
perdonò, e
mandollo
a'
confini in Piemonte,
e tenne
due suoi figliuoli per
stadichi, e riformò
tutta
Romagna alla ubbidienza di santa Chiesa, e
mandovvi il papa per
conte messer
Guiglielmo
Durante
di
Proenza.
L. 8, cap. 109 rubr.Come papa Onorio mutò l'abito a' frati carmelliti.
L. 8, cap. 109
Al tempo
del detto papa Onorio de' Savelli, portando
i frati
del
Carmino uno abito, il quale secondo
religiosi pareva molto
disonesto, ciò era la cappa di
sopra
acerchiata con larghe
doghe bianche e
bigie,
dicendo che quello era l'abito di santo Elia profeta, il
quale stava nel Monte
Carmelio in Soria, il detto papa
Onorio il fece per più onestà mutare, e fare la
cappa tutta
bigia. Per la quale
mutazione si dice che
'l soldano de' Saracini che allora era, il quale (tutto
che quelli frati
eremita ch'erano di quello ordine, che
stavano nel Monte
Carmelio, fossono Cristiani) gli
aveva in reverenzia per onore di santo Elia profeta,
ch'era stato capo di quello luogo e di quello ordine,
dapoi che
mutarono l'abito, per
dispetto
del papa e
de' cristiani gli fece cacciare
del Monte
Carmelio, e
abitarlo per Saracini.
L. 8, cap. 110 rubr.Come il vescovo d'Arezzo fece rubellare il Poggio a
Santa Cecilia nel contado di Siena, e come si racquistò.
L. 8, cap. 110Nel detto anno, all'uscita del mese d'ottobre, messer
Guiglielmino degli Ubertini di Valdarno, che allora
era vescovo d'Arezzo, e era più uomo d'arme
che a onestà di chericia, per suo inducimento mandando
Vc fanti ghibellini del contado di Firenze e
d'Arezzo e di Siena, fece rubellare incontro a' Sanesi
uno forte castello del contado di Siena, che si chiamava
Poggio Santa Cecilia, per fare guerra a' Sanesi,
onde grande turbazione fu a tutta parte guelfa di Toscana,
però ch'era in parte da fare molta guerra. Per
la qual cosa il Comune di Siena colla forza de' Fiorentini,
che vi cavalcò molta buona gente cittadini di
Firenze, e la taglia de' Guelfi di Toscana, ond'era
capitano il conte Guido di Monforte, v'andarono ad
oste, faccendovi gittare dentro molti difici, e durovvi
l'assedio più di V mesi. E raunando il detto vescovo
sua oste di tutta parte ghibellina di Toscana per levare
il detto assedio, non ebbe podere, però che lla
parte de' Guelfi erano più possenti; per la qual cosa
quegli del castello avendo perduta la speranza del
soccorso, n'uscirono la notte di sabato d'ulivo del
mese d'aprile, e molti ne furono morti e presi, e quegli
che furono menati in Siena, furono chi impiccato
e chi tagliato il capo, e 'l castello fu tutto disfatto insino
alle fondamenta.
L. 8, cap. 111 rubr.
Come in Italia ebbe grande carestia di vittuaglia.
L. 8, cap. 111Nell'anno MCCLXXXVI, spezialmente del mese d'aprile
e di maggio, fu grande caro di vittuaglia in tutta
Italia, e valse in Firenze lo staio del grano alla misura
rasa soldi XVIII di soldi XXXV il fiorino dell'oro.
L. 8, cap. 112 rubr.Come messer Prezzivalle dal Fiesco venne in Toscana
per vicario d'imperio.
L. 8, cap. 112Nel detto
anno
aconsentìo papa Onorio che messer
Prezzivalle dal
Fiesco de'
conti da
lLavagna di
Genova fosse vicario d'imperio, e andò in Alamagna,
e fecesi
confermare
al re
Ridolfo, il quale era eletto
re de' Romani, e venne il detto vicario in
Toscana
per
raquistare le
ragioni dello 'mperio. Fu in
Firenze
in casa i
Mozzi, e richiese i Fiorentini, e' Sanesi, e'
Lucchesi, e'
Pistolesi, e l'altre terre e baroni di parte
guelfa di
Toscana che
giurassono le comandamenta
dello 'mperio, i quali non vollono ubbidire né giurare;
per la qual cosa il detto vicario si partì di
Firenze
in
discordia, e condannò e i Fiorentini in
LX.m marchi
d'ariento, e consequente per rata tutte le terre guelfe
che
nol vollono ubbidire, e poi n'andò in
Arezzo, e
fece
isbandire i Fiorentini in avere e in persona, e
per simile modo tutte l'altre terre
disubidienti. Ma
istando in
Arezzo, e non avendo séguito, però che i
Guelfi
nol voleano ubbidire per non
rassultare lo
'mperio, e' Ghibellini l'aveano
a sospetto perch'era
di progenia e nazione stati Guelfi, e però si tornò
al
re
Ridolfo in Alamagna con suo poco onore.
L. 8, cap. 113 rubr.Come morìo papa Onorio de' Savelli.
L. 8, cap. 113Negli anni di Cristo MCCLXXXVII, a dì III d'aprile,
morìo papa Onorio in Roma, e là fu soppellito a
grande onore nella chiesa di Santo Questi sostenne
anzi parte ghibellina che guelfa, e poco aiuto o
niente diede all'erede del re Carlo alla guerra di Cicilia,
onde montò molto lo stato e podere del re Giamo
d'Araona, che se ne avea fatto coronare re, e tutta
parte ghibellina d'Italia, come innanzi faremo
menzione.
L. 8, cap. 114 rubr.Come in Firenze ebbe certa novitade in questo
tempo.
L. 8, cap. 114Nel detto
anno, essendo podestà di
Firenze messer
Matteo da Fogliano di Reggio, avendo preso e
condannato nella testa per micidio fatto uno grande
guerriere e caporale, ch'avea nome Totto de'
Mazzinghi
da Campi, e andando alla giustizia, messer
Corso de'
Donati con suo seguito il volle torre alla
famiglia per forza; per la qual cosa la detta podestà
fece sonare la campana
a martello; onde s'armarono
e trassono
al palagio tutta la buona gente di
Firenze,
chi
a cavallo e chi
a piè, gridando: «Iustizia, iustizia!».
Per la qual cosa la detta podestà
aseguì il suo
processo, e dove
al detto Totto
dovea essere tagliata
la testa, il fece strascinare per la terra, e poi
impiccare
per la
gola, e condannò in moneta
coloro ch'aveano
cominciato il romore e impedita la giustizia.
L. 8, cap. 115 rubr.Come furono cacciati i Guelfi d'Arezzo, onde si cominciò
la guerra tra' Fiorentini e gli Aretini.
L. 8, cap. 115Nel detto
anno,
del mese di giugno, vacante la
Chiesa, e la parte ghibellina presa molta baldanza in
Toscana perché non v'era papa, essendo nella
città
d'
Arezzo alquanto tempo dinanzi
creato popolo, e
fatto uno caporale che chiamavano il priore
del popolo,
il quale perseguitava molto i grandi e possenti,
per la qual cosa messer Rinaldo de'
Bostoli cogli altri
Guelfi si
legarono con messer
Tarlato e cogli altri
grandi Ghibellini per abbattere il detto popolo. E
così feciono, e presono il detto priore, e feciongli cavare
gli occhi; per la qual cosa rimasono signori i
grandi guelfi e ghibellini; ma i Ghibellini tradirono i
Guelfi e gl'ingannarono per rimanere signori, e ordinarono
col vescovo d'
Arezzo che facesse sua raunata
di gente ghibellina di fuori d'
Arezzo, e così fece col
podere di
Bonconte da Montefeltro, e de' Pazzi di
Valdarno, e
Ubertini;
e
usciti ' Ghibellini di
Firenze,
una notte vennero
ad
Arezzo, non prendendosi guardia
i Guelfi, e per
tradimento essendoli data una
porta d'
Arezzo,
entrarono nella
città, e cacciaronne
fuori la parte guelfa, e fecesene fare signore
. Per la
quale
mutazione e
novità in
Firenze n'ebbe grande
paura e gelosia. Gli usciti guelfi cacciati d'
Arezzo
presono il castello di
Rondine e il Monte San Savino,
e feciono lega co' Fiorentini e
coll'altre terre guelfe
di
Toscana, i quali dierono loro i cavalieri della taglia,
ch'erano
V.c, perché facessono
guerra
agli Aretini,
e per la detta cagione si cominciò la
guerra tra gli
Aretini e' Fiorentini. E in questo tempo, com'era ordinato
per gli Ghibellini, tornò messere
Prezzivalle
del
Fiesco, vicario dello imperio d'Alamagna, in
Arezzo con alquanta gente ch'ebbe dal re
Ridolfo, e
là fece capo con tutti i Ghibellini di
Toscana, faccendo
guerra
a' Fiorentini e
a' Sanesi. E
del mese di febbraio
vegnente cavalcò la gente ch'era in
Arezzo, intorno
di cinquecento cavalieri e pedoni assai, in sul
contado di
Firenze, e intorno
a Monteguarchi arsono
case e capanne, e levarono preda, né già per loro cavalcata
non uscirono le masnade de' Fiorentini di
Monteguarchi né di San Savino, onde gli Aretini si
tornarono in
Arezzo sani e salvi; ma poco appresso,
faccendo i Ghibellini d'
Arezzo loro cavalcata alla
città
di Chiusi, ne cacciarono la parte guelfa, e feciono i
Chiusini lega co· lloro contro
a' Sanesi e Montepulciano.
L. 8, cap. 116 rubr.D'uno grande fuoco che s'accese in Firenze.
L. 8, cap. 116Nel detto
anno
MCCLXXXVII,
del mese di
, di
notte s'apprese il fuoco in
Firenze nel palagio de'
Cerretani dalla porta
del vescovo, e arse il detto palagio,
e più case d'intorno, con grande
danno di loro
e de' vicini, e
morìvi una balia con uno fanciullo; che
poi ch'ella ne fu fuori si ricordò di suoi danari ch'avea
lasciati in una cassetta, e per
covidigia vi tornò,
onde rimase nel fuoco. Di questa vile
ricordanza avemo
fatta memoria per esemplo della folle avarizia
delle femmine. Lasceremo de' fatti di
Firenze, e torneremo
alquanto
a
contare della
guerra di Cicilia.
L. 8, cap. 117 rubr.Come l'armata di Carlo Martello presono la città
d'Agosta in Cicilia, e come la loro armata fu sconfitta
in mare da Ruggieri di Loria.
L. 8, cap. 117Nel detto
anno
MCCLXXXVII,
a dì
XXII d'
aprile, si
partirono da Napoli
L tra
galee e
uscieri armate con
V.c cavalieri, le quali avea fatte apparecchiare il
conte
d'Artese, il quale era balio e governatore di
Carlo
Martello giovane figliuolo di
Carlo secondo, e di tutto
il Regno, e di quelle fece amiraglio e capitano
messer Rinaldo da
Velli. E passò in Cicilia, e prese
per forza per lo sùbito e improviso avenimento la
città d'Agosta, e rimandò il navilio
a Brandizio in
Puglia per guernigione, e quella Agosta afforzò molto
per
difenderla e tenerla per l'erede
del re
Carlo,
come
valoroso e savio cavaliere. Come
don Giamo
d'
Araona signore di Cicilia seppe ciò, sì andò con
tutto suo isforzo all'assedio della detta
città d'Agosta
ribellata, e fece armare
al suo amiraglio messer Ruggieri
di
Loria
XLV galee, acciò che guardasse le marine,
che vittuaglia non potesse venire alla guernigione
dell'Agosta, e che se armata si facesse
a Napoli, non
si potesse agiugnere con quella di Brandizio. Come il
conte Artese ebbe la
novella della presa dell'Agosta,
ordinò d'armare
a Brandizio il navilio e
galee ch'erano
tornate con molta vittuaglia e guernigione, e
a
Napoli poi fece armare
LX galee per soccorrere l'Agosta,
e passare in Cicilia con grande oste, e con
molti baroni e cavalieri franceschi e provenzali e italiani,
e della detta armata era amiraglio messer
Arrighino
da Mare di
Genova. Come Ruggieri di
Loria
seppe la
novella, incontanente, come savio amiraglio
e maestro di
guerra, si diliberò di venire adosso all'armata
di Napoli, e per
sottrarreli alla battaglia innanzi
che s'
accozzassero
coll'armata di Puglia che
dovea partire da Brandizio; e così gli venne fatto,
che il dì di santo Giovanni,
del mese di giugno
del
detto
anno, Ruggieri di
Loria
colla sua armata venne
insino nel porto di Napoli, faccendo saettare nella
terra, e con grida e
villane parole e
a
isvergognare il
conte Artese e' suoi Franceschi, i quali come gente
poco savi di
guerra di
mare, vedendosi dispregiare
a'
Catalani e
a' Ciciliani, presono isdegno, e con
furia e
sanza ordine montarono in
galee, e ciò fu il
conte
Guido di
Monforte, e il
conte di Brenna, e messer
Filippo figliuolo
del
conte di
Fiandra, e più altri baroni
e cavalieri, e
colle dette
LX galee armate di molta
buona gente uscirono
del porto di Napoli seguendo
l'armata de' Ciciliani. Ruggieri di
Loria amiraglio
di Cicilia, avendosi dilungato da Napoli intorno di
VI
miglia, veggendo venire la detta armata isparta e non
ordinata, come valente amiraglio prese suo
vantaggio,
non guardando perché fossono più
galee che le
sue: sì fece
vogliere le sue
galee e fedire
a la detta armata,
spezialmente alle
galee ov'erano i signori franceschi,
i quali conoscea per mali maestri di
mare. La
battaglia fu aspra e
dura, che con tutto che' baroni e'
cavalieri franceschi e provenzali non fossono usi di
battaglia di
mare, pure erano valenti e virtudiosi in
arme; ma alla fine abandonati dal loro amiraglio
messer
Arrighino da Mare (non piaccendogli la battaglia
non volle fedire
colle sue
galee genovesi), le
galee de' baroni furono sconfitte e prese gran parte,
e menati in Cicilia; ma poi per danari la maggiore
parte de' baroni e cavalieri si
ricomperarono, salvo il
conte di
Monforte che morì in pregione. La detta
sconfitta fu grande abbassamento della parte di
Carlo
Martello e
del
conte d'Artese, che teneano il Regno,
e grande
esultamento de' Ciciliani e de' Catalani;
per la qual cosa,
del mese di luglio presente, s'
arendé
la
città d'Agosta
a
don Giamo, salve le persone,
e fecesi triegua tra lle dette parti dalla san Michele
vegnente
a uno
anno. Lasceremo alquanto della
detta materia, e diremo d'altre
novitadi di
Firenze e
di
Toscana ne' detti tempi.
L. 8, cap. 118 rubr.
Come s'apprese uno grande fuoco in Firenze in casa
Cerchi.
L. 8, cap. 118Nel detto anno, a dì VIIII di febbraio, la notte di
carnasciale s'apprese il fuoco in Firenze nelle case e
palagi de' Cerchi neri da porte San Piero, e arse dalla
volta ch'era in su l'antica porta insino a la 'ncontra
di Santa Maria in Campo, i quali erano molto belli e
ricchi palagi e casamenti; e arsevi molta roba e ricchi
arnesi, ma non v'ebbe danno di persona. Ma poco
tempo appresso i detti Cerchi, ch'erano di grande
ricchezza e podere, le feciono rifare più belle che
prima.
L. 8, cap. 119 rubr.Della chiamata di papa Niccola IIII d'Ascoli.
L. 8, cap. 119Negli
anni di Cristo
MCCLXXXVII, in mezzo febbraio,
il dì di
caffera san Piero fu eletto papa Niccola
IIII della
città d'Ascoli della Marca. Questi avea nome
Girolamo, e fu frate minore, e per sua bontà e
scienzia fu fatto ministro generale dell'ordine, e poi
cardinale, e poi papa; e sedette
anni
IIII, e mesi
I, e
dì
VIII; e vacò la Chiesa dopo la sua
morte
anni
II, e
mesi
III, e dì
VIII. Quello che fu fatto per lui, e
al suo
tempo, faremo menzione per gli tempi ordinatamente.
Questi
favorò molto parte ghibellina
occultamente,
e tutta sua famiglia erano Ghibellini, e quegli della
casa della Colonna
agrandì molto, e fece cardinale
messer Piero della Colonna, nonostante ch'avesse
moglie, la quale dispensò e fece fare monaca; e per
partire gli
Orsini,
a petizione de' Colonnesi fece cardinale
messer Nepoleone
Orsini di que' dal Monte,
loro
parente e nemico degli altri; per la qual cosa
molto montò lo stato de' Ghibellini, e abbassò lo
stato
del re
Carlo e de' Guelfi.
L. 8, cap. 120 rubr.D'una grande oste che 'l Comune di Firenze fece sopra
la città d'Arezzo, e alla partita i Sanesi furono sconfitti
alla pieve al Toppo.
L. 8, cap. 120Negli
anni di Cristo
MCCLXXXVIII, i Fiorentini
coll'
altre terre guelfe della taglia di
Toscana, veggendo
che 'l vescovo d'
Arezzo col suo séguito de' Ghibellini
di
Toscana, e
del
Ducato, e di
Romagna, e della
Marca aveano fatto capo in
Arezzo, e raunata di gente
a cavallo e
a piè, e faceano
guerra in sul
contado
di
Firenze e in su quello di Siena, i Fiorentini si
dispuosono
di contastare all'orgoglio degli Aretini, e
impuosono tra lloro
VIII.c cavallate con ricchi e grossi
cavalli, e
bandirono oste sopra
Arezzo, e date loro
insegne,
a dì
XXIII di maggio
del detto
anno, alla signoria
di messer Antonio da
Fosseraco di Lodi,
mandarono le dette
bandiere e
insegne alla
badia
a
Ripole, e là stettono
VIII giorni spiegate. E ciò usavano
i Fiorentini in quello tempo per grandigia e signoria,
che voleano che lla loro uscita
ad oste fosse
palese e nota
a' nemici e
a ttutta gente. Poi si mosse
l'oste il primo dì di giugno, e furono
XXVI.c di cavalieri
e
XII.m pedoni; che
VIII.c furono cavallate di propii
cittadini di
Firenze grandi e popolani, e
III.c soldati
propii de' Fiorentini, e
V.c della taglia della compagnia
de' Guelfi di
Toscana e
III.c di Lucca, e
CL di Pistoia,
e
L di Prato, e
L di Volterra, e
L di Samminiato,
e
L di San Gimignano, e
XXX di
Colle, e da
CCL
d'altra amistà, e de'
conti
Guidi guelfi,
Maghinardo
da Susinana, messer Iacopo da fFano,
Filippuccio da
Iegi, e' marchesi
Malispini, e giudice di
Gallura, e'
conti
Alberti, e altri
baroncelli di
Toscana; e fu la
più grande e ricca oste che facessono i Fiorentini
dapoi
che' Guelfi tornarono in
Firenze. E stettono
a
oste in sul
contado d'
Arezzo
XXII dì, e presono il castello
di Leona e
disfeciollo, e presono
Castiglione
degli
Ubertini, e le
Conie, e più di
XL altre castella e
fortezze della Valle d'Ambra e
del
contado intorno
ad
Arezzo. E puosonsi
ad oste
al castello di Laterino,
e stettonvi
VIII dì, ed ebbollo
a
patti, che v'era dentro
per capitano Lupo degli Uberti, veggendosi chiudere
e steccare d'intorno; onde molto fu biasimato
da' Ghibellini, però che si potea tenere, e era fornito
per più di
III mesi. Ma Lupo si
scusava per
motti,
che nullo lupo nonn era
costumato di stare
rinchiuso.
E renduto Laterino
a' Fiorentini, guernirlo; e in
questa stanza vi vennero i Sanesi con loro isforzo di
IIII.c cavalieri e di
III.m pedoni molto
bella gente, e
guastarono tutte le vigne e giardini intorno alle
mura
d'
Arezzo, e
tagliarono l'olmo. Ma istando
a campo,
la
vilia di santo Giovanni Batista fu maggiore turbico
di vento e d'acqua che ssi ricordi, e abbatté trabacche
e padiglioni, ispezialmente nel campo de' Sanesi,
che tutte le stracciò e portò il vento in aria, e fu
segno
del loro futuro
danno. E poi il dì di san Giovanni
Batista vennero i Fiorentini schierati in sul prato
d'
Arezzo, e in quello dinanzi alla porta della
città feciono
correre il palio, siccome per loro
costuma si
facea per la detta festa in
Firenze, e
fecionvisi
XII cavalieri
di corredo. E ciò fatto, l'oste de' Fiorentini si
partì il dì appresso, e lasciando in Laterino in guernigione
C cavalieri per
guerreggiare
Arezzo; e tornò
l'oste in
Firenze co· lloro amistà bene
aventurosamente,
sanza contasto o vista di niuna forza de' nimici. E
vollono che' Sanesi per loro
sicurtà ne venissono
colla
loro oste insieme infino
a
Montevarchi, e di là se
n'andassero
a Siena per la
via di Montegrossoli; onde
i Sanesi tenendosi possenti e leggiadri,
isdegnarono,
e non vollono fare quella
via, né vollono compagnia
de' Fiorentini, e feciono la
via diritta per guastare il
castello di Licignano di
Valdichiane, salvo che co· lloro
andò il
conte
Allessandro da
Romena, allora capitano
della taglia, con certi di sua gente. I capitani di
guerra della
città d'
Arezzo, che ve n'avea assai e buoni,
il caporale
Bonconte da Montefeltro e messer
Guiglielmino Pazzo, sentendo la partita che
doveano
fare i Sanesi, misono uno guato con
III.c cavalieri e
II.m
pedoni
al valico della pieve
al Toppo, onde
valicavano
i Sanesi male ordinati, per troppa baldanza isproveduti,
e giugnendo
al detto valico, assaliti
dagli Aretini,
per la
poca loro ordine e sproveduto assalto furono
assai tosto sconfitti, e furonne tra morti e presi
più di
III.c pur de' migliori cittadini di Siena, e de'
migliori e gentili uomini di Maremma ch'erano in loro
compagnia,
intra' quali vi morìo Rinuccio di
Pepo
di Maremma, molto nomato capitano; della quale
sconfitta i Sanesi n'ebbono grande abbassamento, e'
Fiorentini e tutti i Guelfi di
Toscana ne sbigottirono
assai, e gli Aretini ne montarono in grande orgoglio,
come innanzi faremo menzione.
L. 8, cap. 121 rubr.Come furono cacciati di Pisa il giudice di Gallura e
la parte guelfa, e preso il conte Ugolino.
L. 8, cap. 121Negli
anni di Cristo
MCCLXXXVIII,
del mese di luglio,
essendo
criata in
Pisa grande divisione e
sette
per cagione della signoria, che dell'una era capo il
giudice
Nino di
Gallura di Visconti con certi Guelfi
e l'altro era il
conte Ugolino de'
Gherardeschi
coll'altra
parte de' Guelfi, e l'altro era l'arcivescovo Ruggieri
degli
Ubaldini co'
Lanfranchi, e Gualandi, e
Sismondi,
con altre case ghibelline, il detto
conte Ugolino
per essere signore s'accostò
coll'arcivescovo e
sua parte, e tradì il giudice
Nino, non guardando che
fosse suo nipote figliuolo della figliuola, e ordinarono
che fosse cacciato di
Pisa co' suoi seguaci, o preso
in persona. Giudice
Nino sentendo ciò, e non
veggendosi forte
al riparo, si partì della terra, e andossene
a
Calci suo castello, e
allegossi co' Fiorentini
e' Lucchesi per fare
guerra
a' Pisani. Il
conte Ugolino
innanzi che giudice
Nino si partisse, per coprire
meglio suo
tradimento, ordinata la cacciata di giudice,
se n'andò fuori di
Pisa
a uno suo
maniero che ssi
chiamava Settimo. Come seppe la partita di giudice
Nino, tornò in
Pisa con grande allegrezza, e da' Pisani
fu fatto signore con grande allegrezza e festa; ma
poco stette in su la signoria, che lla fortuna gli si rivolse
al contrario, come piacque
a dDio, per gli suoi
tradimenti e peccati; che di vero si disse ch'egli fece
avelenare il
conte Anselmo da Capraia suo nipote, figliuolo
della
serocchia, per invidia, e perché era in
Pisa grazioso, e temendo non gli togliesse suo stato.
E avenne
al
conte Ugolino quello che di poco dinanzi
gli avea
profetato uno savio e valente uomo di
corte,
chiamato Marco Lombardo; che quando il
conte
fu
al tutto chiamato signore di
Pisa, e quando era in
maggiore stato e felicità, fece per lo giorno di sua natività
una ricca festa, ov'ebbe i figliuoli, e' nipoti, e
tutto suo lignaggio e
parenti, uomini e donne, con
grande pompa di vestimenti e d'
arredi, e
apparecchiamento
di ricca festa. Il
conte prese il detto Marco,
e
vennegli mostrando tutta sua grandezza e
potenzia,
e
apparecchiamento della detta festa; e ciò
fatto, il domandò: «Marco, che te ne
pare?». Il savio
gli rispuose subito, e disse: «Voi siete meglio apparecchiato
a ricevere la
mala
meccianza, che barone
d'Italia». E il
conte temendo della parola di Marco,
disse: «Perché?». E Marco rispuose: «Perché non
vi falla altro che
ll'
ira d'Iddio». E certo l'
ira d'Iddio
tosto gli sopravenne, come piacque
a dDio, per gli
suoi tradimenti e peccati, ché come era
conceputo
per l'arcivescovo di
Pisa e' suoi seguaci di cacciare di
Pisa giudice
Nino e' suoi, col
tradimento e trattato
dal
conte Ugolino,
scemata la forza de' Guelfi,
ordinò
l'arcivescovo di tradire il
conte Ugolino; e subitamente
a furore di popolo il fece assalire e combattere
al palagio, faccendo intendere
al popolo ch'egli
avea tradito
Pisa, e rendute le loro castella
a' Fiorentini
e
a' Lucchesi; e sanza nullo riparo
rivoltoglisi il
popolo adosso, s'
arrendéo preso, e
al detto assalto fu
morto uno suo figliuolo bastardo e uno suo nipote, e
preso il
conte Ugolino, e
due suoi figliuoli, e tre nipoti
figliuoli
del figliuolo, e
misorgli in pregione, e
cacciarono di
Pisa la sua famiglia e suoi seguaci, e
Visconti, e
Ubizzinghi,
Guatani, e tutte l'altre case
guelfe. E così fu il traditore dal traditore tradito; onde
a parte guelfa di
Toscana fu grande
abassamento,
e
esultazione de' Ghibellini per la detta revoluzione
di
Pisa, e per la forza de' Ghibellini d'
Arezzo, e per
la
potenzia e vittorie di
don Giamo di Raona e de'
Ciciliani contra l'erede
del re
Carlo.
L. 8, cap. 122 rubr.Come i Lucchesi presono sopra i Pisani il castello
d'Asciano.
L. 8, cap. 122Nel detto anno, del mese d'agosto, i Lucchesi con
giudice di Gallura e cogli usciti guelfi di Pisa (e di
Firenze v'andarono XII cavalieri di corredo con CC
cavalieri soldati) andarono ad oste in sul contado di
Pisa, e puosonsi al castello d'Asciano presso di Pisa a
tre miglia, e ebbollo a patti, salve le persone, e tornarono
in Lucca sani e salvi sanza nullo contasto de'
Pisani. E per loro dispetto i Lucchesi, preso il castello,
nella maggiore torre feciono mettere più specchi,
perché i Pisani vi si specchiassono.
L. 8, cap. 123 rubr.
Come' soldati de' Pisani che venieno di Campagna
furono sconfitti in Maremma da' soldati de' Fiorentini.
L. 8, cap. 123Nel detto anno, del mese di settembre, vegnendo
di terra di Roma e di Campagna CC cavalieri soldati
per lo Comune di Pisa, i quali guidava il conticino
da Ilci di Maremma, sentendo la loro venuta il giudice
di Gallura ch'era in Samminiato, con ordine de'
Fiorentini, mandarono loro incontro III.c cavalieri di
quegli della taglia con certi Fiorentini, onde fu capitano
messer Guelfo de' Cavalcanti e Berardo da Rieti
conastabole per condotta di Minuccio da Biserno; e
scontrandosi co' detti soldati de' Pisani in Maremma,
gli ruppono e sconfissono, e molti ne furono
morti e presi, che pochi ne scamparono col conticino
da Ilci; e le loro insegne recate in Firenze con grande
festa, e il detto Berardo da Rieti conastabole fu fatto
cavaliere per lo Comune di Firenze, e feciongli ricchi
doni e grande onore.
L. 8, cap. 124 rubr.Della cavalcata che' Fiorentini feciono a Laterina
per andare sopra ad Arezzo.
L. 8, cap. 124Nel detto tempo,
a dì
XV di settembre, essendo gli
Aretini
ad oste sopra uno loro castello rubellato per
gli Guelfi, ch'avea nome
Corciano, i Fiorentini, per
farne levare da oste gli Aretini, cavalcarono subitamente
a Laterino per andare verso
Arezzo, e furono
le cavallate di
Firenze, e da
CCL loro soldati; sicché
furono intorno di
M uomini
a cavallo e da
IIII.m pedoni,
e in quella oste e cavalcata si diede di prima la
'nsegna reale dell'arme
del re
Carlo, e
ebbela messer
Berto
Frescobaldi, e poi sempre l'usarono i Fiorentini
in loro oste per la mastra insegna. E sentendo gli
Aretini la detta cavalcata, per tema della terra, di
notte si levarono dal detto castello, quasi
a modo di
sconfitta, non aspettando l'uno l'altro, e tornarono in
Arezzo; e ciò fatto, per
rinvigorire loro parte mandarono
a' Fiorentini che gli
atendessono, che voleano
la battaglia; i quali avuta la
novella, allegramente gli
attesono
al castello di Laterino: gli Aretini co· lloro
amistà di Marchigiani, e Romagnuoli, e usciti ghibellini
di
Firenze e delle terre di
Toscana, in quantità di
VII.c cavalieri e di
VIII.m pedoni, vennero schierati alla
ripa di là dall'Arno che si chiama Ca della
Riccia, incontro
a Laterino. I Fiorentini veggendo i nimici,
francamente s'
armaro, e usciro di Laterino, e
schierarsi
in su la riva d'Arno, il quale fiume d'Arno in
quello tempo era molto sottile d'acqua, e agevole
a
passare
a quegli da piè, non che
a quegli da cavallo.
E ciò fatto, i Fiorentini richiesono gli Aretini che
scendessono
al piano in su l'Arno, o
dessono campo
a lloro di passare in su il loro piano per venire alla
battaglia; ma gli Aretini
a cciò non feciono
risposta,
ma guardavano di prendere loro
vantaggio della battaglia
al passare dell'Arno; e così stette
ciascuna parte
alla gara. Alla fine gli Aretini, schifando la battaglia,
si partirono sconciamente e tornaronsi in
Arezzo,
e' Fiorentini rimasono schierati in su la riva d'Arno
infino
al vespro, e poi si tornarono in Laterino; e
vegnendone poi verso
Firenze, disfeciono Montemarciano,
e Poggio
Tazi, e Montefortino, castella de'
Pazzi di Valdarno. Ma partiti i Fiorentini di Laterino,
la masnada d'
Arezzo con certi Ghibellini essendo
in Bibbiena in Casentino, per
condotta di certi
isbanditi e rubelli ghibellini di Valdisieve, cavalcarono
infino
al Ponte
a Sieve presso
a
fFirenze
a
X miglia,
levando preda, e ardendo, e guastando per
quelle contrade, e faccendo
danno assai, si tornarono
sanza contasto in Bibbiena; e ciò fu
a dì
XIII d'ottobre
del detto
anno.
L. 8, cap. 125 rubr.Come il prenze Carlo uscì dalla pregione del re d'Araona.
L. 8, cap. 125Nel detto
anno,
del mese di novembre, il
prenze
Carlo uscì della pregione
del re d'
Araona per
procaccio
del re
Adoardo re d'Inghilterra, con
patti, che
promise
a
don
Anfus re d'
Araona ch'
a suo podere
procaccerebbe che messer
Carlo di
Valos fratello de·
re di
Francia
rinunzierebbe con volontà
del papa il
privilegio
del reame d'
Araona, che gli avea dato la
Chiesa
al tempo di papa Martino, come addietro facemmo
menzione; e se ciò non facesse,
promise e
giurò di ritornare in sua pregione dal giorno
a
tre
anni.
E per fermezza della detta promessa lasciò per
istadichi
III suoi figliuoli, Ruberto, e
Ramondo, e
Giovanni, e
L de' migliori cavalieri di
Proenza. E
costogli
il detto accordo
XXX.m marchi di sterlini. E ciò
fatto, il detto
prenze
Carlo n'andò in
Francia
al re
per fare rinunziare
a messer
Carlo, ma niente ne
poté
fare.
L. 8, cap. 126 rubr.D'uno grande diluvio d'acqua che fu in Firenze.
L. 8, cap. 126Nel detto anno, a dì V di dicembre, fu in Firenze e
nel contado uno grande diluvio di piova, onde il fiume
d'Arno crebbe sì disordinatamente, e durò col
detto empito fuori d'ogni termine usato dalla mattina
alla sera, e fece ruvinare palazzi e case degli Spini
e de' Gianfigliazzi, ch'erano di costa al ponte a Santa
Trinita, e grande danno fece nel contado di Firenze
e in quello di Pisa.
L. 8, cap. 127 rubr.Come gli Aretini vennero guastando per lo contado
di Firenze insino a San Donato in Collina.
L. 8, cap. 127Nel detto
anno,
a dì
XII del mese di marzo, la masnada
d'
Arezzo, intorno di
III.c uomini
a cavallo e
ben
III.m a piè, vennero infino
a
Montevarchi, ardendo
e
guastandolo intorno; e arsono il borgo
del castello,
e tutto dì combatterono la terra. E stando l'oste
degli Aretini
a
Montevarchi, certi usciti di
Firenze
con alquanti
scorridori
a cavallo e
a piè corsono
insino
a San
Donato in Collina presso
a
fFirenze
a
VII miglia, ardendo e guastando, sicché i fummi delle
case e dell'arsione si vedea della
città di
Firenze, e
cominciarono
a tagliare l'olmo da San
Donato per
dispetto de' Fiorentini. E ciò fatto, si tornarono nel
borgo di
Fegghine, e stettonvi uno dì e una notte; né
già per la detta cavalcata non si mosse uomo di
Firenze,
anzi ebbe nella terra grande gelosia, temendo
che lla detta cavalcata non fosse fatta per
tradimento
della terra, perché in
Firenze erano rimasi molti Ghibellini
grandi e popolani, de' quali per quello sospetto
molti ne furono mandati
a'
confini, e la
città rimase
sanza sospetto.
L. 8, cap. 128 rubr.Come i Pisani feciono loro capitano il conte da
Montefeltro, e come feciono morire di fame il conte
Ugolino e' figliuoli e' nipoti.
L. 8, cap. 128Nel detto
anno
MCCLXXXVIII,
del detto mese di
marzo, riscaldandosi le guerre di
Toscana tra' Guelfi
e' Ghibellini, per la
guerra cominciata de' Fiorentini
e Sanesi
agli Aretini, e de' Fiorentini e Lucchesi
a'
Pisani, i Pisani
elessono per loro capitano di
guerra il
conte
Guido di Montefeltro,
dandogli grande giuridizione
e signoria; il quale ruppe i
confini ch'avea
per la Chiesa, e partissi di Piemonte, e venne in
Pisa;
per la qual cosa egli e' suoi figliuoli e famiglia, e tutto
il Comune di
Pisa, dalla Chiesa di
Roma furono
scomunicati, siccome ribelli e nimici di santa Chiesa.
E giunto il detto
conte in
Pisa
del detto mese di marzo,
i Pisani, i quali aveano messo in pregione il
conte
Ugolino e
due suoi figliuoli, e
due figliuoli
del
conte
Guelfo suo figliuolo, siccome addietro facemmo
menzione, in una torre in su la piazza degli anziani,
feciono chiavare la porta della detta torre, e le chiavi
gittare in Arno, e vietare
a' detti pregioni ogni
vivanda,
gli quali in pochi giorni vi morirono di
fame. Ma
prima domandando con grida il detto
conte penitenzia,
non gli
concedettono frate o prete che 'l confessasse.
E tratti tutti e
cinque insieme morti della detta
torre, vilmente furono
sotterrati; e d'allora innanzi la
detta carcere fu chiamata la torre della
fame, e sarà sempre.
Di questa
crudeltà furono i Pisani per l'universo
mondo, ove si seppe, forte biasimati, non tanto
per lo
conte, che per gli suoi difetti e tradimenti era
per aventura degno di sì fatta
morte, ma per gli figliuoli
e nipoti, ch'erano giovani garzoni e innocenti;
e questo peccato commesso per gli Pisani non rimase
impunito, siccome per gli tempi innanzi si potrà trovare.
Lasceremo alquanto de' fatti di
Firenze e di
Toscana, e diremo d'altre
novità ch'
a' detti tempi apparirono,
e furono per l'universo
mondo.
L. 8, cap. 129 rubr.Come i Saracini presono Tripoli di Soria.
L. 8, cap. 129Negli
anni di Cristo
MCCLXXXVIIII,
del mese di
maggio, il soldano di Babbillonia d'
Egitto con grandissimo
esercito di Saracini
a cavallo e
a piè venne in
Soria, e puosesi
ad oste alla
città di Tripoli, la quale
si tenea per gli Cristiani, e quella per
dificii e cave
ebbe per forza; e molti Cristiani che v'avea dentro
furono morti; e li giovani garzoni, e le donne e pulcelle
furono violate villanamente da' Saracini, e
menate
in servaggio; alquanti ne scamparono in
galee e
legni ch'erano nel porto, e fuggirsi
ad
Acri. E
entrativi
i Saracini, la rubarono e spogliarono d'ogni sustanzia,
la quale era piena di molte gioie e
mercatantie
e cose. E ciò fatto, la feciono abattere e disfare insino
alla fondamenta, salvo il castello chiamato
Nelisino,
il quale era di fuori alla
città
ad una balestrata,
e
guernitollo di Saracini alla guardia, perché la
città
di Tripoli non si rifacesse per gli Cristiani.
L. 8, cap. 130 rubr.Della coronazione del re Carlo secondo, e come passò
per Firenze, e lasciò messer Amerigo di Nerbona
per capitano di guerra de' Fiorentini.
L. 8, cap. 130Nel detto
anno,
a dì
II di maggio, venne in
Firenze
il
prenze
Carlo figliuolo
del grande re
Carlo, il
quale tornava di
Francia poi ch'era uscito di pregione,
e andavane
a
corte
a Rieti dov'era il papa, e da'
Fiorentini fu ricevuto con grande festa, e fugli fatto
grande onore e presenti da' Fiorentini; e dimorato
III giorni in
Firenze, si partì per fare suo
cammino
verso Siena. E lui partito, venne in
Firenze
novella
che lle masnade d'
Arezzo s'apparecchiavano d'andare
in sul
contado di Siena per impedire o fare vergogna
al detto
prenze
Carlo, il quale ave' piccola compagnia
di gente d'arme. Incontanente i Fiorentini feciono
cavalcare i cavalieri delle cavallate, ove furono
tutto il fiore della buona gente di
Firenze e' soldati
ch'erano in
Firenze, e furono in quantità di
VIII.c cavalieri
e
III.m pedoni per accompagnare il detto
prenze;
onde il
prenze l'ebbe molto per bene di sì onorato
servigio, e sùbito e non richesto soccorso di tanta
buona gente, e con tutto che non facesse bisogno;
ché sentito per gli Aretini la cavalcata de' Fiorentini,
non s'ardirono d'andarvi; ma però i Fiorentini accompagnarono
il detto
prenze infino di là da la Bricola
a'
confini
del
contado di Siena e d'Orbivieto. E
adomandato per lo Comune di
Firenze
al
prenze
uno capitano di
guerra, e che
confermasse loro di
portare in oste la 'nsegna reale, dal
prenze fu accettato,
e fece cavaliere Amerigo di Nerbona grande
gentile uomo, e
prode e savio in
guerra, e
diello loro
per capitano; il quale messer Amerigo con sua compagnia,
intorno di
C uomini
a cavallo, venne in
Firenze
colla detta cavalleria, e il
prenze n'andò
a
corte,
e dal papa Niccola
IIII e da' suoi cardinali onorevolemente
fu ricevuto; e il dì della Pentecosta vegnente,
a dì
XXVIIII di maggio
MCCLXXXVIIII, nella
città di
Roma fu dal detto papa
coronato il detto
Carlo re di Cicilia e di Puglia con grande onore, solennità
e festa, e dalla Chiesa fattegli molte grazie e
grandi presenti di gioielli e di moneta, e
susidii di
decime per aiuto della
guerra di Cicilia. E ciò fatto
si partì lo re
Carlo di
corte, e
andonne nel Regno.
L. 8, cap. 131 rubr.
Come i Fiorentini sconfissono gli Aretini a Certomondo
in Casentino.
L. 8, cap. 131Nel detto
anno e mese di maggio, tornata la cavalleria
di
Firenze da accompagnare il
prenze
Carlo, e
col loro capitano messer Amerigo di Nerbona, per
soperchi ricevuti
dagli Aretini incontanente feciono
bandire oste sopra la
città d'
Arezzo, e diedono loro
insegne di
guerra
a dì
XIII di maggio, e la 'nsegna
reale ebbe messer
Gherardo Ventraia de' Tornaquinci,
e incontanente che furono date le portarono
alla
badia
a Ripole, com'era usato, e là le lasciarono
con guardia, faccendo vista d'andare per quella
via
sopra la
città d'
Arezzo. E venuta l'amistà e fornita
l'
ordine, con segreto
consiglio presono ordine e partito
d'andare per la
via di Casentino, e subitamente
a
dì
II di giugno, sonate le
campane
a martello, si mosse
la bene
aventurosa oste de' Fiorentini, e le
bandiere
ch'erano
a Ripole feciono passare Arno, e tennono
la
via
del Ponte
a Sieve, e
accamparsi per attendere
tutta gente in su Monte
al
Pruno, e là si trovarono da
MVI.c cavalieri e da
X.m pedoni, de' quali v'ebbe
VI.c cittadini
con cavallate, i meglio armati e montati ch'uscissono
anche di
Firenze, e
IIII.c soldati
colla gente
del capitano messer Amerigo
al soldo de' Fiorentini;
e di Lucca v'ebbe
CL cavalieri, e di Pistoia
LX cavalieri
e pedoni, di Prato
XL cavalieri e pedoni, e di Siena
CXX cavalieri, e di Volterra
XL cavalieri, e di Bologna
loro ambasciadori co· lloro compagnia, e di Samminiato,
e di San Gimignano, e di
Colle, di
ciascuna
terra v'ebbe gente
a cavallo e
a piè; e
Maghinardo da
Susinana buono capitano e savio di
guerra con suoi
Romagnuoli. E raunata la detta oste, scesono nel piano
di Casentino guastando le terre
del
conte
Guido
Novello, ch'era podestà d'
Arezzo. Sentendo ciò il vescovo
d'
Arezzo, cogli altri capitani di parte ghibellina,
che assai v'aveva de' nominati, presono partito di
venire con tutta loro oste
a Bibbiena, perché non ricevesse
il guasto, e furono
VIII.c cavalieri e
VIII.m pedoni,
molto
bella gente, e di molti savi capitani di
guerra ch'avea tra lloro, che v'era il fiore de' Ghibellini
di
Toscana, della Marca, e
del
Ducato, e di
Romagna,
e tutta gente
costumati in arme e in
guerra; sì
richiesono di battaglia i Fiorentini, non temendo
perché i Fiorentini fossono
due
cotanti cavalieri di
loro, ma
dispregiandogli, dicendo che ssi
lisciavano
come donne, e pettinavano le zazzere, e gli aveano
a
schifo e per niente. Bene ci fu anche cagione perché
gli Aretini si misono
a battaglia co' Fiorentini, essendo
due
cotanti cavalieri di loro, per tema d'uno trattato
che 'l vescovo d'
Arezzo avea tenuto co' Fiorentini,
menato per messer
Marsilio de' Vecchietti, di
dare in guardia
a' Fiorentini Bibbiena,
Civitella, e
tutte le castella
del suo vescovado, avendo ogn'
anno
a sua vita
Vm fiorini d'oro, sicuro in su la compagnia
de'
Cerchi. il quale trattato messer
Guiglielmino
Pazzo suo nipote
isturbò, perché il vescovo non fosse
morto da' caporali ghibellini; e però
avacciarono
la battaglia, e menarvi il detto vescovo, ov'egli rimase
morto cogli altri insieme; e così fu pulito
del suo
tradimento
il vescovo, ch'
a un'ora trattava di tradire i
Fiorentini e' suoi Aretini. E ricevuto per gli Fiorentini
allegramente il
gaggio della battaglia, di concordia
si schierarono e affrontarono le
due osti più ordinatamente
per l'una parte e per l'altra, che mai s'
affrontasse
battaglia in Italia, nel piano
a piè di
Poppio
nella contrada detta Certomondo, che così si chiama
il luogo, e una chiesa de' frati minori che v'è presso,
e in uno piano che ssi chiama Campaldino; e ciò fu
un sabato mattina,
a dì
XI del mese di giugno, il dì di
santo
Barnaba appostolo. Messer Amerigo e gli altri
capitani de' Fiorentini si schierarono bene e ordinatamente,
faccendo
CL feditori de' migliori dell'oste,
de' quali furono
XX cavalieri
novelli, che si feciono
allora; e essendo messer Vieti de'
Cerchi de' capitani,
e malato di sua gamba, non lasciò perciò di volere
essere de' feditori; e
convenendoli
eleggere per lo
suo
sesto, nullo volle di ciò gravare più che ssi volesse
di volontà, ma
elesse sé e 'l figliuolo e' nipoti; la
qual cosa gli fu messa in grande pregio, e per suo
buono esemplo e per vergogna molti altri nobili cittadini
si misono tra' feditori. E ciò fatto,
fasciandogli
di costa da
ciascuna ala della schiera de' pavesari, e
balestrieri, e di pedoni
a
lance lunghe, e la schiera
grossa di dietro
a' feditori ancora fasciata di pedoni,
e dietro tutta la salmeria raunata per
ritenere la
schiera grossa, e di fuori della detta schiera misono
CC cavalieri e pedoni Lucchesi e Pistolesi e altri forestieri,
onde fu capitano messer
Corso
Donati, ch'allora
era podestà de'
Pistolesi, e ordinaro, che se bisognasse,
fedisse per costa sopra i nemici. Gli Aretini
dalla loro parte ordinarono
saviamente loro schiere,
però che v'avea, come detto avemo, buoni capitani
di
guerra, e feciono molti feditori in quantità di
III.c,
intra' quali avea eletti
XII de' maggiori caporali
che si faceano chiamare i
XII paladini. E dato il nome
ciascuna parte alla sua oste, i Fiorentini: «Nerbona
cavaliere», e gli Aretini: «San
Donato cavaliere»,
i feditori degli Aretini si mossono con grande
baldanza
a sproni
battuti
a fedire sopra l'oste de'
Fiorentini, e l'altra loro schiera conseguente appresso,
salvo che 'l
conte
Guido
Novello, ch'era con una
schiera di
CL cavalieri per fedire di costa, non s'
ardì
di mettere alla battaglia, ma rimase, e poi si fuggì
a
sue castella. E la mossa e assalire che feciono gli Aretini
sopra i Fiorentini fu, stimandosi come valente
gente d'arme, che per loro buona pugna di rompere
alla prima
affrontata i Fiorentini e mettergli in volta;
e fu sì forte la percossa, che i più de' feditori de' Fiorentini
furono
scavallati, e la schiera grossa
rinculò
buon pezzo
del campo, ma però non si smagarono
né ruppono, ma costanti e forti ricevettono i nemici;
e
coll'
ale ordinate da
ciascuna parte de' pedoni rinchiusono
tra lloro i nemici, combattendo aspramente
buona pezza. E messer
Corso
Donati, ch'era di parte
co' Lucchesi e
Pistolesi, e avea
comandamento di
stare fermo, e non fedire, sotto pena della testa,
quando vide cominciata la battaglia, disse come valente
uomo: «Se noi perdiamo, io voglio morire nella
battaglia co' miei cittadini; e se noi vinciamo, chi
vuole vegna
a noi
a Pistoia per la
condannagione»; e
francamente mosse sua schiera, e fedì i nemici per
costa, e fu grande cagione della loro
rotta. E ciò fatto,
come piacque
a dDio, i Fiorentini ebbono la vittoria,
e gli Aretini furono rotti e sconfitti, e furonne
morti più di
MDCC tra
a cavallo e
a piè, e presi più di
MM, onde molti ne furono
trabaldati pur de' migliori,
chi per amistà, e chi per ricomperarsi per danari;
ma in
Firenze ne vennero legati
VII.cXL.
Intra' morti
rimase messer
Guiglielmino degli
Ubertini vescovo
d'
Arezzo, il quale fu uno grande guerriere, e messer
Guiglielmino de' Pazzi di Valdarno e' suoi nipoti, il
quale fu il migliore e 'l più avisato capitano di
guerra
che fosse in Italia
al suo tempo, e
morivvi
Bonconte
figliuolo
del
conte
Guido da Montefeltro, e tre degli
Uberti, e uno degli Abati, e
due de' Griffoni da
Fegghine,
e più altri usciti di
Firenze, e
Guiderello d'
Allessandro
d'Orbivieto, nominato capitano, che portava
la 'nsegna imperiale, e più altri. Dalla parte de'
Fiorentini non vi rimase uomo morto di rinnomea,
se non messer
Guiglielmo
Berardi balio di messer
Amerigo di Nerbona, e messer Bindo
del
Baschiera
de'
Tosinghi, e
Tici de' Visdomini; ma molti altri cittadini
e forestieri furono fediti. La
novella della detta
vittoria venne in
Firenze il
giorno medesimo,
a quella
medesima ora ch'ella fu; che dopo mangiare essendo
i signori priori iti
a dormire e
a riposarsi, per la
sollecitudine e vegghiare della notte passata, subitamente
fu percosso l'uscio della camera con grida:
«Levate suso, che gli Aretini sono sconfitti!»; e levati,
e aperto, non trovarono persona, e i loro famigliari
di fuori non ne
sentirono nulla; onde fu grande
maraviglia e notabile tenuta, che innanzi che persona
venisse dell'oste
colla
novella, fu
ad ora di vespro. E
questo fu il vero, ch'io l'udì e vidi, e tutti i Fiorentini
s'
amirarono onde ciò fosse venuto, e istavano in sentore.
Ma quando giunsono
coloro che venieno dell'oste,
e raportarono la
novella in
Firenze, si fece grande
festa e allegrezza; e
poteasi fare per ragione, che
alla detta sconfitta rimasono molti capitani e valenti
uomini di parte ghibellina, e nemici
del Comune di
Firenze, e funne abbattuto l'orgoglio e superbia non
solamente degli Aretini, ma di tutta parte ghibellina
e d'imperio.
L. 8, cap. 132 rubr.Come i Fiorentini assediarono e guastarono intorno
la città d'Arezzo.
L. 8, cap. 132Avuta la detta vittoria il Comune di
Firenze sopra
quello d'
Arezzo, sonata
colle trombe la ritratta della
caccia dietro
a'
fuggiti, si schierò l'oste de' Fiorentini
in su il campo, e ciò fatto, se n'andarono
a Bibbiena,
e quella ebbono sanza nullo contasto; e rubata e spogliata
d'ogni sustanzia e di molta preda, le feciono
disfare le
mura e le case forti infino alle fondamenta,
e più altre castelletta intorno,
soggiornatovi
VIII dì.
Che se lo seguente dì fosse l'oste de' Fiorentini cavalcata
ad
Arezzo, sanza niuno
dubbio s'avea la terra;
ma in quello
soggiorno gli scampati della battaglia
vi ritornarono, e de' contadini d'intorno vi fuggirono,
e presono ordine
al riparo e guardia della terra.
L'oste de' Fiorentini vi venne alquanti giorni appresso,
e puosono l'assedio intorno alla
città, faccendo
il guasto
al continuo, e prendendo le loro castella,
che quasi tutte s'ebbono, quali per forza, e quali s'
arrenderono
a
patti; e molte ne feciono disfare i Fiorentini,
e ritennero
Castiglione
Aretino, e Montecchio,
e
Rondine, e
Civitella, e Laterino, e Monte
Sansavino. E andarono in quella oste
due de' priori
di
Firenze
a provedere; e' Sanesi vennero per comune
molto isforzatamente, popolo e cavalieri, dopo la
sconfitta fatta, per
racquistare loro terre prese per gli
Aretini; e ebbono Licignano d'
Arezzo e
Chiusura di
Valdichiane
a
patti. E stando la detta oste de' Fiorentini
ad
Arezzo, in sul vescovado vecchio, per
XX
dì, la guastarono tutta intorno, e
fecionvi correre il
palio per la festa di san Giovanni, e
rizzarvisi più
dificii,
e
manganarvisi asini
colla mitra in capo, per
dispetto
e rimproccio
del loro vescovo; e
ordinarvisi
molte torri di legname e altri ingegni per combattere
la terra, e
dandovisi aspra battaglia, grande pezza
dello steccato, che non v'avea allora altro
muro da
quella parte, fu arso e abbattuto; e se i capitani dell'
oste avessono ben fatto pugnare
a' combattitori,
per forza s'avea la terra, ma quando
doveano combattere,
feciono sonare la ritratta, onde furono
abominati,
che ciò fu fatto per guadagneria; per la qual
cosa il popolo e' combattitori
amollati si ritrassono
da' badalucchi e dalle guardie; onde la notte vegnente
quegli d'
Arezzo uscirono fuori, e misero fuoco in
più torri di legname, e arsolle con molti altri
dificii.
E ciò fatto, i Fiorentini perduta la speranza d'avere
la terra per battaglia, per lo migliore si partì l'oste,
lasciando fornite le sopradette castella forti, perché
guerreggiassono
al continuo la terra; e tornò l'oste in
Firenze
a dì
XXIII di luglio con grande allegrezza e
triunfo, andando loro incontro il
chericato
a processione,
e' gentili uomini armeggiando, e 'l popolo
colle
insegne e gonfaloni di
ciascuna
arte con sua compagnia,
e
recossi palio di
drappo
ad oro sopra capo
di messer Amerigo di Nerbona, portato sopra
bigordi
per più cavalieri, e simile sopra messer Ugolino
de' Rossi da Parma, ch'allora era podestà di
Firenze.
E nota che tutta la spesa della detta oste si fornì per
lo nostro Comune per una libbra di libbre
VI e soldi
V il centinaio, che montò più di
XXXVIm di fiorini d'oro,
sì era allora bene ordinato l'
estimo della
città e
del
contado, con altre cose e
rendite
del Comune simiglianti
bene ordinate. Bene avenne che tornata la
detta oste, i popolani ebbono sospetto de' grandi,
che per orgoglio della detta vittoria non gli
gravassono
oltre
al modo usato; e per questa cagione le
VII
arti maggiori si
rallegarono con loro le
V arti consequenti,
e feciono tra lloro imporre arme, e pavesi, e
certe
insegne, e fu quasi uno
cominciamento di popolo,
onde poi si prese la forma
del popolo che ssi
cominciò nel
MCCLXXXXII, come innanzi fareno memoria.
Della sopradetta vittoria la
città di
Firenze
esaltò molto, e venne in felice e buono stato, il migliore
ch'ella avesse avuto infino
a quelli tempi; e
crebbe molto di genti e di ricchezze, ch'ognuno guadagnava
d'ogni
mercatantia,
arte, o mestieri; e
durò
in
pacefico e tranquillo stato più
anni appresso, ogni
dì montando. E per allegrezza e buono stato ogni
anno
per calen di maggio si faceano le brigate e compagnie
di genti giovani vestiti di
nuovo, e faccendo
corti
coperte di
zendadi e di
drappi, e
chiuse di legname
in più parti della
città; e simile di donne e di pulcelle,
andando per la terra ballando con ordine, e signore
accoppiati, cogli stormenti e
colle
ghirlande di
fiori in capo, stando in giuochi e in allegrezze, e in
desinari e
cene.
L. 8, cap. 133 rubr.D'una fiera e aspra battaglia la quale fu tra 'l duca
di Brabante e 'l conte di Luzzimborgo
L. 8, cap. 133Nel detto tempo e mese di giugno, essendo nata
una grande
discordia tra 'l
duca di Brabante e il
conte
di
Luzzimborgo per cagione
del
ducato di
Lamborgo
il quale era vacato, e
ciascuno de' detti signori
vi
cusava ragione; il
conte di
Luzzimborgo, perch'era
stato di genti di suo lignaggio, e co· llui tenea l'arcivescovo
di
Cologna e più altri signori, e 'l
duca di Brabante
vi
cusava ragione per retaggio di donna. E per
questa
tenza sì nacque tra lloro
gaggio di battaglia, e
ciascheduno fece sua raunata, la quale fu per la parte
del
duca di Brabante di
MD cavalieri, de' migliori che
fossono in Brabante, in
Fiandra, e in Analdo, e di
Francia. E d'altra parte il
conte di
Luzzimborgo fu
con
MCCC cavalieri, de' migliori e de' più
rinnomati
di
Valdelreno e d'Alamagna. E
raccozzate le
due osti
tra il fiume
del
Reno e quello della Mosa nel luogo
detto
Avurone, sanza niuno pedone d'arme ch'
a piè
fosse, si cominciò la detta battaglia, e fu sì aspra e sì
crudele, che
durò dalla mattina
al sole levante infino
al coricare
del sole; però che
a modo di torniamento
si ruppono e si
rallegarono più volte il giorno, non
possendosi giudicare chi avesse il peggiore. Alla fine
fu sconfitto il
conte di
Luzzimborgo per la buona cavalleria
che messer
Gottifredi di Brabante fratello
del
duca avea
menata di
Francia, che vi fu il conastabole,
e 'l maliscalco, e altri grandi baroni di
Francia,
con tutto il fiore de'
baccellieri d'arme
del reame, i
quali v'erano venuti co· llui
a
priego della reina Maria,
moglie che fu
del re
Filippo di
Francia, e
serocchia
del detto
duca e di messer
Gottifredi di Brabante.
E rimasono in sul campo morti, che d'una parte e
che d'altra,
Vc e più de' migliori cavalieri
del
mondo;
ma i più della parte
del
conte di
Luzzimborgo; ch'egli
con tre suoi fratelli carnali vi rimasono morti, e il
conte di
Ghelleri, e quello di Les, e più altri baroni
del
Reno e d'Alamagna, e in grande quantità presi,
che per la
fierezza de' buoni cavalieri nullo quasi
fuggì di campo, onde bene n'è da ffare notevole memoria,
però che appena si truova di tanta
poca gente,
a comparazione, sì aspra battaglia come fu quella.
Per la quale vittoria il
duca di Brabante e suo paese
montò in grande
fama di buona cavalleria e di grande
stato, e conquistò il
ducato di
Lamborgo ond'era
la quistione; e d'allora innanzi il
duca di Brabante
acrebbe la sua arme, e
fecela
a quartieri: l'uno il
campo nero e
leone
ad oro, cioè l'arme
del
duca di
Brabante; l'altro il campo
ad argento e
leone
vermiglio
per la
ducea di
Lamborgo. Ma poi pace faccendo,
e per non esser
disertato,
Arrigo, giovane fanciullo
rimaso
del
conte di
Luzzimborgo, per
consiglio
de'
parenti e amici tolse per moglie la figliuola
del
duca di Brabante. Questo
Arrigo
crebbe poi in
tante virtù e
valore, che fu imperadore di
Roma, come
innanzi
al suo tempo la nostra
cronica farà menzione.
L. 8, cap. 134 rubr.Come don Giamo venne di Cicilia in Calavra con
sua armata, e ricevettevi alcuno danno, e poi si puose
ad assedio a Gaeta.
L. 8, cap. 134Nel detto
anno e mese di giugno, essendo il
conte
d'Artese maliscalco della gente
del re
Carlo in Calavra
ad oste
al castello di
Catarzano ch'era rubellato
al re
Carlo, e s'era
arrenduto
a
don Giamo d'
Araona,
il quale si facea chiamare re di Cicilia, il detto
don
Giamo col suo amiraglio Ruggieri di
Loria, per soccorrere
e levare l'assedio dal detto castello, vennero
di Cicilia con loro armata da
L tra
galee e
uscieri, e
con gente d'arme e
cavagli puosono in terra. E messer
Ruggieri di
Loria scese, e ne fu capitano di
Vc cavalieri
catalani, ov'ebbe una battaglia tra' Franceschi
e' Catalani, ma per la buona cavalleria de' Franceschi
ch'avea seco, il
conte d'Artese ne fu vincitore, e
rimasorvi tra morti e presi intorno di
CC Catalani
a
cavallo. Messer Ruggieri si ricolse
a
galee col rimanente.
E nota che 'l detto messer Ruggieri non fu
vinto mai né prima né poscia in battaglia di terra o
di
mare, se non in quella, ma fue il più bene
aventuroso
che amiraglio che mai si ricordi, come le sue
memorie hanno fatto e faranno per innanzi menzione.
Come
don Giamo vide che non potea niente
avanzare in Calavra, si partì per
mare con sua armata,
lasciando là l'oste e gente
del re
Carlo, e sì s'avvisò
d'assalire e prendere la
città di
Gaeta, e per fare
levare l'oste di
Catarzano in Calavra, e puosesi
del
mese di luglio
ad assedio della detta
città di
Gaeta in
sul monte che v'è d'incontro, assai forte luogo e
sicuro,
con
VIc cavalieri e con popolo e
balestrieri assai, e
rizzòvi
difici, gittandovi dentro. I
Gaetani si tennero
francamente, e mandarono per soccorso
al re
Carlo,
il quale si mosse da Napoli con tutto suo podere di
gente d'arme
a cavallo e
a piè; il
conte d'Artese vi
venne di Calavra
colla cavalleria, lasciando fornito
l'assedio, e di Campagna e di terra di
Roma vi venne
molta gente
a cavallo e
a piè
al soldo della Chiesa.
Don Giamo sentendo venire il re
Carlo sopra lui con
tanta
potenzia, e temendo che per fortuna di
mare
non gli
fallisse
vivanda, fece domandare triegue
al re
Carlo, promettendo di partirsi da
Gaeta; le quali il
re accettò dal dì insino
a la
Tusanti vegnente
a
due
anni, salvo che in Calavra. La qual triegua
al
conte
d'Artese e
agli altri baroni franceschi non piacque,
però che per la loro
potenzia parea loro avere preso
don Giamo e vinta la
guerra; ma lo re
Carlo conoscendo
che non si potea levare l'assedio sanza
pericolo,
non avendo armata in
mare, prese le triegue, e
però fu cagione di tornarsi in
Francia il
conte d'Artese
e più baroni. E fatte le dette triegue,
don Giamo
con sua armata si ricolse, e partissi
a dì
XXV d'
agosto
MCCLXXXVIIII, e tornarsi sani e salvi in Cicilia. E perché
i
Gaetani si portarono all'assedio francamente, e
come franchi uomini, lo re gli fece franchi d'ogni
gravezza
X anni.
L. 8, cap. 135 rubr.Come Carlo Martello fu coronato del reame d'Ungaria.
L. 8, cap. 135Compiute e ferme le dette triegue, le quali furono
molto utoli
al regno di Puglia per dare alquanto silenzio
alla
guerra ond'erano molto agravati, il re
Carlo
si tornò
a Napoli; e 'l giorno di nostra Donna di
settembre prossimo il detto re fece in Napoli grande
corte e festa, e fece cavaliere
Carlo Martello suo primogenito
figliuolo, e
fecelo coronare
del reame
d'Ungaria per uno cardinale legato
del papa, e per
più vescovi e arcivescovi. E per la detta coronazione
e festa più altri cavalieri
novelli si feciono il giorno,
Franceschi, e Provenzali, e
del Regno, e spezialmente
Napoletani, per lo re e per lo figliuolo; e fu grande
corte e onorevole, e ciò fece lo re
Carlo, però
ch'era morto il re d'Ungheria in quello
anno,
del
quale non rimase niuno figliuolo maschio né altra
reda,
che lla reina Maria moglie
del detto re
Carlo, e
madre
del detto
Carlo Martello,
a ccui succedeva per
ereditaggio il detto reame d'Ungheria. Ma morto il
detto re d'Ungheria,
Andreasso, disceso per
legnaggio
della casa d'Ungaria,
entrò nel reame, e la maggiore
parte tra per forza e per amore ne conquistò, e
fecesene fare signore e re. Lasceremo alquanto de'
fatti
del regno di Cicilia e d'Ungheria, e tornereno
a'
fatti che in que' tempi furono in
Toscana.
L. 8, cap. 136 rubr.Come que' di Chiusi furono sconfitti, e rimisono i
Guelfi in Chiusi.
L. 8, cap. 136Nel detto
anno,
a dì
XVI d'
agosto, i Ghibellini
ch'erano in
Chiusi, ond'era capitano messer
Lapo
Farinata degli Uberti, uscirono fuori popolo e cavalieri,
e con
difici e
scale per combattere il ponte e
torri di Santa
Mosteruola
a piè di Chiusi in su le
Chiane, il quale si tenea per gli Guelfi usciti di Chiusi.
E sentendo la detta ordine, mandarono per soccorso
a Siena e
a Montepulciano, onde subitamente
vi mandarono i Sanesi messer Berardo da Rieti con
C
cavalieri, e di Montepulciano vi trasse messer
Benghi
Bondelmonti che n'era podestà, con gente
a cavallo e
a piè assai; e trovando la detta oste de' Chiusini, gli
asalirono francamente, e gli misono inn isconfitta, e
rimasonne morti da
CXX, e presi più di
CC; per la
quale sconfitta e per riavere i loro pregioni, quegli di
Chiusi rimisono il settembre vegnente i Guelfi in
Chiusi, e mandarne messer
Lapo
Farinata e la masnada
de' Ghibellini d'
Arezzo.
L. 8, cap. 137 rubr.Come i Lucchesi colla forza de' Fiorentini feciono
oste sopra la città di Pisa.
L. 8, cap. 137Nel detto anno MCCLXXXVIIII, del mese d'agosto, i
Lucchesi feciono oste sopra la città di Pisa colla forza
de' Fiorentini, che v'andarono IIIIc cavalieri di cavallate,
e IIm pedoni di Firenze, e la taglia di loro e
dell'altre terre di parte guelfa di Toscana, e andarono
insino alle porte di Pisa, e fecionvi i Lucchesi correre
il palio per la loro festa di san Regolo, e guastarla
intorno in XXV dì che vi stettono ad oste, e presono
il castello di Caprona, e guastarlo, e tutta la valle
di Calci, e quella di Buti, e guastarono intorno Vicopisano,
e dieronvi più battaglie, ma no· llo ebbono, e
tornarsi a casa sani e salvi, e di Pisa nonn uscì persona
d'arme a lloro contrario.
L. 8, cap. 138 rubr.D'una cavalcata che feciono i Fiorentini, che dovea
loro esser dato Arezzo.
L. 8, cap. 138Nel detto
anno,
del mese di novembre, essendo
menato uno segreto trattato per gli Fiorentini d'avere
la
città d'
Arezzo per
tradimento, subitamente in
su l'ora di vespro sonando la campana
a martello, e
ponendo la candela alla porta accesa, pena grandissima
chi non fosse cavalcato innanzi ch'ella fosse consumata,
i cittadini ch'aveano le cavallate incontanente
cavalcaro e con loro soldati, e tutta la notte infino
a
Montevarchi, e la mattina
a
Civitella; e
venia fornito
il trattato, se non che uno che 'l menava cadde
d'uno sporto, e veggendosi
a la
morte, in confessione
il
manifestò
al suo confessoro frate, e quegli il rivelò
a messer
Tarlato, onde prese di
coloro che
sentirono
il
tradimento, e
fecene giustizia, e fue
discoperto, onde
i Fiorentini, ch'erano però cavalcati
a
Civitella, riposati
alquanti dì, si tornarono in
Firenze.
L. 8, cap. 139 rubr.D'uno grande fuoco che s'apprese in Firenze in casa
i Pegolotti.
L. 8, cap. 139Negli anni di Cristo MCCLXXXX, a dì XXVIIII di
maggio, s'apprese il fuoco a casa de' Pegolotti Oltrarno
di là dal ponte Vecchio, e arsono le loro case
e la torre e case de' loro vicini d'incontro, e arsevi
messer Neri Pegolotti con uno suo figliuolo, e una
donna di loro con III suoi figliuoli, e una fante; onde
fu allora una grande pietà e dammaggio di persone e
d'avere, che poi fu quasi spento quello legnaggio,
ch'erano antichi e orrevoli cittadini.
L. 8, cap. 140 rubr.Come i Fiorentini co· lloro amistà feciono la terza
oste sopra la città d'Arezzo.
L. 8, cap. 140Negli
anni di Cristo
MCCLXXXX i Fiorentini uscirono
fuori il primo dì di giugno, e feciono oste sopra la
città d'
Arezzo
coll'aiuto della taglia e dell'amistà delle
terra guelfe di
Toscana: furono
MD cavalieri e
Vim
pedoni. E
al dare delle
'nsegne della detta oste si diede
di prima il pennone de' feditori, mezzo l'arme
del
re, e mezzo il campo d'argento e giglio rosso; e stettono
ad oste
XXVIIII dì, e guastarlo da capo: intorno
intorno
ad
Arezzo
VI miglia non vi rimase né vigna,
né albero, né
biada; e corsonvi il palio il dì di santo
Giovanni alle porte d'
Arezzo. E era allora podestà di
Firenze messer Rosso
Gabrielli d'
Agobbio, e fu il
primo che fosse per
VI mesi, che innanzi erano le podestadi
per uno
anno; per lo meglio
del Comune si
fece allora quello decreto, che poi
seguì sempre. E
tornando la detta oste, feciono la
via di Casentino
guastando le terre
del
conte
Guido
Novello, e
disfeciongli
la rocca, e palazzi di
Poppio, ch'erano forti e
maravigliosi, e Castello Santo Angelo, e quello di
Ghiazzuolo, e
Cetica, e Monte Aguto di Valdarno. E
in questo venne l'
esecuzione della
profezia che 'l
conte
Tegrimo il vecchio disse
al
conte
Guido
Novello
dopo la sconfitta de' Fiorentini
a Monte Aperti,
essendo in grande stato e
prosperità il detto
conte
Guido, e per proverbio si dicea in
Firenze: «Tu
stai
più
ad agio che 'l
conte in
Poppi»; e mostrandogli il
cassero di
Poppi, nella cui camera dell'arme avea tutte
le buone balestra, e altri arnesi d'arme e d'oste
che' Fiorentini aveano perduti alla detta sconfitta, e
ancora quello che trovò in
Firenze quando fu vicario;
e domandando il
conte
Guido il
conte
Tegrimo
che gliene parea, il detto
conte
Tegrimo rispuose
improviso e sùbito
al
conte
Guido uno bello
motto e
notabile, e disse: «Parmene bene, se non ch'io intendo
che' Fiorentini sono grandi prestatori
ad
usura».
L. 8, cap. 141 rubr.Come fu preso e guasto Porto Pisano per gli Fiorentini,
e Genovesi, e Lucchesi.
L. 8, cap. 141Nel detto
anno,
a dì
II di settembre, i Fiorentini
uscirono
ad oste sopra la
città di
Pisa, lasciando fornito
il Valdarno di sopra di
CCC cavalieri, tra cittadini
e soldati e pedoni assai, acciò che gli Aretini non
potessono per la detta oste correre in Valdarno; e
ciò fatto, con ordine de' Genovesi, che vi vennono
per
mare con
XL galee armate (e' Lucchesi vi furono
con tutto loro podere), e presono per forza Porto Pisano
e Livorno, e guastarlo tutto, e guastarono le
IIII
torri ch'erano in
mare alla guardia
del porto, e il
fanale
della Meloria, e
feciolle cadere e
rovesciare in
mare cogli uomini che su v'erano
a guardia. E' Genovesi
sursono
a la bocca e
entrata
del porto più legni
grossi carichi di pietre, e ruppono i
palizzi, perché
il detto porto non si potesse usare. E partita la
detta oste di Porto, i Genovesi si tornarono
a
Genova,
e Lucchesi
a Lucca sani e salvi, e' Fiorentini tornarono
per la Valdera, e presono e disfeciono più castella,
e lasciarono uno capitano in Valdera. Ma tornati
i Fiorentini in
Firenze, il
conte
Guido da Montefeltro
colle masnade di
Pisa cavalcarono in Valdera,
e ripresono il castello di
Montefoscoli e quello di
Montecchio, e presono il capitano che v'aveano lasciato
i Fiorentini; e ciò sentendosi in
Firenze, cavalcarono
i Fiorentini
a Volterra, popolo e cavalieri; e
sentendolo i Pisani, si tornarono
a
Pisa.
L. 8, cap. 142 rubr.Come fu preso il marchese di Monferrato da quegli
d'Allessandra.
L. 8, cap. 142Nel detto tempo il marchese di Monferrato, il
quale essendo venuto nella città d'Allessandra in
Lombardia, ch'egli tenea sotto sua signoria, i cittadini
di quella, a petizione e sommossa degli Astigiani,
di cui egli era nimico (e ciò fu per gli molti danari
ch'egli spesono ne' traditori d'Allessandra), i quali
per tradimento presono il detto marchese e misollo
in pregione, per la cui presura i Melanesi presono
L. 8, cap. 143 rubr.D'uno grande miracolo ch'avenne in Parigi del corpo
di Cristo.
L. 8, cap. 143Nel detto
anno, essendo in Parigi uno Giudeo
ch'avea prestato
ad usura
a una
Cristiana sopra sua
roba, e quella
volendola ricogliere per averla indosso
il dì di
Pasqua, il Giudeo le disse: «Se tu mi rechi il
corpo
del vostro Cristo, io ti renderò i tuoi panni
sanza danari». La semplice femmina e
covidosa il
promise, e la mattina di
Pasqua, andandosi
a comunicare,
ritenne il sagramento e recollo
al Giudeo; il
quale messo una padella
a fuoco con acqua bogliente,
gittò il corpo di Cristo dentro, e no· llo potea consumare;
e ciò veggendo, il fedì più volte col coltello,
il quale fece abondevolemente sangue, sì che tutta
l'acqua divenne
vermiglia; e di quella il trasse, e
miselo
in acqua fredda, e simile divenne
vermiglia. E
sopravegnendovi Cristiani per
improntare danari,
s'
accorsono
del sacrilegio
del Giudeo, e il santo corpo
per sé medesimo saltò in su una tavola. E ciò sentito,
il Giudeo fu preso e arso, e il santo corpo ricolto
per lo prete
a grande reverenzia, e di quella casa
dove avenne il miracolo si fece una chiesa che si
chiama il
Salvatore
del Bogliente.
L. 8, cap. 144 rubr.Come i Ravignani presono il conte di Romagna che
v'era per la Chiesa.
L. 8, cap. 144Nel detto
anno,
a dì
XVI di novembre, gli cittadini
di Ravenna presono messer Stefano da
Ginazzano di
casa i Colonnesi di
Roma, il quale era
conte di
Romagna
per lo papa e per la Chiesa di
Roma, e uccisono
e rubarono e presono tutta sua masnada e famiglia.
Per la quale
rubellazione tutte le terre di
Romagna
si
commossono
a
guerra e
rubellazione, salvo la
città di Forlì; e
Maghinardo da Susinana prese la
città
di
Faenza. Per la quale cosa i Bolognesi cavalcarono
a Imola, e disfeciono gli steccati, e
rappianarono i
fossi d'intorno
a la terra. Dopo queste
novità
surte in
Romagna il papa vi mandò per
conte messer
Bandino
de'
conti
Guidi da
Romena vescovo d'
Arezzo,
il quale in poco tempo appresso tutte le terre di
Romagna
recò per pace e accordo
a sua obbedienza, e della
Chiesa.
L. 8, cap. 145 rubr.Come il soldano di Babbillonia vinse per forza la
città d'Acri con grande danno de' Cristiani.
L. 8, cap. 145Negli
anni di Cristo
MCCLXXXXI,
del mese d'
aprile,
il soldano di Babbillonia d'
Egitto, avendo prima
fatto sua guernigione e fornimento in Soria, sì passò
il
diserto, e venne nella detta Soria con sua oste, e
puosesi
ad assedio alla
città d'
Acri, la quale
anticamente
la Scrittura chiamava
Tolomadia, e oggi in
latino
si chiama
Acon, e fu con sì grande gente
a piè e
a cavallo il soldano, che lla sua oste tenea più di
XII
miglia. Ma inanzi che più diciamo della
perdita d'
Acri,
sì diremo la cagione perché il soldano vi venne
ad assedio e la prese, avutane relazione da uomini
degni di fede nostri cittadini e mercatanti che in quegli
tempi erano in
Acri. Egli è vero che, perché i Saracini
aveano ne' tempi dinanzi tolte
a' Cristiani la
città d'Antioccia, e quella di Tripoli, e quella di Suri,
e più altre terre che' Cristiani teneano alla marina, la
città d'
Acri era molto
cresciuta di genti e di podere,
però ch'altra terra non si tenea in Soria per gli Cristiani,
sì che per lo re di Gerusalem, e per quello di
Cipri, e il
prenze d'Antioccia, e quello di Suri, e di
Tripoli, e la
magione
del Tempio e dello Spedale, e
l'altre magioni, e' legati
del papa, e quegli ch'erano
oltremare per lo re di
Francia e per quello d'Inghilterra,
tutti faceano capo in
Acri e
aveavi
XVII signorie
di sangue, la quale era una grande
confusione. E
in quegli tempi triegue erano state prese tra' Cristiani
e' Saracini, e
avevavi più di
XVIIIm d'uomini pellegrini
crociati; e
falliti i loro soldi, e non
potendoli
avere da' signori e Comuni per cui v'erano, parte di
loro, uomeni
dileggiati e sanza ragione, si misero
a
rompere le triegue, e rubare, e uccidere tutti i Saracini
che veniano in
Acri sotto la
sicurtà della triegua
co· lloro
mercatantie e vittuaglie; e corsono per simile
modo
rubando e uccidendo i Saracini di più casali
d'intorno
ad
Acri. Per la qual cosa il soldano tegnendosi
molto gravato, mandò suoi ambasciadori in
Acri
a que' signori, richeggendo l'amenda de'
danni dati
e per suo onore e soddisfacimento di sue genti, gli
fossono mandati alquanti de' cominciatori e caporali
di quelli ch'aveano rotte le triegue per farne giustizia:
le quali richeste gli furono
dinegate; per la qual
cosa vi venne
ad oste, come detto avemo, e per
moltitudine
di gente ch'avea, per forza riempié parte de'
fossi ch'erano dalla faccia di terra molto profondi, e
presono il primo giro delle
mura, e l'altro
girone con
cave e
difici feciono in parte cadere; e presono la
grande torre che ssi chiamava la Maladetta, che per
alcuna
profezia si
dicie che per quella si
dovea perdere
Acri. Ma per tutto questo non si potea perdere
la
città, che perché i Saracini rompessono le
mura il
dì, la notte erano riparate e
stoppate o con tavole o
con
sacca di lana e di
cotono, e difese il dì appresso
vigorosamente per lo valente e savio uomo frate
Guiglielmo
di
Belgiù maestro
del Tempio, il quale era
capitano generale della
guerra, e della guardia della
terra, e con molta prodezza e provedenza e sollecitudine
avea vigorosamente guardata la terra. Ma come
piacque
a dDio, e per
pulire le
peccata degli abitanti
d'
Acri, il detto maestro
del Tempio levando il braccio
ritto combattendo, gli fu per alcuno Saracino
saettata una saetta avelenata, la quale gli
entrò nella
giuntura delle corazze, per la qual fedita poco appresso
morìo, per la cui
morte tutta la terra fu
iscommossa e
impaurita, e per la loro
confusione
delle tante signorie e capitani, come dicemmo dinanzi,
si disordinò, e furono in
discordia della guardia e
difensione della terra; e
ciascuno, chi potéo, intese
a
sua salvazione, e ricogliendosi in
navi e altri legni
ch'erano nel porto. Per la qual cagione i Saracini
continuando di dì e di notte le battaglie,
entrarono
per forza nella terra, e quella corsono e rubarono
tutta, e uccisono chiunque si
parò loro innanzi, e
giovani uomini e femmine menarono in servaggio
per ischiavi, i quali furono tra morti e presi, uomini e
femmine e fanciugli, più di
LXm; e 'l
dammaggio d'avere
e di preda fu infinito. E
raccolte le prede e'
tesori,
e tratte le genti prese della terra, si abbatterono
le
mura e le fortezze della terra, e
misorvi fuoco, e
guastarla tutta, onde la
Cristianità ricevette uno
grandissimo
dammaggio, che per la
perdita d'
Acri
non rimase nella Terrasanta neuna terra per gli Cristiani;
e tutte le buone terre di
mercatantia che sono
alle nostre marine e
frontiere mai poi non valsono la
metà
a profitto di
mercatantia e d'
arti per lo buono
sito dov'era la
città d'
Acri, però ch'ell'era nella fronte
del nostro
mare e in mezzo di Soria, e quasi nel mezzo
del
mondo abitato, presso
a Gerusalem
LXX miglia,
e fontana e porto d'ogni
mercatantia sì
del levante
come
del ponente; e di tutte le generazioni
delle genti
del
mondo v'usavano per fare
mercatantia,
e
turcimanni v'avea di tutte le lingue
del
mondo
sì ch'ell'era quasi com'uno
alimento
al
mondo. E
questo
pericolo non fu sanza grande e giusto giudizio
d'Iddio, che quella
città era piena di più peccatori,
uomini e femmine, d'ogni dissoluto peccato, che
terra che fosse tra' Cristiani. Venuta la
dolorosa
novella
in ponente, e il papa
ordinò grandi indulgenzie
e perdoni
a chi facesse aiuto e soccorso alla Terrasanta,
mandando
a tutti i signori de' Cristiani che volea
ordinare passaggio generale, e difese con grandi
processi e
scomuniche quale Cristiano andasse in Allessandria
o in terra d'
Egitto con
mercatantia, o vittuaglia,
o legname, o ferro, o
desse per alcuno modo
aiuto o favore.
L. 8, cap. 146 rubr.Della morte del re Ridolfo d'Alamagna.
L. 8, cap. 146Nel detto anno MCCLXXXXI morìo il re Ridolfo
d'Alamagna, ma non pervenne alla benedizione imperiale,
perché sempre intese a crescere suo stato e
signoria in Alamagna, lasciando le 'mprese d'Italia
per acrescere terra e podere a' figliuoli, che per suo
procaccio e valore di piccolo conte divenne imperadore,
e aquistò in propio il ducato d'Ostaricchi, e
grande parte di quello di Soavia.
L. 8, cap. 147 rubr.
Come il re Filippo di Francia fece prendere e ricomperare
tutti gl'Italiani.
L. 8, cap. 147Nel detto anno, la notte di calen di maggio, il re
Filippo il Bello di Francia, per consiglio di Biccio e
Musciatto Franzesi, fece prendere tutti gl'Italiani
ch'erano in suo reame, sotto protesto di prendere i
prestatori; ma così fece prendere e rimedire i buoni
mercatanti come i prestatori; onde molto fu ripreso e
in grande abbominazione, e d'allora innanzi il reame
di Francia sempre andò abassando e peggiorando. E
nota che tra la perdita d'Acri e questa presura di
Francia i mercatanti di Firenze ricevettono grande
danno e ruina di loro avere.
L. 8, cap. 148 rubr.Come i Pisani ripresono il castello del Ponte ad
Era.
L. 8, cap. 148Nel detto
anno, la notte di
domenica,
a dì
XXIII di
dicembre, il
conte
Guido da Montefeltro signore in
Pisa, sentendo che 'l castello
del Ponte
ad Era era
male guardato, e molti de' fanti venutisene
a
fFirenze
a
pasquare, e per trattato
del
conte, con certi terrazzani
del detto castello
del Ponte
ad Era, il quale teneano
i Fiorentini, venne con suo isforzo
a quello, il
quale era molto forte di
mura e di spesse torri, e con
larghi fossi pieni d'acqua, e
datali la salita d'una delle
torri, con
navicelle per loro recate passati i gran fossi,
e con iscale di funi salirono in su le
mura, e per
difalta di
mala guardia, e dissesi per alcuni per baratteria
de' castellani, che non vi teneano la gente ond'
erano pagati, il detto castello male difeso fu preso
per gli Pisani, e morti i castellani e tutta loro compagnia,
che v'erano da
L fanti, che
doveano esser
CL. E'
castellani, l'uno era di casa i Rossi, messere
Guido
Bigherelli che fu preso, e 'l
Bingota suo nipote morto,
e
Nerino de' Tizzoni; e così la loro avarizia, se in
ciò peccarono, gli fece morire con vergogna
del Comune
di
Firenze ch'era il più forte castello d'Italia
che fosse in piano. E in quello tempo i Pisani feciono
rubellare
a' Samminiatesi il castello di
Vignale in
Camporena, onde v'andarono
ad oste le tre sestora
de' cavalieri di
Firenze, con molto popolo, gittandovi
difici. Alla fine non potendosi più tenere, e non
avendo soccorso da' Pisani, una notte ch'era una
grande fortuna di tempo, se n'uscirono quegli
del castello
sani e salvi per mezza l'oste de' Fiorentini, onde
a quegli che v'erano fu
recato
a grande vergogna.
Per la qual cosa s'ordinò in
Firenze generale oste sopra
Pisa, e diedonsi le
'nsegne, e messer
Corso
Donati
ebbe la reale; ma qual si fosse la cagione, non
seguì, onde in
Firenze n'ebbe grande
ripitio, dicendosi
che certi grandi n'aveano avuti danari da' Pisani;
per la qual cosa, e sollecitudine di messer Vieri
de'
Cerchi allora capitano di parte, si rifece la detta
oste, e andossi insino
a Castello
del Bosco, e là attendati,
venne in
VIII dì continui tanta pioggia, che per
necessità si ritornò la della oste addietro, e appena si
poterono ricogliere e
stendere.
L. 8, cap. 149 rubr.
Come la città di Forlì in Romagna fu presa per Maghinardo
da Susinana.
L. 8, cap. 149Nel detto
anno, essendo tutta la
contea di
Romagna
all'obedienza di santa Chiesa sotto la guardia
del
vescovo d'
Arezzo che n'era
conte per lo papa,
Maghinardo
da Susinana con certi gentili e grandi uomini
di
Romagna per furto presono la
città di Forlì,
e in quella presono il
conte
Aghinolfo da
Romena
co' figliuoli, il quale era fratello
del detto
conte e vescovo
d'
Arezzo, e assediò il detto
conte e vescovo in
Cesena, onde surse grande
guerra in
Romagna. Il
detto
Maghinardo fu uno grande e savio tiranno, e
dalla contrada tra Casentino e
Romagna grande castellano,
e con molti fedeli; savio fu di
guerra e bene
aventuroso in più battaglie, e
al suo tempo fece grandi
cose. Ghibellino era di sua nazione e in sue opere,
ma co' Fiorentini era Guelfo e nimico di tutti i loro
nimici, o Guelfi o Ghibellini che fossono; e in ogni
oste e battaglia che' Fiorentini facessono, mentre fu
in vita, fu con sua gente
a lloro
servigio, e capitano; e
ciò fu, che morto il padre, che Piero Pagano avea
nome, grande gentile uomo, rimanendo il detto
Maghinardo
piccolo fanciullo e con molti nimici,
conti
Guidi, e
Ubaldini, e altri signori di
Romagna, il detto
suo padre il lasciò alla guardia e
tuteria
del popolo e
Comune di
Firenze, lui e le sue terre; dal qual Comune
benignamente fu
cresciuto, e guardato, e migliorato
suo patrimonio, e per questa cagione era
grato e fedelissimo
al Comune di
Firenze in ogni sua
bisogna.
L. 8, cap. 150 rubr.Come i Fiorentini ebbono il castello d'Ampinana.
L. 8, cap. 150Nel detto anno, essendo rubellato e riposto per lo
conte Manfredi figliuolo del conte Guido Novello il
castello d'Ampinana in Mugello, ch'era di loro giuridizione,
e molto forte, per contrario de' Fiorentini e
del conte a Battifolle che tenea Gattaia, sì vi si puose
l'oste, e per più tempo assediato, gittandovi più difici,
sì ss'arrendé a patti al Comune di Firenze, avendone
il detto conte IIIm fiorini d'oro; e partendosi co'
suoi masnadieri, il detto castello per gli Fiorentini fu
fatto disfare insino a' fondamenti; e d'allora innanzi
il Comune di Firenze cusò ragione ne' popoli e villate
del detto castello, e recò sotto sua signoria, faccendo
loro pagare libbre e fazioni.
L. 8, cap. 151 rubr.Come morì papa Niccola d'Ascoli.
L. 8, cap. 151Nell'
anno
MCCLXXXXII morì papa Niccola d'Ascoli
nella
città di
Roma, e là fu soppellito
a Santo
Questi fu buono uomo e di santa vita, dell'ordine de'
frati minori, ma molto
favorì i Ghibellini. E dopo la
sua
morte vacò la Chiesa di papa, per
discordia de'
cardinali,
XXVII mesi, che l'una parte volea papa
a
petizione
del re
Carlo, ond'era capo messer
Matteo
Rosso degli
Orsini, e l'altra parte il contrario, ed era
messer Jacopo della Colonna capo.
L. 8, cap. 152 rubr.Sì come arse tutta la città di Noione in Francia.
L. 8, cap. 152Nel detto anno MCCLXXXXII s'apprese il fuoco nella
città di Noione in Francia, cioè nella terra onde fu
il beato santo Loi di Noione, e fu sì impetuoso fuoco,
che non rimase quasi casa né chiesa nella città
che non ardesse, e eziandio la mastra chiesa di nostra
Donna, ove fu la casa e fabbrica di santo Loi, e dov'è
il corpo suo; la qual città è della grandezza della terra
di Prato o più, nella quale si ricevette grandissimo
dammaggio di case, arnesi, e tesori, e di persone che
vi morirono.
L. 8, cap. 153 rubr.Come fue eletto Attaulfo a re de' Romani.
L. 8, cap. 153Nel detto anno MCCLXXXXII fue eletto per gli
prencipi della Magna a re de' Romani Attaulfo, detto
in latino Andeulfo, conte da Nassi della Magna; ma
non pervenne a dignità imperiale, anzi fu morto per
Alberto dogio di Starlichi, figliuolo del re Ridolfo in
battaglia.
L. 8, cap. 154 rubr.
Come i Fiorentini feciono oste sopra la città di Pisa.
L. 8, cap. 154Nel detto anno, del mese di giugno, i Fiorentini
co· lloro amistà, che furono XXVc di cavalieri e VIIIm
pedoni, per vendetta della perdita del Ponte ad Era
feciono oste sopra la città di Pisa, della quale oste fu
capitano messer Gentile degli Orsini di Roma, che
venne con CC cavalieri tra Romani e Campagnini; e
la 'nsegna reale ebbe messer Geri Spini, e il pennone
de' feditori messer Vanni de' Mozzi. E fu una ricca e
una magna oste, delle più ch'avesse a que' tempi fatta
il Comune di Firenze; e stettonvi ad oste XXXIII
dì, e andarono di là dalla badia a San Savino, e a
quella badia disfeciono il campanile, e tagliarono
uno grandissimo e bello albero di savina per dispetto
de' Pisani, e per la festa di santo Giovanni feciono
correre il palio presso alle porte di Pisa. E fatto intorno
a Pisa grande guasto, e arso il borgo dal fosso
Arnonico a Pisa, il quale era nobilemente acasato e
ingiardinato, si tornarono in Firenze sani e salvi, sanza
contasto o riparo de' nimici; e sì era in Pisa il conte
da Montefeltro con VIIIc cavalieri, e non s'ardì a
mostrare per la viltà che sentiva ne' Pisani, e stette
pure alla guardia della cittade.
L. 8, cap. 155 rubr.
De' miracoli che apparirono in Firenze per santa
Maria d'Orto Sammichele.
L. 8, cap. 155Nel detto anno, a dì III del mese di luglio, si cominciarono
a mostrare grandi e aperti miracoli nella
città di Firenze per una figura dipinta di santa Maria
in uno pilastro della loggia d'Orto Sammichele, ove
si vende il grano, sanando infermi, e rizzando attratti,
e isgombrare imperversati visibilemente in grande
quantità. Ma i frati predicatori e ancora i minori per invidia o per
altra cagione non vi davano fede, onde
caddono in grande infamia de' Fiorentini. In quello
luogo d'Orto Sammichele si truova che fu anticamente
la chiesa di Sammichele in Orto, la quale era
sotto la badia di Nonantola in Lombardia, e fu disfatta
per farvi piazza; ma per usanza e devozione alla
detta figura ogni sera per laici si cantavano laude;
e crebbe tanto la fama de' detti miracoli e meriti di
nostra Donna, che di tutta Toscana vi venia la gente
in peregrinaggio per le feste di santa Maria, recando
diverse 'magine di cera per miracoli fatti, onde grande
parte della loggia dinanzi e intorno alla detta figura
s'empié, e crebbe tanto lo stato di quella compagnia,
ov'erano buona parte della migliore gente di
Firenze, che molti benificii e limosine, per offerere e
lasci fatti, ne seguirono a' poveri, l'anno più di libbre
VIm; e seguissi a' dì nostri, sanza aquistare nulla possessione,
con troppa maggiore entrata, distribuendosi
tutta a' poveri.
L. 9, cap. 1 rubr.
Qui comincia il VIIII libro: conta come nella città
di Firenze fu fatto il secondo popolo, e più grandi mutazioni
che per cagione di quello furono poi in Firenze,
seguendo dell'altre novitadi universali che furono in
que' tempi.
L. 9, cap. 1Negli
anni di Cristo
MCCLXXXXII, in calen di febbraio,
essendo la
città di
Firenze in grande e possente
stato e felice in tutte cose, e' cittadini di quella
grassi e ricchi, e per soperchio tranquillo, il quale
naturalmente
genera superbia e
novità, sì erano i cittadini
tra lloro invidiosi e insuperbiti, e molti micidii e
fedite e
oltraggi facea l'uno cittadino all'altro, e
massimamente
i nobili detti grandi e possenti, contra i
popolani e impotenti, così in
contado come in
città
faceano forze e violenze nelle persone e ne' beni altrui,
occupando. Per la qual cosa certi buoni uomini
mercatanti e artefici di
Firenze che voleano bene
vivere
si pensarono di mettere rimedio e riparo alla
detta
pestilenzia; e di ciò fu de' caporali intra gli altri
uno valente uomo, antico e nobile
popolano, e ricco
e possente, ch'avea nome Giano della Bella,
del popolo
di Sa· Martino, con séguito e
consiglio d'altri
savi e possenti popolani. E faccendosi in
Firenze ordine
d'arbitrato in correggere gli statuti e le nostre
leggi, sì come per gli nostri ordini consueto era di fare
per antico, sì ordinarono certe
leggi e statuti molto
forti e gravi contro
a' grandi e possenti che facessono
forze o violenze contro
a' popolari,
radoppiando
le pene comuni diversamente, e che fosse tenuto
l'uno
consorto de' grandi per l'altro, e si potessono
provare i malificii per
due testimoni di
pubblica
voce
e
fama, e che ssi
ritrovassono le
ragioni
del Comune:
e quelle
leggi chiamarono gli ordinamenti della giustizia.
E acciò che fossono conservati e
messi
ad
esecuzione,
sì ordinarono che oltre
al novero de'
VI
priori i quali governavano la
città fosse uno gonfaloniere
di giustizia di
sesto in
sesto,
mutando di
II in
II
mesi, come si fanno i priori, e sonando le
campane
a
martello, e
congregandosi il popolo
a dare il gonfalone
della giustizia nella chiesa di San Piero Scheraggio,
che prima non s'usava. E ordinarono che niuno
de' priori potesse essere di casa de' nobili detti grandi,
che 'mprima ve n'avea sovente de' buoni uomini
mercatanti, tutto fossono de' potenti. E la 'nsegna
del detto popolo e gonfalone fu ordinato il campo
bianco e la croce
vermiglia. E furono eletti
M cittadini
partiti per
sesti con certi banderai per contrade,
con
L pedoni per bandiera, i quali
dovessono essere
armati, e
ciascuno con soprasberga e scudo della
'nsegna della croce, e trarre
ad ogni romore e richesta
del gonfaloniere
a casa, o
a palazzo, de' priori, e
per fare
esecuzione contro
a' grandi; e poi
crebbe il
numero de' pedoni eletti in
MM, e poi in
IIIIm. E simile
ordine di gente d'arme per lo popolo e
colla
detta insegna s'ordinò in
contado e
distretto di
Firenze,
che ssi chiamavano le leghe
del popolo. E 'l
primo de' detti gonfalonieri fu uno Baldo de'
Ruffoli
di porte
del
Duomo; e
al suo tempo uscì fuori gonfalone
con arme
a disfare i beni d'uno casato detti Galli
di porte Sante Marie, per uno micidio che uno di
loro avea fatto nel reame di
Francia nella persona
d'uno popolano. Questa
novità di popolo e
mutazione
di stato fu molto grande alla
città di
Firenze, e ebbe
poi molte e diverse
sequele in male e in bene
del
nostro Comune, come innanzi per gli tempi faremo
menzione. E questa
novità e
cominciamento
del popolo
non sarebbe venuta fatta
a' popolani per la
potenzia
de' grandi, se non fosse che in que' tempi i
grandi di
Firenze non furono tra lloro in tante brighe
e
discordie, poi che' Guelfi tornarono in
Firenze, com'
erano allora ch'egli avea grande
guerra tra gli
Adimari
e'
Tosinghi, e tra i Rossi e' Tornaquinci, e tra i
Bardi e'
Mozzi, e tra i
Gherardini e' Manieri, e tra i
Cavalcanti e'
Bondelmonti, e tra certi de'
Bondelmonti
e'
Giandonati, e tra' Visdomini e'
Falconieri, e
tra i
Bostichi e'
Foraboschi, e tra'
Foraboschi e'
Malispini,
e tra'
Frescobaldi insieme, e tra la casa de'
Donati insieme, e più altri casati.
L. 9, cap. 2 rubr.Come il popolo di Firenze feciono pace co' Pisani, e
molte altre notabili cose.
L. 9, cap. 2L'
anno seguente
MCCLXXXXIII quegli che reggeano
il popolo di
Firenze per fortificare loro stato di popolo
e
affiebolire il podere de' grandi e de' possenti,
i quali molte volte acrescono e vivono delle guerre,
richesti da' Pisani di pace, i quali per le guerre erano
molto
affieboliti e abbassati, il popolo di
Firenze non
guardando
a cciò, alla detta pace assentirono, mandandone
i Pisani il
conte
Guido da Montefeltro loro
capitano, e disfaccendo il castello
del Ponte
ad Era,
e avendo i Fiorentini libera franchigia in
Pisa sanza
pagare niente di loro
mercatantie. E alla detta pace
furono i Lucchesi, e' Sanesi, e tutte le terre della lega
di parte guelfa di
Toscana. E nota che infino
a questo
tempo, e più addietro, era tanto il tranquillo stato
di
Firenze, che di notte non si serravano porte alla
città, né avea gabelle in
Firenze; e per bisogno di
moneta, per non fare libbra, si venderono le
mura
vecchie, e' terreni d'
entro e di fuori
a chi v'era acostato.
E per l'ordine
del popolo molte
giuridizioni si
raquistarono per lo Comune, che
Poggibonizzi si recò
tutto all'obedienza
del Comune, ch'avea giuridizione
per sé, e Certaldo, e Gambassi, e Catignano; e
tolsesi
a'
Conti la giuridizione di
Viesca e
del Terraio,
e Ganghereta, e
Moncione, e
Barbischio, e 'l
castello di Lori, e casa
Guicciardi; e in Mugello molte
possesioni le quali aveano occupate i
Conti, e gli
Ubaldini, e altri gentili uomini; e
raquistossi lo spedale
di San
Sebbio, ch'era
del Comune, occupato
per grandi uomini. E sopra queste cose fu caporale
uno valente e leale popolano d'Oltrarno chiamato
Caruccio
del
Verre. Sì che nel
cominciamento
del
popolo si fece molto di bene comune, e
a
ciascuno
a
cui fosse per addietro occupata possesione per gli
potenti, di fatto fu renduta. In questo tempo che 'l
popolo di
Firenze era fiero e in caldo e signoria, essendo
fatto in
Firenze uno
eccesso e malificio, e
quello cotale che 'l fece si fuggì e stava nella terra di
Prato, per lo Comune di
Firenze fu mandato
a quello
Comune che rimandasse lo sbandito. Eglino per
mantenere loro libertà
nol vollono fare; per la quale
cosa il Comune di Prato fu condannato per lo Comune
di
Firenze in libbre
Xm, e rendessono il
malifattore,
mandandovi uno messo solamente con una
lettera.
I Pratesi
disubbidienti, si bandì l'oste per guastare
Prato; e già mossa la camera dell'arme
del Comune,
e le masnade
a cavallo e
a piè, i Pratesi recarono
i danari, e menarono il malfattore, e pagarono
la
condannagione; e così di fatto facea le cose l'acceso
popolo di
Firenze.
L. 9, cap. 3 rubr.
D'uno grande fuoco che fu in Firenze nella contrada di
Torcicoda.
L. 9, cap. 3Nel detto anno del MCCLXXXXIII s'apprese uno
grande fuoco in Firenze nella contrada detta Torcicoda,
tra San Piero Maggiore e San Simone, e arsonvi
più di XXX case con grande dammaggio, ma non vi
morì persona. E nel detto tempo si feciono intorno
a San Giovanni i pilastri de' gheroni di marmi bianchi
e neri per l'arte di Calimala, che prima erano di macigni,
e levarsi tutti i monumenti e sepolture e arche
di marmo ch'erano intorno a San Giovanni per più
bellezza della chiesa.
L. 9, cap. 4 rubr.Come si cominciò la guerra intra il re di Francia e
quello d'Inghilterra.
L. 9, cap. 4Nel detto
anno
MCCLXXXXIII, avendo avuta battaglia
e ruberia in
mare tra' Guasconi ch'erano uomini
del re d'Inghilterra e'
Normandi che sono sotto il re
di
Francia, della quale i
Normandi ebbono il peggiore,
e
vegnendosi
a
dolere della ingiuria e
dammaggio
ricevuto da' Guasconi
al loro re di
Francia, lo re fece
richiedere il re
Adoardo d'Inghilterra, il quale per
risorto tenea la
Guascogna
dovendone fare omaggio
al re di
Francia, che
dovesse fare fare l'amenda alle
sue genti, e venire
personalmente
a ffare omaggio della
detta
Guascogna
al re di
Francia, e se ciò non facesse
a certo
termine
a llui dato, il re di
Francia col suo
consiglio de'
XII peri il
privava
del
ducato di
Guascogna.
Per la qual cosa il re
Adoardo, il quale era di
grande cuore e prodezza, e per suo senno e
valore
fatte di grandi cose oltremare e di qua, isdegnò di
non volere fare
personalmente il detto omaggio, ma
mandò in
Francia messer Amondo suo fratello, che
facesse per lui, e soddisfacesse il
dammaggio ricevuto
per la gente
del re di
Francia. Ma per l'orgoglio e
covidigia de' Franceschi, il re
Filippo di
Francia
nol
volle accettare, per avere cagione di torre
al re d'Inghilterra
la
Guascogna lungamente
conceputa e disiderata.
Per la qual cosa si cominciò aspra e
dura
guerra tra' Franceschi e gl'Inghilesi in terra e in
mare,
onde molta gente morirono, e furono presi e
diserti
dall'una parte e dall'altra, come innanzi per gli
tempi faremo menzione. E 'l seguente
anno il re
Filippo
di
Francia mandò in
Guascogna messere
Carlo
di
Valos suo fratello con grande cavalleria, e prese
Bordello e molte terre e castella sopra il re d'Inghilterra,
e in
mare mise grande navilio in corso sopra
gl'Inghilesi.
L. 9, cap. 5 rubr.
Come fu eletto e fatto papa Cilestino quinto, e come
rifiutò il papato.
L. 9, cap. 5Negli
anni di Cristo
MCCLXXXXIIII,
del mese di luglio,
essendo stata vacata la Chiesa di
Roma dopo la
morte di papa Niccola d'Ascoli più di
due
anni, per
discordia de' cardinali ch'erano partiti, e
ciascuna
setta volea papa uno di loro, essendo i cardinali in
Perugia, e costretti aspramente da' Perugini perché
eleggessono papa, come piacque
a dDio, furono in
concordia di non chiamare niuno di loro
collegio, e
elessono uno santo uomo ch'avea nome frate Piero
dal
Morrone d'
Abruzzi. Questi era
romito e d'aspra
vita e penitenzia, e per lasciare la vanità de·
mondo,
ordinati più santi monisterii di suo ordine, sì se n'andò
a ffare penitenzia nella montagna
del
Morrone, la
quale è sopra Sermona. Questi eletto e fatto venire e
coronato papa, per riformare la Chiesa fece di settembre
vegnente
XII cardinali, grande parte oltramontani,
a
ppetizione e per
consiglio
del re
Carlo re
di Cicilia e di Puglia; e ciò fatto, n'andò
colla
corte
a
Napoli, il quale dal re
Carlo fu ricevuto graziosamente
e con grande onore; ma perch'egli era semplice
e non litterato, e delle pompe
del
mondo non si
travagliava volentieri, i cardinali il
pregiavano poco,
e parea loro che
a utile e stato della Chiesa avere fatta
mala elezione. Il detto santo padre aveggendosi di
ciò, e non sentendosi sofficiente
al governamento
della Chiesa, come quegli che più amava di servire
a dDio e l'utile di sua anima che l'onore
mondano,
cercava ogni
via come potesse rinunziare il
papato.
Intra gli altri cardinali della
corte era uno messer Benedetto
Guatani d'Alagna molto savio di scrittura, e
delle cose
del
mondo molto
pratico e sagace, il quale
aveva grande volontà di pervenire alla dignità
papale,
e quello con ordine avea cercato e procacciato col
re
Carlo e co' cardinali, e già da lloro la promessa, la
quale poi gli venne fatta. Questi si mise dinanzi
al
santo padre, sentendo ch'egli avea voglia di rinunziare
il
papato, ch'egli facesse una
nuova decretale, che
per
utilità della sua anima
ciascuno papa potesse il
papato rinunziare,
mostrandoli
assemplo di santo
Clemente, che quando santo Pietro venne
a
morte
lasciò ch'apresso
a llui fosse papa; e quegli per utile
di sua anima non volle essere, e fu in luogo di lui in
prima santo Lino, e poi santo
Cleto papa; e così come
il consigliò il detto cardinale, fece papa
Cilestino
il detto decreto; e ciò fatto, il dì di santa Lucia di dicembre
vegnente, fatto
concestoro di tutti i cardinali,
in loro presenza si trasse la corona e il manto
papale,
e rinunziò il
papato, e partissi della
corte, e tornossi
ad essere
eremita, e
a ffare sua penitenzia. E
così regnò nel
papato
V mesi e
VIIII dì papa
Cilestino.
Ma poi il suo successore messer Benedetto
Guatani
detto di sopra, il quale fu poi papa Bonifazio, si
dice, e fu vero, il fece prendere
a la montagna di
Santo Angiolo in Puglia di sopra
a Bestia, ove s'era
ridotto
a ffare penitenzia, e chi
dice ne voleva
ire
in
Ischiavonia, e
privatamente nella rocca di Fummone
in Campagna il fece tenere in cortese pregione, acciò
che llui vivendo non si potesse apporre alla sua lezione,
però che molti Cristiani teneano
Cilestino per diritto
e vero papa, nonostante la sua
rinunziazione,
opponendo che sì fatta dignità come il
papato per
niuno decreto non si potea rinunziare, e perché santo
Clemente rifiutasse la prima volta il
papato, i fedeli
il pur teneano per padre, e
convenne poi che
pur fosse papa dopo santo
Cleto. Ma ritenuto preso
Cilestino, come avemo detto, in Fummone, nel detto
luogo poco vivette; e quivi morto, fu soppellito in
una piccola chiesa di fuori di Fummone dell'ordine
di suoi frati poveramente, e messo
sotterra più di
X
braccia, acciò che 'l suo corpo non si ritrovasse. Ma
alla sua vita, e dopo la sua
morte, fece Iddio molti
miracoli per lui, onde molta gente aveano in lui
grande
devozione; e poi
a
ccerto tempo appresso
dalla Chiesa di
Roma e da papa Giovanni
XXII fu
canonizzato, e chiamato santo Piero di
Morrone, come
innanzi
al detto tempo fareno menzione.
L. 9, cap. 6 rubr.
Come fu eletto e fatto papa Bonifazio ottavo.
L. 9, cap. 6Nel detto
anno
MCCLXXXXIIII messer Benedetto
Guatani cardinale, avendo per suo senno e segacità
adoperato che papa Celestino avea rifiutato il
papato,
come adietro nel passato
capitolo avemo fatta
menzione,
seguì la sua impresa, e tanto adoperò co'
cardinali e col
procaccio
del re
Carlo, il quale avea
l'amistà di molti cardinali, spezialmente di
XII nuovi
eletti per Celestino, e istando in questa
cerca, una sera
di notte
isconosciuto con
poca compagnia andòe
al re
Carlo, e
dissegli: «Re, il
tuo papa Celestino t'ha
voluto e potuto servire nella tua
guerra di Cicilia, ma
nonn ha saputo; ma se tu adoperi co' tuoi amici cardinali
ch'io sia eletto papa, io saprò, e vorrò, e potrò»;
promettendogli per sua fede e saramento di
mettervi tutto il podere della Chiesa. Allora lo re fidandosi
in lui, gli
promise e
ordinò co' suoi
XII cardinali
che gli dessero le loro
boci. E essendo alla lezione
messer
Matteo Rosso e messer Iacopo della Colonna,
ch'erano capo delle
sette de' cardinali, s'
accorsono
di ciò, incontanente gli diedono le loro, ma
prima messer
Matteo Rosso
Orsini; e per questo modo
fu eletto papa nella
città di Napoli la
vilia della
Natività di Cristo
del detto
anno; e incontanente che
fue eletto si volle partire di Napoli
colla
corte, e venne
a
Roma, e là si fece coronare con grande solennità
e onore in mezzo gennaio. E ciò fatto, la prima provisione
che fece, sentendo che grande
guerra era cominciata
tra 'l re
Filippo di
Francia e re
Adoardo
d'Inghilterra per la quistione di
Guascogna, sì mandò
oltre i monti
due legati cardinali, perché gli
pacificassono
insieme; ma poco v'
adoperarono, che' detti
signori rimasono in maggiore
guerra che di prima.
Questo papa Bonifazio fue della
città d'Alagna, assai
gentile uomo di sua terra, figliuolo di messer
Lifredi
Guatani, e di sua nazione Ghibellino; e mentre fu
cardinale, protettore di loro, spezialmente de'
Todini;
ma poi che fu fatto papa molto si fece Guelfo, e
molto fece per lo re
Carlo nella
guerra di Cicilia, con
tutto che per molti savi si disse ch'egli fu
partitore
della parte guelfa, sotto l'ombra di mostrarsi molto
Guelfo, come innanzi ne' suoi processi
manifestamente
si potrà comprendere per chi fia buono intenditore.
Molto fu magnanimo e signorile, e volle molto
onore, e seppe bene mantenere e avanzare le
ragioni
della Chiesa, e per lo suo savere e podere molto
fu ridottato e temuto; pecunioso fu molto per
agrandire la Chiesa e' suoi
parenti, non faccendo coscienza
di guadagno, che tutto dicea gli era licito
quello ch'era della Chiesa. E come fu fatto papa
anullò tutte le grazie de' vacanti fatte per papa Celestino,
chi non avesse la possesione; fece fare il nipote
al re
Carlo
conte di
Caserta, e
due figliuoli
del detto
suo nipote, l'uno
conte di
Fondi e l'altro
conte di Palazzo.
Comperò il castello delle Milizie di
Roma, che
fu il palazzo d'
Attaviano imperadore, e quello crescere
e
reedificare con grande spendio, e più altre
forti e belle castella in Campagna e in Maremma. E
sempre la sua stanza fue il verno in
Roma, e la state
a
la prima in Rieti e Orbivieto, ma poi il più in Alagna
per agrandire la sua
cittade. Lasceremo alquanto di
dire
del detto papa, seguendo di tempo in tempo
delle
novità dell'altre parti
del
mondo, e
massimamente
di quelle di
Firenze, onde molto ne cresce
materia.
L. 9, cap. 7 rubr.Quando si cominciò a fondare la nuova chiesa di
Santa Croce di Firenze.
L. 9, cap. 7Negli anni di Cristo MCCLXXXXIIII, il dì di santa
Croce di maggio, si fondò la grande chiesa nuova de'
frati minori di Firenze detta Santa Croce, e a la consegrazione
della prima pietra che si mise ne' fondamenti,
vi furono molti vescovi e parlati e cherici e religiosi,
e la podestà, e 'l capitano, e' priori, e tutta la
buona gente di Firenze, uomini e donne, con grande
festa e solennitade. E cominciarsi i fondamenti prima
da la parte di dietro ove sono le cappelle, però
che prima v'era la chiesa vecchia, e rimase all'oficio
de' frati infino che furono murate le cappelle nuove.
L. 9, cap. 8 rubr.
Come fu cacciato di Firenze il grande popolare Giano
della Bella.
L. 9, cap. 8Nel detto
anno
MCCLXXXXIIII,
del mese di gennaio,
essendo di
nuovo
entrato in signoria de la podesteria
di
Firenze messer Giovanni da
Luccino da
Commo, avendo dinanzi uno processo d'una
accusa
contro
a messer
Corso de'
Donati, nobile e possente
cittadino de' più di
Firenze, per cagione che 'l detto
messer
Corso
dovea avere morto uno popolano, famigliare
di messer Simone
Galastrone suo
consorto,
a una mischia e fedite le quali aveano avute insieme,
e quello famigliare era stato morto; onde messer
Corso
Donati era andato dinanzi con
sicurtà della
detta podestà,
a'
prieghi d'amici e signori, onde il
popolo di
Firenze attendea che la detta podestà il
condannasse. già era tratto fuori il gonfalone della
giustizia per fare l'
esecuzione, e egli l'asolvette; per la
qual cosa in sul palagio della podestà
letta la detta
prosciogligione, e condannato messer Simone
Galastrone
delle fedite, il popolo
minuto gridò: «Muoia
la podestà!»; e uscendo
a
corsa di palagio, gridando:
«
A l'arme
a l'arme, e
viva il popolo!», gran parte
del popolo fu in arme, e spezialmente il popolo
minuto; e trassono
a casa Giano de la Bella loro caporale;
e elli, si dice, gli mandò col suo fratello
al palagio
de' priori
a seguire il gonfaloniere della giustizia;
ma ciò non feciono, anzi vennero pure
al palagio
della podestà, il quale popolo
a furore con arme e
balestra assaliro il detto palagio, e con fuoco misono
nelle porte, e arsolle, e
entrarono dentro, e presono e
rubarono la detta podestà e sua famiglia vituperosamente.
Ma messer
Corso per tema di sua persona si
fuggì di palagio di tetto in tetto, ch'allora non era così
murato; de la quale
furia i priori, ch'erano assai vicini
al palagio della podestà, dispiacque, ma per lo
isfrenato popolo
nol poterono riparare. Ma
racquetato
il romore, alquanti dì appresso i grandi uomini
che non dormivano in pensare d'abattere Giano de
la Bella, imperciò ch'egli era stato de' caporali e cominciatori
degli ordini della giustizia, e oltre
a cciò,
per abassare i grandi, volle torre
a' capitani di parte
guelfa il
suggello e 'l mobile della parte, ch'era assai,
e recarlo in Comune, non perch'egli non fosse Guelfo
e di nazione Guelfo, ma per abassare la
potenzia
de' grandi; i quali grandi vedendosi così trattare,
s'acostarono in
setta col
consiglio
del
collegio de'
giudici e de' notari, i quali si teneano gravati da llui,
come addietro facemmo menzione, e con altri popolani
grassi, amici e
parenti de' grandi, che non amavano
che Giano de la Bella fosse in Comune maggiore
di loro, ordinarono di fare uno gagliardo uficio
de' priori; e venne loro fatto, e trassesi fuori prima
che 'l tempo usato. E ciò fatto, come furono all'uficio,
sì ordinarono col capitano
del popolo, e feciono
formare una
notificagione e inquisizione contro
al
detto Giano de la Bella e altri suoi
consorti e seguaci,
e di quegli che furono caporali
a mettere fuoco
nel palagio, opponendo com'egli aveano messa la
terra
a romore, e turbato il
pacifico stato, e
assalita la
podestà contro
agli ordini della giustizia; per la qual
cosa il popolo
minuto molto sì conturbò, e andavano
a casa Giano della Bella, e
proffereagli d'esser co· llui
in arme
a
difenderlo, o combattere la terra. E il suo
fratello trasse in Orto
Sammichele uno gonfalone
dell'arme
del popolo; ma Giano ch'era uno savio uomo,
se non ch'era alquanto
presuntuoso, veggendosi
tradito e ingannato da
coloro medesimi ch'erano stati
co· llui
a ffare il popolo, e veggendo che lla loro
forza con quella de' grandi era molto possente, e già
raunati
a casa i priori armati, non si volle mettere alla
ventura della battaglia
cittadinesca, e per non guastare
la terra, e per tema di sua persona non volle
ire
dinanzi, ma cessossi, e partì di
Firenze
a dì
V di marzo,
isperando che 'l popolo i rimetterebbe ancora in
istato; onde per la detta
accusa, overo
notificagione,
fu per
contumace condannato nella persona e
isbandito,
e in
esilio morì in
Francia (ch'avea
a ffare di là,
ed era compagno de' Pazzi), e tutti i suoi beni disfatti,
e certi altri popolani
accusati co· llui; onde di lui
fu grande
danno alla nostra
cittade, e
massimamente
al popolo, però ch'egli era il più leale e diritto popolano
e amatore
del bene comune che uomo di
Firenze,
e quegli che mettea in Comune e non ne traeva.
Era
presuntuoso e volea le sue vendette fare, e
fecene
alcuna contra gli Abati suoi vicini col braccio
del
Comune, e forse per gli detti peccati fu, per le sue
medesime
leggi fatte,
a torto e sanza colpa da' non
giusti giudicato. E nota che questo è grande esemplo
a que' cittadini che sono
a venire, di guardarsi di
non volere essere signori di loro cittadini né troppo
presuntuosi, ma istare
contenti
a la comune
cittadinanza,
che quegli medesimi che ll'aveano aiutato
a
farlo grande per invidia il tradiranno e penseranno
d'abattere; esse n'è veduta
isperienza vera in
Firenze
per antico e per
novello, che chiunque s'è fatto caporale
di popolo o d'università è stato abattuto, però
che llo
'ngrato popolo mai non rende altri
meriti. Di
questa
novitade ebbe grande turbazione e
mutazione
il popolo e la
cittade di
Firenze, e d'allora innanzi gli
artefici e' popolani
minuti poco podere ebbono in
Comune, ma rimase
al governo de' popolani grassi e
possenti.
L. 9, cap. 9 rubr.
Quando si cominciò a fondare la chiesa maggiore di
Santa Reparata.
L. 9, cap. 9Nel detto anno MCCLXXXXIIII, essendo la città di
Firenze in assai tranquillo stato, essendo passate le
fortune del popolo per le novità di Giano della Bella,
i cittadini s'accordarono di rinnovare la chiesa maggiore
di Firenze, la quale era molto di grossa forma e
piccola a comparazione di sì fatta cittade, e ordinaro
di crescerla, e di trarla addietro, e di farla tutta di
marmi e con figure intagliate. E fondossi con grande
solennitade il dì di santa Maria di settembre per lo
legato del papa cardinale e più vescovi, e fuvi la podestà
e capitano e' priori, e tutte l'ordini delle signorie
di Firenze, e consagrossi ad onore d'Iddio e di
santa Maria, nominandola Santa Maria del Fiore,
con tutto che mai no· lle si mutò il primo nome per
l'universo popolo, Santa Reparata. E ordinossi per lo
Comune a la fabbrica e lavorio de la detta chiesa una
gabella di danari IIII per libbra di ciò che usciva della
camera del Comune, e soldi II per capo d'uomo; e
il legato e' vescovi vi lasciarono grandi indulgenzie e
perdonanze a chi vi facesse aiuto e limosina.
L. 9, cap. 10 rubr.
Come messer Gianni di Celona venne in Toscana
vicario d'imperio.
L. 9, cap. 10Nel detto
anno
MCCLXXXXIIII uno valente e gentile
uomo della casa
del
conte di Borgogna, che ssi
chiamava messer
Gianni di Celona,
a sommossa della
parte ghibellina di
Toscana e col loro favore, impetrò
da Alberto d'
Osteric re de' Romani d'essere vicario
d'imperio in
Toscana; e ciò fatto, passò in Italia
con
Vc Borgognoni e Tedeschi
a cavallo, e arrivò
nella
città d'
Arezzo; e in quella cogli Aretini, e' Romagnuoli,
e' ribelli di
Firenze, cominciò
a ffare
guerra
a' Fiorentini e Sanesi, e stette bene uno
anno.
A la
fine non piaccendo
a' Ghibellini perch'era di lingua
francesca, furono in sospetto di lui; per la qual cosa
poi per
procaccio di papa Bonifazio,
a petizione
del
Comune di
Firenze e de' Guelfi di
Toscana, per accordo
si partì con sua gente, e tornossi in Borgogna
l'
anno
MCCLXXXXV, ed ebbe dal Comune di
Firenze
XXXm fiorini d'oro, e simile per rata da l'altre terre
guelfe di
Toscana, per
mandarlo via.
Nel detto
anno
MCCLXXXXIIII morì in
Firenze uno
valente cittadino il quale ebbe nome ser
Brunetto
Latini, il quale fu gran filosafo, e fue sommo maestro
in rettorica, tanto in bene sapere dire come in bene
dittare. E fu quegli che
spuose la Rettorica di
Tulio,
e fece il buono e utile
libro detto
Tesoro, e il
Tesoretto,
e la Chiave
del
Tesoro, e più altri
libri in filosofia,
e de'
vizi e di virtù, e fu dittatore
del nostro
Comune. Fu
mondano uomo, ma di lui avemo fatta
menzione però ch'egli fue cominciatore e maestro in
digrossare i Fiorentini, e farli
scorti in bene parlare,
e in sapere guidare e reggere la nostra repubblica secondo
la Politica.
L. 9, cap. 11 rubr.Come fu canonizzato santo Luis re che fu di Francia.
L. 9, cap. 11Nel detto anno MCCLXXXXIIII papa Bonifazio co'
suoi frati cardinali nella città d'Orbivieto canonizzò
la memoria del buono Luis re di Francia, il quale
morì per la Cristianitade sopra la città di Tunisi, trovando
per vere testimonianze di lui sante opere a la
sua vita e a la sua fine, e avendo Iddio mostrati di lui
aperti miracoli.
L. 9, cap. 12 rubr.
Come i grandi di Firenze misono la città a romore
per rompere il popolo.
L. 9, cap. 12
A dì
VI del mese di luglio, l'
anno
MCCLXXXXV, i
grandi e possenti della
città di
Firenze veggendosi
forte gravati di
nuovi ordini de la giustizia fatti per lo
popolo, e
massimamente di quello ordine che
dice
che l'uno
consorto sia tenuto per l'altro, e che lla
pruova della
piuvica
fama fosse per
due testimoni; e
avendo in sul priorato di loro amici, sì procacciarono
di rompere gli ordini
del popolo. E prima sì ssi
pacificarono
insieme de' grandi
nimistà tra lloro, spezialmente
tra gli
Adimari e'
Tosinghi, e tra' Bardi e'
Mozzi; e ciò fatto, feciono
a certo dì ordinato raunata
di gente, e richiesono i priori che' detti
capitoli
fossono corretti; onde della
città di
Firenze fu tutta
gente
a romore e
a l'arme, i grandi per sé
a
cavalli
coverti, e co· lloro séguito di contadini e d'altri
masnadieri
a piè in grande quantità; e
schierarsi parte
di loro nella piazza di Santo Giovanni, ond'ebbe la
'nsegna reale messer Forese degli
Adimari; parte di
loro
a la piazza
a Ponte, ond'ebbe la 'nsegna messer
Vanni
Mozzi; e parte in Mercato Nuovo, ond'ebbe la
'nsegna messer
Geri Spini, per volere correre la terra.
I popolani s'armarono tutti co' loro ordini e
insegne
e
bandiere, e furono in grande numero, e
asserragliarono
le vie della
città in più parti, perché i cavalieri
non potessono correre la terra, e raunarsi
al
palagio della podestà e
a casa de' priori, che stavano
allora nella casa de'
Cerchi dietro
a San
Brocolo; e
trovossi il popolo sì possente, e ordinati di forza e
d'arme e di gente, e diedono compagnia
a' priori,
perch'erano sospetti, de' maggiori e de' più possenti
e savi popolani di
Firenze, uno per
sesto. Per la qual
cosa i grandi non ebbono niuna forza né podere contra
loro, ma il popolo avrebbe potuto vincere i grandi,
ma per lo migliore e per non fare battaglia
cittadinesca,
avendo alcuno mezzo di frati di buona gente
dall'una parte
a l'altra,
ciascuna parte si disarmò, e
la
cittade si
racquetò sanza altra
novità, rimagnendo
il popolo in suo stato e signoria, salvo che, dove la
pruova de la
piuvica
fama era per
II testimoni, si mise
fossono per
III; e ciò feciono i priori contra volontà
de' popolani, ma poco appresso si rivocò e tornò
al primo stato. Ma pur questa
novitate fue la radice e
cominciamento dello sconcio e male istato della
città
di
Firenze che ne
seguì apresso, che da indi innanzi i
grandi mai non
finarono di cercare modo d'abattere
il popolo
a lloro podere; e' caporali
del popolo cercarono
ogni
via di fortificare il popolo e d'abassare i
grandi, fortificando gli ordini della giustizia; e feciono
torre
a' grandi le loro balestra grosse, e comperate
per lo Comune; e molti casati che nonn erano tiranni
e di non grande podere trassono
del numero
de' grandi e misono nel popolo, per iscemare il podere
de' grandi e crescere quello
del popolo. E
quando i detti priori uscirono dell'uficio, fu loro
picchiate
le caviglie dietro, e gittati de' sassi, perch'erano
stati consenzienti
a
favorare i grandi; e per questo
romore e
novitadi si mutò
nuovo stato di popolo in
Firenze, onde furono capo
Mancini, e Magalotti,
Altoviti,
Peruzzi,
Acciaiuoli, e
Cerretani, e più altri.
L. 9, cap. 13 rubr.Come lo re Carlo fece pace col re Giamo d'Araona.
L. 9, cap. 13Negli
anni di Cristo
MCCLXXXXV morì il re
Anfus
d'
Araona, per la cui
morte
don Giamo suo fratello, il
quale s'avea fatto coronare e tenea l'isola di Cicilia,
cercò sua pace
colla Chiesa e col re
Carlo, e per mano
di papa Bonifazio si fece in questo modo; che 'l
detto
don Giamo togliesse per moglie la figliuola
del
re
Carlo, e rifiutasse la signoria di Cicilia, e lasciasse
gli
stadichi che 'l re
Carlo avea lasciati in
Aragona,
ciò erano Ruberto e
Ramondo e Giovanni suoi figliuoli
con altri baroni e cavalieri provenzali; e 'l papa
col re
Carlo
promise di fare rinunziare
Carlo di
Valos, fratello
del re di
Francia, il privilegio che papa
Martino quarto gli avea fatto
del reame d'
Araona;
e perché
a cciò consentisse, gli
diè il re
Carlo la
contea
d'Angiò e la figliuola per moglie. E per ciò fornire
andò il re
Carlo in
Francia in persona, e lui tornando
coll'accordo fatto e co' suoi figliuoli, i quali
avea diliberi di pregione, sì passò per la
città di
Firenze,
ne la quale era già venuto da Napoli per
farglisi
incontro
Carlo Martello re d'Ungheria suo figliuolo,
e con sua compagnia
CC cavalieri
a sproni
d'oro, Franceschi, e Provenzali, e
del Regno, tutti
giovani, vestiti col re d'una partita di scarlatto e
verde
bruno, e tutti con
selle d'una assisa
a
palafreno rilevate
d'ariento e d'oro, co l'arme
a quartieri
a gigli
ad oro, e
acerchiata rosso e d'argento, cioè l'arme
d'Ungaria, che parea la più nobile e ricca compagnia
che anche avesse uno giovane re con seco. E in
Firenze
stette più di
XX dì, attendendo il re suo padre
e' frategli, e da' Fiorentini gli fu fatto grande onore,
e egli mostrò grande amore
a' Fiorentini, onde ebbe
molto la grazia di tutti. E venuto il re
Carlo, e Ruberto,
e
Ramondo, e Giovanni suoi figliuoli in
Firenze
col marchese di Monferrato, che
dovea avere per
moglie la figliuola
del re, fatti in
Firenze più cavalieri,
e ricevuto molto onore e presenti da' Fiorentini, il
re con tutti i figliuoli si tornò
a
corte di papa e poi
a
Napoli. E ciò fatto, e messo
a
seguizione per lo papa
e per lo re
Carlo tutto il contratto della pace,
don
Giamo si partì di Cicilia e andossene in
Araona, e
del reame si fece coronare; ma di cui si fosse la colpa,
o
del papa o di
don Giamo, il re
Carlo si trovò
ingannato, che dove lo re
Carlo si
credette riavere l'isola
di Cicilia
a
queto, partitosene
don Giamo,
Federigo
sequente suo fratello vi rimase signore, e
a' Ciciliani
se ne fece coronare contra volontà della Chiesa
dal vescovo di
Cefalona, onde il papa mostrò grande
turbazione contro
al re d'
Araona e
Federigo suo fratello,
e
fecelo
citare
a
corte, il quale re Giamo vi venne
l'
anno appresso, come innanzi faremo menzione.
L. 9, cap. 14 rubr.Come la parte guelfa furono per forza cacciati di
Genova.
L. 9, cap. 14Nel detto
anno si cominciò grande
guerra tra' cittadini
di
Genova, tra la parte guelfa, ond'erano capo
i
Grimaldi, e la parte ghibellina, ond'eran capo gli
Ori e
Spinoli; e ciò parve che si scoprisse per invidia
tra lloro, e per la signoria della terra: ché la state medesima
aveano fatta la più grande e la più ricca armata
in
mare sopra i Viniziani che mai facesse Comune,
che più di
CLX galee furono, sanza gli altri legni
grossi e sottili, che furono più di
C, e
ciascuna
parte e casato armando
a gara l'uno dell'altro si sforzaro;
e allora fu
Genova e il suo podere nel maggiore
colmo ch'ella fosse mai, che poi sempre vennono
calando.
E parve che in quello stuolo si cominciasse la
discordia, che non passarono più innanzi che Messina,
ch'aveano ordinato d'andare infino
a Vinegia; e
tornati
a
Genova, cominciarono tra lloro battaglia
cittadinesca, la quale
durò da
L dì, saettandosi e
combattendosi di dì e di notte, onde molti ne moriro
d'una parte e d'altra, e in più parti de la
città misono
fuoco, e arse la Riva quasi tutta, e la chiesa maggiore
di Santo Lorenzo, e più case e palazzi.
A la fine quegli
di casa d'
Oria, e gli
Spinoli, e' loro seguaci, sotto
trattato di triegua si fornirono di molta gente
nuova
di Lombardia e della riviera, e trovarsi sì forti, che
per forza ne cacciarono i
Grimaldi e' loro seguaci
guelfi; e ciò fu di gennaio nel
MCCLXXXXV.
L. 9, cap. 15 rubr.De' fatti de' Tarteri di Persia.
L. 9, cap. 15Nel detto anno essendo imperadore de' Tarteri di
Persia e del Turigi Baido Cane, fratello che fu d'Argon
Cane, onde addietro in alcuna parte facemmo
menzione; e se Argon amò i Cristiani, questo Baido
fu cristianissimo e nimico de' Saracini; per la qual
cosa i Saracini di suo paese con certi signori di Tarteri
feciono con ispendio e gran promesse che Casano
suo nipote e figliuolo che fu d'Argon si rubellò
da llui, e venne in campo con grande oste de' Tarteri
e Saracini contro a llui per combattere. Baido veggendosi
da gran parte de' suoi tradito, si mise a fuggire,
il quale da Casano fue seguito, e sconfitto, e
morto. E 'l detto Casano fatto signore colla forza de'
Saracini, come detto avemo, incontanente mutò condizione,
e come prima avea amati i Saracini e odiati i
Cristiani, così apresso fu amico de' Cristiani e nimico
de' Saracini, e distrusse tutti coloro che ll'aveano
consigliato di fare male a' Cristiani, e appresso fece
molto di bene per la Cristianità per raquistare la Terrasanta,
come innanzi al tempo faremo menzione.
L. 9, cap. 16 rubr.
Come Maghinardo da Susinana isconfisse i Bolognesi,
e prese la città d'Imola.
L. 9, cap. 16Negli anni di Cristo MCCLXXXXVI, in calen di aprile,
Maghinardo da Susinana, onde addietro facemmo
menzione, avendo guerra co' Bolognesi per cagione
della presa di Forlì e d'altre terre di Romagna, onde i
Bolognesi aveano la signoria, e fatta lega col marchese
Azzo da Ferrara, il quale simigliante avea guerra
co' Bolognesi, coll'aiuto di sua gente e de' Ghibellini
di Romagna, vegnendo con oste sopra la città d'Imola
ov'erano i Bolognesi co· lloro forza, combattendo
co· lloro gli sconfisse con grande danno de' presi e
de' morti, e prese la detta città d'Imola con molti
Bolognesi che v'erano dentro.
L. 9, cap. 17 rubr.Come il popolo di Firenze fece fare la terra di Castello
San Giovanni e Castello Franco in Valdarno.
L. 9, cap. 17Nel detto
anno essendo il Comune e popolo di
Firenze
in assai buono e felice stato, con tutto che i
grandi avessono incominciato
a contradiare il popolo,
come detto avemo, il popolo per meglio
fortificarsi
in
contado, e scemare la forza de' nobili e de'
potenti
del
contado, e spezialmente quella de' Pazzi
di Valdarno e degli
Ubertini ch'erano Ghibellini, si
ordinò che nel nostro Valdarno di sopra si facessono
due grandi terre e castella; l'uno era tra
Fegghine e
Montevarchi, e puosesi nome Castello Santo Giovanni,
e l'altro in casa Uberti
a lo 'ncontro passato
l'Arno, e
puosongli nome Castello Franco, e
francarono
tutti gli abitanti de' detti castelli per
X anni d'ogni
fazzione e spese di Comune, onde molti fedeli
de' Pazzi e
Ubertini, e di quegli da
Ricasoli, e de'
Conti, e d'altri nobili, per esser franchi si feciono terrazzani
de' detti castelli; per la qual cosa in poco
tempo
crebbono e
multiplicaro assai, e fecionsi buone
e grosse terre.
L. 9, cap. 18 rubr.Come lo re Giamo d'Araona venne a Roma, e papa
Bonifazio gli privileggiò l'isola di Sardigna.
L. 9, cap. 18Nel detto
anno alla richesta di papa Bonifazio il re
Giamo d'
Araona venne
a
Roma
al detto papa, e menò
seco la reina
Gostanza sua madre e figliuola che
fu
del re Manfredi, e messer Ruggieri di
Loria suo
amiraglio,
a' quali il papa fece grande onore e
ricomunicogli;
e 'l detto re Giamo si
scusò della 'mpresa
che
don
Federigo suo fratello avea fatta della signoria
di Cicilia, come non era essuta di sua saputa né di
suo
consentimento, giurando in mano
del papa in
presenza
del re
Carlo che
a richiesta
del re
Carlo e'
sarebbe
personalmente, e con sua gente e forza, contro
a
don
Federigo suo fratello
ad aiutare
racquistare
l'isola di Cicilia; e simile
promessa e saramento fece
fare
a messer Ruggieri di
Loria suo amiraglio. Per la
quale cosa il papa fece il detto re Giamo ammiraglio
e gonfaloniere della Chiesa in
mare, quando si facesse
il passaggio d'oltremare, e
privileggiollo
del reame
dell'isola di Sardigna,
conquistandolo sopra i Pisani
o chi v'avesse signoria; e fece il detto papa che 'l re
Carlo
perdonò ogni offesa ricevuta da messere Ruggieri
di
Loria, e
fecelo suo ammiraglio; per la qual
cosa sappiendo
don
Federigo, gli tolse tutte sue
rendite
e onori ch'avea in Cicilia, e
al nipote,
opponendogli
tradigione, fece tagliare la testa.
L. 9, cap. 19 rubr.Come il conte di Fiandra e quello di Bari si rubellarono
al re di Francia.
L. 9, cap. 19Nel detto
anno il
conte
Guido di
Fiandra e il
conte
di
Bari genero
del re d'Inghilterra si rubellarono
dal re di
Francia per
oltraggi ricevuti dal re e da sua
gente, e
allegarsi col re
Adoardo d'Inghilterra. E
intr'
altre principali cagioni della
rubellazione
del
conte
di
Fiandra si fu perch'egli avea maritata la figliuola
al
figliuolo
del re d'Inghilterra sanza
consentimento
del
re; onde non piaccendo
al re, mandò per lo
conte e
per la
contessa di
Fiandra, e poi per la figliuola; e
quando furono
a Parigi, lo re fece
ritenere la detta
donzella in cortese pregione, perché non fosse moglie
del suo nimico, e poco tempo appresso ella morì;
e dissesi che fu fatta morire di veleno. Il
conte vedendo
ritenuta sua
figlia, e egli da re in
leggere
guardia lasciato, si partì
privatamente di Parigi e
fuggìsi
in
Fiandra, e
dolendosi
a' figliuoli e
a la sua gente
del torto che gli facea il re di sua
figlia, fece le sue
terre rubellare
al re; e in Lilla mise
a guardia Ruberto
suo primo figliuolo, e
a
Doai
Guiglielmo secondo
figliuolo, e
a Coltrai messere
Gianni di
Namurro suo
figliuolo; e il
conte rimase
a la guardia di
Bruggia, e
'l
duca di Brabante suo nipote
a la guardia di Guanto.
Per la qual cosa il re di
Francia con grande oste
andòe in
Fiandra con la maggiore parte di sua baronia,
e con più di
Xm cavalieri e popolo innumerabile,
e puosesi
a oste
a Lilla, ne la quale era messer Ruberto
di
Fiandra e 'l siri di
Falcamonte de la Magna con
più soldati tedeschi, i quali difendeano la terra francamente.
In questa stanza il
conte d'Artese isconfisse
i
Fiaminghi
a
Fornes, e lo re d'Inghilterra arrivò in
Fiandra, come si tratterà nel seguente
capitolo; per
la qual cosa, e ancora perché la villa di Lilla non era
bene proveduta né fornita di vittuaglia, s'
arrendéo la
terra
al re di
Francia,
andandone sano e salvo messer
Ruberto di
Fiandra con tutti i soldati tedeschi. E
avuta il re di
Francia Lilla, prese la sua gente Bettona
e più altre ville di
Fiandra, e fece poi lo re di
Francia
cavalcare le terre
del
conte di
Bari, e ardere e guastare.
L. 9, cap. 20 rubr.Come il conte d'Artese isconfisse i Fiamminghi a
Fornes, e come il re d'Inghilterra passò in Fiandra.
L. 9, cap. 20Nel seguente
anno
MCCLXXXXVII, essendo
cresciuta
la
guerra
al re di
Francia per lo re d'Inghilterra, e
per la
rubellazione
del
conte di
Fiandra e di quello
di
Bari, come detto avemo di sopra, sì feciono lega
ancora contro
a llui col re
Attaulfo d'Alamagna, e
mandogli il re d'Inghilterra
XXXm marchi di sterlini,
acciò che venisse con suo isforzo in
Fiandra per assalire
il reame di
Francia; e così
promise e
giurò, e lo re
d'Inghilterra
promise di
venirvi in persona; e vennero
alquanti cavalieri tedeschi in
Fiandra
al soldo
de'
Fiamminghi, i quali volendo co'
Fiamminghi insieme
assalire la
contea d'Artese, il
conte d'Artese
con grande cavalleria di Franceschi tornato di
Guascogna
in Artese per la detta
guerra cominciata per
gli
Fiamminghi, essendo
al
conte d'Artese già renduta
la villa di
Berghe
a la marina, si fece loro incontro
a
Fornes in
Fiandra, e quivi combattendo insieme,
onde i
Fiamminghi e' Tedeschi furono sconfitti, e
morìvi il
conte
Guiglielmo di Giulieri, e
Arrigo
conte
dal
Bemonte, e 'l siri di
Gaura, e più altri baroni e
cavalieri tedeschi e
fiamminghi con più di
IIIm tra
a
piè e
a cavallo vi furono morti e presi. E dopo la detta
sconfitta il
conte d'Artese prese
Fornes, e feciono
le comandamenta tutte le terre della marina e la valle
di
Cassella. In questo il re
Adoardo d'Inghilterra con
grande navilio, e con
M e più buoni cavalieri e con
gente d'arme
a piè assai, e arrivò in
Fiandra
al porto
della
Stuna, sì come avea
promesso per la lega fatta
col re d'Alamagna e col
conte di
Fiandra, e prese la
villa di
Bruggia, la quale fue abandonata da' Franceschi,
però che non v'avea fortezza né di
muro né di
fossi; e poi n'andò
a Guanto, però che
Bruggia non
era forte, e gli grandi borgesi di
Bruggia eran tutti
della parte
del re, onde non si fidava di stare in
Bruggia.
A Guanto era il
conte di
Fiandra per attendere
il re d'Alamagna, il quale per più moneta, si
disse, ch'ebbe dal re di
Francia, non venne, come
avea
promesso e giurato; e chi disse che il detto re
d'Alamagna rimase per
guerra che 'l re di
Francia
per suoi danari e promessa di parentado gli fece
muovere
al
duca d'
Osteric; e
a questo
diamo più fede.
Onde il re
Adoardo veggendosi ingannato e tradito,
overo
fallito dal re d'Alamagna, e sentendo il
grande podere
del re di
Francia, e com'era già mosso
con tutta sua baronia, avuta Lilla, per venire contro
a llui
a Guanto, e già era
a Coltrai in
Fiandra; per la
qual cosa il re d'Inghilterra non s'
affidò di dimorare
in
Fiandra, però che venuto il re di
Francia con sua
oste, il
convenia essere
soppreso o assediato in
Bruggia
o in Guanto, o venire
a battaglia co· llui; e
dapoi
che non era venuto il re d'Alamagna con sua gente,
non avea podere d'uscire
a campo contro
al re di
Francia, e però si partì di
Fiandra in grande
fretta, e
tornossi con sua gente inn Inghilterra, e lasciò il
conte
di
Fiandra in Guanto in male stato e da tutti abandonato.
Lo re di
Francia perché s'
appressava il verno,
e avea
novelle come il re
Carlo di Puglia
venia in
Francia in
servigio
del re d'Inghilterra, e per commessione
del papa, per mettere accordo intra llui e
re
Adoardo, suoi congiunti,
parenti, e amici, sì ssi
tornò in
Francia con tutta sua oste, lasciando grande
guernigione di gente d'arme
a cavallo e
a piè ne le
dette terre, e fece fare
a Lilla e
a Coltrai forti castelli.
E tornato in
Francia, il re
Carlo
ordinò dal re di
Francia
al re
Adoardo d'Inghilterra e 'l
conte di
Fiandra triegue per
due
anni, rimanendo
al re di
Francia per
patti
Bruggia, e Lilla, e Coltrai, e altre
ville, le quali terre di
Fiandra erano già all'obedienzia
e guadagnate per lo re di
Francia; e per
dispensagione
del papa il re d'Inghilterra prese per moglie la
serocchia
del re di
Francia, e accordogli di pace insieme.
L. 9, cap. 21 rubr.Come papa Bonifazio privò del cardinalato messer
Iacopo e messer Piero della Colonna.
L. 9, cap. 21Negli
anni di Cristo
MCCLXXXXVII,
a dì
XIII del
mese di maggio, tenendosi papa Bonifazio molto
gravato da' signori Colonnesi di
Roma, perché in più
cose l'aveano contastato per isdegno di loro maggioranza,
ma più si tenea il papa gravato, perché messer
Iacopo e messer Piero de la Colonna cardinali gli
erano stati contradi
a la sua lezione, mai non pensò
se non di mettergli
al niente. E in questo avenne che
Sciarra de la Colonna loro nipote, vegnendo
al
mutare
della
corte di
a le some degli arnesi e
tesoro de
la Chiesa, le
rubò e prese, e
menolle in
Per la
qual cagione agiugnendovi la
mala volontade
conceputa
per adietro, il detto papa contro
a lloro fece
processo in questo modo: che' detti messer Iacopo e
messer Piero de la Colonna
diacani cardinali
del cardinalato
e di molti altri benifici ch'aveano da la Chiesa
gli
dispuose e privò; e per simile modo condannò
e privò tutti quegli de la casa de' Colonnesi,
cherici e
laici, d'ogni beneficio
ecclesiastico e secolare, e
scomunicolli,
che mai non potessono avere beneficio; e
fece disfare le case e' palazzi loro di
Roma, onde parve
molto male
a' loro amici romani; ma non poterono
contradire per la forza
del papa e degli
Orsini loro
contrari; per la quale cosa si rubellarono
al tutto
dal papa e cominciarono
guerra, però ch'egli erano
molto possenti, e aveano gran séguito in
Roma, e era
loro la forte
città di
Pilestrino, e quella di
Nepi, e la
Colonna, e più altre castella. Per la qual cosa il papa
diede la indulgenza di colpa e pene chi prendesse la
croce contro
a lloro, e fece fare oste sopra la
città di
Nepi, e il Comune di
Firenze vi mandò in
servigio
del papa
VIc tra
balestrieri e pavesari
crociati co le
sopransegne
del Comune di
Firenze; e tanto stette
l'oste
a l'assedio, che la
città s'
arendé
al papa
a
patti,
ma molta gente vi morì e amalò per corruzzione d'aria
ch'ebbe nella detta oste.
L. 9, cap. 22 rubr.Come Alberto d'Osteric sconfisse e uccise Ataulfo
re d'Alamagna, e com'egli fue eletto re de' Romani.
L. 9, cap. 23Negli
anni di Cristo
MCCLXXXXVIII,
del mese di
giugno, avendo i prencipi d'Alamagna privato
Ataulfo
della lezione dello 'mperio per cagione della sua
dislealtà, e perché s'era legato col re di
Francia per
sua moneta, e tradito il re d'Inghilterra e il
conte di
Fiandra, come addietro avemo fatta menzione, e ancora
per
procaccio d'Alberto
dogio d'
Osteric, figliuolo
che fu
del re
Ridolfo, per avere la lezione con
ordine e trattato
del re
Adoardo, e con molta sua
moneta data
al detto Alberto per fare vendetta
del
tradimento commesso per lo detto
Ataulfo re d'Alamagna;
e ciò fatto, il detto
dogio Alberto con sua
potenzia di gente d'arme venne contro
al detto
Ataulfo, e in campo combatté co· llui, e sconfisselo, e
rimase il detto
Ataulfo morto nella detta battaglia
con molta di sua gente; e avuta Alberto la detta vittoria,
si fece
eleggere re de' Romani, e poi
confermare
a papa Bonifazio.
L. 9, cap. 23 rubr.Come i Colonnesi vennero a la misericordia del papa,
e poi si rubellarono un'altra volta.
L. 9, cap. 23Nel detto
anno,
del mese di settembre, essendo
trattato d'accordo da papa Bonifazio
a' Colonnesi, i
detti Colonnesi,
cherici e laici, vennero
a Rieti ov'era
la
corte, e gittarsi
a piè
del detto papa
a la misericordia,
il quale
perdonò loro, e assolvetteli della scomunicazione,
e volle gli rendessono la
città di Penestrino;
e così feciono, promettendo loro di
ristituirgli in
loro stato e dignità, la qual cosa non attenne loro,
ma fece disfare la detta
città di Penestrino
del poggio
e fortezze ov'era, e
fecene rifare una terra
al piano,
a la quale puose nome
Civita
Papale; e tutto questo
trattato falso e frodolente fece il papa per
consiglio
del
conte da Montefeltro, allora frate minore,
ove gli disse la
mala parola: «Lunga
promessa
coll'
attendere
corto etc
.». I detti Colonnesi trovandosi
ingannati di ciò ch'era loro promesso, e
disfatta sotto
il detto inganno la nobile fortezza di Penestrino, innanzi
che compiesse l'
anno si rubellarono dal papa e
da la Chiesa, e 'l papa gli scomunicò da capo con
aspri processi; e per tema di nonn esser presi o morti,
per la persecuzione
del detto papa, si partirono di
terra di
Roma, e
isparsonsi chi di loro in Cicilia, e
chi in
Francia, e in altre parti,
nascondendosi di luogo
in luogo per non esser
conosciuti, e di non dare
di loro posta ferma, spezialmente messer Iacopo e
messer Piero ch'erano stati cardinali; e così stettono
inn
esilio mentre vivette il detto papa.
L. 9, cap. 24 rubr.Come i Genovesi sconfissono i Viniziani in mare.
L. 9, cap. 24Nel detto
anno,
a dì
VIII di settembre, essendo
grande
guerra in
mare tra i Genovesi e' Viniziani,
ciascuno fece armata, i Genovesi di
CX galee, e' Viniziani
di
CXX galee; e' detti Genovesi, ond'era capitano
e amiraglio messer
Lamba d'
Oria, passarono la
Cicilia e misonsi nel
golfo, con intendimento d'andare
infino
a la
città di Vinegia, se in altro luogo non
trovassono i Viniziani; ma come furono in
Ischiavonia,
trovarono l'armata de' detti Viniziani
a l'isola de
la
Scolcola, ov'ebbe tra'
due stuoli aspra e
dura battaglia;
a la fine furono sconfitti i Viniziani, e molti ne
furono morti e presi, e
LXX corpi di loro
galee ne furono
menate co' pregioni in
Genova.
L. 9, cap. 25 rubr.De' grandi tremuoti che furono in certe città
d'Italia.
L. 9, cap. 25Nel detto anno furono molti tremuoti in Italia,
spezialmente nella città di Rieti e in quella di Spuleto,
e in Toscana nella città di Pistoia, ne le quali cittadi
caddono molte case, e palazzi, e torri, e chiese, e
fu segno del giudicio di Dio, del futuro pericolo, e
aversitadi, che poco appresso si cominciò in più parti
d'Italia, e spezialmente nelle dette nominate cittadi,
come innanzi per gli tempi faremo menzione.
L. 9, cap. 26 rubr.Quando si cominciò il palazzo del popolo di Firenze
ove abitano i priori.
L. 9, cap. 26Nel detto
anno
MCCLXXXXVIII si cominciò
a
fondare
il palagio de' priori per lo Comune e popolo di
Firenze, per le
novità cominciate tra 'l popolo e'
grandi, che ispesso era la terra in gelosia e in commozione,
a la
riformazione
del priorato di
due in
due
mesi, per le
sette già cominciate, e i priori che reggeano
il popolo e tutta la repubblica non parea loro
essere
sicuri ove abitavano innanzi, ch'era ne la casa
de'
Cerchi bianchi dietro
a la chiesa di San
Brocolo.
E
colà
dove puosono il detto palazzo furono
anticamente
le case degli Uberti, ribelli di
Firenze e Ghibellini;
e di que' loro casolari feciono piazza, acciò
che mai non si
rifacessono. E perché il detto palazzo
non si ponesse in sul terreno de' detti Uberti
coloro
che ll'ebbono
a far fare il puosono
musso, che fu
grande difalta
a lasciare però di non farlo
quadro, e
più
discostato da la chiesa di San Piero Scheraggio.
L. 9, cap. 27 rubr.Come fu fatta pace tra 'l Comune di Genova e quello
di Vinegia.
L. 9, cap. 27Negli anni di Cristo MCCLXXXXVIIII, del mese di
maggio, pace fu tra' Genovesi e' Viniziani, e ciascuno
riebbe i suoi pregioni con que' patti che piacquero
a' Genovesi. Intra gli altri vollono che infra XIII
anni niuno Viniziano non navicasse nel mare Maggiore
di là da Gostantinopoli e nella Soria con galee
armate, onde i Genovesi ebbono grande onore, e rimasono
in grande potenza e felice stato, e più che
Comune o signore del mondo ridottati in mare.
L. 9, cap. 28 rubr.
Come fu fatta pace tra 'l Comune di Bologna e 'l
marchese da Esti e Maghinardo da Susinana per gli
Fiorentini
L. 9, cap. 28Nel detto tempo e anno essendo stata lunga e
grande guerra tra 'l Comune di Bologna e' suoi usciti,
e col marchese Azzo da Esti, il quale signoreggiava
la città di Ferrara, e quella di Reggio, e quella di
Modona, e con Maghinardo da Susinana grande signore
in Romagna, i quali erano a una lega contro a'
Bolognesi, per procaccio e industria de' Fiorentini,
amici dell'una parte e dell'altra, pace fu fatta, e basciarsi
insieme i sindachi de le parti ne la città di Firenze;
e i Fiorentini furono promettitori e mallevadori
a la detta pace per l'una parte e per l'altra, con
solenni carte e promessioni.
L. 9, cap. 29 rubr.Come il re Giamo d'Araona con Ruggieri di Loria e
con l'armata del re Carlo sconfissono i Ciciliani a capo
Orlando.
L. 9, cap. 29Nel detto
anno avendo lo re
Carlo fatta sua armata
per andare sopra l'isola di Cicilia di
XL galee, ond'
era ammiraglio messer Ruggieri di
Loria, e richesto
per papa Bonifazio e per lo re
Carlo il re Giamo d'
Araona
che
aseguisse la
promessa per lui fatta per li
patti della pace, come adietro facemmo menzione,
venne di Catalogna con
XXX galee armate, e accozzatosi
a Napoli
coll'armata
del re
Carlo, e con Ruggieri
di
Loria loro ammiraglio, tutti insieme n'andarono
verso Cicilia.
Don
Federigo co' suoi Ciciliani sentendo
il detto
apparecchiamento, fece suo isforzo, e armò
LX galee, e col suo ammiraglio messer
Federigo
d'
Oria si misono in
mare. E
a capo Orlando in Cicilia
s'
accozzaro in
mare le dette armate
a dì
IIII del
mese di luglio, e dopo la grande e aspra battaglia
l'armata de' Ciciliani fue sconfitta, e tra morti e presi
più di
VIm uomini e
XXII corpi di
galee; per la qual
cosa si mostrò
palesemente che 'l detto re Giamo e
Ruggieri di
Loria furono fedeli e leali
a la
promessa
fatta
al papa e
al re
Carlo. Bene si disse che se lo re
Giamo avesse voluto,
don
Federigo suo fratello rimanea
preso in quella battaglia, però che lla sua
galea
fue nelle sue
mani, e era finita la
guerra di Cicilia;
o che fosse di sua volontà o di sua gente catalana, il
lasciarono fuggire e scampare.
L. 9, cap. 30 rubr.Come fu fatta pace tra' Genovesi e' Pisani.
L. 9, cap. 30Nel detto
anno,
del mese d'
agosto, fu fatta pace
tra' Genovesi e' Pisani, la qual
guerra era
durata
XVII
anni e più, onde i Pisani molto erano abassati e venuti
a piccolo podere; e quasi come gente
ricreduta
feciono
a' Genovesi ogni
patto che seppono domandare,
dando loro parte in Sardigna, e la terra di
Bonifazio
in
Corsica, e che' Pisani non
dovessono navicare
con
galee armate infra
XV anni, e de' pregioni
che vennero in
Genova de' Pisani, quando furono
lasciati, non erano
vivi che apena il
X.
L. 9, cap. 31 rubr.Quando di prima si cominciarono le nuove mura de
la città di Firenze.
L. 9, cap. 31Nel detto anno, a dì XXVIIII di novembre, si cominciarono
a fondare le nuove e terze mura della città
di Firenze nel Prato d'Ognesanti; e furono a benedire
e fondare la prima pietra il vescovo di Firenze, e
quello di Fiesole, e quello di Pistoia, e tutti i prelati e
riligiosi, e tutte le signorie e ordini di Firenze con innumerabile
popolo. E murarsi allora da la torre sopra
la gora infino a la porta del Prato, la qual porta
era prima cominciata insino l'anno MCCLXXXIIII, coll'
altre porte mastre di qua da l'Arno, insieme, come
adietro facemmo menzione; ma per molte averse novità
che furono appresso stette buono tempo che
non vi si murò più innanzi che quelle mura de la
fronte del Prato
L. 9, cap. 32 rubr.Come il re di Francia ebbe a queto tutta Fiandra, e
in pregione il conte e' figliuoli.
L. 9, cap. 2Nel detto
anno
MCCLXXXXVIIII,
fallite le triegue
dal re di
Francia e 'l
conte di
Fiandra, lo re mandò
in
Fiandra messer
Carlo di
Valos suo fratello con
grande oste e cavalleria, il quale giunto
a
Bruggia cominciò
guerra
al
conte ch'era in Guanto, e
a tutte le
terre della marina che teneano col
conte, e con più
battaglie in più parti vinte per la gente di messer
Carlo contra i
Fiamminghi s'
arenderono
a messer
Carlo, salvo Guanto, ov'era il
conte cogli suoi figliuoli
messer Ruberto e messer
Guiglielmo, abandonati
dagli amici e da' signori, e eziandio da' loro borgesi.
Per la qual cosa trattato ebbono con messer
Carlo di fare onore
al re di rendersi
a llui, promettendo
messer
Carlo sopra sé di
guarentirgli e
rimettergli
in amore
del re, e in loro stato e signoria. E
compiuto il trattato, renderono Guanto, ch'è de le
più forti terre
del
mondo, e le loro persone
a messer
Carlo; il quale
entrato in Guanto, il
conte
Guido e
messer Ruberto e messer
Guiglielmo suoi figliuoli
tradì, e gli mandò presi
a Parigi. La qual cosa per l'universo
mondo fu tenuta grande dislealtà
a sì fatto signore.
E ciò fatto per messere
Carlo, e avuta tutta
a
queto la
contea di
Fiandra, lasciò messer
Giache,
fratello
del
conte di San Polo,
al tutto signore in
Fiandra per lo re con grande cavalleria, e messer
Carlo si tornò in
Francia. E il detto messer
Giache
cominciò in
Fiandra aspra signoria, e
radoppiare sopra
il popolo assise, e gabelle, e male
tolte, onde il
popolo forte si tenea gravato. Avenne che per la
Pasqua
di
Risoresso vegnente lo re di
Francia andòe
a
suo diletto in
Fiandra per provedere il suo conquisto
e fare festa; e giunto in
Bruggia, gli fu fatto grande
onore, e simile
a Guanto, e Ipro, e l'altre buone terre;
e tutti si vestirono di nuovo
ad
arte e mestieri
d'una assisa, faccendo più diversi giuochi e feste, e
per lo re e sua baronia giostre; e la tavola ritonda si
fece
a
Guidendalla,
maniere
del
conte, onde d'Alamagna
e d'Inghilterra vi vennono più baroni e cavalieri
a giostrare. Ma questa festa fu fine di tutte quelle
de' Franceschi
a' nostri tempi, ché come la fortuna
si mostrò
al re di
Francia e
a' suoi allegra e felice, così
poco tempo appresso volse sua ruota nel contrario,
come innanzi
al tempo faremo menzione. E l'originale
cagione, oltre
al peccato per lo re e suo
consiglio
commesso ne la
presura e
morte della innocente
damigella di
Fiandra, e poi il
tradimento fatto contro
al
conte
Guido e' suoi figliuoli presi, si fu che
al partire
che 'l re fece di
Fiandra gli artefici e popolo
minuto
gli
domandarono grazia, che fossono
alleggiati
delle importabili gravezze che messer
Giache di San
Polo e' suoi faceano loro, e oltre
a cciò i grandi borgesi
delle ville, che tutti gli mangiavano; non furono
uditi dal re, se non come il popolo d'Israel dal re
Roboam,
ma
maggiormente tormentati da' borgesi e
dagli uficiali
del re, onde appresso
seguì il giudicio
di Dio quasi improviso, come
al tempo intenderete.
L. 9, cap. 33 rubr.
Come il re di Francia s'imparentò col re Alberto
d'Alamagna.
L. 9, cap. 33Nel detto anno MCCLXXXXVIIII dopo il conquisto
che 'l re di Francia fece di Fiandra Alberto d'Osteric
re de' Romani fece parentado col re Filippo di Francia,
e diede per moglie al figliuolo primogenito la figliuola
del detto re di Francia; e ciò fu per l'amistà
cominciata, e servigio fatto al re di Francia per lo re
Alberto contro Ataulfo re de' Romani, come adietro
è fatta menzione.
L. 9, cap. 34 rubr.Come il prenze di Taranto fu sconfitto in Cicilia.
L. 9, cap. 34Nel detto anno, in calen di dicembre, Filippo
prenze di Taranto e figliuolo del re Carlo secondo,
essendo passato in su l'isola di Cicilia con VIc cavalieri
e con XL galee armate, la maggiore parte Napoletani
e gente del Regno, per guerreggiare l'isola, ed era
all'assedio a la città di Trapali; e don Federigo d'Araona
che tenea Cicilia era con sua gente, de la
quale era capitano don Brasco d'Araona, e stavano in su 'l
monte di Trapali, veggendo il male reggimento del
detto prenze e di sua gente, a loro posta scesono del
detto monte, e co· lloro vantaggio presono la battaglia,
ne la quale il detto prenze fu sconfitto, e preso
egli e grande parte di sua gente.
L. 9, cap. 35 rubr.
Come Casano signore de' Tartari sconfisse il soldano
de' Saracini, e prese la Terrasanta in Soria.
L. 9, cap. 35Nel detto
anno,
del mese di gennaio,
Casano
imperadore de' Tartari venne in Soria sopra il soldano
de' Saracini, e menò seco
CCm tra Tarteri e Cristiani
a
cavallo e
a piè per
condotta
del re d'
Erminia e di
quello di Giorgia,
cristianissimi e nimici de' Saracini,
per
racquistare la Terrasanta. Il soldano sentendo loro
venuta, venne d'
Egitto in Soria con più di
Cm Saracini
a cavallo, sanza l'altra sua oste di Soria ch'era
infinita; e scontrarsi insieme i detti
eserciti, e la battaglia
fu grande e terribile.
A la fine per senno e valentia
del detto
Casano, il quale si tenne
a piede con
grande parte de la sua buona gente infino che' Saracini
ebbono tanto
saettato, ch'egli ebbono voti i loro
turcassi di saette, e acciò che' Saracini non potessono
risaettare sopra i suoi le loro saette,
ordinò che
tutte quelle di sua gente fossono sanza
cocca,
e le
corde di suoi
archi con
pallottiera, che poteano saettare
le loro e quelle de' Saracini.
E ciò fatto, con ordine,
a certo suo
segno fatto montarono
a cavallo, e
aspramente assalirono i Saracini per modo che assai
tosto gli mise in isconfitta e in fugga; ma molti Saracini
vi furono morti e presi, e lasciarono tutto il loro
campo e arnesi di grande ricchezza. E ciò fatto, quasi
tutte le terre di Soria e di Gerusalem si renderono
al detto
Casano, e divotamente andò
a visitare il santo
Sepolcro; e ciò fatto, non potendo guari dimorare
in Soria,
convenendogli tornare in Persia
al
Turigi,
per
guerra che gli era cominciata da altri signori de'
Tartari, sì mandò suoi ambasciadori in ponente
a papa
Bonifazio
VIII, e
al re di
Francia, e
agli altri re
cristiani, che mandassono de' signori e gente
cristiana
a
ritenere le
città e terre di Soria e della Terrasanta
ch'egli avea conquistate; la quale ambasciata fue
intesa, ma male messa
a
seguizione, perché per lo papa
e per gli altri signori de' Cristiani s'intendea più
alle
singulari guerre e quistioni tra lloro, ch'
al bene
comune della
Cristianità; che con
poca gente e piccola
spesa si
racquistava e tenea per gli Cristiani la
Terrasanta conquistata per
Casano, la quale con
grande vergogna, e non sanza
merito di pena, per gli
Cristiani s'
abandonò. Onde partito di Soria il detto
Casano, poco tempo appresso i Saracini si
ripresono
Gerusalem e l'altre terre di Soria. Il detto
Casano fue
figliuolo d'
Argon Cane, onde addietro in alcuna parte
facemmo menzione. Questi fu piccolo e
isparuto
di sua persona, ma virtudioso fu molto, e savio, e
pro' di sua persona, e aveduto in
guerra,
cortesissimo
e largo
donatore, amico grandissimo de' Cristiani,
e elli e molti di sua buona gente si fece per la fede
di Cristo battezzare. E la cagione perché
Casano divenne
Cristiano nonn è da tacere, ma da farne notabile
memoria in questo nostro trattato
a
deficazione
della nostra fede, per lo bello miracolo ch'avenne.
Quando
Casano fu fatto imperadore, si fece cercare
per avere moglie per la più
bella femmina che si trovasse,
non guardandosi per
tesoro o per altro, e però
mandò suoi ambasciadori per tutto levante; e trovandosi
la più bella la figliuola
del re d'
Erminia, e quella
adimandata, il padre l'acettò, in quanto piacesse
a la
pulcella. Quella molto savia rispuose ch'era
contenta
al piacere
del padre, salvo ch'ella volea essere libera
di potere adorare e coltivare il nostro signore Gesù
Cristo, bene che 'l
marito fosse pagano; e così fu
promesso e accettato per gli ambasciadori di
Casano.
Il re d'
Erminia mandò la figliuola con frate
Aiton
suo fratello, e con altri frati e religiosi, e con ricca
compagnia di cavalieri, e donne, e
damigelle; e venuta
a
Casano, molto gli piacque, e fu in sua grazia e
amore, e assai tosto
concepette di lui, e
al tempo debito
partorìo, come piacque
a dDio, la più
orda e orribile
creatura che mai fosse veduta, e quasi per poco
nonn avea forma umana.
Casano contristato di ciò,
tenne
consiglio co' suoi savi, per gli quali fu diliberato
che la donna avea commesso avolterio, e fu giudicata
ch'ella
colla sua
creatura fosse arsa. E apparecchiato
il fuoco in presenza di
Casano,
a cui molto ne
doleva, e di tutto il popolo della
città, la donna chiese
grazia di volere sua confessione e comunione, sì
come fedele
Cristiana, e la
creatura battezzare e fare
Cristiano. Fu conceduta la grazia, e come la
creatura
fu battezzata nel nome
del Padre, e
del Filio, e
del
santo Spirito, in presenza
del padre e di tutto il popolo,
incontanente il fanciullo divenne il più bello e
grazioso che mai fosse veduto.
Del detto miracolo
Casano fu molto allegro, e con gran festa la 'mperadrice
e 'l figliuolo furono diliberi da
morte; e
Casano
e tutto il popolo si
battezzarono e feciono Cristiani.
E non voglio che tu
lettore ti
maravigli perché scriviamo
che
Casano fosse quasi con
CCm Tartari
a cavallo,
che il vero fu così, e ciò sapemmo da uno nostro
Fiorentino e vicino di casa i
Bastari, nudrito infino
piccolo fanciullo in sua
corte, e di qua per lui
al
papa e
a' re de' Cristiani venne per ambasciadore
con altri de' Tarteri, che ciò
testimonò e
a noi disse.
E nonn è da maravigliare però, però che quasi tutti i
Tarteri vanno
a cavallo e nonne
a piè; e' loro
cavagli
sono piccoli, e mai non bisogna loro ferro in piè, né
orzo né altra
biada, ma vivono d'
erbaggio e di fieno,
lasciandogli pascere come pecore; e uno de' Tarteri
ne mena seco
X o
XX o più de' detti
cavagli, secondo
ch'è possente; e va l'uno dietro
a l'altro sanza altra
guida; e sono con sottili briglie sanza
freno, e povera
sella d'una bardella e piccole scaglie
incamutate. Armati
sono di
cuoio
cotto e d'
archi e saette; e
vivonsi
di carne
cruda o poco
cotta, e di pesce, e di sangue
di bestie, e latte e
burro con poco pane, e le più volte
sanza pane; e quando hanno
sete e non trovassono
acqua, segnano l'uno de' loro
cavagli e
beonsi il sangue,
e ispesso l'uccidono e 'l si mangiano; e
giacciono
e dormono sanza letto, se non il
tappeto sopra la
terra, e sempre stanno
a campo, e molto sono obbedienti
e fedeli
al loro signore, e
fieri e
crudeli in arme,
sì che
al signore de' Tarteri è più
leggere di menare
seco in oste
CCm de' Tarteri
a cavallo, che non
sarebbe
al re di
Francia
Xm. Avemo sì lungo detto de'
costumi de' Tarteri per trarre d'ignoranza
coloro che
di loro fatti non sanno; ma chi più ne vorrà sapere
legga il trattato di frate
Aiton d'
Erminia e i·
libro
del
Milione di Vinegia, come in altra parte in questo
libro
avemo detto.
L. 9, cap. 36 rubr.Come papa Bonifazio VIII diè perdono a tutti i Cristiani
ch'andassono a Roma l'anno del giubileo MCCC.
L. 9, cap. 36Negli
anni di Cristo
MCCC, secondo la Nativitade
di Cristo, con ciò fosse
cosa che si dicesse per molti
che per adietro ogni
centesimo d'
anni della Natività
di Cristo il papa ch'era in que' tempi
facie grande indulgenza,
papa Bonifazio
VIII, che allora era appostolico,
nel detto
anno
a reverenza della Natività di
Cristo fece somma e grande indulgenza in questo
modo: che qualunque Romano
visitasse infra tutto il
detto
anno, continuando
XXX dì, le chiese de' beati
appostoli santo Pietro e santo Paolo, e per
XV dì l'altra
universale gente che non fossono Romani,
a tutti
fece piena e intera perdonanza di tutti gli suoi peccati,
essendo confesso o si confessasse, di colpa e di
pena. E per consolazione de' Cristiani pellegrini ogni
venerdì o dì
solenne di festa si mostrava in Santo
Piero la Veronica
del sudario di Cristo. Per la qual
cosa gran parte de' Cristiani ch'allora viveano feciono
il detto pellegrinaggio così femmine come uomini,
di lontani e diversi paesi, e di lungi e d'apresso. E
fue la più
mirabile cosa che mai si vedesse, ch'
al continuo
in tutto l'
anno
durante avea in
Roma oltre
al
popolo romano
CCm pellegrini, sanza quegli ch'erano
per gli cammini andando e tornando, e tutti erano
forniti e
contenti di vittuaglia giustamente, così i
cavagli
come le persone, e con molta
pazienza, e sanza
romori o zuffe: ed io il
posso testimonare, che vi fui
presente e vidi. E de la offerta fatta per gli pellegrini
molto
tesoro ne
crebbe
a la Chiesa e
a' Romani: per
le loro derrate furono tutti ricchi. E trovandomi io in
quello benedetto pellegrinaggio ne la santa
città di
Roma, veggendo le grandi e antiche cose di quella, e
leggendo le storie e' grandi fatti de' Romani, scritti
per
Virgilio, e per
Salustio, e Lucano, e Paulo
Orosio,
e
Valerio, e
Tito Livio, e altri maestri d'istorie, li
quali così le piccole cose come le grandi de le
geste e
fatti de' Romani scrissono, e eziandio degli strani
dell'universo
mondo, per dare memoria e esemplo
a
quelli che sono
a venire presi lo stile e forma da lloro,
tutto sì come piccolo discepolo non fossi degno
a
tanta opera fare. Ma considerando che la nostra
città
di
Firenze, figliuola e
fattura di
Roma, era nel suo
montare e
a seguire grandi cose, sì come
Roma nel
suo calare, mi parve convenevole di recare in questo
volume e
nuova
cronica tutti i fatti e cominciamenti
della
città di
Firenze, in quanto m'è istato possibile
a
ricogliere, e ritrovare, e seguire per innanzi
istesamente
in fatti de' Fiorentini e dell'altre notabili cose
dell'universo in brieve, infino che fia piacere di Dio,
a la cui speranza per la sua grazia feci la detta impresa,
più che per la mia povera scienza. E così negli
anni
MCCC tornato da
Roma, cominciai
a compilare
questo
libro
a reverenza di Dio e
del beato Giovanni,
e commendazione della nostra
città di
Firenze.
L. 9, cap. 37 rubr.Come il conte Guido di Fiandra con due suoi figliuoli
s'arendeo al re di Francia. e come furono ingannati
e messi in pregione.
L. 9, cap. 37Nel detto
anno,
del mese di maggio, essendo
ad
oste sopra
Fiandra messer
Carlo di
Valos, fratello
del
re
Filippo di
Francia, il
conte
Guido di
Fiandra molto
anziano e vecchio, fece trattato co· llui di venire
con
due suoi maggiori figliuoli
a la misericordia
del
re di
Francia,
rendendoli paceficamente il rimanente
della terra di
Fiandra ch'egli tenea. Il detto messer
Carlo
promise che se ciò facesse di
fargli fare grazia,
e rendere la pace dal re, e
ristituirlo in suo stato; il
quale
conte s'
affidòe
a llui, e gli rendé
Bruggia e
Guanto e l'altre terre di
Fiandra, e con Ruberto e
Guiglielmo suoi figliuoli vennero col detto messer
Carlo
a Parigi, e gittarsi
a la misericordia, e
a' piè
del
re; il quale re per malvagio
consiglio, non
asseguendo
cosa che
a lloro fosse
promessa, sanza nulla grazia
gli fece mettere in pregione. Per lo quale
tradimento
e dislealtà grande male ne venne
a la casa di
Francia
e
a' Franceschi in brieve tempo appresso, come innanzi
la nostra storia de' fatti di
Fiandra farà menzione.
L. 9, cap. 38 rubr.Come si cominciò parte nera e bianca prima nella
città di Pistoia.
L. 9, cap. 38In questi tempi essendo la
città di Pistoia in felice
e grande e buono stato secondo il suo essere, e intra
gli altri cittadini v'avea uno lignaggio di nobili e possenti
che si chiamavano i
Cancellieri, non però di
grande antichità, nati d'uno ser
Cancelliere, il quale
fu mercatante e guadagnò moneta assai, e di
due
mogli
ebbe più figliuoli, i quali per la loro ricchezza tutti
furono cavalieri, e uomini di
valore e da bene; e di
loro nacquero molti figliuoli e nipoti, sì che in questo
tempo erano più di
C uomini d'arme, ricchi e
possenti e di grande affare, sicché non solamente i
maggiori di Pistoia, ma de' più possenti legnaggi di
Toscana. Nacque tra lloro per la soperchia grassezza,
e per
susidio
del diavolo, isdegno e
nimistà tra 'l lato
di quelli ch'erano nati d'una donna
a quelli dell'altra;
e l'una parte si puosono nome i
Cancellieri neri, e
l'altra i bianchi. E
crebbe tanto che si fedirono insieme,
non però di cosa
innorma, e fedito uno di que'
del lato de'
Cancellieri bianchi, que'
del lato de'
Cancellieri neri per avere pace e concordia co· lloro
mandarono quegli ch'avea fatta l'offesa
a la misericordia
di
coloro che ll'aveano ricevuta, che ne prendessono
l'amenda e vendetta
a lloro volontà; i quali
del lato de'
Cancellieri bianchi ingrati e superbi, non
avendo in loro pietà né carità, la mano dal braccio
tagliaro in su una mangiatoia
a quegli ch'era venuto
a
la misericordia. Per lo quale
cominciamento e peccato
non solamente si divise la casa de'
Cancellieri, ma
più micidi ne nacquero tra lloro, e tutta la
città di Pistoia
se ne divise, che l'uno tenea
coll'una parte e
l'altro
coll'altra, e chiamavansi parte bianca e nera,
dimenticata tra lloro parte guelfa e ghibellina; e più
battaglie cittadine, con molti
pericoli e micidi, ne
nacquero e furono in Pistoia; e non solamente in Pistoia,
ma poi la
città di
Firenze e tutta Italia
contaminaro
le dette parti, come innanzi potrete intendere e
sapere. I Fiorentini per tema che per le dette parti di
Pistoia non surgesse
rubellazione de la terra
a sconcio
di parte guelfa, s'
intramisono d'aconciargli insieme,
e presono la signoria della terra, e l'una parte e
l'altra de'
Cancellieri trassono di Pistoia, e mandarono
a'
confini in
Firenze. La parte de' Neri si ridussono
a casa de'
Frescobaldi Oltrarno, e la parte de'
Bianchi si ridussono
a casa i
Cerchi nel Garbo, per
parentadi ch'aveano tra lloro. Ma come l'una pecora
malata corrompe tutta la greggia, così questo maladetto
seme uscito di Pistoia, istando in
Firenze corruppono
tutti i Fiorentini e partiro, che prima tutte
le schiatte e' casati de' nobili, l'una parte tenea e
favorava
l'una parte, e gli altri l'altra, e appresso tutti i
popolari. Per la qual cosa e gara cominciata, non che
i
Cancellieri per gli Fiorentini si
racconciassono insieme,
ma i Fiorentini per loro furono
divisi e partiti,
multiplicando di male in peggio, come seguirà appresso
il nostro trattato.
L. 9, cap. 39 rubr.Come la città di Firenze si partì e si sconciò per le
dette parti bianca e nera.
L. 9, cap. 39Nel detto tempo essendo la nostra
città di
Firenze
nel maggiore stato e più felice che mai fosse stata
dapoi
ch'ella fu
redificata, o prima, sì di grandezza e
potenza, e sì di numero di genti, che più di
XXXm cittadini
avea nella
cittade, e più di
LXXm distrittuali
d'arme avea in
contado, e di nobilità di buona cavalleria
e di franco popolo e di ricchezze grandi, signoreggiando
quasi tutta
Toscana; il peccato della ingratitudine,
col
susidio
del nimico dell'umana generazione,
de la detta grassezza fece partorire superba
corruzzione, per la quale furono finite le feste e l'alegrezze
de' Fiorentini, che infino
a que' tempi stavano
in molte delizie, e
morbidezze, e tranquillo, e sempre
in
conviti, e ogn'
anno quasi per tutta la
città per lo
calen di maggio si faceano le brigate e le compagnie
d'uomini e di donne, di
sollazzi e balli. Avenne che
per le
'nvidie si cominciarono tra' cittadini le
sette; e
una principale e maggiore s'incominciò nel
sesto dello
scandalo di porte San Piero, tra quegli della casa
de'
Cerchi e quegli de'
Donati, l'una parte per invidia,
e l'altra per salvatica ingratitudine. De la casa
de'
Cerchi era capo messer Vieri de'
Cerchi, e egli e
quegli di sua casa erano di grande affare, e possenti,
e di grandi parentadi, ricchissimi mercatanti, che la
loro compagnia era de le maggiori
del
mondo; uomini
erano morbidi e innocenti, salvatichi e ingrati, siccome
genti venuti di piccolo tempo in grande stato e
podere. Della casa de'
Donati era capo messer
Corso
Donati, e egli e quelli di sua casa erano gentili uomini
e guerrieri, e di non soperchia ricchezza, ma per
motto erano chiamati
Malefami. Vicini erano in
Firenze
e in
contado, e per la
conversazione de la loro
invidia co la bizzarra salvatichezza nacque il superbio
isdegno tra lloro, e
maggiormente si raccese per
lo mal seme venuto di Pistoia di parte bianca e nera
come nel
lasciato
capitolo facemmo menzione. E'
detti
Cerchi furono in
Firenze capo della parte bianca,
e co· lloro tennero della casa degli
Adimari quasi
tutti, se non se il lato de'
Cavicciuli; tutta la casa degli
Abati, la quale era allora molto possente, e parte
di loro erano Guelfi e parte Ghibellini; grande parte
de'
Tosinghi, ispezialmente il lato
del
Baschiera; parte
di casa i Bardi, e parte de' Rossi, e così de'
Frescobaldi,
e parte de'
Nerli e de' Mannelli, e tutti i
Mozzi,
ch'allora erano molto possenti di ricchezza e di
stato, tutti quegli della casa degli
Scali, e la maggiore
parte de'
Gherardini, tutti i
Malispini, e gran parte
de'
Bostichi, e
Giandonati, de'
Pigli, e de' Vecchietti,
e
Arrigucci, e quasi tutti i Cavalcanti, ch'erano
una grande possente casa, e tutti i
Falconieri, ch'erano
una possente casa di popolo. E co· lloro s'accostarono
molte case e schiatte di popolani e artefici
minuti,
e tutti i grandi e popolani ghibellini; e per lo séguito
grande ch'aveano i
Cerchi il
reggimento della
città era quasi tutto in loro podere. De la parte nera
furono tutti quegli della casa de' Pazzi quasi principali
co'
Donati, e tutti i Visdomini, e tutti i Manieri,
e'
Bagnesi, e tutti i Tornaquinci, e gli Spini, e'
Bondelmonti,
e'
Gianfigliazzi,
Agli, e
Brunelleschi, e
Cavicciuoli,
e l'altra parte de'
Tosinghi, e tutto il rimanente;
e parte di tutte le case guelfe nominate di sopra,
ché quegli che non furono co' Bianchi per contrario
furono co' Neri. E così de le dette
due parti
tutta la
città di
Firenze e 'l
contado ne fu partita e
contaminata. Per la qual cagione la parte guelfa, per
tema che le dette parti non tornassono in favore de'
Ghibellini, sì mandarono
a
corte
a papa Bonifazio,
che cci mettesse rimedio. Per la qual cosa il
detto papa mandò per messer Vieri de'
Cerchi, e come fue
dinanzi
a llui, sì 'l pregò che facesse pace con messer
Corso
Donati e
colla sua parte, rimettendo in lui le
differenze, e
promettendoli di mettere lui e' suoi in
grande e buono stato, e di
fargli grazie spirituali come
sapesse domandare. Messere Vieri tutto fosse
nell'altre cose savio cavaliere, in questo fu poco savio,
e troppo
duro e bizzarro, che della richesta
del
papa nulla volse fare, dicendo che non avea
guerra
con niuno; onde si tornò in
Firenze, e 'l papa rimase
molto isdegnato contro
a llui e contro
a sua parte.
Avenne poco appresso che andando
a cavallo dell'una
setta e dell'altra per la
città armati e in riguardo,
che con parte de' giovani de'
Cerchi era
Baldinaccio
degli
Adimari, e
Baschiera de'
Tosinghi, e
Naldo de'
Gherardini, e Giovanni
Giacotti
Malispini co· lloro
seguaci più di
XXX a cavallo; e cogli giovani de'
Donati
erano de' Pazzi, e Spini, e altri loro
masnadieri;
la sera di calen di maggio,
anno
MCCC, veggendo uno
ballo di donne che si facea nella piazza di Santa Trinita,
l'una parte contra l'altra si cominciarono
a sdegnare,
e
a
pignere l'uno contro
a l'altro i
cavagli, onde
si cominciò una grande zuffa e
mislea, ov'ebbe
più fedite, e
a Ricoverino di messer Ricovero de'
Cerchi per disaventura fu tagliato il naso dal volto; e
per la detta zuffa la sera tutta la
città fu per gelosia
sotto l'arme. Questo fue il
cominciamento dello
scandalo e partimento della nostra
città di
Firenze e
di parte guelfa, onde molti mali e
pericoli ne seguiro
appresso, come per gli tempi faremo menzione. E
però avemo raccontato così
stesamente l'origine di
questo
cominciamento de le maladette parti bianca e
nera, per le grandi e male
sequele che ne seguiro
a
parte guelfa e
a' Ghibellini, e
a tutta la
città di
Firenze,
eziandio
a tutta Italia: e come la
morte di messer
Bondelmonte il vecchio fu
cominciamento di parte
guelfa e ghibellina, così questo fue il
cominciamento
di grande rovina di parte guelfa e della nostra
città.
E nota che l'
anno dinanzi
a queste
novitadi erano
fatte le case
del Comune, che cominciano
a piè
del
ponte Vecchio sopra l'Arno verso il castello
Altrafonte,
e per ciò fare si fece il pilastro
a piè
del ponte,
e
convenne si rimovesse la statua di Marte; e dove
guardava prima verso levante, fu rivolta verso tramontana,
onde per l'agurio degli antichi fu detto:
«Piaccia
a dDio che la nostra
città non abbia grande
mutazione».
L. 9, cap. 40 rubr.Come il cardinale d'Acquasparta venne per legato
del papa per racconciare Firenze, e non lo potéo fare.
L. 9, cap. 40Per le sopradette
novitadi e
sette di parte bianca e
nera, i capitani della parte guelfa e il loro
consiglio,
temendo che per le dette
sette e brighe parte ghibellina
non
esaltasse in
Firenze, che sotto
titolo di buono
reggimento già ne facea il sembiante, e molti Ghibellini
tenuti buoni uomini erano cominciati
a mettere
in su gli ufici, e ancora quegli che teneano parte
nera, per ricoverare loro stato, sì mandarono ambasciadori
a
corte
a papa Bonifazio
a
pregarlo che per
bene della
cittade e di parte di Chiesa vi mettesse
consiglio. Per la qual cosa incontanente il papa fece
legato
a cciò seguire frate
Matteo d'
Acquasparta, suo
cardinale
Portuense, dell'ordine de' minori, e
mandollo
a
Firenze, il quale giunse in
Firenze
del seguente
mese di giugno
del detto
anno
MCCC, e da'
Fiorentini fu ricevuto
a grande onore. E lui riposato
in
Firenze, richiese balìa
al Comune di
pacificare insieme
i Fiorentini; e per levare via le dette parti bianca
e nera volle riformare la terra, e
raccomunare gli
ufici, e quegli dell'una parte e dell'altra ch'erano degni
d'essere priori mettere in sacchetti
a
sesto
a
sesto,
e trargli di
due in
due mesi, come venisse la ventura;
che per le gelosie de le parti e
sette incominciate
non si facea lezione de' priori per le
capitudini
dell'
arti, che quasi la
città non si commovesse
a
sobuglio,
e talora con grande
apparecchiamento d'arme.
Quegli della parte bianca che guidavano la signoria
de la terra, per tema di non perdere loro stato
e d'essere ingannati dal papa e dal legato per la detta
riformazione, presono il peggiore
consiglio e non
vollono ubbidire; per la qual cosa il detto legato prese
isdegno, e tornossi
a
corte, e lasciò la
città di
Firenze
scomunicata e interdetta.
L. 9, cap. 41 rubr.
De' mali e de' pericoli che seguirono a la nostra città
appresso.
L. 9, cap. 41Partito il legato di
Firenze, la
città rimase in grande
gelosia e in male stato. Avenne che
del mese di
dicembre seguente, andando messer
Corso
Donati e'
suoi seguaci e que' della casa de'
Cerchi e' loro seguaci
armati
a una
morta di casa i
Frescobaldi,
isguardandosi insieme l'una parte e l'altra, si vollono
assalire, onde tutta la gente ch'era
a la morta si levarono
a romore; e così fuggendo e tornando
ciascuno
a casa sua, tutta la
città fu
ad arme, faccendo l'una
parte e l'altra grande raunata
a casa loro; messer
Gentile de'
Cerchi,
Guido Cavalcanti,
Baldinaccio e
Corso degli
Adimari,
Baschiera della Tosa, e
Naldo
de'
Gherardini con loro
consorti e seguaci
a cavallo
e
a piè, corsono
a porte San Piero
a casa i
Donati, e
non trovandogli
a porte San Piero, corsono
a San
Piero Maggiore, ov'era messer
Corso co' suoi
consorti
e raunata, da' quali furono
riparati, e rincacciati,
e fediti con onta e vergogna de'
Cerchi e de' loro
seguaci; e di ciò furono condannati l'una parte e l'altra
dal Comune. Poi poco appresso essendo certi de'
Cerchi in
contado
a
Nepozzano e
Pugliano, e in
quelle loro contrade e poderi, volendo tornare
a
Firenze,
que' della casa de'
Donati raunata loro amistà
a
Remole,
contesono il passo, e
ebbevi fedite e assalti
d'una parte e d'altra; per la qual cosa l'una parte e
l'altra furono
accusati e condannati della raunata e
assalti; e quegli di casa i
Donati la maggior parte per
non potere pagare andarono dinanzi, e furono
messi
in pregione. Que' de'
Cerchi volendo fare
a lloro
esemplo, dicendo messer Torrigiano di
Cerchio:
«Per questo non ci vinceranno, come feciono i
Tedaldini,
che gli consumarono per pagare le
condannagioni»;
sì fece andare gli suoi dinanzi, e sostenuti
in pregione contra volere di messer Vieri de'
Cerchi
e degli altri savi della casa, che
conosceano la complessione
e
morbidezza de' loro giovani; avenne che
uno maladetto ser Neri degli Abati soprastante di
quella pregione, mangiando co· lloro, fece venire uno
presente d'uno migliaccio avelenato,
del quale mangiarono,
onde poco appresso in
due dì morirono
due
de'
Cerchi bianchi, e
due de' Neri, e
Piggello Portinari,
e
Ferraino de'
Bronci, e di ciò non fue nulla
vendetta.
L. 9, cap. 42 rubr.Di quello medesimo.
L. 9, cap. 42Essendo la
città di
Firenze in tanto
bollore e
pericoli
di
sette e di
nimistà, onde molto sovente la terra
era
a romore e
ad arme, messer
Corso
Donati,
Ispini,
Pazzi, e parte de'
Tosinghi, e
Cavicciuli, e loro seguaci,
grandi e popolani di loro
setta di parte nera,
co' capitani di parte guelfa ch'allora erano
al loro
senno e volere si raunarono nella chiesa di Santa Trinita,
e ivi feciono
consiglio e congiura di mandare
ambasciadori
a
corte
a papa Bonifazio, acciò che
commovesse alcuno signore della casa di
Francia,
che gli rimettesse in istato, e abattesse il popolo e
parte bianca, e in ciò spendere ciò che potessono fare;
e così misono
a
seguizione; onde sappiendosi per
la
città per alcuna
spirazione, il Comune e 'l popolo
si turbò forte, e fune fatta inquisizione per la signoria,
onde messer
Corso
Donati che n'era capo fu
condannato nell'avere e persona, e gli altri caporali
che furono
a cciò in più di
XXm libbre, e
pagarle. E
ciò fatto, furono mandati
a'
confini
Sinibaldo fratello
di messer
Corso, e de' suoi, e messer Rosso, e messer
Rossellino della Tosa, e degli altri loro
consorti; e
messer
Giachinotto e messer
Pazzino de' Pazzi e di
loro giovani, e messer
Geri Spini e de' suoi
al castello
della Pieve. E per levare ogni sospetto il popolo
mandò i caporali dell'altra parte
a'
confini
a
Serrezzano:
ciò fu messer Gentile, e messer Torrigiano, e
Carbone de'
Cerchi, e di loro
consorti,
Baschiera de
la Tosa e de' suoi,
Baldinaccio degli
Adimari e de'
suoi,
Naldo de'
Gherardini e de' suoi,
Guido Cavalcanti
e de' suoi, e Giovanni
Giacotti
Malespini. Ma
questa parte vi stette meno
a'
confini, che furono revocati
per lo 'nfermo luogo, e
tornonne malato
Guido
Cavalcanti, onde morìo, e di lui fue grande
dammaggio,
perciò ch'era come filosafo, virtudioso uomo
in più cose, se non ch'era troppo
tenero e
stizzoso.
In questo modo si guidava la nostra
città
fortuneggiando.
L. 9, cap. 43 rubr.Come papa Bonifazio mandò in Francia per messer
Carlo di Valos.
L. 9, cap. 43Tornato
a
corte di papa il legato frate
Matteo
d'
Acquasparta, e informato papa Bonifazio
del male
stato e
dubitoso della
città di
Firenze, e poi per le
novità seguite dopo la partita
del legato, come detto
avemo, e per
infestagione e spendio de' capitani di
parte guelfa e de' detti
confinati, ch'erano
al castello
della Pieve presso
a la
corte, e di messer
Geri Spini
(ch'egli e la sua compagnia erano mercatanti di papa
Bonifazio, e
del tutto guidatori) co· lloro
procaccio e
studio, e di messer
Corso
Donati che seguiva la
corte,
sì prese per
consiglio il detto papa Bonifazio di
mandare per messer
Carlo di
Valos fratello
del re di
Francia, per
doppio intendimento;
principalmente
per aiuto
del re
Carlo per la
guerra di Cicilia,
dando
intendimento
al re di
Francia e
al detto messer
Carlo
di farlo
eleggere imperadore de' Romani, e di
confermarlo,
o almeno per autorità
papale e di santa
Chiesa di farlo luogotenente d'imperio per la Chiesa,
per la ragione ch'ha la Chiesa vacante imperio; e oltre
a questo gli
diè
titolo di
paciario in
Toscana, per
recare co la sua forza la
città di
Firenze
al suo intendimento.
E mandato in
Francia per lo detto messer
Carlo suo legato, il detto messer
Carlo con volontà
del re suo fratello venne, come innanzi faremo menzione,
colla speranza d'essere imperadore per le
promesse
del papa, come detto avemo.
L. 9, cap. 44 rubr.Come i Guelfi furono cacciati d'Agobbio, e poi come
ricoveraro la terra, e cacciarne i Ghibellini.
L. 9, cap. 44Nel detto anno, del mese di maggio, la parte ghibellina
d'Agobbio colla forza degli Aretini e de' Ghibellini
de la Marca, per tradimento ordinato ne la
terra, cacciarono i Guelfi d'Agobbio e uccisonne assai;
ma poi, a dì XXIIII di giugno vegnente, i Guelfi
usciti d'Agobbio colla forza de' Perugini entrarono
in Agobbio, e ricoverarono loro stato, e cacciarne i
Ghibellini con grande danno e uccisione di loro.
L. 9, cap. 45 rubr.Come la parte nera furono cacciati di Pistoia.
L. 9, cap. 45Negli anni di Cristo MCCCI, del mese di maggio, la
parte bianca di Pistoia coll'aiuto e favore de' Bianchi
che governavano la città di Firenze ne cacciarono la
parte nera, e disfeciono le loro case, palazzi, e possessioni,
intra l'altre una forte e ricca possessione de'
palazzi e torri ch'erano de' Cancellieri neri, che si
chiamava Dammiata.
L. 9, cap. 46 rubr.
Come gl'Interminelli e' loro seguaci furono cacciati
di Lucca.
L. 9, cap. 46Nel detto anno, e in quello tempo, essendo la città
di Lucca molto insollita per la mutazione di Pistoia,
e per le parti bianca e nera, la casa degl'Interminelli
di Lucca co· lloro seguaci Mordicastelli, e que' del
Fondo, e altri di loro setta, i quali teneano parte
bianca, e s'accostavano co' Ghibellini e' Pisani, credendo
fare così in Lucca come i Cancellieri bianchi
in Pistoia, sì uccisono messer Obizzo degli Obizzi
giudice. Per la qual cosa la città di Lucca corse ad
arme, e trovandosi la parte nera e' Guelfi di Lucca
più possenti, sì ne cacciarono di Lucca combattendo
gl'Interminelli e' loro seguaci, e disfeciono le loro
possessioni, e misono fuoco nella contrada che si
chiamava il fondo di porta San Cervagio, e arsonvi
più di C case. E così si venne spandendo la maladetta
parte per Toscana.
L. 9, cap. 47 rubr.Come i Guelfi usciti di Genova per pace furono rimessi
in Genova.
L. 9, cap. 47Nel detto
anno i Genovesi feciono pace co'
Grimaldi
e gli altri loro usciti guelfi e col re
Carlo, e
rimisorgli
in
Genova, e riebbono il castello di
Monaco
che 'l teneano gli usciti, e
colla forza
del re
Carlo faceano
grande
guerra
a' Genovesi.
Nel detto
anno fu
guerra e battaglia tra i Veronesi
e 'l vescovo di Trento, onde i Veronesi ebbono il
peggiore e furono sconfitti. E nel detto
anno poco
appresso morì messer Alberto de la Scala capitano e
signore di Verona, e grande tiranno in Lombardia, e
appresso di lui rimasono signori messer Cane e gli altri
figliuoli
del detto messer Alberto, tutto fossono
assai di piccola etade; ma innanzi che morisse fece
cavalieri
VII tra' suoi
figlluoli e nipoti, ch'avea il maggiore
meno di
XII anni.
L. 9, cap. 48 rubr.Come aparve in cielo una stella commata.
L. 9, cap. 48Nel detto
anno,
del mese di settembre, apparve in
cielo una
stella
commata con grandi raggi di fummo
dietro, apparendo la sera di verso il ponente, e
durò
infino
al gennaio, de la quale i savi astrolagi dissono
grandi significazioni di futuri
pericoli e
danni
a la
provincia d'Italia, e
a la
città di
Firenze, e
massimamente
perché la pianeta di Saturno e quella di Marti
in quello
anno s'erano
congiunte
due volte insieme
nel mese di gennaio e di maggio nel
segno
del
Leone,
e la luna
scurata
del detto mese di gennaio
similemente
nel
segno
del
Leone, il quale s'atribuisce
a la
provincia d'Italia. E bene
asseguì la significazione, come
innanzi leggendo potrete comprendere; ma singularmente
si disse che la detta commeta significò
l'avento di messer
Carlo di
Valos, per la cui venuta
molte rivolture ebbe la provincia d'Italia e la nostra
città di
Firenze.
L. 9, cap. 49 rubr.Come messer Carlo di Valos di Francia venne a papa
Bonifazio, e poi venne in Firenze e caccionne la
parte bianca.
L. 9, cap. 49Nel detto
anno
MCCCI,
del mese di settembre,
giunse ne la
città d'Anagna in Campagna, ov'era papa
Bonifazio co la sua
corte, messer
Carlo
conte di
Valos e fratello
del re di
Francia con più
conti e baroni,
e da
Vc cavalieri franceschi in sua compagnia,
avendo fatta la
via da Lucca
ad Anagna sanza
entrare
in
Firenze, perché n'era sospetto; il quale messer
Carlo dal papa e da' suoi cardinali fu ricevuto onorevolemente;
e venne
ad Anagna lo re
Carlo e' suoi figliuoli
a parlamentare co· llui e
a
onorarlo; e 'l papa il
fece
conte di
Romagna. E trattato e messo in assetto
col papa e co· re
Carlo il passaggio di Cicilia
a la primavera
vegnente, per la principale cagione perch'era
mosso di
Francia, il papa non dimenticato lo sdegno
preso contro
a la parte bianca di
Firenze, non volle
che
soggiornasse e
vernasse invano, e per
infestamento
de' Guelfi di
Firenze, sì gli diede il
titolo di
paciaro in
Toscana, e
ordinò che tornasse
a la
città
di
Firenze. E così fece,
colla sua gente, e con molti
altri Fiorentini e Toscani e Romagnuoli, usciti e confinati
di loro terra per parte guelfa e nera. E venuto
a
Siena e poi
a Staggia, que' che governavano la
città
di
Firenze, avendo sospetto di sua venuta, tennero
più
consigli di lasciarlo
entrare nella
città o no. E
mandandogli ambasciadori, e egli con belle e amichevoli
parole rispondendo come
venia per loro bene
e stato, e per mettergli in pace insieme; per la
qual cosa quegli che reggeano la terra, tutto fossono
a parte bianca, si
vocavano e voleansi tenere Guelfi,
presono partito di lasciarlo venire. E così il dì d'Ognesanti
MCCCI entrò messer
Carlo in
Firenze, disarmata
sua gente,
faccendogli i Fiorentini grande onore,
vegnendogli incontro
a processione, e con molti
armeggiatori con
bandiere, e coverti i
cavagli di
zendadi.
E lui riposato e soggiornato in
Firenze alquanti
dì, sì richiese il Comune di volere la signoria e guardia
de la
cittade, e balìa di potere
pacificare i Guelfi
insieme. E ciò fu asentito per lo Comune, e
a dì
V di
novembre nella chiesa di Santa Maria Novella, essendosi
raunati podestà, e capitano, e' priori, e tutti i
consiglieri, e il vescovo, e tutta la buona gente di
Firenze,
e della sua
domanda fatta proposta e diliberata,
e rimessa in lui la signoria e la guardia della
città.
E messer
Carlo dopo la
sposizione
del suo
aguzzetta
di sua bocca accettò e
giurò, e come figliuolo di re
promise di conservare la
città in
pacifico e buono
stato; e io scrittore
a queste cose fui presente. Incontanente
per lui e per sua gente fu fatto il contradio,
che per
consiglio di messer
Musciatto Franzesi, il
quale infino di
Francia era venuto per suo pedoto, sì
come era ordinato per gli Guelfi neri, fece armare
sua gente, e innanzi che messer
Carlo fosse tornato
a
casa, ch'albergava in casa i
Frescobaldi Oltrarno; onde
per la detta
novitade di vedere i cittadini la sua
gente
a cavallo armata, la
città fu tutta in gelosia e
sospetto, e
a l'arme grandi e popolani,
ciascuno
a casa
de' suoi amici secondo suo podere,
abarrandosi la
città in più parti. Ma
a casa i priori pochi si raunarono,
e quasi il popolo fue sanza capo, veggendosi traditi
e ingannati i priori e
coloro che reggeano il Comune.
In questo romore messer
Corso de'
Donati, il
qual era isbandito e rubello, com'era ordinato, il dì
medesimo venne in
Firenze da
Peretola con alquanto
séguito di certi suoi amici e
masnadieri
a piè, e sentendo
la sua venuta i priori e'
Cerchi suoi nemici, vegnendo
a lloro messer Schiatta de'
Cancellieri, ch'era
in
Firenze capitano per lo Comune di
CCC cavalieri
soldati, e volea andare contro
al detto messer
Corso
per
prenderlo e per
offenderlo, messer Vieri caporale
de'
Cerchi non aconsentì, dicendo: «Lasciatelo
venire», confidandosi nella vana speranza
del popolo,
che 'l punisse. Per la qual cosa il detto messer
Corso
entrò ne' borghi della
cittade, e trovando le
porte de le
cerchie vecchie serrate, e non potendo
entrare, sì se ne venne
a la postierla da
Pinti, ch'era
di costa
a San Piero Maggiore tra le sue case e quelle
degli
Uccellini, e quella trovando serrata cominciòe
a
tagliare, e dentro per gli suoi amici fu fatto il somigliante,
sì che sanza contasto fu messa in terra. E lui
entrato dentro schierato in su la piazza di San Piero
Maggiore, gli
crebbe genti e séguito di suoi amici,
gridando: «
Viva messere
Corso e 'l barone!», ciò
era messer
Corso, che così il
nomavano; ed egli veggendosi
crescere forza e séguito, la prima cosa che
fece, andòe
a le carcere
del Comune, ch'erano nelle
case de'
Bastari nella ruga
del palagio, e quelle per
forza aperse e diliberò i pregioni; e ciò fatto, il simile
fece
al palazzo de la podestà, e poi
a' priori,
faccendogli
per paura lasciare la signoria e tornarsi
a lloro
case. E con tutto questo stracciamento di
cittade,
messer
Carlo di
Valos né sua gente non mise
consiglio
né riparo, né atenne saramento o cosa promessa
per lui. Per la qual cosa i tiranni e malfattori e isbanditi
ch'erano nella
cittade, presa baldanza, e essendo
la
città sciolta e sanza signoria, cominciarono
a rubare
i fondachi e botteghe, e le case
a chi era di parte
bianca, o chi avea poco podere, con molti micidii, e
fedite faccendo ne le persone di più buoni uomini di
parte bianca. E
durò questa
pestilenzia in
città per
V
dì continui con grande ruina della terra. E poi
seguì
in
contado, andando le gualdane
rubando e ardendo
le case per più di
VIII dì, onde in grande numero di
belle e ricche possessioni furono guaste e arse. E cessata
la detta ruina e incendio, messer
Carlo col suo
consiglio riformarono la terra e la signoria
del priorato
di popolani di parte nera. E in quello medesimo
mese di novembre venne in
Firenze il sopradetto legato
del papa, messer
Matteo d'
Acquasparta cardinale,
per
pacificare i cittadini insieme, e fece fare la
pace tra que' della casa de'
Cerchi e gli
Adimari e'
loro seguaci di parte bianca co'
Donati e' Pazzi e' loro
seguaci di parte nera, ordinando matrimoni tra lloro;
e volendo
raccomunare gli ufici, quegli di parte
nera co la forza di messer
Carlo non lasciarono, onde
il legato turbato si tornò
a
corte, e lasciòe interdetta
la
cittade. E la detta pace poco
durò, che avenne
il dì di
pasqua di
Natale presente, andando messer
Niccola de'
Cerchi bianchi
al suo podere e
molina
con suoi compagni
a cavallo, passando per la
piazza di Santa
Croce, che vi si facea il predicare, Simone
di messer
Corso
Donati, nipote per madre
del
detto messer Niccola,
sospinto e
confortato di mal
fare, con suoi compagni e
masnadieri
seguì
a cavallo
il detto messer Niccola, e
giugnendolo
al ponte
ad
Africo l'assalì combattendo; per la qual cosa il detto
messer Niccola sanza colpa o cagione, né guardandosi
di Simone, dal detto suo nipote fu morto e atterrato
da cavallo. Ma come piacque
a dDio, la pena
fu apparecchiata
a la colpa, che fedito il detto Simone
dal detto messer Niccola per lo fianco, la notte
presente morìo; onde tutto fosse giusto giudicio, fu
tenuto grande
danno, che 'l detto Simone era il più
compiuto e virtudioso
donzello di
Firenze, e da venire
in maggiore pregio e stato, ed era tutta la speranza
del suo padre messer
Corso, il quale della sua allegra
tornata e vittoria ebbe in brieve tempo
doloroso
principio di suo futuro abbassamento. In questo
tempo poco appresso, non possendo la
città di
Firenze
posare, essendo pregna dentro
del veleno della
setta de' Bianchi e Neri,
convenne che partorisse
doloroso
fine; onde avenne che
ll'
aprile vegnente con
ordine e con trattato fatto per gli Neri uno barone di
messer
Carlo, ch'avea nome messer Piero
Ferrante di
Linguadoco,
cercò
cospirazione co' detti della casa
de'
Cerchi, e con
Baldinaccio degli
Adimari, e
Baschiera
de'
Tosinghi, e
Naldo
Gherardini, e altri loro
seguaci di parte bianca, di volergli con suo séguito e
di sua gente rimettere in istato, e tradire messer
Carlo,
con grandi
impromesse di pecunia; onde
lettere e
co· lloro
suggelli furono fatte, overo
falsificate, le
quali per lo detto messer Piero
Ferrante, com'era ordinato,
furono portate
a messer
Carlo. Per la qual
cosa i detti caporali di parte bianca, ciò furono tutti
quegli della casa de'
Cerchi bianchi da porte San
Piero,
Baldinaccio e
Corso degli
Adimari, con quasi
tutto il lato de'
Bellincioni,
Naldo de'
Gherardini col
suo lato della casa,
Baschiera de'
Tosinghi col suo lato
de la detta casa, alquanti di casa i Cavalcanti, Giovanni
Giacotto
Malispini e' suoi
consorti, questi furono
i caporali che furono citati, e non comparendo,
o per tema
del malificio commesso, o per tema di
non perdere le persone sotto il detto inganno, si partiro
de la
città, acompagnati da' loro aversari; e chi
n'andò
a
Pisa, e chi
ad
Arezzo e Pistoia, accompagnandosi
co' Ghibellini e nimici de' Fiorentini. Per
la qual cosa furono condannati per messer
Carlo come
ribelli, e disfatti i loro palazzi e beni in
città e in
contado,
e così di molti loro seguaci grandi e popolani.
E per questo modo fue
abattuta e cacciata di
Firenze
la
'ngrata e superba parte de' Bianchi, con séguito
di molti Ghibellini di
Firenze, per messer
Carlo
di
Valos di
Francia per la commessione di papa
Bonifazio,
a dì
IIII d'
aprile
MCCCII, onde
a la nostra
città di
Firenze seguirono molte rovine e
pericoli, come
innanzi per gli tempi potremo leggendo comprendere.
L. 9, cap. 50 rubr.Come messer Carlo di Valos passò in Cicilia per fare
guerra per lo re Carlo, e fece ontosa pace.
L. 9, cap. 50Nel detto
anno
MCCCII,
del mese d'
aprile, messer
Carlo di
Valos fornito in
Firenze quello perché era
venuto, cioè sotto trattato di pace cacciata la parte
bianca di
Firenze, si partì, e
andonne
a
corte, e poi
a
Napoli; e là trovato lo stuolo e
apparecchiamento
fatto per lo re
Carlo di più di
cento tra
galee e
uscieri
e legni grossi, sanza i sottili, per passare in Cicilia,
sì si ricolse in
mare, e in sua compagnia Ruberto
duca
di Calavra figliuolo
del re
Carlo con più di
MD cavalieri.
E
apportato in Cicilia
al porto di
, scese in
terra per
guerreggiare l'isola, ma
don
Federigo di
Raona signore di Cicilia, non possendo
resistere né
comparire
a la forza di messer
Carlo in
mare né in
terra, con suoi Catalani si mise
a fare
guerra guerriata
a messer
Carlo, andandoli fuggendo innanzi di
luogo in luogo, e talora di dietro
a impedirgli la vittuaglia,
per modo che in poco tempo sanza acquistare
terra neuna di
rinomo, se non
Termole, messer
Carlo e sua gente furono per malatia di loro e de'
cavagli,
per difalta di vittuaglia, quasi
straccati. Per la
qual cosa per necessitade
convenne che si partisse
con suo poco onore. E veggendo che altro non potea,
messer
Carlo sanza saputa
del re
Carlo
ordinò
una
dissimulata pace con
don
Federigo, cioè ch'egli
prendesse per moglie la figliuola
del re
Carlo detta
Alienora, e che, quando la Chiesa e 'l re
Carlo gli
atassono acquistare altro reame, ch'egli lascerebbe
a
queto
al re
Carlo l'isola di Cicilia; e se non, sì lla
dovesse
tenere per
dote della moglie tutta sua vita, e
appresso la sua
morte i suoi figliuoli lasciare l'isola
al
re
Carlo e
a sue rede,
dando loro
Cm once d'oro. La
qual cosa fatta, e
promessa e giurata per le parti, e
tornato messer
Carlo
coll'armata
a Napoli, e
mandatagli
la figliuola
del re
Carlo, sì la sposò; ma poi di
promessa fatta nulla s'
aseguìo: e così per contradio si
disse per
motto: «Messer
Carlo venne in
Toscana
per paciaro, e lasciòe il paese in
guerra; e andòe in
Cicilia per fare
guerra, e reconne vergognosa pace».
Il quale il novembre vegnente si tornò in
Francia,
scemata e consumata sua gente e con poco onore.
L. 9, cap. 51 rubr.
Come si cominciò la compagna di Romania.
L. 9, cap. 51Nel detto
anno
MCCCII, partito messer
Carlo di
Cicilia e rimasa l'isola in pace, una grande gente di
soldati catalani, genovesi, e altri italiani istati in Cicilia
a la detta
guerra per l'una parte e per l'altra, si
partirono di Cicilia con
XX galee e altri legni, onde
feciono loro capitano uno frate Ruggieri dell'ordine
de'
Tempieri, uomo dissoluto, e di sangue, e crudele,
e passarono in
Romania per conquistare terra, e puosonsi
nel reame di
Salome e quello distrussono, e
guastarono la
Grecia infino in
Gostantinopoli, e
crescendo
il loro podere d'ogni
colletta di gente
latina,
fuggitivi,
dissoluti, e paterini, e d'ogni
setta scacciati,
vivendo
illibitamente fuori d'ogni legge, si chiamaro
la Compagna, stando e vivendo in corso e in
guerra
a
la roba d'ogni uomo; e ciò ch'aquistavano era comune,
distruggendo e
rubando ciò che trovavano, sanza
ritenere
città, o castella, o casale che prendessono,
ma quelle rubate ardendo e guastando. E così
durò
la detta dissoluta compagna più di
XII anni, uccidendo
più loro signori, e
rimutandoli in poco tempo chi
più avea séguito o podere.
A la fine tornaro sopra le
terre
del dispoto, cioè il reame di Macedonia, e quelle
distrussono; e poi ne vennero nel
ducato d'Atena,
e rubellarsi dal
conte di Brenna ch'era
duca d'Atena,
e loro capitano e signore, e per quistioni da llui
a lloro
si combatterono insieme, e sconfissono il detto
duca loro signore, e
a llui
tagliarono la testa, e presono
le terre sue, e di quelle della Morea; e quegli signoraggi
tra lloro si partirono; e
disabitarono e distrussono
gli antichi
fii de' Franceschi, che que' signoraggi
teneano, e le loro donne e figliuole che
a lloro
piacquero ritennero e le presono per
mogli, e rimasono
abitanti e paesani della terra. E così le delizie
de'
Latini, acquistate
anticamente per gli Franceschi,
i quali erano i più morbidi e meglio stanti che
in nullo paese
del
mondo, per così dissoluta gente
furono distrutte e guaste. Lasceremo de' fatti di
Romania
e di
Cicilla, e torneremo
a le
novità che
sursono
in
Firenze e in
Toscana per la cacciata de' Bianchi
di
Firenze.
L. 9, cap. 52 rubr.Come i Fiorentini e' Lucchesi feciono oste sopra la
città di Pistoia, e come ebbono per assedio il castello di
Serravalle.
L. 9, cap. 52Nel detto
anno
MCCCII,
del mese di maggio, essendo
la
città di Pistoia ribellata
a' Fiorentini e
a' Lucchesi
per la cacciata de' Bianchi di
Firenze e degl'
Interminelli
di Lucca, e parte di loro detti usciti ridotti
in Pistoia per fare
guerra, il Comune di
Firenze e
quello di Lucca di concordia feciono oste
a la
città di
Pistoia, e furonvi di
Firenze tra cavallate e soldati
M
cavalieri e
VIm pedoni, e di Lucca più di
VIc cavalieri
e bene
Xm pedoni; e la
città di Pistoia guastarono intorno
intorno,
istandovi
ad assedio per
XXIII dì.
Dentro
a Pistoia era messer Tosolato degli Uberti loro
capitano di
guerra con
IIIc cavalieri, e guardò e difese
bene la
cittade.
A la fine veggendo i Lucchesi
che la stanza di Pistoia era speranza vana di potere
per forza o per assedio avere la
città, s'accordaro di
ritrarsi adietro co· lloro oste, e di porsi all'assedio
del
castello di Serravalle, ch'era de'
Pistolesi ed era molto
forte; e così fu fatto. E
al detto assedio rimasono
le
due sestora delle cavallate di
Firenze, rimutandosi
a tempo
a tempo con parte di loro soldati e gente
a
piè assai, tenendo i Fiorentini il loro campo di verso
Pistoia. E quello castello combattuto, e con più
difici
grossi che gittavano dentro
macerato, ma per tutto
ciò non s'
arendea, però che dentro v'avea più di
IIIIc
de' maggiori e de' migliori cittadini di Pistoia, i quali
difendeano il castello, e
al continuo assalivano il
campo vigorosamente,
a la fine per
mala provisione
di vittuaglia
a tanta gente, quanta avea dentro tra
Pistolesi
e terrazzani e forestieri, ch'era più di
MCC uomini,
sanza le femmine e' fanciulli,
fallì loro; per la
qual cosa per necessità di
vivanda s'
arrenderono pregioni
al Comune di Lucca
a dì
VI di settembre
del
detto
anno; onde più di
CCC Pistolesi n'andarono legati
pregioni
a la
città di Lucca, e gli altri terrazzani
rimasono fedeli de' Lucchesi, i quali Lucchesi vi feciono
una
nuova e forte rocca da la parte loro di Valdinievole,
e uno grosso
muro da la rocca vecchia di
qua ov'è la pieve
a la Nuova, per tenere meglio il
detto castello
a lloro ubbidienza, recandogli
a loro
contado.
L. 9, cap. 53 rubr.Come i Fiorentini ebbono il castello di Piano di
Trevigne e più altre castella ch'aveano rubellate i
Bianchi.
L. 9, cap. 53Nella stanza
del detto assedio di Pistoia si rubellò
a' Fiorentini il castello di Piano di
Trevigne in Valdarno
per Carlino de' Pazzi di Valdarno, e in quello
col detto Carlino si rinchiusono de' migliori
nuovi
usciti Ghibellini e Bianchi di
Firenze, grandi e popolani,
e faceano grande
guerra nel Valdarno; per la
qual cosa fu cagione di levarsi l'oste da Pistoia, lasciando
i Fiorentini il terzo della loro gente all'assedio
di Serravalle in
servigio de' Lucchesi, come detto
avemo, e tutta l'altra oste tornata in
Firenze, sanza
soggiorno n'andarono
del mese di giugno in Valdarno
e
al detto castello di Piano, e
a quello istettono, e
assediarono per
XXVIIII dì.
A la fine per
tradimento
del sopradetto Carlino e per moneta che n'ebbe i
Fiorentini ebbono il castello. Essendo il detto Carlino
di fuori, fece
a' suoi fedeli dare l'
entrata
del castello,
onde molti vi furono morti e presi, pure de'
migliori usciti di
Firenze. E ciò fatto, tornati
a
Firenze
con questa vittoria, sanza
soggiorno andarono popolo
e cavalieri di
Firenze in Mugello sopra i signori
Ubaldini, i quali co' Bianchi e co' Ghibellini s'erano
rubellati
al Comune di
Firenze, e guastarono i loro
beni di qua da l'alpe e di là. E tornati in
Firenze, la state
medesima cavalcarono in Valdigrieve sopra il
castello di Monte
Agliari e di Monte Aguto, i quali
aveano rubellati que' della casa de'
Gherardini, ch'
erano di parte bianca, e quelle
due castella s'
arrenderono
a
patti, salve le persone,
al Comune di
Firenze,
le quali il Comune di
Firenze fece disfare. E nel detto
anno i Fiorentini ebbono gran vittoria in ogni loro
oste e cavalcata che feciono, bene
aventurosamente
perseguitando in ogni parte gli usciti bianchi e' ghibellini
con loro distruzzione.
L. 9, cap. 54 rubr.Come l'isola d'Ischia gittò maraviglioso fuoco.
L. 9, cap. 54Nel detto
anno
MCCCII l'isola d'
Ischia, la quale è
presso
a Napoli, gittò grandissimo fuoco per la sua
solfaneria, per modo che gran parte dell'isola consumò,
e guastò infino
al girone d'
Ischia; e molte genti,
e bestiame, e la terra medesima per quella
pestilenzia
morirono e si
guastarono. E molti per iscampare fuggirono
a l'isola di
Procita e
a quella di
Capri, e
a terra
ferma
a Napoli, e
a
Baia, e
a
Pozzuolo, e in quelle
contrade; e
durò la detta
pestilenzia più di
due mesi.
Lasceremo alquanto de' nostri fatti di
Firenze e di
que' d'Italia, e faremo
incidenza e
disgressione per
raccontare grandi e maravigliose
novitadi che
a questo
tempo avennero ne reame di
Francia, cioè nelle
parti di
Fiandra, le quali sono bene da notare e da
farne ordinata memoria nel nostro trattato.
L. 9, cap. 55 rubr.Come il popolo minuto di Bruggia si rubellò dal re
di Francia, e uccisono i Franceschi.
L. 9, cap. 55Come noi lasciammo adietro nel
capitolo, che 'l re
di
Francia ebbe
al tutto la signoria di
Fiandra, e in
sua pregione il
conte e
due suoi figliuoli l'
anno
MCCLXXXXVIIII, e lasciato guernito di sua gente e di
suoi
balii il paese, e che gli artefici
minuti di
Bruggia,
come sono
tesserandoli e
foloni di
drappi, e beccari,
e calzolai, e altri, fossono uditi
a ragione per la loro
petizione data
a lo re, e
adirizzati di loro pagamenti
per gli loro lavorii, e dell'assise de la terra, le quali
erano loro incomportabili; la detta gente de la
Comune
non fu udita né
adirizzati; ma i
balii
del re
a
preghiera de' grandi borgesi e per loro moneta i caporali
de' detti artefici e popolo
minuto, i quali erano
i principali Piero le Roi
tesserandolo e
Giambrida
beccaio, con più di
XXX de' maggiori di loro mestieri
e
arti misono in pregione in
Bruggia. E nota che 'l
detto Piero le Roi fu il capo e
commovitore de la
Comune,
e per sua franchezza fu
sopranominato Piero
le Roi, e in
fiammingo
Connicheroi, cioè Piero lo re.
Questo Piero era tessitore di panni povero uomo, e
era piccolo di persona e sparuto, e cieco dell'uno occhio,
e d'età di più di
LX anni; lingua francesca né
latina
non sapea, ma in sua lingua
fiamminga parlava
meglio, e più ardito e
stagliato che nullo di
Fiandra
e per lo suo parlare
commosse tutto il paese
a le
grandi cose che poi seguiro, e però è bene ragione di
fare di lui memoria. E per la presa di lui e de' suoi
compagni il popolo
minuto di
Bruggia corsono la
terra e combatterono il borgo, cioè il castello ove
stanno gli schiavini e' rettori della terra, e uccisono
de' borgesi, e per forza trassono di pregione i loro
caporali. E ciò fatto, di questa querela si fece triegua
e appello
a Parigi dinanzi
al re, e
durò bene uno
anno
la quistione; e
a la fine per moneta spesa per gli
grandi borgesi di
Fiandra intorno
a la
corte
del re il
popolo
minuto ebbono la sentenzia incontro; onde
venuta la
novella
a
Bruggia, que' de la
Comuna si levarono
da capo
a romore e
ad arme; ma per paura
delle masnade e de' grandi borgesi si partirono di
Bruggia, e
andarne
a la terra
del
Damo ivi presso
a
III miglia, e quella corsono, e uccisono il balio e' sergenti
che v'erano per lo re, e rubarono i grandi borgesi
de la terra, e
uccisorne; e ciò fatto, come genti
disperati e in
furia, vennero
a la terra d'
Andiborgo e
feciono il somigliante; e poi ne vennero
al
maniere
del
conte che si chiama
Mala, presso
a
Bruggia
a
tre
miglia, che v'era dentro il balio di
Bruggia e da
LX
sergenti
del re, e quella fortezza per forza presono, e
sanza misericordia o redenzione quanti Franceschi
dentro avea misero
a
morte. I grandi borgesi di
Bruggia veggendo così adoperare e crescere la forza
al
minuto popolo, temettono di loro e de la terra; incontanente
mandarono in
Francia per soccorso; per
la qual cosa lo re incontanente vi mandò messer Giacomo
di San Polo sovrano balio di tutta
Fiandra, con
MD cavalieri franceschi, e con sergenti assai; e giunti
a
Bruggia, presono e fornirono i
palagi de l'
Alle
del
Comune e tutte le fortezze de la terra con guernigione
di loro genti d'arme, istando la terra di
Bruggia in
grande sospetto e guardia. E
crescendo la forza e
l'ardire
al
minuto popolo, come piacque
a dDio, per
pulire il peccato de la superbia e avarizia de' grandi
borgesi e abattere l'orgoglio de' Franceschi, quegli
artefici e popolo
minuto ch'erano rimasi in
Bruggia
feciono tra lloro giura e
cospirazione di disperarsi
per uccidere i Franceschi e' grandi borgesi, e mandarono
per gli loro
isfuggiti
a la terra
del
Damo e quella
d'
Andiborgo, ond'erano loro
capi e maestri Piero
le Roi e
Giambrida, che venissono
a
Bruggia, li quali
cresciuti in baldanza per la vittoria e uccisione per
loro cominciata contro
a' Franceschi,
a
bandiere levate,
e le femmine come gli uomini, vennero in
Bruggia
la notte di
com'era ordinato; e
poteallo fare,
però che lo re avea fatti abattere i fossi e porte di
Bruggia. E giunti nella terra,
dandosi nome con que'
d'
entro, e gridando in loro linguaggio
fiamingo, che
da' Franceschi nonn erano intesi; «
Viva la
Comune,
e
a la
morte de' Franceschi!»,
abarraro le rughe de
la terra. Per la qual cosa si cominciò la
dolorosa
pestilenzia
e
morte de' Franceschi, per modo che qualunque
Fiammingo avea in sua casa nullo Francesco,
o l'uccidea, o 'l menava preso
a la piazza dell'
Alla,
ove la
Comune era raunata e armata, e là giugnendo
i presi, come tonnina in pezzi erano tagliati e morti.
Sentendo i Franceschi levato il romore, e armandosi
per raunarsi insieme, si trovavano da' loro osti tolti i
freni, e le
selle de'
cavalli nascose. E più ne faceano
le femmine che gli uomini; e chi era montato
a cavallo
trovava le rughe
abarrate, e gittati loro i sassi da le
finestre, e morti per le vie. E così
durò tutto il giorno
la detta persecuzione, ove morirono, che con
ferri, e
che di sassi, e d'esser gittati gli uomini dalle finestre
delle torri e palazzi dell'
Alle, ov'erano in fortezze più
di
MCC Franceschi
a cavallo e più di
MM sergenti
a
piede, onde tutte le rughe e piazze di
Bruggia erano
piene di corpi morti, e di sangue e carogna de' Franceschi,
che più di tre dì gli penarono
a sotterrare,
portandogli in
carra fuori della terra, e gittandogli in
fosse
a' campi; e de' grandi borgesi assai vi furono
morti, e tutte loro case rubate. Messer
Giache di San
Polo con pochi fuggendo scampò, perch'abitava
presso all'uscita della terra; e questa
pestilenzia fu
uno
del mese di
, gli
anni di Cristo
MCCCI.
L. 9, cap. 56 rubr.De la grande e disaventurosa sconfitta che' Franceschi
ebbono a Coltrai da' Fiaminghi.
L. 9, cap. 56Dopo la detta
rubellazione di
Bruggia e
morte de'
Franceschi i maestri e' capitani della
Comune di
Bruggia, parendo loro avere fatte e cominciate grandi
imprese, e grande misfatto contro
a re di
Francia
e sua gente, e considerando di non potere per loro
medesimi sostenere sì gran fascio, essendo sanza il
loro signore e sanza altro aiuto, sì mandarono in Brabante
per lo giovane
Guiglielmo di Giulieri, fratello
dell'altro messer
Guiglielmo di Giulieri che morì per
la sconfitta di
Fornes
ad
Arazzo in pregione
del
conte
d'Artese, come adietro facemmo menzione. Questo
Guiglielmo era nato per madre della figliuola
del
vecchio
conte
Guido di
Fiandra, e figliuolo
del
conte
di Giulieri di
Valdireno, ed era gran
cherico. Sì tosto
come fu richesto da que' di
Bruggia, per vendicare il
suo fratello da' Franceschi, lasciò la
chericia e venne
in
Fiandra, e da que' di
Bruggia fu ricevuto
a grande
onore, e fatto loro signore. Incontanente fece gridare
oste sopra la villa e terra di Guanto, che si tenea per
lo re; ma la terra era forte de le più
del
mondo per
sito e per
mura, fossi, e riviere, e paduli, sicché il loro
assalto fue invano; onde si partirono e andarono
a
le terre
del Franco di
Bruggia de le marine di
Fiandra,
e quelle quasi tutte con
poca fatica recaro in loro
signoria, come fu le
Schiuse,
Nuovoporto,
Berghe,
e
Fornes, e
Gravalingua, e più altre ville; onde
gran popolo
crebbe
a que' di
Bruggia. E ciò sentendo
il giovane
Guido figliuolo
del
conte di
Fiandra
della seconda donna, nato della
contessa di
Namurro,
venne in
Fiandra, e
accozzossi con
Guiglielmo di
Giulieri suo nipote, e furono insieme fatti signori e
guidatori
del popolo di
Fiandra ribello
del re di
Francia; e tornando da le terre delle marine, ebbono
a
patti
Guidendalla, il ricco
maniere
del
conte, ove
avea più di
Vc Franceschi. E ciò fatto, venne messer
Guido
a oste sopra Coltrai con
XVm di
Fiaminghi
a
piè, e ebbe la terra, salvo il castello
del re, ch'era
molto forte e guernito de' Franceschi
a cavallo e
a
piè.
Guiglielmo di Giulieri andòe all'assedio
al castello
di
Cassella con parte dell'oste, e in questa
istanza quegli della terra d'Ipro e di
Camua di loro
volontà s'
arendero
a messer
Guido di
Fiandra, onde
crebbe gran podere
a'
Fiaminghi, e
ingrossossi l'oste
a Coltrai. Quegli
del castello che v'erano per lo re, si
difendeano francamente, e co· lloro ingegni e
difici
disfeciono e arsono gran parte della terra di Coltrai;
ma per lo improviso assedio de'
Fiamminghi non
erano guerniti di vittuaglia quanto bisognava loro; e
però mandarono in
Francia
al re per soccorso tostano,
onde il re sanza indugio vi mandò il buono
conte
d'Artese suo
zio e de la casa di
Francia, con più di
VIIm cavalieri gentili uomini,
conti, e
duchi, e castellani,
e banderesi, onde de' caporali fareno menzione,
e con
XLm sergenti
a piè, de' quali erano più di
Xm
balestrieri. E giunti sopra il
colle il quale è di contro
a
Coltrai, verso la
via che va
a Tornai, in su quello s'
acamparono,
presso
del castello
a mezzo miglio. E per
fornire le spese della cominciata
guerra di
Fiandra lo
re di
Francia, per male
consiglio di messer
Biccio e
Musciatto Franzesi nostri contadini, sì fece peggiorare
e
falsificare la sua moneta, onde traeva grande
entrata,
però che ella venne peggiorando di tempo in
tempo, sì che la recò
a la
valuta
del terzo, onde molto
ne fu
abominato e
maldetto per tutti i Cristiani; e
molti mercatanti e prestatori di nostro paese ch'erano
co· lloro moneta in
Francia ne rimasono
diserti. Il
buono e valente giovane messer
Guido di
Fiandra,
veggendo l'
esercito de' Franceschi
a cavallo e
a piè
che gli erano venuti adosso, e conoscendo ch'egli
non potea schifare la battaglia, o
abandonare la terra
di Coltrai e l'assedio
del castello, e lasciandolo e tornando
a
Bruggia col suo popolo era morto e
confuso,
sì mando per messer
Guiglielmo di Giulieri ch'era
all'assedio di
Cassella che lasciasse l'assedio, e
colla
sua oste venisse
a llui, e così fu fatto; e trovarsi insieme
con
XXm uomini
a piè, che nullo v'avea cavallo
per cavalcare se non i signori. E diliberato
al nome
di Dio e di messer san Giorgio di prendere la battaglia,
uscirono della terra di Coltrai, e levarono il loro
campo, ch'era di là dal fiume de la Liscia, e passarono
in su uno
rispianato poco di fuori della terra, per
lo
cammino che va
a Guanto, e quivi si schieraro incontro
a' Franceschi; ma
segacemente presono
vantaggio,
che
a traverso di quella pianura corre uno
fosso che
raccoglie l'acque della contrada e mette
nella Liscia, il quale è largo il più
V braccia e profondo
III, e sanza
rilevato che si paia di lungi, che prima
v'è altri su, che quasi s'acorga che v'abbia fossato. In
su quello fosso dal loro lato si schieraro
a modo d'una
luna come andava il fosso, e nullo rimase
a cavallo,
ma
ciascuno
a piè, così i signori e' cavalieri come
la comune gente, per difendersi da la percossa delle
schiere de'
cavalli de' Franceschi, e
ordinarsi uno
con lancia (che l'usano
ferrate,
tegnendole
a guisa
che si tiene lo spiedo
a la caccia
del porco
salvatico),
e uno con uno grande bastone noderuto come manica
di spiedo, e dal capo grosso
ferrato e puntaguto,
legato con anello di ferro da ferire e da forare; e questa
salvaggia e grossa armadura chiamano
godendac,
cioè in nostra lingua buono giorno. E così
aringati
uno
ad uno, che altre
poche armadure aveano da offendere
o da difendere, come genti povere e non usi
in
guerra, come disperati di salute, considerando il
grande podere de' loro nimici, si vollono innanzi
conducere
a morire
al campo, che fuggire e essere
presi e per diversi
tormenti giudicati: feciono venire
per tutto il campo uno prete parato col corpo di Cristo,
sì che
ciascuno il vide, e in luogo di comunicarsi,
iascuno prese uno poco di terra e si mise in bocca.
Messer
Guido di
Fiandra e messer
Guiglielmo di
Giulleri andavano dinanzi
a le schiere
confortandogli
e amonendo di ben fare,
ricordando loro l'orgoglio e
superbia de' Franceschi, e 'l torto che faceano
a' loro
signori e
a lloro, e
a quello che verrebbono per le cose
fatte per loro,
se' Franceschi fossono vincitori; e
mostrando loro ch'essi combatteano per giusta causa,
e per iscampare loro vita e di loro figliuoli, e che
francamente
dovessero
principalmente intendere pure
amazzare e fedire i
cavalli. E messer
Guido di sua
mano in su 'l campo fece cavaliere il valente Piero le
Roi con più di
XL de la
Comune, promettendo, se
vincessono,
a
ciascuno dare retaggio di cavaliere. Il
conte d'Artese capitano e
duca dell'oste de' Franceschi,
veggendo i
Fiamminghi usciti
a campo, fece
stendere il campo suo, e scese più
al piano contro
a'
nemici, e
ordinò i suoi in
X schiere in questo modo:
che de la prima fece guidatore messer
Gianni di
Barlas
con
MCCCC cavalieri soldati, Provenzali, Guasconi,
Navarresi, Spagnuoli, e Lombardi, molto buona
gente; de la seconda fece conduttore messere Rinaldo
d'
Itria valente cavaliere con
Vc cavalieri; la terza
schiera fu di
VIIc cavalieri, onde fu capitano messer
Rau di
Niella, conestabile di
Francia; la quarta battaglia
fu di
VIIIc cavalieri, la quale guidava messer
Luis
di
Chiermonte della casa di
Francia; la quinta, il
conte d'Artese generale capitano con
M cavalieri; la
sesta, il
conte di San Polo con
VIIc cavalieri; la settima,
il
conte d'Albamala, e il
conte di
Du, e il
ciamberlano
di
Francavilla con
M cavalieri; l'ottava, messer
Ferri figliuolo
del
duca de
Loreno, e il
conte di
Sassona con
VIIIc cavalieri; la nona battaglia guidava
messer
Gottifredi fratello
del
duca di Brabante, e
messer
Gianni figliuolo
del
conte d'Analdo con
Vc
cavalieri
brabanzoni e
anoieri; la
decima fu di
CC cavalieri
e di
Xm balestrieri, la quale guidava messere
Giache di san Polo con messer Simone di Piemonte
e Bonifazio di Mantova, con più d'altri
XXXm sergenti
d'arme
a piè, Lombardi, Franceschi, e Provenzali, e
Navarresi, detti
bidali, con giavellotti. Questa fu la
più nobile oste di buona gente che mai facesse il detto
re di
Francia, dov'era il fiore de la baronia e
baccelleria
de' cavalieri de· reame di
Francia, di Brabante,
d'Analdo, e di
Valdireno. Essendo
aringate le
battaglie dell'una parte e dell'altra per combattere,
messer Gian di
Burlas, e messer Simone di Piemonte,
e Bonifazio, capitani di soldati e
balestrieri forestieri,
molto savi e
costumati di
guerra, furono
al conastabole
e dissono: «Sire, per Dio lasciamo vincere
questa disperata gente e popolo di
Fiaminghi sanza
volere mettere
a
pericolo il fiore della cavalleria
del
mondo. Noi conosciamo i
costumi de'
Fiaminghi: e'
sono usciti di Coltrai come disperati d'ogni salute, o
per combattere o per fuggirsi, e sono
acampati di
fuori, e lasciato nella terra i loro poveri arnesi e
vivanda.
Voi starete schierati co la vostra cavalleria, e
noi co' nostri soldati che sono usi di fare assalti e
correrie, e co' nostri
balestrieri, e cogli altri pedoni,
che n'avemo
due
cotanti di loro,
enterremo tra loro e
la terra di Coltrai, e gli assaliremo da più parti, e
terregli
in badalucchi e
scheremugi gran parte
del dì. I
Fiaminghi sono di grande pasto, e tutto dì sono usi
di mangiare e di bere;
tegnendoli noi in bistento e
digiuni, gli
straccheremo, e non potranno durare,
perché non si potranno rinfrescare; si partiranno
del
campo
a
rotta da lloro schiere, e come voi vedrete
ciò, spronate loro adosso con vostra cavalleria, e
avrete la vittoria sanza
periglio di vostra gente». E di
certo così veniva fatto, ma
a cui Idio vuole male gli
toglie il senno, e per le
peccata commesse si mostra il
giudicio di Dio; e intra gli altri peccati il
conte d'Artese
avea dispregiate le
lettere di papa Bonifazio, e
con tutte le bolle gittate nel fuoco. Udito questo
consiglio il conastabole, sì gli piacque e parve buono,
e venne co' detti conostaboli
al
conte d'Artese, e
dissegli il
consiglio, e come gli parea il migliore. Il
conte d'Artese rispuose per rimproccio: «
Pru
diable,
ce
sont de
guiglie
di
Lombars, e
vos
conostable
aves
ancore
du
pol
del
lu»; cioè volle dire ch'e' non
fosse leale
al re, perché la figliuola era moglie di
messer
Guiglielmo di
Fiandra. Allora il conestabole
irato per lo rimproccio udito, disse
al
conte: «
Sire,
se
vos
verres
u
gie
irai
vos
ires
bene
avant». E come
disperato, stimandosi d'andare
a la
morte, fece muovere
sue
bandiere, e
brocciò
a ffedire francamente,
non prendendosi guardia, né sappiendo
del fosso
a
traverso dov'erano schierati i
Fiamminghi, come
adietro facemmo menzione. E giugnendo sopra il
detto fosso, i
Fiamminghi ch'erano dall'una parte e
dall'altra cominciarono
a fedire di loro bastoni detti
godendac
a le teste de'
destrieri, e
facevagli
rivertire
e
ergere adietro. Il
conte Artese e l'altre schiere e
battaglie de' Franceschi, veggendo mosso
a fedire il
conastabole con sua gente, il seguiro l'uno appresso
l'altro
a sproni
battuti, credendo per forza de' petti
de' loro
cavalli rompere e partire la schiera de'
Fiamminghi;
a lloro avenne tutto per contrario, che per
lo
pingere e
urtare, i
cavagli dell'altre schiere per forza
pinsono il
conostabole, e il
conte Artese, e sua
schiera
a traboccare nel detto fosso l'uno sopra l'altro;
e 'l
polverio era grande, che que' di dietro non
poteano vedere, né per lo romore de'
colpi e grida
intendere i· loro fallo, né lla
dolorosa isventura di loro
feditori; anzi credendo ben fare
pignevano pure
innanzi
urtando i loro
cavagli, per modo ch'eglino
medesimi per l'
ergere e cadere di loro
cavagli l'uno
sopra l'altro s'
afollavano, e faceano affogare e morire
gran parte, o i più, sanza
colpo di
ferri, o di
lance, o
di spade. I
Fiamminghi ch'erano
aserrati e forti in su
la
proda
del fosso, veggendo traboccare i Franceschi
e' loro
cavagli, non intendeano
ad altro che amazzare
i cavalieri, e' loro
cavagli isfondare e
isbudellare, sicché
in poco d'ora non solamente fu ripieno il fosso
d'uomini e di
cavagli, ma fatto gran monte di carogna
di quegli. Ed era sì fatto giudicio, che' Franceschi
non poteano dare
colpo
a' loro nemici, ma eglino
medesimi
afollavano, e uccideano l'uno l'altro per
lo
pignere che faceano, credendo per urtare rompere
i
Fiaminghi. Quando i Franceschi furono quasi tutte
loro schiere
radossati l'uno sopra l'altro, e
confusi
per modo che per loro medesimi
convenia o che
traboccassono
co' loro
cavagli, o fossono sì stretti e annodati
a schiera che non si poteano reggere, né andare
innanzi né tornare adietro, i
Fiaminghi ch'erano
freschi, e poco travagliati i
capi de'
corni de la loro
schiera, onde dell'uno era capitano messer
Guido di
Fiandra, e dell'altro messer
Guiglielmo di Giulieri,
gli quali in quello giorno feciono maraviglie d'arme
di loro mano, essendo
a piè,
passaro il fosso, e
rinchiusono
i Franceschi, per modo che uno vile
villano
era signore di segare la
gola
a' più gentili uomini. E
per questo modo furono sconfitti e morti i Franceschi,
che di tutta la sopradetta nobile cavalleria non
iscampò se non messer
Luis di
Chiermonte, e il
conte
di San Polo, e quello di Bologna con pochi, perché
si disse che non si strinsono
al fedire; onde sempre
portarono poi grande onta e rimproccio in
Francia.
Tutti gli altri
duchi,
conti, e baroni, e cavalieri
furono morti in su il campo, e alquanti fuggendo per
le fosse e
maresi morti furono; in somma più di
VIm
cavalieri, e di pedoni
a piè sanza
numero, rimasono
morti
a la detta battaglia sanza
menarne nullo
a pregione.
E questa
dolorosa e sventurata sconfitta de'
Franceschi fue il dì di santo Benedetto,
a dì
XI di luglio,
gli
anni di Cristo
MCCCII; e non sanza grande
giudicio
divino, però che fu quasi uno impossibile
avenimento. E bene ci cade la parola che Dio disse
al
popolo suo d'Israel, quando la
potenzia e
moltitudine
di loro nimici
venia loro adosso, i quali erano con
piccola forza
a lloro comparazione, e temendo di
combattere, disse: «Combattete francamente, ché la
forza della battaglia nonn è solo ne la
moltitudine de
le genti, anzi è in mia mano, però ch'io sono lo Idio
Sabaoth, cioè lo Idio dell'oste». Di questa sconfitta
abassò molto l'onore, e lo stato, e
fama de l'antica
nobilità e prodezza de' Franceschi, essendo il fiore
della cavalleria
del
mondo isconfitta e abbassata da'
loro fedeli, e la più vile gente che fosse
al
mondo,
tesserandi, e
folloni, e d'altre
vili
arti e mestieri, e
non mai usi di
guerra, che per
dispetto e loro viltade
da tutte le nazioni
del
mondo i
Fiaminghi erano
chiamati conigli pieni di
burro; e per queste vittorie
salirono in tanta
fama e
ardire, ch'uno
Fiamingo
a
piè con uno
godendac in mano
avrebbe atteso
due cavalieri franceschi.
L. 9, cap. 57 rubr.Di quale lignaggio furono i presenti conti e signori
di Fiandra.
L. 9, cap. 57
Dapoi ch'avemo
innarrato le grandi
novità e battaglie
cominciate tra 'l re di
Francia e 'l
conte di
Fiandra
e' suoi, e seguiranno appresso per gli tempi, ne
pare convenevole di raccontare dell'esser e
legnaggio
de' detti
conti, però che feciono grandi cose, e di loro
furono valenti signori. Questi
conti non sono per
lignaggio mascolino dello
stocco degli antichi
conti
di
Fiandra, onde fue il buono primo imperadore Baldovino
che conquistò
Gostantinopoli, e 'l valente
conte
Ferrante, il quale si combatté
collo imperadore
Otto insieme col buono re
Filippo il Bornio, come
adietro facemmo menzione; e fu suo non solamente
Fiandra, ma la
contea d'Analdo, e
Vermandois, e
Tiracia
infino presso
a
Compigno. E quegli primi
conti
portarono l'arme
agheronata gialla e nera; ma questi
d'oggi ne nacquero per femmina in questo modo.
Quando morì il detto
conte
Ferrante, di lui non rimase
figliuolo maschio, ma solo una piccola
figlia
femmina chiamata Margherita. Questa rimase
a
guardia e
tuteria d'uno savio
cherico, ch'avea nome
messer Gian d'
Avenes, figliuolo
del signore di
Donpiero
in Borgogna, overo Campagna, e per suo senno
avea guidato il
conte
Ferrante e tutto il suo paese.
Questi ritenne la signoria per la fanciulla; e quand'ella
fue in età, si giacque co· llei, e
ebbene uno figliuolo
chiamato
Gianni; e per coprire la vergogna di lui e
della
damigella lasciòe la
chericia, e sposò la
contessa
Margherita
a moglie, e poi n'ebbe uno figliuolo, e
questi fue il presente valente e buono
Guido
conte
di
Fiandra; e poco apresso morìo messer Gian d'
Avenes,
e rimase la detta
contessa Margherita co' detti
due suoi figliuoli, e non riprese
marito; e guidava
molto
saviamente sua terra e paese, e quando bisognò,
andò in arme com'uno cavaliere, e fu molto savia
e
ridottata donna, e fece molte buone
leggi e
costume
in
Fiandra che ancora s'oservano. Avenne,
quando
Gianni e
Guido suoi figliuoli furono cavalieri,
ciascuno volea esser
conte di
Fiandra, onde piato
ne nacque ne la
corte
del re di
Francia, e
convenne
ne fosse sentenzia; e citata la
contessa Margherita
al
giudicio innanzi
al re, disse che
Guido era degno
d'essere
conte di
Fiandra, però ch'egli era nato di
matrimonio, e
Gianni no; onde
crucciato
Gianni,
ch'era il maggiore, inanzi
al re di
Francia e suo
consiglio
in presenza della madre disse: «Dunque sono io
figliuolo della più ricca puttana
del
mondo?». La
contessa, come savia, si
gabbò delle parole, e rispuose
a
Gianni: «Io non ti
posso torre Analdo di
tuo retaggio,
ma io ti voglio torre che
a la tua arme, ch'è il
campo
ad oro e
leone nero,
a
leone tu non facci mai
unghioni né lingua, perché la tua è stata
villana; e
Guido voglio il porti tutto intero». E così fu giudicato
e
confermato per lo re di
Francia e per gli
dodici
peri.
Onde di messer
Gianni sono
discesi i
conti
d'Analdo, e di messer
Guido
conte di
Fiandra messere
Ruberto di Bettona, e messer
Guiglielmo e messer
Filippo della sua prima donna avogada di Bettona;
e della seconda donna figliuola
del
conte di
Luzzimborgo
e
contessa di
Namurro, la quale
contea fece
comperare per gli figliuoli
al
conte di
Fiandra, sì
nacquero messer
Gianni
conte di
Namurro, e il buono
messer
Guidone, e messer
Arrigo di
Fiandra;
del
quale
Guidone la nostra storia ha parlato ne la detta
sconfitta di Coltrai, e parlerà ancora in più parti di
loro prodezze e valentie, e però ne paiono degni di
loro nazione avere voluto fare memoria.
L. 9, cap. 58 rubr.Come lo re di Francia rifece sua oste, e con tutto
suo podere venne sopra i Fiaminghi; e tornossi in
Francia con poco onore.
L. 9, cap. 58Dopo la detta sconfitta di Coltrai incontanente
s'
arrendero
a messer
Guido di
Fiandra quegli di
Guanto, e que' di Lilla, e
Doai, e
Cassella, sì che non
rimase terra né villa piccola né grande in
Fiandra,
che non tornasse
a le comandamenta di messer
Guido;
e per la detta vittoria la Comuna d'ogni terra di
Fiandra presono
ardire e signoria, e cacciarne i loro
grandi borgesi, perché amavano i Franceschi; e non
tanto in
Fiandra, simile avenne in Brabante, e in
Analdo, e in tutte loro circustanzie, per lo favore
io della
Comuna di
Fiandra. Come in
Francia fue la
dolorosa
novella della detta sconfitta, nonn è da domandare
se v'ebbe dolore e lamento, che non v'ebbe
villa, castello,
maniero, o signoraggio, che per gli cavalieri
e
scudieri che rimasono morti
a Coltrai non
v'avesse
dame e
damigelle vedove. Lo re di
Francia,
passato il dolore, fece come valente signore, che incontanente
fece bandire oste generale per tutto il
reame; e per fornire sua
guerra sì fece
falsificare le
sue monete; e la buona moneta
del tornese grosso,
ch'era
a
XI once e mezzo di fine, tanto il fece peggiorare,
che tornò quasi
a metade, e simile la moneta
prima; e così quelle dell'oro, che di
XXIII e mezzo
carati
le recò
a men di
XX, faccendole correre per più
assai che non valeano: onde il re avanzava ogni dì
libbre
VIm di parigini e più, ma guastò e
disertò il
paese, che la sua moneta non tornò
a la
valuta
del
terzo. E fornito lo re, e apparecchiata la sua grande e
ricca oste, si mosse da Parigi, e
del mese di settembre
presente
del detto
anno
MCCCII, fue
ad
Arazzo in
Artese con più di
Xm cavalieri, e con più di
LXm pedoni;
e in Italia mandò per messer
Carlo di
Valos suo
fratello, che
rimossa ogni cagione
dovesse tornare in
Francia; e così fece poco appresso. I
Fiaminghi sentendo
l'apparecchio e venuta
del re di
Francia, mandaro
in
Namurro per lo
conte messer
Gianni figliuolo
del
conte di
Fiandra, e maggiore di messer
Guido,
il quale era molto savio e valente; e lui venuto, il feciono
loro generale capitano dell'oste, e come gente calda,
e baldanzosa della vittoria da Coltrai, s'apparecchiaro
di
tende, e padiglioni, e trabacche, con tutto
che assai aveano di quelle de' Franceschi; e
ciascuna
terra e villa per sé si
soprasegnaro di
soprasberghe
e d'arme, e
ciascuno mestiere per sé, e raunarsi
a
Doai, e furono più di
LXXXm uomini
a piè bene
armati e
soprasegnati, e con tanto carreggio che
portava il loro arnese, che copria tutto il paese, e in
somma era
a vedere la più
bella e ricca oste di gente
a piè, che mai fosse tra' Cristiani. Lo re di
Francia
colla sua grande e nobile oste uscì fuori d'
Arazzo per
entrare in
Fiandra, e
acampossi
a una villa che si
chiama
Vetri, tra
Doai e
Arazzo, e era sì grande, che
tenea di giro più di
X miglia. I
Fiaminghi come franca
gente, e bene guidati e
condotti, non attesero l'oste
a
Doai, ma uscirono di
Doai, e s'afrontarono incontro
a l'oste
del re, gridando
dì e notte: «Battaglia,
battaglia!», e innanimati di combattere, e sovente
aveano insieme
scarmugi e badalucchi, e non
v'avea
Fiammingo
a piè con suo
godendac in mano
che non attendesse il cavaliere francesco, per la baldanza
presa sopra loro, e' Franceschi per contradio
inviliti. E ciò fu
del mese d'ottobre, nel quale cominciò
grandi piogge, e 'l paese è pieno di paduli e di
fosse, e sempre terreno che mai non si puote osteggiare
il verno; onde il carreggio
del re ch'aducea la
vivanda all'oste per li fondati cammini non poteano
venire, né i cavalieri co· lloro
cavalli apena uscire
del
campo. Per la quale
confusione l'oste
del re venne in
tanti difetti, e di vittuaglia e d'altro, che non poterono
più tenere campo, e
convenne che di necessità si
levasse da oste, con sua grande onta e vergogna, faccendo
triegua per uno
anno: e tornossi addietro
ad
Arazzo, e poi
a Parigi, con grande spendio, e con
grande mortalità de' suoi
cavagli. Alcuno disse in
Francia che intra l'altre cagioni della partita dell'oste
del re fu per inganno
del re
Adoardo d'Inghilterra, il
quale amava i
Fiaminghi, e per
favoragli disse
a la
moglie, la quale era
serocchia
del re di
Francia, in segreto
segacemente e con frode: «Io
temo che 'l re di
Francia non riceva vergogna e
pericolo in questa
oste, ch'io sento che vi sarà tradito da certi suoi baroni
medesimi». La reina prese
a vero la parola, e
incontanente la significò
al re di
Francia suo fratello,
ond'egli
entrò in sospetto e gelosia de' suoi baroni,
ma non sapea di cui, e partissi per lo modo che detto
avemo con onta e vergogna: e potrebbe esser stata
l'una cagione e l'altra della sua partita. E partita l'oste
del re, i
Fiaminghi si tornarono in loro terre con
grande festa e allegrezza. Avemo sì distesamente
innarrate
queste storie di
Fiandra, perché furono
nuove
e maravigliose, e noi ci trovammo in quegli tempi
nel paese, che con
oculata fede vedemmo e sapemmo
la veritade. Lasceremo alquanto di questa materia,
infino che verranno i tempi
del
termine e fine di
questa
guerra tra 'l re di
Francia e'
Fiaminghi, che fu
assai piccolo tempo appresso, e torneremo
a nostra
materia
a raccontare le
novità d'Italia e della nostra
città di
Firenze che furono in quegli tempi, seguendo
nostro trattato.
L. 9, cap. 59 rubr.Come Folcieri da Calvoli podestà di Firenze fece tagliare
la testa a certi cittadini di parte bianca.
L. 9, cap. 59Nel detto
anno
MCCCII, essendo fatto podestà di
Firenze
Folcieri da Calvoli di
Romagna, uomo feroce
e crudele,
a posta de' caporali di parte nera, i quali
viveano in grande gelosia, perché sentivano molto
possente in
Firenze la parte bianca e ghibellina, e gli
usciti iscriveano tutto dì, e trattavano con quegli
ch'erano loro amici rimasi in
Firenze, il detto
Folcieri
fece subitamente pigliare certi cittadini di parte
bianca e Ghibellini; ciò furono messer
Betto
Gherardini,
e
Masino de' Cavalcanti, e
Donato e
Tegghia
suo fratello di
Finiguerra da
Sammartino, e
Nuccio
Coderini de'
Galigai, il quale era quasi un mentacatto,
e Tignoso de' Macci; e
a petizione di messer
Musciatto
Franzesi, ch'era de' signori della terra, volloro
essere presi certi caporali di casa gli Abati suoi nimici,
i quali sentendo ciò si fuggiro e partiro di
Firenze,
e mai poi non ne furono cittadini;
e uno Massaio de
le
Calze fu de' presi
,
oppognendo loro che trattavano
tradimento nella
città co' Bianchi usciti. O colpa
o non colpa, per martorio gli fece confessare che
doveano
tradire la terra e dare certe porte
a' Bianchi e
Ghibellini; ma il detto Tignoso de' Macci per gravezza
di carni morì in su la
colla. Tutti gli altri sopradetti
presi gli giudicò, e fece loro tagliare le teste, e
tutti quegli di casa gli Abati condannare per ribelli, e
disfare i loro beni, onde grande turbazione n'ebbe la
città, e poi ne
seguì molti mali e
scandali. E nel detto
anno fue gran
caro di vittuaglia, e valse lo
staio
del
grano in
Firenze
a la rasa soldi
XXII di soldi
il fiorino
d'oro.
L. 9, cap. 60 rubr.Come la parte bianca e' Ghibellini usciti di Firenze
vennero a Pulicciano, e partirsene in isconfitta.
L. 9, cap. 60Nel detto
anno,
del mese di marzo, i Ghibellini e'
Bianchi usciti di
Firenze co la forza de' Bolognesi
che si reggeano
a parte bianca, e
coll'aiuto de' Ghibellini
di
Romagna e degli
Ubaldini, vennero in Mugello
con
VIIIc cavalieri e
VIm pedoni, ond'era capitano
Scarpetta degli
Ordilaffi da Forlì, e presono sanza
contasto il borgo e
poggio di Pulicciano, e assediarono
una fortezza che vi teneano i Fiorentini, credendo
ivi fare capo grosso, e recare il Mugello sotto loro
obbedienza, e poi
stendersi co· lloro forza
a la
città di
Firenze. Saputa la
novella in
Firenze, subitamente
cavalcaro in Mugello popolo e cavalieri con tutta la
forza de la
cittade; e giunti
al borgo, e venuti i Lucchesi
e l'altra amistà, e di là uscendo
ischierati e
messi
in ordine per andare
a' nemici, i cavalieri di Bologna
sentendo la sùbita venuta de' Fiorentini, e trovandosi
ingannati da' Bianchi usciti di
Firenze ch'aveano
loro fatto intendere che' Fiorentini per tema
di loro amici rimasi dentro non ardirebbono d'uscire
della terra, si tennono traditi, e con paura grande
sanza niuno ordine si partiro da Pulicciano di Mugello,
e
andarsene
a Bologna, onde i Bianchi e' Ghibellini
usciti rimasono rotti e
scerrati, e partirsi una
notte sanza
colpo di spada come sconfitti, lasciando
tutti i loro arnesi, e più di loro gittarono l'arme, e
rimasonvi
de' morti e presi de' migliori per certi
iscorridori
iti innanzi. Intra gli altri notabili e orrevoli cittadini
e antichi Guelfi e fattisi Bianchi vi fu preso
messer
Donato
Alberti giudice, e
Nanni di
Ruffoli da
le porte
del vescovo.
Nanni vegnendo preso, fu morto
da uno de'
Tosinghi, e
a messer
Donato
Alberti
tagliato il capo, per quella legge medesima ch'egli
avea fatta e messa in ordine di giustizia quando egli
regnava ed era priore. E col detto messer
Donato
Alberti
furono
menati presi e tagliate le teste
a
due de'
Caponsacchi, e uno degli
Scolari, e
Lapo de' Cipriani,
e
a
Nerlo degli
Adimari, e altri intorno di
X di
piccolo affare; per la quale
rotta i Bianchi e' Ghibellini
usciti molto
abassaro.
L. 9, cap. 61 rubr.
Incidenza, contando come messer Maffeo Visconti
fu cacciato di Melano.
L. 9, cap. 61Nel detto
anno
MCCCII,
a dì
XVI di giugno, messer
Maffeo Visconti capitano di Milano fu cacciato della
signoria. La cagione fue ch'egli e' figliuoli
al tutto voleano
la signoria di Milano, e
a messer Piero Visconti,
e gli altri suoi
consorti, e
agli altri cattani e
varvassori
non participava nullo onore. Per la qual cosa
scandalo nacque in Milano, e' signori de la Torre
colla forza
del patriarca d'Aquilea, con grande oste
vennero sopra Milano, e co· lloro messer Alberto
Scotti di Piagenza, e il
conte
Filippone da Pavia, e
messer Antonio da
Fosseraco di Lodi. Messer
Maffeo
uscì contro
a lloro, ma per la quistione ch'avea
co' suoi fue male seguito, e non avea podere contro
a' nemici; onde messer Alberto Scotti si fece mezzano
per fare accordo, e ingannò e tradì messer
Maffeo,
che
rimessosi in lui, gli tolse la signoria
del
capitanato,
onde messer
Maffeo per onta non volle tornare
in Milano; ma sanza battaglia si tornarono in
Milano i signori della Torre, e rimasono signori di
Milano messer
Mosca e messer Guidetto di messer
Nappo della Torre. E poco appresso morto messer
Mosca, il detto messer Guidetto si fece fare capitano
di Milano, e menò aspramente la sua signoria, e fue
molto temuto e ridottato, e perseguitò molto il detto
messer
Maffeo e' figliuoli, sì che gli recò quasi
a
niente, e
convenia s'andassono
tapinando in diversi
luoghi e paesi, e
a la fine per loro
sicurtà si ridussono
a uno piccolo castello in
ferrarese, ch'era de' marchesi
da
Esti suoi
parenti, che
Galasso suo figliuolo
avea per moglie la
serocchia
del marchese. E sappiendolo
messere Guidetto de la Torre, capitano di
Milano e suo nimico, sì volle sapere
novelle di lui e
di suo stato, e disse
a uno
accorto e savio uomo di
corte: «Se tu vuogli guadagnare uno
palafreno e una
roba
vaia, andrai in tal parte ov'è messer
Maffeo Visconti,
e
espia di suo stato». E per ischernirlo li disse:
«Quando tu
se' per prendere commiato da llui,
faragli
due questioni: la prima, che tu il
domandi come
gli
pare stare, e che vita è la sua; la seconda,
quand'e' crede potere tornare in Milano». Il
ministriere
entrò in
cammino e venne
a messer
Maffeo, e
trovollo in assai povero abito secondo suo antico stato;
e
al
dipartirsi da llui, il pregò che gli facesse guadagnare
uno
palafreno e una roba
vaia; rispuose che
volentieri, ma non da llui, che non l'avea; disse: «Da
voi no· lla voglio io, ma
rispondetemi
a
due questioni
ch'io vi farò»; e
dissele come gli furono imposte. Il
savio intese da cui venieno, e rispuose subito molto
saviamente;
a la prima disse: «Parmi stare bene, però
ch'io so
vivere secondo il tempo».
A la seconda
rispuose, e disse: «Dirai
al
tuo signore, messer Guidetto,
che quando i suoi peccati soperchieranno i
miei io tornerò in Milano». Tornato l'uomo di
corte
a messer Guidetto, e rapportata la
risposta, disse:
«Bene hai guadagnato il
palafreno e la roba, che bene
sono parole
del savio uomo messer
Maffeo».
L. 9, cap. 62 rubr.Come si cominciò la quistione e nimistà tra papa
Bonifazio e 'l re Filippo di Francia.
L. 9, cap. 62Nel detto tempo, benché fosse cominciato assai
dinanzi la sconfitta di Coltrai lo sdegno
del re di
Francia contro
a papa Bonifazio, per cagione che la
promessa che 'l detto papa avea fatta
al re e
a messer
Carlo di
Valos suo fratello di farlo essere imperadore
quando mandò per lui, come addietro facemmo
menzione, la qual cosa non attenne, quale che si fosse
la cagione, anzi nel detto
anno medesimo avea
confermato
a re de' Romani Alberto d'
Osteric figliuolo
che fu
del re
Ridolfo; per la qual cosa il re di
Francia forte si tenne ingannato e tradito da llui, e
per suo
dispetto ritenea e facea onore
a Stefano della
Colonna suo nimico, il quale era in
Francia sentendo
la
discordia mossa, e lo re
favorava lui e' suoi
a suo
podere. E oltre
a cciò il re fece pigliare il vescovo di
Palmia in Carcascese,
opponendogli ch'era paterino,
e ogni vescovado vacante
del reame godeva i beni, e
voleva fare le
'nvestiture. Onde papa Bonifazio, il
quale era superbo e
dispettoso, e ardito di fare ogni
gran cosa, come magnanimo e possente ch'egli era e
si tenea, veggendosi fare quegli
oltraggi
al re, mescolò
lo sdegno co la
mala volontà, e fecesi
al tutto nimico
del re di
Francia. E in prima per
giustificare
sue
ragioni fece richiedere tutti i grandi parlati di
Francia che
dovessono venire
a
corte; ma il re di
Francia contradisse, e non gli lasciò partire, onde il
papa
maggiormente s'
inanimò contro
al re, e trovò
per sue
ragioni e decreti che 'l re di
Francia, come
gli altri signori cristiani,
dovea
riconoscere da la sedia
appostolica la signoria
del temporale, come dello
spirituale: e per questo mandò in
Francia per suo legato
uno
cherico romano arcidiacano di Nerbona,
che protestasse e amonisse lo re sotto pena di scomunicazione
di ciò fare, e di riconoscere da llui, e se
ciò non facesse, lo
scomunicasse, e lasciasse lo 'nterdetto.
E 'l detto legato vegnendo nella
città di Parigi,
il re non gli lasciò piuvicare le sue
lettere e privilegi,
anzi gliele tolse la gente
del re, e accomiatarlo
del
reame. E venute le dette
lettere
papali innanzi
al re e
suoi baroni
al tempio, il
conte d'Artese, ch'allora vivea,
per
dispetto le gittò nel fuoco e arsele, onde
grande giudicio glie n'avenne, e lo re
ordinò di fare
guardare tutti i passi di suo reame, che messo o
lettere
di papa non
entrasse in
Francia. Sentendo ciò papa
Bonifazio, iscomunicò per sentenzia il detto
Filippo
re di
Francia. E lo re di
Francia per giustificare
sé, e per fare suo appello, fece in Parigi uno grande
concilio di
cherici e prelati e di tutti i suoi baroni,
discusando
sé, e opponendo
a papa Bonifazio più
accuse
con più articoli di
resia, e
simonia, e omicidia,
ed altri
villani peccati, onde di ragione
dovea esser
disposto
del
papato. Ma l'abate di
Cestella non volle
consentire all'apello, anzi si partì, e tornossi in Borgogna,
male
del re di
Francia: e per così fatto modo
si cominciò la
discordia da papa Bonifazio
al re di
Francia, la quale ebbe poi male fine; onde poi nacque
grande
discordia tra lloro, e
seguìne molto male,
come appresso faremo menzione. In questi tempi
avenne in
Firenze una cosa bene notabile, che avendo
papa Bonifazio presentato
al Comune di
Firenze
uno giovane e bello leone, ed essendo nella
corte
del
palagio de' priori legato con una catena, essendovi
venuto uno asino carico di legne, veggendo il detto
leone, o per paura che n'avesse, o per lo miracolo,
incontanente assalì
ferocemente il
leone; con
calci
tanto il percosse, che l'uccise, non valendoli l'aiuto
di molti uomini ch'erano presenti. Fu tenuto
segno
di grande
mutazione e cose
a venire, ch'assai n'avennero
in questi tempi alla nostra
città. Ma certi alletterati
dissono ch'era adempiuta la
profezia di Sibilla,
ove disse: «Quando la bestia mansueta ucciderà il re
delle bestie, allora comincerà la
disoluzione della
Chiesa etc
.»; e tosto si mostrò in papa Bonifazio
medesimo, come si troverrà nel seguente
capitolo.
L. 9, cap. 63 rubr.Come il re di Francia fece prendere papa Bonifazio
in Anagna a Sciarra della Colonna, onde morì il detto
papa pochi dì appresso.
L. 9, cap. 63Dopo la detta
discordia nata tra papa Bonifazio e
il re
Filippo di
Francia
ciascuno di loro procacciò
d'abattere l'uno l'altro per ogni
via e modo che potesse:
il papa d'agravare il re di
Francia di
scomuniche
e altri processi per privarlo
del reame; e con
questo
favorava i
Fiamminghi suoi ribelli, e tenea
trattato col re Alberto della Magna, e
studiandolo
che passasse
a
Roma per la benedizione imperiale, e
per fare levare il regno
al re
Carlo suo
consorto, e
al
re di
Francia fare muovere
guerra
a'
confini di suo
reame da la parte d'Alamagna. Lo re di
Francia da
l'altra parte non dormia, ma con grande sollecitudine,
e
consiglio di Stefano della Colonna e d'altri savi
Italiani e di suo reame, mandò uno messer
Guiglielmo
di
Lungreto di
Proenza, savio
cherico e sottile,
con messer
Musciatto de' Franzesi in
Toscana, forniti
di molti danari
contanti, e
a ricevere da la compagnia
de'
Peruzzi, allora suoi mercatanti, quanti danari
bisognasse, non sappiendo eglino perché. E arrivati
al castello di Staggia, ch'era
del detto messere
Musciatto,
ivi stettono più tempo, mandando ambasciadori,
e
messi, e
lettere, e faccendo venire le genti
a lloro
di sagreto, faccendo intendente
al
palese che
v'erano per trattare accordo dal papa
al re di
Francia,
e perciò aveano la detta moneta recata: e sotto
questo
colore menarono il trattato segreto di fare pigliare
in Anagna papa Bonifazio,
ispendendone molta
moneta, corrompendo i baroni
del paese e' cittadini
d'Anagna; e come fu trattato venne fatto: che
essendo papa Bonifazio co' suoi cardinali e con tutta
la
corte ne la
città d'Anagna in Campagna, ond'era
nato e in casa sua, non pensando né sentendo questo
trattato, né prendendosi guardia, e s'alcuna cosa ne
sentì, per suo grande cuore il mise
a non calere, o
forse, come piacque
a Dio, per gli suoi grandi peccati,
del mese di settembre
MCCCIII,
Sciarra della Colonna
con genti
a cavallo in numero di
CCC, e
a piè di
sua amistà assai, soldata de' danari
del re di
Francia,
colla forza de' signori da
Ceccano, e da
Supino, e
d'altri baroni di Campagna, e de' figliuoli di messer
Maffio d'Anagna, e dissesi co l'
assento d'alcuno de'
cardinali che teneano
al trattato, e una mattina per
tempo
entrò in Anagna
colle
insegne e
bandiere
del
re di
Francia, gridando: «Muoia papa Bonifazio, e
viva il re di
Francia!»; e corsono la terra sanza contasto
niuno, anzi quasi tutto lo
'ngrato popolo d'Anagna
seguì le
bandiere e la
rubellazione; e giunti
al
palazzo
papale, sanza riparo vi saliro e preso lo palazzo,
però che 'l presente assalto fu improviso
al papa
e
a' suoi, e non prendeano guardia. Papa Bonifazio
sentendo il romore, e veggendosi abandonato da
tutti i cardinali, fuggiti e nascosi per paura o chi da
mala parte, e quasi da' più de' suoi famigliari, e veggendo
che' suoi nimici aveano presa la terra e il palazzo
ove egli era, si
cusò morto, ma come magnanimo
e valente, disse: «Da che per
tradimento, come
Gesù Cristo, voglio esser preso e mi
conviene morire,
almeno voglio morire come papa»; e di presente
si fece parare dell'amanto di san Piero, e
colla corona
di
Gostantino in capo, e
colle chiavi e croce in
mano, in su la sedia
papale si puose
a sedere. E giunto
a llui
Sciarra e gli altri suoi nimici, con
villane parole
lo
scherniro, e
arrestarono lui e la sua famiglia,
che co· llui erano rimasi: intra gli altri lo schernì messer
Guiglielmo di
Lunghereto, che per lo re di
Francia
avea
menato il trattato, dond'era preso, e minacciollo
di
menarlo legato
a Leone sopra Rodano, e
quivi in generale
concilio il farebbe
disporre e condannare.
Il magnanimo papa gli rispuose ch'era contento
d'essere condannato e
disposto per gli paterini
com'era egli, e 'l padre e lla madre arsi per paterini;
onde messer
Guiglielmo rimase
confuso e vergognato.
Ma poi, come piacque
a Dio, per conservare la
santa dignità
papale, niuno ebbe
ardire o non piacque
loro di porgli mano adosso, ma lasciarlo parato
sotto cortese guardia, e intesono
a rubare il
tesoro
del papa e della Chiesa. In questo dolore, vergogna e
tormento istette il valente papa Bonifazio preso per
gli suoi nimici per
III dì; ma come Cristo
al terzo dì
risucitò, così piacque
a llui che papa Bonifazio fosse
dilibero, che sanza
priego o altro
procaccio, se non
per opera divina, il popolo d'Anagna
raveduti
del loro
errore, e usciti de la loro cieca ingratitudine, subitamente
si levaro
a l'arme, gridando: «
Viva il papa,
e
muoiano i traditori!»; e correndo la terra ne cacciarono
Sciarra della Colonna e' suoi seguaci, con
danno di loro di presi e de' morti, e liberato il
papa e
sua famiglia.
Papa Bonifazio vedendosi libero e cacciati
i suoi nimici, per ciò non si
rallegrò niente, però
ch'avea
conceputo e
addurato nell'animo il dolore
della sua aversità: incontanente si partì d'Anagna
con tutta la
corte, e venne
a
Roma
a Santo Pietro per
fare
concilio, con intendimento di sua offesa e di
santa Chiesa fare grandissima vendetta contra il re di
Francia, e chi offeso l'avea; ma come piacque
a Dio,
il dolore
impetrato nel cuore di
papa Bonifazio per
la 'ngiuria ricevuta gli surse, giunto in
Roma, diversa
malatia, che tutto si rodea come rabbioso, e in questo
stato passò di questa vita
a dì
XII d'ottobre, gli
anni di Cristo
MCCCIII, e nella chiesa di San Piero
a l'
entrare delle porte, in una ricca cappella fattasi fare
a sua vita, onorevolemente fue soppellito.
L. 9, cap. 64 rubr.Ancora diremo de' morali ch'ebbe in sé papa Bonifazio.
L. 9, cap. 64Questo papa Bonifazio fu savissimo di scrittura e
di senno naturale, e uomo molto aveduto e
pratico,
e di grande
conoscenza e memoria; molto fu
altiero,
e superbo, e crudele contro
a' suoi nimici e aversari,
e fue di grande cuore, e molto temuto da tutta
gente, e alzò e agrandì molto lo stato e
ragioni di santa
Chiesa, e fece fare
a messer
Guiglielmo da Bergamo,
e
a messer Ricciardo di Siena cardinali, e
a messer
Dino
Rosoni di Mugello, sommi maestri in legge
e decretali, e egli co· lloro insieme, ch'era grande maestro
in decreto e in divinità, il
sesto
libro delle
decretali,
il quale è quasi lume di tutte le
leggi e decreti.
Magnanimo e largo fu
a gente che gli piacesse, e che
fossono
valorosi, vago molto della pompa
mondana
secondo suo stato, e fu molto pecunioso, non guardando
né faccendosi grande né
stretta coscienza d'ogni
guadagno, per agrandire la Chiesa e' suoi nipoti.
Fece
al suo tempo più cardinali suoi amici e confidenti,
intra gli altri
due suoi nipoti molto giovani, e
uno suo
zio fratello che fue della madre, e
XX tra vescovi
e arcivescovi suoi
parenti e amici della piccola
città d'Anagna di ricchi vescovadi, e l'altro suo nipote
e' figliuoli, ch'erano
conti, come adietro facemmo
menzione, lasciò loro quasi infinito
tesoro; e dopo la
morte di papa Bonifazio loro
zio furono franchi e valenti
in
guerra, faccendo vendetta di tutti i loro vicini
e nimici, ch'aveano tradito e offeso
a papa Bonifazio,
spendendo largamente, e tegnendo
al loro propio
soldo
CCC buoni cavalieri catalani, per la cui forza
domarono quasi tutta Campagna e terra di
Roma. E
se papa Bonifazio vivendo avesse creduto che fossono
così
pro' d'arme e valorosi in
guerra, di certo gli
avrebbe fatti re o gran signori. E nota che quando
papa Bonifazio fu preso la
novella fu mandata
al re
di
Francia per più
corrieri in pochi giorni, per grande
allegrezza, e
capitando i primi
corrieri
ad
Ansiona
di là da la montagna di Briga, il vescovo d'
Ansiona,
il quale allora era uomo d'onesta e santa vita, udendo
la
novella quasi
stupì, istando uno pezzo in silenzio
contemplando, per l'amirazione che gli parve della
presura
del papa, e tornando in sé, disse palese dinanzi
a più buona gente: «Il re di
Francia farà di
questa
novella grande allegrezza, ma i' ho per ispirazione
divina che per questo peccato n'è condannato
da Dio; e grandi e diversi
pericoli e aversità con vergogna
di lui e di suo lignaggio gli averranno assai tosto;
e egli e' figliuoli rimarranno
diretati
del reame».
E questo sapemmo poco tempo appresso passando
per Ansiona da persone degne di fede che vi furono
presenti
a udire. La quale sentenzia fu
profezia in
tutte le sue parti, come appresso per gli tempi, raccontando
de' fatti
del detto re di
Francia e de' figliuoli,
si potrà trovare il vero. E nonn è da maravigliare
della sentenzia di Dio, che, con tutto che papa
Bonifazio fosse più
mondano che non richiedea alla
sua dignità, e fatte avea assai delle cose
a dispiacere
di Dio, Idio fece
pulire lui per lo modo che detto
avemo, e poi l'offenditore di lui
pulì, non tanto per
l'offesa della persona di papa Bonifazio, ma per lo
peccato commesso contro
a la maestà divina, il cui
cospetto rappresentava in terra. Lasceremo di questa
materia, ch'ha avuto sua fine, e torneremo alquanto
adietro
a raccontare de' fatti di
Firenze e di
Toscana,
che furono ne' detti tempi assai grandi.
L. 9, cap. 65 rubr.Come i Fiorentini ebbono il castello del Montale, e
come feciono oste a Pistoia co' Lucchesi insieme.
L. 9, cap. 65Nell'
anno di Cristo
MCCCIII,
del mese di maggio, i
Fiorentini ebbono il castello
del Montale presso di
Pistoia
a
quattro miglia,
cavalcandovi una notte subitamente,
e fu loro dato per
tradimento di certi terrazzani,
che n'ebbono
IIIm fiorini d'oro, per trattato
di messer
Pazzino de' Pazzi, che v'era vicino per la
sua posessione di
Palugiano. Il quale castello era
molto forte di sito, e di
mura, e di torri; e come i
Fiorentini l'ebbono, il feciono abattere e disfare infino
nelle fondamenta, e la campana di quello Comune,
ch'era molto buona, la feciono venire in
Firenze,
e puosesi in su la torre
del palagio della podestà per
campana de' messi, e chiamossi la Montanina. E disfatto
il Montale,
del detto mese medesimo i Fiorentini
dall'una parte e' Lucchesi da l'altra feciono oste
a la
città di Pistoia, e guastarla intorno intorno, e furono
MD cavalieri e
VIm pedoni, e tornarsi
a casa sanza
contasto niuno. In questo
anno morì
a Bologna il
savio e valente uomo messer
Dino
Rosoni di Mugello,
nostro cittadino, il quale fu il maggiore e il più savio
legista che fosse infino
al suo tempo. E in questo
medesimo tempo morì in Bologna maestro
Taddeo
detto da Bologna, ma era stato per suo matrimonio
nostro cittadino, il quale fue sommo
fisiziano sopra
tutti quegli de' Cristiani.
L. 9, cap. 66 rubr.Come fu eletto papa Benedetto XI.
L. 9, cap. 66Dopo la
morte di papa Bonifazio il
collegio de'
cardinali raunati insieme per
eleggere
nuovo papa,
come piacque
a Dio, in pochi dì furono in concordia,
e chiamarono papa Benedetto
XI,
a dì
XXII d'ottobre
nel detto
anno
MCCCIII. Questi fu di Trevigi di
piccola nazione, che quasi non si trovò
parente, e
nudrìsi in Vinegia, quand'era giovane
cherico,
a
insegnare
a' fanciugli de' signori da ca'
Corino; poi fu
frate predicatore, uomo savio e di santa vita, e per la
sua bontà e onesta vita per papa Bonifazio fu fatto
cardinale, e poi papa. Ma vivette in su 'l
papato mesi
otto e mezzo; ma in questo piccolo tempo cominciò
assai buone cose, e mostrò gran volere di
pacificare i
Cristiani. E prima fece accordo dalla Chiesa
al re di
Francia, e ricomunicò il detto re, e
confermò ciò che
papa Bonifazio avea fatto, e mandò
a
Firenze frate
Niccolaio da Prato cardinale ostiense per legato, per
pacificare i Fiorentini co' loro usciti, come innanzi
faremo menzione.
L. 9, cap. 67 rubr.Come il re Adoardo d'Inghilterra riebbe Guascogna,
e sconfisse gli Scotti.
L. 9, cap. 67In questo anno Aduardo re d'Inghilterra fece accordo
col re Filippo di Francia, e riebbe la Guascogna
faccendonegli omaggio, e ciò assentì lo re di
Francia, per la tenza ch'avea colla Chiesa per la presura
che fece fare di papa Bonifazio, e per la guerra
de' Fiaminghi, acciò che 'l detto re d'Inghilterra non
gli fosse contro. E in questo anno medesimo il detto
re Aduardo essendo malato, gli Scotti corsono inn
Inghilterra; per la qual cosa il re si fece portare in
bara, e andò ad oste sopra gli Scotti, e sconfissegli, e
quasi ebbe in sua signoria tutte le terre di Scozia, se
non quelle de' maresi e d'aspre montagne, ove rifuggiro
i ribelli scotti col loro re, il quale avea nome Ruberto
di Bosco, di piccolo lignaggio fattosi re.
L. 9, cap. 68 rubr.
Come in Firenze ebbe grande novità e battaglia cittadina,
per volere rivedere le ragioni del Comune.
L. 9, cap. 68Nel detto
anno
MCCCIII,
del mese di febbraio, i
Fiorentini tra lloro furono in grande
discordia, per
cagione che messer
Corso
Donati non gli parea esser
così grande in Comune come volea, e gli pareva esser
degno; e gli altri grandi e popolani possenti di
sua parte nera aveano presa più signoria in Comune
che
a llui non parea, e già preso isdegno co· lloro, o
per superbia, o per invidia, o per volere essere signore,
sì fece di nuovo una sua
setta acostandosi co' Cavalcanti,
che i più di loro erano Bianchi, dicendo che
voleva si
rivedessono le
ragioni
del Comune, di
coloro
ch'aveano avuti gli ufici e la moneta
del Comune
a
minestrare; e feciono capo di loro messer
Lottieri vescovo
di
Firenze, ch'era de' figliuoli della Tosa
del
lato bianco, con certi grandi contra i priori e 'l popolo;
e
combattési la
città in più parti e più dì, e armarsi
più torri e fortezze de la
città
al modo antico per
gittarsi e
saettarsi insieme; e in su la torre
del vescovado
si rizzò una manganella gittando
a' suoi contradi
vicini. I priori s'aforzaro di gente d'arme di
città e
di
contado, e difesono francamente il palagio, che
più assalti e battaglie furono loro date; e col popolo
tennero la casa de'
Gherardini con grande séguito di
loro amici di
contado, e la casa de' Pazzi e quella degli
Spini, e messer
Tegghia
Frescobaldi col suo lato;
e furono uno grande soccorso
al popolo, e
morinne
messer
Lotteringo de'
Gherardini d'uno quadrello
a
una battaglia ch'era in porte Sante Marie. Altra casa
de' grandi non tenne col popolo, ma chi era col vescovo
e con messer
Corso, e chi non gli amava si stava
di mezzo. Per la quale
disensione e battaglia cittadina
molto male si commise in
città e
contado di micidii,
e d'arsioni, e ruberie, sì come in
città sciolta e
rotta, sanza niuno ordine di signoria, se non chi più
potea far male l'uno
a l'altro; e era la
città tutta piena
di sbanditi, e di forestieri, e contadini,
ciascuna casa
colla sua raunata; e era la terra per guastarsi
al tutto,
se non fossono i Lucchesi che vennero
a
Firenze
a richiesta
del Comune con grande gente di popolo e
cavalieri, e vollono in mano la quistione e la guardia
della
città; e così fu loro data per necessità balìa generale,
sì che
XVI dì signoreggiarono liberamente la
terra, mandando il
bando da loro parte. E andando
il
bando per la
città da parte
del Comune di Lucca,
a
molti Fiorentini ne parve male, e grande
oltraggio e
soperchio, onde uno
Ponciardo de'
Ponci di
Vacchereccia
diede d'una spada nel volto
al banditore di
Lucca quando bandiva, onde poi non feciono più
bandire da lloro parte, ma
adoperarono sì, ch'
a la fine
racquetaro il romore, e
ciascuna parte feciono disarmare,
e misono in
quieto la terra, chiamando
nuovi
priori di concordia, rimanendo il popolo in suo
stato e libertade, sanza fare nulla punizione di misfatti
commessi, se non chi ebbe il male s'ebbe il
danno. E per
arrota alla detta
pestilenzia fu l'
anno
gran
fame, e valse lo
staio
del grano
a la rasa più di
soldi
XXVI di soldi
LII il fiorino d'oro in
Firenze, e se
non che 'l Comune e que' che governavano la
città si
providono dinanzi, e aveano fatto venire per mano
di Genovesi di Cicilia e di Puglia bene
XXVIm di moggia
di grano, gli cittadini e' contadini non sarebbono
scampati di
fame: e questo traffico
del grano fue
coll'
altre una delle cagioni di volere rivedere la ragione
del Comune per la molta moneta che vi
corse; e certi,
a diritto o
a torto, ne furono
calonniati e infamati.
E questa aversità e
pericolo della nostra
città non fu
sanza giudicio di Dio, per molti peccati commessi
per la superbia, invidia e avarizia de' nostri allora viventi
cittadini, che allora guidavano la terra, e così di
ribelli di quella come di
coloro che lla governavano,
ch'assai erano peccatori; e non ebbe fine
a questo,
come innanzi per gli tempi si potrà trovare.
L. 9, cap. 69 rubr.Come il papa mandò in Firenze per legato il cardinale
da Prato per fare pace, e come se ne partì con onta
e con vergogna.
L. 9, cap. 69Nella detta
discordia tra' Fiorentini papa Benedetto
con buona intenzione mandò
a
Firenze il cardinale
da Prato per legato per
pacificare i Fiorentini
tra lloro, e simile co' loro usciti e tutta la provincia di
Toscana; e venne in
Firenze
a dì
X del mese di marzo
MCCCIII, e da' Fiorentini fu ricevuto
a grande onore
e con grande reverenza, come
coloro che parea esser
partiti e in male stato, e
coloro ch'aveano stato e volontà
di ben
vivere amavano la pace e la concordia, e
era
converso per gli altri. Questo messer Niccolao
cardinale della terra di Prato era frate predicatore,
molto savio di Scrittura e di senno naturale, sottile, e
sagace, e aveduto, e grande
pratico, e di progenia de'
Ghibellini era nato, e mostrossi poi che molto gli
favorò,
con tutto ch'
a la prima mostrò d'avere buona
intenzione e comune. Come fu in
Firenze, in piuvico
sermone e predica nella piazza di San Giovanni mostrò
i privilegi de la sua legazione, ed
ispuose il suo
intendimento ch'avea, per
comandamento
del papa,
di
pacificare i Fiorentini insieme. I buoni uomini popolani
che reggeano la terra, parendo loro stare male
per le
novità e romori e battaglie ch'aveano in que'
tempi mosse e fatte i grandi contro
al popolo per
disfarlo
e abattere, sì ss'acostarono col cardinale
a volere
pace, e per
riformagione degli opportuni
consigli
gli diedono piena e libera balìa di fare pace tra'
cittadini d'
entro e' loro usciti di fuori, e di fare i
priori e' gonfalonieri e signorie de la terra
a sua volontà.
E ciò fatto, intese
a procedere e
a fare fare pace
tra' cittadini, e
rinnovò l'ordine di
XVIIII gonfalonieri
de le compagnie
al modo dell'antico popolo
vecchio, e chiamò i gonfalonieri, e
diè loro i gonfaloni
al modo e
insegne che sono oggi, sanza rastrello
della 'nsegna
del re di sopra; per la quale
nuova informazione
del cardinale il popolo si riscaldò e
raforzò
molto, e' grandi n'abassaro, e mai non
finaro di
cercare
novitadi e opporre
al cardinale per isturbare
la pace, perché i Bianchi e' Ghibellini non avessono
stato né podere di tornare in
Firenze, e per potere
godere i beni loro messi in Comune per ribelli, e in
città e in
contado. Per tutto questo il cardinale non
lasciò di procedere
a la pace, per l'aiuto e favore
ch'avea dal popolo, e fece venire in
Firenze
XII sindachi
degli usciti,
due per
sesto, uno de' maggiori
Bianchi e uno Ghibellino, i nomi de' quali sono questi
[]
e fecegli albergare nel borgo di San
Niccolò, e· legato
albergava ne' palazzi de'
Mozzi da San
Grigorio, e
sovente gli avea
a
consiglio co' caporali guelfi e neri
di
Firenze, per trovare i modi e
sicurtà de la pace, e
ordinare parentadi tra gli usciti e' grandi d'
entro. In
questi trattati,
a' possenti Guelfi e Neri parea
a lloro
guisa che 'l cardinale
sostenesse troppo la parte de'
Bianchi e de' Ghibellini; ordinarono sottilmente per
iscompigliare il trattato di mandare una
lettera contrafatta
col
suggello
del cardinale
a Bologna e in
Romagna
agli amici suoi Bianchi e Ghibellini, che
rimossa
ogni cagione e indugio,
dovessono venire
a
fFirenze
con gente d'arme
a cavallo e
a piè in suo aiuto;
e chi disse pure, che fue vero, che 'l cardinale vi
mandò; onde di quella gente venne infino
a
Crespino,
e di tali in Mugello. Per la quale venuta in
Firenze
n'ebbe grande
sombuglio e gelosia, e· legato ne fu
molto ripreso e infamato: o avesse colpa o no, se ne
disdisse
al popolo. Per questa gelosia, e ancora per
tema ch'ebbono d'essere offesi i
XII sindachi bianchi
e ghibellini, si partirono di
Firenze, e
andarsene
ad
Arezzo, e la gente che veniva
al legato per suo
comandamento
si tornarono adietro
a Bologna e in
Romagna,
e
raquetarono la gelosia alquanto in
Firenze.
Coloro che guidavano la terra consigliarono il cardinale
per levare sospetto ch'egli se n'andasse
a Prato,
e acconciasse i Pratesi insieme, e simile i Pistolesi, e
intanto si piglierebbe modo in
Firenze de la generale
pace degli usciti. Il cardinale non possendo altro, così
fece, e in buona fe' o no ch'avesse intenzione, se
n'andò
a Prato, e richiese i Pratesi che si
rimettessono
in lui, e che gli voleva
pacificare. I caporali di
parte nera e' Guelfi di
Firenze veggendo le vestigie
del cardinale, ch'egli
favorava molto i Ghibellini e'
Bianchi per
rimettergli in
Firenze, e vedeano che con
questo il popolo il seguiva, avendo sospetto che non
tornasse
a
pericolo di parte guelfa, ordinarono co'
Guazzalotri da Prato, possente casa e di parte nera e
molto Guelfi, di fare cominciare in Prato scisma e
riotta contra 'l cardinale, e levare romore nella terra;
onde il cardinale veggendo i Pratesi male
disposti, e
temendo di sua persona, sì si parti di Prato, e iscomunicò
i Pratesi, e interdisse la terra, e vennesene
a
Firenze, e fece bandire oste sopra Prato, e diede perdonanza
di colpa e di pena chi andasse sopra i Pratesi,
e molti cittadini se n'aparecchiaro per andarvi
a
cavallo e
a piè, gente ch'erano in fede e più Ghibellini
che Guelfi, e andarono infino
a Campi. In questa
ordine dell'oste gente assai si raunaro in
Firenze di
contadini e forestieri, e cominciò
a crescere il sospetto
e gelosia
a' Guelfi, onde molti ch'
a la prima aveano
tenuti col cardinale, si furono rivolti per gli sdegni
che vedeano, e i grandi di parte nera, e simile
quegli che piaggiavano col cardinale, si
guernirono
d'arme e di gente, e la
città fu tutta scompigliata e
per combattersi insieme. I· legato cardinale veggendo
che non potea fornire suo intendimento di fare oste
a Prato, e la
città di
Firenze
disposta
a battaglia cittadina
tra lloro, e di quegli ch'aveano tenuto co· llui fattisi
contradi, prese sospetto e paura, e subitamente si
partì di
Firenze
a dì
IIII di giugno
MCCCIIII, dicendo
a' Fiorentini: «
Dapoi che volete essere in
guerra e in
maladizione, e non volete udire né ubbidire il messo
del vicaro di Dio, né avere
riposo né pace tra voi, rimanete
colla maladizione di Dio e con quella di santa
Chiesa», scomunicando i cittadini, e lasciando interdetta
la
cittade, onde si tenne che per quella maladizione,
o giusta o ingiusta, non fosse sentenzia e
gran
pericolo della nostra
cittade per l'aversità e
pericoli
che ll'avennero poco appresso, come innanzi
faremo menzione.
L. 9, cap. 70 rubr.
Come cadde il ponte alla Carraia, e morivvi molta
gente.
L. 9, cap. 70In questo medesimo tempo che 'l cardinale da
Prato era in
Firenze, ed era in amore
del popolo e
de' cittadini, sperando che mettesse buona pace
tra lloro, per lo calen di maggio
MCCCIIII, come
al
buono tempo passato
del tranquillo e buono stato di
Firenze, s'usavano le compagnie e brigate di
sollazzi
per la
cittade, per fare allegrezza e festa, si
rinnovarono
e
fecionsene in più parti de la
città,
a gara l'una
contrada dell'altra,
ciascuno chi meglio sapea e potea.
Infra l'altre, come per antico aveano per
costume
quegli di borgo San Friano di fare più
nuovi e diversi
giuochi, sì mandarono un
bando che chiunque
volesse sapere
novelle dell'altro
mondo
dovesse essere
il dì di calen di maggio in su 'l ponte alla Carraia,
e d'intorno
a l'Arno; e ordinarono in Arno sopra
barche e
navicelle
palchi, e
fecionvi la somiglianza
e figura dello
'nferno con fuochi e altre pene e
martori, e uomini contrafatti
a demonia,
orriboli
a
vedere, e altri i quali aveano figure d'anime ignude,
che pareano persone, e
mettevangli in quegli diversi
tormenti con grandissime grida, e strida, e tempesta,
la quale parea
idiosa e spaventevole
a udire e
a vedere;
e per lo
nuovo giuoco vi trassono
a vedere molti
cittadini; e 'l ponte alla Carraia, il quale era allora di
legname da
pila
a
pila, si
caricò sì di gente che rovinò
in più parti, e cadde
colla gente che v'era suso;
onde molte genti vi morirono e annegarono, e molti
se ne guastarono le persone, sì che il giuoco da beffe
avenne col vero, e com'era ito il
bando, molti n'andarono
per morte
a sapere
novelle dell'altro
mondo,
con grande pianto e dolore
a tutta la
cittade, che
ciascuno
vi
credea avere perduto il figliuolo o 'l fratello;
e fu questo
segno
del futuro
danno che in
corto tempo
dovea venire
a la nostra
cittade per lo soperchio
delle
peccata de' cittadini, sì come appresso faremo
menzione.
L. 9, cap. 71 rubr.Come fu messo fuoco in Firenze, e arsene una buona
parte della cittade.
L. 9, cap. 71Partito il cardinale da Prato di
Firenze per lo modo
che detto avemo adietro, la
città rimase in male
stato e in grande
scompiglio, ché lla
setta che teneva
col cardinale, ond'erano caporali i Cavalcanti e'
Gherardini,
Pulci e'
Cerchi bianchi
del Garbo, ch'
erano mercatanti di papa Benedetto, con séguito di
più case di popolo, per tema che' grandi non rompessono
il popolo, s'avessono la signoria, e ciò furono
delle maggiori case e famiglie de' popolani di
Firenze,
com'erano Magalotti, e
Mancini,
Peruzzi,
Antellesi,
e
Baroncelli, e
Acciaiuoli, e
Alberti, Strozzi,
Ricci, e
Albizzi, e più altri, ed erano molto guerniti
di fanti e gente d'arme. I contradi erano di parte nera,
i principali, messer Rosso della Tosa col suo lato
de' Neri, messer
Pazzino de' Pazzi con tutti i suoi, la
parte degli
Adimari che si chiamano
Cavicciuli, e
messer
Geri Spini e' suoi
consorti, e messer
Betto
Brunelleschi; messer
Corso
Donati si stava di mezzo,
perch'era infermo di gotte, e per lo sdegno preso con
questi caporali di parte nera; e quasi tutti gli altri
grandi si stavano di mezzo, e' popolani, salvo i
Medici
e' Giugni, ch'
al tutto erano co' Neri. E cominciossi
la battaglia tra'
Cerchi bianchi e' Giugni alle loro
case
del Garbo, e
combattevisi di dì e di notte.
A la
fine si difesono i
Cerchi
coll'aiuto de' Cavalcanti e
Antellesi, e
crebbe tanto la forza de' Cavalcanti e
Gherardini, che co' loro seguaci corsono la terra infino
in Mercato Vecchio, e da Orto Sa· Michele infino
a la piazza di San Giovanni sanza contasto o riparo
niuno, però ch'
a lloro
crescea forza di
città e di
contado; però che lla più gente di popolo gli seguivano,
e' Ghibellini s'acostavano
a lloro; e venieno in
loro soccorso que' da
Volognano con loro amici con
più di
M fanti, e già erano in Bisarno. E di certo in
quello giorno eglino avrebbono vinta la terra, e
cacciatone
i sopradetti caporali di parte guelfa e nera, i
quali aveano per loro nemici, perché si disse ch'aveano
fatta tagliare la testa
a messer
Betto
Gherardini, e
a
Masino Cavalcanti, e
agli altri, come addietro facemmo
menzione. E come erano in sul fiorire e vincere
in più parti della terra ove si combatteva i loro
nimici, avenne, come piacque
a Dio, o per fuggire
maggiore male, o
permise per
pulire i peccati de'
Fiorentini, che uno ser Neri Abati,
cherico e priore
di San Piero Scheraggio, uomo
mondano e dissoluto,
e ribello e nimico de' suoi
consorti, con fuoco temperato
in prima mise fuoco in casa i suoi
consorti in
Orto
Sammichele, e poi in
Calimala fiorentina in casa
i
Caponsacchi presso
a la bocca di Mercato Vecchio.
E fu sì
empito e furioso il maladetto fuoco col
conforto
del vento
a tramontana che traeva forte,
che in quello giorno arse le case degli Abati e de'
Macci, e tutta la loggia d'Orto
Sammichele, e casa gli
Amieri, e Toschi, e Cipriani, e
Lamberti, e
Bachini, e
Buiamonti, e tutta
Calimala, e le case de' Cavalcanti,
e tutto intorno
a Mercato Nuovo e Santa Cecilia, e
tutta la ruga di porte Sante Marie infino
al ponte
Vecchio, e
Vacchereccia, e dietro
a San Piero Scheraggio,
e le case de'
Gherardini, e de'
Pulci, e
Amidei,
e
Lucardesi, e di tutte le vicinanze di luoghi nomati
quasi infino
ad Arno; e insomma arse tutto il
midollo, e
tuorlo, e
cari luoghi della
città di
Firenze,
e furono in quantità, tra
palagi e torri e case, più di
MVIIc. Il
danno d'arnesi,
tesauri, e
mercatantie fu infinito,
però che in que' luoghi era quasi tutta la
mercatantia
e cose care di
Firenze, e quella che non ardea,
isgombrandosi, era rubata da'
malandrini, combattendosi
tuttora la
città in più parti, onde molte
compagnie, e schiatte, e famiglie furono
diserte, e
vennono in povertade per la detta arsione e ruberia.
Questa
pistolenza avenne
a la nostra
città di
Firenze
a dì
X di giugno, gli
anni di Cristo
MCCCIIII, e per
questa cagione i Cavalcanti, i quali erano de le più
possenti case di genti, e di posessioni, e d'avere di
Firenze, e'
Gherardini grandissimi in
contado, i quali
erano caporali di quella
setta, essendo le loro case
e de' loro vicini e seguaci arse, perdero il vigore e lo
stato, e furono cacciati di
Firenze come rubelli, e' loro
nemici
raquistarono lo stato, e furono signori della
terra. E allora si
credette bene che i grandi rompessono
gli ordini della giustizia
del popolo, e
avrebbollo
fatto, se non che per le loro
sette erano partiti
e in
discordia insieme, e
ciascuna parte s'abracciò col
popolo per non perdere istato.
Convienne ancora lasciare
alquanto
a raccontare dell'altre
novitadi che in
questi tempi furono in più parti, perché ancora ne
cresce materia dell'averse
fortune della nostra
città di
Firenze.
L. 9, cap. 72 rubr.Come i Bianchi e' Ghibellini vennero a le porte di
Firenze, e andarne in isconfitta.
L. 9, cap. 72Tornato il cardinale da Prato
al papa ch'era
a Perugia
co la
corte, sì ssi
dolfe molto di
coloro che reggeano
la
città di
Firenze, e molto gli
abominò dinanzi
al papa e
al
collegio de' cardinali di più
crimini e
difetti, mostrandogli peccatori uomini, e nimici di
Dio e di santa Chiesa, e raccontando il disinore e 'l
tradimento ch'aveano fatto
a santa Chiesa, volendogli
porre in buono stato e
pacefico; per la qual cosa
il papa e' suoi cardinali si turbarono forte contra i
Fiorentini, e per
consiglio
del detto cardinale da Prato
fece il papa
citare
XII de' maggiori caporali di parte
guelfa e nera che fossono in
Firenze, i quali guidavano
tutto lo stato della
cittade, i nomi de' quali furono
questi: messer Rosso della Tosa, messer
Corso
Donati, messer
Pazzino de' Pazzi, messer
Geri Spini,
messer
Betto
Bruneleschi
[]
che
dovessono venire dinanzi
a llui sotto pena di scomunicazione
e privazione di loro beni; i quali obbedienti
incontanente v'andaro con grande compagnia
di loro amici e famigliari molto onorevolemente, e
furono più di
CL a cavallo, per
iscusarsi
al papa di
quello che 'l cardinale da Prato avea loro messo
adosso. E in questa richesta e
citazione di tanti caporali
di
Firenze il cardinale da Prato sagacemente si
pensò uno grande
tradimento contro
a' Fiorentini,
che incontanente scrisse per sue
lettere
a
Pisa, e
a
Bologna, e in
Romagna,
ad
Arezzo,
a Pistoia, e
a tutti
i caporali di parte ghibellina e bianca di
Toscana e
di
Romagna, che si
dovessono congregare con tutte
le loro forze e degli amici
a piè e
a cavallo, e in uno
dì nomato venire con armata mano
a la
città di
Firenze,
e prendere la terra, e cacciarne i Neri e
coloro
ch'erano stati contro
a llui, e che ciò era di coscienza
e volontà
del papa (la qual cosa era grande
bugia e
falsità, che 'l papa di ciò non seppe niente),
confortando
ciascuno che venissono
securamente, perché
la
città era
fiebole e aperta da più parti, e che per sua
industria n'avea tratti, e fatti
citare
a
corte tutti i caporali
di parte nera, e dentro avea gran parte che risponderebbono
loro, e
darebbono la terra, e che facessono
la loro raunata e venuta segreta, e tosto. I
quali avute queste
lettere furono molto allegri, e
confortandosi
del favore
del papa,
ciascuno
a suo podere
si
guernì, e mosse
a venire verso
Firenze
a la giornata
ordinata. E prima
due dì, per la grande volontade,
tutta l'altra ragunata de' Bianchi e Ghibellini
vennero verso
Firenze per modo sì segreto che furono
a la Lastra sopra
Montughi in quantità di
MVIc cavalieri
e di
VIIIIm pedoni innanzi che in
Firenze si
credesse per la più gente, però ch'egli non lasciavano
venire
a
fFirenze niuno messo che ciò
anunziasse; e
se fossono scesi
a la
città il dì dinanzi, sanza
dubbio
aveano la terra, però che non v'avea nulla provedenza,
né guernigione d'arme né difesa. Ma egli s'
arestarono
la notte
ad albergo
a la Lastra e
a Trespiano infino
a
Fontebuona per attendere messer
Tolosato
degli Uberti capitano di Pistoia, il quale facea la
via
a
traverso dell'alpe con
CCC cavalieri
pistolesi e soldati,
e con molti
a piede; e veggendo la mattina che non
venia, gli usciti di
Firenze si vollono studiare di venire
a la terra,
credendolasi avere sanza
colpo di spada;
e così feciono, lasciando i Bolognesi
a la Lastra,
che per loro viltà, o forse perché
a' Guelfi ch'erano
tra lloro non piacea la 'mpresa: vegnendo l'altra gente,
entraro nel borgo di San
Gallo sanza nulla contasto,
che allora non erano
a la
città le
cerchie delle
mura
nuove, né' fossi, e le vecchie
mura erano
schiuse
e rotte in più parti. E
entrati dentro
a' borghi,
ruppono uno serraglio di legname con porta fatto
nel borgo, il quale fue abandonato da' nostri e non
difeso,
del quale gli Aretini trassono il chiavistello
della detta porta, e per
dispetto de' Fiorentini il portarono
ad
Arezzo, e
puosollo nella loro chiesa maggiore
di Santo
Donato. E venuti i detti nemici giù
per le borgora verso la
cittade, si schieraro in su 'l
Cafaggio di costa
a' Servi, e furono più di
XIIc di cavalieri
e popolo grandissimo, per molti contadini
seguitigli,
e di que' d'
entro Ghibellini e Bianchi usciti
a lloro aiuto; la quale fu per loro
mala
capitaneria,
come diremo appresso, che si puosono in luogo sanza
acqua; ché se si fossono schierati in su la piazza di
Santa
Croce, aveano il fiume e l'acqua per loro e per
gli
cavagli, e la
Città Rossa d'intorno fuori delle
mura
vecchie, ch'era tutta
acasata da starvi
al
sicuro
ogni grande oste, ma
a cui Iddio vuole male gli toglie
il senno e l'accorgimento. Come la sera dinanzi si
seppe la
novella, in
Firenze ebbe grande tremore e
sospetto di
tradimento, e tutta la notte si guardò la
terra; ma per lo sospetto chi andava qua, e chi là,
sanza ordine niuno,
isgombrando
ciascuno le sue case.
E di vero si disse che delle maggiori e migliori case
di
Firenze di grandi, e de' popolani, e' Guelfi seppono
il detto trattato, e
promesso aveano di dare la
terra; ma sentendo la gran forza de' Ghibellini di
Toscana e nimici
del nostro Comune, i quali erano
venuti co' nostri usciti, temettono forte di loro medesimi,
e d'esserne poi cacciati e rubati, sì
rimossono
proposito, e intesono
a la
difensa cogli altri insieme.
Certi de' nostri caporali usciti con parte della gente,
si partirono di Cafaggio dalla schiera, e vennero
a la
porta delli Spadari, e quella combattero e vinsono,
e
entraro delle loro
insegne e di loro infino presso
a la
piazza di San Giovanni; e se la schiera grossa ch'era
in Cafaggio fosse venuta appresso verso la terra, e
assalita
alcuna altra porta, di certo non aveano riparo.
Ne la piazza di San Giovanni erano raunati tutti i valenti
uomini e' Guelfi che intendeano
a la difensione
della
città, non però grande quantità, forse
CC cavalieri
e
Vc pedoni, e con forza delle balestra grosse
ripinsono
i nimici fuori della porta, e con
danno d'alquanti
presi e morti. La
novella andò
a la Lastra
a'
Bolognesi per loro spie, e rapportarono che i loro
erano rozzi e sconfitti, incontanente, sanza
saperne il
certo, che non era però vero, si misono in
via, chi
meglio potéo fuggire; e
scontrandogli messer Tosolato
con sua gente in Mugello, che
venia e sapea il vero,
gli volle
ritenere e
rimenare indietro. Non ebbe
luogo né per
prieghi né per minacce. Quelli de la loro
schiera grossa
del Cafaggio, avuta la
novella da la
Lastra, come i Bolognesi s'erano partiti in
rotta, come
piacque
a dDio, incontanente
impauriro, e per lo
disagio di stare infino dopo nona
a schiera
a la
fersa
del sole, e gran caldo ch'era, e non aveano acqua
a
sofficienza per loro e per loro
cavalli, cominciarono
a partirsi e andare via in fugga, gittando l'armi sanza
asalto o caccia di cittadini, che quasi e' non uscirono
loro dietro, se non certi
masnadieri di volontà; onde
molti de' nimici ne morirono per
ferri e per
traffelare,
e rubati l'arme e'
cavalli, e certi presi furono impiccati
nella piazza di San
Gallo, e per la via in su gli
alberi. Ma di certo si disse che con tutta la partita
de' Bolognesi, e fossono stati fermi insino
a la venuta
di messer Tosolato, che 'l poteano
sicuramente fare
per lo piccolo podere de' cavalieri difenditori ch'
avea in
Firenze, ancora avrebbono vinta la terra. Ma
parve opera e volontà di Dio, e che fossono amaliati,
perché la nostra
città di
Firenze non fosse
al tutto
disetta,
rubata, e guasta. Questa non proveduta vittoria
e scampamento della
città di
Firenze fue il dì di
santa Margherita,
a dì
XX del mese di luglio, gli
anni
di Cristo
MCCCIIII. Avenne fatta sì
stesa memoria,
perché
a cciò fummo presenti, e per lo grande rischio
e
pericolo di che Dio iscampò la
città di
Firenze,
e perché i nostri discendenti ne prendano esemplo
e guardia.
L. 9, cap. 73 rubr.Come gli Aretini ripresono il castello di Laterino,
che 'l teneano i Fiorentini.
L. 9, cap. 73Nel detto
anno
MCCCIIII,
a dì
XXV del mese di luglio,
essendo la
città di
Firenze in tante aversitadi e
fortune, gli Aretini cogli
Ubertini e' Pazzi di Valdarno
vennero con tutto loro podere di gente d'arme
a
cavallo e
a piede
al castello di Laterino, il quale teneano
i Fiorentini, e aveano tenuto lungo tempo per
forza, e quello
coll'aiuto de' terrazzani fu loro dato; e
la rocca la quale aveano fatta fare i Fiorentini, l'avea
in guardia messere
Gualterotto de' Bardi, perch'era
venuto
a
Firenze per le
novitadi che v'erano state,
convenne s'
arrendesse pochi dì appresso, però ch'era
rimasa mal fornita, e per le
novità di
Firenze non
aspettavano soccorso. E alcuno disse che gli
Ubertini
suoi
parenti il ne tradiro e ingannaro, e chi disse che
lo 'nganno fu fatto
al Comune. De la quale
perdita
del castello
spiacque molto
a' Fiorentini, però ch'era
molto forte, e in una contrada che tenea molto
a
freno
gli Aretini.
L. 9, cap. 74 rubr.Ancora di novitadi che furono in Firenze ne' detti
tempi.
L. 9, cap. 74Nel detto anno, a dì V d'agosto, essendo preso nel
palagio del Comune di Firenze Talano di messer
Boccaccio Cavicciuli degli Adimari per malificio
commesso, onde dovea essere condannato, i suoi
consorti, tornando la podestade con sua famiglia da
casa i priori, l'asaliro con arme, e fedirono malamente,
e di sua famiglia furono morti e fediti assai; e'
detti Cavicciuli entrarono in palagio, e per forza ne
trassono il detto Talano sanza contasto niuno, e di
questo malificio non fu giustizia né punizione niuna;
in sì corrotto stato era allora la città di Firenze. E la
podestà, ch'aveva nome messer , per isdegno si
partìo, e tornossi a casa sua co la detta vergogna, e la
città rimase sanza rettore; ma per necessità i Fiorentini
feciono in luogo di podestà XII cittadini, due per
sesto, uno grande e uno popolano, i quali si chiamarono
le XII podestadi, e ressono la cittade infino a
tanto che venne la nuova podestade.
L. 9, cap. 75 rubr.
Come i Fiorentini feciono oste e presono il castello
delle Stinche e Montecalvi, che 'l teneano i Bianchi.
L. 9, cap. 75Nel detto anno e mese d'agosto, essendo la città di
Firenze retta per le XII podestadi, ordinarono oste
per perseguitare i Bianchi e' Ghibellini, i quali aveano
rubellate più fortezze e castella nel contado di Firenze,
e intra gli altri era rubellato il castello delle
Stinche in Valdigrieve a petizione de' Cavalcanti, al
quale andò la detta oste, e puoservi l'assedio, e combatterlo,
e per patti s'arrendero pregioni, e 'l castello
fu disfatto, e' pregioni ne furono menati in Firenze, e
messi nella nuova pregione fatta per lo Comune su 'l
terreno degli Uberti di costa a San Simone; e per lo
nome di que' pregioni venuti dalle Stinche, che furono
i primi che vi furono messi, la detta pregione ebbe
nome le Stinche. E disfatto il castello, e partita la
detta oste, ne venne in Valdipesa, e assediaro Montecalvi,
il quale aveano rubellato i Cavalcanti, e quello
assediato e combattuto, s'arenderono salve le persone;
ma uscendone uno figliuolo di messer Banco Cavalcanti,
per uno de' figliuoli della Tosa fu morto,
onde ebbono grande biasimo per la sicurtà data per
lo Comune, e nulla giustizia per lo Comune ne fu.
Lascereno alquanto de le nostre averse novità di Firenze,
e faremo incidenza, tornando alquanto di
tempo adietro per raccontare la fine della guerra dal
re di Francia a' Fiaminghi, la quale lasciammo adietro.
L. 9, cap. 76 rubr.
Incidenza, tornando alquanto adietro a racontare
delle storie de' Fiaminghi.
L. 9, cap. 76Negli
anni di Cristo
MCCCIII i
Fiamminghi co· lloro
oste grandissima corsono il paese d'Artese faccendo
grande
dammaggio, e arsono il borgo d'
Arches fuori
di Santo
Mieri, e puosonsi
a campo nel bosco di là
dal fiume de la Liscia. I Franceschi ch'erano in Santo
Mieri, più di
IIIIm uomini
a cavallo e gente
a piede
assai col maliscalco di
Francia,
saviamente ingannarono
i
Fiamminghi, che parte di loro
al di lungi dell'
oste si misono in guato una notte, e l'altra cavalleria
e gente de' Franceschi assalirono i
Fiaminghi da la
parte
del borgo d'Artese. I
Fiaminghi vigorosamente
tutti si misono
a la 'ncontra de' Franceschi, e cominciarono
la zuffa; gli altri Franceschi ch'erano nell'aguato
uscirono
al di dietro sopra i
Fiamminghi, i
quali veggendosi assalire improviso, si misono in
isconfitta, e
rimasorne morti più di
IIIm, gli altri si
fuggirono
al
poggio di Casella. In questo medesimo
anno e tempo il buono messer
Guido di
Fiandra, il
quale per retaggio della madre v'usava ragione sopra
la
contea d'
Olanda e d'
Isilanda, la quale tenea il
conte
d'Analdo suo
cugino, prima
coll'aiuto e forza de'
Fiaminghi
corse parte della
contea d'Analdo, e poi
con grande oste e navilio passò in
Isilanda, e prese la
terra di
Midelborgo, e quasi tutto il paese e quelle
isole d'intorno, salvo la terra di
Silisea, la quale era
molto forte e bene guernita.
In questo
anno venne di Puglia in
Fiandra messer
Filippo figliuolo
del
conte
Guido di
Fiandra, e lasciò
e rifiutò
al re
Carlo di Puglia il
contado di Tieti, di
Lanciano, e de la Guardia in
Abruzzi, il quale egli
tenea in fio dal re e per
dote de la moglie, per soccorrere
il padre e' frategli e il suo paese di
Fiandra, e
amò meglio d'essere povero cavaliere sanza terra, per
aiutare e soccorrere la sua
patria e avere onore, che
rimanere in Puglia ricco signore. Incontanente che
fue in
Fiandra da'
Fiamminghi fu fatto signore e capitano
di
guerra, il quale usò in Italia e in
Toscana e
in Cicilia
a le nostre guerre; fu molto sollecito e franco,
però che alquanto era di testa, e
coll'oste de'
Fiamminghi andò sopra Santo
Mieri, e
corse e distrussono
gran parte
del paese infino
a la marina; e
poi assediò la guasta terra dell'antica
città di
Ternana
in Artese, però ch'era sanza
mura, pur cinta di fosse,
e dentro v'erano in guardia
CC cavalieri lombardi, e
MD pedoni toscani e lombardi e romagnuoli con
lance
lunghe e tutti bene armati
a la nostra guisa, onde i
paesani di là si
maravigliavano molto, e di loro aveano
grande spavento; i quali avea fatti venire di Lombardia
messer
Musciatto Franzesi e messer Alberto
Scotti di Piagenza, la quale era una buona masnada e
valente, e d'onde i
Fiaminghi più temeano. E
credendogli
i
Fiaminghi avere presi in
Ternana, però che
per
moltitudine di loro, ch'erano più di
cinquantamilia,
aveano presa per forza la porta, e
valico il fosso, i
Lombardi e' Toscani faccendo serragli e
sbarre ne la
ruga de la terra, ritegnendo e combattendo co'
Fiamminghi,
sì gli
risistettono tutto il giorno; ma
crescendo
la
potenza de'
Fiamminghi per la
moltitudine loro,
compresono tutta la terra d'intorno, salvo da la
parte
del fiume, e
credendosi avere circondati e presi
tutti i Lombardi sanza riparo; ma i Lombardi e' Toscani,
come savi e maestri di
guerra, feciono uno bello
e sùbito argomento
al loro scampo, e
a ingannare i
Fiaminghi; ciò che ch'eglino
stiparono
due case l'una
incontro
a l'altra, le quali erano in capo
del ponte
del
fiume de la Liscia che correa di costa
a la terra, e vegnendo
ritegnendo la battaglia manesca co'
Fiaminghi,
lasciandosi perdere di serraglio in serraglio
al loro
scampo e ritratta, come furono presso
al ponte
misono fuoco nelle dette case
stipate, e valicarono il
ponte sani e salvi, e di là dal fiume stavano schierati
sonando loro stormenti, e faccendo schernie de'
Fiaminghi,
e saettando loro; e poi ricolti tutti, se n'andarono
a la terra d'
Aria in Artese, e poi
a la
città di
Tornai. I
Fiaminghi per la forza
del gran fuoco non
ebbono podere di seguirgli, onde rimasono con onta
e vergogna
scornati dello 'nganno de' Lombardi, e
per
cruccio misono fuoco, e guastarono e arsono tutta
la
città di
Ternana; e poi sanza
soggiorno se n'andarono
per Artese guastando il paese, e puosonsi
ad
oste
a la forte e ricca
città di Tornai quasi intorno
intorno con loro grande
esercito, e
crescendo loro
oste. Ma la
città era bene guernita di buona cavalleria
e de le masnade de' Lombardi e Toscani, che poco
o niente gli curavano; ma di continuo le dette masnade
uscivano fuori della terra, e assalivano l'oste
de'
Fiaminghi di dì e di notte,
dando loro molto affanno
e sollecitudine, e faccendo romire la grandissima
oste; e com'erano cacciati da'
Fiaminghi, si riduceano
in su i fossi di fuori sotto la guardia de le torri
de la
città e de' loro
balestrieri ordinati in su le
mura;
e nulla altra gente
facie
guerra
a'
Fiaminghi, e di
cui più temessono; e per questo modo sovente gabbavano
i
Fiaminghi. In questa stanza dell'asedio di
Tornai lo re di
Francia molto
straccato di spendio,
per trattato
del
conte di Savoia si presono triegue
per uno
anno da llui
a'
Fiaminghi, e levossi l'assedio
da Tornai; e 'l
conte
Guido di
Fiandra fu lasciato di
pregione sotto
sicurtà di saramento e di
stadichi, e di
ritornare in pregione infra certo tempo; e andò così
vecchio com'era in
Fiandra con grande allegrezza
per vedere suo paese libero da la signoria de' Franceschi,
e fare festa
a' suoi discendenti e buona gente
del paese. E ciò fatto, disse ch'omai non curava di
morire, quando
a dDio piacesse; e per lo saramento
si tornò in pregione
a
Compigno, e poco stante si
morì e rendé l'anima
a dDio in aggio di più di
LXXX
anni, come valente e savio uomo, e buono signore; e
lui morto, il corpo suo fu
recato in
Fiandra, e soppellito
a grande onore.
L. 9, cap. 77 rubr.
Come fu sconfitto e preso in mare messer Guido di
Fiandra colla sua armata da l'amiraglio del re di Francia.
L. 9, cap. 77
Fallite le triegue dal re di
Francia
a'
Fiaminghi
l'
anno appresso
MCCCIIII, lo re di
Francia fece uno
grande
apparecchiamento di molti baroni per andare
in
Fiandra, con più di
XIIm buoni cavalieri gentili uomini,
e con più di
Lm pedoni; e col detto
esercito e
con grande fornimento passò in
Fiandra. In
mare fece
suo amiraglio messer Rinieri de'
Grimaldi di
Genova,
valente e franco uomo e bene
aventuroso in
guerra di
mare, il quale da
Genova venne nel
mare
di
Fiandra con
XVI galee bene armate
al soldo
del re
per
guerreggiare per terra e per
mare i
Fiaminghi,
per levare l'assedio da la terra di
Cirigea in
Fiandra,
a la quale era il buono e valente messer
Guido di
Fiandra con più di
XVm Fiaminghi sanza quegli
del
paese di sua parte. E
corseggiarono, e fatta gran
guerra
a le terre marine di
Fiandra, e preso molto
navilio con
mercatantia di
Fiamminghi per lo detto
amiraglio sì andò per soccorrere
Sirisea con
XX navi
armate
a
Calese, e
colle dette
XVI galee. Messer
Guido
di
Fiandra
veggendolo venire, lasciò fornito in
terra l'asedio
a
Silisea con
Xm Fiaminghi, e armò
LXXX navi, overo cocche,
al modo di quello
mare,
fornite con castella per battaglia, e in
ciascuna il meno
C uomini
fiaminghi e
del paese, e egli in persona
con molta buona gente salì in su la detta armata e
navilio, avendo il detto messer Rinieri
Grimaldi e'
Genovesi per niente, per lo poco navile ch'avea
a
comparazione
del suo; ma non
istimava quello che
portavano in
mare le
galee de' Genovesi armate. Sì
s'afrontarono insieme, e l'asalto fu grande e forte e
furioso
del navilio di messer
Guido per gli
Fiaminghi,
per lo
soprastare che le sue
navi
colle castella armate
faceano
a le
galee dell'amiraglio. Ma messer Rinieri
conoscendo il modo
del combattere di quelle
navi, e de la
marea e ritratta che fae quello
mare per
lo
fiotto, sì si ritrasse adietro
a
rremi
colle sue
galee,
e lasciò le sue
navi per abandonate, le quali erano armate
di genti di quella marina; onde la maggiore
parte furono prese e
isbarattate, e
credevasi messer
Guido e'
Fiaminghi avere vittoria de' suoi nemici, e
messo l'amiraglio in fugga. Ma il savio amiraglio attese
colle sue
galee tanto che tornò il
fiotto co la piena
marea, com'è
costume di quello
mare; e la sua gente
rinfrescata venne con forte
rema de le sue
galee come
cavagli correnti, e con molti
balestrieri
a
moschetti
in su
ciascuna
galea assalendo e saettando le
cocche e
navi de'
Fiaminghi, onde molti furono fediti
e morti. I
Fiaminghi non
costumati di sì fatto assalto
e battaglia, e non potendo per forza di
vele tornare
adietro né
ire innanzi, isbigottirono molto. I Genovesi
co· lloro navilio
mescolandosi tra 'l navilio de'
Fiaminghi, sì si misono
IIII galee co l'amiraglio
a
combattere la grande
cocca dello stendale ov'era
messer
Guido di
Fiandra co' suoi baroni, e quella
per forza di saettamento e per prestezza di genti co
le spade in mano sagliendo da più parti in su la
cocca,
quella presono con molti fediti e morti da
ciascuna
parte, e messer
Guido, tra gli altri ch'erano rimasi,
s'
arendero pregioni. E presa la
nave di messer
Guido, l'altre furono tutte sconfitte, e la maggiore
parte prese. E per abondante la gente de'
Fiaminghi
ch'erano all'assedio della terra di
Sirisea furono assediati
eglino, e per difetto di vittuaglia chi fuggì
a
pericolo
di
morte, e chi s'
arrendéo pregione; e messer
Guido con molti altri ne fu
menato preso in
Francia
e
a Parigi. Questa
pericolosa e grande sconfitta ebbono
i
Fiaminghi
a l'uscita
del mese d'
agosto, gli
anni
di Cristo
MCCCIIII. In questo medesimo tempo
certi di
Baiona in
Guascogna co· lloro
navi, le quali
chiamano cocche, passarono per lo
stretto di
Sibilia,
e vennero in questo nostro
mare corseggiando, e feciono
danno assai; e d'allora innanzi i Genovesi e'
Viniziani e' Catalani usaro di navicare co le cocche, e
lasciarono il
navicare delle
navi grosse per più sicuro
navicare, e che sono di meno spesa: e questo fue in
queste nostre marine grande
mutazione di navilio.
L. 9, cap. 78 rubr.Come lo re di Francia sconfisse i Fiaminghi a Monsimpeveri.
L. 9, cap. 78Ne la detta state, innanzi la sopradetta sconfitta di
messere
Guido di
Fiandra, i
Fiaminghi sentendo la
venuta
del re di
Francia facea sopra loro, feciono
grande
apparecchiamento d'oste, e furono più di
LXm, e co' loro signori e capitani, messer
Filippo di
Fiandra, e messer
Gianni
conte di
Namurro, e messer
Arrigo suo fratello, e messer
Guiglielmo di Giulieri,
cogli altri baroni di
Fiandra, e di
Namurro, e
d'Alamagna, e altri loro amici vennero co· lloro oste
a
Lilla e
a le
frontiere per contradiare
al re e
a sua gente
l'
entrata in
Fiandra. La gente
del re vegnendo da
la parte di Tornai, feciono una grande
punga
al passo
del ponte
a
Guandino in su la Liscia per passare il
fiume, e fuvi morto il valente cavaliere messer
Gianni
Buttafuoco di que' di
Gianville con più altri cavalieri
franceschi, ma
a la fine i Franceschi furono vincitori
del passo, e valicò il re con tutta sua oste, e
acampossi tra Lilla e
Doagio nella valle
del luogo
detto
Monsimpevero. I signori di
Fiandra co· lloro oste
scesono di
Monsimpevero ov'erano
acampati, e
stesono loro alberghi e
tende, e
acamparsi nella piaggia
sanza dirizzare
tende o trabacche, con intenzione
di venire
a la battaglia incontanente, per le
novelle
ch'aveano già della sconfitta d'
Isilanda di messer
Guido; e puosonsi
a la rincontra
del re di
Francia e
di sua oste, e scesono tutti
a piè, chi avea cavallo, apparecchiati
di combattere; e aveano tanto carreggio,
che di loro
carri per loro fortezza e sicurtade si chiusono
intorno intorno tutta loro oste, che girava più
di
III miglia, e lasciarono
al campo
V uscite. Ma intanto
feciono
mala
capitaneria di
guerra, che quando
istesono i loro padiglioni e trabacche levandosi dal
poggio di
Monsimpeveri, tutto
torciarono e
caricarono
co' loro
arnesa e vittuaglia in su le loro
carra, e
quasi eglino medesimi s'
assediarono e
aseccarono;
onde i Franceschi assalendogli
al continuo in quella
giornata con
XIIII battaglie, ciò sono schiere, ch'aveano
fatte di loro cavalleria, che di
ciascuna era guidatore
e capitano uno de' maggiori signori di
Francia,
tegnendoli
a badalucchi e
agirandogli d'intorno
co· lloro schiere ordinate, sonando trombe e nacchere
al continuo, molto gli
affannavano; e eglino rinchiusi
nel
carrino, poco si poteano aiutare e offendere
i Franceschi. E oltre
a questo, faccendo venire i
Franceschi i loro pedoni, e spezialmente i
bidali, ciò
sono Navarresi, Guasconi, e Provenzali, e con altri
di Linguadoco, leggeri d'arme, con balestra e co' loro
dardi e giavellotti
a
fusone, e con pietre
pugnerecce
conce
a
scarpelli
a Tornai, onde il re avea fatti venire
in su più
carra, assaliro il carreggio de'
Fiaminghi,
e in più parti lo 'ntorniaro e rubaro, e istando in
su'
carri de'
Fiaminghi saettando e gittando pietre e
dardi alle schiere, onde molto forte
affriggeano il popolo
di
Fiandra; e
massimamente perché 'l tempo
era caldissimo, e il fornimento di bere e di mangiare
di
Fiaminghi, che poco possono stare
digiuni, era loro
malagevole, e non ordinato da potere avere, però
ch'era in su'
carri, onde molto furono
confusi. E
stando in questo tormento infino presso
al vespro,
non potendo più durare, quasi come disperati di salute,
alquanti di loro co' loro signori e capitani ordinarono
d'uscire della bastita de'
carri, e assalire l'oste
de' Franceschi; e il buono messer
Guiglielmo di
Giulleri con certi eletti di
Bruggia e
del Franco di
Bruggia fue una schiera, e messer
Filippo di
Fiandra
con certi di quegli di Guanto e
del paese un'altra
schiera, e messer
Gianni
conte di
Namurro con certi
di quegli d'Ipro e de la marina furono un'altra schiera.
E subitamente, non prendendosi guardia di ciò i
Franceschi, uscirono
a uno
segno e grido
del loro
campo da tre parti, con gran
furia e romore assalendo
i Franceschi; e fue sì grande e forte l'assalto de'
Fiaminghi, che messer
Carlo di
Valos, e il
conte di
San Polo, e più altre schiere furono rotte, e misonsi
in volta. In buono messer
Guiglielmo di
Giulleri con
que' di
Bruggia e
del Franco se n'andarono diritto
al
padiglione e logge
del re di
Francia con sì gran
furia,
uccidendo chiunque si parava loro innanzi, sì che
non ebbono quasi nullo contrasto; sì furono
al padiglione
del re, trovando gli
arosti e la
vivanda della
cena de' Franceschi
a fuoco, e quelle tutte rubaro e
mangiarono, e andando cercando la persona
del re,
il trovarono
isproveduto e quasi disarmato,
a piè,
che indosso non avea arme, se non uno
ghiazzerino;
e perché
nol trovarono
coll'armi reali indosso,
nol
conobbono, che di certo morto l'avrebbono, che n'aveano
il podere, e avrebbono finita la loro
guerra, se
Idio l'avesse asentito; e pur così
sconosciuto, ebbe lo
re troppo affare
a montare
a cavallo; e furongli morti
a' piè parecchi grandi borgesi di Parigi, ch'aveano
l'uficio di
metterlo
a cavallo. Ma come fu montato,
cominciò
a sgridare i suoi e dare loro
conforto, e di
suo corpo fare maraviglie d'arme, come quegli ch'era
forte, e di
fazzione di corpo il meglio fornito che
nullo Cristiano che
al suo tempo vivesse; sicché in
poca d'ora ebbe sì riscosso da' nemici, e
messigli in
volta, e ricoverato il campo. E messer
Carlo suo fratello
e gli altri baroni che co· lloro schiere de' cavalieri
fuggieno, sentendo che il re con sua schiera tenea
campo, tornaro adietro e
ingrossaro la battaglia
del
re, e fu sì possente, che mise in
rotta e in isconfitta i
Fiamminghi. E in quella
punga rimase morto il buono
messer
Guiglielmo di Giulieri con più cavalieri, e
baroni, e buoni borgesi ch'erano co· llui, ma non sanza
grande
dammaggio de' Franceschi, e che in quello
assalto morìo il
conte d'Alzurro, e 'l
conte di
Sansurro,
e messer
Gianni figliuolo
del
duca di Borgogna, e
più altri baroni e cavalieri in quantità di
MD e più, e
di
Fiaminghi vi rimasono morti più di
VIm, e lasciaro
tutto il loro
carrino e arnese; e
durò l'aspra battaglia
infino
a la notte con torchi accesi. E di certo per virtù
solo della persona
del re i Franceschi vinsono e
ebbono vittoria della detta battaglia: e messer
Filippo
di
Fiandra con gran parte de'
Fiaminghi si fuggiro,
e ricoverarono la notte in Lilla, e messer Gian di
Namurro e messer
Arrigo suo fratello fuggirono la
notte
a Ipro, e rimaso lo re co' Franceschi vincitori
in su 'l campo. L'altro dì appresso
ordinò che' Franceschi
morti fossono soppelliti, e così fu fatto in una
badia la quale è ivi di costa
al piano ove fu la battaglia,
e fece decreto e gridare sotto pena
del cuore e
d'avere ch'
a nullo corpo de'
Fiaminghi fosse data
sepoltura,
ad
asemplo e perpetuale memoria. E io
scrittore ciò
posso testimoniare di vero, che
a pochi
dì appresso fui in su 'l campo dove fue la battaglia, e
vidi tutti i corpi morti ancora non
intaminati. E la
detta battaglia fu all'uscita
del mese di settembre, gli
anni di Cristo
MCCCIIII.
L. 9, cap. 79 rubr.Come poco appresso la sconfitta di Monsimpevero i
Fiaminghi tornaro per combattere col re di Francia, e
ebbono buona pace.
L. 9, cap. 79L'altro dì appresso che 'l re di
Francia ebbe la vittoria
de'
Fiaminghi sì si partì di quello luogo ove fue
la battaglia, e con tutta sua oste si puose all'asedio
a
la terra di Lilla, ov'era rinchiuso e rimaso messer
Filippo
di
Fiandra con certa buona gente d'arme per
difendere la terra; e quella tutta circundata, sì che
nullo ne potea uscire né
entrare; e girava l'oste
del re
più di
VI miglia, e fece rizzare molti
difici e torri di
legname per combattere la terra e 'l castello, il quale
era molto forte e bello, fatto per lo re
a la prima
guerra; e di certo sanza lungo dimoro si
credea lo re
avere la villa e 'l castello per forza o per
fame. In
questo stante avenne grande maraviglia, e bene da
farne nota e
ricordanza; che tornato messer
Gianni
di
Namurro
a
Bruggia, e richesti quelli
del paese
al
soccorso di Lilla, non isbigottiti né
ispaurati de le
due grandi sconfitte ricevute così di
corto
a
Sirisea in
mare né
a
Monsimpevero, ma con grande
ardire e
buono volere tutti quelli
del paese lasciando ogni loro
arte e mestiere s'apparecchiarono di venire
a l'oste;
e in tre settimane dopo la sconfitta ebbono rifatti
i padiglioni e trabacche; e chi non ebbe panno lino,
sì le fece di buone
bianche d'Ipro e di Guanto. E
raunaro di tutto il paese il carreggio e tutti i fornimenti
d'oste, e armossi nobilemente, e tutti per compagnie
d'
arti e di mestieri, con
soprasberghe
nuove
di fini
drappi divisata l'una compagnia da l'altra; e
furono bene
Lm d'uomini d'arme, e tutti si
giurarono
insieme di mai non tornare
a lloro casa, ch'egli
avrebbono buona pace dal re, o di combattersi co· llui
e con sua gente, però che meglio amavano di morire
a la battaglia che
vivere in servaggio. E così caldi
e disperati ne vennero
al ponte
a
Guarestona sopra
la Liscia presso di Lilla, e
acamparsi incontro all'oste
del re di
Francia; e per loro
araldi (ciò sono uomini
di
corte) feciono richiedere lo re di battaglia. Quando
lo re vide venuto così grande
esercito de'
Fiaminghi
in così poco di tempo, e così
disposti
a battaglia,
si
maravigliò molto, e temette forte, avendo assaggiato
a
Monsimpevero la loro disperata
furia; e richiese
suo
consiglio de' suoi baroni, de' quali non v'ebbe
niuno sì ardito che non avesse temenza, dicendo
al
re: «Bene che Idio ci
desse di loro la vittoria, non
sarebbe sanza grande
pericolo de la nostra gente e
cara baronia, però che si combatteranno come gente
disperata». Per la qual cosa il
duca di Brabante,
ch'era venuto come mezzano nell'oste
del re col
conte
di Savoia insieme, si
tramisono d'acordo e pace
dal re e'
Fiamminghi; e come piacque
a dDio, e per
la tema de' Franceschi, la pace fue fatta e
confermata
in questo modo: che'
Fiaminghi
rimarrebbono in loro
franchigia e libertà per lo modo antico e consueto,
e ch'eglino
riavrebbono i loro signori liberi delle
carcere de· re di
Francia, ciò era messer Ruberto di
Bettona primogenito
del
conte
Guido di
Fiandra, e
che succedea
a essere
conte, e messer
Guiglielmo di
Fiandra, e messer
Guido di
Namurro suoi fratelli, e
più altri baroni e cavalieri e borgesi
fiaminghi presi;
e che il re
ristituirebbe
al
conte d'Universa, figliuolo
del detto messere Ruberto
conte di
Fiandra, la
contea
d'Universa e quella di Rastrello, le quali il re di
Francia per la
guerra gli avea tolte e levate. D'altra
parte i
Fiaminghi, per
patti della pace e amenda
al
re, lasciavano
a
queto tutta la parte di
Fiandra dal
fiume della Liscia verso
Francia che parlano piccardo,
cioè Lilla,
Doai, e Orci, e Bettona, con più
villette;
e oltre
a cciò pagare
al re in certi termini libbre
CCm di buoni parigini. E così fu giurata e promessa, e
messa
a
seguizione, e in questo modo ebbe fine la
dura e aspra
guerra da re di
Francia
a'
Fiaminghi.
Lasceremo di questa materia, ch'hae avuto suo fine,
e torneremo
a nostra,
a dire de' fatti d'Italia e de la
nostra
città di
Firenze, ch'assai
novità vi furono in
questi tempi. E prima de la
morte di papa Benedetto,
e di quelli che succedette appresso.
L. 9, cap. 80 rubr.Come morì papa Benedetto, e de la nuova lezione
di papa Clemento quinto.
L. 9, cap. 80Negli
anni di Cristo
MCCCIIII,
a dì
XXVII del mese
di luglio, morì papa Benedetto nella
città di Perugia,
e dissesi di veleno; che stando egli
a sua mensa
a
mangiare, gli venne uno giovane vestito e velato in
abito di femmina servigiale delle monache di Santa
Petornella di Perugia, con un bacino d'argento,
iv'
entro molti begli
fichi fiori, e presentogli
al papa
da parte della badessa di quello monestero sua devota.
Il papa gli ricevette
a gran festa, e perché gli mangiava
volentieri, e sanza farne fare
saggio, perch'era
presentato da femmina, ne mangiò assai, onde incontanente
cadde malato, e in pochi dì morìo, e fu soppellito
a grande onore
a' frati predicatori, ch'era di
quello ordine, in Santo
Arcolano di Perugia. Questi
fue buono uomo, e onesto e giusto, e di santa e religiosa
vita, e avea voglia di fare ogni bene, e per invidia
di certi de' suoi frati cardinali, si disse, il feciono
per lo detto modo morire; onde Idio ne rendé loro,
se colpa v'ebbono, assai in brieve giusta e aperta
vendetta, come si mostrerrà appresso. Ché dopo la
morte
del detto papa nacque scisma, e fue grande
discordia
infra 'l
collegio de' cardinali d'
eleggere papa,
e per loro
sette erano
divisi in
due parti quasi
iguali;
dell'una era capo messere
Matteo Rosso degli
Orsini
con messer Francesco
Guatani nipote che fu di papa
Bonifazio, e dell'altra erano caporali messer Nepoleone
degli
Orsini dal Monte e 'l cardinale da Prato,
per rimettere i loro
parenti e amici Colonnesi inn
istato, e erano amici
del re di
Francia, e pendeano in
animo ghibellino. E essendo stati per tempo di più
di
nove mesi rinchiusi e costretti per gli Perugini
perché chiamassono papa, e non poteano avere concordia,
a la fine trovandosi il cardinale da Prato con
messer Francesco cardinale de'
Guatani in segreto
luogo, disse: «Noi facciamo grande male e
guastamento
della Chiesa
a non chiamare papa». E messer
Francesco disse: «E non rimane per me». Quello da
Prato rispuose: «E s'io ci trovassi buono mezzo, saresti
contento?». Rispuose di sì; e così ragionando
insieme vennero
a questa concordia, per industria e
sagacità
del cardinale da Prato, trattando col detto
messer Francesco
Guatani in questo modo gli diede
il partito che l'uno
collegio per levare ogni sospetto
eleggesse tre oltramontani, sofficienti uomini
al
papato,
cui
a lloro piacesse, e l'altro
collegio infra
XL dì
prendesse l'uno di que' tre, cui
a lloro piacesse, e
quegli fosse papa. Per la parte di messer Francesco
Guatani fu preso di fare la lezione,
credendosi prendere
il
vantaggio, e
elesse tre arcivescovi oltramontani,
fatti e
criati per papa Bonifazio suo
zio, molto
suoi amici e confidenti, e nemici
del re di
Francia loro
aversaro, confidandosi, che l'altra parte prendesse,
d'avere papa
a lloro senno e loro amico; infra
quegli tre fu l'arcivescovo di Bordello il primo più
confidente. Il savio e proveduto cardinale da Prato si
pensò che meglio si potea fornire il loro intendimento
a prendere messer
Ramondo
del Gotto arcivescovo
di Bordello, che nullo degli altri, con tutto che
fosse
creatura
del papa Bonifazio, e non amico
del re
di
Francia, per offese fatte
a' suoi nella
guerra di
Guascogna per messer
Carlo di
Valos; ma
conoscendolo
uomo vago d'onore e di signoria, e ch'era Guascone,
che
naturalmente sono
cupidi, che di
leggeri
si potea pacificare col re di
Francia; e così presono il
partito segretamente, e per saramento egli e la sua
parte
del
collegio, e ferme dall'uno
collegio all'altro
le carte e cautele de le dette
convenenze e
patti, per
sue
lettere propie e degli altri cardinali di sua parte
scrissono
al re di
Francia, e inchiuse dentro sotto loro
suggelli i
patti e
convenenze e commessione da lloro
a l'altra parte
del
collegio, e per fidati e buoni
corrieri ordinati per gli loro mercatanti (non sentendone
nulla l'altra parte) mandarono da Perugia
a Parigi
in
XI dì, amonendo e pregando il re di
Francia
per lo tinore delle loro
lettere che s'egli volesse
racquistare
suo stato in santa Chiesa, e rilevare i suoi
amici Colonnesi, che 'l nimico si facesse
ad amico,
ciò era messer
Ramondo
del Gotto arcivescovo di
Bordello, l'uno de' tre eletti più confidenti dell'altra
parte, cercando e trattando co· llui
patti larghi per sé
e per gli amici suoi, però che in sua mano era rimessa
la lezione dell'uno di que' tre cui
a llui piacesse.
Lo re di
Francia avute le dette
lettere e commessioni,
fu molto allegro e sollicito
a la 'mpresa. In prima
mandate
lettere amichevoli per
messi in
Guascogna
a
messer
Ramondo
del Gotto arcivescovo di Bordello,
che gli si facesse incontro, che gli volea parlare; e infra
i presenti
VI dì fu il re
personalmente con
poca
compagnia e segreta conferito col detto arcivescovo
di Bordello, in una foresta
badia nella contrada di
San Giovanni
Angiolini; e udita insieme la
messa, e
giurata in su l'altare
credenza, lo re parlamentò co· llui,
e con belle parole, di
riconciliarlo con messer
Carlo, e poi sì gli disse: «Vedi arcivescovo, i' ho in
mia mano di poterti fare papa s'io voglio, e però sono
venuto
a te: e perciò, se tu mi
prometterai di farmi
sei grazie ch'io ti domanderò, io ti farò questo
onore; e acciò che tu
sie certo ch'io n'ho il podere»,
trasse fuori e
mostrogli le
lettere e le commessioni
dell'uno
collegio de' cardinali e dell'altro. Il Guascone
covidoso della dignità
papale, veggendo così di
subito come nel re era
al tutto di
poterlo fare papa,
quasi stupefatto de l'alegrezza gli si gittò
a' piedi, e
disse: «Signore mio, ora conosco che m'ami più che
uomo che sia, e vuomi rendere bene per male: tu hai
a comandare e io
a ubidire, e sempre sarò così
disposto».
Lo re il rilevò suso, e
basciollo in bocca, e poi
gli disse: «Le
sei
speziali grazie ch'io voglio da te sono
queste. La prima, che tu mi
riconcilii
perfettamente
colla Chiesa, e facci perdonare
del misfatto
ch'io commisi de la
presura di papa Bonifazio. Il secondo,
di ricomunicare me e' miei seguagi. Il terzo
articolo, che mi
concedi tutte le
decime
del reame
per
V anni, aiuto
a le mie spese ch'i' ho fatte per la
guerra di
Fiandra. Il quarto, che tu mi
prometti di
disfare e anullare la memoria di papa Bonifazio. Il
quinto, che tu rendi l'onore
del cardinalato
a messer
Iacopo e
a messer Piero de la Colonna, e rimettigli in
istato, e fai co· lloro insieme certi miei amici cardinali.
La sesta grazia e promessa mi
riservo
a luogo e
a
tempo, ch'è segreta e grande». L'arcivescovo
promise
tutto per saramento in sul
Corpus Domini, e oltre
a cciò gli
diè per
istadichi il fratello e
due suoi nipoti;
e lo re
giurò
a llui e
promise di farlo
eleggere papa.
E ciò fatto, con grande amore e festa si partiro,
menandone i detti
stadichi sotto
coverta d'amore e
di
riconciliargli con messer
Carlo, e tornossi lo re
a
Parigi; e incontanente riscrisse
al cardinale da Prato
e
agli altri di suo
collegio ciò ch'avea fatto, e che
sicuramente
eleggessono papa messer
Ramondo
del
Gotto arcivescovo di Bordello, siccome confidente e
perfetto amico. E come piacque
a Dio, la bisogna
fue sì sollecita, che in
XXXV dì fu tornata la
risposta
del detto mandato
a la
città di Perugia molto segreta.
E avuta il cardinale da Prato la detta
risposta, la
manifestò
al segreto
al suo
collegio, e richiese cautamente
l'altro
collegio che quando
a lloro piacesse, si
congregassono in uno, ch'eglino voleano oservare i
patti, e così fu fatto di presente. E raunati insieme i
detti
collegi, e come fu bisogno
a
retificare e
confermare
l'ordine de' detti
patti con
vallate carte e saramenti
fu fatto solennemente. E ciò fatto, per lo detto
cardinale da Prato proposta
saviamente una autorità
de la santa Scrittura, che
a cciò si confacea, e per
l'autorità
a llui commessa per lo modo detto,
elesse
papa il sopradetto messer
Ramondo dal Gotto arcivescovo
di Bordello; e quivi con grande allegrezza da
ciascuna parte fue accettato e
confermato, e cantato
con grandi
voci
Te Deum laudamus etc
., non sappiendo
la parte di que' di papa Bonifazio lo 'nganno
e 'l tranello com'era andato, anzi si
credeano avere
per papa quello uomo di cui più si confidavano: e
gittate fuori le
polizze della lezione, gran contasto e
zuffe ebbe tra lle loro famiglie, che
ciascuno dicea
ch'era amico di sua parte. E ciò fatto, e usciti i cardinali
di là ov'erano inchiusi, incontanente ordinaro di
mandargli la lezione e decreto oltre i monti là dov'egli era.
Questa lezione fu fatta
a dì
V di giugno, gli
anni di Cristo
MCCCV, ed era stata vacata la sedia appostolica
X mesi e
XXVIII dì. Avemo fatta sì lunga
menzione di questa lezione
del papa per lo sottile e
bello inganno come fatta fue, e per esemplo
del futuro,
e però che gran cose ne seguirono appresso, come
per inanzi faremo
al tempo
del suo
papato e
del
successore memoria. E questa lezione fu cagione
perché il
papato
rivenne
agli oltramontani e la
corte
n'andò oltre i monti, sicché
del peccato commesso
per gli cardinali italiani della
morte di papa Benedetto,
se colpa v'ebbono, e della frodolente lezione furono
bene gastigati da' Guasconi, come diremo appresso.
L. 9, cap. 81 rubr.De la coronazione di papa Clemento quinto, e de'
cardinali che fece.
L. 9, cap. 81Portata la lezione e 'l decreto
a l'eletto papa arcivescovo
di Bordello infino in
Guascogna dov'egli
era, accettò il
papato allegramente, e fecesi nominare
papa
Clemento quinto, e incontanente mandò per
sue
lettere
citando tutti i cardinali, che sanza indugio
venissono
a la sua coronazione
a Leone sopra il Rodano
in Borgogna, e simile richiese il re di
Francia, e
'l re d'Inghilterra, e quello d'
Araona, e tutti i
nomanati
baroni di là da' monti, che fossono
a la sua coronazione.
De la quale richesta e
citazione la maggiore
parte de' cardinali italiani si tennero gravati e forte
ingannati,
credendosi che avuto il decreto venisse
a
Roma
a coronarsi; e messer
Matteo Rosso degli
Orsini,
ch'era il priore de' cardinali e il più
atempato, e
che più malvolentieri si partiva da
Roma, avedutosi
dello inganno ch'egli e la sua parte aveano avuto di
questa lezione, disse
al cardinale da Prato: «Venuto
se'
a la tua di
conducerne oltre i monti, ma
tardi ritornerà
la Chiesa in Italia, sì conosco fatti i Guasconi».
E venuto il
papa e' suoi cardinali
a lLeone sopra
Rodano, fue
consecrato e
coronato papa il dì di
santo Mattino
a dì
XI di novembre, gli
anni di Cristo
MCCCV, in presenza
del re
Filippo di
Francia, e di
messer
Carlo di
Valos, e di molti baroni, il quale, come
promesso gli avea, il ricomunicò e
ristituì in ogni
onore e grazia di santa Chiesa, la quale gli aveva levata
papa Bonifazio, e donogli le
decime di tutto il
suo reame per
V anni; e
a richesta
del detto re per
le presenti
digiune,
a dì
XVII del mese di dicembre, fece
XII cardinali tra Guasconi e Franceschi, amici e uficiali
del re,
intra' quali, come
promesso avea, fece
cardinali messer Iacopo e messer Piero de la Colonna,
e
ristituigli in ogni grazia ch'avea loro tolta e levata
papa Bonifazio; e
confermò
al re Giamo d'
Araona
il privilegio che gli avea dato papa Bonifazio
del reame di Sardigna. E ciò fatto, se n'andò con
suoi cardinali e con tutta la
corte
a la sua
città di
Bordello, ove tutti gl'Italiani, così bene i cardinali
come gli altri, furono male
veduti e trattati, secondo
il grado de la loro dignità, però che tutto guidavano i
cardinali
guasconi e franceschi. Nel detto verno fue
grandissimo freddo per tutto, e spezialmente oltre i
monti, che
ghiacciò il Rodano, sì che su vi si potea
passare
a piè e
a cavallo, e tutti i grandi fiumi, e il
Reno, e la Mosa, e Senna, e l'Era, e lo Scalto
ad Anguersa;
e eziandio
ghiacciò il
mare di
Fiandra, ed
a le
marine d'
Olanda e
Silanda e
Danesmarce più di tre
leghe infra
mare, che fu gran maraviglia. Lasceremo
alquanto de' fatti
del papa
al presente, e torneremo
a
nostra materia de' fatti di
Firenze.
L. 9, cap. 82 rubr.
Come i Fiorentini e' Lucchesi assediarono e vinsono
la città di Pistoia.
L. 9, cap. 82Negli
anni di Cristo
MCCCV, avendo i Fiorentini avute
le
mutazioni dette adietro de la cacciata de'
Bianchi
a le porte, e quella parte bianca e ghibellina
scacciata e vinta in tutte parti quasi di
Toscana, salvo
de la
città di Pistoia, la quale si tenea per parte bianca
col favore de' Pisani, e degli Aretini, e eziandio
de' Bolognesi, i quali si reggeano
a parte bianca, si
dubitaro che non
crescesse la loro
potenzia
sostegnendo
Pistoia, sì ssi providono e chiamaro loro capitano
di
guerra Ruberto
duca di Calavra, figliuolo e
primogenito rimaso
del re
Carlo secondo, il quale
venne in
Firenze
del mese d'
aprile
del detto
anno
con una masnada di
CCC cavalieri
araonesi e catalani,
e molti
mugaveri
a piè, la quale fu molto
bella gente,
e avea tra lloro di valenti e rinomati uomini di
guerra;
il quale da' Fiorentini fu ricevuto
a modo di re
molto onorevolemente. E riposato alquanto in
Firenze,
s'ordinò l'oste sopra la
città di Pistoia per gli Fiorentini
e Lucchesi e gli altri della compagnia di parte
guelfa di
Toscana: e mossono bene
aventurosamente
col detto
duca loro capitano
a dì
XX del presente mese
di maggio; e' Lucchesi e l'altra amistà vennero da
l'altra parte, e
circundarono la
città intorno intorno
co le dette osti, e guastarla d'intorno; e poco tempo
appresso l'
afossaro e
steccaro
al di fuori con più battifolli,
sì che nullo vi potea
entrare né uscire; dentro
v'erano tutti i
Pistolesi bianchi e ghibellini, e messer
Tosolato degli Uberti con masnada di
CCC cavalieri e
pedoni assai, soldati per gli Bianchi e Ghibellini di
Toscana. E stando i Fiorentini nella detta oste intorno
a Pistoia, si teneano un'altra piccola oste in Valdarno
di sopra
a l'assedio
del castello d'Ostina, il
quale aveano fatto rubellare i Bianchi; e quello ebbono
a
patti i Fiorentini
del presente mese di giugno, e
feciongli disfare le
mura e le fortezze. Per la detta
oste ch'era sopra la
città di Pistoia messer Nepoleone
degli
Orsini cardinale e 'l cardinale da Prato,
a petizione
de' Bianchi e Ghibellini, richiesono papa
Chimento
ch'egli si
dovesse interporre di mettere pace
tra' Fiorentini e' loro usciti, com'avea cominciato il
suo antecessoro papa Benedetto per bene
del paese
d'Italia, e ch'egli facesse levare l'oste da Pistoia: onde
il detto papa mandò
due suoi legati
cherici
guasconi,
e
del mese di settembre furono in
Firenze e nell'oste;
e comandarono
al Comune, e simile
al
duca Ruberto,
e
a' Lucchesi, e
agli altri capitani dell'oste, che si
dovessono levare da l'assedio di Pistoia sotto pena di
scomunicazione.
Al quale
comandamento i Fiorentini
e' Lucchesi furono
disubidienti e non si partirono
dall'assedio di Pistoia; per la qual cosa i detti legati
iscomunicaro i rettori de la
cittade e' capitani dell'oste
e puosono lo 'nterdetto
a la
città di
Firenze e
al
contado. Il
duca Ruberto per non
disubbidire
al papa
si partì dell'oste con sua privata famiglia, e
andonne
a
corte
a Bordello, e lasciò nell'oste il suo maliscalco,
messer
Dego de la Ratta catalano, e tutti i
cavalieri i quali v'avea
menati
al
servigio de' Fiorentini
e
al loro soldo; e' Fiorentini e' Lucchesi,
ricrescendo
l'assedio
al continuo, e'
convenia che tutti i
cittadini v'andassono o mandassono come toccava
per vicenda, o
pagassono una imposta per capo
d'uomo com'era tassato, la quale si chiamò la Sega.
Nel detto assedio ebbe molti assalti e badalucchi
a
cavallo e
a piè, e
dammaggio dell'una parte e dell'altra,
però che dentro avea franche masnade; e chiunque
era preso che n'uscisse,
a l'uomo era tagliato il
piè, e
a la femmina il naso, e
ripinto adietro nella
città
per uno ser Lando d'
Agobbio, crudele e
dispietato
oficiale, il quale per gli Fiorentini fu
sopranomato
Longino. E così istette e
durò la detta oste tutta la
vernata, non lasciando per
nevi né per
piove né
ghiacci.
A la fine vegnendo
a que' d'
entro meno la
vivanda, e sentendo che di Bologna era cacciata la
parte bianca, avendo perduta ogni speranza di soccorso,
sì s'
arendero salve le persone, e tennonsi insino
a tanto che nulla vi rimase
a mangiare, avendo
mangiati i
cavagli, e pane di saggina e di semola, nero
come mora e
duro come ismalto, e quello ancora
fallito; e ciò fu
a dì
X del mese d'
aprile, gli
anni di
Cristo
MCCCVI. E renduta la terra, se n'uscirono le
masnade e' caporali de' Bianchi e Ghibellini. E avuta
la detta vittoria di Pistoia, i Fiorentini e' Lucchesi feciono
tagliare le
mura della
città e gli steccati, e rovinare
ne' fossi; e più torri e fortezze feciono disfare; e
il
contado di Pistoia partiro per metade, e la parte di
verso levante e
del monte di sotto con tutte le castella
e 'l piano infino presso
a la
città ebbono in parte i
Fiorentini,
privileggiandolsi
a perpetuo. E feciono
disfare la rocca di
Carmignano per
levarlasi da la vista
di
Firenze, la quale i Fiorentini aveano comperata
da messer
Musciatto Franzesi, che gliel'avea data
messer
Carlo di
Valos, quando fue paciaro in
Toscana.
E' Lucchesi ebbono da la parte di ponente da la
città in là verso Serravalle, e tutta la montagna di sopra;
e la signoria della
città di Pistoia rimase
a' Fiorentini
e Lucchesi, dell'uno podestà, e dell'altro capitano.
E per questo modo fue
abattuta la superbia e
grandezza de'
Pistolesi, e puliti de' loro peccati, e recati
a tanto servaggio. E ciò fatto, tornarono i Fiorentini
in
Firenze con grande allegrezza e trionfo; e
a
messer Bino
Gabrielli d'
Agobbio, allora podestà di
Firenze e capitano dell'oste,
entrando in
Firenze, gli
fu
recato sopra capo il palio di
drappo
ad oro per gli
cavalieri di
Firenze
a piede
a modo di re; e per simile
modo feciono i Lucchesi
a la loro tornata in Lucca.
Nel detto
anno dell'asedio di Pistoia fu grande
caro
in
Toscana, e valse in
Firenze lo
staio
del grano
a la
masura rasa mezzo fiorino d'oro.
L. 9, cap. 83 rubr.Come la città di Modena e di Reggio si rubellarono
al marchese da Esti, e come furono cacciati i Bianchi e'
Ghibellini di Bologna.
L. 9, cap. 83Nel detto
anno
MCCCV,
del mese di febbraio, si rubellaro
al marchese
Azzo da
Esti la
città di
Modona
e quella di Reggio, le quali per lungo tempo l'avea tenute
e signoreggiate tirannescamente, e
ressonsi
a
Comune, e in loro libertade. E nel detto
anno, in calen
di marzo, reggendosi la
città di Bologna
a parte
bianca, e avendo compagnia co' Bianchi e' Ghibellini
di
Toscana e di
Romagna, il popolo di Bologna, il
quale
naturalmente è guelfo, non piacendo loro sì
fatto
reggimento e compagnia co' Ghibellini di
Toscana
e di
Romagna loro antichi nemici, e per
conforto
e
soducimento de' Guelfi di
Firenze, levaro la
città
a romore, con armata mano cacciarono de la
città e
del
contado i caporali di parte bianca, e' Ghibellini
tutti, e usciti di
Firenze, e
isbandirli per ribelli;
e ordinaro che neuno Bianco o Ghibellino si lasciasse
trovare in Bologna, o nel
distretto, sotto pena
dell'avere e della persona, andandoli cercando e uccidendo
co· lloro bargello, diputato per lo popolo sopra cciò
con gran séguito di
masnadieri. E feciono i
Bolognesi incontanente lega e compagnia co' Fiorentini
e co' Lucchesi e cogli altri Guelfi di
Toscana.
L. 9, cap. 84 rubr.Come si levò in Lombardia un fra Dolcino con
grande compagnia d'eretici, e furono arsi.
L. 9, cap. 84Nel detto
anno
MCCCV nel
contado di
Noara in
Lombardia uno frate
Dolcino, il quale non era frate
di regola ordinata, ma fraticello sanza ordine, con errore
si levò con grande compagnia d'
eretici, uomini e
femmine di
contado e di montagne di piccolo affare,
proponendo e predicando il detto frate
Dolcino sé
essere vero appostolo di Cristo, e che ogni cosa
dovea
essere in carità comune, e simile le femmine esser
comuni, e usandole non era peccato. E più altri
sozzi articoli di
resia predicava, e
opponeva che 'l
papa, e cardinali, e gli altri rettori di santa Chiesa
non oservavano quello che
doveano né la vita
vangelica,
e ch'egli
dovea esser degno papa. E era con séguito
di più di
IIIm uomini e femmine, standosi in su
le montagne vivendo
a comune
a guisa di bestie; e
quando
falliva loro vittuaglia, prendevano e rubavano
dovunque ne trovavano; e così regnò per
due
anni.
A la fine rincrescendo
a quegli che 'l seguivano la
detta dissoluta vita, molto scemò sua
setta, e per difetto
di
vivanda, e per le
nevi ch'erano, fu preso per
gli
Noaresi e arso con Margherita sua compagna, e
con più altri uomini e femmine che co· llui si trovaro
in quelli errori.
L. 9, cap. 85 rubr.Come papa Clemento fece legato in Italia messer
Nepoleone degli Orsini cardinale, e come fue male ricevuto.
L. 9, cap. 85Ne l'
anno
MCCCVI, avendo
rapporto papa
Clemento
da' legati ch'egli mandò in
Firenze come i suoi comandamenti
non erano ubiditi di levare l'oste da Pistoia,
sì ssi
indegnò contro
a' Fiorentini, e per sodducimento
e
consiglio
del cardinale da Prato sì fece
legato e paciaro generale in Italia messer Nepoleone
degli
Orsini dal Monte, cardinale, e diegli grandi privilegi
e autoritadi: il quale si partì da Leone sopra
Rodano, e passò i monti, e mandando
a' Fiorentini
che voleva venire in
Firenze per fare pace e concordia
da loro e i loro usciti, e quegli che reggeano la
città per sospetto di lui
nol vollono ricevere; onde da
capo gli
riscomunicò, e
confermò lo 'nterdetto, e
andonne
a la
città di Bologna
del mese di maggio, e volea
somigliantemente
pacificare i Bolognesi insieme,
e rimettere in Bologna i loro usciti bianchi e ghibellini.
Quegli che reggeano la terra, avendo preso sospetto
di lui, perché parea che
favorasse i Bianchi e'
Ghibellini, e per sodducimento de' Fiorentini, di Bologna
villanamente l'
acommiataro, minacciato per lo
bargello de la persona se non votasse la terra. Il quale
sanza indugio si partì, e
andonne
a la
città d'Imola
in
Romagna, che si tenea per gli Bianchi e' Ghibellini;
e
andandone per lo
contado di Bologna, gli furono
rubati e tolti molti de' suoi arnesi e some; per la
qual cosa il detto legato aspramente procedette contro
a lloro per
iscomunica e interdetto de la terra, e
privogli dello
Studio, e scomunicò qualunque
scolaio
andasse allo
Studio
a Bologna.
L. 9, cap. 86 rubr.Come i Fiorentini assediaro e ebbono il forte castello
di Monte Accenico e disfeciollo, e feciono fare la
Scarperia.
L. 9, cap. 86Nel detto
anno,
del mese di maggio, i Fiorentini
andarono
ad oste sopra 'l castello di Monte
Accenico
in Mugello, e
puosonvi l'assedio; il quale castello era
de' signori
Ubaldini, e era molto bello e ricco, e fortissimo
di sito e di
doppie
mura, però che ll'avea loro
fatto
edeficare con grande spendio e diligenzia il cardinale
Ottaviano loro
consorto; nel quale castello
s'erano ridotti gran parte degli
Ubaldini, e quasi tutti
i ribelli bianchi e ghibellini usciti di
Firenze, e faceano
guerra e
soggiogavano tutto il Mugello e infino all'
Uccellatoio. E
al detto castello stette l'oste infino
a
l'
agosto, gittandovi
difici e faccendovi cave; ma tutto
era invano, se non che gli
Ubaldini tra lloro vennero
in
discordia, e il lato di messer Ugolino da senno il
patteggiaro co' Fiorentini per mano di messer
Geri
Spini loro
parente, e
diedollo per
promessa di
XVm
fiorini d'oro, onde di gran parte n'ebbono male
pagamento.
E quegli che v'erano dentro l'
abandonaro,
e
andarne sani e salvi; e 'l castello fue tutto abattuto
e disfatto per gli Fiorentini, che non vi rimase casa
né pietra sopra pietra. E feciono fare i Fiorentini giuso
al piano di Mugello, nel luogo detto la
Scarperia,
una terra per fare battifolle
agli
Ubaldini, e torre i loro
fedeli, e feciolli franchi, acciò che Monte
Accenico
mai non si potesse riporre. E cominciossi la detta
terra
a
edificare
a dì
VII di settembre, gli
anni di Cristo
MCCCVI, e
puosolle nome Santo
Barnaba. E ciò
fatto,
del mese d'ottobre vegnente i Fiorentini cavalcarono
co· lloro oste oltre l'alpe, e guastarono tutte
le terre degli
Ubaldini, perch'aveano fatta
guerra e
ritenuti i Bianchi e' Ghibellini.
L. 9, cap. 87 rubr.Come i Fiorentini rafortificaro il popolo, e feciono
il primo esecutore degli ordini de la giustizia.
L. 9, cap. 87Nel detto
anno
MCCCVI,
del mese di dicembre, parendo
a' popolani di
Firenze che i loro grandi e possenti
avessero presa forza e baldanza per la
guerra
fatta e vittorie avute contra i Bianchi e' Ghibellini
usciti di
Firenze, sì vollono riformare il popolo di
Firenze,
e chiamarono
XVIIII gonfalonieri de le compagnie,
e che tutti i popolani per contrade com'erano
ordinati, quando bisogno fosse, traessono con arme
a loro gonfalone, e
a l'oferta della festa di santo Giovanni
andassono co' detti gonfaloni; che in prima
s'andava
ciascuno de le
XXI atti per loro, e sotto il loro
gonfalone de la detta
arte. E ciò ordinato e messo
in ordine di giustizia, e' diedono loro
XVIIII gonfaloni
al modo d'
insegne de l'antico popolo vecchio, e
poi
al tempo che 'l cardinale da Prato venne in
Firenze,
erano
rinovellati. Bene erano
al suo tempo
XX
gonfaloni, che n'era uno balzano in San Piero Scheraggio,
che lasciaro; e dove
al tempo
de· legato da
Prato nonn avea ne' gonfaloni null'altra insegna se
non dell'arme delle compagnie e
del popolo, sì vi s'agiunse
sopra
ciascuno gonfalone il rastrello dell'arme
del re
Carlo, e chiamossi il buono popolo guelfo. E
del mese di marzo vegnente per fortificamento di
popolo feciono venire in
Firenze l'
essecutore degli
ordinamenti de la giustizia, il quale
dovesse inchiedere
e procedere contro
a' grandi che offendessono i
popolani. E il primo
esecutore che venne in
Firenze
ebbe nome
Matteo, e fue della
città d'Amelia di terra
di
Roma, e fu valente uomo e molto temuto da' grandi,
e fatto cavaliere per lo popolo; de le quali
novitadi
e reformazione di popolo i grandi si tennero forte
gravati.
L. 9, cap. 88 rubr.
Di grande guerra che si cominciò al marchese da
Ferrara, e come morìo.
L. 9, cap. 88Nel detto anno MCCCVI i Veronesi, Mantovani, e
Bresciani feciono lega insieme, e grande guerra mossono
al marchese Azzo da Esti ch'era signore di Ferrara,
per sospetto preso di lui, ch'egli non volesse esser
signore di Lombardia, perch'avea presa per moglie
una figliuola del re Carlo; e corsono la sua terra,
e tolsongli più di sue castella. Ma l'anno appresso,
fatto suo isforzo, e con aiuto de la gente di Piemonte
del re Carlo, fece oste grande sopra loro, e corse le
loro terre, e fece loro grande dammaggio. Ma poco
tempo appresso amalò e si morì il detto marchese
Azzo in grande miseria e istento; il quale era stato il
più leggiadro e ridottato e possente tiranno che fosse
in Lombardia, e di lui non rimase figliuolo neuno
madornale, e la sua terra e signoria rimase in grande
quistione tra frategli e nipoti, e uno suo figliolo bastardo
ch'avea nome messer Francesco, il quale i Viniziani
molto favoravano, perch'era nato di Vinegia;
e molta briga e guerra con danno de' Viniziani ne seguì
appresso, come innanzi per gli tempi faremo
menzione.
L. 9, cap. 89 rubr.
Come messer Nepoleone Orsini legato venne ad
Arezzo, e dell'oste che Fiorentini feciono a Gargosa.
L. 9, cap. 89Negli
anni di Cristo
MCCCVII messer Nepoleone
degli
Orsini legato per la Chiesa si partì di
Romagna,
e passò in
Toscana, e venne
a la
città d'
Arezzo, e
dagli
Aretini fu ricevuto
a grande onore; e stando in
Arezzo raunò tutti i suoi amici e fedeli di terra di
Roma,
de la Marca, e
del
Ducato, e di
Romagna, e gli
usciti bianchi e ghibellini di
Firenze e dell'altre terre
di
Toscana, in quantità di
MDCC cavalieri e popolo
grandissimo, per fare
guerra
a' Fiorentini. I Fiorentini
sentendo sua venuta e raunata, sì ssi guernirono, e
richiesono gli amici, e trovarsi nel torno di
IIIm cavalieri
e più di
XVm pedoni, e partìsi di
Firenze
del mese
di maggio, non attendendo che legato e sua gente
gli asalisse, e co· lloro oste n'andarono francamente in
sul
contado d'
Arezzo, e tennero la
via di Valdambra,
guastando il paese; e presono più castella
del Comune
d'
Arezzo e degli
Ubertini, e
feciolle disfare. E andando
verso
Arezzo, si puosono
a oste
al castello di
Gargosa, e quello strinsono con battaglie e
difici, e
erano per averlo. Ma il legato per levarsi d'adosso la
detta oste, con savio
consiglio de' buoni capitani di
guerra ch'erano co· llui, si partì d'
Arezzo con tutta
sua cavalleria e gente, e fece la
via da Bibbiena per lo
Casentino, e venne infino
al castello di
Romena, mostrando
di scendere l'alpe, e di venire
a la
città di
Firenze,
dando suono che gli
dovea essere data la terra.
I Fiorentini sentendo sua venuta, ebbono grande
paura e gelosia, e feciono grande guardia nella terra,
e rimandarono nell'oste
a
Gargosa per la loro cavalleria
e gente; ma innanzi che i
messi vi giugnessono,
que' dell'oste sentiro la partita che legato fece d'
Arezzo,
e come facea la
via
del Casentino; temendo de
la
città di
Firenze, incontanente si ricolsono, e la sera
quasi di notte si partirono disordinatamente, e tutta
la notte cavalcarono chi meglio ne potea venire. La
quale partita de' Fiorentini e di loro amici fue sanza
alcuno
danno, ma non sanza grande vergogna di
mala
condotta e di grande
pericolo. Che se il legato
avesse lasciati in
Arezzo
CCC cavalieri e
M pedoni, e
alla levata de' Fiorentini gli avessono assaliti, ne tornavano
sconfitti. E per lo detto modo chi prima e chi
poi si tornarono in
Firenze; e saputo ciò, il legato si
tornò con sua gente inn
Arezzo. Dopo queste cose i
legato andò
a Chiusi e
al castello della Pieve, e più
trattati d'accordo ebbe co' Fiorentini, i quali mandaro
a llui loro ambasciadori, cercando di rimettere in
Firenze i Bianchi e' Ghibellini con certi
patti, e
pacificarli
insieme. E dopo molte rivolture, i Fiorentini
non fidandosi, e tegnendo il legato in vana speranza,
tutto il trattato tornò in niente. Per la qual cosa il legato
veggendosi non ubbidito e scemato il suo podere,
con poco onore si partì di
Toscana, e tornossi oltre
i monti
a la
corte, lasciando i signori che reggeano
Firenze scomunicati, e la
città e 'l
contado interdetta.
E rimasi i Fiorentini male
disposti,
del presente
mese di luglio
del detto
anno feciono sopra i
cherici
una grande e grave imposta; e perché non voleano
pagare, più ingiurie furono fatte
a'
cherici, e
a' loro
osti e fittaiuoli, e pure
convenne che
pagassono. E
la
Badia di
Firenze,
andandovi l'uficiale
isattore con sua
famiglia, i monaci chiusono le porte, e sonarono le
campane;
per la qual cosa dal popolo
minuto e da'
malandrini, con
sospignimento di loro possenti vicini grandi e popolani che
non gli amavano, furono
corsi
a furore, e tutti rubati. E
poi il Comune, perch'aveano sonato, volea tagliare il
campanile da piè, e
disfecionne di sopra presso che la
metade; la quale
furia fue molto biasimata per la buona
gente di
Firenze.
L. 9, cap. 90 rubr.Come morìo il buono re Adoardo d'Inghilterra.
L. 9, cap. 90Nel detto
anno
MCCCVII,
del mese di giugno, morìo
il buono e valente
Adoardo re d'Inghilterra, il
quale fue uno de'
valorosi signori e savio de' Cristiani
al suo tempo, e bene
aventuroso in ogni sua impresa
di là da
mare contra i Saracini, e in suo paese
contra gli
Scotti, e in
Guascogna contro
a Franceschi,
e
al tutto fu signore dell'isola d'Irlanda e di tutte
le buone terre di Scozia, salvo che 'l suo rubello
Ruberto di Busto, fattosi re degli
Scotti, si ridusse
con suoi seguagi
a' boschi e montagne di Scozia, il
quale dopo la
morte
del detto
Adoardo fece gran cose
contro
agl'Inghilesi. Appresso la
morte
del buono
re
Adoardo,
Adoardo suo primogenito prese per
moglie Isabella figliuola
del re
Filippo di
Francia;
diedono compimento
a l'accordo de la quistione di
Guascogna, e isposata la detta donna
del mese di
gennaio presente, la quale era delle belle donne
del
mondo, e poi la
Pasqua di
Risoresso vegnente si fece
coronare, egli e la reina, con grande festa e onore.
L. 9, cap. 91 rubr.Come il re di Francia andò a Pittieri a papa Chimento
per fare condannare la memoria di papa Bonifazio.
L. 9, cap. 91Nel detto
anno e mese di giugno
MCCCVII, essendo
papa
Chimento venuto co la
corte
a petizione
del
re di
Francia
a la
città di Pettieri, il detto re di
Francia
con tre suoi figliuoli, e con messer
Carlo di
Valos
e messer
Luisi suoi fratelli, e con molti altri baroni e
cavalieri, e col
conte di
Fiandra e' suoi figliuoli e fratelli
vennero
a
Pittieri: e dato per lo papa compimento
e fermezza
a la pace
del re di
Francia
al
conte
di
Fiandra e'
Fiaminghi, il re di
Francia richiese
al
papa la quinta cosa che s'aveva fatta promettere,
quando il re gli
promise di farlo fare papa, cioè ch'egli
condannasse la memoria di papa Bonifazio, e facesse
ardere le sue ossa e corpo; e fece opporre contra
lui
a' suoi
cherici e
avogadi
XLIII articoli di
resia,
profferendo di
provagli; onde il papa e' suoi cardinali
furono in grande turbazione per la detta richesta,
però che 'l re volea o per ragione o per forza fornire
le pruove, e come detto è adietro, il
papa gliel'avea
promesso e giurato; e di ciò si pentea molto, ma non
s'osava scoprire contra 'l volere
del re, e torto e
abassamento
de la Chiesa gli parea fare, se l'asentisse, però
che in
papa Bonifazio di ragione non si trovava
nulla memoria di
resia, ma si trovava per lo
VI libro
de le
decretali ch'egli fece comporre, molto cattolico
e utile, e per
papa Bonifazio si trovava molto
esaltata
la santa Chiesa e le sue
ragioni; e ancora più,
del
collegio
de' cardinali v'avea di quegli ch'avea fatti
papa
Bonifazio, e 'l cardinale da Prato intra gli altri era
uno di quegli; e se la memoria di
papa Bonifazio fosse
dannata,
conveniva che fossono
disposti
del cardinalato.
Per la qual cosa, così la
setta de' cardinali
ch'aveano tenuto col re di
Francia in questo caso
erano contro
a llui, come quegli della
setta
del nipote
di
papa Bonifazio. E stando la Chiesa in questa
contumacia
e
perseguizione fatta per lo re, il
papa non
sapea che si fare, che male gli parea
a rompere il suo
saramento e
promessa fatta
al re, e peggio gli parea
a
corrompere e guastare la Chiesa di
Roma.
A la fine
strignendosi di ciò
a segreto
consiglio col savio cardinale
da Prato, che sapea le sue segrete
promesse, sì
gli disse: «Qui nonn ha che uno rimedio, cioè che ti
conviene dissimulare col re, e che tu gli dichi che,
perché quello ch'egli
domanda di
papa Bonifazio sia
forte caso
a passare per la Chiesa, e parte
del
collegio
de' cardinali non vi s'accordino,
conviene di necessità,
e ancora più acconcio
del suo intendimento,
e più
abbominazione de la memoria di
papa Bonifazio,
che le pruove degli articoli ch'egli gli oppone si
facciano in
concilio generale, e fia più autentico e
fermo. E per non avere contasto, sì
metterai dinanzi
al
collegio che per più grandi e utili cose, in bene e
istato di santa Chiesa e de' Cristiani che bisogni si
faccia in
concilio generale; e che in quello farai pienamente
quello che
domanda. E 'l detto
concilio ordina
e componi
a la
città di Vienna, per più comune
luogo
a' Franceschi, e Inghilesi, e Tedeschi, e Italiani,
e
a quegli di Linguadoco; e
a questo non ti potrà
opporre né contradiare: e ciò faccendo, tu e la Chiesa
sarai in tua libertà; e partendoti di qui e andando
a Vienna, sì sarai fuori de le sue forze e di suo reame».
Al
papa piacque molto il
consiglio, e
miselo
a
seguizione, e fece la
risposta
al re: onde il re si tenne
forte gravato, ma non potendo il re
a cciò bene contradire,
promettendogli il
papa che bene il servirebbe,
e
faccendogli molte altre grazie e richeste,
acconsentìe,
credendosi sì adoperare
al
concilio
a Vienna,
che gli verrebbe fatto il suo intendimento. E così si
tornò
a Parigi, e mandò
Luis suo primo figliuolo in
Navarra con grande compagnia di baroni e cavalieri,
e
fecelo
a la
città di
Pampalona coronare
del reame
di Navarra; e 'l
papa piuvicato di fare
concilio, e
diterminatolo
d'ivi
a
tre
anni
a Vienna, con tutta la
corte poco tempo appresso uscì
del reame di
Francia,
e venne
a
Vignone in
Proenza nelle terre
del re
Ruberto.
L. 9, cap. 92 rubr.
Come e per che modo fu distrutta l'ordine e magione
del Tempio di Gerusalem per procaccio del re di
Francia.
L. 9, cap. 92Nel detto
anno
MCCCVII, innanzi che 'l re di
Francia
si partisse da la
corte
a
Pittieri, sì
accusò e dinunziò
al papa per sodducimento de' suoi uficiali, e per
cupidigia di guadagnare sopra loro, il maestro
del
Tempio e la
magione di certi
crimini ed errori che
al
re fu fatto intendente che'
Tempieri usavano. Il primo
movimento fu per uno priore di
Monfalcone di
tolosana de la detta ordine, uomo di
mala vita ed
eretico, e per gli suoi difetti messo in Parigi in perpetuale
carcere per lo suo maestro. E
trovandovisi dentro
con uno
Noffo
Dei nostro Fiorentino, pieno d'ogni
magagne, sì come uomini disperati d'ogni salute,
e maliziosi e rei, con trovare la detta falsa
accusa, e
per guadagnare e uscire di pregione per l'aiuto
del
re. Ma
ciascuno di loro feciono
mala fine poco appresso:
Noffo impiccato, e 'l priore morto
a
ghiado.
Per fare
al re guadagnare la misono innanzi
a' suoi
uficiali, e' detti il misono dinanzi
al re; onde per sua
avarizia si mosse il re, e sì
ordinò e fecesi promettere
segretamente
al papa di disfare l'ordine de'
Tempieri,
opponendo contro
a lloro molti articoli di
resia:
ma più si dice che fu per trarre di loro molta moneta,
e per isdegni presi col maestro
del Tempio e
colla
magione. Il papa per levarsi d'adosso il re di
Francia,
per la richesta ch'egli avea fatta
del condannare papa
Bonifazio, come avemo detto dinanzi, o ragione o
torto che fosse, per piacere
al re gli asentì di ciò fare;
e partito il re, in uno dì nomato per sue
lettere, fece
prendere tutti i
Tempieri per l'universo
mondo, e
staggire tutte le loro chiese e magioni e possessioni,
le quali erano quasi innumerabili di podere e ricchezze;
e tutte quelle
del reame di
Francia fece occupare
il re per la sua
corte, e
a Parigi fece prendere il
maestro
del Tempio, il quale avea nome fra
Giache
de' signori da
Mollai in Borgogna, con
LX frieri cavalieri
e gentili uomini, opponendo contro
a lloro certi
articoli di
resia, e certi
villani peccati contra natura
ch'usavano tra lloro; e che alla loro
professione giuravano
d'atare la
magione
a diritto e
a torto, e
a uno
modo quasi come
idolari, e
isputavano nella croce, e
che quando il loro maestro si
consegrava era di nascoso
e privato, e non si sapea il modo; e opponendo
che i loro anticessori per
tradimento feciono perdere
la Terrasanta, e prendere
a la Monsura il re
Luis e'
suoi. E sopra ciò fatte dare per lo re certe pruove, gli
fece tormentare di diversi
tormenti perché
confessassono;
e non si truova che niente volessono di ciò
confessare né
riconoscere. E tegnendoli più tempo in
pregione
a grande stento, e non sappiendo dare fine
al loro processo,
a la fine di fuori di Parigi da Santo
Antonio, e parte
a San
Luis in
Francia, in uno grande
parco
chiuso di legname,
LVI de' detti
Tempieri
fece legare
ciascuno
a uno palo, e cominciare
a mettere
loro il fuoco da' piè e
a le gambe
a poco
a poco,
e l'uno innanzi
a l'altro
amonendogli che quale di loro
volesse
raconoscere l'errore e' peccati loro opposti
potesse scampare; e in su questo martorio
confortati
da' loro
parenti e amici che
riconoscessono, e non si
lasciassono così vilmente morire e guastare, niuno di
loro il volle confessare; e con pianti e grida
scusandosi
com'erano innocenti e fedeli Cristiani, chiamando
Cristo e santa Maria e gli altri santi, col detto
martorio tutti ardendo e consumando finirono loro
vita. E riserbato il maestro loro, e 'l fratello
del
Dalfino
d'Alvernia, e fra Ugo di
Paraldo, e un altro de'
maggiori de la
magione, e istati uficiali e
tesorieri
del
re di
Francia, furono
menati
a
Pittieri dinanzi
al papa,
e fuvi il re di
Francia, e promesso loro grazia se
riconoscessono il loro errore e peccato, alcuna cosa
si dice ne confessaro; e tornati
a Parigi, e venuti
due
legati cardinali per dare la sentenzia e condannare
l'ordine sotto la detta confessione, e per dare alcuna
disciplina
al detto maestro e' suoi compagni, essendo
incontro
a Nostra
Dama di Parigi in su grandi
pergami,
e letto il processo, il detto maestro
del Tempio si
levò in piè gridando che fosse udito: e fatto silenzio
per lo popolo, si disdisse che mai quelle
resie e peccati
loro opposti nonn erano state
vere, e che l'ordine
di loro
magione era santa e giusta e cattolica, ma
ch'egli era ben degno di
morte, e voleala sofferire in
pace, però che per paura e per
lusinghe
del papa e
del re, in alcuna parte l'aveano per inganno loro confessate.
E rotto il sermone e non compiuto di dare
sentenzia, si partiro i cardinali e gli altri parlati di
quello luogo. E avuto
consiglio col re, il detto maestro
e suoi compagni in su l'Isola di Parigi dinanzi
a
la
sala
del re per lo modo degli altri loro
frieri furono
messi
a martirio, ardendo il maestro
a poco
a poco, e
sempre dicendo che la
magione e loro religione era
cattolica e giusta, accomandandosi
a Dio e
a santa
Maria; e simile fece il fratello
del
Dalfino; fra Ugo di
Paraldo e l'altro per paura
del martorio confessaro e
raffermaro quello ch'aveano detto dinanzi dal papa e
al re, e scamparo, ma poi moriro miseramente. E per
molti si disse che furono morti e distrutti
a torto e
a
peccato, e per occupare i loro beni, i quali poi per lo
papa furono
privileggiati, e dati
a la
magione dello
Spedale, ma
convennegli loro ricogliere e ricomperare
dal re di
Francia e
dagli altri prencipi e signori, e
con tanta quantità di moneta, che cogli
'nteressi
corsi
poi la
magione dello Spedale fu ed è più povera
che non era prima
del loro propio, o che Idio il dimostrasse
per miracolo. E lo re di
Francia e' suoi figliuoli
ebbono poi molte
vergogne e aversitadi, e per
questo peccato, e per quello della
presura di papa
Bonifazio, come innanzi si farà menzione. E nota che
la notte appresso che 'l detto maestro e 'l compagno
furono
martorizzati, per frati e altri religiosi le loro
corpora e ossa come relique sante furono ricolte, e
portate via in sacri luoghi. In questo modo fu distrutta
e messa
a niente la ricca e possente
magione
del Tempio di Gerusalem gli
anni di Cristo
MCCCX.
Lasceremo de' fatti di
Francia, e torneremo
a' nostri
fatti d'Italia.
L. 9, cap. 93 rubr.
Di novitadi e sconfitte che furono in Romagna e in
Lombardia.
L. 9, cap. 93Nel detto anno MCCCVII, del mese d'agosto, essendo
i Guelfi a l'assedio a Brettinoro, la lega de' Ghibellini
di Romagna raunati insieme co· lloro amistà
sconfissono li Guelfi; e furonne tra morti e presi più
di MM tra piè e a cavallo. E l'aprile vegnente
MCCCVIII il popolo de la città di Parma con trattato
d'Orlando de' Rossi e de' suoi cacciarono di Parma
messer Ghiberto da Coreggio, il quale n'era signore;
per la qual cosa s'acompagnò co' Mantovani e' Veronesi,
e imparentossi co' signori della Scala; e del mese
di giugno vegnente il detto messer Ghiberto venne
verso Parma co la forza di messere Cane della
Scala, e con quella de' Mantovani e Parmigiani. I
Parmigiani uscendo contro a lloro furono sconfitti, e
'l detto messer Ghiberto tornò in Parma e funne signore,
e caccionne i Rossi e' suoi nemici, e fece mozzare
la testa a XXVIIII popolani, i quali erano stati caporali
a la sua cacciata.
L. 9, cap. 94 rubr.Come fue morto il re Alberto de la Magna.
L. 9, cap. 94Nel detto
anno
MCCCVIII, in calen di maggio, lo re
Alberto d'Alamagna, che s'
attendea d'essere imperadore,
fu morto
a
ghiado da uno suo nipote
a tradigione
a uno
valicare d'uno fiume scendendo de la
nave, per cagione che 'l detto re Alberto gli occupava
il retaggio de la parte sua
del
ducato d'
Osteric.
Lasceremo alquanto delle cose de' forestieri, e torneremo
a raccontare de le
novitadi che ne' detti tempi
furono nella nostra
città di
Firenze.
L. 9, cap. 95 rubr.Come una podestà di Firenze si fuggì col suggello
dell'Ercore del Comune.
L. 9, cap. 95Nel detto anno MCCCVIII, essendo podestà di Firenze
uno messer Carlo d'Amelia fratello del primo
esecutore degli ordini della giustizia, avendo egli e
sua famiglia fatte in Firenze molte baratterie, e guadagnerie,
e pessime opere, e già di ciò molto scoperto,
temendosi al suo sindicato esser condannato e ritenuto,
la notte di santo Giovanni del mese di giugno
furtivamente si fuggì con sua privata famiglia,
onde fu condannato per baratteria. E per riavere pace
e danari dal Comune sì ne portò seco il suggello
del Comune, dov'era intagliata l'imagine dell'Ercore,
e tennelo più tempo, istimandosi che 'l Comune il
traesse di bando, e ricomperasselo molta moneta:
onde il Comune il mise in abandono operando altro
suggello e notificandolo in tutte parti, sì che non fosse
data fede a quello suggello. A la fine il suo fratello
gliele tolse, e rimandollo in Firenze, e d'allora innanzi
s'ordinò che né podestà né priori tenessono suggello
di Comune, ma fecionne cancelliere e guardiano
i frati conversi di Settimo, che stanno nella camera
dell'arme del palagio de' priori.
L. 9, cap. 96 rubr.
Come fu morto il nobile e grande cittadino di Firenze
messer Corso de' Donati.
L. 9, cap. 96Nel detto
anno
MCCCVIII, essendo nella
città di
Firenze
cresciuto
scandolo tra' nobili e potenti e popolani
di parte nera che guidavano la
città per invidia
di stato e di signoria, come si cominciò
al tempo
del
romore della ragione, come addietro facemo memoria;
questo invidioso
portato
convenne che partorisse
dolorosa fine, che per le
peccata della superbia, e invidia,
e avarizia, e altri che regnavano tra lloro erano
partiti in
setta; e dell'una era capo messer
Corso de'
Donati con séguito d'alquanti nobili e di certi popolani,
e intra gli altri quegli della casa di Bordoni, e
dell'altra erano capo messer Rosso della Tosa, messere
Pazzino de' Pazzi, e messer
Geri Spini, e messer
Betto
Brunelleschi co' loro
consorti, e con quegli de'
Cavicciuli, e di più altri casati grandi e popolani, e la
maggiore parte de la buona gente della
cittade, i
quali aveano gli ufici e 'l governamento de la terra e
del popolo. Messer
Corso e' suoi seguagi parendo loro
esser male trattati degli onori e ofici
a lloro guisa,
parendogli essere più degni, però ch'erano stati i
principali
ricoveratori dello stato de' Neri e cacciatori
della parte bianca; ma per l'altra parte si disse che
messer
Corso volea essere signore della
cittade e non
compagnone; quale che si fosse il vero o la cagione, i
detti, e quegli che reggeano il popolo, l'aveano in
odio e
a grande sospetto,
dapoi s'era imparentato
con Uguiccione della Faggiuola, Ghibellino e nimico
de' Fiorentini; e ancora il temeano per lo suo grande
animo e podere e séguito,
dubitando di lui che non
togliesse loro lo stato e cacciasse de la terra, e
massimamente
perché trovarono che 'l detto messere
Corso
avea fatta lega e giura col detto Uguiccione da la
Faggiuola suo suocero, e mandato per lui e per suo
aiuto. Per la qual cosa, e per grande gelosia, subitamente
si levò la
cittade
a romore, e sonarono i priori
le
campane
a martello, e fu
ad arme il popolo e'
grandi
a piè e
a cavallo, e le masnade de' Catalani col
maliscalco
del re, ch'era
a posta di
coloro che guidavano
la terra. E subitamente, com'era ordinato per
gli sopradetti caporali, fu data una inquisizione overo
accusa
a la podestà, ch'era messer Piero de la
Branca d'
Agobbio, incontro
al detto messer
Corso,
opponendogli come
dovea e volea tradire il popolo,
e sommettere lo stato della
cittade, faccendo venire
Uguiccione da Faggiuola co' Ghibellini e nimici
del
Comune. E la richesta gli fu fatta, e poi il
bando, e
poi la
condannagione: in meno d'una ora, sanza
dargli
più
termine
al processo, messer
Corso fu condannato
come rubello e traditore
del suo Comune, e incontanente
mosso da casa i priori il gonfalone della
giustizia con podestà, capitano, e
esecutore, co· lloro
famiglie e co' gonfaloni de le compagnie, col popolo
armato e le masnade
a
cavalio
a grido di popolo per
venire
a le case dove abitava messer
Corso da San
Piero Maggiore per fare l'
esecuzione. Messer
Corso
sentendo la persecuzione che gli era mossa e chi
disse per esser forte
a fornire il suo proponimento,
attendendo Uguiccione de la Faggiuola con grande
gente, che già n'era giunta
a
Remole - sì s'era
aserragliato
nel borgo di San Piero Maggiore
a piè de le
torri
del Cicino, e in
Torcicoda, e
a la bocca che va
verso le
Stinche, e
a la
via di San Brocolo con forti
isbarre, e con genti assai suoi
consorti e amici armati,
e con balestra, i quali erano rinchiusi nel serraglio
al suo
servigio. Il popolo cominciò
a combattere i
detti serragli da più parti, e messer
Corso e' suoi
a
difendere francamente: e
duròe la battaglia gran parte
del dì, e fue
a tanto, che con tutto il podere
del
popolo, se i·
rinfrescamento de la gente d'Uguiccione,
e gli altri amici di
contado invitati per messer
Corso gli fossono giunti
a tempo, il popolo di
Firenze
avea quello giorno assai
a ffare; ché, perché fossono
assai, erano male in ordine e non molto inn
accordo, però ch'
a parte di loro non piacea. Ma sentendo
la gente d'Uguiccione come messer
Corso era
assalito dal popolo, si tornaro adietro, e' cittadini
ch'erano nel serraglio si cominciarono
a partire, onde
rimase molto sottile di genti, e certi
del popolo
ruppono il
muro
del giardino di contro alle
Stinche,
e
entrarono dentro con grande gente d'arme. E veggendo
ciò messer
Corso e' suoi, e che 'l soccorso
d'Uguiccione e degli altri suoi amici gli era tardato e
fallito, sì
abandonò le case, e
fuggìsi fuori de la terra,
le quali case dal popolo incontanente furono
rubate
e disfatte, e messer
Corso e' suoi perseguiti per alquanti
cittadini
a cavallo e Catalani mandati in pruova
che 'l pigliassono. E per
Boccaccio
Cavicciuli fu
giunto
Gherardo Bordoni in sull'
Africo, e morto, e
tagliatagli la mano, e recata nel corso degli
Adimari,
e
confitta
a l'uscio di messer
Tedici degli
Adimari
suo
consorto, per
nimistade avuta tra lloro. Messer
Corso tutto solo
andandosene, fue giunto e preso sopra
a Rovezzano da certi Catalani
a cavallo, e
menandolne
preso
a
Firenze, come fue di costa
a San
Salvi, pregando quegli che 'l
menavano, e promettendo
loro molta moneta se lo scampassono, i detti
volendolo
pure menare
a
Firenze, sì com'era loro imposto
da' signori, messer
Corso per paura di venire
a
le
mani de' suoi nemici e
a essere
giustiziato dal popolo,
essendo compreso forte di gotte ne le
mani e
ne' piedi, si lasciò cadere da cavallo. I detti Catalani
veggendolo in terra, l'uno di loro gli diede d'una lancia
per la
gola d'uno
colpo mortale, e lasciarollo per
morto: i monaci
del detto monistero il ne
portaro ne la
badia, e chi disse che inanzi che morisse si rimise
ne le
mani di loro in luogo di penitenzia, e chi disse
che il trovar morto; e l'altra mattina fu soppellito in
San Salvi con piccolo onore e
poca gente, per tema
del Comune. Questo messer
Corso
Donati fue de'
più savi, e valente cavaliere, e il più bello parlatore, e
'l meglio pratico, e di maggiore
nominanza, e di
grande
ardire e imprese ch'
al suo tempo fosse in Italia,
e bello cavaliere di sua persona e grazioso, ma
molto fu
mondano, e di suo tempo fatte in
Firenze
molte congiurazioni e
scandali per avere stato e signoria;
e però avemo fatto de la sua fine sì lungo
trattato, però che fu grande
novità
a la nostra
cittade,
e seguirne molte cose appresso per la sua
morte,
come per gl'intendenti si potrà comprendere, acciò
che sia
assempro
a quegli che sono
a venire.
L. 9, cap. 97 rubr.Come arse la chiesa di Laterano di Roma.
L. 9, cap. 97Nel detto
anno
MCCCVIII,
del mese di giugno,
s'apprese il fuoco ne'
palagi
papali di Santo Giovanni
Laterano di
Roma, e arsono tutte le case de'
calonaci,
e tutta la chiesa e circuito, e non vi rimase
ad
ardere se non la piccola
cappelletta in volte di
Sancto
Sanctorum, ove si dice ch'è la testa di santo Piero e
quella di santo Paolo, e molte relique di santi: e ciò
fu con grandissimo
dammaggio di
tesoro e d'arnesi,
sanza lo 'nfinito
danno della chiesa e palazzi e case.
Poi sappiendolo papa
Chimento, l'
anno appresso, vi
mandò suoi uficiali con grande quantità di moneta, e
la detta chiesa fece ristorare, e rifare più
bella e più
ricca che non era prima, e simile i palazzi
papali e le
case de'
calonaci, e
penarsi
a ffare parecchi
anni, e
costarono molto
tesoro
a la Chiesa.
L. 9, cap. 98 rubr.Come i grandi di Samminiato disfeciono il loro popolo.
L. 9, cap. 98Nel detto anno MCCCVIII, del mese d'agosto, i
grandi di Samminiato del Tedesco, come sono Malpigli
e Mangiadori, per soperchi ricevuti dal popolo
di Samminiato, overo perché 'l popolo gli tenea corti,
per modo che non poteano signoreggiare la terra
a lloro senno, sì s'accordaro insieme e feciono venire
loro amistà di fuori, e con armata mano combattero
col popolo e sconfissongli, e molti n'uccisono e presono,
e a certi caporali feciono tagliare la testa, e tutti
i loro ordini arsono, e la campana del popolo feciono
sotterrare, e tennero poi il popolo in grande
servaggio infino che le dette due case non ebbono
discordia tra lloro.
L. 9, cap. 99 rubr.Come i Tarlati furono cacciati d'Arezzo, e rimessivi i
Guelfi.
L. 9, cap. 99Nel detto
anno
MCCCVIII,
del mese di gennaio, il
popolo d'
Arezzo con aiuto e favore d'Uguiccione da
Faggiuola che badava d'
esserne signore cacciarono
de la
cittade i signori di Pietramala, detti
Tarlati, per
soperchi e
oltraggi che faceano
a' cittadini; e poco
appresso vi rimisono la parte guelfa, che quegli di
Pietramala n'aveano tenuti fuori per
XXI anni; e quegli
che signoreggiavano la
cittade, ch'erano mischiati
Guelfi e Ghibellini, si faceano chiamare la parte
Verde;
e mandarono loro ambasciadori
a
fFirenze, e feciono
pace co' Fiorentini, come i Fiorentini la seppono
divisare; ma poco tempo
durò questo stato in
Arezzo, ché vi tornarono i
Tarlati.
L. 9, cap. 100 rubr.Come gli Ubaldini tornarono a ubidienza del Comune di
Firenze.
L. 9, cap. 100In questo medesimo tempo i signori Ubaldini s'accordarono
co' Fiorentini, e vennero in Firenze a ffare
reverenza e le comandamenta del Comune, e sodaro
la cittadinanza di tenere il passaggio de l'alpi sicuro
per idonei mallevadori. E 'l Comune di Firenze
dimise e perdonò loro ogni misfatto, e accettogli per
cittadini e distrittuali, loro, e' loro fedeli e terre, e
che in ogni atto e fazioni dovessono fare al Comune
come distrittuali e cittadini.
L. 9, cap. 101 rubr.
Per che modo fue eletto imperadore di Roma Arrigo
conte di Luzzimborgo.
L. 9, cap. 101Nel detto
anno
MCCCVIII, essendo morto lo re Alberto
de la Magna, come dicemmo addietro, per la
cui
morte vacava lo 'mperio, e i
lettori de la Magna
erano in grande
discordia tra lloro di fare la lezione,
lo re di
Francia, sentendo la detta
vacazione, sì ssi
pensò che gli verrebbe fornito il suo intendimento
con
poca fatica per la sesta promessa che gli avea fatta
papa
Chimento segretamente, quando gli
promise
di farlo fare papa, come adietro facemmo menzione;
e raunò suo segreto
consiglio con messer
Carlo di
Valos suo fratello, e quivi scoperse il suo intendimento,
e i lungo disiderio ch'egli avea avuto di fare
eleggere
a la Chiesa di
Roma
a re de' Romani messer
Carlo di
Valos, e eziandio vivendo Alberto re de la
Magna, co la sua forza e podere e dispendio, e col
podere
del papa e de la Chiesa: ch'altre volte per antico
avea
rimossa la lezione de' Greci ne' Franceschi,
e de' Franceschi negli Italiani, e degl'Italiani negli
Alamanni, ora
maggiormente ci
dee venire fatto,
dapoi
che vaca lo 'mperio, e
massimamente per la detta
promessa e saramento che gli avea fatta papa
Clemento,
quando il fece fare papa. E scoperse tutto il
segreto contratto co· llui, e fatto ciò, domandò il loro
consiglio e fece giurare
credenza.
A questa impresa
fue lo re
confortato per tutti gli suoi consiglieri, e
che in ciò s'aoperasse tutto il podere de la corona e
di suo reame, sì che venisse fatto, sì per l'onore di
messer
Carlo di
Valos che n'era degno, e perché l'onore
e dignità dello 'mperio tornasse
a' Franceschi,
sì come fu per antico lungo tempo per gli loro anticessori,
Carlo Magno e gli suoi successori. Inteso per
lo re e per messer
Carlo il
conforto e buon volere
del
suo
consiglio, sì furono molto allegri, e ordinaro che
sanza indugio lo re e messer
Carlo con grande forza
di baroni e cavalieri d'arme andassono
a
Vignone
al
papa innanzi che gli Alamanni facessono altra lezione,
mostrando e
dando
boce che la sua andata fosse
per la richesta fatta contra la memoria di papa Bonifazio;
e che quando il re fosse
a
corte, richiedesse
al
papa la sesta segreta promessa, cioè d'
eleggere e
confermare
imperadore di
Roma messer
Carlo di
Valos,
e trovassesi sì forte di sua gente, che nullo cardinale
né altri, né eziandio il papa, non l'ardisse
a
rifusare.
E ciò ordinato, sì comandò
a' baroni e cavalieri che
s'
aparecchiassono d'arme e di
cavagli
a fare compagnia
al re per andare
a la
corte
a
Vignone, e quegli
del siniscalco di
Proenza fossono apparecchiati, e
doveano essere in numero di più di
VIm cavalieri d'arme.
Ma come piacque
a Dio, per non volere che la
Chiesa di
Roma fosse
al tutto sottoposta
a la casa di
Francia, questo
apparecchiamento
del re e il suo intendimento
fu fatto segretamente assentire
al papa
per uno
del segreto
consiglio
del re di
Francia. Il papa
temendo della venuta
del re con tanta forza, e
ricordandosi
della sua
promessa fatta, riconoscendo
ch'era molto contraria
a la libertà della Chiesa, sì ebbe
segreto
consiglio solamente con messer d'Ostia
cardinale da Prato, che già aveano preso isdegno col
re di
Francia per le disordinate richeste, e perché se
la Chiesa avesse condannata la memoria di papa Bonifazio,
ciò ch'avea fatto era casso e annullato, e 'l
cardinale di Prato fue per Bonifazio fatto cardinale
con certi altri, come detto avemo in altra parte. Il
detto cardinale udendo quello che sentia il papa della
'ntenzione e della venuta
del re di
Francia, sì disse:
«Padre santo, qui nonn ha che uno remedio,
cioè che innanzi ti faccia la richesta il re, per te s'ordini
co' prencipi de la Magna segretamente e con
istudio ch'eglino facciano lezione d'imperio».
Al papa
piacque il
consiglio, ma disse: «Cui volemo per
imperadore?». Allora il cardinale molto antiveduto,
non tanto solamente per la libertà della Chiesa,
quanto
a sua propietà e di sua parte ghibellina rilevare
in Italia, disse: «Io sento che 'l
conte di
Luzzimborgo
è oggi il migliore uomo de la Magna, e il più
leale e il più franco, e più cattolico, e non mi
dubito,
se viene per te
a questa dignità, ch'egli non sia fedele
e obbediente
a te e
a santa Chiesa, e uomo da venire
a grandissime cose».
Al papa piacque per la buona
fama che sentia di lui; disse: «Questa lezione come
si può fornire per noi segretamente, mandando
lettere
con nostra bolla, che
nol senta il
collegio de' nostri
frati cardinali?». Rispuose il cardinale: «Fa'
a llui
e
a'
lettori tue
lettere col piccolo e segreto
suggello,
e io scriverò loro per mie
lettere più
a pieno il
tuo
intendimento, e
manderolle per mio famigliare»; e
così fu fatto. E come piacque
a dDio, giunti i messaggi
ne la Magna e presentate le
lettere, in
otto dì i
prencipi de la Magna furono congregati
a
Midelborgo,
e ivi sanza niuno
discordante
elessero
a re de'
Romani
Arrigo
conte di
Luzzimborgo; e ciò fu per la
industria e
studio
del detto cardinale, che scrisse
a'
prencipi infra l'altre parole: «Fate d'essere in accordo
del tale, e sanza indugio, se non, io sento che la
lezione e la signoria dello 'mperio tornerà
a' Franceschi».
Fatto ciò, la lezione fu pubblicata in
Francia e
in
corte di papa incontanente; non sappiendo il modo
il re di
Francia, che facea l'
apparecchiamento per
andare
a
corte, si tenne ingannato, e mai non fu poi
amico
del detto papa.
L. 9, cap. 102 rubr.Come Arrigo imperadore fue confermato dal papa.
L. 9, cap. 102Nel detto
anno, essendo fatta la lezione d'
Arrigo
di
Luzzimborgo
a re de' Romani, sì mandò
a
Vignone
a
corte
a papa
Clemento per la sua confermazione
il
conte di Savoia suo cognato e messer
Guido di
Namurro
fratello
del
conte di
Fiandra suo
cugino, i
quali dal papa e da' cardinali onorevolemente furono
ricevuti, e
del mese d'
aprile
MCCCVIIII, per lo papa il
detto
Arrigo fue
confermato
a imperadore, e ordinato
che 'l cardinale dal
Fiesco e 'l cardinale di Prato
fossono legati in Italia e in sua compagnia quando
venisse di qua da' monti, comandando da parte de la
Chiesa che da tutti fosse ubbidito. Incontanente che'
suo' ambasciadori furono tornati co la
confermagione
del papa, se n'andò
ad Asia la Cappella in Alamagna
con tutta la baronia e prelati d'Alamagna, e fuvi
il
duca di Brabante, e 'l
conte di
Fiandra, e 'l
conte
d'Analdo, e più baroni di
Francia, e
ad Asia per l'arcivescovo
di
Cologna onorevolemente e sanza nullo
contasto fu de la prima corona
coronato il dì de la
Epifania
MCCCVIII a re de' Romani.
L. 9, cap. 103 rubr.Come i Viniziani presono la città di Ferrara e poi la
perdero.
L. 9, cap. 103Nel detto anno MCCCVIII, a dì X di gennaio, i Viniziani
presono per forza di loro navilio la città di Ferrara,
la quale era de la Chiesa di Roma, e cacciarne
messer Francesco da Esti; per la qual cosa dal sopradetto
papa furono scomunicati, e contra loro fatto
gran processo, e a chi desse aiuto a la Chiesa fu fatta
grande indulgenza per due legati del papa che vennero
in Lombardia, i quali coll'aiuto de' Bolognesi e
della lega di Lombardia de la parte della Chiesa racquistarono
Ferrara, salvo il Castello Tedaldo ch'era
in capo della terra, molto forte e grande, che rimase
a' Viniziani; e in quello mese i Viniziani furono sconfitti
a Francolino, ch'erano venuti per assediare Ferrara,
per la gente della Chiesa.
L. 9, cap. 104 rubr.Come il maestro dello Spedale prese l'isola di Rodi.
L. 9, cap. 104Nell'
anno
MCCCVIII,
del mese di febbraio, i
frieri
dello Spedale ebbono grandi privilegi dal detto papa
Chimento di grandi perdonanze
a chi facesse loro
aiuto
al conquisto d'oltremare, e per Italia andarono
predicando, e raunarono moneta assai, e poi la state
vegnente il loro maestro da Napoli fece suo passaggio,
e presono l'isola di
Rodi in
Turchia con grande
danno de' Saracini e de' Greci.
L. 9, cap. 105 rubr.Come il re d'Araona s'apparecchiò di venire in Sardigna.
L. 9, cap. 105Nel detto anno e mese, apparecchiandosi il re
d'Araona di venire a prendere Sardigna, e avea richesti
i Fiorentini e' Lucchesi e la taglia di Toscana
di fare compagnia co· lloro a guerreggiare i Pisani, i
detti Pisani gli mandarono loro ambasciadori in tre
galee con molta moneta, onde il detto re si rimase de
la detta impresa.
L. 9, cap. 106 rubr.Come i Guelfi furono cacciati di Prato, e poi lo racquistarono.
L. 9, cap. 106Nell'anno MCCCVIIII, a dì VI d'aprile, i Bianchi e'
Ghibellini di Prato ne cacciarono fuori i Guelfi e'
Neri; il seguente dì fu per loro ricoverato coll'aiuto
de' Fiorentini e de' Pistolesi, e per gli Fiorentini vi fu
messa la signoria.
L. 9, cap. 107 rubr.
Come i Tarlati tornarono inn Arezzo e cacciarne i
Guelfi.
L. 9, cap. 107Nel detto anno, a dì XXIIII del mese d'aprile, i
Tarlati d'Arezzo co· lloro parte ghibellina tornarono
in Arezzo, e cacciarne fuori i Guelfi e' Verdi, e uccisonne
assai, e ruppono la pace ch'aveano co' Fiorentini.
L. 9, cap. 108 rubr.Quando morì il re Carlo secondo.
L. 9, cap. 108Nel detto anno, il dì di Pentecosta, a dì III di maggio,
morì il re Carlo secondo, il quale fu uno de' larghi
e graziosi signori ch'al suo tempo vivesse, e nel
suo regno fu chiamato il secondo Allessandro per la
cortesia; ma per altre virtù fu di poco valore, e magagnato
in sua vecchiezza disordinatamente in vizio
carnale, e d'usare pulcelle, iscusandosi per certa malattia
ch'avea di venire misello; e lui morto, a Napoli
fu soppellito a grande onore.
L. 9, cap. 109 rubr.
De' segni ch'aparirono in aria.
L. 9, cap. 109Nel detto anno MCCCVIIII, a dì X di maggio, di
notte, quasi al primo sonno, apparve in aria uno
grandissimo fuoco, grande in quantità d'una grande
galea, correndo da la parte d'aquilone verso il meriggio
con grande chiarore, sì che quasi per tutta Italia
fu veduto, e fu tenuto a grande maraviglia; e per gli
più si disse che fu segno de la venuta
dello 'mperadore.
L. 9, cap. 110 rubr.Come i Fiorentini ricominciarono guerra ad Arezzo.
L. 9, cap. 110Nel detto anno, dì XXIII di maggio, cavalcarono i
Fiorentini CC cavallate e certi pedoni, e la masnada
de' Catalani col maliscalco del duca al Monte San
Savino, che si tenea per gli Fiorentini, e di là andaro
in sul contado d'Arezzo ardendo e guastando, e furono
infino a le porte d'Arezzo, e feciono dannaggio
assai. Poi a dì VIII di giugno si tornarono in Firenze
sani e salvi.
L. 9, cap. 111 rubr.
Come i Lucchesi vollono disfare Pistoia, e' Fiorentini
furono contradianti.
L. 9, cap. 111Nel detto anno, in calen di giugno, i Lucchesi
vennero a Serravalle, popolo e cavalieri, innanimati
di disfare Pistoia al tutto, o almeno la loro metade; la
qual cosa a' Fiorentini non piacque, parendo loro
spietata e crudel cosa. Diedono parola a' Pistolesi
che si difendessono, e a chi di Firenze gli volesse aiutare,
sì che coll'aiuto di messer Lippo Vergellesi, che
tenea il castello de la Sambuca, essendo i Lucchesi
già a Pontelungo, gli ripararo con danno e vergogna
di loro. Per la qual cosa i Fiorentini aconsentiro a'
Pistolesi che rifermassono la terra; i quali in due dì
rimondarono i fossi e rifeciono gli steccati con bertesche
intorno a la città, e a cciò furono uomini, e donne,
e preti, e fanciulli, che fu tenuto gran cosa. La
quale benignità e pietà de' Fiorentini tornò loro poi
per più volte molto contradia, con grandi pericoli e
spendii de' Fiorentini, sì come innanzi per gli tempi
si farà menzione, e più volte poi fu più commendata
la furia de' Lucchesi, che la piatà e astinenza de' Fiorentini.
L. 9, cap. 112 rubr.
Come il re Ruberto fu coronato del regno di Cicilia
e di Puglia.
L. 9, cap. 112Anno MCCCVIIII, del mese di giugno, il duca Ruberto,
allora primogenito del re Carlo, andò per mare
da Napoli in Proenza a la corte con grande navilio
di galee e grande compagnia, e fue coronato a re di
Cicilia e di Puglia da papa Clemento il dì di santa
Maria di settembre del detto anno, e aquetato di tutto
il presto che la Chiesa avea fatto al padre e a l'avolo
per la guerra di Cicilia, il quale si dice ch'erano
più di CCC migliaia d'once d'oro. Nel detto mese e
anno i Guelfi furono cacciati d'Amelia per la forza
de' Colonnesi.
L. 9, cap. 113 rubr.Come gli Ancontani furono sconfitti dal conte Fedrigo.
L. 9, cap. 113Nel detto anno e mese di giugno il conte Fedrigo
da Montefeltro con quegli da Iegi, e d'Osimo, ed altri
Marchigiani ghibellini sconfissono gl'Ancontani
ch'erano a oste sopra il contado di Iegi: furonne tra
presi e morti, tra di cavallo e di piè, più di Vm.
L. 9, cap. 114 rubr.
Come messer Ubizzino Spinoli fu cacciato di Genova e
sconfitto.
L. 9, cap. 114Nel detto anno MCCCVIIII, dì XI di giugno, essendo
messer Ubizzino Spinoli signore di Genova, e
cacciatine più tempo dinanzi i Guelfi, e poi gli Ori e
loro séguito, e gli Spinoli suoi consorti da basso, e la
terra tenea quasi a guisa di tiranno, i detti usciti, così
i Guelfi come i Ghibellini, fatta lega e compagnia
vennero co· lloro isforzo di gente a cavallo e a piè assai
infino in Ponzevera per rientrare in Genova. Il
detto messer Ubizzino con suo isforzo di gente a cavallo
e popolo di Genova a piè si fece a lo 'ncontro,
gli usciti vigorosamente assalendo il popolo di Genova,
il quale era partito, e male seguiro messer Ubizzino,
ma si misono in fugga, onde fu sconfitto con piccola
mortalità di gente: si fuggì in Serravalle co' suoi
seguagi. Gli Ori, e' Grimaldi, e gli altri usciti si rientrato
in Genova sanza fare altra novità, se non che
feciono disfare il castello di Luccoli ch'era in Genova,
del detto messer Ubizzino.
L. 9, cap. 115 rubr.Come i Viniziani furono sconfitti a Ferrara.
L. 9, cap. 115Nel detto
anno,
a l'uscita di luglio, i Fiorentini
mandarono cavalieri e pedoni in
servigio de la Chiesa
al cardinale
Pelagrù nipote e legato
del papa, il
quale era
al soccorso di
Ferrara, che v'erano i Viniziani
per comune
ad oste per terra e per acqua, onde
il detto legato ebbe
a grande grado da' Fiorentini,
ch'erano interdetti da la Chiesa, e però non lasciaro
il
servigio. Poi il settembre vegnente la gente
del legato
co' Fiorentini e Bolognesi combattero co' Viniziani
e sconfissongli
a dì
XXVII d'
agosto prossimo,
onde rimasono tra morti e presi e anegati in
Po de'
Viniziani più di
VIm uomini, e perdero
al tutto
Ferrara
e 'l Castello
Tedaldo. Poi l'
anno appresso tornando
il detto legato in
Toscana, venne in
Firenze, e per
li Fiorentini gli fu fatto grande onore, e presentargli
IIm fiorini d'oro, e 'l carroccio gli andò incontro con
grande processione; per la qual cosa e
servigio fatto
il detto legato assolvette i Fiorentini de la
'nterdizione
e scomunica, e
riconciliogli
colla Chiesa della
discordia
dove gli aveva
messi messer Nepoleone, come
adietro si fece menzione, e rendé l'oficio
a' Fiorentini
a dì
XXVI di settembre,
anno detto.
L. 9, cap. 116 rubr.De la guerra de' Volterrani e que' di San Gimignano.
L. 9, cap. 116Nel detto
anno
MCCCVIIII,
del mese d'
agosto, si
cominciò grande
guerra tra' Volterrani e que' di San
Gimignano per quistione di loro
confini; e
ciascuno
fece suo isforzo di più di
VIIc cavalieri per parte, e
durò la
guerra più mesi con grande spendio e
dammaggio
dell'una parte e dell'altra, d'arsioni e di guasto
e di più
avisamenti. I Fiorentini e' Sanesi assai si
travagliaro d'aconciargli insieme; quando volea l'uno
non volea l'altro, che si tenea
soverchiato.
A la fine i
Fiorentini vi cavalcaro con grande isforzo, dicendo
d'esser contra la parte che non volesse l'acordo.
Quegli dibattuti di spese e della
guerra, si rimisono
ne' Fiorentini; e per gli Fiorentini fue giudicata e terminata
la quistione, e
messi i termini
a'
confini, e
ciascuno
a' suoi termini fece una fortezza, e fu fatta la
pace. E nel detto mese d'
agosto,
scurò tutta la luna;
e po' l'ultimo dì di gennaio
scurò gran parte
del sole,
e 'l febbraio seguente ancora
scurò la luna. Nel detto
anno fu grande
dovizia di pane e vino: valse lo
staio
del grano in
Firenze soldi
VIII, e 'l
cogno
del mosto
in certe parti meno di soldi
XL.
L. 9, cap. 117 rubr.Come gli Orsini di Roma furono sconfitti da' Colonnesi.
L. 9, cap. 117Nel detto
anno,
del mese d'ottobre, si riscontraro
certi degli
Orsini e di Colonnesi e di loro seguaci, in
quantità di
CCCC a cavallo, fuori di
Roma, e combatterono
insieme, e' Colonnesi furono vincitori, e fuvi
morto il
conte dell'Anguillara, e presi
VI degli
Orsini,
e messer Riccardo de la Rota degli
Anibaldeschi
ch'era in loro compagnia.
L. 9, cap. 118 rubr.Come gente d'Arezzo furono sconfitti dal maliscalco
de' Fiorentini.
L. 9, cap. 118Nel detto
anno, di febbraio, il re Ruberto mandò
in
Firenze sua bandiera
al suo maliscalco ch'era in
Firenze con
CCC cavalieri catalani, che in prima che
fosse
coronato
a re, il suo detto maliscalco portava
pure pennone della sopransegna
del
duca.
Il detto maliscalco per provare la bandiera e per
andare in
servigio di que' de la
Città di Castello, i
quali aveano richesti i Fiorentini d'aiuto contra gli
Aretini, con sua gente
a cavallo e
a piè, con
III de'
maggiori di
Firenze per
sesto, e con certi pedoni
eletti, si partiro di
Firenze martidì
a dì
X di febbraio,
e furono intorno di
CCCL cavalieri e
VIc pedoni. Feciono
la
via di Valdarno e poi per
Vallelunga
a l'olmo
d'
Arezzo, guastando per lo
contado d'
Arezzo.
Gli Aretini, popolo e cavalieri, e usciti di
Firenze,
con Uguiccione da Faggiuola loro capitano sotto
Cortona si pararono loro dinanzi
credendogli avere
sorpresi, gli assaliro per loro feditori, i quali dal detto
maliscalco e Fiorentini furono rotti, e Uguiccione
col popolo si fuggì
ad
Arezzo inn isconfitta, e
rimansovi
morti Vanni de'
Tarlati, e
Cione de'
Gherardini,
e uno de' Pazzi di Valdarno con più altri, e tre di loro
bandiere ne vennero co' pregioni
a
Firenze. Con
tutta la vittoria, fue tenuta folle andata, perché si misono
in forte passo e ne la forza de' nimici.
L. 9, cap. 119 rubr.Come i Fiorentini feciono oste ad Arezzo.
L. 9, cap. 119Nell'anno MCCCX, dì VIII di giugno, i Fiorentini
co· lloro amistà in quantità di IIm cavalieri e popolo a
piè grandissimo si partirono di Firenze per andare
ad oste ad Arezzo. Prima si partissono vennono lettere
e messi da Arrigo imperadore, comandando a'
Fiorentini che l'oste non andasse sopra Arezzo, con
ciò sia cosa ch'ell'era sua terra, e ch'egli intendea di
pacificargli insieme a la sua venuta in Italia. Per la
qual cosa in Firenze n'ebbe quistione, che chi volea e
chi non volea che l'oste v'andasse. A la fine il popolo
pur vinse ch'ell'andasse, e andò infino al vescovado
vecchio d'Arezzo; e quivi si fermò il campo guastando
intorno la terra; e più battaglie si diedono a la
terra; e gran parte degli steccati da quella parte per
gli Fiorentini s'abattero; e dissesi per molti che la
terra s'arebbe avuta per forza, però che gli Aretini
erano in fiebole stato, se non che certi grandi di Firenze
per nudrire la guerra e moneta che n'ebbono -
se 'l vero fu - non l'assentirono. A la fine si partì l'oste,
e lasciaro uno battifolle molto forte presso ad
Arezzo a due miglia al poggio ch'è sopra l'olmo, fornito
di genti cogli usciti d'Arezzo, il quale fece loro
molta guerra; e' Fiorentini tornarono in Firenze sani
e salvi dì XXV di luglio, anno detto.
L. 9, cap. 120 rubr.
Come gli ambasciadori d'Arrigo re de' Romani vennero
in Firenze.
L. 9, cap. 120Nel detto anno, dì III di luglio, vennero in Firenze
messer Luis di Savoia eletto sanatore di Roma con II
prelati cherici d'Alamagna e messer Simone Filippi
da Pistoia, ambasciadori dello 'mperadore, richeggendo
il Comune di Firenze che s'aparecchiassono di
fargli onore a la sua coronazione, e che gli mandassero
loro ambasciadori a Losanna; e richiesono e comandaro
che l'oste ch'era ad Arezzo si dovesse partire.
Fu per gli Fiorentini fatto un grande e bello consiglio,
ove saviamente spuosero loro ambasciata. Risponditore
fu fatto per lo Comune messer Betto Bruneleschi,
il quale prima rispuose con parole superbe
e disoneste, onde da' savi fu biasimato; poi per messer
Ugolino Tornaquinci saviamente risposto, e cortesemente.
Contenti si partiro a dì XII di luglio, e andarono
nell'oste de' Fiorentini ad Arezzo, e feciono
il somigliante comandamento si partisse l'oste; la
quale non si partì per ciò. Rimasersi in Arezzo i detti
ambasciadori assai indegnati contro a' Fiorentini.
L. 9, cap. 121 rubr.Di miracolosa gente che s'andarono battendo in Italia.
L. 9, cap. 121Nel detto
anno apparì grande maraviglia, che si
cominciò in Piemonte, e venne per Lombardia e per
la riviera di
Genova, e poi per
Toscana, e poi quasi
per tutta Italia, che molta gente
minuta, uomini e
femmine e fanciulli sanza
numero, lasciavano i loro
mestieri e bisogne, e
colle
croci innanzi s'andavano
battendo di luogo in luogo, gridando misericordia, e
faccendo fare l'uno
a l'altro molte paci, tornando più
genti
a penitenzia. I Fiorentini e più altre
città non
gli lasciarono
entrare in loro terre, ma gli
scacciavano
dicendo ch'era male
segnale nella terra ove
intrassero.
E nel detto tempo,
a di
XII di maggio, il re di
Francia fece
a Parigi ardere il maestro
del Tempio
con
LIIII suoi
frieri de' maggiori de la
magione, opponendo
loro
resia; ma i più dissono che fu loro fatto
torto per occupare le loro possesioni, e
a la loro
morte
riconoscendosi e confessandosi buoni Cristiani.
L. 10, cap. 1 rubr.
Qui comincia il libro X: come Arrigo conte di Luzzimborgo
fu fatto imperadore.
L. 10, cap. 1
Arrigo
conte di
Luzzimborgo imperiò
anni
IIII,
mesi
VII e dì
XVIII, da la prima corona infino
a la sua
fine. Questi fue savio e giusto e grazioso,
prode e
sicuro
in arme, onesto e cattolico; e di piccolo stato
che fosse per suo lignaggio, fue di magnanimo cuore,
temuto e ridottato; e se fosse vivuto più lungamente
avrebbe fatte grandissime cose. Questi fu eletto
a imperadore
per lo modo scritto addietro, e incontanente
ch'ebbe la confermazione dal papa si fece coronare
in Alamagna
a re; e poi tutte le
discordie de' baroni
de la Magna
pacificò, con sollecito intendimento
di venire
a
Roma per la corona imperiale, e per
pacificare
Italia de le diverse
discordie e guerre che v'erano,
e poi di seguire il passaggio oltremare in
racquistare
la Terrasanta, se Dio gliel'avesse conceduto.
Questi stando in Alamagna per
pacificare i baroni, e
fornirsi di moneta e di gente per passare i monti,
Vincislao re di
Boemmia morì,
del quale non rimase
nulla
reda maschio, se non
due figliuole; l'una già
moglie
del
dogio di Chiarentana, l'altra per
consiglio
de' suoi baroni
diè per moglie
a Giovanni suo figliuolo,
e lui ne coronò re di
Boemmia, e
lasciollo in suo
luogo in Alamagna.
L. 10, cap. 2 rubr.Come parte guelfa fu cacciata di Vinegia.
L. 10, cap. 2Nell'anno MCCCX, del mese di giugno, fatta congiura
in Vinegia per quegli della casa di Querini, e
per messer Bruiamonte de lo Scopolo di Vinegia col
loro séguito, per abbattere il dogio ch'allora era in
Vinegia da ca' Grandanigo e' suoi seguaci, quasi recata
la terra a parte, Guelfi e Ghibellini si combattero
per le dette parti ne la città. A la fine que' da ca'
Querini e loro séguito Guelfi furono vinti e cacciati
della terra, e guasti i loro palazzi (e fue la prima disfazione
di casa che fosse mai fatta in Vinegia), e certi
di loro caporali presi furono dicollati, e co· lloro
due gentili uomini di Firenze, uno degli Adimari, e
uno de' Sizii, ch'erano in loro compagnia.
L. 10, cap. 3 rubr.De le profezie di maestro Arnaldo da Villanuova.
L. 10, cap. 3Nel detto
anno
MCCCX maestro
Arnaldo da Villanuova
di
Proenza gran savio filosafo in Parigi
questionava,
e
annunziava per argomenti de le
profezie
di
Daniello e de la Sibilla
Eritea che l'avento d'Anticristo
e persecuzione de la Chiesa
dovea essere tra 'l
MCCC e 'l
MCCCC, quasi intorno
al
LXXVI anno, e di
ciò fece uno
libro il quale
intitolò
Della speculazione
de l'avento Anticristi, per la qual cosa fu tenuto
nuovo
errore di fede. Partissi di Parigi per tema dello
'nquisitore, però che gli altri maestri di Parigi il faceano
perseguitare, e
andonne in Cicilia
a
don
Federigo,
e poi in suo
servigio morì in
mare, andando per
ambasciadore
a
corte di papa.
L. 10, cap. 4 rubr.Come in Ferrara si fece congiura per ribellare la terra
a la Chiesa.
L. 10, cap. 4Nel detto anno, del mese di luglio, congiurazione
si fece in Ferrara per rubellare la terra a la Chiesa, e
quasi l'aveano rubellata. Il legato cardinale Pelagrù
subitamente la soccorse coll'aiuto de' Bolognesi; e
mostrando di riformare la terra, fece consiglio de'
cittadini in Castello Tedaldo, e ritenne XXXVI de' migliori
e maggiori de la terra, e subitamente gli fece
impiccare in sulla piazza di Ferrara; e poi a dì XXII
d'agosto il detto cardinale venne in Firenze, e fugli
fatto grande onore da' Fiorentini, come dicemmo
adietro.
L. 10, cap. 5 rubr.
Come i Todini furono sconfitti da' Perugini.
L. 10, cap. 5Nel detto anno e mese di luglio i Perugini feciono
oste a Todi, e mandarono per aiuto a' Fiorentini, i
quali vi mandarono il mariscalco del re, ch'era al loro
soldo, con CCC cavalieri. I Todini uscirono fuori a
battaglia, e furono sconfitti con grande danno di loro
gente, di morti e presi assai per lo valore del detto
maliscalco e di sue masnade.
L. 10, cap. 6 rubr.Come i Guelfi furono cacciati di Spuleto.
L. 10, cap. 6Nel detto mese di luglio furono cacciati i Guelfi di
Spuleto per Currado di Nastagio di Filigno, grande
capitano di parte ghibellina, co la forza de' Todini.
Poi i Perugini per più tempo feciono oste e guerra
assai a Spuleto; poi l'anno appresso accordo fu tra lloro
e' Todini e gli Spuletini, e rimessi i Guelfi in
Todi e in Spuleto.
L. 10, cap. 7 rubr.Come Arrigo imperadore si partì de la Magna per
passare in Italia.
L. 10, cap. 7Nel detto
anno
MCCCX lo 'mperadore venne
a Losanna
del mese di
con
poca gente, attendendo il
suo isforzo e l'ambascerie de le
città d'Italia, e ivi dimorò
più mesi. Sentendo ciò i Fiorentini, ordinaro
di mandargli una ricca ambasceria, e simigliante i
Lucchesi, e' Sanesi, e l'altre terre della lega di
Toscana;
e già erano eletti gli ambasciadori, e levati i panni
per le robe per loro vestire onoratamente. Per certi
grandi Guelfi di
Firenze si sturbò l'andata, temendo
che sotto inganno di pace lo 'mperadore non rimettesse
gli usciti ghibellini in
Firenze e gli ne facesse signori;
e in questo si prese il sospetto, e appresso lo
sdegno, onde
seguì grande
pericolo
a tutta Italia, che
essendo gli ambasciadori di
Roma e que' di
Pisa e
dell'altre
città
a Losanna in Savoia, lo 'mperadore
domandò perché non v'erano que' di
Firenze; per gli
ambasciadori degli usciti di
Firenze fu risposto
al signore
ch'egli aveano sospetto di lui. Allora disse lo
'mperadore: «Male hanno fatto, che nostro intendimento
era di volere i Fiorentini tutti, e non partiti,
a
buoni fedeli, e di quella
città fare nostra camera e la
migliore di nostro imperio». E di certo si seppe da
gente ch'erano appresso di lui ch'elli era infino allora
con puro animo in mantenere quegli che reggeano
Firenze in loro stato, e gli usciti n'aveano grande
paura; che d'allora innanzi per questo isdegno e per
mala informazione de' suoi ambasciadori venuti
a
fFirenze,
e de' Ghibellini, e Pisani, s'apprese
al contradio.
Per la qual cosa, l'
agosto presente, i Fiorentini
entrati in sospetto feciono
M cavalieri cittadini di
cavallate, e si cominciarono
a guernire di soldati e di
moneta, e
a fare lega col re Ruberto e con più
città di
Toscana e di Lombardia, per isturbare la venuta e
coronazione dello imperadore; e' Pisani acciò che
passasse, sì mandarono
LXm fiorini d'oro, e altrettanti
gli
promisono quando fosse in
Pisa; e con questo
aiuto si mosse da Losanna, ché da ssé non era ricco
signore di moneta.
L. 10, cap. 8 rubr.Come il re Ruberto venne in Firenze tornando da la
sua coronazione.
L. 10, cap. 8Nel detto anno MCCCX, di XXX di settembre, il re
Ruberto venne in Firenze tornando da Vignone, dov'
era la corte del papa, da la sua coronazione: albergò
in casa de' Peruzzi dal Parlagio, e da' Fiorentini
gli fu fatto grande onore, e armeggiata, e presenti
grandi di moneta, e dimorò in Firenze infino a XXIIII
dì d'ottobre per riconciliare i Guelfi insieme, ch'erano
divisi per sette intra lloro, e per trattare al riparo
dello 'mperadore. In riconciliargli poco potéo adoperare;
tanto era l'errore cresciuto tra lloro, come
adietro è fatta menzione.
L. 10, cap. 9 rubr.
Come Arrigo imperadore entròe in Italia, e ebbe la
città di Milano.
L. 10, cap. 9Nell'
anno
MCCCX, all'uscita di settembre, lo 'mperadore
si partì da Losanna con sua gente, e passò la
montagna di Monsanese, e all'
entrata d'ottobre arrivò
a Torino in Piemonte; appresso giunse ne la
città
d'Asti, dì
X d'ottobre. Per gli Astigiani fu ricevuto
pacificamente per signore,
andandogli incontro con
grande processione e festa, e tutte le
discordie tra gli
Astigiani
pacificò. In Asti attese sue genti, e inanzi si
partisse ebbe presso
a
IIm oltramontani
a cavallo. In
Asti soggiornò più di
due mesi, però che in quello
tempo tenea la signoria di Milano messer Guidetto
de la Torre, uomo di grande senno e podere, il quale
avea tra soldati e cittadini più di
IIm uomini
a cavallo,
e per sua forza e tirannia teneva fuori di Milano i Visconti
e loro parte ghibellina, e eziandio l'arcivescovo
suo
consorto con più altri Guelfi. Questo messer
Guidetto avea lega co' Fiorentini e cogli altri Guelfi
di
Toscana e di Lombardia, e contendea la venuta
dello 'mperadore, e sarebbegli venuto fatto, se non
che' suoi
consorti medesimi co· lloro séguito
condussero
lo 'mperadore
a venire
a Milano col
consiglio
del cardinale dal
Fiesco legato
del papa. Messer Guidetto
non possendo
al tutto riparare, asentì
a la sua
venuta contra sua voglia; e così
entrò lo 'mperadore
in Milano la villa de la festa di
Natale, e il dì di
Bifania,
dì
VI di gennaio, fu
coronato in Santo Ambruogio
da l'arcivescovo di Milano de la seconda corona
del ferro onorevolemente egli e la moglie. E
a la detta
coronazione furono gli ambasciadori quasi di tutte
le
città d'Italia, salvo quegli di
Firenze e di loro lega.
E dimorando in Milano,
pacificò tutti i Milanesi insieme,
e
rimisevi messer
Maffeo Visconti e sua parte,
e l'arcivescovo e' suoi, e ogni uomo che n'era di fuori.
E quasi tutte le
città e signori di Lombardia vennero
a fare le comandamenta, e
dargli grande quantità
di moneta; e in tutte le terre mandò suo vicaro,
salvo Bologna e Padova, ch'erano contra lui
a la lega
de' Fiorentini.
L. 10, cap. 10 rubr.Come i Fiorentini chiusono di fossi le nuove cerchie
della cittade.
L. 10, cap. 10Nel detto
anno, il dì di santo Andrea, i Fiorentini
per tema della venuta dello 'mperadore sì ordinarono
a chiudere la
città di fossi da la porta
a San
Gallo
infino
a la porta di Santo Ambruogio, overo detta la
Croce
a Gorgo, e poi infino
al fiume d'Arno: e poi,
da la porta di San
Gallo infino
a quella dal Prato
d'Ognesanti erano già fondate le
mura, sì le feciono
inalzare
VIII braccia. E questo lavoro fu fatto sùbito
e in poco tempo, la qual cosa
fermamente fu poi lo
scampo de la
città di
Firenze, come innanzi si farà
menzione; imperciò che la
città era tutta
schiusa, e le
mura vecchie quasi gran parte disfatte, e vendute
a'
prossimani vicini per allargare la
città vecchia, e
chiudere i borghi e la giunta
nuova.
L. 10, cap. 11 rubr.Come quegli de la Torre furono cacciati di Milano.
L. 10, cap. 11Nel detto
anno, dì
XI del mese dì febbraio, veggendosi
messer Guidetto de la Torre fuori de la signoria
di Milano, e
Maffeo Visconti e gli altri suoi
nimici assai innanzi
a lo 'mperadore, si pensò di rubellare
a lo 'mperadore la
città di Milano, che v'avea
col signore
poca cavalleria, ch'era andata e sparta
per le
città di Lombardia, e sarebbegli venuto fatto,
se non che
Maffeo Visconti, molto savio, ne fece aveduto
lo 'mperadore e 'l maliscalco suo e 'l
conte di
Savoia. Per la qual cosa la
città si levò
a romore e
ad
arme, e alcuna battaglia v'ebbe: altri dissono che
messere
Maffeo Visconti per suo senno e sagacità lo
'ngannò per farlo sospetto de lo 'mperadore, vegnendo
a llui segretamente, e
dolendosi de la signoria
dello 'mperadore e de' Tedeschi, mostrando ch'amasse
meglio la libertà di Milano che sì fatta signoria;
e innanzi volea lui per signore che lo 'mperadore,
e ch'egli co' suoi gli
darebbe ogni aiuto e favore
per cacciarne lo 'mperadore.
Al quale trattato messer
Guidetto intese, fidandosi dell'antico nimico, per
volontà di ricoverare suo stato e signoria, o che fosse
per li suoi peccati, ch'assai n'avea; e
approvossi la
risposta
di messer
Maffeo, la quale gli fece per l'uomo
di
corte, come
contammo adietro. Messer
Maffeo
sotto la detta
promessa il tradì, e tutto il
palesò
a lo
'mperadore e
al suo
consiglio; e
a questo
diamo assai
fede per quello ne sentimo poi da savi Lombardi
ch'allora erano in Milano. E per questa cagione fu richesto
dallo 'mperadore messere Guidetto de la Torre
che si
scusasse; non comparì, ma si partì con suoi
seguaci di Milano, opponendo che non avea colpa
del
tradimento, ma che' suoi nimici gli aveano ciò
apposto per distruggerlo e
cacciarlo di Milano. Per
gli più si
credé pure che colpa avesse, però ch'egli
era in lega co' Fiorentini e co' Bolognesi e
coll'altre
città guelfe, e si disse che ne
dovea avere moneta assai
da' Fiorentini e loro lega. Ma quale si fosse la cagione,
e incontanente per le dette
sodduzioni sì rubellò
a lo 'mperadore la
città di Chermona, dì
XX di
febbraio, e questa
rubellazione e l'altre di Lombardia
furono di certo con industria e spendio de' Fiorentini
per dare tanto
a ffare in Lombardia
a lo 'mperadore
che non potesse venire in
Toscana. In questo
tempo i Ghibellini di Brescia cacciarono fuori i
Guelfi, e simigliante avenne in Parma; per la qual
cosa lo 'mperadore mandò suo vicario e gente in
Brescia, e fece fare l'accordo, e rimettere i Guelfi
nella terra, i quali poco appresso veggendosi forti ne
la terra, e rubellata Chermona, e
confortati da' Fiorentini
e Bolognesi con danari e grandi
impromesse,
cacciarono i Ghibellini di Brescia, e
al tutto si rubellarono
a lo 'mperadore, e s'apparecchiaro di farli
guerra.
L. 10, cap. 12 rubr.Come in Firenze ebbe grande caro, e altre novitadi.
L. 10, cap. 12Nel detto anno MCCCX, dal dicembre al maggio
vegnente, in Firenze ebbe grandissimo caro, che lo
staio del grano valse uno mezzo fiorino d'oro, ed era
tutto mischiato di saggina. E in questo tempo l'arti e
la mercatantia non istette in Firenze mai peggio, e
spese di Comune grandissime, e gelosie e paure per
l'avento dello 'mperadore. In quello tempo, a l'uscita
di febbraio, i Donati uccisono messer Betto Brunelleschi,
e poco appresso i detti Donati e' loro parenti
e amici raunati a San Salvi disotterraro messer Corso
Donati, e feciono gran lamento e l'uficio come allora
fosse morto, mostrando che per la morte di messer
Betto fosse fatta la vendetta, e ch'egli fosse stato consigliatore
della sua morte, onde tutta la città ne fu
quasi ismossa a romore.
L. 10, cap. 13 rubr.
Come in Firenze vennono orlique di santo Barnaba.
L. 10, cap. 13Nel MCCCXI, dì XIII d'aprile, vennero in Firenze
reliquie del beato appostolo santo Barnaba, le quali
mandò da corte di papa il cardinale Pelagrù al Comune
di Firenze, perché sapea che' Fiorentini l'aveano
in grande devozione. E fune fatta in Firenze grande
reverenza e solennità, e furono riposte nell'altare
di Santo Giovanni.
L. 10, cap. 14 rubr.Come lo 'mperadore assediò Chermona, e sua gente
ebbe Vincenza.
L. 10, cap. 14Nel detto
anno, dì
XII del mese d'
aprile, faccendo
lo 'mperadore oste sopra Chermona, mandò il vescovo
di
Ginevra suo
cugino con
IIIc cavalieri oltramontani,
e co la forza di messer Cane de la Scala di Verona
subitamente tolse la
città di Vincenza
a' Padovani,
e quegli ch'erano di Padova nel castello per paura
sanza difendersi
abandonarono la fortezza, la quale
perdita fue grande isbigottimento
a' Padovani e
a
tutta loro parte; per la qual cosa poco tempo appresso
s'acconciarono
collo imperadore, e
diedongli la signoria
di Padova, e
Cm fiorini d'oro in più paghe, e 'l
suo vicaro ricevettono. Il detto vescovo di
Ginevra
andò poi
a Vinegia e richiese i Viniziani da parte de
lo 'mperadore d'aiuto: feciongli grande onore, e donargli
per
comperare pietre preziose per la sua corona
libbre
M di viniziani grossi. E in Vinegia di que'
danari e d'altri si fece la corona e la sedia imperiale
molto ricca e nobile, d'ariento
dorata la sedia, e d'oro
con molte pietre preziose la corona.
L. 10, cap. 15 rubr.Come lo 'mperadore ebbe la città di Chermona.
L. 10, cap. 15Nel
MCCCXI, dì
XX d'
aprile, essendo lo 'mperadore
ad oste
a Chermona, essendo la
città molto stretta
perché s'erano male proveduti per la loro sùbita
ribellazione,
rendero la
città
a lo 'mperadore
a misericordia
per trattato dell'arcivescovo di Ravenna, il
quale gli ricevette e
perdonò loro, e fece disfare le
mura e tutte le fortezze de la
città, e di moneta forte
gli
gravò. E avuta Chermona, incontanente andò
ad
oste sopra la
città di Brescia
a dì
XIIII di maggio, e là
si trovò con più isforzo e con maggiore cavalleria e
migliore ch'egli avesse mai, che di vero si trovò più
di
VIm buoni uomini di cavallo, i
IIIIm e più, Tedeschi
e Franceschi e Borgognoni e gentili uomini, e gli altri,
Italiani; che auto lui Milano e poi Chermona, più
grandi signori de la Magna e di
Francia il vennero
a
servire, e chi
a soldo, e molti per amore. E di certo
s'allora avesse lasciata la 'mpresa de l'assedio di Brescia
e venutosene in
Toscana, egli aveva
a
queto Bologna,
Firenze, Lucca, e Siena, e poi
Roma, e 'l regno
di Puglia, e tutte le terre contrarie, però che non
erano forniti né proveduti, e gli animi de le genti
molto variati, perché 'l detto imperadore era tenuto
giusto signore e benigno. Piacque
a Dio ristesse
a
Brescia, il quale assedio molto il consumò di genti e
di podere per grande
pestilenzia di
morte e malatie,
come innanzi farò menzione.
L. 10, cap. 16 rubr.Come i Fiorentini per la venuta dello 'mperadore
trassono di bando tutti i Guelfi.
L. 10, cap. 16Nel detto anno, a dì XXVI d'aprile, avendo i Fiorentini
novelle come Vincenza e Chermona erano
rendute a lo 'mperadore, e come andava all'asedio di
Brescia, per fortificarsi feciono appresso dicreto e
ordine, e trassono di bando tutti i cittadini e contadini
guelfi di che che bando si fosse, pagando certa
piccola gabella: feciono più ordini di leghe in città e
in contado e coll'altre terre guelfe di Toscana.
L. 10, cap. 17 rubr.Come i Fiorentini con tutte le terre guelfe di Toscana
feciono lega insieme contra lo 'mperadore.
L. 10, cap. 17Nel detto
anno
MCCCXI, in calen di giugno, i Fiorentini,
Bolognesi, Sanesi, Lucchesi,
Pistolesi, e' Volterrani,
e tutte l'altre terre guelfe di
Toscana feciono
parlamento e fermarono lega insieme, e fermarono
taglia de' cavalieri, e
giurarsi insieme
a la difensione
e contasto dello 'mperadore. E appresso,
a dì
XXVI di
giugno, i Fiorentini mandarono
a Bologna il maliscalco
del re con
IIIIc cavalieri catalani, ch'erano
al
loro soldo per la guardia di Bologna, e per contastare
a lo 'mperadore se venisse da quella parte; e simigliante
vi mandaro i Sanesi e' Lucchesi, e dimorarvi
più mesi tra in Bologna e in
Romagna in
servigio
del
re Ruberto.
L. 10, cap. 18 rubr.Come il re Ruberto fece pigliare per inganno i Ghibellini
di Romagna.
L. 10, cap. 18Nel detto anno, dì VIII di luglio, venne in Firenze
messer Giliberto da Santiglia con CC cavalieri catalani
e Vc mugaveri a piè, che gli mandava il re Ruberto
in Romagna per visconte, però che 'l papa avea fatto
lo re conte di Romagna. Come fu di là, co la forza
del maliscalco prese tutti i caporali ghibellini di Forlì,
e di Faenza, e d'Imola, e dell'altre terre di Romagna,
e misegli in pregione perché non gli rubellassono
la terra, e acomiatòne tutti i Ghibellini e' Bianchi
usciti di Toscana che v'erano.
L. 10, cap. 19 rubr.
Come il marchese del papa prese Fano e Pesaro.
L. 10, cap. 19Nel detto anno, a l'entrante di settembre, il marchese
ch'era ne la Marca per lo papa prese la città di
Fano e quella di Pesaro, che s'erano rubellate a la
Chiesa.
L. 10, cap. 20 rubr.Come lo 'mperadore Arrigo ebbe la città di Brescia
per assedio.
L. 10, cap. 20Nel detto
anno
MCCCXI, essendo lo 'mperadore
ad
oste
a Brescia, più assalti v'ebbe, ove morì gente assai
di que' d'
entro e di que' di fuori,
intra' quali fu
morto
a uno assalto, d'uno quadrello di balestro
grosso, messer
Gallerano di
Luzzimborgo, fratello
carnale e maliscalco dello 'mperadore, e più altri baroni
buoni cavalieri; onde fu grande spavento
a tutta
l'oste. E per quella baldanza i Bresciani uscendo
ispesso fuori
ad assalire l'oste,
del mese di giugno
parte di loro furono rotti e sconfitti, e furonne presi
da
XL de' maggiori della terra, e morti ben
CC,
intra'
quali presi fue messere
Tebaldo
Brusciati, il quale
era capo della gente d'
entro, e uomo di grande
valore,
ed era stato amico dello 'mperadore, e avealo rimesso
in Brescia quando ne furono cacciati i Guelfi:
fecelo
isquartare
a
quattro
cavagli come traditore, e
più altri fece dicapitare, onde il podere de' Bresciani
molto
affiebolìo; ma però que' d'
entro non lasciarono
la difensione della
città. In quello assedio si corruppe
l'aria per la puzza de'
cavalli e della lunga
stanza
del campo, onde v'ebbe grandissima infermità
e d'
entro e di fuori, e
amalaro gran parte degli oltramontani,
e molti grandi baroni vi morirono, e se ne
partirono per la malatia, e
morirne poi in
cammino.
Intra gli altri vi morì il valente messer
Guido di
Namurro
fratello
del
conte di
Fiandra, che fu capo de'
Fiamminghi
a la sconfitta di Coltrai, uomo di gran
valore e rinnomea; per la quale cagione i più dell'oste
consigliavano lo 'mperadore se ne partisse. Egli
sentendo
maggiormente la difalta dentro, sì de la
'nfertà e mortalità, e sì di vittuaglia, si fermò di non
partirsi, ch'egli avrebbe la terra. Quegli di Brescia,
fallendo loro la
vivanda, per mano
del cardinale dal
Fiesco si renderono
a la misericordia dello 'mperadore
a dì
XVI di settembre nel detto
anno. Com'ebbe
la
città, le fece disfare tutte le
mura e le fortezze, e
condannogli in
LXXm fiorini d'oro, e con gran fatica
in più tempo per loro male stato gli ebbe; e
C de' migliori
della
città, grandi e popolari, mandò
a'
confini
in diverse
parti. Partito dall'oste da Brescia con sua
grande
perdita e
dammaggio, che il quarto de la sua
gente non gli era rimasa, e quella gran parte inferma,
fece suo
parlamento in Chermona. Quivi per
sodduzione
e
conforto de' Pisani e de' Ghibellini e Bianchi
di
Toscana, si fermò di venire
a
Genova e là riformare
suo stato, e in Milano lasciò per vicaro e capitano
messer
Maffeo Visconti, e in Verona messer Cane
della Scala, e in Mantova messer
Passerino di
Bonaposi,
e in Parma messer
Ghiberto da
Coreggia, e così
in tutte l'altre terre di Lombardia lasciò
a tiranni,
non possendo altro per lo suo male stato, e da
ciascuno
ebbe moneta assai, e
brivileggiogli de le dette
signorie.
L. 10, cap. 21 rubr.Come i Fiorentini e' Lucchesi guernirono le frontiere
per la venuta dello 'mperadore.
L. 10, cap. 21Nel detto anno, a dì XVII d'ottobre, i Fiorentini
sentendo che llo 'mperadore venia a Genova, presono
in guardia il castello e la rocca di Samminiato del
Tedesco, e fornirlo di cavalieri e di pedoni, e mandarono
gente a Volterra, acciò che non si rubellasse per
gli Ghibellini a lo 'mperadore o a sua parte; e' Lucchesi
fornirono tutte le castella di Lunigiana e del
Valdarno di ponente.
L. 10, cap. 22 rubr.Come papa Chimento diede legati a lo 'mperadore
Arrigo che 'l coronassono.
L. 10, cap. 22Negli
anni di Cristo
MCCCXI papa
Chimento
a la
richesta de lo 'mperadore, non potendo in persona
venire
a
Roma
a
coronarlo per cagione
del
concilio
ordinato, mandò il vescovo d'Ostia cardinale da Prato
legato, che potesse in ciò come la persona
del papa;
il quale fu co· llui in
Genova
del mese
; e
mandò il detto papa legato in Ungheria messer Gentile
da
cardinale per coronare
Carlo
Rimberto, figliuolo
che fu di
Carlo
nipote
del re Ruberto,
del
reame d'Ungheria, e per
dargli
favore della Chiesa.
E così fece, e dimorovvi più tempo in Ungheria il
detto cardinale, tanto ch'ebbe conquistato quasi tutto
il paese il detto
Carlo, e lui
coronato paceficamente.
E alla sua tornata in Italia
del detto cardinale ebbe
comandamento dal papa che tutto il
tesoro della
Chiesa ch'era
a
Roma e in altre terre
del
Patrimonio
conducesse di là da' monti
a llui, il quale così fece infino
a la
città di Lucca. Di là no· llo potéo più innanzi
conducere per terra né per
mare, perché la riviera di
Genova così per terra come per
mare era tutta scommossa
a
guerra per le parti, Guelfi e Ghibellini, per
la venuta dello 'mperadore.
Lasciollo in Lucca nella
sagrestia di San Friano, il quale
tesoro fu poi rubato
per gli Ghibellini, come innanzi faremo menzione.
L. 10, cap. 23 rubr.Come papa Chimento fece concilio a Vienna in Borgogna,
e canonizzò santo Lodovico figliuolo del re
Carlo.
L. 10, cap. 23Nel detto
anno
MCCCXI, per calen di novembre, il
detto papa
Chimento celebrò
concilio
a Vienna in
Borgogna per la
promessa fatta
al re di
Francia, per
cagione della quistione mossa per lo detto re contra
la memoria di papa Bonifazio, come adietro facemmo
menzione, ov'ebbe più di
CCC vescovi, sanza gli
abati e prelati; e
durò infino
In quello
concilio
si dichiarò che papa Bonifazio era stato cattolico, e
non in caso di
resia ove il re di
Francia gli mettea
adosso, e trovossi modo per contentare il re di
Francia,
e fecesi
dicreto che per offesa che 'l re di
Francia
avesse fatta
al detto papa Bonifazio o
a la Chiesa mai
a llui né
a sue rede potesse essere opposto né dato
briga; e
ordinossi che tutti i beni e possessioni ch'erano
state della
magione
del Tempio, fossono della
magione dello Spedale, le quali
convenne che la
magione
dello Spedale ricomperasse grandissimo
tesoro
da re e da' signori che ll'aveano occupate; onde la
magione dello Spedale si
credette essere ricca, e per
lo grande debito venne in male stato.
Al detto
concilio
fu il re di
Francia e più signori, e
fecionvisi più
costituzioni, e si cominciò il settimo
libro de'
decretali.
E compiuto il
concilio, il papa se n'andò
a Bordello.
In quello
concilio fu canonizzato
a santo
Lodovico
arcivescovo di Tolosa, frate minore, figliuolo
del re
Carlo e primogenito, e fratello
del re Ruberto,
e per essere religioso lasciò l'onore
mondano e la corona
del reame. Fu uomo benigno e di santa vita, e
molti miracoli mostrò Iddio per lui, e prima
a sua vita
e poi.
L. 10, cap. 24 rubr.
Come lo 'mperadore Arrigo venne nella città di Genova.
L. 10, cap. 24Nel detto anno MCCCXI, a dì XXI d'ottobre, lo
'mperadore venne di Lombardia a Genova con VIc
cavalieri di sua gente oltramontani, sanza i Lombardi.
Per gli Genovesi fu ricevuto come loro signore
onorevolemente, e fattagli gran festa, e datogli al
tutto la signoria della terra; che fu tenuto grande cosa,
essendo la libertà e la potenza de' Genovesi sì
grande, come nulla città de' Cristiani in mare e in
terra. Il detto imperadore pacificò tutte le discordie
de' Genovesi, e rimisevi messer Ubizzino Spinoli e'
suoi seguaci, che n'erano fuori per rubegli, e fece fare
pace tra lloro e gli Ori e loro parte: donargli i Genovesi
alla sua venuta Lm fiorini d'oro, e alla 'mperadrice
XXm.
L. 10, cap. 25 rubr.Come in Arezzo venne vicario d'imperio.
L. 10, cap. 25Negli anni MCCCXI, del mese d'ottobre, venne ad
Arezzo vicaro dello 'mperadore uno gentile uomo di
Padova: pacificò gli Aretini insieme, e rimisevi dentro
i Guelfi, e poco appresso vi morì di rema.
L. 10, cap. 26 rubr.
Come in Firenze vennero ambasciadori dello 'mperadore,
e furonne cacciati.
L. 10, cap. 26Nel detto anno e mese d'ottobre venieno a Firenze
messer Pandolfo Savelli di Roma e altri cherici
per ambasciadori dello 'mperadore; furono a la Lastra
sopra Montughi, i priori di Firenze mandarono
loro che non entrassono in Firenze, e si partissono. I
detti non volendosi partire, furono rubati per malandrini
di Firenze, con consentimento segreto de' priori;
e con rischio delle persone fuggendo, se n'andarono
per la via di Mugello ad Arezzo, richeggendo poi
in Arezzo tutti i nobili e' signori e' Comuni di Toscana
che s'apparecchiassono d'esser a la coronazione
dello 'mperadore a Roma.
L. 10, cap. 27 rubr.Come i Fiorentini mandarono loro masnade in Lunigiana
per contradiare i passi a lo 'mperadore.
L. 10, cap. 27Nel detto anno, del mese d'ottobre, sentendo i
Fiorentini che lo 'mperadore era partito di Lombardia
e ito verso Genova, feciono tornare da Bologna il
maliscalco co' loro soldati, e feciongli andare in Lunigiana
a Pietrasanta e a Serrezzano con altra buona
gente di Firenze e di Lucca a guardare il passo di
Porta Beltramo e la via della marina, perché lo 'mperadore
non potesse venire a Pisa.
L. 10, cap. 28 rubr.
Come in Genova morì la 'mperadrice.
L. 10, cap. 28Nel detto anno, del mese di novembre, morì in
Genova la 'mperadrice moglie dello 'mperadore, la
quale era tenuta buona e santa donna; fue figliuola
del duca di Brabante; e soppellissi a' frati minori con
grande onore.
L. 10, cap. 29 rubr.Come lo 'mperadore fece suo processo contra i Fiorentini.
L. 10, cap. 29Nel detto anno e mese lo 'mperadore fece in Genova
suo processo contro a' Fiorentini, che se infra
XL dì non gli mandassono XII buoni uomini con sindaco
e pieno mandato ad ubbidirlo, che gli condannava
in avere e in persona dove fossono trovati. Non
vi mandò il Comune di Firenze, ma a tutti i Fiorentini
mercatanti ch'erano in Genova comandato fue si
dovessono partire, e così feciono; ma poi ogni mercatantia
che si trovò in Genova in nome de' Fiorentini
fue impacciata per la corte dello 'mperadore.
L. 10, cap. 30 rubr.
Di scandalo ch'ebbe in Firenze tra' lanaiuoli.
L. 10, cap. 30Nel detto anno e mese i lanaiuoli di Firenze vennono
tra lloro in grande divisione e sette per cagione
del consolato, e fune quasi a romore la città.
L. 10, cap. 31 rubr.Come il re Ruberto mandò gente a' Fiorentini per
contastare lo 'mperadore.
L. 10, cap. 31Nel detto anno, dì XV di dicembre, il re Ruberto
mandò a Firenze CC de' suoi cavalieri ch'erano in
Romagna, perché i Fiorentini e' Lucchesi potessono
meglio contastare il passo a lo 'mperadore; ond'era
capitano il conte di Luni da Raona.
L. 10, cap. 32 rubr.Come la città di Brescia si rubellò a lo 'mperadore.
L. 10, cap. 32Nel detto
anno,
a l'uscita di dicembre, i Guelfi di
Brescia rientrarono nella terra per
ribellarla da la signoria
dello 'mperadore.
Cavalcovvi messer Cane
della Scala con suo isforzo, e
cacciogline fuori con
grande loro
dammaggio. E nel detto mese di dicembre
messer
Ghiberto da Coreggio, che tenea Parma,
si rubellò da la signoria dello imperadore; e simile
feciono i Reggiani; e' Fiorentini, e l'altra lega de'
Guelfi di
Toscana, mandarono loro aiuto di gente
a
cavallo.
L. 10, cap. 33 rubr.Come in Firenze ebbe grande novità per la morte di messere
Pazzino de' Pazzi.
L. 10, cap. 33Nel detto anno, dì XI di gennaio, avenne in Firenze
che messere Pazzino de' Pazzi, uno de' maggiori
caporali che reggea la città e più amato dal popolo,
andando a falcone in isola d'Arno a cavallo sanza
guardia con suoi falconieri e famigliari, Paffiera de'
Cavalcanti l'uccise, coll'aiuto de' Brunelleschi e d'altri
masnadieri in sua compagnia a cavallo, a tradimento,
secondo si disse, però che messer Pazzino
da lloro non si guardava; e ciò fece per vendetta di
Masino de' Cavalcanti e di messer Betto Brunelleschi,
dando colpa al detto messer Pazzino gli avesse
fatti morire. Per la quale cosa, recato il corpo suo
morto al palagio de' priori per più infamare i Cavalcanti,
la città si mosse tutta a romore e ad arme, e col
gonfalone del popolo in furia sì corse a casa i Cavalcanti,
e misevisi fuoco, e da capo furono cacciati di
Firenze i Cavalcanti. E per questa cagione il popolo
di Firenze alle spese del Comune fece IIII de' Pazzi
cavalieri, dotandoli de' beni e rendite del Comune.
L. 10, cap. 34 rubr.Come la città di Chermona si rubellò dallo imperadore.
L. 10, cap. 34Nel detto anno MCCCXI, dì X del detto mese di
gennaio, i Chermonesi si rubellarono a la signoria
dello 'mperadore, e cacciarne fuori sua gente e 'l suo
vicario, e ciò fu per soddotta de' Fiorentini, che ancora
v'aveano loro ambasciadore a trattare ciò, promettendo
a' Chermonesi grande aiuto di danari e di
gente; ma male fu loro per gli Fiorentini attenuto.
L. 10, cap. 35 rubr.Come il maliscalco dello 'mperadore giunse in Pisa,
e cominciò guerra a' Fiorentini.
L. 10, cap. 35Nel detto anno, dì XXI di gennaio, messer Arrigo
di Namurro fratello del conte Ruberto di Fiandra,
maliscalco dello 'mperadore, giunse per mare in Pisa
con poca gente, e a due dì appresso uscì di Pisa con
sua gente di qua dal Ponte ad Era, e tutte le some
de' Fiorentini che venieno da Pisa fece prendere e rimenare
in Pisa; onde i Fiorentini ebbono grande
danno. Per questa cagione i Fiorentini mandarono
gente a cavallo e a piede a la guardia di Samminiato
e di quella frontiera.
L. 10, cap. 36 rubr.
Come i Padovani si rubellarono dalla signoria dello
'mperadore.
L. 10, cap. 36Nel detto anno, dì XV di febbraio, i Padovani col
conforto de' Fiorentini e Bolognesi si rubellarono da
la signoria dello 'mperadore, e cacciarne il suo vicario
e sua gente; e a romore uccisono messer Guiglielmo
Novello loro cittadino, e gran capo di parte ghibellina
in Padova.
L. 10, cap. 37 rubr.Come lo 'mperadore Arrigo venne nella città di
Pisa.
L. 10, cap. 37Nel detto
anno,
a dì
XVI del mese di febbraio, lo
'mperadore si partì di
Genova per
mare con
XXX galee
per venire
a
Pisa: per fortuna di tempo gli
convenne
dimorare in
Portoveneri
XVIII dì; poi di là arrivò
a Porto Pisano, e in
Pisa
entrò
a dì
VI di marzo
MCCCXI, e da' Pisani fu ricevuto come loro signore,
faccendogli grande festa e processione, e
al tutto gli
diedono la signoria della
città,
faccendoli grandi
doni
di moneta per fornire sua gente, che gran bisogno
n'aveva. In
Pisa dimorò infino
a dì
XXII d'
aprile
MCCCXII, attendendo gente
nuova di suo paese. In
questo dimoro in
Pisa il maliscalco suo
colla sua gente
molte cavalcate e asalti fece sopra le terre e castella
de' Lucchesi e di Samminiato
del Tedesco, sanza
tenere campo o assedio. In quelle cavalcate presono
il castello di
Buti e la valle che teneano i Lucchesi;
altro aquisto non vi fece di terra alcuna. In
Pisa
si trovò con
MD cavalieri oltramontani cogl'infrascritti
baroni e signori: l'arcivescovo di Trievi suo fratello
carnale, il vescovo di Legge fratello
del
conte di
Bari
suo
cugino, il
duca di Baviera, il
conte di Savoia suo
cognato, il
conte di Forese, messer
Guido fratello
del
Dalfino di Vienna, messer
Arrigo fratello
del
conte di
Fiandra suo maliscalco e
cugino, messer Ruberto
figliuolo
del detto
conte di
Fiandra, il
conte
d'
Alvagna d'Alamagna chiamato
Luffo
Mastro, cioè
in
latino Mastro Siniscalco, uomo di grande
valore, e
più altri
conti de la Magna non
conosciuti da noi, castellani
e banderesi assai,
ciascuno di questi signori
con sua gente, e molti Italiani, Lombardi e Toscani.
I Fiorentini e gli altri Toscani
sentendolo in
Pisa, s'
aforzarono
di cavalieri e di gente in grande quantità
per
contastallo.
L. 10, cap. 38 rubr.Come gli Spuletini furono sconfitti da' Perugini.
L. 10, cap. 38Nel detto anno MCCCXI, dì XXVIII di febbraio, gli
Spuletini, ch'erano a parte ghibellina, furono sconfitti
da' Perugini, e assai ne furono tra presi e morti.
L. 10, cap. 39 rubr.
Della raunata che 'l re Ruberto e la lega di Toscana
feciono a Roma per contastare la coronazione d'Arrigo
imperadore.
L. 10, cap. 39Nell'
anno
MCCCXII,
del mese d'
aprile, sentendo il
re Ruberto l'aparecchiamento che il re d'Alamagna
facea in
Pisa per venire
a
Roma per coronarsi, sì
mandò innanzi
a
Roma,
a la richesta e
colla forza degli
Orsini, messer
Gianni suo fratello con
VIc cavalieri
catalani e pugliesi, e giunsono in
Roma dì
XVI d'
aprile;
e mandò
a' Fiorentini e Lucchesi e Sanesi e
l'altre terre di
Toscana ch'erano in lega co· llui che vi
mandassono loro isforzo; onde v'andarono
a dì
VIIII
di maggio
MCCCXII di
Firenze
CC cavalieri di cavallate
de' migliori cittadini, e 'l maliscalco
del re Ruberto,
ch'era
al loro soldo, con
CCC cavalieri catalani e
M
pedoni, molto
bella gente, ond'ebbe la 'nsegna reale
messer
Berto di messer
Pazzino de' Pazzi, valente e
savio giovane cavaliere, e
a
Roma morì
al
servigio
del
re e
del Comune di
Firenze. E di Lucca v'andarono
CCC cavalieri e
M pedoni; e Sanesi
CC cavalieri e
VIc
pedoni; e molti d'altre terre di
Toscana e di terra di
Roma vi mandarono gente. I quali tutti furono in
Roma
a dì
XXI di maggio
MCCCXII al contasto della
coronazione dello imperadore, e
colla forza de' detti
Orsini di
Roma e di loro seguaci presono Campidoglio,
e messer
Luis di Savoia sanatore per forza ne
cacciarono: presono le torri e fortezze
a piè di Campidoglio
sopra la
Mercatantia, e fornirono Castello
Adriano detto
Santagnolo, e la chiesa e'
palagi di San
Piero; e così più della metade di
Roma e la meglio
popolata, e tutto
Trastevero ebbono per forza e signoria.
I Colonnesi e loro séguito che teneano la parte
dello imperadore teneano Laterano, Santa Maria
Maggiore,
Culiseo, Santa Maria Ritonda, le Milizie, e
Santa Savina; e così
ciascuna parte
imbarrata e
aserragliata
con grandi fortezze. E dimorandovi la gente
de' Fiorentini, il dì di santo Giovanni Batista, loro
principale festa, feciono correre in
Roma palio di
sciamito
chermisi, sì come usano il detto dì in
Firenze.
L. 10, cap. 40 rubr.Come lo 'mperadore Arrigo si partì di Pisa e andò a
Roma.
L. 10, cap. 40Nel detto
anno, dì
XXIII d'
aprile, il re d'Alamagna
si partì di
Pisa con sua gente in quantità di
MM cavalieri
e più, e fece la
via per Maremma, e poi per lo
contado di Siena e per quello d'Orbivieto sanza soggiornare;
e sanz'altro contrasto se n'andò
a Viterbo
e quello ebbe sanza contradio, però ch'era nella signoria
de' Colonnesi. E passando lui per lo
contado
d'Orbivieto, i
Filippeschi d'Orbivieto col loro séguito
di Ghibellini cominciarono battaglia nella
città
contro
a'
Monaldeschi e gli altri Guelfi d'Orbivieto
per dare la terra
a lo 'mperadore. I Guelfi trovandosi
forti e ben
guerniti, combatterono vigorosamente innanzi
che' Ghibellini avessono la forza della gente
dello 'mperadore, sì gli vinsono e cacciarono della
città, con molti morti e presi di loro parte. Soggiornando
poi più giorni lo re d'Alamagna in Viterbo,
perché non potea avere l'
entrata de la porta di San
Piero di
Roma, e ponte
Emale sopra Tevero era
guernito e guardato per la forza degli
Orsini,
a la fine
si partì di Viterbo, e in su Montemalo s'attendò, e
poi per forza della sua gente di fuori, e di quella de'
Colonnesi e di loro séguito d'
entro, assaliro le fortezze
e guardie di ponte
Emale, e per forza le vinsono, e
così
entrò in
Roma
a dì
VII di maggio, e
andonne
a Santa Savina
ad albergo.
L. 10, cap. 41 rubr.Come messer Galeasso Visconti di Milano prese la
città di Piagenza.
L. 10, cap. 41Nel detto
anno
MCCCXII, essendo i Guelfi della
città di Piagenza in grande divisione tra lloro, messer
Alberto Scotti ch'era capo dell'una
setta si
elesse per
loro podestà per
VI mesi messer
Galeasso Visconti figliuolo
del capitano di Milano. Compiuto il
termine,
il detto messer
Galeasso sotto spezie d'ambasceria
mandò
a Milano il detto messer Alberto Scotto, e
X
de' maggiori Guelfi, e
X Ghibellini, e
a Milano furono
ritenuti i Guelfi; poi messer
Galeasso con
CC cavalieri
che gli vennono da
Melano,
coll'aiuto de' Ghibellini,
e
massimamente di quegli della casa di
Landa,
corse la terra e fecesene fare signore, e caccionne
i Guelfi, dì
XXIIII di luglio
del detto
anno.
L. 10, cap. 42 rubr.Come i Fiorentini levarono in isconfitta i Pisani da
Cerretello.
L. 10, cap. 42Nel detto anno, a dì XX di maggio, essendo i Pisani
ad assedio d'uno loro castello in Valdera, ch'avea
nome Cerretello, vi cavalcarono i Fiorentini da Vc cavalieri
di cavallate, e le loro masnade di Catalani, e
levargli da oste in isconfitta, e furonne assai morti e
presi di gente a piede.
L. 10, cap. 43 rubr.Come Arrigo di Luzzimborgo fu coronato imperadore
in Roma.
L. 10, cap. 43Nel detto tempo, dimorando il re de' Romani in
Roma più tempo per potere venire per forza
a la
chiesa di San Piero
a coronarsi, più battaglie feciono
la sua gente contra quegli
del re Ruberto e de' Toscani
che 'l
contradiavano, e per forza vinsono e
racquistarono
Campidoglio, e le fortezze sopra la
Mercatantia,
e le torri di San Marco. E di certo si crede
ch'avrebbe vinta in gran parte della
punga, se non
che uno giorno,
a dì
XXVI di maggio,
a una gran battaglia
il vescovo di Legge con più baroni d'Alamagna,
avendo rotte le
sbarre, e correndo la terra infino
presso
al ponte
Santangiolo, la gente
del re Ruberto
con quella de' Fiorentini partendosi di Campo di
Fiore per vie traverse, per costa fediro
a la detta gente
che cacciava, e
ruppongli, e più di
CCL cavalieri ne
furono tra morti e presi,
intra' quali fu il detto vescovo
di Legge preso, e
menandolo uno cavaliere in
groppa di suo cavallo disarmato
a messer
Gianni fratello
de· re Ruberto, uno Catalano
a cui era stato
morto il fratello in quella caccia il fedì dietro
a le reni
d'uno
stocco, onde giugnendo
a Castello
Santangiolo,
poco stette morì; onde fu grande
danno, però
che era signore di gran
valore e di grande autorità.
Per la detta
perdita e sconfitta la gente
del re Ruberto
e loro séguito presono gran vigore, e quella
del re
d'Alamagna il contradio. Veggendo il signore che
l'
urtare non
facie per lui, e che ne
perdea sua gente e
suo onore, avendo prima mandato
al papa per licenza
che' cardinali il potessono coronare in quale chiesa
di
Roma
a lloro piacesse, sì ssi diliberò di coronarsi
in San Giovanni Laterano; e in quella fu
coronato
per lo vescovo d'Ostia cardinale da Prato, e per messer
Luca dal
Fiesco e messer
Arnaldo Guasconi cardinali,
il dì di san Piero in
Vincola, dì primo d'
agosto
MCCCXII, con grande onore, da quella gente ch'erano
co· llui, e da quegli Romani ch'erano di sua parte. E
coronato lo 'mperadore
Arrigo, pochi giorni appresso
se n'andò
a Tiboli
a soggiornare, e lasciò
Roma
imbarrata e in male stato, e
ciascuna parte tenea le
sue contrade afforzate e guernite. De' suoi baroni si
partì, fatta la coronazione, il
dogio di Baviera e sua
gente, e altri signori de la Magna che ll'aveano servito,
sicché con pochi oltramontani rimase.
L. 10, cap. 44 rubr.Come lo 'mperadore si partì di Roma per venire in
Toscana.
L. 10, cap. 44Poi si partì lo 'mperadore da Tiboli, e venne con
sua gente a Todi, e da' Todini fu ricevuto onorevolemente
e come loro signore, però che teneano sua
parte. I Fiorentini e gli altri Toscani, sentendo che lo
'mperadore s'era partito di Roma e facea la via verso
Toscana, incontanente mandarono per la loro gente
ch'era a Roma, per esser più forti a la sua venuta. E
tornata la detta gente, i Fiorentini e l'altre terre di
Toscana si guernirono le loro fortezze di cavalieri e
di gente, per risistere a la venuta dello 'mperadore,
temendo forte della sua forza, e faccendo più confinati,
Ghibellini e sospetti; e' Fiorentini crebbono il
numero delle loro cavallate in XIIIc, e soldati aveano
col maliscalco e con altri da VIIc, sicché circa MM cavalieri
aveano; e ciascuna altra città e terra di Toscana
de la lega del re Ruberto e di parte guelfa s'erano
isforzati di gente d'arme per tema dello 'mperadore.
L. 10, cap. 45 rubr.
Come lo 'mperadore venne a la città d'Arezzo, e poi
come venne verso la città di Firenze.
L. 10, cap. 45Del detto mese d'agosto, nel MCCCXII, si partì lo
'mperadore da Todi e venne per lo contado di Perugia
guastando e ardendo, e per forza prese la sua
gente Castiglione Chiusino sopra i· lago, e di là venne
a Cortona, e poi ad Arezzo, e dagli Aretini fu
ricevuto a grande onore. E in Arezzo fece sua raunanza
per venire sopra la città di Firenze, e subitamente
si partì d'Arezzo, e entrò in sul contado di Firenze a
dì XII di settembre, e di presente gli fu renduto il castello
di Caposelvole in su l'Ambra, ch'era de' Fiorentini.
E poi si puose ad oste al castello di Montevarchi,
il qual era bene guernito di gente, soldati a
cavallo e a piè, e di vittuaglia: a quello fece dare più
battaglie, e votare i fossi dell'acqua per riempiere.
Quegli della terra veggendo ch'erano sì forte combattuti,
e avea la terra le mura basse, che i cavalieri
dello 'mperadore a piè combattendo, e colle scale salendo
a le mura, non temendo saettamento né gittamento
di pietre, sì isbigottirono forte, e maggiormente
sentendo che' Fiorentini non gli soccorreano,
sì s'arendero il terzo dì a lo 'mperadore. Avuto Montevarchi,
sanza dimoro venne ad oste a Castello San
Giovanni, e per simigliante modo gli si rendéo, e
presevi da LXX cavalieri catalani soldati de' Fiorentini;
e così sanza riparo ne venne nel borgo di Fegghine.
L. 10, cap. 46 rubr.
Come i Fiorentini furono quasi sconfitti al castello
de l'Ancisa da lo 'mperadore.
L. 10, cap. 46I Fiorentini, sentendo lo 'mperadore partito d'
Arezzo,
incontanente cavalcaro popolo e cavalieri di
Firenze, sanza attendere altra amistà,
al castello de
l'
Ancisa in su l'Arno, e furono intorno di
XVIIIc di
cavalieri e gente
a piè assai, e
a l'
Ancisa s'
acamparo
per tenere il passo
a lo 'mperadore. Egli sentendo
ciò, con sua gente armata venne nel piano de l'
Ancisa
in su l'isola d'Arno che si chiama il Mezzule, e richiese
i Fiorentini di battaglia. I Fiorentini non sentendosi
di numero di cavalieri guari più che quegli
dello 'mperadore, e erano sanza capitano, non si vollono
mettere
a la ventura de la battaglia,
credendosi
per lo forte passo riparare lo 'mperadore, che non
potesse valicare verso
Firenze. Lo 'mperadore veggendo
che' Fiorentini non voleano combattere, per
consiglio de' savi uomini di
guerra usciti di
Firenze
si prese la
via
del
poggio di sopra
a l'
Ancisa, per
istretti e forti passi valicò il castello, e venne da la
parte verso
Firenze. Veggendo l'oste de' Fiorentini la
sua mossa,
dubitando non venisse
a la
città di
Firenze,
parte di loro col maliscalco
del re e sue masnade
si partirono da l'
Ancisa per essergli dinanzi
al
cammino.
Il
conte di Savoia e messer
Arrigo di
Fiandra,
ch'erano venuti innanzi
a prendere il passo, sotto
a
Montelfi vigorosamente fediro
a quelli ch'erano
a la
frontiera, e col
vantaggio ch'aveano
del
poggio gli
misono in volta e in isconfitta, seguendogli parte di
loro infino nel borgo de l'
Ancisa. La
rotta de' Fiorentini
fu più per lo sbigottimento
del sùbito assalto,
che per
dammaggio di gente; che tra tutti non vi morirono
XXV uomini di cavallo, e meno di
C a ppiede;
e quasi tutti quegli oltramontani che per forza vennono
cacciando infino nel borgo rimasono morti. Ma
pure la gente dello 'mperadore rimasono vincenti de
la
punga, i Fiorentini molto impauriti; e quella notte
lo 'mperadore s'atendò di qua da l'
Ancisa verso
Firenze
due miglia. I Fiorentini rimasono nel castello
de l'
Ancisa quasi assediati e con poco fornimento di
vittuaglia sì
fattamente, che se lo 'mperadore fosse
stato fermo
a l'assedio, i Fiorentini ch'erano ne l'
Ancisa
erano quasi tutti morti e presi. Ma come piacque
a Dio, lo 'mperadore prese
consiglio la notte d'
andarsene
al diritto
a la
città di
Firenze,
credendolasi
avere sanza contasto, lasciandosi l'oste de' Fiorentini
adietro ne l'
Ancisa, come assediati e molto impauriti
e peggio ordinati.
L. 10, cap. 47 rubr.Come lo 'mperadore Arrigo si puose ad oste a la città
di Firenze.
L. 10, cap. 47E così il seguente giorno, dì
XVIIII di settembre
MCCCXII, lo 'mperadore venne
ad oste
a la
città di
Firenze,
ardendo la sua gente quanto si trovavano innanzi;
e così passò il fiume d'Arno allo 'ncontro
ov'
entra la Mensola, e attendossi
a la
badia di Santo
Salvi forse con
M cavalieri. L'altra sua gente rimase in
Valdarno, e parte
a Todi, i quali gli Vennero poi. E
vegnendo per lo
contado di Perugia, da' Perugini furono
assaliti e quegli si difesono: con
danno e vergogna
de' Perugini passarono. E giunse lo 'mperadore
sì sùbito, che i più de' Fiorentini non poteano credere
vi fosse in persona; ed erano sì ismarriti per tema
della loro cavalleria, ch'era rimasa
a l'
Ancisa quasi
come isconfitti, che se lo 'mperadore o sua gente in
su la sùbita venuta fossono venuti
a le porte, le trovavano
aperte e male guernite; e per gli più si crede
ch'avrebbe presa la
città. Tuttora i Fiorentini, veggendo
l'arsioni delle case per lo
cammino facea,
a
suono di campana s'armarono il popolo e co' gonfaloni
delle compagnie vennero ne la piazza de' loro
priori, e 'l vescovo di
Firenze con
cavagli de'
cherici
s'armò, e trasse
a la difensione de la porta di Santo
Ambruogio e di fossi, e tutto il popolo
a piede co· llui,
e serraro le porte, e ordinarono i gonfalonieri e
loro gente su per gli fossi
a le poste
a la guardia de la
città di dì e di notte. E dentro
a la
città, da quella
parte, puosono uno campo con padiglioni, logge e
trabacche, acciò che la guardia fosse più forte, e feciono
steccati su per fossi d'ogni legname e bertesche
in assai brieve tempo. E così dimoraro in grande
paura i Fiorentini
due dì, che' loro cavalieri e oste
tornarono da l'
Ancisa per diverse vie per Valle di
Robbiano e da Santa Maria in Pianeta
a Montebuoni
di notte tempore. Giunti in
Firenze, la
città si
rassicurò:
e' Lucchesi vi mandarono
a l'aiuto e guardia
de la
città
VIc cavalieri e
IIIm pedoni, e' Sanesi
VIc
cavalieri e
IIm pedoni, e' Pistolesi
C cavalieri e
Vc
pedoni, e' Pratesi
L cavalieri e
IIIIc pedoni, e' Volterrani
C
cavalieri e
IIIc pedoni, e
Colle e San Gimignano e
Samminiato
ciascuno
L cavalieri e
CC pedoni, i Bolognesi
IIIIc cavalieri e
M pedoni. Di
Romagna vi vennono
tra di
Rimine e di Ravenna e di
Faenza e Cesena
e l'altre terre guelfe
CCC cavalieri e
MD pedoni, e
d'
Agobbio
C cavalieri, e da la
Città di Castello
L cavalieri.
Di Perugia non vi venne aiuto per la
guerra
ch'aveano co'
Todini e
Spuletini. E così infra
VIII dì
posto l'assedio per lo 'mperadore, si trovarono i Fiorentini
co· lloro amistà più di
IIIIm uomini
a cavallo, e
gente
a piè sanza
numero. Lo 'mperadore era con
XVIIIc cavalieri, gli
VIIIc oltramontani, e
M Italiani, di
Roma, de la Marca,
del
Ducato, d'
Arezzo, e di
Romagna,
e de'
conti
Guidi, e di quegli di Santa Fiore,
e usciti di
Firenze, e gente
a piè assai; però che' nostri
contadini da la parte ov'e' possedea, tutti seguivano
il suo campo. E fu quell'
anno il più largo e
uberoso
di tutte vittuaglie che fosse
XXX anni adietro.
A
l'assedio dimorò lo 'mperadore infino
a l'ultimo dì
del mese d'ottobre, guastando il
contado tutto da la
parte di levante, e fece gran
danno
a' Fiorentini sanza
dare battaglia niuna
a la
città, stando in isperanza
d'averla di concordia; e tutto l'avesse combattuta,
era sì guernita di gente
a cavallo, che
due tanti e più
n'aveva
a la difensione della
città che di fuori, e gente
a piè per ognuno
IIII. E
rassicurarsi sì i Fiorentini,
che i più andavano disarmati, e teneano aperte tutte
l'altre porte, fuori che da quella parte; e
entrava
e usciva la
mercatantia, come se non v'avesse
guerra.
Dell'uscire fuori i Fiorentini
a battaglia, o per viltà o
per senno di
guerra, o per non avere capo, in nulla
guisa si vollono mettere
a la fortuna
del combattere,
che assai aveano il
vantaggio, s'avessono avuto buono
capitano, e tra lloro più uniti che non erano. Ben
feciono una cavalcata
a
Cerretello, che v'erano tornati
i Pisani
a oste, e ancora gli ne levarono
a modo di
sconfitta
del mese d'ottobre. Lo 'mperadore fu malato
più giorni
a San Salvi, e veggendo non potea avere
la
città per accordo, né la battaglia non voleano i
Fiorentini.
L. 10, cap. 48 rubr.Come lo 'mperadore si partì dall'asedio da San Salvi
e andonne a San Casciano, e poi a Poggibonizzi.
L. 10, cap. 48Lo 'mperadore con sua oste si partì la notte vegnendo
la
Tusanti, ardendo il campo, valicò Arno
per la
via ond'era venuto, e
acampossi nel piano d'
Ema
di lungi
a la
città da
III miglia. Né già per sua levata
i Fiorentini non uscirono la notte della
città, ma
sonarono le
campane, e ogni gente fu
ad arme; e per
quello si seppe poi, la gente dello 'mperadore ebbono
gran tema della levata, che la notte non fossono
assaliti dinanzi o
a la retroguardia da' Fiorentini. La
mattina vegnente una parte de' Fiorentini andarono
al
poggio di Santa Margherita sopra il campo dello
'mperadore, e
a modo di badalucchi più assalti gli feciono,
de' quali ebbono il peggiore: e con vergogna
là dimorato
III giorni, si partì, e
andonne con sua
oste in sul borgo di San Casciano presso
a la
città
VIII miglia; per la qual cosa i Fiorentini feciono
afossare
il
crescimento
del
sesto d'Oltrarno, ch'era fuori
delle
mura vecchie, in calen di dicembre
MCCCXII. E
stando lo 'mperadore
a San Casciano, gli vennono in
aiuto i Pisani ben
Vc cavalieri e
IIIm pedoni, e
M balestrieri
di
Genova, e giunsono
a dì
XX di novembre.
A
San Casciano dimorò infino
a dì
VI di gennaio sanza
fare
a' Fiorentini altro assalto se non di correrie e
guasto e arsioni di case per lo
contado, e prese più
fortezze de la contrada; né perciò i Fiorentini non
uscirono fuori
a battaglia, se non in correrie e scheremugi,
quando
a
danno dell'una parte e quando
dell'altra, da non farne gran menzione, se non ch'
a
una
avisaglia
a Cerbaia di
Valdipesa furono i nostri
rotti da' Tedeschi, e morì uno degli Spini, e uno de'
Bostichi, e uno de' Guadagni per loro franchezza in
questa stanza, ch'erano d'una compagnia di volontà
a una insegna campo verde e banda rossa con capitano,
e chiamavansi i cavalieri della Banda, de' più
pregiati
donzelli di
Firenze, e assai feciono d'arme.
Ma in quella stanza i Fiorentini s'
aleggiarono di gran
parte di loro amistà, e dierono loro commiato, e allo
'mperadore medesimo mancò gente, e per lo suo
lungo dimoro e per
disagio di freddo si cominciò nel
campo
a San Casciano grande infermeria e mortalità
di gente, la quale corruppe la contrada forte, e infino
in
Firenze
seguì parte; per la qual cagione si partì lo
'mperadore con sua oste da San Casciano, e
andonne
a
Poggibonizzi, e prese il castello di
Barberino e di
San
Donato in Poggio, e più altre fortezze:
a
Poggibonizzi
ripuose il castello in sul
poggio, come solea
essere
anticamente, e puosegli nome Castello Imperiale.
Là dimorò infino
a dì
VI di marzo, e gli
fallò
molto la vittuaglia, e soffersevi gran
soffratta egli e
tutta sua oste, che' Sanesi dall'una parte e' Fiorentini
da l'altra gli aveano
chiuse le strade, e
IIIc soldati
del
re Ruberto erano in
Colle di
Valdelsa, che 'l guerreggiavano
al continuo; e tornando da Casoli
CC cavalieri
dello 'mperadore, furono sconfitti da' cavalieri
del
re ch'erano in
Colle dì
XIIII di febbraio
MCCCXII. E
d'altra parte il maliscalco co' soldati de' Fiorentini
era
a guerreggiarlo in San Gimignano, sì che lo stato
dello 'mperadore scemò molto, sì che quasi non gli
rimasono
M uomini
a cavallo, che messer Ruberto di
Fiandra se ne partì con sua gente, e da' Fiorentini fu
combattuto di costa
a Castello Fiorentino, e morta e
presa di sua gente gran parte, e egli con pochi si fuggì,
con tutto ch'assai tenne campo, e assai
diè
a ffare
a
quella gente l'assaliro, ch'erano per uno
quattro, ed
ebbonne vergogna.
L. 10, cap. 49 rubr.Come lo 'mperadore si partì da Poggibonizzi e si
tornò in Pisa, e fece molti processi contro a' Fiorentini.
L. 10, cap. 49Lo 'mperadore veggendosi così assottigliato e di
gente e di vittuaglia, e eziandio di moneta, che nulla
gli era rimaso da spendere, se non che ambasciadori
del re
Federigo di Cicilia, i quali
apportarono
a
Pisa
e vennono
a llui
a
Poggibonizzi per fermare lega co· llui
incontro
al re Ruberto, gli diedono
XXm dobbre
d'oro. Con quelle pagati i
debiti, si partì da
Poggibonizzi,
e sanza
soggiorno si tornò
a
Pisa
a dì
VIIII di
marzo
MCCCXII assai in male stato di sé e di sue genti;
ma questa somma virtude ebbe in sé, che mai per
aversità quasi non si turbò, né per
prosperità ch'avesse
non sì vanagloriò.
Tornato lo 'mperadore in
Pisa, fece grandi e gravi
processi sopra i Fiorentini di torre
a la
città ogni giuridizione
e onori,
disponendo tutti giudici e notari, e
condannando il Comune di
Firenze in
Cm marchi d'ariento,
e' più grandi cittadini e popolari che reggeano
la
città nell'avere e persone e ne' loro beni, e che i
Fiorentini non potessero battere moneta d'oro né
d'argento; e consentì per privilegio
a messer
Ubizzino
Spinola di
Genova e
al marchese di Monferrato
che potessono battere in loro terre i fiorini d'oro
contraffatti sotto il conio di quegli di
Firenze; la qual
cosa da' savi gli fu messa in grande difalta e peccato,
che per
cruccio e
mala volontà ch'avesse contro
a'
Fiorentini non
dovea niuno privileggiare che
battessono
fiorini falsi.
L. 10, cap. 50 rubr.Come lo 'mperadore condannò il re Ruberto.
L. 10, cap. 50Sopra il re Ruberto fece simigliantemente grandi
processi, condannandolo nel reame di Puglia e della
contea di Proenza, e lui e sue rede nelle persone, come
traditori dello 'mperio; i quali processi furono
poi cassi e annullati per papa Giovanni XXII. E
stando lo 'mperadore in Pisa, messer Arrigo di Fiandra
suo maliscalco cavalcò in Versilia, in Lunigiana
con VIIIc cavalieri e VIm pedoni, e per forza prese Pietrasanta
dì XXVIII di marzo MCCCXIII. I Lucchesi, i
quali erano a Camaiore collo sforzo de' Fiorentini, e
non ardirono a contastare, si tornarono in Lucca. E
Serrezzano, che 'l teneano i Lucchesi, s'arrenderono
a' marchesi Malispini che teneano collo imperadore.
L. 10, cap. 51 rubr.
Come lo 'mperadore s'apparecchiò per andare nel
Regno contro al re Ruberto, e si partì di Pisa.
L. 10, cap. 51Fatto ciò, prese
consiglio lo 'mperadore di non urtare
co' Fiorentini e cogli altri Toscani, che poco n'avea
avanzato, ma peggiorato suo stato; ma di farsi
dal capo, e d'andare sopra il re Ruberto con tutto
suo isforzo, e torregli il Regno; e se venuto gli fosse
fatto, si
credea essere signore d'Italia; e di certo così
sarebbe stato, se Idio non avesse riparato, come faremo
menzione. Egli s'
allegò col re
Federigo, che tenea
l'isola di Cicilia, e co' Genovesi, e
ordinò che
ciascuno
a giorno nomato avesse in
mare grande navilio di
galee armate; in Alamagna e in Lombardia mandò
per gente
nuova, e così richiese tutti i suoi sudditi e'
Ghibellini d'Italia. In questo
soggiorno in
Pisa raunò
moneta assai, e non dormendo, tuttora
al suo maliscalco
facea
guerreggiare Lucca e Samminiato, ma
poco n'avanzò. Nella state
MCCCXIII che soggiornò in
Pisa,
venutogli suo isforzo, si trovò con più di
MMD
cavalieri oltramontani, i più
Alamanni, e Italiani ben
MD. I Genovesi armarono
a sua richesta
LXX galee,
onde fu amiraglio messer
Lamba d'
Oria, e venne col
detto stuolo in Porto Pisano, e parlò
a lo 'mperadore;
e poi n'andò verso il Regno
a l'isola di
Ponzo. Il
re
Federigo armò
L galee, e il giorno nominato, dì
V
d'
agosto
MCCCXIII, lo 'mperadore si partì di
Pisa; e
quello dì medesimo si trovò, lo re
Federigo si partì
coll'armata di Messina, e con
M cavalieri si puose in
su la Calavra, e prese la
città di Reggio, e più altre
terre.
L. 10, cap. 52 rubr.Come lo 'mperadore Arrigo morìo a Bonconvento
nel contado di Siena.
L. 10, cap. 52Partito lo 'mperadore di Pisa, passò su per l'Elsa e
combatté Castello Fiorentino, e nol potéo avere: passò
oltre tra Poggibonizzi e Colle infino a Siena lungo
le porte. In Siena avea gente assai; e cavalieri di Firenze
alquanti per badalucchi uscirono per la porta
di Cammollia, ed ebbonne il peggiore, e furono ripinti
per forza nella città; e così Siena in grande paura,
lo 'mperadore valicò la città, e puosesi a campo a
Monte Aperti in su l'Arbia. Là cominciò amalare,
con tutto che infino a la partita di Pisa si sentisse;
ma per non fallire la partita sua al giorno ordinato, si
mise a cammino. Poi andò in piano di Filetta per bagnarsi
al bagno a Macereto, e di là andò al borgo a
Bonconvento, di là da Siena XII miglia. Là agravò
forte, e come piacque a dDio, passò di questa vita il
dì di santo Bartolomeo, dì XXIIII d'agosto MCCCXIII.
L. 10, cap. 53 rubr.
Conta come morto lo 'mperadore si divise la sua
oste, e' suoi baroni ne portarono il corpo a la città di
Pisa.
L. 10, cap. 53Morto lo 'mperadore
Arrigo, la sua oste, e' Pisani,
e tutti i suoi amici ne menarono grande dolore, e'
Fiorentini, Sanesi, e' Lucchesi, e quegli di loro lega
ne feciono grande allegrezza. Incontanente, lui morto,
si partirono gli Aretini e gli altri Ghibellini della
Marca e di
Romagna dell'oste da Bonconvento, ne la
quale avea gente grandissima
a cavallo e
a piede. I
suoi baroni e' cavalieri pisani con loro gente sanza
soggiorno passarono per la Maremma col corpo suo,
e recarlo in
Pisa: là con grande dolore, e poi con
grande onore il soppellirono
al loro
Duomo. Questa
fu la fine dello 'mperadore
Arrigo. E non si
maravigli
chi legge, perché per noi è continuata la sua storia
sanza raccontare altre cose e avenimenti d'Italia e
d'altre province e reami; per
due cose: l'una, perché
tutti i Cristiani, ed eziandio i Saracini e' Greci, guardavano
al suo andamento e fortuna, e per cagione di
ciò
poche
novità notabili erano in nulla parte altrove;
l'altra, per le diverse e varie grandi
fortune che
gl'incorsono in sì piccolo tempo ch'egli visse, che di
certo si
credea per gli savi che se la sua
morte non
fosse stata sì prossimana,
al signore di tanto
valore e
di sì grandi imprese com'era egli, avrebbe vinto il
Regno e
toltolo
al re Ruberto, che piccolo
apparecchiamento
avea
al riparo suo. Anzi si disse per molti
che 'l re Ruberto no· ll'avrebbe atteso, ma
itosene per
mare in
Proenza; e appresso s'avesse vinto il Regno
come s'avisava, assai gli era
leggere di vincere tutta
Italia, e dell'altre province assai.
L. 10, cap. 54 rubr.Come Federigo detto re di Cicilia venne per mare a
la città di Pisa.
L. 10, cap. 54
Federigo di Cicilia, il qual era in
mare con suo
stuolo, come fatta è menzione,
agiuntosi già co' Genovesi,
sentendo de la
morte dello 'mperadore, venne
in
Pisa, e non avendo potuto vedere lo 'mperadore
vivo, sì 'l volle vedere morto. I Pisani per
dotta
de' Guelfi di
Toscana e
del re Ruberto sì vollono il
detto
don
Federigo fare loro signore: non volle la signoria,
ma per sua
scusa domandò loro molto larghi
patti fuori di misura, con tutto che per gli più si
credette
che, bene che' Pisani gli avessono fatti, non
avrebbe voluto lasciare la stanza di Cicilia per signoreggiare
Pisa; e così sanza grande dimoro si tornò in
Cicilia. I Pisani rimasi molto sconsolati e in paura,
vollono fare signore il
conte di Savoia e messer
Arrigo
di
Fiandra: nullo volle ricevere; ma tutti i caporali
e' baroni ch'erano
collo imperadore si partirono e
tornarono in loro paesi. Altri cavalieri tedeschi e
brabanzoni
e
fiamminghi co· lloro
bandiere rimasono
al
soldo de' Pisani intorno di mille
a cavallo. E i Pisani
non potendo avere altro capitano,
elessono Uguiccione
da Faggiuola di
Massa
Trabara, il quale era
stato per lo 'mperadore vicaro in
Genova. Questi
venne
a
Pisa e prese la signoria, e appresso, col séguito
de' cavalieri tedeschi che vi rimasono, fece in
Toscana grandissime cose, come innanzi si farà menzione.
L. 10, cap. 55 rubr.Come il conte Filippone di Pavia fu sconfitto a Piagenza.
L. 10, cap. 55Nel detto anno MCCCXIII, del mese d'agosto, il
conte Filippone di Pavia co la parte guelfa vegnendo
sopra Piagenza, che lla tenea messer Galeasso Visconti,
fu sconfitto e preso.
L. 10, cap. 56 rubr.Come i Fiorentini diedono la signoria di Firenze al
re Ruberto per cinque anni.
L. 10, cap. 56Nel detto
anno
MCCCXIII, ancora vivendo lo 'mperadore,
i Fiorentini parendo loro essere in male stato,
sì per la forza dello 'mperadore e di loro usciti, e
ancora dentro tra lloro per le
sette nate per cagione
delle signorie, si diedono
al re Ruberto per
V anni, e
poi appresso si raffermarono per
III. E così
VIII anni
appresso il re Ruberto n'ebbe la signoria,
mandandovi
di
VI in
VI mesi suo vicario; e 'l primo fu messer
Iacomo di
Cantelmo di
Proenza, che venne in
Firenze
del mese di giugno
MCCCXIII. E per simile modo
appresso feciono i Lucchesi e'
Pistolesi e' Pratesi di
darsi alla signoria
del re Ruberto. E di certo fu lo
scampo de' Fiorentini, che per le grandi divisioni
tra' Guelfi insieme, se 'l mezzo della signoria
del re
non fosse stata, guasti e stracciati s'arebbono tra lloro,
e cacciata parte.
L. 10, cap. 57 rubr.Come gli Spinoli furono cacciati di Genova.
L. 10, cap. 57Nel detto anno, del mese di febbraio e di marzo,
essendo morto lo 'mperadore, e partito Uguiccione
da Faggiuola di Genova, i Genovesi ghibellini tra lloro
ebbono grande discordia per invidia degli ufici e
signoria della terra; che gli Orii ch'erano possenti, e
gli Spinoli somigliante, ciascuno volea essere il maggiore.
Per la qual cosa vennero a battaglia cittadina
insieme, la quale durò per XX dì continui molto pericolosa,
che tutta la città era partita, l'una parte cogli
Ori, e l'altra cogli Spinoli; nella quale battaglia molti
ebbe morti d'una parte e d'altra. A la fine misono
fuoco combattendo, onde arsero più di IIIc case nel
migliore della città; e dibattuti di tanta pestilenza, gli
Spinoli non tanto per forza cacciati, ma per isdegno
si partirono della città, e andarne a Bazzalla; e la terra
rimase a la signoria di quegli d'Oria e de' Grimaldi
che teneano co· lloro, e feciono stato comune di
popolo, e durò più anni.
L. 10, cap. 58 rubr.
Come Uguiccione signore in Pisa fece molta guerra
a' Lucchesi sì che misono i Ghibellini usciti per isforzata
pace in Lucca.
L. 10, cap. 58Nel detto anno MCCCXIII, essendo Uguiccione in
Pisa per signore appresso la morte dello 'mperadore
colla masnada tedesca, non istette ozioso, ma innanzi
ch'a lloro fosse cominciata guerra, vigorosamente assalirono
i Lucchesi e' Samminiatesi, cavalcandogli
molto spesso infino a le porte, ardendo e guastando;
e in più avisamenti sempre n'ebbono i Lucchesi il
peggiore, però che per la loro discordia tra' Guelfi
medesimi, per sette fatte per invidia di loro signorie,
male intendeano a seguire l'antica loro buona sollecitudine
e unità e vittorie, ma scemando loro cavallate
e soldati; per la qual cosa a' Fiorentini convenia portare
tutto il fascio e la spesa, sovente cavalcando a
Lucca, popolo e cavalieri, a la loro difensione. Ma
Uguiccione co' Pisani essendo di presso, partiti i
Fiorentini, incontanente gli cavalcava, sì che molto
gli afrisse; e per la loro divisione de la quale era capo
dell'una setta messer Luti degli Obizzi, e dell'altra
messer Arrigo Berarducci, contra la volontà de' Fiorentini
pace feciono co' Pisani, rendendo loro Ripafratta
e più altre castella de' Pisani, ch'anticamente
aveano sopra loro guadagnate, e rimisono in Lucca
quegli della casa degl'Interminegli e loro séguito; onde
i Fiorentini molto isdegnarono e furono crucciosi.
L. 10, cap. 59 rubr.
Della morte di papa Chimento.
L. 10, cap. 59Nell'anno MCCCXIIII, dì XX d'aprile, morì papa
Chimento: volendo andare a Bordello in Guascogna,
passato il Rodano a la Rocca Maura in Proenza, amalò
e morì. Questi fu uomo molto cupido di moneta, e
simoniaco, che ogni benificio per danari s'avea in sua
corte, e fu lussurioso; che palese si dicea che tenea
per amica la contessa di Pelagorga bellissima donna,
figliuola del conte di Fusci. E lasciò i nipoti e suo lignaggio
con grandissimo e innumerabile tesoro. E
dissesi che, vivendo il detto papa, essendo morto
uno suo nipote cardinale cu' egli molto amava, costrinse
uno grande maestro di negromanzia che sapesse
che dell'anima del nipote fosse. Il detto maestro,
fatte sue arti, uno cappellano del papa molto sicuro
fece portare a' dimonia, i quali il menarono a lo
'nferno, e mostrargli visibilemente uno palazzo,
iv'entro uno letto di fuoco ardente, nel quale era l'anima
del detto suo nipote morto, dicendogli che per
la sua simonia era così giudicato. E vide nella visione
fare un altro palazzo a la 'ncontra, il quale gli fu detto
si facea per papa Clemento; e così rapportò il detto
cappellano al papa, il quale mai poi non fu allegro,
e poco vivette appresso: e morto lui, lasciato la
notte in una chiesa con grande luminara, s'accese e
arse la cassa, e 'l corpo suo da la cintola in giù.
L. 10, cap. 60 rubr.
Come Uguiccione co' Pisani presono la città di Lucca,
e rubarono il tesoro della Chiesa.
L. 10, cap. 60Nel detto
anno
MCCCXIIII, essendo i Ghibellini rimessi
in Lucca, Uguiccione molto tegnendo
corti i
Lucchesi, che rendessono i beni loro, e' Guelfi di
Lucca che gli s'aveano
apropiati non gli voleano rendere,
per lo detto Uguiccione
tradimento fu ordinato
in Lucca cogl'
Interminelli, che v'erano rimessi, e con
Quartigiani e
Pogginghi e Onesti. E subitamente
a dì
XIIII di giugno nel detto
anno, la terra sì misono
a
romore, combattendo insieme, e giugnendo Uguiccione
a le porte co' Pisani e loro isforzo per la detta
parte, gli fu data la
postierla
del Prato. Onde
entrò
nella terra con sua gente il vicaro
del re Ruberto,
messer
Gherardo da Sa·
Lupidio de la Marca, e gli
altri Guelfi di Lucca male in accordo e peggio forniti
di cavalieri e di gente; e bene ch'avessono mandato
per soccorso
a' Fiorentini, i quali già venuti
a Fucecchio,
ma il loro soccorso fu tardi, perché Uguiccione
co' Pisani aveano
corsa la terra. Per la qual cosa il vicaro
del re Ruberto e gli altri Guelfi non potendo
resistere,
uscirono di Lucca e
vennonne
a Fucecchio, e
a Santa Maria
a Monte, e l'altre castella
del Valdarno,
e la
città di Lucca per gli Pisani e' Tedeschi fu
corsa e spogliata d'ogni ricchezza, che per
VIII dì
durò
la ruberia così
agli amici come
a' nemici, pur chi
più avea forza, con molti micidii e incendii. E oltre
a cciò il
tesoro della Chiesa di
Roma, che 'l cardinale
messer Gentile da Montefiore de la Marca avea per
comandamento
del papa tratto di
Roma e di Campagna
e
del
Patrimonio, e
avevalo
lasciato in San Friano
di Lucca, per lo detto Uguiccione e sue masnade
tedesche, e per gli Pisani tutto fu rubato e portato in
Pisa. E non si
ricorda di gran tempi passati che una
città avesse una sì grande aversità e perdite per parte
che vi
rientrasse com'ebbe la
città di Lucca d'avere e
di persone.
L. 10, cap. 61 rubr.Come messer Piero fratello del re Ruberto venne in
Firenze per signore.
L. 10, cap. 61Nel detto
anno e mese di giugno i Fiorentini avendo
novelle della
perdita di Lucca, furono molto
crucciosi e
scommossi, e già avendo dinanzi gl'indizii,
s'erano mossi
al soccorso, ma giunsono
tardi, ché
Uguiccione co' Pisani erano più vicini, e prima fornirono
d'avere Lucca. I Fiorentini, essendo perduta
Lucca, presono poi le castella di Valdarno che ancora
si teneano
a parte guelfa, ciò furono Fucecchio,
Santa Maria
a Monte, Montecalvi, Santa
Croce,
e Castello Franco, e Montetopoli; e in Valdinievole,
Montecatini e
Montesommano; ma Serravalle, in su
la
perdita di Lucca, per nigrigenza e avarizia de'
Pistolesi,
non volendo spendere
CCC fiorini d'oro per
dare
a le masnade che 'l teneano,
dagli usciti di Pistoia
fu preso; e così
Toscana apparecchiata
a grande
guerra per la
rivoluzione della
città di Lucca. I Fiorentini
mandarono incontanente in Puglia
al re Ruberto
che mandasse loro uno de' frategli con gente
a
cavallo e per loro capitano. Il re Ruberto sanza
indugio
mandò
a
fFirenze messer Piero suo minore fratello,
giovane molto grazioso e savio e bello, con
CCC
uomini di cavallo, e con savio
consiglio di suoi baroni;
e giunse in
Firenze
a dì
XVIII d'
agosto
del detto
anno: da' Fiorentini fu ricevuto
a grande onore come
loro signore,
dandoli
del tutto la signoria della
città, e faceva i priori e tutti gli uficiali di
Firenze. E
fu sì grazioso apo i Fiorentini, che se fosse vivuto,
per gli più si dice che' Fiorentini l'avrebbono fatto
loro signore
a vita.
L. 10, cap. 62 rubr.Come il re Ruberto andò con grande stuolo sopra
Cicilia, e assediò la città di Trapali.
L. 10, cap. 62Nel detto
anno
MCCCXIIII il re Ruberto per vendicarsi
di
don
Federigo di Cicilia che alla venuta dello
'mperadore gli avea rotta pace, e
allegatosi co· llui, e
prese le sue terre in Calavra, sì fece una grande armata
a Napoli, che tra di
Proenza e di Puglia e de·
Regno e Genovesi armò
CXX galee, e tra
uscieri e legni
grossi da portare
cavagli e arnesi d'oste presso di
C, sì che
CC e più legni
a gabbia fu lo stuolo, e con
MM cavalieri e gente
a piè senza numero. Egli in persona
col
prenze
Filippo e con messer
Gianni suoi
fratelli si partirono di Napoli col detto stuolo
del
mese d'
agosto
del detto
anno, e puose in Cicilia
a
Castello
a Mare, e per forza l'ebbe; e poi
a la
città di
Trapali puose l'assedio per
mare e per terra, e quella
credendosi di presente avere per trattati fatti prima
ch'e' si movesse, da' cittadini di
Trapali ingannato
tue, che sotto i detti trattati fatti fare
a posta di
don
Federigo fu tanto lo 'ndugio della partita
del re Ruberto,
ch'egli fornì
Trapali di gente e di vittuaglia, e
rafforzò la
città per modo che per battaglia, che più
e più ve ne
diè il re Ruberto, no· lla potéo avere: e
per lungo
stallo e male
tempo di pioggia, e l'oste mal
fornita di vittuaglia per lo tempo contrario, grande
infermeria e mortalità fu nell'oste. Il re Ruberto veggendo
non potea avere la
città, né combattere non
volea
don
Federigo co· llui in
mare né in terra, fatta
fu triegua per tre
anni tra lloro, e così si partì il re
Ruberto con sua oste assai peggiorato, e sanza nulla
aquistare: di là tornò in Napoli il dì di calen di gennaio,
anno
MCCCXIIII, e più
galee delle sue afondarono
in
mare
colla gente, perch'erano state
nuove e
non
riconce in sì lungo
soggiorno.
L. 10, cap. 63 rubr.
Come i Padovani furono sconfitti a Vincenza da
messer Cane della Scala.
L. 10, cap. 63Nel detto anno MCCCXIIII, dì XVIII di settembre,
essendo i Padovani con tutto loro isforzo, andarono
a Vincenza, e presono i borghi, e assediavano la terra.
Messer Cane signore di Verona subitamente venne
in Vincenza con poca gente assalì i Padovani; e
eglino male ordinati, confidandosi de la presa de'
borghi, sì furono sconfitti, e molti di loro presi e
morti.
L. 10, cap. 64 rubr.Come i Fiorentini feciono pace cogli Aretini.
L. 10, cap. 64Nel detto anno MCCCXIIII, a dì XXVIII di settembre,
i Fiorentini e' Sanesi e tutta la lega di parte guelfa
di Toscana feciono pace cogli Aretini per mano di
messer Piero figliuolo del re Carlo in Firenze, ch'abitava
in casa i Mozzi a capo del ponte Rubaconte.
L. 10, cap. 65 rubr.Come apparve una stella commeta in cielo.
L. 10, cap. 65Nel detto
anno
MCCCXIIII apparve una commeta
di verso settantrione quasi
a la fine
del
segno de la
Vergine, e
durò più di
VI semmane, e secondo che
dissono gli
astrologi, significò molte
novità e
pestilenze
ch'appresso furono, e la
morte
del re di
Francia
e di suoi figliuoli, che morirono poco appresso.
L. 10, cap. 66 rubr.Della morte di Filippo re di Francia e di suoi figliuoli.
L. 10, cap. 66Nel detto
anno
MCCCXIIII,
del mese di novembre, il re
Filippo re di
Francia, il quale avea regnato
XXVIIII anni, morì
disaventuratamente, che essendo
a
una caccia, uno porco
salvatico gli s'
atraversò tra
gambe
al cavallo in su ch'era, e
fecelne cadere, e poco
appresso morì. Questi fu de' più belli uomini
del
mondo, e de' maggiori di persona, e bene rispondente
ogni
membro, savio da ssé e buono uomo era, secondo
laico, ma per seguire suoi diletti,
massimamente
in caccia, sì non
disponea le sue virtù
al
reggimento
del reame, anzi le commettea in altrui, sicché
le più volte si reggea per male consiglio, e quello
credea
troppo, onde assai
pericoli recò
al suo reame.
Questi lasciò
III figliuoli:
Luis re di Navarra,
Filippo
conte di Pettieri, e
Carlo
conte de la
Marcia. Tutti
questi furono in poco tempo l'uno appresso l'altro re
di
Francia, succedendo l'uno
a l'altro per
morte. E
poco innanzi che il re
Filippo loro padre morisse,
avenne loro grande e vituperevole isventura, che le
mogli di tutti e tre si trovarono in avolterio; e sì erano
ciascuno di loro de' più begli Cristiani
del
mondo.
La moglie de re
Luis fu figliuola
del
duca di
Borgogna. Questi quando fu re di
Francia la fece
strangolare con una
guardanappa, e poi prese
a moglie
la reina
Crementa, figliuola che fu di
Carlo Martello
figliuolo
del re
Carlo secondo. La seconda e la
terza donna di loro furon
serocchie e figliuole
del
conte di Borgogna, e rede della
contessa d'Artese.
Filippo
conte di Pettieri per disdette de la sua, e che
l'amava molto, la si
ritolse per buona e per bella:
Carlo
conte della
Marcia, mai non rivolle la sua, ma
la tenne in pregione. Questa sciagura si disse ch'avenne
loro per miracolo, per lo peccato regnato in
quella casa di prendere
a moglie loro
parenti, non
guardando grado, o forse per lo peccato commesso
per lo loro padre della
presura di papa Bonifazio,
come il vescovo d'Ansiona
profetizzò, secondo dicemmo
addietro.
L. 10, cap. 67 rubr.Della lezione che fu fatta in Alamagna di due imperadori,
l'uno il dogi di Baviera, e l'altro quello d'Osteric.
L. 10, cap. 67Nel detto
anno
MCCCXIIII per li prencipi de la Magna
fu fatta lezione di
due re de la Magna. L'uno fu il
fratello
del
dogi di Baviera chiamato
Lodovico, uomo
valoroso e franco. Questi ebbe più
boci, ciò fu
quella dell'arcivescovo di
Maganza e di quello di
Trievi, e quella
del re Giovanni di Buemmia e
del
dogio di
Sassogna, e quella
del marchese di
Brandimborgo.
Federigo d'
Osteric ebbe quella dell'arcivescovo
di
Cologna e quella
del
dogio di Baviera nimico
del fratello. Queste ebbe certe, e ebbe quella
del
dogio di Chiarentana, il quale dicea
dovea essere
re di
Boemmia di ragione, perch'avea per moglie la
prima figliuola di
Vincislao
reda. E ebbe la
boce d'uno
de' marchesi di
Brandimborgo, che dicea ch'era
di ragione marchese, ma non possedea. Ma
Lodovico
più presso era di ragione imperadore, se non che
'l
dogio di Baviera suo fratello per promessione fatta
diè la sua
boce co' detti altri
lettori
a
Federigo
dogio
d'
Osteric, de la quale isvariata lezione grande
scandalo
surse in Alamagna tra l'uno eletto e l'altro, e tra
'l
dogio di Baviera e
Lodovico eletto suo fratello, e
più
assembramenti e guerre ebbe tra lloro.
L. 10, cap. 68 rubr.Come Uguiccione signore di Pisa fece gran guerra a
le terre vicine.
L. 10, cap. 68Nell'
anno
MCCCXIIII, avendo Uguiccione da Faggiuola
co' Pisani e' Tedeschi presa la
città di Lucca,
come adietro è fatta menzione, tutte le castella che'
Lucchesi aveano de' Pisani possedute infino
al tempo
del
conte Ugolino rendé
al Comune di
Pisa, de le
quali i Pisani feciono disfare
Asciano e
Cuosa,
e
Castiglione di Valdiserchio, e
Nozzano, e 'l ponte
a Serchio,
e ritennero il castello di Ripafratta, il
Mutrone,
e 'l
Viereggio di su la marina, e
Rotaia, e 'l borgo di
Serrezzano. E in questo medesimo tempo e nel caldo
di tanta vittoria il detto Uguiccione
colla masnada
de' Tedeschi cavalcando sovente sopra i
Pistolesi infino
a
Carmignano, e sopra i Volterrani, e per tutta
Maremma, e sopra Samminiato, e per assedio ebbe il
castello di Cigoli e di più altre loro castella, e molto
gli affrisse, e poi si puose
ad asedio
a Montecalvi,
che 'l tenevano i Fiorentini: per non essere soccorso
si rendéo
a Uguiccione e
a' Pisani, salve le persone.
L. 10, cap. 69 rubr.Come coronato il re Luis di Francia, andò ad oste
sopra i Fiaminghi, ma niente v'aquistò.
L. 10, cap. 69Nell'
anno
MCCCXV, il dì di san Giovanni Batista di
giugno,
Luis si coronò re di
Francia
colla reina
Crementa
sua moglie. Incontanente che fu
coronato, fece
bandire oste sopra i
Fiamminghi, rompendo triegue
e pace che il re
Filippo suo padre avea fatte co· lloro;
e in persona con tutta la baronia di
Francia, in
numero di
Xm o più cavalieri e popolo innumerabile,
andò in
Fiandra, e puosesi
a campo
a Coltrai. Il
conte
Ruberto di
Fiandra co' suoi
Fiamminghi gli vennono
a lo 'ncontro
a Coltrai per combattere co· llui.
Come piacque
a Dio,
del mese d'
agosto cadde tanta
piova (e 'l paese di
Fiandra è come marese), che 'l
carreggio che apportava la vittuaglia
a l'oste de'
Franceschi non potea uscire di
cammino, e le
tende
e' padiglioni de la detta oste sì circondati d'acque e
di pantano, che non poteva appena andare l'uomo
dall'uno padiglione
a l'altro; sì che per lo difetto de
la vittuaglia, e per lo
guastamento
del campo,
convenne
che il re di
Francia si partisse da oste
del mese
di settembre, con vergogna e con gran
dammaggio
quasi di tutti i loro arnesi. E poi il detto
conte di
Fiandra con sua oste andò infino
a
Cassella e Santo
Mieri per assediare la terra, e se non che quegli de le
buone ville non vollono più vergogna fare
al re, elli
avrebbono potuto correre tutto Artese sanza contasto
neuno.
L. 10, cap. 70 rubr.Come Uguiccione signore di Lucca e di Pisa fece
porre l'assedio al castello di Montecatini.
L. 10, cap. 70Nel detto
anno Uguiccione da Faggiuola co la forza
delle masnade de' Tedeschi, signore
al tutto di
Pisa
e di Lucca, trionfando per tutta
Toscana, fece
porre oste e assedio
a Montecatini in Valdinievole, il
quale teneano i Fiorentini dopo la
perdita di Lucca,
e quello guernito di buona gente, con battifolli fu
molto
distretto, sì che gran difetto aveano di vittuaglia.
I Fiorentini mandato nel Regno per lo
prenze
Filippo di Taranto fratello
del re Ruberto, per contastare
la rabbia d'Uguiccione e de' Pisani e de' Tedeschi,
quegli venne
a
Firenze dì
XI di luglio, con
Vc cavalieri
al soldo de' Fiorentini con messer
Carlo suo
figliuolo contra voglia
del re Ruberto, conoscendo il
suo fratello per più di testa che savio, e con questo
non bene
aventuroso di battaglie, ma il contradio; e
se' Fiorentini avessono voluto più indugiare, il re
Ruberto mandava
a
Firenze il
duca suo figliuolo con
più ordine e con più
consiglio e migliore gente: ma
la
fretta de' Fiorentini, co lo
studio della contradia
fortuna, gli fece pure volere il
prenze, onde
a lloro
seguì grande
dammaggio e disinore.
L. 10, cap. 71 rubr.Come il prenze di Taranto venuto in Firenze, i Fiorentini
uscirono ad oste per soccorrere Montecatini, e
furono sconfitti da Uguiccione de la Faggiuola.
L. 10, cap. 71Venuto il
prenze di Taranto e 'l figliuolo in
Firenze,
Uguiccione con tutto suo isforzo di
Pisa e di Lucca,
e
del vescovo d'
Arezzo, e de'
conti da Santa Fiore,
e di tutti i Ghibellini di
Toscana e usciti di
Firenze,
e con aiuto de' Lombardi da messer
Maffeo Visconti
e da' figliuoli, il quale Uguiccione fue con novero
di
XXVc e più di cavalieri, e popolo grandissimo,
venne all'assedio
del detto castello di Montecatini. I
Fiorentini per quello soccorrere raunarono grande
oste, richeggendo tutta loro amistà: vi furono Bolognesi,
Sanesi, Perugini, de la
Città di Castello, d'
Agobbio,
e di
Romagna, e di Pistoia, di Volterra, e di
Prato, e di tutte l'altre terre guelfe e amici di
Toscana,
in quantità, co la gente
del
prenze e di messer
Piero, di
XXXIIc di cavalieri, e gente
a piè grandissima,
e partirsi di
Firenze dì
VI d'
agosto. E venuta la
detta oste de' Fiorentini e
del
prenze in Valdinievole
a la 'ncontra di quella d'Uguiccione, più dì stettono
affrontati, il fossato della
Nievole in mezzo, con più
assalti e badalucchi. I Fiorentini con molti capitani e
con
poca ordine i nemici aveano per niente; Uguiccione
e sua gente con tema grande, e per quella faceano
grande guardia e savia
condotta. Uguiccione
avendo
novelle che i Guelfi delle
sei migliaia
del
contado di Lucca per sodduzione de' Fiorentini venieno
verso Lucca, e già aveano rotta la
scorta e la
strada onde
venia la vittuaglia
a l'oste d'Uguiccione,
prese per
consiglio di levarsi dall'assedio, e di notte
si ricolse, e fece ardere i battifolli, e venne con sua
gente schierata in sul congiugnimento dello
spianato
dell'una oste e dell'altra,
a intenzione, se 'l
prenze e
sua oste non si dilungasse, di valicare e
andarsene
a
Pisa; e se 'l volessono contrastare, d'avere l'avantaggio
del campo, e di prendere la ventura della battaglia.
Il
prenze e' Fiorentini e loro oste veggendo ciò,
in sul giorno si levarono da campo, e
istendero loro
padiglioni e arnesi, e 'l
prenze malato di
quartana,
con
poca provedenza non tenendo ordine di schiere
per lo sùbito e improviso levamento di campo, s'affrontarono
con i nimici,
credendogli avere in volta.
Uguiccione veggendo non potea schifare la battaglia,
fece assalire le guardie dello
spianato, ch'erano i Sanesi
e'
Colligiani e altri,
a' suoi feditori intorno di
CL
cavalieri, ond'era capitano col pennone imperiale
messer Giovanni
Giacotti
Malespini rubello di
Firenze,
e 'l figliuolo d'Uguiccione, e quegli Sanesi e
Colligiani sanza contrasto ruppero e trascorsono infino
a la schiera di messer Piero ch'era
colla cavalleria
de' Fiorentini. Quivi i detti feditori furono rattenuti,
e quasi tutti tagliati e morti, e rimasevi morto il
detto messer Giovanni, e 'l figliuolo d'Uguiccione e
loro compagnia, e abattuto il pennone imperiale, con
molta buona e franca gente.
L. 10, cap. 72 rubr.Ancora de la detta battaglia e sconfitta de' Fiorentini
e del prenze.
L. 10, cap. 72Essendo cominciato l'assalto, e Uguiccione veduto
il male sembiante di fuggire che feciono i Sanesi e'
Colligiani per la percossa de' suoi feditori, incontanente
fece fedire la schiera de' Tedeschi, ch'erano da
VIIIc cavalieri e più, e quegli rabbiosamente assalendo
la detta oste male ordinata, che per la sùbita levata
gran parte de' cavalieri non erano armati di tutte
loro armi, e' pedoni male in ordine, anzi
al fedire
che feciono i Tedeschi di costa, i
gialdonieri lasciarono
cadere le loro
lance sopra i nostri cavalieri, e misonsi
in fugga; la quale intra l'altre fu gran cagione
della
rotta dell'oste de' Fiorentini, che la detta schiera
de' Tedeschi
pignendo innanzi gli misono in volta
con poco ritegno, salvo dalla schiera di messer Piero
e de' Fiorentini, che assai
sostennono;
a la perfine
furono sconfitti. Ne la quale battaglia morì messer
Piero fratello
del re Ruberto, e non si ritrovò mai il
corpo suo; e
morìvi messere
Carlo figliuolo
del
prenze,
e 'l
conte
Carlo da Battifolle, e messer
Caroccio e
messer
Brasco d'
Araona conostaboli de' Fiorentini,
uomini di gran
valore; e di
Firenze vi rimasono quasi
di tutte le grandi case e di grandi popolari, in numero
di
CXIIII tra morti e presi cavalieri delle cavallate,
e di Siena, di Bologna, e di Perugia e dell'altre terre
di
Toscana e di
Romagna pur de' migliori; ne la qual
battaglia furono di tutte genti morti tra uomini
a cavallo
e
a piede da
IIm e presi da
MD. Il
prenze con
tutta l'altra gente si fuggì, chi verso Pistoia, e chi verso
Fucecchio, e chi per la Cerbaia, onde molti
capitando
a' pantani della
Guisciana,
del sopradetto numero
de' morti sanza
colpi annegarono assai. Questa
dolorosa sconfitta fu il dì di santo Giovanni
dicollato,
dì
XXVIIII d'
agosto
MCCCXV. Fatta la detta sconfitta,
il castello di Montecatini s'
arrendéo
a Uguiccione,
e 'l castello di
Montesommano, i quali teneano i
Fiorentini; e quegli che dentro v'erano se n'andarono
sani e salvi per
patti.
L. 10, cap. 73 rubr.Come Vinci e Cerreto Guidi si rubellarono a' Fiorentini.
L. 10, cap. 73Come la detta sconfitta fu fatta, i signori d'
Anghiano
rubellarono dal Comune di
Firenze il loro castello
di Vinci, e
Baldinaccio degli
Adimari rubello
di
Firenze rubellò il castello di Cerreto
Guidi di
Greti; e fuggendo i Fiorentini e gli altri de la detta
sconfitta, ne presono e rubarono assai; e poi per più
tempo fatta compagnia con Uguiccione, e poi con
Castruccio di Lucca, grande
guerra feciono
al
contado
di
Firenze in quella contrada, e più volte vi furono
rotti e ricevettono
danno i soldati di
Firenze e
que' d'
Empoli, e di
Pontormo, e
del paese per le masnade
de' Tedeschi di Lucca.
A la fine per
patti e per
danari essendo tratto di
bando
Baldinaccio e altri,
con vergogna
del Comune di
Firenze, renderono le
dette castella
a' Fiorentini.
L. 10, cap. 74 rubr.Come il re Ruberto mandò in Firenze per capitano
il conte Novello.
L. 10, cap. 74Nel detto
anno i Fiorentini per la detta sconfitta
non isbigottiti, ma vigorosamente la loro
città di
Firenze
riformarono e d'ordini e di forza di gente d'arme
e di moneta, e
steccarsi i fossi per la loro difensione,
e mandarono
al re Ruberto per uno capitano
di
guerra, il quale sanza indugio mandò
a
fFirenze il
conte d'Andria e di
Montescaglioso detto
conte
Novello
de la casa
del Balzo, con
CC cavalieri; e
costì
stettono
al riparo della fortuna d'Uguiccione sanza
perdere stato o signoria o castello o altra tenuta, onde
i Ghibellini e usciti di
Firenze si trovarono ingannati,
che si
credeano avere vinta la terra fatta la sconfitta:
ed e' fu il contradio, che già per ciò non fu il
danno sì grande, che essendo in
Firenze, paresse v'avesse
mai avuta sconfitta, non lasciando gli artefici di
fare i loro lavori continuo.
L. 10, cap. 75 rubr.Come Uguiccione fece tagliare la testa a Banduccio
Bonconti e al figliuolo, grandi cittadini di Pisa.
L. 10, cap. 75Nell'anno MCCCXVI, del mese di marzo, trionfando
Uguiccione della detta vittoria, e avendo la signoria
di Pisa e di Lucca, volendo come tiranno al tutto dominare
sanza contasto, fece pigliare in Pisa Banduccio
Bonconti e 'l figliuolo, uomo di grande senno e
autoritade, e molto creduto da' suoi cittadini, perché
per bene del suo Comune contrastava a la sua tirannia,
gli fece subitamente dicapitare, opponendo loro
falsamente che teneano trattato col re Ruberto; onde
i Pisani forte s'indegnarono contra Uguiccione, ma
per la sua forza e signoria nullo l'ardiva a contastare.
Facciamne menzione per quello che nn'avenne poi.
L. 10, cap. 76 rubr.Come i Fiorentini si divisono tra lloro per sette, e
feciono bargello.
L. 10, cap. 76Nel detto
anno
MCCCXVI i Fiorentini volendosi
fortificare e riparare
a la forza d'Uguiccione, mandarono
in
Francia ambasciadori e sindachi per fare venire
per loro capitano messer
Filippo di
Valos figliuolo
di messer
Carlo di
Francia con
VIIIc cavalieri
franceschi, il quale per la turbazione della
morte
del
re
Luis di
Francia suo
cugino non venne; e ancora
v'ebbe sturbo e difetto per le
sette che nacquero
grandissime tra' Fiorentini, che l'una parte de' Guelfi
amavano la signoria de· re Ruberto e de' Franceschi,
e gli altri il contradio e' voleano; e mandarono
in Alamagna per lo
conte di
Liutimberghe perché
menasse
Vc cavalieri tedeschi, e simigliante non vennero,
e volentieri avrebbono tolta la signoria data
al
re Ruberto. Onde in
Firenze si cominciò grande scisma
e parte tra' Guelfi; e dell'una parte che
disamavano
la signoria
del re Ruberto erano capo messer
Simone della Tosa con certi grandi, e' Magalotti con
certi popolari, i quali
al tutto co· lloro isforzo e séguito
signoreggiavano la terra; e se non fosse per la tema
d'Uguiccione, certamente la parte
del re Ruberto
n'avrebbono cacciata fuori della
città; e mandarne il
conte
Novello con sua gente, che non era ancora dimorato
in
Firenze che
IIII mesi capitano di
guerra, e
dovea dimorare uno
anno: e sì era in
Firenze vicaro
in luogo di podestà e capitano per lo re Ruberto, ma
poco podere v'avea, però che la
setta contraria aveano
la forza e signoria
del priorato e degli altri offici e
ordini de la terra. E per meglio signoreggiare la terra
ed essere più temuti, la detta
setta reggente
criò e fece
uno bargello ser Lando d'
Agobbio, uomo carnefice
e crudele; e il dì di calen di maggio
MCCCXVI gli
diedono il gonfalone e la signoria; il quale continuo
stava con
Vc fanti armati con mannaie
a piè
del palagio
de' priori, e subitamente mandava pigliando
Ghibellini e rubelli e loro figliuoli e altri cui gli piacea
di fatto, in
città e in
contado, e sanza giudicio ordinale
di fatto gli facea
a' suoi fanti tagliare
colle
mannaie; e così fece
a'
cherici sacri della casa degli
Abati, e
a uno giovane innocente della casa de'
Falconieri,
e
a più altri di basso affare; onde il comune
popolo di
Firenze isbigottiti della
guerra di fuori
d'Uguiccione, e de la
tirannesca e crudele signoria
d'
entro,
ciascuno vivea in paura, così i Guelfi come i
Ghibellini, i quali non erano di quella
setta, e la
città
era caduta in pessimo stato; se non che Idio vi provide
con
corto rimedio, come innanzi farà menzione.
L. 10, cap. 77 rubr.Come si murarono parte delle mura di Firenze, e fecesi
una mala moneta.
L. 10, cap. 77Nel detto
anno e tempo, sotto la signoria
del detto
bargello, in
Firenze si compierono di
murare le
mura
dal prato d'Ognesanti
a San
Gallo, e fecesi una moneta
falsa in
Firenze, ch'era quasi tutta di rame
bianchita
d'ariento di fuori, e
contavasi l'uno danari
VI,
che non valea danari
IIII, e chiamarsi bargellini: fu
molto biasimata per gli buoni uomini.
L. 10, cap. 78 rubr.Come Uguiccione da Faggiuola fu cacciato della signoria
di Pisa e di Lucca, e come Castruccio di prima
ebbe la signoria di Lucca.
L. 10, cap. 78Nel detto
anno
MCCCXVI, dì
X d'
aprile, essendo in
Lucca per signore il figliuolo d'Uguiccione da Faggiuola,
Castruccio della casa degl'
Interminelli (non
perciò de' migliori della casa, ma era di grande
ardire
e séguito), avendo fatto in
Lunigiana certe ruberie
e micidi contra volontà d'Uguiccione, preso fu in
Lucca dal figliuolo d'Uguiccione per giustiziare.
Quelli per la forza de' suoi
consorti e séguito non
l'osava né ardia
a ffare: mandò per Uguiccione suo
padre, e egli venne
a Lucca con parte di sua cavalleria
per seguire la detta giustizia. Sì tosto come fu in
sul Monte San
Giuliano, il popolo di
Pisa si levò
a
romore per soperchi ricevuti, e per la
morte di
Banduccio
Bonconti e
del figliuolo, onde forte s'erano
gravati della signoria d'Uguiccione, onde fu capo
Coscetto dal
Colle franco popolare, e corsono con
arme e con fuoco
al palagio ove stava Uguiccione e
sua famiglia, gridando: «Muoia il tiranno d'Uguiccione»;
e così rubarono e uccisono tutta sua famiglia,
e rimutaro stato nella terra, e feciono loro signore
il
conte
Gaddo de'
Gherardeschi, uomo savio
e di gran podere. Uguiccione trovandosi in Lucca,
quasi la terra scommossa per rubellarsi contra lui per
la cagione di
Castruccio, e avendo
novelle da
Pisa
che' Pisani s'erano rubellati, per paura si partì egli e
'l figliuolo e sua gente, e
andarsene verso Lombardia
nelle terre
del marchese Spinetta, e poi
a Verona
a
messer Cane della Scala.
Castruccio scampato,
a grido
fu fatto signore di Lucca per uno
anno,
coll'aiuto
e favore di messer Pagano di
Quartigiani,
Pogginghi,
e Onesti, e con
patto che 'l detto messer Pagano fosse
signore in
contado, e compiuto l'
anno, scambiare
la signoria. Ma
Castruccio per essere
al tutto signore,
gli colse cagione, e
cacciollo di Lucca e
del
contado;
e tali sono i
meriti de' tiranni. E così in picciolo tempo
a Uguiccione fu mutata la fortuna, e l'una
città e
l'altra tratta de la sua tirannica signoria. Questo fu il
guidardone che lo
'ngrato popolo di
Pisa rendé
a
Uguiccione da Faggiuola, che gli avea vendicati di
tante
vergogne, e
racquistate loro tutte loro castella e
dignità, e
rimisigli nel maggiore stato, e più temuti
da' loro vicini che
città d'Italia.
L. 10, cap. 79 rubr.Come il conte da Battifolle fu vicario in Firenze, e
caccionne il bargello, e mutòe stato in Firenze.
L. 10, cap. 79Nel detto
anno
MCCCXVI gran parte de' Guelfi
grandi e popolani di
Firenze ch'aveano data la signoria
al re Ruberto, i quali erano gran parte di tutte le
maggiori schiatte de la terra, e co· lloro quasi tutti i
mercatanti e artefici, parea loro male stare per la signoria
del bargello, segretamente si
dolfono per
lettere
e ambasciadori
al re Ruberto, e
richiesollo ch'egli
facesse vicario di
Firenze il
conte
Guido da Battifolle;
il quale dal re fu accettato e fatto. E 'l detto
conte
del mese di luglio
del detto
anno venne
a
Firenze,
e prese la signoria per lo re. L'altra
setta che
signoreggiava la
città nel priorato, che non amavano
la signoria
del re Ruberto, volentieri l'avrebbero contastato;
ma il
conte da Battifolle era sì Guelfo e sì
possente vicino, che no· ll'ardirono
a contastare
a la
sua venuta in
Firenze. Ma poco
pote' aoperare i· lloro
contradio per la sua signoria, per la forza
del bargello,
e perché tutti e
VII i priori e gonfaloniere erano di
quella
setta, e' gonfalonieri delle compagnie dell'
arti
di
Firenze. Ma avenne in quello tempo che la figliuola
del re Alberto de la Magna,
serocchia
del
dogio
d'
Osteric, andava
a
marito
a
Carlo
duca di Calavra
figliuolo
del re Ruberto, e passò per
Firenze: incontro
per
acompagnarla venne l'arcivescovo di Capova
cancelliere
del re, e messer
Gianni fratello
del re Ruberto,
e 'l
conte camerlingo, e 'l
conte
Novello con
cavalieri in numero di
CC. Venuti in
Firenze, per lo
conte da Battifolle vicario
del re, e per gli altri cittadini
ch'amavano la sua signoria, si
dolfono
a quegli
signori della signoria
del bargello, e mostrarono com'
era contra l'onore e stato
del re; onde avenne che
si
tramisono d'accordo e per parole e per minacce
che' Guelfi si
raccomunassono insieme de la signoria,
e
convenne che si facesse; sì che
a la lezione de'
priori, che
venia in mezzo ottobre, che
VII erano già
fatti di quella
setta che reggea la
città,
convenne che
VI altri de la parte
del re s'agiugnessono
a quegli. E
come quegli signori furono co la donna
a Napoli, e
fatto asapere
al re lo stato di
Firenze e la signoria
del
bargello, incontanente mandò il re
a
Firenze che la
detta signoria s'abbattesse, e 'l bargello più non fosse;
e così fu fatto. E partissi il bargello di
Firenze
del
mese d'ottobre
MCCCXVI, però che la parte
del re col
podere
del
conte da Battifolle vicario avea già sì presa
forza, che non che di disfare l'oficio
del bargello,
ma la seguente lezione de'
XIII priori furono quasi
tutti de la parte ch'amavano la signoria
del re; e così
al tutto il
conte da Battifolle con quella parte rimasono
signori, e si mutò stato in
Firenze sanza nulla altra
turbazione o cacciamento di genti. La quale gente
di vero tennero la
città in assai
pacifico e tranquillo
stato più tempo appresso, onde la
città s'avanzò e
migliorò assai; e per lo detto
conte da Battifolle vicario
s'ordinò e cominciò e fece gran parte
del palagio
nuovo ove sta la podestà. E nel detto
anno,
del mese
di gennaio,
a la signoria
del detto
conte nacque
al
Terraio in Valdarno uno fanciullo con
due corpi così
fatto, e fu
recato in
Firenze, e vivette più di
XX dì;
poi morì
a lo spedale di Santa Maria della Scala, l'uno
prima che l'altro: e volendo essere
recato vivo
a'
priori ch'allora erano, per maraviglia non vollono
ch'
entrasse in palagio,
recandolsi
a pianta e sospetto
di sì fatto mostro, il quale secondo l'oppenione degli
antichi ove nasce era
segno di futuro
danno.
L. 10, cap. 80 rubr.
Conta di grande fame e mortalità ch'avenne oltremonti.
L. 10, cap. 80Nel detto anno MCCCXVI grande pestilenzia di fame
e mortalità avenne nelle parti di Germania, cioè
nella Magna di sopra verso tramontana, e stesesi in
Olanda, e in Frisia, e in Silanda, e in Brabante, e in
Fiandra, e in Analdo, e infino ne la Borgogna, e in
parte di Francia; e fu sì pericolosa, che più che 'l terzo
de la gente morirono, e da l'uno giorno a l'altro
quegli che parea sano era morto. E 'l caro fu sì grande
di tutte vittuaglie e di vino, che se non fosse che
di Cicilia e di Puglia vi si mandò per mare per gli
mercatanti per lo grande guadagno, tutti morieno di
fame. Questa pestilenzia avenne per lo verno dinanzi,
e poi la primavera e tutta la state fu sì forte piovosa,
e 'l paese è basso, che l'acqua soperchiò e guastò
ogni sementa. Allora le terre affogarono sì, che più
anni appresso quasi non fruttarono, e corruppe l'aria.
E dissono certi astrolaghi che la cometa ch'aparve
dinanzi nel MCCCXIIII fu segno di quella pestilenzia,
ch'ella dovea venire perché la sua infruenzia fu
sopra quegli paesi. E in quello tempo la detta pestilenzia
contenne simigliante in Romagna e in Casentino
infino in Mugello.
L. 10, cap. 81 rubr.Della lezione di papa Giovanni XXII.
L. 10, cap. 81Giovanni
XXII, nato di Caorsa di basso affare, sedette
papa
anni
XVIII, mesi
II e dì
XXVI. Questi fu
eletto dì
VII d'
agosto
MCCCXVI in
Vignone da' cardinali,
essendo stata
vacazione bene di
due
anni, e
tra lloro in grande
discordia, però che' cardinali
guasconi,
ch'erano una gran parte
del
collegio, voleano
la lezione in loro, e gli cardinali italiani e franceschi e
provenzali non
aconsentieno, sì erano stati
a punto
del Guascone. Dopo la molta
contesa, quasi come in
mezzano, rimisono l'una parte e l'altra le
boci in costui,
credendosi i Guasconi la rendesse
al cardinale
di Bidersi ch'era di loro nazione, o
al cardinale
Pelagrù.
Questi con assentimento degli altri Italiani e
Provenzali, e per trattato di messer Nepoleone
Orsini
cardinale, capo di quella
setta contro
a' Guasconi,
la diede
a ssé medesimo, per ordinato modo secondo
i
decretali. Questi fue uno povero
cherico, e di nazione
del padre
ciabattiere, e col vescovo d'Arli
cancelliere
del re
Carlo secondo s'allevò, e per sua bontà
e sollecitudine essendo in grazia
del re
Carlo, e
a sua
spensaria il fece studiare, e poi il re il fece fare vescovo
di
Vergiù; e morto l'arcivescovo d'Arli messer
Piero da
Ferriera
cancelliere e suo maestro, il re Ruberto
il fece in suo luogo
cancelliere; e poi con suo
studio e sagacità mandando
lettere da parte
del re
Ruberto
a papa
Chimento di sua raccomandigia, de
le quali il re, si disse, non seppe neente; per le quali
lettere il detto vescovo di
Vergiù fu
promutato e fatto
vescovo di
Vignone, e poi cardinale per lo suo
senno e
studio; onde il re Ruberto innanzi che fosse
cardinale era male di lui, e aveali tolto il
suggello,
perch'egli avea
suggellate le dette
lettere in suo favore
al detto papa
Chimento sanza sua coscienza. Questo
papa Giovanni fu
coronato in
Vignone il dì di
santa Maria, dì
VIII di settembre,
anno
MCCCXVI. Poi
fu grande amico
del re Ruberto, e egli di lui; e per
lui fece di grandi cose, come innanzi farà menzione.
Questo papa diede compimento
al settimo
libro de
le decretali, il quale avea cominciato papa
Clemento,
e
rinovellò la
Pasqua e festa
del sagramento
del corpo
dì Cristo con grandi indulgenzie e perdoni, chi
fosse
a celebrare gli ufici sacri
a ogn'ora, e
diè perdono
generale
a tutti i Cristiani di
XL dì per ogni volta
che si facesse reverenza quando il prete nominasse
Gesù Cristo; questo fece poi nell'
anno
MCCCXVIII.
L. 10, cap. 82 rubr.Come il re Ruberto e' Fiorentini feciono pace co'
Pisani e' Lucchesi.
L. 10, cap. 82Nell'
anno
MCCCXVII,
del mese d'
aprile, pace fu
fatta dal re Ruberto
a' Pisani e Lucchesi, e simigliante
la fece fare il detto re
a' Fiorentini e Sanesi e
Pistolesi,
e tutta la lega di parte guelfa di
Toscana; e
con tutto che per gli Guelfi malvolentieri si facesse
per la sconfitta ricevuta da lloro, e
dando biasimo
al
re Ruberto di viltà, sì 'l fece per gran senno e provedenza,
e per pigliare lena e forza per sé e per gli Fiorentini,
e non urtare co' nimici
a la fortuna de la loro
vittoria, e per altri maggiori intendimenti, come innanzi
farà menzione. I
patti ebbe il re da' Pisani che
quando facesse generale armata, gli
darebbono
V galee
armate, o la moneta che
costassono, e volle facessono
in
Pisa una cappella e spedale per l'anime de'
morti
a la sconfitta da
Montecatino
a perpetua memoria;
e ancora di questo fu ripreso, e lo re la fece
fare
a gran provedenza. I Fiorentini ebbono
patti
d'essere liberi e franchi in
Pisa, e le castella che aveano
si tenessono; e tornarono i pregioni in
Firenze dì
XXVIIII di maggio: furono
XXVIII tra cittadini e contadini
nobili e buoni popolani, sanza più altri,
minuta
gente e contadini. E la detta pace co' Pisani non
avrebbe avuto effetto con tutto il podere
del re Ruberto,
però che' Pisani in nulla guisa voleano fare
franchi i Fiorentini in
Pisa, né altri
patti domandati,
parendo loro, com'erano,
al di sopra de la
guerra
con vittoria, se non fosse
adoperato per gli Fiorentini
una
bella e sottile
maestria di
guerra per l'uficio
passato de' priori,
intra' quali avea di savi e discreti
uomini, della quale è bene da fare notevole memoria
per
assempro di quegli che sono
a venire. Essendo,
come detto è dinanzi,
rinnovato lo stato in
Firenze
per la signoria
del
conte
a Battifolle, e era ancora
molto tenero, e avendo la
guerra di
Pisa e di Lucca,
non erano in
sicuro stato, sì usarono questa savia disimulazione:
ch'eglino
elessono
XIIII buoni uomini
popolani, e
rinchiusogli nell'opera di Santo Giovanni,
e commisono loro che facessono
nuove gabelle, e
delle vecchie
radopiassono, sì che il Comune avesse
d'
entrata
Dm di fiorini d'oro l'
anno, o più; e di questo
ordine si diede la
boce per la
cittade, e di mandare
in
Francia per uno de' reali, figliuolo o nipote
del re,
per capitano con
M cavalieri franceschi. E questa
providenza fu commessa per lo
conte e per tutto l'uficio
de' priori in Alberto
del Giudice, uomo di
grande autoritade, con
Donato
Acciaiuoli, e co noi,
che tutti e tre
eravano di quello
collegio, e fune dato
il
suggello
del Comune e piena autorità con giurata
credenza. Incontanente per gli detti furono fatte fare
lettere da parte
del Comune
al re di
Francia e
a messer
Carlo suo fratello,
pregandogli per bene e stato
di santa Chiesa e di parte guelfa, e riparare la venuta
di
nuovo imperio, ci mandassono uno de' loro figliuoli
con
M cavalieri
al nostro soldo; e
ordinossi
colle compagnie di
Firenze ch'aveano affare in
Francia,
che facessono
lettere di
pagamento di
LXm fiorini
d'oro, per dare per arra e fare la
promessa de'
gaggi
a
Carlo; e scrissesi
al papa e
a più de' suoi cardinali
amici
del nostro Comune ch'eglino iscrivessono e
confortassono lo re e messer
Carlo di questa impresa.
Fatte le dette
lettere, ebbono uno fidato
corriere
francesco, e ordinarono ch'andasse
a Parigi per la
via
di
Vignone, ov'era il papa, in
XV dì per lo
cammino
di
Pisa; e
disparte s'ordinò sagretamente per quegli
ch'era sopra le spie ch'una
spia fidata gli facesse
compagnia
a
condurlo per
Pisa. E come furono in
Pisa, com'era temperato, la detta
spia scoperse
al
conte e
agli anziani
del detto
corriere, il quale feciono
pigliare
colle dette
lettere, e quelle aperte e lette,
s'
ammirarono forte dell'ordine impresa, sì grande
per lo nostro Comune, e di tanta
entrata di gabelle:
consigliaro che per loro non facea di mantenere la
guerra, potendo avere pace; e con tutti i loro vizii,
credendoci avere ingannati per la presa delle dette
lettere, rimasono ingannati; e di presente mandarono
al nostro Comune che rimandassono i loro ambasciadori
trattatori della pace
a Montetopoli, e i loro verrebbono
a Marti; e così fu fatto. E innanzi si partissono
si
diè compimento
a la pace,
al piacere, e com'
era prima
domandata per gli Fiorentini: e così si
mostra che lla savia providenza bene guidata e
colla
credenza, nelle guerre e nell'altre imprese, vince ogni
forza e
potenzia, e reca
a
ffine onorevole ogni gran
cosa.
L. 10, cap. 83 rubr.Come i Fiorentini disfeciono la mala moneta, e feciono
la buona del guelfo nuovo.
L. 10, cap. 83Nel detto
anno
MCCCXVII i Fiorentini disfeciono la
mala moneta
bargellina che correa per danari
VI l'uno,
ed erano di
valuta di danari
IIII, o meno, e fecionne
una da danari
XX, che poco valea meglio per
bontà d'argento, che poi si disfece quella da
XX, non
piaccendo
al popolo, e feciono la buona moneta
del
guelfo da danari
XXX l'uno, e quella da
XV danari di
buono argento di lega d'once
XI e mezzo di fine. E in
quello
anno,
del mese di luglio, si fondarono in su
ll'
Arno la
pila
del nuovo ponte detto Reale, e feciono
le
mura da quella torre di su l'Arno infino
a la porta
di Santo Ambruogio, e quelle di su la riva d'Arno in
su l'isola infino
al Corso de'
Tintori di costa l'
orto di
Santa
Croce.
L. 10, cap. 84 rubr.Come il re Ruberto mandò sua armata in Cicilia, e
fece gran danno.
L. 10, cap. 84Nel detto
anno essendo
fallite le triegue dal re Ruberto
a quello di Cicilia, per lo detto re si fece armata
in Napoli di
LX galee, sanz'altri legni
passaggeri,
onde fu amiraglio e capitano messer
Tommaso di
Marzano
conte di
Squillaci, il quale con
XIIc d'uomini
a cavallo e gente
a piè assai, passò col detto stuolo
in Cicilia, e puose
a Castello
a Mare, e poi per terra
n'andò in Valle di Mazara, guastando intorno
a
Trapali
e tutta la contrada, e le
galee per
mare, e grandissimo
danno fece di tutto il formento ch'era
a le
piagge; poi ritornò co la detta oste per la
via da
Coriglione
a
Palermo, e quivi per più giorni dimorò; e
tutti i giardini e vigne de la
città d'intorno guastò, e
le
tonnare
del porto: d'allora innanzi vennero in queste
marine grande abbondanza di tonni, che prima
non ce n'avea. E poi se n'andò, per terra i cavalieri, e
le
galee per
mare, infino
a Messina, guastando ciò
che innanzi gli si trovava, sanza riparo niuno; intorno
a Messina stette
ad oste più di
XV dì, guastando
tutte le vigne e' giardini di Messina. Il re
Federigo
non ardì di comparire né per terra né per
mare; ma
si dimorò
a
Castrogianni con sua oste, per la qual cosa
l'isola di Cicilia ricevette in quello
anno più di
guerra che prima non avea ricevuta dal re
Carlo primo,
né dal secondo. E dissesi, se il re Ruberto l'avesse
continuato l'
anno appresso, i Ciciliani non avrebbono
durato; ma papa Giovanni volle che triegue
fossono per
V anni, e la
città di Reggio in Calavra e
più castella intorno che re
Federigo avea conquistate
a la venuta dello 'mperadore
Arrigo rimise nelle
mani e guardia della Chiesa; la qual triegua il re Ruberto
accettò per la 'mpresa ch'avea fatta di
Genova
per
recarla
a sua Parte, come innanzi farà menzione,
e per
racquistare le dette terre, le quali riebbe poi in
guardia da la Chiesa; onde quello di Cicilia si tenne
tradito e ingannato da la Chiesa e dal re Ruberto, però
che il re Ruberto le si ritenne in sua signoria.
L. 10, cap. 85 rubr.Come Ferrara si rubellò da la Chiesa.
L. 10, cap. 85Nel detto anno, a dì IIII d'agosto, i Ferraresi si rubellarono
da la signoria de la Chiesa e del re Ruberto,
e a romore assalirono e uccisono e presono la sua
masnada, ch'erano Catalani a soldo; e poco appresso
i marchesi de la casa da Esti se ne feciono signori,
come aveano ordinato co' loro cittadini.
L. 10, cap. 86 rubr.
Come Uguiccione da Faggiuola tornava per rientrare
in Pisa, e le novità ne furono in Pisa, e di Spinetta
marchese.
L. 10, cap. 86Nel detto anno MCCCXVII, del mese d'agosto,
Uguiccione da Faggiuola coll'aiuto di messer Cane
da Verona venne subitamente con gente a cavallo e a
piè assai infino in Lunigiana, co la forza e per le terre
di Spinetta marchese, il quale intendea di venire a
Pisa per certi trattati ch'avea nella città per gente di
sua setta; il quale trattato fue scoperto, e a grido di
popolo, onde Coscetto dal Colle di Pisa si fece capo:
col consiglio del conte Gaddo corsono a furore a casa
i Lanfranchi che s'intendeano con Uguiccione, e
uccisonne quattro de' maggiori de la casa, e più di
loro mandaro a' confini, e di loro séguito. Sentendo
Uguiccione che non potea fornire la sua impresa, si
ritornò in Lombardia a Verona. Castruccio signore
di Lucca e nimico d'Uguiccione fece lega col conte
Gaddo e co' Pisani, e col loro aiuto de' cavalieri andò
ad oste sopra Spinetta marchese ch'avea dato il
passo a Uguiccione, e tolsegli Fosdinuovo fortissimo
castello, e Verruca Buosi, e di tutte sue terre il disertaro;
e 'l detto Spinetta si fuggì con sua famiglia a
messer Cane della Scala a Verona.
L. 10, cap. 87 rubr.
Come la parte ghibellina uscì di Genova.
L. 10, cap. 87Nel detto
anno
MCCCXVII,
a dì
XI di settembre, essendo
la
città di
Genova in istato di popolo, ma più
v'aveano podere i
Grimaldi e'
Fiescadori e la loro
parte de' Guelfi che gli Ori e' Ghibellini; l'una perché
il re Ruberto
favoreggiava i Guelfi, l'altra perché
gli
Spinoli ch'erano di parte ghibellina erano nimici
di quegli d'
Oria, e fuori di
Genova alquanti della casa
de'
Grimaldi per
dispetto preso contra quegli
d'
Oria feciono tornare in
Genova gli
Spinoli sotto
protesto che stessono
a le comandamenta
del Comune.
Come quegli della casa d'
Oria e i loro amici
sentirono
ciò, sì ebbono sospetto e tema d'essere traditi
da' Guelfi e da'
Grimaldi, e la
città ne fu
ad arme e
a
romore; e quegli d'
Oria non trovandosi poderosi per
lo contradio de' Guelfi, e eziandio per gli
Spinoli
ghibellini loro nimici, sì ssi
celarono eglino e' loro
amici sanza comparire in forza d'arme; per la qual
cosa i Guelfi presono vigore, e furono
a l'arme, e feciono
capitani di
Genova messer
Carlo dal
Fiesco e
messer
Guasparre
Grimaldi
a dì
X di novembre
MCCCXVII. Veggendo ciò gli
Spinoli ch'erano tornati
in
Genova, che lla terra era venuta
al tutto
a parte
guelfa, e conoscendo che ciò era fatto per industria e
opera
del re Ruberto, incontanente s'accordarono
con quegli della casa d'
Oria e loro amici ghibellini, e
si partirono della
città sanza altro cacciamento, onde
appresso
seguì grande
scandalo e
guerra, come per
innanzi farà menzione, però che lle dette
due case
d'
Oria e di Spinola erano le più poderose schiatte
d'Italia in parte d'imperio e ghibellina.
L. 10, cap. 88 rubr.Come i Ghibellini di Lombardia assediarono Chermona.
L. 10, cap. 88Nel detto anno, a dì XX di settembre, la parte ghibellina
di Lombardia, in quantità di CC cavalieri e
gente assai a ppiè, ond'era capitano messer Cane della
Scala di Verona, puosono assedio a la città di
Chermona, e avendola molto stretta, per forte tempo
di piova convenne si partissono dall'assedio, e ancora
perché i Bolognesi per fargli levare da Chermona
cavalcarono sopra la città di Modona, e guastarla intorno,
e fecionvi danno assai.
L. 10, cap. 89 rubr.Come messer Cane della Scala fece oste sopra i Padovani,
e tolse loro molte castella.
L. 10, cap. 89Nel detto
anno,
del mese di dicembre, il detto
messer Cane con suo isforzo venne
a oste sopra i Padovani,
e prese
Monselici ed Esti, e gran parte di loro
castella, e recogli sì
al sottile, che 'l febbraio vegnente
non possendo contastare, feciono pace come
piacque
a messer Cane, e
promisono di rimettere i
Ghibellini in Padova, e così feciono.
L. 10, cap. 90 rubr.Come gli usciti di Genova co la forza de' Ghibellini
di Lombardia assediarono Genova.
L. 10, cap. 90Ne l'
anno
MCCCXVIII, essendo usciti di
Genova
quegli della casa d'
Oria e di Spinola col loro séguito,
e per loro podere si stavano nella riviera di
Genova
a
le loro posessioni, mandarono loro ambasciadori in
Lombardia, e trattato e lega feciono con messer
Maffeo
Visconti capitano di Milano e co' figliuoli, e con
tutta la lega di Lombardia di parte d'imperio e ghibellina.
Per la qual cosa messer Marco Visconti figliuolo
del detto messer
Maffeo venne di Lombardia
con grande oste di gente, Tedeschi e Lombardi
a cavallo
e
a piè, e co' detti usciti di
Genova puosono assedio
a la detta
città da la parte di Co di Fare e di
borghi; e ciò fu
a dì
XXV di marzo
MCCCXVIII; e pochi
dì appresso quegli della casa d'
Oria
coll'aiuto degli
altri usciti feciono un'altra oste
a la
città d'
Albingano
nella riviera di
Genova, e quella ebbono
a
patti
in pochi giorni. Appresso, stante la detta oste
a
Genova, messer
Adoardo d'
Oria tenne trattato co
l'
abao
del popolo di Saona, e
entrò nella detta
città
di Saona di notte
celatamente, e incontanente
colla
forza de' Ghibellini della terra, che la maggiore partita
erano di parte imperiale, sì rubellarono la detta
terra
al Comune di
Genova
del mese d'
aprile; per la
qual cosa molto acrebbe la forza
agli usciti di
Genova,
che quasi tutta la riviera di ponente era
a lloro signoria,
salvo il castello di
Monaco e
Ventimiglia e la
città di
Noli, e nella riviera di levante teneano
Lerici.
L. 10, cap. 91 rubr.Come i Ghibellini di Lombardia ebbono Chermona.
L. 10, cap. 91Nel detto anno MCCCXVIII, del mese d'aprile, la
parte ghibellina di Lombardia co la forza de la gente
di messer Cane ebbono la città di Chermona per tradimento,
per una porta che fue loro data, con grande
danno de' Guelfi ch'erano dentro.
L. 10, cap. 92 rubr.Come gli usciti di Genova presono i borghi di Prea.
L. 10, cap. 92Nel detto
anno,
a l'uscita di maggio, avendo i detti
usciti assediata la torre di Co di Fare per
due mesi, e
quella si tenea francamente per que' d'
entro, per uno
sottile
dificio di canapi che
venia della torre
a una
cocca
del porto di
Genova, e per quello si
fornia e
rinfrescava
a contradio di tutta l'oste, sì si misono i
detti usciti
a cavare e tagliare
sotterra la detta torre.
Quegli d'
entro, temendo non cadesse, sì renderono
la torre, salve le persone, e chi disse per danari; e
tornati in
Genova, furono giudicati
a
morte, e traboccati
di fuori. Istando
al detto assedio, e continuo
davano battaglia
a' borghi di Prea che sono fuori
a la
porta de le Vacche; combattendo per forza il presono
a dì
XXV di giugno nel detto
anno, onde avanzarono
molto, e que' d'
entro
a
Genova perdero, per
modo che l'oste di fuori
crebbe e si ridusse ne' borghi,
e presono la montagna di
Peraldo e di San Bernardo
di sopra
a
Genova, e
accircondaro la terra; e
sopra il
Bisagno puosono un altro campo, sì che la
città per terra era tutta assediata, e per
mare avea
persecuzione assai per
galee di Saona e degli usciti
che signoreggiavano il
mare.
L. 10, cap. 93 rubr.Come il re Ruberto venne per mare al soccorso di
Genova.
L. 10, cap. 93Nel detto
anno
MCCCXVIII, essendo la parte de'
Guelfi così assediati nella
città di
Genova e per
mare
e per terra, sì mandarono
a Napoli loro ambasciadori
al re Ruberto, il quale avea fatta fare in
Genova la
detta commutazione, ch'egli gli
dovesse soccorrere e
aiutare sanza indugio; e se ciò non facesse, non si
potevano tenere, sì erano
a
stretta di vittuaglia e
d'assedio. Per la qual cosa il re Ruberto incontanente
fece una grande armata di
XLVII uscieri e
XXV galee
sottili, e più altri legni e cocche cariche di vittuaglia;
e egli in persona col
prenze di Taranto e con messer
Gianni
prenze de la Morea suoi fratelli, e con più
baroni e con quantità di
MCC cavalieri, partì di Napoli
dì
X di luglio, e venne per
mare, e
entrò in
Genova
a dì
XXI di luglio
MCCCXVIII, e da' cittadini fu
ricevuto onorevolemente come loro signore, e
rifrancò
la
città, che poco si potea tenere per difalta di vittuaglia.
Incontanente che 'l re fu giunto in
Genova,
gli usciti levarono l'oste ch'aveano messa in
Bisagno,
e si ridussono
a la montagna di San Bernardo e di
Peraldo, e
a' borghi di Prea verso ponente.
L. 10, cap. 94 rubr.Come i Genovesi diedono la signoria di Genova al
re Ruberto.
L. 10, cap. 94Nel detto
anno,
a dì
XXVII di luglio, i capitani di
Genova e l'
abao
del popolo e la podestà in pieno
parlamento
rinunziarono la loro balìa e signoria, e
con volontà
del popolo diedono la signoria e la guardia
della
città e della riviera
al papa Giovanni e
al re
Ruberto per
X anni, secondo i
capitoli di
Genova; e
'l re Ruberto la prese per lo papa e per sé, come quegli
che più tempo dinanzi l'avea disiderata,
a intenzione
quando avesse
a
queto la signoria di
Genova,
si
credea racquistare l'isola di Cicilia, e venire
al di
sopra di tutti gli suoi nimici; e
a questo intendimento
procacciò più tempo dinanzi la
rivoluzione della
città,
e di farne cacciare fuori gli Ori e gli
Spinoli, però
che più volte, essendone eglino signori di
Genova,
contastarono il re Ruberto e il re
Carlo suo padre, e
atarono quegli d'
Araona che teneano l'isola di Cicilia,
come adietro è fatta menzione.
L. 10, cap. 95 rubr.De la viva guerra che gli usciti di Genova co' Lombardi
feciono al re Ruberto.
L. 10, cap. 95Per la venuta
del re Ruberto in
Genova non
affiebolìo
l'oste di fuori, ma
maggiormente
crebbe per
l'aiuto de' signori di Lombardia di parte d'imperio, e
rifeciono lega
collo imperadore di
Gostantinopoli, e
col re
Federigo di Cicilia, e col marchese di Monferrato,
e con
Castruccio signore di Lucca, e ancora co'
Pisani
al segreto. E stando all'assedio, forti e gravi
battaglie
continuamente
davano
a la
città,
traboccandola
con più
difici, e assalendola da più
patti di dì e
di notte, come gente di gran vigore, sì
fattamente,
che 'l re Ruberto con tutto il suo isforzo non aquistò
niente sopra loro in niuna parte, anzi con cave
sotterra
puntellaro gran pezzo delle
mura da la porta
a
Santa
Agnesa, e quelle feciono cadere, e parte di loro
per forza
entrarono nella
città, onde il re in persona
s'armò con tutta sua gente, e con gran vigore
affrontandosi
in su le
mura rovinate
colle spade in mano,
pure i maggiori baroni e cavalieri
del re
ripinsono
fuori i loro nemici con gran
danno di gente dell'una
parte e dell'altra, e rifeciono le
mura con grande affanno
in poco di tempo,
lavorandovi di dì e di notte.
Istando il re e sua gente in
Genova così assediato e
combattuto, sì mandò per aiuto in
Toscana, e di più
patti l'ebbe; da' Fiorentini
C cavalieri e
Vc pedoni
tutti
soprasegnati
a gigli, e di Bologna altrettanti, e
simigliante di
Romagna e di più altre parti, e andarono
a
Genova per
mare per la
via di
Talamone; sì che,
giunta l'amistà, il re si trovò in
Genova in calen di
novembre
del detto
anno con più di
MMD cavalieri e
pedoni sanza numero. Di fuori n'avea più di
MD cavalieri,
ed era capitano dell'oste messer Marco Visconti
di Milano, e aveano le fortezze de' monti d'intorno,
per modo che 'l re non potea campeggiare. E
così dimoraro le dette osti in
guerra stretta di badalucchi
e di
traboccarsi e
saettarsi tutta la detta state,
e eziandio il verno, che l'uno da l'altro non potea
avanzare. E in questa stanza il detto messer Marco
Visconti ebbe tanta audacia, che fece richiedere il re
Ruberto di combattere co· llui corpo
a corpo, e quale
vincesse rimanesse signore; per la qual cosa il re
molto isdegnò.
L. 10, cap. 96 rubr.Come nella città di Siena si fece una congiura e ebbevi
romore e gran mutazione.
L. 10, cap. 96Nel detto
anno,
del mese d'ottobre,
MCCCXVIII,
nella
città di Siena nacque
scandalo e romore,
del
quale fue capo messer Sozzo
Dei e messer
Deo de'
Tolomei, con séguito de' giudici e de' notari e beccari
che voleano muovere il
reggimento dello stato della
città, e molto vi furono di presso, e la
città tutta
ad
arme. E trovandosi la gente de' Fiorentini ch'andavano
a
Genova in Siena,
a richesta
del detto Comune
seguirono l'oficio de'
nove che reggeano la terra, onde
quegli della detta congiura vennero
a niente, e furono
cacciati di Siena; onde si
criò grande divisione
nella
città, e per questa cagione non mandarono i Sanesi
aiuto
al re Ruberto. E alcuno disse che, perché
l'ordine de'
nove che si reggea molto
al volere de'
Salimbeni (e
aveavi de' Ghibellini) non voleano
mandare aiuto
al re Ruberto, que' de' Tolomei feciono
quella
novità; ma di vero si crede cominciasse per
mutare stato nella
città per la briga già nata tra' Tolomei
e'
Salimbeni, trovando quella cagione.
L. 10, cap. 97 rubr.Come la gente del re Ruberto sconfissono gli usciti
di Genova a la villa di Sesto, e si partirono dall'assedio
della città.
L. 10, cap. 97Nel detto
anno
MCCCXVIII, essendo il re Ruberto
stato assediato in
Genova, per lo modo che addietro
fa menzione, più di
VI mesi, si pensò che non potea
gravare i nimici suoi di fuori se non ponesse sua oste
in terra tra' borghi e Saona: fece ordinare una armata
dì
LX tra
galee e
uscieri, e ivi su fece ricogliere da
VIIIcL cavalieri, e gente
a piè bene
XVm; e con questa
gente furono quegli de' Fiorentini e gli altri Toscani,
e di Bologna, e Romagnuoli, e partirsi di
Genova
a
dì
IIII di febbraio per porre la detta gente nella contrada
di
Sesto. Sentendo ciò gli usciti e que' di fuori,
incontanente vi mandarono di loro gente
a cavallo e
a piè in grande quantità per contastare la riva
a l'oste
del re Ruberto, acciò che non ponessono in terra la
gente
del re. Arrivaro
a dì
V di febbraio, e con grande
travaglio mettendosi innanzi
botti vote, combattendo
co' nimici manescamente, onde i principali furono
i Fiorentini e gli altri Toscani che prima scesono
di
galee sotto la guardia de'
balestrieri delle
galee
ch'erano
a la riva, e per forza d'arme presono terra, e
la gente degli usciti ruppono e sconfissono in su la
piaggia di
Sesto, e assai ne furono morti e presi; e
quegli che scamparono fuggirono ne' borghi e
a Saona;
e la notte vegnente tutta l'oste ch'erano ne' borghi
e
al monte di
Peraldo e di San Bernardo si partiro,
e sì n'andaro verso Lombardia, e lasciarono tutti i
loro arnesi sanza ricevere altra caccia, che il re non
volle che sua gente si mettesse
a seguirgli
al
periglio
in quelle montagne. Appresso quegli della
città di
Genova ripresono i borghi di Prea e Co di Fare, e
tutte le fortezze di fuori.
L. 10, cap. 98 rubr.Come il re Ruberto si partì di Genova e andò a corte
di papa in Proenza.
L. 10, cap. 98Nell'
anno
MCCCXVIIII,
a di
XXVIIII d'
aprile, il re
Ruberto si partì di
Genova con
XL galee, e con sua
gente se n'andò in
Proenza ov'era la
corte
del papa
a
Vignone, e ivi da papa Giovanni fu ricevuto onorevolemente.
In
Genova lasciò per suo vicario messer
Ricciardo
Gambatesa d'
Abruzzi, uno savio signore,
con
VIc cavalieri e con più sergenti
a piè, e con più
galee
a la guardia di
Genova.
L. 10, cap. 99 rubr.Come gli usciti di Genova co' Lombardi tornarono
all'assedio di Genova.
L. 10, cap. 99Nel detto anno MCCCXVIIII, sentendo gli usciti di
Genova partito il re Ruberto, sì armarono in Saona
XXVIII galee, onde fu amiraglio messer Currado d'Oria,
e mandarono in Lombardia per aiuto, e raunarono
M e più cavalieri, la maggiore parte Tedeschi, e
grande quantità di popolo; e a dì XXVII di luglio del
detto anno tornarono a oste sopra Genova, e puosonsi
a campo in Ponzevera, e a dì III d'agosto
vegnente s'appressarono a la città, dando battaglia a'
borghi da più parti per terra da la parte di Bisagno; e
le dette galee entrarono nel porto combattendo fortemente
la città, ma niente acquistarono. E a dì VII
d'agosto vegnente fue una grande battaglia nel piano
di Bisagno tra gli usciti e quegli della città, e l'una
parte e l'altra ricevettono danno assai, sanza avere
nessuna parte onore de la vittoria, che que' di fuori
si ritrassono al poggio, e que' d'entro si tornarono
nella città: apresso continuamente combatteano di dì
e di notte la città per mare e per terra.
L. 10, cap. 100 rubr.
Come messer Cane prese le borgora di Padova.
L. 10, cap. 100Nel detto anno MCCCXVIIII, d'agosto, messer Cane
della Scala cogli usciti di Padova, che' Padovani non
vollono rimettere nella terra per gli patti fatti per
messer Cane, sì venne a oste sopra Padova con MM
cavalieri e Xm pedoni, e presono le borgora, e puosonvi
tre campi per assediare Padova.
L. 10, cap. 101 rubr.Come i Guelfi di Lombardia ripresono Chermona.
L. 10, cap. 101Nel detto anno, dì X d'ottobre, i Fiorentini mandarono
in Lombardia CCCL cavalieri per una taglia
fatta per Bologna e parte guelfa di M cavalieri, ond'era
capitano messer Ghiberto da Coreggia: partissi di
Brescia, e prese la città di Chermona per tradimento,
e recolla a parte guelfa; ma per la lunga guerra e mutazioni
era quasi strutta e recata a niente la detta
Chermona.
L. 10, cap. 102 rubr.
Come messer Ugo dal Balzo fue sconfitto ad Alessandra.
L. 10, cap. 102Nel detto anno MCCCXVIIII, del mese di dicembre,
essendo messere Ugo dal Balzo in Piemonte per lo re
Ruberto nel borboglio d'Alessandra, e assediava la
detta città, uscendo un dì fuori con CC cavalieri per
far fare legname per fare ponti e difici, messer Marco
Visconti di Milano con VIc cavalieri per uno aguato
gli uscì adosso, e sconfisse, e uccise.
L. 10, cap. 103 rubr.Come gli usciti di Genova ripresono i borghi di Genova.
L. 10, cap. 103Nel detto
anno
MCCCXVIIII,
a dì
X d'ottobre, avendo
gli usciti di
Genova co la lega di Lombardia date
più battaglie
a la
città per terra e per
mare, sì presono
per forza il
Castellaccio, ch'aveano fatto i Guelfi
d'
entro in sul monte e di
Peraldo e di San Bernardo,
il quale era con
poca guardia; e con quella vittoria
discesono giù
a' borghi, e sanza ritegno gli ebbono;
che veduto i Genovesi d'
entro perduto il
poggio,
abandonaro i borghi. E così la detta oste riprese la
signoria de' borghi come innanzi altra volta s'aveano,
e pochi dì apresso ebbono la torre di Co di Fare, e
quegli dell'oste di
Bisagno per non essere troppo
sparti si ritrassono
al
poggio e
a' borghi di Prea,
a dì
XVIIII di novembre; e così tutto il verno vegnente
combatterono la
città
continuamente per
mare e per
terra, e
tenealla molto afflitta. In questo assedio l'armata
degli usciti di
Genova ebbe sì grande fortuna,
che si levò da
Genova, e
VIII di loro
galee ruppono
in terra
a
Chiaveri, e perdero tutta la gente, e il rimanente
si tornò in Saona rotte e stracciate. E in questo
tempo essendo
XII galee di Provenzali
a
Noli, que' di
Saona armarono
XXII galee, e sopra
Noli combatterono
quelle
XII galee
del re, e
VIII ne presono, e
quattro ne tirarono in terra. Sentendo ciò quegli di
Genova, andarono
a Saona con
XXXVI galee, ma
niente poterono
danneggiare il porto.
L. 10, cap. 104 rubr.Come i Ghibellini presono Spuleto.
L. 10, cap. 104Nel detto
anno
MCCCXVIIII,
del mese di novembre,
per trattato e aiuto
del
conte
Federigo da Montefeltro
e degli altri Ghibellini de la Marca e
del
Ducato,
la parte ghibellina di Spuleto ne cacciarono per
forza la parte de' Guelfi, e combattendo la
città vi
furono assai micidii e incendii, e presono i Ghibellini
più di
CC buoni uomini de la
città di parte guelfa, e
misergli in pregione. I Perugini, i quali furono
tardi
al soccorso de' Guelfi, vennero poi all'assedio di
Spuleto con tutto loro isforzo, e stando
al detto assedio,
l'
anno appresso il detto
conte
Federigo fece rubellare
a' Perugini la
città d'Ascesi, per la qual cosa
si partirono da
guerreggiare Spuleto, e puosonsi
a
l'assedio d'Ascesi, l'
anno
MCCCXX. E 'l detto
anno,
del mese di dicembre, i Ghibellini di Spuleto
a furore
corsono
a le carcere ove aveano in pregione i
Guelfi, e vi misono fuoco e
arsonvegli tutti dentro; la
quale fue una
scellerata
crudeltade.
L. 10, cap. 105 rubr.Come il re di Tunisi ritornòe in sua signoria.
L. 10, cap. 105Nel detto anno MCCCXVIIII il re di Buggea, il quale
era stato prima re di Tunisi e poi cacciato per un altro
ch'era di suo legnaggio che si fece re, sì rivenne a
la città di Tunisi, e colla forza degli Arabi sì ne cacciò
il detto re, e racquistò la signoria; e quegli che tenea
la città se n'andò a Tripoli di Barberia, e accordossi
col re Federigo di Cicilia per moneta che gli
diede, e col suo aiuto fece grande guerra al re che tenea
Tunisi, per terra, e più per mare; che la seccò di
vittuaglia, che Tunisi era in grande bisogno; onde
quello re che tenea Tunisi, dando al re Federigo
maggiore quantità di moneta, s'accordò co· llui, e fornigli
la terra di vittuaglia, e rimase signore: e così il
re Federigo di Cicilia con inganno da' detti due re
saracini guadagnò in poco tempo CC migliaia di dobbre
d'oro.
L. 10, cap. 106 rubr.Come Castruccio signore di Lucca ruppe pace a' Fiorentini,
e cominciò loro guerra.
L. 10, cap. 106Nell'
anno
MCCCXX,
del mese d'
aprile, essendo
Castruccio
Interminelli signore di Lucca
a parte ghibellina
e
a llega co' Pisani, sentendo che 'l sopradetto
papa Giovanni col re Ruberto aveano sommosso di
fare venire di
Francia in Lombardia messer
Filippo
di
Valos figliuolo di messer
Carlo fratello
del re di
Francia con grande gente d'arme, per contastare la
forza di messer
Maffeo Visconti e de' figliuoli e di
sua lega; e sentendo che' Fiorentini e' Sanesi e' Bolognesi
aveano mandati in Lombardia
M cavalieri
a richesta
della Chiesa e
del re Ruberto, e erano già
a la
città di Reggio, il detto
Castruccio
a
preghiera e richesta
del detto messere
Maffeo Visconti e della lega
de' Ghibellini di Lombardia ruppe pace
a' Fiorentini
per isturbare la detta impresa di Lombardia; e ancora
come tiranno, che istando in pace scema suo stato,
e vivendo in
guerra l'asalta. E
Castruccio, come
uomo vago di signoria, credendo montare in istato,
cominciò
guerra
a' Fiorentini; e sanza nullo
isfidamento
co la forza de le masnade de' Pisani cavalcò, e
prese e fugli renduto come avea ordinato il castelletto
di Cappiano, e 'l ponte sopra la
Guisciana, e
Montefalcone, le quali fortezze teneano i Fiorentini.
E fatto ciò, passò la
Guisciana, e
corse guastando e
ardendo intorno
a Fucecchio, e
a Vinci, e
a cCerreto,
e poi infino
a
Empoli in sul
contado di
Firenze. E ritornando
si puose
ad assedio
a Santa Maria
a Monte
che si tenea per gli Fiorentini, salvo la rocca si tenea
per gli terrazzani, e quella in pochi giorni ebbe, però
che' terrazzani per
tradimento l'
arenderono, dì
XXV
d'
aprile; e' Fiorentini non erano proveduti come si
convenia:
credendosi conservare la pace, non poterono
a cciò riparare; e avuta la terra, tornòe
a Lucca
con grande trionfo, e quegli traditori che gli aveano
renduta Santa Maria
a Monte per sospetto menò
a
Lucca, e in pregione languendo gli fece morire. E
apresso in quello
anno il detto
Castruccio più castella
di
Carfagnana e di
Lunigiana vinse e recò alla sua
signoria, per la qual cosa sturbò molto, ma quasi tutta
la 'mpresa fatta per la Chiesa e per lo re Ruberto
in Lombardia co l'altre cagioni, come innanzi farà
menzione.
L. 10, cap. 107 rubr.Come gente degli usciti di Genova furono sconfitti
a Lerici.
L. 10, cap. 107Nel detto
anno
MCCCXX, essendo in
Genova grande
stretta di vittuaglia, perché gli usciti di
Genova
con
XVII galee
corseggiavano la riviera, e prendeano
navi e cocche e altri legni che recavano vittuaglia
a
Genova, quegli di
Genova armarono
XXVII galee, e
seguirono quelle degli usciti, e in
Lerici le
rinchiusono,
e ripresono una
nave e una
cocca carica di vittuaglia
ch'aveano prese le dette
galee degli usciti. E
assediando quelle
galee in
Lerici co' loro
uscieri, feciono
venire da
Genova
CL cavalieri di quegli
del re
Ruberto, e quegli di
Lerici tirate le
galee in terra, si
misono
a combattere co' detti cavalieri:
a dì
XXXI di
maggio furono sconfitti da la gente
del re Ruberto e
di
Genova, combattendo contra loro per
mare e per
terra; presono e arsono il porto di
Lerici, e le dette
galee con gran
danno degli usciti.
L. 10, cap. 108 rubr.Come quegli di Genova presono il Bingane.
L. 10, cap. 108Nel detto anno MCCCXX il vicaro del re Ruberto
co' Genovesi armarono da LX tra galee e uscieri: con
CCCCL cavalieri n'andarono e puosono assedio a la
città dal Bingane e quella combattendola, per forza
presono a dì XXI di giugno, e rubarla tutta. Allora
tutto il marchesato di Cravigiana tornò a la signoria
di Genova e di parte guelfa.
L. 10, cap. 109 rubr.Come il papa e la Chiesa feciono venire in Lombardia
messer Filippo di Valos di Francia.
L. 10, cap. 109Nel detto
anno
MCCCXX, avendo il papa e la Chiesa
fatte fare più richeste
a messer
Maffeo Visconti e
a' figliuoli che si levassono dall'assedio de la
città di
Genova, la quale si tenea per la Chiesa e per lo re
Ruberto, come addietro fa menzione, e quegli i detti
comandamenti non ubbidiro, opponendo che
Genova
era terra d'imperio e non di Chiesa; per la qual
cosa per lo papa fu fatto processo e scomunica contra
a' detti, e interdetto Milano e Piagenza e l'altre
città di Lombardia che' detti per forza tirannescamente
teneano e signoreggiavano, e
ordinò che messer
Filippo di
Valos nipote
del re di
Francia venisse
in Lombardia per vicaro di Chiesa per abbattere la
signoria de' detti
sismatici e
rubegli della Chiesa, il
quale messer
Filippo vi venne con
VII conti e con
CXX cavalieri tra banderesi e di corredo, con quantità
di
VIc gentili uomini d'arme
a cavallo, molto
bella e
nobile gente,
al soldo della Chiesa e
del re Ruberto.
E mandò in Lombardia per legato della Chiesa messer
Beltramo
del Poggetto cardinale con
VIIIc cavalieri
tra Provenzali e Guasconi, i quali col detto legato
e con messer
Filippo di
Valos e sua gente s'agiunsono
a la
città d'Asti in Lombardia; ed avendo
novelle
che la
città di Vercelli si combattea dentro tra'
Guelfi e' Ghibellini, si partì il detto messer
Filippo
d'Asti con quella tanta gente ch'avea, sanza attendere
l'altra cavalleria che gli mandava il papa e 'l re Ruberto
di
Proenza, e quella che gli mandava il re di
Francia e messer
Carlo suo padre di
viennese, e
siniscalcato
di
Belcari, che in piccolo tempo sarebbe stata
grandissima quantità di gente, e sanza attendere
M
cavalieri che' Fiorentini e' Bolognesi e' Sanesi gli
mandavano in aiuto in Lombardia; e per male consiglio,
con quantità di
MD cavalieri si mise
a oste tra
Vercelli e
Noara in luogo detto
Mortara. Sentendo la
sua venuta il capitano di Milano, il quale era come
uno grande re in Lombardia, ch'egli con
IIII suoi figliuoli
signoreggiava Milano, Pavia, Piagenza, Lodi,
Commo, Bergamo,
Noara, Vercelli, Tortona, e
Allessandra,
sanza la forza dell'altre
città di Lombardia di
parte d'imperio e ghibellina ch'erano
a
conlega co· llui,
e
Pisa, e Lucca, e
Arezzo in
Toscana, sì mandò i
suoi figliuoli con tutto suo isforzo contra il detto
messer
Filippo di
Valos, che furono
IIIm e più uomini
a cavallo, gran parte Tedeschi, e gente
a piè sanza
numero, e puosonsi
a campo contra la detta oste
apresso d'uno miglio di terra.
L. 10, cap. 110 rubr.Come messer Filippo di Valos si tornò in Francia
con vergogna, sanza niente aquistare.
L. 10, cap. 110Messer
Galeasso e messer Marco figliuoli
del capitano
di Milano, capitani dell'oste, feciono richiedere
messere
Filippo di
Valos di volere parlamentare co· llui,
e ordinato il
parlamento, e agiunti insieme, messer
Galeasso con savie e
maestrevoli parole, che le
sapea ben dire, pregò messer
Filippo che non gli fosse
incontro né gli volesse
disertare; e com'elli e' suoi
sempre erano stati amici e servidori
del re di
Francia
e
del suo padre messer
Carlo, e che l'avea fatto cavaliere,
e che la
tenza da' suoi
a la Chiesa la rimettea
volentieri nel re di
Francia, e
mostrogli la sua forza e
cavalleria, ch'era più di
due tanti che quella della
Chiesa, e che per suo amore e
del padre non gli volea
offendere come potea. Veggendosi il giovane
messere
Filippo
a sì fatto punto
condotto, non gli
parve bene stare (e dissesi per
tradimento di messere
Berardo di
Marcoglio suo maliscalco, il quale era stato
ribello e
bandito
del re di
Francia, per sua vendetta,
e perché si disse che n'ebbe molti danari dal capitano
di Milano, per farlo venire innanzi
al
termine
ordinato sanza attendere l'altro soccorso), sì s'accordò
co' detti figliuoli
del capitano di Milano, e tornossi
con grandi presenti e
doni vituperosamente in
Francia co la sua gente. Questo fu
del mese d'
agosto,
anni
MCCCXX: poco apresso i detti figliuoli di messer
Maffeo ebbono per forza e per assedio la parte de la
città di Vercelli che teneano i Guelfi, e fu preso messer
Simone da
Collibiano signore di Vercelli, e menato
a Milano; e 'l vescovo suo fratello scacciato con
tutti i suoi seguaci. Ancora il detto messer
Filippo di
Valos rendé
a messer
Filippo di Savoia il castello di
Cavignano in Piemonte, il quale si tenea per la gente
del re Ruberto, e eragli molto caro, e
ebbene, si disse,
Xm fiorini d'oro. E peggiorò
duramente le condizioni
di Lombardia,
a
danno e
a vergogna della
Chiesa e
del re Ruberto e di chi
a lloro
attenea; che
per questa cagione la gente de' Fiorentini e' Bolognesi
e' Sanesi, ch'erano già infino
a Reggio, si tornarono
adietro, e la forza e vigore
del capitano di Milano
e de' figliuoli molto acrebbe. Di questa difalta si
scusò in
Francia messer
Filippo
al re e
a messer
Carlo,
ch'era stata perché il papa e re Ruberto non gli
aveano attese le
convenenze di fornirlo di moneta e
di gente
al tempo, come aveano
promesso; ma per
gli più si disse che la difalta fu sua, e di chi l'ebbe
a
consigliare di venire più tosto verso Milano, che non
era ordinato: ma quale si fosse la cagione, egli acquistò
poco onore. Ed è da notare una
favola che si dice
e dipigne per
dispetto degl'Italiani in
Francia, che'
Lombardi hanno paura de la
lumaccia, cioè lumaca.
I signori Visconti di Milano, come si sa, hanno l'arme
loro il campo bianco e la vipera cilestra ravolta
con uno uomo rosso in bocca; e messer Marco Visconti
per leggiadria e grandezza avea la sua bandiera
e schiera di cavalieri, intorno di
Vc pur de' migliori
scelti per feditori, e tutti co la detta sopransegna.
Gl'ignoranti Franceschi
credevano che quella insegna
fosse una
lumaccia, e per loro
dispetto e contrario
fosse per loro fatta, onde il si recarono
a grande
onta, e forte ne parlaro in
Francia
del
dispetto ch'aveano
loro fatto i Lombardi; ma co la beffa e disinore
si tornarono in
Francia, per lo modo che detto
avemo.
L. 10, cap. 111 rubr.Come Castruccio andò ad oste nella riviera di Genova.
L. 10, cap. 111Nel detto
anno
MCCCXX, in quello tempo ch'erano
in Lombardia le dette
novità de la venuta di messer
Filippo di
Valos, non cessò la lega de' Ghibellini di
Lombardia l'assedio di
Genova, ma
maggiormente
l'
acrebbono e rinforzaro, e feciono lega da capo con
Federigo re di Cicilia, e
collo 'mperadore di
Gostantinopoli,
e cogli usciti di
Genova, e con
Castruccio
signore di Lucca, il quale
Castruccio con sua gente
venne
a oste ne la riviera di
Genova da la parte di levante;
e più castella e terre della riviera gli si renderono.
E quegli de' borghi di
Genova per la sua venuta
crebbono l'oste, e misono campo in
Bisagno per
assediare
al tutto la terra di
Genova.
L. 10, cap. 112 rubr.Come Federigo di Cicilia mandò sua armata di galee
a l'assedio di Genova.
L. 10, cap. 112Nel detto anno MCCCXX, del mese di luglio, il re
Federigo che tenea la Cicilia fece armare XLII tra galee
e uscieri, e con CC cavalieri mandò la detta armata
in servigio degli usciti di Genova, e gli usciti di
Genova n'armarono XXII galee, le quali galee s'aggiunsono
insieme del mese di agosto per consumare
Genova, assediandola strettamente per terra e per mare, per
modo che nullo vi potea entrare né uscire,
e la città era male fornita e a grande disagio di vittuaglia
e di molte cose. Della detta armata era capo amiraglio
messer Currado d'Oria uscito di Genova.
L. 10, cap. 113 rubr.Come il re Ruberto fece armata di galee per contastare
quella di Ciciliani, e quello ch'aoperò.
L. 10, cap. 113Nel detto
anno
MCCCXX, sentendo il papa e 'l re
Ruberto l'
apparecchiamento fatto per gli usciti di
Genova e per quello di Cicilia, feciono armare
LXV
galee tra in
Proenza e
a Napoli; e quegli di
Genova
armarono
XX galee; e
del detto stuolo fu amiraglio
messer
Ramondo di Cardona d'
Aragona. E congiunte
le dette
galee insieme, vennero sopra
Genova per
combattere con quelle de' Ciciliani e degli usciti di
Genova, le quali sentendo come
venia contra loro
quella armata, si partirono della riviera di
Genova, e
vennono in Porto Pisano, e poi con savio provedimento
di
guerra per fare partire l'armata de la riviera
sanza
soggiorno se n'andarono in verso Napoli; e
giunte
a l'isola d'
Ischia, misono i cavalieri in terra, e
corsono l'isola e guastarla in parte. Sentendo la loro
partita l'amiraglio
del re Ruberto, con sua armata si
partì di
Genova e de la riviera, e le
seguì vigorosamente
per abboccarsi co· lloro, e sopragiunsegli
a
Ischia una sera
a tardi. Quelle
galee di Cicilia e degli
usciti, veggendo i nimici sì di presso per volere la
battaglia, si ricolsono di notte, e si misono in
mare
dando
boce di tornarsi in Cicilia. L'amiraglio
del re
Ruberto veggendoli la mattina partiti, volendogli seguire,
la gente di Principato, ch'erano intorno di
XXX
galee, trovandosi in loro paese, gridarono: «
Rinfrescamento
e
panatica!»: e di vero bisogno n'aveano;
e così
a grido, sanza alcuno ritegno
a Napoli se n'andaro.
Le
galee di
Proenza e di
Genova rinfrescati
a
Ischia alquanti giorni, avendo
novelle come l'armata
de' Ciciliani e usciti di
Genova aveano fatta la
via di
ponente verso
Genova, per
seguirle in verso
Proenza
si ritornaro; e così la detta armata per male seguire il
loro amiraglio, overo per sua difalta e
mala
condotta,
quasi tutta si
sbarattò e venne
a niente; che se avessono
seguita quella de' Ciciliani e degli usciti di
Genova,
di certo s'avisava che sarebbono stati vincitori,
però ch'erano più
galee, e meglio armate.
L. 10, cap. 114 rubr.Di quello medesimo.
L. 10, cap. 114L'armata de' Ciciliani e degli usciti di Genova
maestrevolemente e non sanza temenza partiti da
Ischia, nel porto di Genova arrivaro a dì III di settembre
MCCCXX, e con grande tumulto gridando
ch'aveano sconfitti l'armata del re Ruberto per ispaventare
que' di Genova, assaliro la città da la parte
del porto; e gli usciti e' Lombardi ch'erano a l'assedio
l'asalirono da la parte di terra da più parti. Quegli
della città co la gente del re Ruberto con grande
affanno di dì e di notte, e paura e con difalta e necessità
di vittuaglia, francamente si difesono da più
assalti e battaglie di mare e di terra, sì che i nimici
non acquistarono niente.
L. 10, cap. 115 rubr.Come i Fiorentini feciono tornare Castruccio da
l'assedio di Genova.
L. 10, cap. 115Nel detto
anno
MCCCXX Castruccio signore di
Lucca con suo isforzo e
coll'aiuto delle masnade de'
Pisani andò con grande oste verso
Genova per la lega
fatta per
istrignere la
città, e vincerla per forza e
assedio
coll'aiuto dell'armata di Cicilia per lo modo
che detto è. I Fiorentini, sentendo cavalcato
Castruccio,
i loro soldati mandaro in sul
contado di Lucca
ne le contrade di Valdinievole guastando e ardendo,
e tornando
ad Altopascio.
Castruccio ch'era presso
a
Genova, sentendo ciò, temendo che la
città di Lucca
per
tradimento non gli si rubellasse, tornò in Lucca
con tutta la sua oste. Sentendo ciò il capitano de la
guerra de' Fiorentini, co le masnade de' soldati si ritrassono
verso Fucecchio, e
Castruccio con sua gente
vigorosamente se ne venne
a oste
a Cappiano in su la
Guisciana
a petto
a' Fiorentini. Quivi per
istanza di
più mesi l'una oste di qua dal fiume, e l'altra di là,
stettono
a perdere tempo e
a badaluccare con grande
spendio, faccendo battifolli, fortezze, e ponti, e
difici per gravare l'una oste l'altra, sanza avanzare
neente l'una parte
a l'altra; e sì aveva
ciascuna parte
da
MCC cavalieri in su, sanza il popolo grandissimo.
A la fine per la vernata e mal
tempo di pioggia
ciascuna
parte si partì sanza altro avanzo, e con poco
onore de' Fiorentini, se non in tanto che di vero si
disse che per l'andata de' Fiorentini
Castruccio con
sua oste non andòe
a l'assedio di
Genova; che se
giunto vi fosse
coll'altra forza de' Ghibellini, la
città
non si potea tenere.
L. 10, cap. 116 rubr.
De le battaglie che gli usciti di Genova e' Ciciliani
diedono a la terra, e ebbono il peggiore.
L. 10, cap. 116Nel detto
anno
MCCCXX, essendo l'oste
a
Genova
per
mare e per terra per lo modo detto addietro, e
veggendo i Ciciliani e gli usciti di
Genova che da la
parte
del porto non poteano prendere la
città, però
che 'l porto era tutto
impalizzato e incatenato, e di
sopra di grosso legname
imbertescato, di maraviglioso
lavoro, e veggendosi venire il verno adosso, si ritrassono
con tutta loro armata in
Bisagno, e da quella
parte co' loro cavalieri e co la ciurma de le loro
galee
in terra discesono, e sopra
Carignano la terra
agramente combattero per
due volte, l'una
a dì
XXVI
di settembre, e l'altra
a dì
XXVIIII di settembre, con
grande speranza d'avere la
città per forza da quella
parte; e quegli de' borghi combatteano la
città da la
loro parte, quegli de la
città difendendosi di dì e di
notte
a tutte le battaglie vigorosamente.
A la fine,
a
l'ultima battaglia, uscì la cavalleria ch'era nella
città
del re Ruberto con popolo assai per la porta di
Bisagno,
e assalendo l'oste de' Ciciliani e usciti, vigorosamente
gli levaro da la battaglia de la
città: ritraendosi
combattendo quasi come sconfitti, si ricolsono
a
galee,
e vi lasciarono presi e morti gente assai; e la detta
armata de' Ciciliani se n'andò in Cicilia molto peggiorata,
e quella degli usciti
a Saona; e così l'ultimo
dì di settembre fu liberata la
città di
Genova, e il
campo dell'oste ch'era in
Bisagno si ritrasse
al monte
e
a l'altra oste ch'era ne' borghi.
L. 10, cap. 117 rubr.Come gli usciti di Genova guastarono Chiaveri.
L. 10, cap. 117Nel detto anno MCCCXX, a dì XIIII di dicembre, XV
galee degli usciti di Genova corseggiando la riviera
scesono al borgo di Chiaveri, e quello per forza presono,
e ruballo e arsollo tutto.
L. 10, cap. 118 rubr.Come gli usciti di Genova ebbono Noli, e feciono
diversa guerra.
L. 10, cap. 118Nel detto
anno
MCCCXX,
a dì
XXV di gennaio, gli
usciti di
Genova per
mare, e 'l marchese dal
Finale
per terra, assediarono la
città di
Noli,
traboccandola
e combattendola per più volte:
a la fine si rendero
a
patti
a dì
VI di febbraio
MCCCXX salvo il castello, che
si tenne poi insino
a dì
VI d'
aprile vegnente, e per
fame
si rendéo. Chi potrebbe scrivere e continuare il
diverso assedio di
Genova, e le maravigliose imprese
fatte per gli usciti co· lloro
allegati? Certo si
stima per
gli savi che
ll'assedio di Troia, in sua comparazione,
non fosse di maggiore
continuamento di battaglie
per
mare e per terra, che così il verno come la state
tenendo
galee armate in
mare, assediando la
città,
per modo che
a grande
distretta e necessitade di vittuaglia
la
condussono più volte nel detto
anno
MCCCXX e nel
MCCCXXI vegnente; e per
due volte la
loro armata per fortuna di
mare percosse in terra, e
rotte le loro
galee, e perita gran parte de la gente,
per ciò non lasciavano la
guerra, sanza il continovo
corseggiare per
mare in diverse parti
del
mondo,
consumando l'una parte l'altra di più
mercatantia
che non vale uno reame; de le
continue battaglie di
terra assalendo la
città per dì e per notte con più
difici,
gittando que' di fuori
a que' d'
entro, e quegli
d'
entro
a que' di fuori, e con rovinare le
mura della
città, e di quelle fare cadere, e quegli d'
entro con
grande travaglio e necessitadi sollecitamente riparare
e difendere, se tutto questo
libro fosse scritto per
quelle storie seguire, sanza altro sarebbe pieno. E
nonn è da maravigliare, che i Genovesi erano i più
ricchi cittadini e' più possenti in quello tempo che
fossono tra' Cristiani, né eziandio tra' Saracini; e
coll'
una parte e
coll'altra erano allegati i signori e comunanze
di grandissima
potenzia, come è fatta menzione.
L. 10, cap. 119 rubr.Come il fratello del re di Spagna fue sconfitto da'
Saracini di Granata.
L. 10, cap. 119Nel detto
anno
MCCCXX i Saracini
del reame di
Granata, essendo sopra loro
ad oste il fratello
del re
di Spagna con grande quantità di Cristiani
a cavallo
e
a piè, quelli Saracini non possendo
a la forza riparare,
con grande spendio di pecunia corruppono certi
baroni traditori di Spagna, i quali non seguirono il
loro signore: assaliti da' Saracini furono sconfitti, e
presso
a
Xm Cristiani furono tra morti e presi, e morto
vi fu il detto fratello
del re di Spagna, e corsono la
Spagna infino
a
Sibilia
a grande
dammaggio e vergogna
de' Cristiani.
L. 10, cap. 120 rubr.Come i frieri dello Spedale isconfissono i Turchi
con loro navilio a Rodi.
L. 10, cap. 120Nel detto anno MCCCXX uno ammiraglio di Turchia
venendo per prendere l'isola di Rodi, che tenea
la magione dello Spedale, con più di LXXX tra galee e
altri legni di Saracini, il comandatore di Rodi con IIII
galee e con XX piccioli legni, e coll'aiuto di VI galee
de' Genovesi d'entro che tornavano d'Erminia, combattero
co' detti Saracini e sconfissogli, e grande parte
de' detti legni presono e profondaro. Appresso
andaro a una isoletta ivi presso, come aveano posti
più di Vm uomini saracini per mettergli in su l'isola di
Rodi: le dette galee de' Cristiani tutti gli ebbono presi,
e uccisono i vecchi, e' giovani venderono per
ischiavi.
L. 10, cap. 121 rubr.Come messer Cane de la Scala essendo all'assedio di
Padova fu sconfitto da' Padovani e dal conte da Gurizia.
L. 10, cap. 121Nel detto
anno
MCCCXX messer Cane della Scala
signore di Verona, essendo all'assedio de la
città di
Padova con tutto suo isforzo stato per più d'uno
anno
continuo, e
a quella
città quasi prese tutte le sue
castella e
contado, e
sconfittigli per più volte, avea sì
affritta, che più non si potea tenere, che tutta intorno
con battifolli forniti di sua gente avea circondata,
sì che
vivanda non vi potea
entrare. I detti Padovani
quasi disperati d'ogni salute, si diedono
al
dogio
d'
Osteric eletto re de' Romani, il quale mandò
a lloro
soccorso il
conte da
Gurizia e 'l signore di
Gualfe
con
Vc cavalieri
a elmo, il quale subitamente, e come
di
nascoso,
entròe in Padova
colla detta gente. Il detto
messer Cane per grande audacia e superbia ch'avea
de le sue vittorie, e per la grande cavalleria e popolo
ch'avea in sua oste, poco si curava de' Padovani,
e per lo lungo assedio, per troppa
sicurtà, male si
tenea ordinato. Avenne che
a dì
XXV d'
agosto
MCCCXX il detto
conte da
Gurizia co' suoi
Frigolani e
Tedeschi e co' Padovani uscì di subito de la
città, e
assalì l'oste vigorosamente. Messer Cane con alquanta
di sua cavalleria male ordinata, credendo riparare,
si mise
a la battaglia, il quale dal
conte da
Gurizia e
da' Padovani fue sconfitto e atterrato e fedito, e di
poco scampò la vita per soccorso di sua gente; in su
una cavalla in
Monselice scampò, e l'oste sua fue tutta
isbarattata, e rimasevi di sua gente morta e presa
assai, e tutti i loro arnesi: e così per
mala provedenza
la fortuna di sì vittorioso tiranno si mutò in contradio.
Al detto assedio di Padova morì Uguiccione da
la Faggiuola in
cittadella, di suo male, essendo venuto in
aiuto
a messer Cane. Questi fu l'altro grande tiranno
che perseguì tanto i Fiorentini e' Lucchesi, come
adietro è fatta menzione.
L. 10, cap. 122 rubr.Come morì il conte Gaddo signore di Pisa, e fu fatto
signore il conte Nieri.
L. 10, cap. 122Nel detto anno MCCCXX il conte Gaddo de' Gherardeschi,
ch'era signore di Pisa, morì (per gli più si
disse per veleno), e fatto fu signore il conte Nieri suo
zio; e lui fatto signore, mutò stato in Pisa, e tutti
quegli ch'erano stati con Uguiccione da Faggiuola fece
grandi, e a quegli che ll'aveano cacciato tolse la signoria,
e alquanti capitani di popolo fece morire, e
altri fece ribelli, e chi confinati, e fece lega con Castruccio
signore di Lucca e cogli usciti di Genova,
dando loro occultamente aiuto e favore contra i Fiorentini
e que' di Genova.
L. 10, cap. 123 rubr.Come fu fatta pace dal re di Francia a' Fiamminghi.
L. 10, cap. 123Nel detto
anno
MCCCXX il
conte Ruberto di
Fiandra
con
Luis
conte d'Universa suo figliuolo andarono
a Parigi con grande compagnia di
Fiamminghi di
tutte le buone ville, per dare compimento
a la pace
dal re di
Francia
a lloro de la grande
guerra ch'era
stata tra lloro più di
XXII anni. E ciò fu
a mossa di
papa Giovanni che vi mandòe uno suo legato cardinale,
e come piacque
a dDio,
del mese d'
aprile, vi si
diede compimento, e il re di
Francia diede per moglie
la figliuola
a
Luis figliuolo di
Luis
conte d'Universa,
che
dovea essere
reda de la
contea di
Fiandra,
e rendégli la detta
contea. E'
Fiamminghi per
patti
lasciarono Lilla e
Doagio e Bettona e tutta la terra di
qua dal fiume
del
Liscio, ove si parte la lingua francesca
da la
fiamminga, e
promisono di dare
al re di
Francia mille migliaia di libbre di buoni parigini in
termine di
XX anni, per amenda e soddisfacimento
delle spese, e di quello ch'aveano misfatto
a la
corona.
L. 10, cap. 124 rubr.Come tra quegli della casa di Fiandra ebbe grande
dissensione.
L. 10, cap. 124Nel detto
anno
MCCCXX, essendo i detti
Fiamminghi
in pace co' Franceschi e in buono stato, invidia
nacque tra
Luis
conte d'Universa, maggiore figliuolo
del
conte di
Fiandra, e Ruberto suo fratello; però
che 'l
conte vecchio loro padre amava più Ruberto
suo minore figliuolo, perch'era più
valoroso, e quasi
al tutto l'avea fatto signore di
Fiandra; onde il
conte
Luis forte isdegnò, e quasi tutto il paese se ne divise
a
setta, e per questa cagione in Guanto e in
Bruggia
ebbe più romori e battaglie cittadine, e uccisonne e
cacciarne assai; e quegli che teneano con
Luis e che
amavano la pace co' Franceschi rimasono signori. In
questo si disse che 'l
conte vecchio volle essere avelenato,
e fue aposto che
Luis suo figliuolo il facea fare;
per la qual cosa il fece prendere
a Ruberto suo minore
fratello, e mettere in pregione, onde il paese
maggiormente
si divise, che l'una parte tenea con
Luis, e
l'altra con Ruberto; e
crebbe sì l'errore, che la villa di
Bruggia si rubellò
al
conte e
a messer Ruberto, e cacciarono
de la terra tutta sua parte. Per la qual cosa
quello
anno e l'altro apresso il detto messere Ruberto
gli guerreggiò e prese la villa
del
Damo e quella
della
Schiusa ov'è il porto. Quegli di
Bruggia uscendo
fuori
a oste per assediare il
Damo, quegli de la
villa di Guanto e d'Ipro furono mezzani, e acconciarono
quegli di
Bruggia col
conte, rimanendo signori
la parte di
Luis,
dando
al
conte danari assai per
amenda, si pacificaro.
L. 10, cap. 125 rubr.Come i Ghibellini furono cacciati di Rieti.
L. 10, cap. 125Nel detto
anno
MCCCXX,
del mese d'
agosto, i
Guelfi della
città di Rieti,
coll'aiuto di quegli da l'Aquila
e di
Civitaducale e gente
del re Ruberto, cacciarono
per forza i Ghibellini di Rieti, e combattendo
nella
città, più di
Vc n'uccisono, e più n'anegarono
nel fiume, il quale di sangue
corse. E poi apresso
a
IV mesi, essendo i detti Guelfi di Rieti
a l'assedio
del castello d'
Airone nel
contado di Spuleto, i Ghibellini
di Rieti usciti,
coll'aiuto e forza di
Sciarra della
Colonna, per forza rientrarono in Rieti e cacciarne
i Guelfi che non erano
a l'oste.
L. 10, cap. 126 rubr.D'uno grande raunamento d'osti che fu tra' due
eletti d'Alamagna.
L. 10, cap. 126Nel detto anno MCCCXX grande raunata fu fatta ne
la Magna per combattersi insieme il dogio d'Ostoricchi
e quello di Baviera, i quali amendue erano eletti
re de' Romani per lo modo fatto menzione; e più
tempo stettono ad oste in sul fiume del Reno, a ,
quasi tutta la cavalleria de la Magna, chi dall'una
parte e chi dall'altra. A la fine si partirono sanza
combattere, perché quello di Baviera non poté durare
la spesa.
L. 10, cap. 127 rubr.Come Spinetta marchese s'alegò co' Fiorentini contra
a Castruccio, ma tornò a vergogna de' Fiorentini.
L. 10, cap. 127Nell'
anno
MCCCXXI i Fiorentini volendo
guerreggiare
Castruccio signore di Lucca, sì feciono lega con
Ispinetta marchese
Malaspini, il quale, tutto fosse
Ghibellino, per
Castruccio era
disertato di sue terre.
I Fiorentini gli mandarono in
Lunigiana per la
via di
Lombardia
CCC soldati
a cavallo e
Vc a piè; e egli con
suo aiuto fece
C uomini
a cavallo, e in poco tempo
racquistò assai di sue castella; ed erano per discendere
al piano di
Lunigiana, e fare
guerra assai
a la
città
di Lucca, però che' Fiorentini da l'altra parte erano
in sul
contado di Lucca, e posto assedio
al castello di
Montevettolino con
VIIIc cavalieri, soldati e gente
a
piè assai; e
se' Fiorentini avessono fatta la 'mpresa
con maggiore provedimento e con più forte braccio,
de la
guerra erano vincitori.
Castruccio sentendo il
detto
apparecchiamento, non fue ozioso; mandò
a
tutti i suoi amici per aiuto, e di Lombardia dal capitano
di Milano, e da quello di Piagenza, e da' Parmigiani
ebbe
Vc cavalieri, e da' Pisani e dal vescovo
d'
Arezzo e altri Ghibellini di
Toscana più d'altri
Vc,
sì che si trovòe in Lucca con più di
XVIc di cavalieri,
e
disponendo suo
consiglio
saviamente, la 'mpresa di
Lunigiana lasciò, e con tutta sua oste de' detti cavalieri,
e popolo sanza numero, venne contra l'oste de'
soldati di
Firenze. I Fiorentini male proveduti di sì
fatta impresa, e non credendo che la sua forza fosse
sì grande per l'aiuto de' Lombardi, si levarono dall'
assedio di
Montevettolino, e si ritrassono in su Belvedere.
Castruccio e sua oste seguendogli si puose
a
oste contra
a lloro, e se la sera avesse combattuto, di
certo avea la vittoria, però che di gente e di tutto
avea l'avantaggio.
Guido da la
Petrella, capitano delle
masnade de' Fiorentini, la sera francamente si difese,
assalendo con badalucchi la gente di
Castruccio,
mostrando gran vigore, e che attendessono aiuto.
La notte vegnente, dì
VIII di giugno, accesono
molti fuochi e
faccelline, faccendo sembiante d'assalire
i nemici, e per questo modo lasciando i
falò e luminare
nel campo accesi, si levarono da campo salvamente
con tutta sua oste, e si ridusse in Fucecchio
e
a
Carmignano e
a l'altre castella; e
vennegli bene,
che una grande acqua da
cielo venne la notte, per
che
Castruccio non sentì la partita, e fu gabbato per
le luminare. La mattina per tempo vedendo
Castruccio
partiti i suoi nimici, si tenne ingannato, e incontanente
cavalcò, e guastò Fucecchio intorno, e Santa
Croce, e Castello Franco, e Montetopoli, e Vinci, e
Cerreto sanza contasto niuno: stette
a oste per
XX dì
sanza riparo con grande vergogna de' Fiorentini, e
tornossi in Lucca con grande onore. I Fiorentini per
questa cagione feciono tornare di
Lunigiana i loro
cavalieri.
Castruccio incontanente vi cavalcò, e riprese
tutte le sue castella e
Pontriemoli e più terre de'
marchesi, e Spinetta le
abandonò, e tornossi
a messer
Cane
a Verona.
L. 10, cap. 128 rubr.Di novità d'ufici di Firenze.
L. 10, cap. 128Nel detto anno e mese di giugno, incorrendo a'
Fiorentini sì fatte traverse di guerra, e per la setta di
quegli che non reggeano la città erano i priori e' rettori
caloniati e biasimati, onde si criò uno uficio di
XII buoni uomini popolani due per sesto, che consigliassono
i priori, e che sanza loro consiglio e diliberazione
i priori non potessono fare niuna grave diliberazione,
né prendere balìa. Il modo fue assai lodato,
e fue sostegno de la setta e istato che reggeva.
L. 10, cap. 129 rubr.
Come il marchese Cavalcabò co la lega di Toscana
fue sconfitto in Lombardia.
L. 10, cap. 129Nel detto
anno
MCCCXXI papa Giovanni e 'l re Ruberto
per soccorrere il Piemonte e' loro amici di
Lombardia, che molto era isbigottiti per la partita di
messer
Filippo di
Valos, mandarono là per capitano
di
guerra messer
Ramondo di Cardona d'
Araona con
XIIc di cavalieri, che fosse col legato cardinale, e rifeciono
lega co' Fiorentini e' Bolognesi e' Sanesi, i
quali mandarono in Lombardia
M cavalieri tra
due
volte, onde fu capitano il marchese
Cavalcabò di
Chermona, ed erano parte in Reggio e parte
a la pieve
d'
Altavilla in sul
contado di Piagenza. Di là da
Po
era il patriarca d'Aquilea con quegli de la Torre e co'
Bresciani, e teneano Chermona e
Cremma, e guerreggiavano
il capitano di Milano. Messer
Galeasso
Visconti veggendosi così guerreggiare
a' cavalieri di
Toscana e di Bologna, e dentro
a la terra avea sospetto,
mandò per aiuto
a Milano
al padre, e
a
Pisa e
a Lucca, i quali gli mandarono
VIc cavalieri. Il marchese
Cavalcabò con
Vc cavalieri cavalcò in
Valditara,
e quello borgo e più castelletta prese, e puosesi
a
l'assedio
a la rocca di
Bardo. Il capitano di Piagenza
vi mandò da
VIIIc cavalieri in
M al soccorso, e trovando
il detto marchese mal proveduto di tanta forza
de' nimici, quasi
soppreso, fue sconfitto, ed egli
morto con più di
CL cavalieri tra presi e morti. Il rimanente
si fuggiro
a grande
periglio
al borgo di
Valditara;
e questa sconfitta fue
del mese di novembre
a
l'uscita,
anno
MCCCXXI.
L. 10, cap. 130 rubr.Come messer Galeasso di Milano ebbe la città di
Chermona.
L. 10, cap. 130Per questa vittoria il detto messer Galeasso con
sua oste passò il Po, e a Chermona si puose ad assedio
sentendo la mala fortuna, e la città era molto
anullata per la guerra dello 'mperadore, e maggiormente
per la morte del marchese Cavalcabò isbigottiti.
Bartaglia diede a la città per tre dì; quegli d'entro
annullati, e non avendo speranza di soccorso, le
masnade che v'erano dentro, da CC a cavallo e CCC a
piè, abandonarono la terra, e si fuggirono a Cremma.
La gente di messer Galeasso, non essendo quasi chi
difendesse la terra, per forza ruppono del muro de la
città, e in quella entraro, e presolla e spogliarono
d'ogni sustanzia che v'era rimasa; e ciò fu a dì V di
gennaio MCCCXXI.
L. 10, cap. 131 rubr.Come scuròe il sole, e morì il re di Francia.
L. 10, cap. 131Nell'
anno
MCCCXXI,
a dì
XXVII di giugno,
iscurò il
sole in su levare quasi le
due parti o più, e
durò per
una ora. Nel detto
anno, il dì de la
Bifania, morì
Filippo
re di
Francia, il quale non regnò che
anni
mesi
, dì
; fue uomo
dolce e di buona vita: non
rimase di lui
reda maschio. Apresso la sua
morte fu
fatto re di
Francia
Carlo
conte de la
Marcia suo fratello
e figliuolo
del re
Filippo il grande, e fu
coronato
a
Rens, dì
XI di febbraio
MCCCXXI.
L. 10, cap. 132 rubr.Come i Bolognesi cacciarono di Bologna Romeo de' Peppoli
il ricco uomo e' suoi seguaci.
L. 10, cap. 132Nel detto anno MCCCXXI, del mese di giugno, i
Bolognesi a romore di popolo col séguito de' Beccadelli
e altri nobili cacciarono di Bologna a furore Romeo
de' Peppoli, grande e possente cittadino e quasi
signore della terra, con tutta sua setta, il quale si dicea
il più ricco cittadino d'Italia, aquistato quasi tutto
d'usura, che XXm fiorini e più avea di rendita l'anno
sanza il mobile. Per la sua partita molto sturbò lo
stato di parte guelfa di Bologna.
L. 10, cap. 133 rubr.Come lo 'mperadore di Gostantinopoli ebbe guerra
co' figliuoli.
L. 10, cap. 133Nel detto
anno
MCCCXXI lo 'mperadore di
Gostantinopoli
fu in grande
discordia co' figliuoli, perché
lo 'mperadore
a sua vita avea fatto imperadore
succedente
a llui il figliuolo
del suo maggiore figliuolo,
ch'era morto; onde il secondo figliuolo vivente
isdegnato col padre, congiura fece co' baroni contro
al padre e nipote, e quasi gran parte dello 'mperio gli
rubellò. E questo fu grande cagione dell'
abassamento
degli usciti di
Genova, però che il detto imperadore
per abassare la forza della Chiesa e
del re Ruberto
continuamente co' suoi danari
mantenea la
guerra
agli usciti di
Genova, e
a quegli di Saona contra
la
città di
Genova e contro
al re Ruberto, e per la
sua
guerra
abandonòe la 'mpresa.
L. 10, cap. 134 rubr.Come Federigo di Cicilia fue scomunicato, e come
fece coronare il figliuolo del reame.
L. 10, cap. 134Nel detto anno MCCCXXI il detto papa Giovanni
co' suoi cardinali ordinarono triegua per tre anni dal
re Ruberto a don Federigo di Cicilia per potere meglio
fornire la 'mpresa di Genova, il detto re Federigo
dimandando per suoi ambasciadori pace o triegua
di X anni, e Reggio e altre terre di Calavra ch'egli
avea rendute in mano del papa, le quali il papa avea
rendute al re Ruberto; onde tenendosi ingannato e
tradito, sì contradisse la detta triegua di tre anni
ch'avea fatta il papa, e fece disfidare il re Ruberto: il
papa e' suoi cardinali isdegnati gli diedono sentenzia
di scomunicazione. Il detto Federigo per questa cagione
coronò del reame di Cicilia don Piero suo
maggiore figliuolo sanza dispodestare sé a sua vita e
fecegli in sua presenza fare omaggio e saramento a
tutti i baroni e Comuni dell'isola; e questo fue il dì di
L. 10, cap. 135 rubr.
Come i Fiorentini mandarono in Frioli per cavalieri.
L. 10, cap. 135Nel detto anno MCCCXXI i Fiorentini mandarono
in Frioli per cavalieri a soldo, e vennono in Firenze
del mese d'agosto CLX cavalieri a elmo, con altrettanti
balestrieri a cavallo tra Friolani e Tedeschi, molto
buona gente d'arme, ond'era capitano Iacopo di
Fontanabuona grande castellano di Frioli, e feciono
guerra assai a Castruccio; almeno dapoi gli sentì in
Firenze non s'ardì a passare la Guisciana, come in
prima era usato di fare.
L. 10, cap. 136 rubr.Chi fue il poeta Dante Allighieri di Firenze.
L. 10, cap. 136Nel detto
anno
MCCCXXI,
del mese di luglio, morì
Dante
Allighieri di
Firenze ne la
città di Ravenna in
Romagna, essendo tornato d'ambasceria da Vinegia
in
servigio de' signori da Polenta, con cui dimorava;
e in Ravenna dinanzi
a la porta de la chiesa maggiore
fue
sepellito
a grande onore in abito di poeta e di
grande filosafo. Morì in
esilio
del Comune di
Firenze
in età circa
LVI anni. Questo
Dante fue onorevole e
antico cittadino di
Firenze di porta San Piero, e nostro
vicino; e 'l suo
esilio di
Firenze fu per cagione,
che quando messer
Carlo di
Valos de la casa di
Francia
venne in
Firenze l'
anno
MCCCI, e
caccionne la
parte bianca, come adietro ne' tempi è fatta menzione,
il detto
Dante era de' maggiori governatori de la
nostra
città e di quella parte, bene che fosse Guelfo;
e però sanza altra colpa co la detta parte bianca fue
cacciato e sbandito di
Firenze, e andossene
a lo
Studio
a Bologna, e poi
a Parigi, e in più parti
del
mondo.
Questi fue grande letterato quasi in ogni scienza,
tutto fosse laico; fue sommo poeta e filosafo, e rettorico
perfetto tanto in
dittare, versificare, come in
aringa parlare, nobilissimo dicitore, in
rima sommo,
col più pulito e bello stile che mai fosse in nostra lingua
infino
al suo tempo e più innanzi. Fece in sua
giovanezza i
libro de la Vita nova d'amore; e poi
quando fue in
esilio fece da
XX canzoni
morali e d'amore
molto
eccellenti, e in tra
ll'altre fece tre nobili
pistole; l'una mandò
al
reggimento di
Firenze
dogliendosi
del suo
esilio sanza colpa; l'altra mandò
a lo
'mperadore
Arrigo quand'era
a l'assedio di Brescia,
riprendendolo della sua stanza, quasi
profetezzando;
la terza
a' cardinali italiani, quand'era la
vacazione
dopo la
morte di papa
Chimento, acciò che s'accordassono
a
eleggere papa italiano; tutte in
latino con
alto
dittato, e con
eccellenti sentenzie e autoritadi, le
quali furono molto commendate da' savi intenditori.
E fece la Commedia, ove in
pulita
rima, e con grandi
e sottili questioni
morali, naturali,
strolaghe, filosofiche,
e
teologhe, con belle e
nuove figure, comparazioni,
e poetrie, compuose e trattò in
cento
capitoli,
overo canti, dell'essere e istato
del ninferno,
purgatorio,
e paradiso così altamente come dire se ne possa,
sì come per lo detto suo trattato si può vedere e intendere,
chi è di sottile intelletto. Bene si dilettò in
quella Commedia di garrire e
sclamare
a guisa di
poeta, forse in parte più che non si
convenia; ma forse
il suo
esilio gliele fece. Fece ancora la Monarchia,
ove trattò de l'oficio degli 'mperadori. Questo
Dante
per lo suo savere fue alquanto
presuntuoso e schifo e
isdegnoso, e quasi
a guisa di filosafo mal grazioso
non bene sapea
conversare co' laici; ma per l'altre
sue virtudi e scienza e
valore di tanto cittadino ne
pare
che si
convenga di
dargli perpetua memoria in
questa nostra
cronica, con tutto che per le sue nobili
opere lasciateci in iscritture facciamo di lui vero testimonio
e onorabile
fama
a la nostra
cittade.
L. 10, cap. 137 rubr.Come i Fiorentini rimasono fuori della signoria del
re Ruberto, e feciono parte delle mura della città.
L. 10, cap. 137Nel detto anno MCCCXXI, in calen di gennaio, i
Fiorentini uscirono della signoria del re Ruberto, la
quale era durata per VIII anni e mezzo, e tornaro a
fare lezione di loro podestà e capitano, com'erano
usati per antico, e cominciaronsi a fare le mura e le
torri da la porta di San Gallo a quella di Santo Ambruogio
de la città di Firenze. E io scrittore, trovandomi
per lo Comune di Firenze uficiale con altri
onorevoli cittadini sopra fare edificare le dette mura,
di prima adoperamo che le torri si facessono di CC in
CC braccia; e simile s'ordinò si cominciassono i barbacani,
overo confessi, di costa a le mura e di fuori
da' fossi, per più fortezza e bellezza de la cittade, e
così si seguirà poi per tutto.
L. 10, cap. 138 rubr.Come il re d'Inghilterra fece uccidere 'l cugino e più
suoi baroni, e come gli Scotti gli cominciarono guerra.
L. 10, cap. 138Nel detto
anno
MCCCXXI fallirono le triegue
dagli
Scotti
al re d'Inghilterra, e con grande isforzo corsono
gli Scotti gran parte de'
confini d'Inghilterra da la
loro parte, tenendo tutti gl'Inghilesi di quelle
marce
sotto
tributarìa; e ciò avenne per grande
discordia
che il re
Adoardo il giovane re d'Inghilterra ave'
quasi con più de' suoi baroni, ond'era capo il
conte
di Lancastro,
cugino
del re e de la casa reale. E la
detta lega e giura era fatta per gli baroni contro
al re,
perch'egli si reggea per male consiglio e vile portamento,
dando più fede
a uno messer Ugo il
Dispensiero,
cavaliere di picciolo affare, ch'
a tutti gli altri
suoi baroni. E
crebbe tanto la detta scisma, che i
detti congiurati teneano arme contro
al re, e s'erano
rubellati nella contrada
del Trento verso
Bonobruco,
cioè ponte. E tornando uno conastabole
del re con
più di sua gente d'arme da le
frontiere della Scozia, e
per mandamento
del re gente
a piè
del paese ragunò
in buona quantità per offendere
a' detti allegati, trovandogli
male ordinati
al detto ponte, ch'era uno
stretto passo, gli
sorprese e sconfisse con piccola fatica
di combattere: quasi tutti s'
arrendero; onde il re
fece dicapitare il detto
conte di Lancastro e 'l
conte
d'Ariforte con
LXXXVIII tra
conti e baroni. E ciò fu
a
l'uscita
del mese di marzo,
anni
MCCCXXII, e fu tenuta
una grande
crudeltà, per la qual cagione la forza
del reame d'Inghilterra molto
afiebolìo.
L. 10, cap. 139 rubr.
Come i Perugini ebbono la città d'Ascesi per assedio.
L. 10, cap. 139Nell'anno di Cristo MCCCXXII, essendo il Comune
di Perugia stato a l'assedio della città d'Ascesi per
più d'uno anno con più battifolli, per cagione che
s'erano rubellati da parte di Chiesa, e signoreggiavala
il popolo in parte ghibellina, quella città molto afflitta
di guastamento intorno intorno, e tolte loro tutte
le castella, e oltre a cciò di più avisamenti la loro
gente sconfitta, e fallendo loro la vittuaglia e molte
cose bisognevoli, si rendero al Comune di Perugia, i
quali le disfeciono le mura e le fortezze, e recarla a
loro giuridizione, e tolsono il suo contado infino al
fiume di Chiacio a piè de la città: e questo fu del mese
d'aprile del detto anno. E intrati i Perugini in
Ascesi corsono la terra, e oltre a' patti più di C cittadini
uccisono a furore ne la terra, ch'erano stati loro
ribelli.
L. 10, cap. 140 rubr.Come la parte ghibellina furono cacciati di Fano.
L. 10, cap. 140Nel detto anno e mese d'aprile i Guelfi de la città
di Fano de la Marca coll'aiuto de' Malatesti da Rimine
cacciarono di Fano la parte ghibellina, e si renderono
al marchese, ch'era per lo papa.
L. 10, cap. 141 rubr.
Come Federigo conte da Montefeltro fu morto a romore
da quegli d'Orbino.
L. 10, cap. 141Nell'
anno
MCCCXXII, essendo stata, e era grande
guerra nella Marca d'Ancona, la quale
mantenea il
conte
Federigo da Montefeltro co la
città d'Orbino,
e d'
Osimo, e di
Racanata contra il marchese che v'era
per la Chiesa, e morto in
Racanata uno nipote e
uno
cugino
del detto marchese con molta di sua gente,
il papa per la detta cagione,
a richesta
del marchese,
fece processo, e sentenzia diede contra il detto
conte
Federigo, e contra i caporali e rettori de la
città d'
Osimo e di
Racanata,
trovandoli in più articoli
di
resia, e tali in
idolatria, secondo la sentenzia; e
croce fece contro
a lloro predicare in
Toscana e in
più parti d'Italia, perdonando colpa e pena chi andasse
o mandasse in
servigio di santa Chiesa. Più
crociati v'andarono di
Firenze e di Siena e di più altre
cittadi. E 'l marchese essendo con sua oste intorno
a
Racanata, avenne che essendo il
conte
Federigo
in Orbino, e fatta
a quegli della
cittade una grande
taglia, overo imposta di moneta, per andare
al soccorso
di
Racanata con certi soldati
del vescovo d'
Arezzo
e di
Castruccio, come piacque
a dDio,
maravigliosamente
e di sùbito il popolo d'Orbino si levòe
a
romore contro
al detto
conte
Federigo, ed egli improviso
rinchiuso e assediato dal popolo nella sua
fortezza de la terra, vedendosi non guernito né da
potere riparare, s'
arendé come morto
al popolo,
pregandogli
per grazia gli tagliassono la testa; e spogliato
in
giubba, col capestro in
collo, e con uno suo figliuolo
scese
al popolo cheggendo misericordia, il
quale popolo
a furore lui e 'l figliuolo uccisono,
e poi faccendo il corpo suo
tranare per la terra, vituperosamente
a' fossi in uno carcame di cavallo morto il
soppellirono, sì come scomunicato; e
due altri suoi
figliuoli fuggendo d'Orbino furono presi da quegli
d'
Agobbio; e un altro suo
piccolino fanciullo fu preso
dal popolo d'Orbino, e Speranza da Montefeltro
si fuggì nel castello di San Marino. E per questo modo
venne il giudicio d'Iddio
improvisamente
a quegli
della casa da Montefeltro, gli quali erano sempre stati
ribelli e
perseguitori di santa Chiesa; e questo fu
a
dì
XXVI d'
aprile
MCCCXXII.
L. 10, cap. 142 rubr.Come la città d'Osimo si rendé a la Chiesa.
L. 10, cap. 142Nel detto anno, per cagione del rubellamento
d'Orbino e de la morte del conte Federigo, quegli
della città d'Osimo si levaro a romore contra i loro
rettori, gridando che voleano pace colla Chiesa; e
veggendo i detti il popolo scommosso a romore, per
paura di quello ch'era avenuto al conte Federigo, si
fuggiro de la terra, e 'l Comune e 'l popolo d'Osimo
sì rendero a la Chiesa e al marchese; e questo fu a dì
III di maggio MCCCXXII.
L. 10, cap. 143 rubr.
Come la città di Racanata si rendé a la Chiesa, e come
il marchese la fece disfare.
L. 10, cap. 143Nel detto anno e mese quegli della città di Racanata
veggendo renduti al marchese Orbino e Osimo,
s'arendero al detto marchese e sua oste liberamente,
e cacciarne i loro rettori e caporali. Il marchese presa
la città, per vendetta del nipote e di sua gente ch'aveano
molti, dicendo che in Racanata s'adoravano
l'idoli, la città sanza misericordia fece ardere tutta, e
apresso i muri diroccare infino a' fondamenti; e ciò
fu a' dì XV di maggio MCCCXXII, la quale fu tenuta
grande crudeltà, overo fu sentenzia d'Iddio per gli
loro peccati.
L. 10, cap. 144 rubr.Come i Visconti signori di Milano furono scomunicati,
e come la Chiesa fece venire contra loro il dogio
d'Osteric.
L. 10, cap. 144Nel detto
anno
MCCCXXII, veggendo papa Giovanni
che 'l capitano di Milano e' figliuoli
nol voleano
ubbidire per richeste fatte più volte che facesse levare
l'assedio da la
città di
Genova, e amoniti dal legato
cardinale e scomunicati, sentenzia diede la Chiesa
contra loro sì come
eretici e sismatici, e fece predicare
la croce contra loro in Italia e in Alamagna, e perdonare
colpa e pena. E oltre
a cciò, veggendo la
Chiesa che la 'mpresa fatta con messer
Filippo di
Valos era venuta
a neente, che solamente per la forza
di messer
Ramondo di Cardona e di sua gente non si
potea resistere
a la forza de' detti tiranni,
ordinò e richiese
con trattato
del re Ruberto
Federigo
dogio
d'
Osteric, eletto re de' Romani, che s'egli mandasse
d'Alamagna le sue forze in Lombardia contra i detti
scomunicati e sismatici, di
confermarlo per la Chiesa
imperadore, e uno suo fratello
cherico farebbe arcivescovo
di
Maganza. Per la qual cosa
Federigo detto
mandò in Lombardia
Arrigo
dogio d'
Ostericche suo
fratello con
Vc cavalieri
a elmo; e giunse nella
città di
Brescia
domenica d'ulivo
del detto
anno; e poi più
signori e genti d'arme
crociati d'Alamagna vi s'agiunsono,
sì che si trovò in Brescia con
MM Tedeschi
d'arme
a cavallo. Sentendo ciò il capitano di Milano
e' suoi seguaci, parea loro male stare, e
al tutto temendo
di perdere la signoria, veggendo sì grande
esercito venire contra lui da la parte di Brescia d'Alamagna,
e d'altri Lombardi fedeli de la Chiesa, e
Fiorentini e Bolognesi e Sanesi per fornire la loro lega
co la Chiesa e re Ruberto, e mandati i loro sindachi
con molta moneta in
Frioli e in Alamagna per
soldare
IIIIc cavalieri
a elmo e
CC balestrieri
a cavallo
per
agiugnerli
a Brescia, co la forza
del detto
dogio
Arrigo d'
Ostericchi d'altra parte.
L. 10, cap. 145 rubr.Come i signori di Milano sotto trattato d'accordo
colla Chiesa corruppono il dogio d'Ostericchi, sì che si
tornò in Alamagna.
L. 10, cap. 145Messer
Ramondo di Cardona era col legato
a Valenza
con
MD uomini
a cavallo e con gente
a piè innumerabile
crociati per venire verso Milano da la
parte di Pavia. Il detto capitano veggendosi così assalire
da tutte parti da la forza de la Chiesa, mandò
XII de' maggiori cittadini di Milano per ambasciadori
al legato cardinale per acconciarsi co la Chiesa, però
che 'l popolo di Milano veggendosi sì fatti
eserciti di
gente venire adosso, non voleano essere scomunicati,
né distrutti per quegli della casa de' Visconti. Essendo
i detti ambasciadori col legato
a Valenza trattando
d'accordo, il detto capitano di Milano mandò segretamente
suoi ambasciadori in Alamagna, e eziandio
moneta assai
a
Federigo
dogio d'
Ostericchi, mostrando
come facea contra lo 'mperio e contro
a ssé
medesimo; e che se la Chiesa e 'l re Ruberto avessono
la signoria di Milano, avrebbono tutta Lombardia,
e' fedeli dello imperio di Lombardia e di
Toscana,
distrutti per modo che mai non porrebbe passare
in Italia né avere la corona dello 'mperio. Il Tedesco
per queste
ragioni e per la
cupidigia della moneta
fue scommosso, e mandòe
al suo fratello
Arrigo,
ch'era
a Brescia, che cogliesse alcuna cagione e si
tornasse addietro. Il quale avuto il mandato
del fratello,
e
disparte dal capitano di Milano e
dagli altri
tiranni di Lombardia moneta assai, avendo ordinato
co' Bresciani e col patriarca d'Aquilea e con loro séguito
d'andare
ad oste sopra la
città di Bergamo,
ch'era in trattato d'
arendersi
a lloro, mosse quistione
a' Bresciani, che in prima che si partisse volea la signoria
di Brescia. I Bresciani
negando che no· lla poteano
dare, perché vacando imperio s'erano dati
al re
Ruberto, incontanente sanza niuno ritegno si partì
de la terra
a dì
XVIII di maggio
MCCCXXII, e con tutta
sua gente se n'andò
a Verona, il quale da messer Cane
della Scala signore di Verona onorevolemente fu
ricevuto e presentato di ricchi
doni; poi appresso
sanza dimoro se n'andò in Alamagna, guastando
a la
Chiesa sì grande impresa e sì bello
servigio incominciato,
per sì fatto
tradimento.
L. 10, cap. 146 rubr.Come i Pistolesi feciono triegua con Castruccio contra
'l volere de' Fiorentini.
L. 10, cap. 146Nel detto anno MCCCXXII, del mese d'aprile, essendo
i Pistolesi molto gravati di guerra da Castruccio
signore di Lucca, il quale tenea il castello di Serravalle
presso a tre miglia a Pistoia, trattato ebbono
co· llui di triegua; onde i Fiorentini entraro in grande
gelosia, che Castruccio sotto la detta triegua non
prendesse la terra; per la quale cosa più volte vi
mandarono loro ambasciadori per isturbarla. A la fine
la terra si levò a romore, e feciono loro capitano
di popolo l'abate di Pacciana di Tedici, che volea la
detta triegua, e contra volontà de' Fiorentini la feciono,
dando di trebuto a Castruccio IIIm fiorini d'oro
l'anno, e cacciarne per ribelli il vescovo e altri caporali
che teneano co' Fiorentini.
L. 10, cap. 147 rubr.Come in Siena ebbe romore e novitade.
L. 10, cap. 147Nell'
anno
MCCCXXII,
del mese d'
aprile, la
città di
Siena fue
a romore per cagione che quegli della casa
de'
Salimbeni uccisono una notte
due frategli carnali
figliuoli di cavaliere della casa de' Tolomei, loro nemici,
nelle loro case. Per la
potenza de le dette
due
case i Sanesi quasi tutti parati per combattersi insieme,
e temendo di certe masnade tedesche che' Pisani
e
Castruccio mandavano per lo loro
contado
al vescovo
d'
Arezzo, per aiuto mandarono
a' Fiorentini, i
quali mandarono loro le masnade de' Friolani, ch'erano
CCCL cavalieri, molto buona gente, e tutte le leghe
del
contado di
Firenze di genti
a piè vicini de'
Sanesi; per la qual cosa la
città di Siena si
guarentì
da battaglia cittadina, con tutto rimanesse assai pregna
di male volontadi tra lloro.
L. 10, cap. 148 rubr.Come i Ghibellini di Colle vollono prendere la terra
e furono sconfitti.
L. 10, cap. 148Nell'anno MCCCXXII, del mese d'aprile, usciti di
Colle di Valdelsa coll'aiuto di certi ribelli di Firenze
entrarono per forza nel borgo di Colle. Quelli della
terra combattendo per forza gli ripinsono fuori, e assai
ve ne rimasono morti e presi; e quegli di Colle feciono
popolo co la 'nsegna a croce del popolo di Firenze.
L. 10, cap. 149 rubr.
Come il soldano de la Soria corse e prese quasi tutta
l'Erminia.
L. 10, cap. 149Nel detto anno MCCCXXII, del mese d'aprile, il soldano
de la Soria con più di XXVm Saracini a cavallo
corsono l'Erminia di sotto, e quella presono e guastarono
tutta infino a la marina, salvo alcuna fortezza
di montagne; e tutti gli Ermini e Cristiani che in
quella correria presono, assai n'uccisono e menarono
in servaggio; e questa persecuzione si disse fu per loro
peccata e discordia, che essendo morto il re d'Erminia,
e rimasi di lui due piccioli figliuoli, il signore
del Curco suo zio prese per moglie sanza dispensazione
di papa la reina stata moglie del nipote, e figliuola
del prenze di Taranto, per aversi la signoria
del reame; e quella reina ripresa del matrimonio che
volea fare, e che mandasse al papa per dispensazione,
disse che prima si peccava che si domandasse
perdono; onde i baroni isdegnati furono in discordia
e partiti, per la qual cosa quando fue bisogno non
difesono il reame da' Saracini, onde l'Erminia fu
quasi distrutta.
L. 10, cap. 150 rubr.Come il re di Tunisi cacciato di signoria la racquistò.
L. 10, cap. 150Nel detto
anno
MCCCXXII,
del mese d'
aprile, il re
di
Tunisi, ch'era stato cacciato di
Tunisi, come adietro
fa menzione, s'acordò co' signori degli
Arabi, e
raunato suo isforzo, con alquanti Cristiani di soldo e'
venne verso
Tunisi con
IIIIm uomini
a cavallo e con
gente
a piè assai. L'altro re che tenea
Tunisi uscì fuori
a battaglia e fue sconfitto, sì che il primo re fu vincitore
e
racquistò il suo reame. Questo re fu figliuolo
di madre
cristiana, e assai si ritenea co' Cristiani.
L. 10, cap. 151 rubr.Come il vescovo d'Arezzo cominciò guerra a' conti,
e prese Castello Focognano.
L. 10, cap. 151Nell'
anno
MCCCXXII,
del mese di maggio, il vescovo
d'
Arezzo, ch'era di quegli da Pietramala, fece raunata
di
VIc cavalieri con
CL Tedeschi ch'ebbe da' Pisani
e da
Castruccio signore di Lucca: dissesi che ciò
avea fatto per soccorrere il
conte
Federigo da Montefeltro;
ma sentendo ch'era morto, cavalcò co la
detta gente in Casentino, e tolse il castello di
Fronzole
sopra
a
Poppio, il quale teneano i figliuoli
del
conte
da Battifolle; e fatto ciò, incontanente cavalcò e
puosesi
a oste
a Castello
Focognano. I Fiorentini
a
richesta
dei
conti e de' signori
del Castello
Focognano
mandarono in Casentino
CCCL cavalieri
friolani, e
fermossi in
Firenze di dare loro aiuto generale, quanto
il Comune potesse fare, per levare il detto assedio,
ricordandosi i Fiorentini che 'l detto vescovo, non
istante la pace fatta co· lloro alla sconfitta
a Montecatini,
CL de' suoi cavalieri mandò incontro
a l'oste de'
Fiorentini; e poi quando
Castruccio ruppe la pace
a'
Fiorentini e cavalcò in sul
contado di
Firenze, ne
mandò
C cavalieri in suo aiuto. Faccendo i Fiorentini
l'aparecchiamento d'oste, e richesti gli amici di
Toscana
e di
Romagna e de la Marca, il detto vescovo
per
tradimento che
ordinò con uno piovano di que'
signori
del castello ebbe
a
patti il detto castello, ch'era
fortissimo e ben fornito; e come gli fu renduto,
sanza attenere
patti il fece tutto ardere, e poi
diroccare
infino
a' fondamenti.
L. 10, cap. 152 rubr.Come Romeo de' Peppoli e suo séguito vennono per
prendere Bologna e andarne in isconfitta.
L. 10, cap. 152Nel detto anno, del mese di maggio, il grande ricco
uomo Romeo de' Peppoli cacciato di Bologna,
come adietro è fatta menzione, essendo a Cesena in
Romagna, de' suoi propi danari e con amici subitamente raunò
IIIIc cavalieri: venne a la città di Bologna,
e con aiuto di certi suoi amici ch'erano ne la città
entròe dentro a l'antiporte ne' borghi. I Bolognesi
quasi improvisi de la sùbita venuta, francamente difendendo
la terra, i detti loro ribelli per forza e con
grande loro dammaggio gli ripinsono fuori de la città,
e poi più confinati e ribegli feciono di quella parte,
rimanendo Bologna in grande sospetto e in male
stato, e mandarono per aiuto a' Fiorentini, i quali
mandarono loro CL di loro cavalieri.
L. 10, cap. 153 rubr.
De' romori e grandi novità ch'ebbe nella città di Pisa
per la setta de' cittadini.
L. 10, cap. 153Nel
MCCCXXII,
del mese di maggio, la
città di
Pisa
si levò
a romore per cagione delle
sette ch'erano tra'
cittadini. Messer
Corbino de la casa de'
Lanfranchi
uccise messer
Guido da Caprona de' maggiori cittadini
che vi fosse; e quello de'
Lanfranchi preso
a romore
di popolo,
a llui e
al fratello fu tagliato il capo.
E per cagione di ciò non cessò il romore ne la terra,
ma più caldamente si raccese, che il
conte
Nieri de'
Gherardeschi signore delle masnade tedesche co'
grandi de la terra corsono la
città, e
a furore da' detti
grandi
Lanfranchi e Gualandi e
Sismondi e
Capornesi
ch'erano dell'altra
setta contra il popolo uccisono
tre possenti popolani, e cercando per tutto quegli
ch'erano de la
setta di
Coscetto dal
Colle per uccidergli,
dicendo che aveano fatto uccidere quello da
Caprona, e facieno venire
Coscetto dal
Colle: il popolo
per la detta ingiustizia e micidi
isdegnarono
contra il
conte
Nieri e contra i grandi. Il secondo dì
s'armarono e corsono la terra, e vollono che giustizia
si facesse, onde furono condannati
XV de' maggiori
de le dette case per ribelli, e guasti i beni loro: il
conte medesimo sarebbe stato corso dal popolo di
Pisa, se non che si trovò forte de le masnade; e sì si
disse che ne' micidi detti non avea avuto colpa, ma
più il campò che
Castruccio con tutto suo isforzo
venne per
due volte infino in sul Monte San
Giuliano.
I Pisani temendo de la sua venuta, ch'egli e la sua
gente non
corressono e rubassono la
città, sì gli contradissono
la venuta. Istando i Pisani sotto l'arme e
in grande sospetto più giorni per le dette divisioni e
sette,
Coscetto dal
Colle popolano, uomo di grande
valore e
ardire, il quale era stato capo di popolo in
Pisa
a cacciare Uguiccione da la Faggiuola, e poi
a
uccidere quegli della casa de'
Lanfranchi, come adietro
ha fatta menzione, e allora era fuori di
Pisa per
ribello, sentendo le dette divisioni in
Pisa per certi
trattati di suoi amici d'
entro,
venia in
Pisa per mutare
stato
a la
città, e per uccidere e cacciare il
conte
Nieri e' suoi seguaci; essendo fuori di
Pisa assai presso
a la
città in una piccola casa d'uno
villano per
entrare
la mattina per tempo in
Pisa, un suo compare e
confidente il tradì e l'apostò
al
conte, il quale
a grande
furore fu
menato preso in
Pisa, e sanza altro giudicio
fatto, il fé
tranare, e
tranando tagliato
a pezzi, e
gittato in Arno. E fatto ciò, la terra si
racquetò, e feciono
grande festa e processione, e mandaro
a'
confini
più nobili e popolani de la
setta
del detto
Coscetto
in diverse e lontane parti
del
mondo, e 'l detto
conte
Nieri feciono signore e difensore
del popolo di
Pisa dì
XIII di giugno
MCCCXXII; e così in pochi dì il
detto
conte fu in così varie e diverse
fortune.
L. 10, cap. 154 rubr.Come Castruccio fece uno grande castello in Lucca.
L. 10, cap. 154Nel detto
anno,
del mese di giugno,
MCCCXXII Castruccio
signore di Lucca spaventato per la
morte
del
conte
Federigo da Montefeltro, e per le
mutazioni
fatte per lo popolo di
Pisa contro
al
conte
Nieri, temendo
che 'l popolo di Lucca
nol
corressono
a furore,
ordinòe nella
città uno maraviglioso castello, che
quasi la quinta parte de la
città da la parte di verso
Pisa prese, e
murò di fortissimo
muro con
XXVIIII
grandi torri intorno, e puosegli nome l'Agusta, e caccionne
fuori tutti gli abitanti, e egli e sua famiglia e
sue masnade vi tornò
ad abitare; la qual cosa fu tenuta
grande
novità e magnifico lavorio.
L. 10, cap. 155 rubr.Come il re di Tunisi fu ricacciato de la signoria.
L. 10, cap. 155Nel detto anno, del mese di giugno, il re di Tunisi
ch'avea raquistata la signoria del mese d'aprile passato,
sì come è fatta menzione, fue cacciato de la signoria
da l'altro re suo nimico: coll'aiuto di certa parte
degli Arabi riprese la signoria.
L. 10, cap. 156 rubr.Come morì messer Maffeo Visconti capitano di Milano.
L. 10, cap. 156Nel detto
anno
MCCCXXII,
a dì
XXVIII di giugno,
morì messer
Maffeo Visconti capitano per lo 'mperio
di Milano
a la
badia di Chiaravalle fuori di Milano,
scomunicato da la Chiesa di
Roma, e con processo
d'
eretico e
sismatico. Questi fue uno savio signore e
tiranno, e molte grandi cose trasse
a fine per suo senno
e industria, e visse più di
LXXXX anni, e infino
a
l'ultimo fu savio e di grande signoria. Il detto dì che
morì,
Galeasso suo maggiore figliuolo e capitano di
Piagenza
corse la
città di Milano co le masnade de'
soldati, e fecesi fare quasi per forza capitano di Milano
uno
anno.
L. 10, cap. 157 rubr.Come nella Chiesa di Roma nacque grande quistione
sopra la povertà di Cristo.
L. 10, cap. 157Nel detto
anno
MCCCXXII grande quistione nacque
ne la Chiesa di
Roma, onde
seguì
nuovo errore tra'
Cristiani, per
movimento che fece uno grande maestro
in divinità de' frati minori, che predicava in
Proenza, che Gesù Cristo fu tutto povero sanza avere
nullo propio né in comune, onde molti prelati e
frati predicatori, ed eziandio in
corte papa Giovanni
e' suoi cardinali contradissono
a cciò, provando che
Cristo cogli apostoli ebbe propio in comune, come si
mostra per gli Vangeli, che Giuda
Scariotto era camerlingo
e spenditore de' beni loro dati per Dio, e
ancora così seguiro i discepoli, come si mostra per
gli Atti degli appostoli. Per la qual cosa il papa
crucciato
contro
a quegli frati e altri prelati che
sosteneano
l'altra oppinione, dicendo ch'erano
eretici, o elli e
gli altri
papi passati e cardinali e prelati ch'aveano
propietà comune erano
eretici; e di ciò diede
termine
a' frati, che
a questo articolo diliberatamente
rispondessono.
Per la qual cosa i frati minori feciono
capitolo generale
a Perugia, nel quale
dichiararono e
rispuosono
al papa ch'eglino ne
credeano quella oppinione
che la Chiesa di
Roma per antico avea consueto,
e quello che ne fu dichiarato per papa Niccola
terzo. Il papa per questa cagione fece uno
dicreto,
che l'ordine de' frati minori non potesse avere nullo
comune propio, né' loro procuratori potessono nullo
bene temporale domandare sotto
titolo della Chiesa
di
Roma, né potere esser
a nulla
esecuzione di testamento,
né quello che
a lloro fosse lasciato per favore
di Chiesa, né secolare braccio potere domandare. La
qual cosa fu tenuta grande
novità nella Chiesa di
Dio.
L. 10, cap. 158 rubr.Come in Firenze s'ordinò una fiera, e altre novitadi.
L. 10, cap. 158Nel detto
anno
MCCCXXII,
del mese di giugno, i
Fiorentini ordinarono una
fiera in
Firenze di
cavagli
e di tutte cose per la festa di san Giovanni di giugno,
la quale feciono franca
a' forestieri
VIII giorni innanzi
a la festa e
VIII giorni appresso, la quale si facesse
nel Prato d'Ognesanti; ma poco tempo apresso
durò,
per cagione de le grandi gabelle ch'erano allora in
Firenze; e d'altra parte, considerando il vero de la
piena
arte e
mercatantia ch'è in
Firenze, ogni dì si
può dire vi sia
fiera. E
a dì
VII di luglio vegnente
s'apprese il fuoco in sul ponte Vecchio, e arsono tutte
le botteghe ch'erano da mezzo il ponte in qua, con
molte case di sotto le volte. E infra
quattro
semmane
vegnenti s'
appresono l'altre botteghe da l'altro lato, e
arsono tutte e casa de' Mannelli. E in quello tempo
uno sottile maestro di Siena per suo artificio fece sonare
la gran campana
del popolo di
Firenze, ch'era
stata
XVII anni che nullo maestro l'avea saputo
farla
sonare
a distesa, essendo
XII uomini, e
acconciolla
per sì sottile e bello artificio, che
due la poteano
muovere, e poi mossa, uno solo la sonava
a distesa (e
pesa più di
XVIIm di libbre); onde il detto maestro
per suo
servigio ebbe dal Comune
CCC fiorini d'oro.
L. 10, cap. 159 rubr.Di guerra che fue in Cicilia e in Calavra.
L. 10, cap. 159Nel detto anno MCCCXXII, a l'uscita del mese di
giugno e a l'entrata di quello di luglio, il duca di Calavra
figliuolo del re Ruberto mandò da Napoli in
Cicilia XVIII galee armate in corso sopra i Ciciliani, le
quali presono e guastarono l'isola di Lipari, e poi
guastarono le tonnare di Palermo, e corseggiaro intorno
a l'isola con danno assai di Ciciliani. Partite le
dette galee, il re Federigo fece armare in Messina
XXVI galee, e con più legni puose cavalieri e genti a
piè assai a Reggio in Calavra, e guastollo intorno, e
simigliante Niccotera e più altre terre sanza altro
aquistare, ma le sopradette galee del duca misono in
caccia.
L. 10, cap. 160 rubr.
Come messer Ramondo di Cardona capitano per la
Chiesa fue sconfitto al ponte a Basignano.
L. 10, cap. 160Nel detto
anno
MCCCXXII, dì
VI di luglio, essendo
messer
Ramondo di Cardona capitano in Lombardia
per la Chiesa, de la gente della Chiesa e
del re Ruberto,
a l'assedio de la rocca di Basignano, e quella
molto
distretta, ch'egli aveva fatto fare ponti di
navi
in sul
Po, sì che vittuaglia non vi potea
entrare, messer
Marco Visconti di Milano con suo isforzo di
XXIIc di cavalieri e con popolo
a piè grandissimo
venne
al soccorso, e puosesi
a oste sopra i borghi di
Basignano, e messer
Gherardino
Spinoli uscito di
Genova capitano de la detta oste con grande navilio
scese giù per
Po, per combattere il ponte e fornire la
detta rocca, e messer Marco per terra assaliro
a un'ora
l'oste di messer
Ramondo ch'era fuori de' borghi,
ov'ebbe grandissimi assalti e battaglie, e per più riprese.
E volendo rompere il detto ponte sopra
al
Po
mettendo fuoco, e l'altra parte difendendo, grandissimo
dammaggio vi ricevettono quegli
del capitano
di Milano di morti e d'annegati; e avendo perduto in
Po, si ritrassono in terra, ov'era cominciata la battaglia
per la cavalleria e popolo, la quale
durò da mezzo
dì
a vespro; e per
due volte rotti quegli di Milano,
e morti più di
CCC uomini di cavallo, e di que' da piè
grande quantità;
a la fine essendo la forza di messer
Marco maggiore che quella di messer
Ramondo, il
quale non avea che
XIIc di cavalieri, e di quegli gli
convenia guardare di qua e di là da
Po e il ponte sopra
Po, la gente sua ch'era dal lato de' borghi, per
soperchio di gente fu
ripinta per forza ne' borghi e
sconfitti, ove morirono di sua gente da
CL uomini di
cavallo, e di que' da piè assai; e così quegli che maggiore
dammaggio ricevettono furono vincitori
del
campo, e rifornirono la rocca di Basignano, e rimasono
all'assedio de la gente de la Chiesa ch'era ritratta
ne' detti borghi.
L. 10, cap. 161 rubr.Conta di grande guerra tra il re d'Inghilterra e quello
di Scozia.
L. 10, cap. 161Nel detto
anno
MCCCXXII,
del mese di luglio, il re
di Scozia con suo isforzo, sentendo la divisione ch'era
in Inghilterra tra 'l re e' suoi baroni, venne in su
l'Inghilterra, e tutte le
frontiere de' suoi
confini guastò.
Sentendo ciò il re d'Inghilterra,
del mese presente
d'
agosto con tutto suo isforzo andò
ad oste in
Iscozia per terra, e per
mare vi mandò bene
CCC cocche
e
navi armate. Gli Scotti sentendo l'
esercito che
venia loro adosso, si ritrassono fra la Scozia in foreste
e fortezze. Gl'Inghilesi male proveduti di vittuaglia,
grandissimo difetto ebbe nell'oste, per la qual
cosa
moltitudine morirono di
fame, e si corruppe l'oste
per modo che non poterono durare; e così sanza
nullo acquisto fare si tornò il re d'Inghilterra con sua
oste adietro
del mese di settembre con grande vergogna
e
dammaggio di
XXm uomini morti di
fame e
d'infermità. E in quello medesimo tempo i
Fiamminghi,
per
discordia ch'aveano cogl'Inghilesi, sì guerreggiarono
in
mare
rubando e corseggiando sopra
gl'Inghilesi, i quali in quello
anno d'una parte e d'altra
e tra lloro molto furono afflitti.
L. 10, cap. 162 rubr.Come la città d'Osimo si rubellòe a la Chiesa.
L. 10, cap. 162Nel detto anno, del mese d'agosto, messer Lippaccio,
ch'era stato signore de la città d'Osimo de la
Marca e ribello de la Chiesa, coll'aiuto di quegli de la
città di Fermo e d'altri Ghibellini de la Marca in Osimo
ritornò e caccionne la gente del marchese, e co
l'aiuto de' Fermani si cominciò grande guerra al
marchese, e feciono rubellare Fabbriano.
L. 10, cap. 163 rubr.Come i Fiorentini feciono una grande raunata di
gente credendosi avere alcuna terra di Castruccio.
L. 10, cap. 163Nel detto
anno,
del mese d'
agosto, i Fiorentini subitamente
feciono raunata di
XXVc di cavalieri tra di
loro gente e d'amici, e di
XVm uomini d'arme
a piè.
La cagione nullo sapea, se non certi
sagretari: dissesi
che
doveano avere una terra, overo
città, di loro nimici.
Per la qual cosa i Pisani e 'l signore di Lucca, e
ancora gli Aretini, stettono in grande guardia e gelosia,
e più
confinati mandarono fuori.
A la fine non
potendosi compiere il trattato,
a dì
VIIII d'
agosto diedono
commiato
a tutti i forestieri, e 'l migliore fu; e
perché di ciò avemo fatta menzione, ché mai non si
scoperse la cagione
del sagreto, che di rado suole
avenire
a' Fiorentini.
L. 10, cap. 164 rubr.Come ambasciadori del dogio d'Osteric feciono fare
triegua in Lombardia a danno della Chiesa.
L. 10, cap. 164Nel detto
anno
MCCCXXII,
del mese d'
agosto, il
dogio d'
Ostericchi, uno degli eletti re de' Romani,
mandò in Lombardia suoi ambasciadori
al legato
del
papa per
discusarsi de la laida partita da Brescia
del
dogio
Arrigo suo fratello, e per fare trattare accordo
da la Chiesa
a' figliuoli
del capitano di Milano; e
giunti loro in Milano, messer
Galeasso fece loro
grande onore, e con sindachi
del detto Comune e di
nove altre
città di Lombardia, ond'erano signori,
brivileggiaro,
e si diedono
al detto
dogio d'
Ostericchi,
acciò che gli
acordasse, o difendesse da la forza della
Chiesa. I quali ambasciadori andati
a Valenza
al legato
cardinale, feciono fare triegua da l'oste della
Chiesa
a quella
del signore di Milano infino
a calen
di ottobre vegnente; e ciò assenti il cardinale per la
gente della Chiesa ch'era assediata ne' borghi di Basignano
a grande
distretta, i quali n'uscirono sani e
salvi, lasciando la terra
a guardia de' detti ambasciadori:
e simigliante lasciarono que' di Milano la rocca
di Basignano. E
fallite poi le dette triegue, non possendo
poi essere accordo, i detti ambasciadori rendero
a messer Marco capitano dell'oste di Milano la
rocca di Basignano e eziandio i borghi, opponendo
che se messer
Ramondo
rivolesse i borghi, rimettesse
ne la terra la sua gente assediata, e nello stato ch'era
quando si feciono le triegue; onde il legato e messer
Ramondo si tennono traditi e ingannati da' detti ambasciadori.
L. 10, cap. 165 rubr.Come i Pisani in certa parte ruppono la pace a' Fiorentini.
L. 10, cap. 165Nel detto anno, del mese d'agosto, i Pisani feciono
certe nuove gabelle sopra loro legni e galee che
aducessono roba di franchi o portassono, faccendo
pagare a la roba, rompendo la libertà de' Fiorentini,
e' patti de la pace in più guise sotto il detto colore. I
Fiorentini vi mandarono ambasciadori, e niente valse,
onde si tennono forte gravati da' Pisani.
L. 10, cap. 166 rubr.Come i Fiorentini racquistaro il castello di Caposelvoli.
L. 10, cap. 166Nel detto
anno, dì
VII di settembre
MCCCXXII, i
Fiorentini riebbono il castello di Caposelvoli di Valdambra,
il quale aveano tenuto gli Aretini da la venuta
dello 'mperadore: rendési
a
patti per certi
del
castello. Quegli della rocca si tennono alquanti dì attendendo
soccorso
dagli Aretini. I Fiorentini vi cavalcaro
popolo e cavalieri; per la qual cosa gli Aretini
non ardirono di venire
al soccorso, e feciono rendere
la rocca.
L. 10, cap. 167 rubr.Come il signore di Mantova e quello di Verona vennono
a oste a Reggio.
L. 10, cap. 167Nel detto anno MCCCXXII, del detto mese di settembre,
messer Cane della Scala signore di Verona e
messer Passerino signore di Mantova vennono a oste
ssopra la città di Reggio con MD cavalieri, e quello
guastando, si puosono a oste a uno loro castello de'
Reggiani dicendo di venire a Bologna. I Bolognesi temendo
mandarono per aiuto a' Fiorentini, i quali vi
mandarono CCC cavalieri. Istando i detti a quello assedio,
subitamente si levarono da oste, lasciando di
loro arnesi, e con danno d'alquanti di loro gente. La
cagione della sùbita partita si disse che fu per tema
che 'l detto messer Cane ebbe che 'l dogio di Chiarentana
e 'l conte da Gurizia che per comandamento
del dogio d'Ostericchi re de' Romani non venissono
sopra Verona e Vincenza, come facceano l'apparecchiamento.
L. 10, cap. 168 rubr.
Come ne la città di Parma ebbe battaglia tra' cittadini.
L. 10, cap. 168Nel detto anno MCCCXXII, dì XVIII del mese di settembre,
la città di Parma si levòe a romore, e si combatterono
insieme i cittadini: dell'una parte era capo
Orlando Rosso, dell'altra Gianni Quirico e l'abate di
San Zeno, i quali dal detto Orlando e dal popolo di
Parma furono sconfitti e presi col loro séguito; ciò si
disse che fu perché il detto Gianni Quirico trattava
co' Fiorentini e' Bolognesi di recare Parma a parte
guelfa; ma i più dissono ch'egli trattava di dare la
terra a messer Cane e a messer Passerino suoi parenti,
e però aveano fatta la detta cavalcata sopra Reggio.
Il detto Orlando Rosso rimase signore e rimise
in Parma i figliuoli di messer Ghiberto da Coreggia.
L. 10, cap. 169 rubr.Come i signori di Ravenna s'uccisono insieme.
L. 10, cap. 169Nel detto anno e dì i figliuoli di messer Bernardino
da Polenta di Ravenna, con trattato de' Malatesti
signori da Rimine, sì uccisono l'arciprete di Ravenna
loro cugino e consorto, ch'era signore de la terra, e
di quella rimasono signori.
L. 10, cap. 170 rubr.
Come gli usciti di Genova ebbono Albingano.
L. 10, cap. 170Nel detto anno MCCCXXII, del mese di settembre,
il re Federigo di Cicilia fece de' suoi danari armare
in Saona XVII galee per guerreggiare la città di Genova
e 'l re Ruberto, e quelle galee cogli usciti di Genova
e coll'aiuto di Castruccio assediarono Portovenero
per mare e per terra; e poi appresso coll'aiuto del
marchese dal Finale assediarono la città d'Albingano
che teneano quegli di Genova. Per la qual cosa il re
Ruberto co' Genovesi d'entro armarono in Genova
XXI galea, e in Proenza XII uscieri con CC cavalieri
per levare il detto assedio. E vegnendo i detti uscieri
di Proenza, per contrario tempo non poterono porre
i cavalieri in terra al Bingano, ma se ne vennero in
Genova. L'armata de le XVII galee sì disarmarono e
lasciarono l'assedio di Portovenero, ma perciò non
lasciarono quello d'Albingane. I Genovesi per altra
volta caricarono gli uscieri di loro cavalieri per porre
al Bingano, e per contrario tempo non poterono
prendere terra. Per la qual cosa la detta terra di Albingano,
molto stretta di vittuaglia, e non soccorsa,
s'arendé poi agli usciti di Genova e al marchese dal
Finale a patti, a dì XIII di dicembre vegnente.
L. 10, cap. 171 rubr.
Come papa Giovanni fece battere moneta fatta come
il fiorino d'oro.
L. 10, cap. 171Nel detto tempo e anno papa Giovanni fece fare
in Vignone una nuova moneta d'oro fatta del peso e
lega e conio del fiorino d'oro di Firenze sanza altra
intransegna, se non che da lato del giglio diceano le
lettere il nome del papa Giovanni; per la qual cosa
gli fue messa grande riprensione, a fare dissimulare
sì fatta moneta come il fiorino di Firenze.
L. 10, cap. 172 rubr.Come il re di Francia lasciò la prima moglie, e prese
la figliuola che fue d'Arrigo imperadore.
L. 10, cap. 172Nel detto
anno
MCCCXXII e mese di settembre
Carlo il giovane re di
Francia, lasciata la prima sua
moglie figliuola che fu
del
conte di Borgogna, perché
si trovòe in avolterio, prese per moglie la figliuola
che fue dello 'mperadore
Arrigo e
serocchia
del re
Giovanni di
Boemmia.
Compensò il papa il detto
matrimonio
opponendosi per la petizione che la madre
della prima moglie, figliuola che fu
del
conte Artese,
aveva tenuto
a battesimo il detto re. Questa
pruova si disse che fu falsa, e che
a la
contessa d'Artese
il
convenne assentire per iscampare la figliuola
di
morte; e così
del detto mese di settembre
a Tresi
in Campagna sposò la detta seconda moglie vivendo
la prima.
L. 10, cap. 173 rubr.Come il re Ruberto volle esser morto a Vignone.
L. 10, cap. 173Nel detto anno e mese il re Ruberto essendo co la
corte di papa a Vignone, volle essere morto per suoi
famigliari, a petizione di messere Ugo di Palizzo di
Borgogna, per cagione che il re gli contradisse a moglie
la prenzessa della Morea; e dissesi che' tiranni di
Lombardia e di Toscana di parte ghibellina aveano
procacciato ciò. Non se ne seppe il vero. I detti famigliari
furono presi e distrutti; intra gli altri fue uno
Fiorentino.
L. 10, cap. 174 rubr.Come i Fiorentini rifeciono Casaglia, e ripresono le
ville e popoli d'Ampinana in Mugello.
L. 10, cap. 174Nel detto
anno e mese di settembre i Fiorentini
feciono rifare il castello di Casaglia sopra l'alpe, il
quale avea fatto guastare il
conte
a Battifolle
a
Sinibaldo
Donati, quand'era in
bando
al tempo de' Bianchi,
e levarono uno passaggio, che 'l detto
conte vi
facea ricogliere. E in quello medesimo tempo il detto
Comune di
Firenze riprese la signoria d'undici popoli
di più di
M uomini, i quali furono sotto il castello
d'Ampinana in Mugello, i quali fedeli erano stati
del
conte
Guido da
Raggiuolo, e per suo lascio
succedeano
a' figliuoli
del
conte
a Battifolle. Il Comune di
Firenze vi
cusava ragione, che infino nel
MCCLXXXXII
essendo
a l'assedio de la detta Ampinana, dal
conte
Manfredi che v'era
entro la comperarono
IIIM fiorini
d'oro, e posseduto alcuno tempo. Per la qual cosa in
Firenze venne il
conte Simone da Battifolle e 'l
conte
Ruggieri da
Doadola, domandando
al Comune che si
commettesse
a ragione la quistione in giudice comune;
non furono uditi, e così si partirono male appagati
da' Fiorentini.
L. 10, cap. 175 rubr.Come l'eletto d'Ostericchi fu sconfitto da quello di
Baviera.
L. 10, cap. 175Nel detto
anno
MCCCXXII, martedì
a dì
XXVIIII di
settembre, nella
duchea di Baviera in Alamagna fue
grande
assembiamento e battaglia tra il re
Federigo
d'
Ostericchi e il re
Lodovico di Baviera,
amendue
eletti re de' Romani. La quale battaglia
durò dal sole
levante insino
al tramontare, però che non v'avea pedoni,
e combatteano
a
riprese
a modo di
torniamenta;
e fu sì aspra e sì
dura, che più di
IIIIm combattitori
a cavallo vi furono morti tra dall'una parte e dall'
altra, e più di
VIm cavalli morti.
A la fine la vittoria e
la signoria
del campo rimase
al re
Lodovico di Baviera;
e 'l sopradetto
Federigo re e
Arrigo
dogio d'
Ostericchi
suo fratello con molti baroni furono
presi in
forza
del detto re
Lodovico; e quasi tutta la gente
del
re
Federigo rimasono tra morti e presi, infra' quali
rimasono più di
MM cavalieri
ungari che
Carlo Umberto
re d'Ungaria avea mandati in aiuto
al detto re
Federigo suo
parente. Il
duca
Lupoldro d'
Ostericchi,
il quale
venia con
MD cavalieri
a elmo in aiuto
al
fratello ed era presso già
a
XV miglia
a l'oste, non
giunse
a tempo
a la battaglia, però che quello di Baviera
sentendo sua venuta affrettò
saviamente la battaglia,
e passò la riviera. Il re
Federigo, per isdegno
di sua
potenza e grandezza non curando il nimico né
essendo ordinato, per lo modo detto fue sconfitto.
L. 10, cap. 176 rubr.Come il re d'Ungaria venne sopra il re di Rassia.
L. 10, cap. 176Nel detto
anno
MCCCXXII,
del mese di settembre,
Carlo Umberto re d'Ungaria con più di
XXm Ungari
a
cavallo
corse sopra le terre
del re di
Rassia in
Ischiavonia,
e venne presso
a Giadra
a
due giornate guastando
il paese, per cagione che gli Schiavi no· llo
ubbidieno;
per la qual cosa si temette per que' di
Schiavonia, e ancora per gli Viniziani, ch'eglino non
prendessono infino
a le marine.
A la fine il detto re
di
Rassia fece le sue comandamenta, e ancora per la
sconfitta di sua gente in Baviera si ritornò adietro in
Ungaria. Questo
Carlo Umberto fue figliuolo di
Carlo
Martello, che fu figliuolo di
Carlo secondo re di
Cicilia e di Puglia; e se 'l padre non fosse in prima
morto che 'l detto
Carlo secondo, gli succedea il reame,
il quale succedette poi
al re Ruberto suo secondo
fratello; ma però il detto
Carlo non ne fu mai
contento.
L. 10, cap. 177 rubr.Come gli Ubaldini si diedono a la signoria de' Fiorentini.
L. 10, cap. 177Nel detto anno MCCCXXII, del mese d'ottobre, i signori
Ubaldini per iscandalo che surse tra lloro, l'una
parte e l'altra a gara insieme, eglino e' loro fedeli
si diedono a la signoria del Comune di Firenze, il
quale Comune loro promise di trarre d'ogni bando, e
fecegli esenti di gravezze per due anni; il quale acquisto
fu di più di IIIm distrettuali; ma come per addietro
sono usati, poco stettono fedeli de' Fiorentini
per la guerra di Castruccio.
L. 10, cap. 178 rubr.Come messer Vergiù di Landa rubellò Piagenza a
messer Galeasso Visconti di Milano.
L. 10, cap. 178Nel detto
anno
MCCCXXII Obizzo chiamato
Vergiù
de la casa di Landa di Piagenza, tutto fosse Ghibellino,
discacciato di quella
città da messer
Galeasso Visconti
di Milano signore di Piagenza, per cagione di
vergogna fatta per lo detto messer
Galeasso
a la donna
del detto
Vergiù, e ancora lui battuto, e
toltogli
Ripalta suo castello, si ssi rubellò, e
andonne
al cardinale
legato per la Chiesa. Ed essendo messer
Galeasso
a Milano, il detto
Vergiù subitamente con
IIIIc
cavalieri di quegli della Chiesa venne
a Piagenza, e
per suoi amici dentro una porta gli fu aperta, e così
con questa gente
entrò nella
città
a dì
VIIII d'ottobre,
e
corse la terra, e di quella prese la signoria sanza
contasto: fu fatto vicaro per la Chiesa, e fecesi fare
cavaliere, e caccionne
Azzo figliuolo
del detto messer
Galeasso che n'era signore, e rimise in Piagenza
tutti gli usciti guelfi. Per la qual cagione ebbe appresso
in Lombardia grandi commutazioni. E
del
mese di novembre venne il legato cardinale in Piagenza,
e fue ricevuto
a grande onore, e poco appresso
i
Piagentini
racquistarono tutte le loro castella,
che tenea la gente di messer
Galeasso.
L. 10, cap. 179 rubr.Di grande fortuna che fue in mare e in terra.
L. 10, cap. 179Nel detto anno MCCCXXII, dì XXVI d'ottobre, fu
delle maggiori fortune di vento a greco e tramontana
con neve che si ricordasse per niuno che allora vivesse;
e fece maggiori pericoli in mare di rompere navi
e galee e altri legni in più parti del mondo, spezialmente
nel golfo di Vinegia; e simigliante fue in terra,
che in più parti divelse grandissimi alberi, e ruppene
innumerabile quantità, e molte case fece cadere in
Toscana, onde più genti ne moriro.
L. 10, cap. 180 rubr.
Come gli Scotti sconfissono gl'Inghilesi.
L. 10, cap. 180Nel detto anno MCCCXXII, a l'uscita del detto mese
d'ottobre, essendo il re d'Inghilterra tornato di Scozia
con sua oste con grande vergogna e dammaggio,
come adietro fa menzione, e essendo di là da Vervicche
a la badia di Rivalse, e i suoi baroni erano dimorati
più innanzi a le frontiere della Scozia per contrastare
gli Scotti che non passassono, ed erano in numero
di Vc cavalieri e IIIm uomini d'arme a piede; gli
Scotti gli asaliro, e gl'Inghilesi per tema si ritrassono
in su uno monte per essere forti; gli Scotti assediarono
il detto monte, e ismontati da cavallo assalirono
gl'Inghilesi, e quegli misono in isconfitta, e quasi la
maggiore parte furono tra morti e presi; intra' quali
furono presi Gianni di Brettagna, il conte di Riccemonte,
il signore di Sugli, e più altri baroni. Il re
d'Inghilterra, sentita la detta sconfitta, quasi solo
con poca compagnia si fuggì de la detta badia vituperosamente.
L. 10, cap. 181 rubr.Come messer Galeasso Visconti fu cacciato di Milano.
L. 10, cap. 181Nel detto
anno
MCCCXXII,
del mese di novembre,
dopo la
rubellazione che quegli di Piagenza aveano
fatta di messer
Galeasso Visconti, i nobili e 'l popolo
di Milano veggendosi scomunicati e in sentenza della
Chiesa per la signoria di messer
Maffeo Visconti e
de' figliuoli, sì
elessono
XII de' migliori de la
città,
grandi e popolani, che trattassono accordo dal Comune
di Milano
al legato cardinale, i quali più volte
furono
al legato con volontà
del capitano di Milano,
promettendo di lasciare la signoria, acciò che lla
città
di Milano avesse sua pace
colla Chiesa. La quale
promessa fatta infintamente per messer
Galeasso,
non volendo assentire all'accordo, si levò
a romore la
città di Milano
a petizione de' detti
XII caporali, volendo
che messer
Galeasso lasciasse la signoria, come
aveano
promesso
al cardinale; e recaro da lloro
parte grande parte de le masnade de' Tedeschi per
impromesse e danari diedono loro, e per cagione che
più tempo messere
Galeasso non gli avea pagati, e
a ffurore il popolo e' cavalieri corsono
al palazzo gridando
«Pace, pace, e
viva la Chiesa!». Messer
Galeasso,
credendosi riparare co' soldati italiani e altri
che gli erano rimasi, si mise
al contasto, e in tre parti
nella
città ebbe battaglia, e in
ciascuna parte ebbe il
peggiore con
danno di sua gente: veggendo che non
potea durare, con
poca di sua gente si partì di Milano,
e andossene
a Lodi
a dì
VIII di novembre, e de la
città di Milano rimasono signori i detti
XII, i quali
erano messer
Luis Visconti
consorto di messer
Galeasso,
messer
Giacomino da Postierla, messere Simone
Cravelli, messer Francesco da
Barbagnano e
altri grandi cattani e
varvassori, che non sapemmo di
tutti il nome. Di questa
mutazione di Milano ebbe in
Firenze grande allegrezza, e fecesene grande festa e
belle giostre,
istimando che la
guerra di Lombardia
avesse fine. Ma se avessono saputo la
mutazione futura
e contraria che fue assai di presso, e quello
danno
che ne
seguì
a' Fiorentini, come innanzi si potrà
vedere, avrebbono non fatta festa, ma il contrario; e
però di felicità
mondana non si
dee l'uomo troppo
allegrare, né d'aversità troppo turbare, però ch'ell'è
fallace, e con diverse e varie
mutazioni.
L. 10, cap. 182 rubr.Come Moncia fu presa e corsa per quegli di Milano.
L. 10, cap. 182Nel detto anno MCCCXXII, del mese di novembre,
essendo Galeasso Visconti e' suoi seguaci cacciati di
Milano, quegli della terra di Moncia con séguito d'amici
di quegli de la Torre feciono raunanza per venire
a Milano. Per gli XII rettori di Milano fu mandato
a quegli di Moncia che cessassono la detta raunata,
però che voleano riformare prima la città per gli patti
ordinati co la Chiesa; e di vero, tutto fosse Galeasso
cacciato di Milano, per gli detti XII si reggea la città
a parte d'imperio e non di Chiesa. Quelli di Moncia
per troppa volontà disubedienti, furono assaliti
da le masnade di Milano e dal popolo, e per forza
presa la terra e rubata tutta, e cacciarne la detta raunanza
con danno di più di CC uomini morti.
L. 10, cap. 183 rubr.
Come certi de la casa de' Tolomei feciono grande
guerra nel contado di Siena.
L. 10, cap. 183Nel detto
anno
MCCCXXII,
del mese di dicembre,
messer
Deo de' Tolomei co' suoi seguaci ribelli di
Siena,
coll'aiuto e trattato
del vescovo d'
Arezzo e di
certi loro amici di
Firenze, con danari e
impromesse
corruppono
V conastaboli oltramontani co· lloro masnade
in quantità di
CC a cavallo, i quali erano
al soldo
del Comune di
Firenze, i quali sanza saputa
del
detto Comune si partirono da Fucecchio, e
andarne
in
Valdichiane, e congiunti col detto messer
Deo e
co la gente
del vescovo d'
Arezzo e con
C cavalieri
d'Orbivieto, presono il castello d'
Asinalunga e quello
di
Torrita, e corsono per lo
contado di Siena guastando
e
rubando sanza nullo riparo; e facevansi
chiamare la Compagna, ed erano bene
Vc cavalieri e
gente
a piè assai sanza ordinato soldo, vivendo di
ratto e di ruberia; per la qual cosa in Siena n'ebbe
grande paura e gelosia: mandarono per soccorso
a'
Fiorentini, i quali vi mandarono
CCC cavalieri e
M
pedoni, e 'l capitano
del popolo con grande ambasceria
per trattare accordo, il quale da' Sanesi non
fue inteso, temendo che' Fiorentini in
servigio di
quegli della casa de' Tolomei non avessono fatta
ismuovere la detta gente; ma feciono più
confinati
della casa de' Tolomei e di loro amici, e
fortificarsi
di soldati assai, e feciono loro capitano di
guerra il
conte Ruggieri da
Doadola de'
conti
Guidi. E stando
la detta Compagna nel
contado di Siena, per gli Sanesi
furono contastati di
guerra guerriata, non
assicurandosi
d'aboccarsi
a battaglia, sì come
a gente disperata;
e così stettono tutto il verno.
A la fine la
detta Compagna per più difetti non possendo durare,
si partirono
a dì
XVI di febbraio
MCCCXXII, e
sbarattarsi
nella Marca e in più parti, e così per buona
sostenenza i Sanesi rimasono liberi di quella afflizzione,
e sì riconobbono che quella ismossa di gente
non fu con volontà
del Comune di
Firenze, anzi gli
sbandirono come traditori i detti soldati.
L. 10, cap. 184 rubr.Come messer Galeasso Visconti ritornò in Milano.
L. 10, cap. 184Nel detto
anno
MCCCXXII,
del mese di dicembre,
essendo i
XII rettori della
città di Milano in
istretto
trattato col legato cardinale di
dargli la signoria della
città di Milano, e d'esser
ricomunicati da la Chiesa, e
la maggior parte de' detti nobili si voleano dare liberamente;
e mandati loro ambasciadori e sindachi
a
Piagenza
al cardinale che venisse in Milano, la parte
de' Visconti ch'era rimasa in Milano, ond'era capo
messer
Lodovico Visconti, non piacendogli il detto
accordo, mandò segretamente
a Lodi per
Galeasso
Visconti e per gli frategli, che venissono col loro
isforzo
a la terra; e in Milano corruppe le masnade
tedesche, i quali erano stati
a cacciare
Galeasso, che
fossono in suo aiuto, e loro
promise
Xm fiorini d'oro;
e 'l detto
Galeasso venuto di notte, gli fue data e
aperta la porta de' Sonagli, e per quella
entròe in Milano
sabato
a l'alba
del giorno, dì
XI di dicembre, e
corse la terra. Per la qual cosa quasi tutti i nobili di
Milano ch'erano stati contra
Galeasso e
al trattato
della Chiesa, col loro séguito uscirono di Milano, e
poi il detto
Galeasso si fece fare signore de la terra
a
grido di popolo, dì
XXVIIII di dicembre nel detto
anno.
E così in
corto
termine si cambiò la sua fortuna
per
accrescimento di maggiori mali in Milano e in
Lombardia per punizione de' peccati, come innanzi
faremo menzione.
L. 10, cap. 185 rubr.Come Luis d'Universa fu fatto conte di Fiandra.
L. 10, cap. 185Nel detto anno MCCCXXII, del mese di gennaio,
Luis d'Universa, figliuolo del figliuolo del conte di
Fiandra, fu fatto conte di Fiandra con volontà delle
buone ville di Fiandra per asseguire i patti della pace;
messer Ruberto di Fiandra suo zio, volendo esser
conte egli, perché il padre di Luis era prima morto
che 'l conte suo avolo, onde piato fu a Parigi dinanzi
al re di Francia, e per sentenzia fu renduto per oservazione
de' patti della pace che 'l detto Luis fosse
conte, e non messer Ruberto.
L. 10, cap. 186 rubr.D'uno grande freddo che fue in Italia e carestia.
L. 10, cap. 186Nel detto
anno
MCCCXXII,
del mese di novembre e
dicembre e gennaio, fue in Italia la maggiore vernata,
e di più
nevi che fosse grande tempo passato; e in
Puglia fu sì grande secco, che più di mesi
VIII stette
che non vi
piovve, per la qual cosa grandissimo
struggimento e
carestia di tutti i beni fue nel paese; e
così
seguì quasi in tutta Italia, spezialmente in
Pisa e
in Lucca e Pistoia, grandissima
fame e
carestia, onde
tutti i poveri di loro
contado fuggirono per la
fame
a
Firenze, e in
Firenze medesimo fu
caro; le
II e mezzo
staia di grano uno fiorino d'oro.
L. 10, cap. 187 rubr.Come i Fiorentini mandarono loro gente in Lombardia
sopra Milano.
L. 10, cap. 187Nel detto anno, in calen di febbraio, a richesta del
detto papa Giovanni i Fiorentini mandarono in
Lombardia in aiuto del legato e a l'oste della Chiesa
CC cavalieri con loro capitani e ambasciadori, e altrettanti
ne mandaro i Bolognesi, e' Parmigiani C, e i
Reggiani C, e' Romagnuoli simigliante, per andare
sopra la città di Milano, e per abattere i tiranni e ribegli
di santa Chiesa della casa de' Visconti.
L. 10, cap. 188 rubr.Come gli usciti di Genova furono sconfitti e levati
dall'assedio di Genova.
L. 10, cap. 188Nel detto
anno
MCCCXXII, dì
XVII di febbraio, essendo
ancora gli usciti di
Genova
ad assedio della
città ne' borghi di Prea (come addietro fa menzione,
stati all'assedio di
Genova presso di
V anni tra
due
volte con piccolo intervallo), quegli della
città feciono
uscire di notte delle masnade
del re Ruberto
CL
uomini
a cavallo e mille
a piè per combattere la fortezza
del monte di San Bernardo, e saliti
al
poggio
combattero co' nimici, e sconfissongli, e cacciandogli
infino
a' borghi. Quegli della
città sentendo la detta
rotta uscirono della terra per la porta de le Vacche, e
per forza
entrarono ne' borghi; e seguendo la detta
caccia e sconfitta
racquistarono i detti borghi con
tutte le fortezze. E degli usciti furono morti alquanti,
ma più presi, e guadagnarono di robe e avere ch'era
ne' detti borghi più di libbre
CCm di genovini, però
che gli usciti stavano ne' detti borghi con loro famiglie,
e faceano l'
arti e
mercatantie come ne la
città.
Quegli che scamparo fuggirono
a Saona e
a
Volteri;
per la qual cosa la forza degli usciti molto
affiebolìo,
e fu tenuto miracolo di Dio, che per piccola
rotta
perderono quello che per tutta la forza
del re Ruberto
e
del Comune di
Genova prima per tanto tempo
non si
poté acquistare.
L. 10, cap. 189 rubr.Come il re di Tunisi cacciato ricoverò la signoria.
L. 10, cap. 189Nel detto
anno e mese il re di
Tunisi, che 'l giugno
passato era stato cacciato della signoria, come
adietro fa menzione,
racquistò la signoria e
caccionne
l'altro. E così mostra che i detti Saracini abbiano
piccola stabilità in loro signorie, che
tre volte in
due
anni mutata la detta signoria per
due re.
L. 10, cap. 190 rubr.Come la città di Tortona s'arendé a la Chiesa e al re
Ruberto.
L. 10, cap. 190Nel detto anno MCCCXXII, dì XVIIII di febbraio,
messer Ramondo di Cardona con Vc cavalieri e cogli
usciti guelfi della città di Tortona in Lombardia, per
trattato fatto per lo legato cardinale entrò nella detta
città, la quale gli fu data da' cittadini, e fattone signore;
e la signoria e masnade che v'erano per lo capitano
di Milano, a pochi dì appresso renduta la città
del poggio co la rocca, a patti se n'uscirono salve
le persone, e più castella del contado di Pavia si renderono
a messer Ramondo.
L. 10, cap. 191 rubr.Come l'oste di Milano furono sconfitti da quegli
della Chiesa in sul fiume d'Adda.
L. 10, cap. 191Nel detto
anno,
del mese di febraio, essendo cavalcata
la cavalleria e l'oste della Chiesa da Piagenza
in sul
contado di Milano ne la contrada de la
Graradadda
al castello di
Cravazzo, il quale si teneva per
gli
nuovi usciti di Milano, là si trovarono tra soldati
della Chiesa e l'amistà di Lombardia e di
Toscana
più di
IIm cavalieri d'arme e popolo assai, ond'era capitano
messer Castrone nipote
del legato e messer
Vergiù di Landa. Messer Marco Visconti con
VIIIc
cavalieri de le masnade di Milano e popolo assai era
venuto in su la riva
del fiume d'Adda
a la villa di
Trinazzo
e
a
Basano per contrastare il passo
a la detta
oste de la Chiesa. Avenne che venendo,
XXV di febbraio
MCCCXXII, messer
Vergiù di Landa cogli usciti
di Milano con
Vc cavalieri, dilungandosi alquanto
dall'oste su per la riva d'Adda passarono il fiume;
messer Marco con sua gente andò contra loro, e assaligli
vigorosamente per modo che gli avea quasi
sconfitti; e già morto il fratello di messer
Vergiù, e
messer Simonino
Cravelli, e messer Francesco da
Garbagnana usciti di Milano e più altri; l'altra oste
de la Chiesa ch'era in su la riva, veggendo la detta
battaglia per lo capitano e
conastaboli e insegna
del
Comune di
Firenze, ch'era messer
Filippo
Gabbrielli
d'
Agobbio, e messer
Urlimbacca tedesco, prima
messi
a passare l'Adda e l'altra gente appresso, con
grande contasto de' nimici nel fiume, e alla riva combattendo
vittoriosamente
passaro, e trovando la gente
di messer Marco sparta e travagliata gli misono in
isconfitta; ove grande quantità ne rimasono morti e
presi, e fuggito il detto messere Marco col rimaso di
sua gente
a Milano, l'oste della Chiesa presono
Trinazzo
e più ville e castella; e
a dì
XXVII di febbraio
presono la terra di
Moncia presso
a Milano
VIII miglia,
e incontanente più gente cittadini uscirono di
Milano
a cavallo e
a piè, e vennono
a la detta oste.
L. 10, cap. 192 rubr.
Come i Padovani si pacificaro insieme co' loro usciti.
L. 10, cap. 192Nel detto anno MCCCXXII e mese di febbraio i Padovani,
i quali erano sotto la signoria del dogio di
Chiarentana, si pacificaro insieme, e rimisono in Padova
tutti i loro usciti; la quale cosa non seppono fare
innanzi, quand'erano in migliore e maggiore stato
e in loro libera signoria.
L. 10, cap. 193 rubr.Come Castruccio racquistò certe castella di Carfagnana
che gli erano fatte rubellare per gli Fiorentini.
L. 10, cap. 193Nel detto
anno,
del mese di marzo,
Castruccio signore
di Lucca fece oste sopra il castello di
Lucchio
in
Carfagnana che gli s'era rubellato, e sopra le terre
de la montagna di Pistoia; e quegli abandonati da'
Pistolesi, per tema che
Castruccio non rompesse loro
le triegue, mandarono
a
Firenze per aiuto. I Fiorentini
per farlo spendere e consumare vi mandarono
LXXV cavalieri e
CCCC pedoni per la guardia di quelle
terre.
Castruccio vigorosamente, non guardando
a le
nevi ch'erano grandi
a la detta montagna, assalì in
persona le dette terre ch'erano sopra
Lucchio con
suo séguito di cavalieri
a piè. Quegli che v'erano
a la
guardia
abandonaro i passi, e si ridussono
a le fortezze,
i quali poco apresso s'
arrenderono, e salve le
persone se n'andarono; e partita la detta gente, il
detto castello di
Lucchio fortissimo si rendé
a
patti,
dì
XVII di marzo. I Fiorentini per lo soccorso
del detto
castello di
Lucchio trattato feciono d'avere il ponte
e 'l castello di Cappiano in su la
Guisciana: essendo
Castruccio
a oste in
Carfagnana, vi cavalcaro le
cavallate e' soldati di
Firenze infino
a
Empoli, e non
vegnendo fornito il
tradimento, si ritornarono in
Firenze
con grande riprensione dell'una impresa e dell'
altra.
L. 10, cap. 194 rubr.Come pace fu tra l'eletto imperadore di Baviera e
quello d'Ostericchi.
L. 10, cap. 194Nel detto anno e mese il re Lodovico di Baviera
eletto re de' Romani fece grande parlamento in Alamagna
di tutti i suoi baroni, e in quello si fece l'accordo
da llui al duca d'Ostericchi, e trasselo di pregione
sotto certi patti e saramento di non chiamarsi
re, e di non essergli incontro; ma poco l'attenne.
L. 10, cap. 195 rubr.Come Allessandra in Lombardia si rendé al legato
del papa e al re Ruberto.
L. 10, cap. 195Nell'
anno
MCCCXXIII,
a dì
II d'
aprile, essendo stato
trattato da quelli della
città d'
Allessandra in Lombardia
al legato cardinale, si rendero
a la signoria de
la Chiesa e
del re Ruberto; e messer
Ramondo di
Cardona v'
entrò, e prese la signoria con
IIIIc cavalieri,
e
caccionne quegli che v'erano per lo capitano di
Milano. E in quegli giorni messer
Arrigo di
Fiandra,
maliscalco che fu dello 'mperadore
Arrigo, non possendo
riavere la
contea di Lodi, che gli avea privileggiato
lo 'mperadore, e teneala il capitano di Milano,
venne
al
servigio della Chiesa e
del legato, il quale gli
confermò per la Chiesa la detta signoria, e privilegiò
e
fecelo capitano nell'oste di tutti gli oltramontani.
L. 10, cap. 196 rubr.Come il dogio di Baviera eletto imperadore mandò
al legato in Lombardia che non guerreggiasse le terre
dello 'mperio.
L. 10, cap. 196Nel detto
anno e mese d'
aprile
Lodovico eletto re
de' Romani
a richesta e sommossa de' Ghibellini di
Toscana e di Lombardia, per soccorrere il signore di
Milano, mandò tre ambasciadori in Lombardia,
Bertoldo
conte di
Niferi e
Bertoldo
conte
e uno suo
mastro scrivano di sua
corte, i quali furono
a Piagenza
al legato cardinale,
a richiederlo e
pregarlo che
non gravasse il signore né la
città di Milano, però
ch'erano
a lo 'mperio. Il legato rispuose che, quando
fosse imperio
legittimo, non s'intendea per la Chiesa
d'
occupargli nulla sua ragione, ma di
conservarla e
mantenerla; ma che si
maravigliava che il loro signore
volesse difendere e
favorare gli
eretici; e domandò
loro per iscritto e con
suggegli il mandato ch'aveano
dal loro signore. Quellino accorgendosi che se per
iscritto mostrassono che il loro re
favorasse i ribelli
della Chiesa, cadea in indegnazione di quella, incontanente
negaro che di ciò ch'aveano detto non aveano
mandato dal loro signore, e chiesono perdono
al
legato, e partirsi: e l'uno di loro venne
a Lucca e
a
Pisa, e gli altri andarono
a Mantova e Verona con loro
ambasciata.
L. 10, cap. 197 rubr.Come la città d'Orbino si rubella a la Chiesa.
L. 10, cap. 197Nel detto anno e mese d'aprile il popolo d'Orbino
si levò a romore, e cacciarono della città la signoria
che v'era per lo marchese e per la Chiesa, per soperchi
e incarichi che faceano loro.
L. 10, cap. 198 rubr.Come giudice d'Alborea di Sardigna si rubellò da'
Pisani a petizione del re d'Araona.
L. 10, cap. 198Nel detto
anno e mese d'
aprile, faccendo il re d'
Araona
grande
apparecchiamento di navile e di cavalieri
per venire
a prendere l'isola di Sardigna, la quale
gli fu
privileggiata per papa Bonifazio
VIII, il Comune
di
Pisa, che de la detta isola teneano grande
parte, avendo fatta
murare Villa di Chiesa e più altre
fortezze, e
mandatovi gente
a cavallo e
a piè
al loro
soldo, e
a soldo di giudice d'Alborea per contastare
al detto re d'
Araona, avenne che 'l detto giudice, il
quale tenea ed era signore d'
Arestano e bene
del terzo
di Sardigna,
a di
XI d'
aprile tradì i Pisani, e si rubellò
da lloro per trattati fatti da llui
al re d'
Araona,
e fece mettere
a
morte quanti Pisani e loro soldati
che si trovarono in sue terre, e eziandio i Pisani suoi
famigliari e soldati. E fatto questo malificio, incontanente
mandò suoi ambasciadori
al re d'
Araona,
che venisse per la terra. La cagione
del detto rubellamento
si disse che fece perché i Pisani il trattavano
male, e che quando il detto giudice prese la signoria,
i Pisani oppuosono ch'egli era bastardo, e
convennesi
ricomperare dal Comune di
Pisa per avere la signoria
Xm fiorini d'oro sanza il privato
costo de' cittadini
di
Pisa; per la qual cosa poi non fu loro amico
di cuore.
L. 10, cap. 199 rubr.Come messer Marco Visconti di Milano fu sconfitto
da la gente de la Chiesa.
L. 10, cap. 199Nel detto
anno, martidì
a dì
XVIIII d'
aprile, messer
Marco de' Visconti si partì di Milano con
M cavalieri
e
IIm pedoni, molto buona gente d'arme, per prendere
e guastare il ponte da
Vaveri e quello da Casciano
sopra il fiume d'Adda, acciò che vittuaglia non potesse
venire
a l'oste de la Chiesa ch'era
a
Moncia.
Sentendo ciò i capitani de la detta oste, messer
Arrigo
di
Fiandra, e messer
Gianni de la Torre, e messer
Castrone nipote
del legato, e messer
Vergiù di
Landra,
e messer
Filippo
Gabbrielli capitano de' soldati
del Comune di
Firenze, co loro masnade in numero
di
MCC cavalieri e da
IIIm pedoni si partirono da
Moncia per contrastare il detto Marco Visconti e sua
gente. E
scontratisi insieme
al luogo detto la
Gargazzuola,
quasi in sul tramontare
del sole, la battaglia fu
aspra e
dura d'una parte e d'altra, però che in
ciascuna
parte era la migliore cavalleria de le dette osti; e
grande pezzo
durò la battaglia, che non si sapea chi
avesse il migliore.
A la fine Marco Visconti e sua
gente furono rotti e sconfitti, e di sua gente
a cavallo
vi rimasono tra morti e presi intorno
IIIIc, e
rimasonvi
XVII bandiere, sanza quegli da piè in gran quantità;
e
cavagli vi rimasono morti tra dell'una parte e de
l'altra
VIIIc e più; di quegli de la Chiesa vi rimasono
da
XXV a cavallo tra morti e presi, e uno Tedesco
conostabole
de' Fiorentini con
III altri conostaboli della
Chiesa vi rimasono presi ne la lunga caccia; la notte
si trovaro partiti da' suoi infra' nimici, e furono ritenuti.
E così Marco Visconti col rimanente di sua
gente si tornò
a Milano; ma se non fosse la notte, la
detta
guerra era finita, ché de la gente di Marco Visconti
pochi ne scampavano.
L. 10, cap. 200 rubr.Come il conte da Gurizia morì per veleno.
L. 10, cap. 200Nel detto anno MCCCXXIII, il dì di calen di maggio,
il conte da Gurizia essendo in Trivigi stato a
nozze e a festa, subitamente morì: dissesi che messere
Cane di Verona il fece avelenare; fue uomo molto
valoroso in arme.
L. 10, cap. 201 rubr.
Come il conte Novello venne in Firenze per capitano
di guerra.
L. 10, cap. 201Nel detto anno, a dì XV di maggio, il conte di
Montescheggioso e d'Andri, detto il conte Novello,
venne da Napoli a Firenze con CC cavalieri al soldo
del detto Comune, e per essere capitano di guerra
de' Fiorentini.
L. 10, cap. 202 rubr.Come grande scandalo fu nell'oste della Chiesa a
Moncia.
L. 10, cap. 202Nel detto anno e mese di maggio grande scandalo
e zuffa fue nell'oste della Chiesa ch'era a Moncia tra'
Tedeschi e' Latini, ove n'ebbe morti più di L uomini
di cavallo; e il figliuolo di messere Simonino Crevelli
con certi si partì de la detta oste e si tornò in Milano;
per le quali novità, e per non avere nell'oste uno sovrano
capitano, grande sturbo fu a la detta oste.
L. 10, cap. 203 rubr.Ancora di grande scandalo che fu in Piagenza tra la
gente della Chiesa.
L. 10, cap. 203Nel detto
anno
MCCCXXIII,
del mese di maggio, simigliante
fue nella
città di Piagenza grande
scandalo
tra' Guelfi e' Ghibellini, e
ebbevi più micidi fra' cittadini,
essendo la
città in arme e
a romore; e ciò adivenne
per sospetto che messer
Vergiù di Landa era
andato
a parlamentare con messer Cane della Scala e
con messer
Passerino da Mantova sanza coscienza
del cardinale legato; e tornato lui in Piagenza, o ch'avesse
intenzione di rimutare stato ne la terra, o si
pentesse per animo di parte d'avere data la terra
a la
Chiesa, o perché gli paresse che' Guelfi avessono
presa troppa signoria, fue il
cominciamento
del detto
scandalo. E temendo il cardinale, mandò
ad Ortona
per messer
Ramondo di Cardona, il quale vi venne
con
Vc cavalieri, e
riformossi la
città
a parte di Chiesa,
e messer
Vergiù lasciò la signoria, e 'l cardinale il
mandò
a
corte
al papa per ambasciadore, e messer
Ramondo mandò nell'oste
a
Moncia per capitano generale.
L. 10, cap. 204 rubr.Come i Fiorentini per lettere di papa feciono imposta
al chericato.
L. 10, cap. 204Nel detto
anno e mese di maggio per commessione
di
lettere di papa Giovanni, tratte per ambasciadori
del Comune di
Firenze, i Fiorentini impuosono
al
chericato
del vescovado dì
Firenze
XX fiorini d'oro
per aiuto alle
mura della
città, de' quali con grande
scandalo si ricolsono la metade, e per bisogno
del
Comune si
convertirono in altre spese; e poi per
lettere
di papa di
contramando, per istudio
del vescovo
e
del
chericato, non se ne ricolsero più
danaio per lo
Comune.
L. 10, cap. 205 rubr.Come gli Aretini feciono oste sopra le terre d'Uguiccione
da Faggiuola.
L. 10, cap. 205Nel detto anno e mese di maggio il Comune d'Arezzo
e quello del Borgo a Sansipolcro con CC cavalieri
e IIIm pedoni feciono oste sopra le terre d'Uguiccione
da Faggiuola, perché s'aveano fatto privileggiare
al re de' Romani il detto borgo e Castiglionaretino
e più castella; in quella andata vi ricevettono danno e
vergogna. E poi i detti figliuoli d'Uguiccione feciono
lega co' Guelfi di Romagna e co' conti Guidi guelfi
incontro agli Aretini.
Nel detto anno, a dì XX di maggio, la notte vegnente
scurò la luna, quasi le due parti nel segno del
Sagittario.
L. 10, cap. 206 rubr.Come lunga triegua fu fatta dal re d'Inghilterra e
quello di Scozia.
L. 10, cap. 206Nel detto
anno,
a l'uscita di maggio, triegua fu fatta
tra re d'Inghilterra e quello di Scozia per
XIII
anni, la quale si fece per lo male stato ch'avea il re
d'Inghilterra, che per suo male
reggimento quasi tutti
i baroni
del paese l'aveano abandonato; e come il
padre
Adoardo fu re di grande senno e prodezza e
temuto, così questo
Adoardo suo figliuolo fu il contradio.
Per la qual cosa Ruberto di
Bristo cavaliere di
scudo fattosi re de li Scotti, però ch'era nato d'una
delle figliuole d'
Alepandro re di Scozia, co la sua
gente
a piè più ch'
a cavallo lo sconfisse, e prese de
l'Inghilterra, e in più modi gli fece
danno e vergogna;
e per non potere meglio, fece il re d'Inghilterra
la detta ontosa triegua.
L. 10, cap. 207 rubr.Come i Perugini tornarono all'assedio di Spuleto.
L. 10, cap. 207Nel detto anno, a l'uscita di maggio, i Perugini per
comune tornarono a l'assedio de la città di Spuleto,
ove aveano loro battifolli; e tutto intorno assediarono
la detta città, sì che nullo vi potea entrare né uscire
sanza grande pericolo.
L. 10, cap. 208 rubr.Come il capitano de' soldati friolani, ch'erano co'
Fiorentini, se n'andò a Castruccio.
L. 10, cap. 208Nel detto
anno
MCCCXXIII, avendo i Fiorentini fatta
ordine co· lloro amistà e co· lloro isforzo di fare
oste sopra
Castruccio signore di Lucca, e' Genovesi
d'
entro per terra e per
mare
doveano venire
a richesta
de' Fiorentini in
Lunigiana sopra quello di Lucca,
e con trattato d'avere il castello di
Buggiano e altre
castella di Valdinievole; il detto
Castruccio non
pigro scoperse i detti trattati, e
XII di
Buggiano
impiccò, e
cercò
tradimento con Iacopo da
Fontanabuona
capitano de' soldati
friolani, ch'erano
al soldo
de' Fiorentini,
promettendogli molti danari; il quale
traditore sanza nulla cagione da la parte de' Fiorentini,
se non che gli era scemato soldo, e partita sua
masnada
a più
bandiere, e
colle sue masnade in numero
di
CC cavalieri, essendo in Fucecchio, e faccendo
vista di cavalcare sopra i nimici,
a dì
VII di giugno
se n'andò
a Lucca, il quale da
Castruccio fu bene ricevuto.
Per lo quale
tradimento e partita i Fiorentini
rimasono molto sconfortati, però ch'era la migliore
masnada ch'avessono, e sturbò loro tutta la detta impresa.
L. 10, cap. 209 rubr.Come Castruccio fece oste a le castella di Valdarno di
ponente.
L. 10, cap. 209Incontanente il detto
Castruccio con sua gente, e
co' detti Friolani, e con aiuto di certe masnade di
Pisa,
con quantità di
VIIIc cavalieri e
VIIIm pedoni,
a dì
XIII del detto giugno passò la
Guisciana
al ponte
a
Cappiano, e puosesi
a oste
a piè di Fucecchio, e
quello in parte guastò; e poi fece il simigliante
al castello
di Santa
Croce e quello di Castello Franco; e
poi passò l'Arno, e guastò
a piè di Montetopoli, e
poi tornò in su l'
Elsa, e guastò
a piè di Samminiato
e tornossi
a Lucca con grande onore, dì
XXIII di giugno.
I Fiorentini mandarono per loro amistà, ma però
non cavalcarono contra il detto
Castruccio, se non
che intesono
a fare guardare le
frontiere; e così quello
ch'aveano ordinato di fare
a
Castruccio, per suo
senno e prodezza fece
a' Fiorentini con loro vergogna.
L. 10, cap. 210 rubr.Come Nanfus figliuolo del re d'Araona andò con
sua armata in su l'isola di Sardigna.
L. 10, cap. 210Nel detto
anno
MCCCXXIII,
a dì
VIII di giugno,
Nanfus figliuolo primogenito
del re d'
Araona con armata
di
LXX galee, e con più cocche e legni grossi e
sottili, in numero di
CC vele, e con
MD cavalieri e
gente
a piè grandissima arrivò in
Arestano in Sardigna,
il quale dal giudice d'Alborea fu ricevuto onorevolemente,
e da tutti i Sardi come loro signore; e tutte
le terre che teneano i Pisani si rubellaro, e s'
arrendero
al figliuolo
del re d'
Araona, salvo Villa di Chiesa,
e Castello di
Castro, e Terranuova, e
Acquafredda,
e la Gioiosa Guardia. Il quale si mise l'assedio
a
Villa di Chiesa e
a Castello di
Castro; e dimorandovi
tutta la detta state e 'l verno, di sua gente e di quella
de' Pisani vi morì in grandissima quantità di più di
XIIm uomini; e però non cessò l'assedio. I Pisani,
del
mese d'ottobre nel detto
anno, armarono
XXXII galee
per levare la detta oste, e andarono infino nel
golfo
di
Calleri; incontanente la gente
del re d'
Araona
n'armarono altrettante, e
trassonsi fuori per combattere.
I Pisani non si vollono mettere
a la battaglia,
ma si tornarono in
Pisa, e disarmarono co· lloro
danno
e vergogna.
L. 10, cap. 211 rubr.Come messer Ramondo di Cardona co la gente de
la Chiesa e de la lega di Toscani e Lombardi puose
oste a la città di Milano.
L. 10, cap. 211Nel detto
anno
MCCCXXIII,
a dì
XI del mese di giugno,
messer
Ramondo di Cardona, capitano generale
dell'oste della Chiesa, con quantità di
XXXVIIIc di cavalieri
tra soldati della Chiesa e
del re Ruberto,
colla
gente
del Comune di
Firenze, e di Bologna, e di Parma,
e di Reggio, e usciti di Milano, e con più cavalieri
tedeschi fuggiti di Milano, e ancora de' presi in
battaglia,
a ccui il legato avea fatti francare e rendere
loro l'arme e'
cavagli e dato il soldo, e con gente
a
piè innumerabile si partì da la terra di
Moncia per
andare all'assedio de la
città di Milano. E giunti
a la
villa di
Sesto presso di Milano,
Galeasso e Marco Visconti
signori di Milano con loro cavalleria e popolo
uscirono di Milano intorno di
MM cavalieri, faccendo
segno di volere la battaglia. Messer
Ramondo, ordinate
sue schiere francamente, non
rifusando la battaglia,
si ristrinse verso la
città; quegli di Milano per
sospetto de' cittadini rimasi dentro, o per tema di soperchi
nimici, si ritornarono in Milano con
danno e
vergogna. Messer
Ramondo con sua gente pugnando
contra loro prese per forza i borghi di porta Nuova,
e quello di porta
Lenza, e quello di porta
Tomasina;
e arsi i primi
due borghi, in quello di porta
Tomasina
s'
acampò con sua oste,
a dì
XVIIII di giugno, e
quello afforzando, la
città molto
strinse, e tolse l'acqua
di
Tesinello, con intendimento di lasciare battifolle
da quella parte, e
al monistero di Santo Spirito
da porta
Vercellina che per lui si tenea, e mutare l'oste
tra porta Romana e quella di Pavia per chiudere
al tutto la
città: nel quale oste i Fiorentini il dì di
santo Giovanni di giugno feciono correre il palio,
onde i Melanesi si recarono
a grande
disdegno, e poi
ne feciono bene vendetta, come innanzi farà menzione.
L. 10, cap. 212 rubr.Come la città di Milano fue soccorsa, e come l'oste
della Chiesa se ne partì.
L. 10, cap. 212Nel detto
anno e mese di giugno quegli di Milano,
veggendosi
a mal punto, si mandarono per soccorso
al signore di Verona, e
a quello di Mantova, e
a l'altre
terre ghibelline di Lombardia, e ancora
agli ambasciadori
del re
Lodovico di Baviera ch'erano in
Lombardia, mandando
a dire, se non
dessono loro
sùbito aiuto, che renderebbono la
città di Milano
a
la Chiesa. I quali non oservando
patti né saramenti
fatti
al legato, e promesse di non soccorrere i ribegli
de la Chiesa, sì vi mandarono i detti ambasciadori
con
titolo d'imperio con
CCCC loro soldati. E giunti
in Milano i detti ambasciadori e cavalieri, quello
Bertoldo
conte di
Niferi d'Alamagna si fece
fittizziamente
vicario d'imperio, e
a
Galeasso Visconti fece lasciare
il
titolo de la signoria, e
rafforzò lo stato della
città; ma per ciò non s'ardiro d'uscire
a campo contra
l'oste della Chiesa, la quale era molto possente.
Apresso,
a dì
XX di luglio, i detti signori di Mantova
e di Verona e' marchesi da Esti, che allora erano di
loro lega contra la Chiesa, mandando ancora in aiuto
di quello di Milano
Vc cavalieri e
M pedoni; e passando
il fiume
del
Po, per trattati fatti,
credettono i detti
cavalieri torre la
città di Parma
a petizione de la
parte di Gian Quirico; il quale trattato scoperto con
danno di loro, non venne loro fatto; e
credettono ancora
prendere
Firenzuola, e con
danno di loro si partirono,
e
andarne
a Milano. In quello assedio di Milano
trattati avea assai da quegli di Milano
a quegli
dell'oste della Chiesa, tutti coverti di tradimenti dall'
una parte e da l'altra; e
credendosi messer
Ramondo
e gli altri capitani dell'oste della Chiesa, con
ispendio di moneta assai e grandi
promesse trattando
co' Tedeschi ch'erano nel campo, che facessono
co' Tedeschi ch'erano ne la
città, che
dessono loro
l'
entrata de la
città, o almeno l'
abandonassono e venissono
nel campo da la loro parte, avenne tutto il
contradio: che
X bandiere di Tedeschi ch'erano nell'
oste della Chiesa in quantità di
Vc a cavallo subitamente
si partirono dell'oste e
entraro in Milano. Per
la qual cagione, e ancora perché grande infermeria si
cominciava nell'oste, gli usciti di Milano, isbigottiti e
colla paura
del
tradimento, quasi tutti si partirono
dell'oste e si ritrassono
a lloro castella e
a la terra di
Moncia. Messer
Ramondo veggendosi rimaso pur
co' soldati
del re e de la Chiesa e degli altri Comuni,
in quantità di
MMD cavalieri, si ricolse con sua oste, e
mise innanzi prima la salmeria e popolo
minuto,
dando battaglia
a la
città:
colle schiere fatte si partì
da Milano e dì
XXVIII di luglio, e se n'andò
a
Moncia
sano e salvo, che per sua levata quegli di Milano non
ardirono d'uscire loro dietro
a battaglia, overo per
più savia
capitaneria. E così è da notare che i· niuna
forza umana si può avere ferma speranza, che in sì
piccolo tempo sì possente e vittoriosa oste, com'era
quella della Chiesa, per gli sopradetti avenimenti si
partì
isbarattata dal detto assedio di Milano.
L. 10, cap. 213 rubr.Come quegli di Milano assediaro l'oste della Chiesa
in Moncia, ma levarsene in isconfitta.
L. 10, cap. 213Nel detto anno, dì VIII d'agosto, quegli di Milano
uscirono ad oste sopra la terra di Moncia con IIIm cavalieri
e popolo grandissimo. In Moncia era messer
Ramondo di Cardona coll'oste della Chiesa rimaso
con MM uomini di cavallo. Quivi si puosono ad assedio,
e dimoraronvi infino al primo dì d'ottobre; e essendo
ne la detta oste grandissima infermeria e mortalità,
e molta gente di quella oste partita, uscendo
fuori la gente a piè de la Chiesa con balestrieri venuti
da Genova per assalire il campo, quegli dell'oste sanza
riparo di battaglia si partiro a piè e a cavallo, chi
meglio e più tosto si poté guarentire; e così rimase il
campo e tutti i loro arnesi a la gente della Chiesa.
Poca gente vi fu morta e presa, se non degl'infermi,
perché l'asalto fu sproveduto e sanza la cavalleria, sì
che poca fue la caccia e tardi, che già i Melanesi s'erano
ricolti.
L. 10, cap. 214 rubr.
Come Castruccio venne ad oste a Prato, e come i
Fiorentini vi cavalcarono, e le novità che ne furono in
Firenze.
L. 10, cap. 214Nel detto
anno
MCCCXXIII Castruccio signore di
Lucca prese audacia e baldanza de la cavalcata che
poco dinanzi aveva fatta sopra le terre
del Valdarno
sanza contasto de' Fiorentini: il dì di calen di luglio
subitamente cavalcò in sul
contado
del castello di
Prato, perché i Pratesi non gli voleano dare tributo
come i
Pistolesi, e puosesi
a campo
a la villa d'
Aiuolo
presso
a Prato
a poco più d'uno miglio con
VIcL
uomini
a cavallo e con
IIIIm pedoni, con tutto si
credesse
in
Firenze che fossero presso
a
due
cotanti
genti. I Fiorentini incontanente saputa la
novella,
serrate le botteghe e lasciata ogni
arte e mestiere, cavalcarono
a Prato popolo e cavalieri isforzatamente;
e
ciascuna
arte vi mandò gente
a piede e
a cavallo, e
molte case di
Firenze grandi e popolani vi mandaro
masnade
a piè
a loro spese; e per gli priori si mandò
bando che qualunque isbandito guelfo si rassegnasse
ne la detta oste sarebbe fuori d'ogni
bando; il quale
bando non
saviamente fatto, ne
seguì poi grande
pericolo
a la
città. Avenne poi appresso che il dì seguente
si trovarono i Fiorentini in Prato
MD cavalieri
e ben
XXm pedoni, che i
IIIIm e più erano isbanditi,
molto fiera gente; e ordinarono il seguente dì d'uscire
a battaglia contra
Castruccio, e spianando le vie il
detto
Castruccio, la mattina
III dì di luglio si levò da
campo, e con grande paura de' Fiorentini, e ancora
di
tradimento de'
Pistolesi, si partì d'
Aiuolo, e
colla
preda ch'avea fatta in sul
contado di Prato passò
l'Ombrone, e sanza
arresto, e di buono andare di
galoppo,
si ridusse
a Serravalle: e con tutto che
Castruccio
n'andasse
a salvamento per la
discordia de'
Fiorentini, fu tenuta la sua venuta folle
condotta.
Che se i Fiorentini avessono mandata di loro gente,
come poteano, tra Serravalle e l'oste di
Castruccio,
a
certo
Castruccio e sua gente rimanevano morti e presi;
ma
a cui Idio vuol male gli toglie il senno. I Fiorentini
rimasi in Prato con
poca ordine e con difettuoso
capitano, e per vizio de' nobili, che non voleano
vincere la
guerra in onore e stato di popolo, scisma
e
discordia nacque ne la detta oste; che il popolo
tutto volea seguire dietro
a
Castruccio, o almeno
andare
a oste in su quello di Lucca, e' nobili quasi
tutti non voleano, assegnando loro
ragioni ch'era il
peggio. Ma la cagione era perché parea loro esser
gravati degli ordini della giustizia, che non voleano
essere tenuti l'uno per lo malificio dell'altro; la qual
cosa per lo popolo non s'
aconsentia, e per questa cagione
più dì stettono in quello errore, e mandarono
a
Firenze ambasciadori per la diliveragione
del cavalcare
o tornare l'oste in
Firenze. Consigliando sopra
ciò in
Firenze in sul palazzo
del popolo, simigliante
errore nacque tra nobili e popolani, e
adurando di
pigliare partito di
consiglio in
consiglio, il popolo
minuto ch'era di fuori, cominciando da'
pargogli
fanciugli, raunandosi in quantità innumerabile di
gente, gridando: «Battaglia, battaglia, e
muoiano i
traditori!», e gittando pietre
a le finestre
del palazzo,
essendo già notte, per tema
del detto romore
del
popolo i signori priori col detto
consiglio, quasi per
nicessità e per
acquetare il popolo
minuto
a romore,
stanziaro che l'oste procedesse. Questo fu
a dì
VII di
luglio. E fatta la detta diliberazione, tornati gli ambasciadori
a l'oste
a Prato, si partì la detta oste di Prato,
dì
VIIII di luglio, con
mala voglia e infinta per gli
nobili, se n'andarono per la
via di
Carmignano
a Fucecchio,
e giunti
a Fucecchio, sanza niuno buono fare,
od onore
del Comune di
Firenze: ma se in Prato
avea errore tra' nobili e 'l popolo
del cavalcare, maggiore
fue
a Fucecchio di non valicare né
entrare in
sul
contado di Lucca. E sì era cresciuta l'oste e
crescea
tutto dì, che 'l Comune di Bologna vi mandò
CC
cavalieri, e 'l Comune di Siena altri
CC; e oltre
a quegli
tutti i nobili de le case di Siena
a gara, chi meglio
meglio, vennono in quantità di
CCL a cavallo molto
bella gente, e i
Conti e altre terre e amici; onde l'oste
era sì possente, se vi fosse stato l'accordo, ch'
a l'assedio
di Lucca e più innanzi poteano con salvezza andare,
che
Castruccio s'era
ritratto
a la guardia di
Lucca con grande paura, e
poca di sua gente mandati
a guardare i passi sopra la
Guisciana. Ma sempre
ov'è la
discordia è il minore podere, tutto sia più
gente; e ancora per difetto
del non sofficiente
duca,
il
conte
Novello, che non era capitano
a
conducere sì
fatto
esercito, per necessità
convenne tornassono
a
Firenze sanza nulla fare, con grande onta e vergogna
di loro e
del Comune di
Firenze. E oltre
a questo,
crescendo peggio
al male, che certi nobili
scommossono
gli sbanditi, che non sarebbono dal Comune
tratti di
bando, onde
a
bandiere levate vennono i
detti isbanditi innanzi
a la
città, credendo per forza
entrare dentro, la sera, dì
XIIII di luglio. Sentendo
ciò il popolo
a suono di
campane s'armò, e trassono
a la guardia de la
città,
del palazzo
del popolo; e tutta
la notte guardaro francamente, temendo di
tradimento
dentro ordinato per gli detti certi de' nobili.
Gli sbanditi perduta la speranza, e la mattina vegnente,
dì
XV di luglio, tornando la cavalleria e l'altra
oste, si fuggirono i detti
isbanditi, e la
città si
racquetò
con molta riprensione. Avemo seguito per ordine
questo processo de' Fiorentini, perché siamo di
Firenze
e fummo presenti, e il caso fu
nuovo e con più
contrari, e per quello
seguì apresso, per dare esemplo
a' nostri successori per lo
nanzi d'esser più franchi
e più interi e di migliore
consiglio, vogliendo
onore e stato de la repubblica e di loro.
L. 10, cap. 215 rubr.Come il vescovo d'Arezzo prese il castello di Rondine.
L. 10, cap. 215Nel detto
anno,
a dì
XVII di luglio, s'
arrendé il castello
di
Rondine
al vescovo d'
Arezzo, e gli Aretini
che v'erano stati
ad assedio più mesi. Stando que'
d'
entro
a speranza che' Fiorentini gli soccorressono,
nol vollono fare, tra per non potere per le cagioni di
su dette, e per non rompere pace
agli Aretini.
L. 10, cap. 216 rubr.Come Castello Franco si rubellò a' Bolognesi, e come
lo riebbono.
L. 10, cap. 216Nel detto anno, a dì XVIIII di luglio, si rubellò per
tradimento del signore di Modona Castello Franco
de' Bolognesi, i quali Bolognesi subitamente vi trassono
per comune; e per lo sollecito soccorso, e che
quegli di Modona non v'erano ancora giunti, racquistarono
il castello, e' traditori strussono.
L. 10, cap. 217 rubr.Come X galee de' Genovesi furono prese da' Turchi
per tradimento.
L. 10, cap. 217Nel detto
anno e mese di luglio
X galee di Genovesi
guelfi andarono in corso in
Romania
rubando
amici e nimici, e presono tanta roba che si stimava
IIIc milia fiorini d'oro, e feciono compagnia col
cerabi
di
Sinopia, uno grande amiraglio di
Turchia; e
corseggiato tutto il
mare Maggiore, tornati
al porto
di
Sinopia, per quello amiraglio nobilemente ricevuti,
e fatta gran festa e
conviti per trargli in terra, e dato
loro uno ricco
desinare,
al levare delle tavole gli
fece assalire
a' suoi
Turchi, e uccidere e prendere, e
simigliante le
galee e la roba ch'era in porto; e così
perderono l'avere male acquistato, e le persone: che
de le
X galee e di tutta la ciurma non iscamparono
che
III galee; e
rimasorvi
XL e più de' maggiori nobili
di
Genova, e bene
MD altri per lo
tradimento
del
detto Saracino.
L. 10, cap. 218 rubr.Come santo Tommaso d'Aquino fue canonizzato da
papa Giovanni.
L. 10, cap. 218Nel detto
anno
MCCCXXIII, all'uscita di luglio, per
lo sopradetto papa Giovanni e per gli suoi cardinali
apo
Vignone, fue canonizzato per santo frate
Tommaso
d'Aquino dell'ordine di san
Domenico, maestro
in divinità e in filosofia, e uomo
eccellentissimo
di tutte scienze, e che più dichiarò le sacre Scritture
che uomo che fosse da santo Agostino in qua, il quale
vivette
al tempo di
Carlo primo re di Cicilia. E andando
lui
a
corte di papa
al
concilio
a Leone, si dice
che per uno
fisiziano
del detto re, per veleno gli mise
in
confetti, il fece morire,
credendone piacere
al re
Carlo, però ch'era
del
legnaggio de' signori d'Aquino
suoi ribelli,
dubitando che per lo suo senno e virtù
non fosse fatto cardinale; onde fu grande
dammaggio
a la chiesa di Dio: morì
a la
badia di
Fossanuova
in Campagna, dì
E quando venne alla sua fine,
prendendo
Corpus Domini, fece questa santa orazione
con grande
divozione «
Ave pretio mee
redemptionis,
ave viatico mee
peregrinationis,
ave
premio
future vite in cui mano commendo anima
et spiritum
meum»; e passò in Cristo.
L. 10, cap. 219 rubr.Di grande novitade ch'ebbe in Firenze per cagione
degli sbanditi.
L. 10, cap. 219Nel detto
anno e tempo, essendo gli sbanditi di
Firenze, i quali erano stati nell'oste
a Prato e
a Fucecchio,
in isperanza d'esser
ribanditi per la
promessa
loro fatta e per lo
bando mandato per gli priori,
non si trovò via per gli forti ordini che potessono essere
ribanditi. Per la qual cosa
VIII di loro caporali,
ch'erano in
Firenze
a
sicurtà per sollecitare d'essere
ribanditi, veggendo che la loro speranza era
fallita, sì
ordinaro congiurazione e
tradimento ne la
città col
favore di certi nobili de le case, ond'erano di quegli
isbanditi; e la notte di santo Lorenzo, dì
X d'
agosto
MCCCXXIII, vennero
a le porte de la
città da più parti,
in quantità di
LX a cavallo e più di
MD a piè, con
iscuri assai per tagliare la porta che vae verso
Fiesole.
Sentendosi la sera
a tardi loro venuta, non per
certo, ma per alcuno indizio, la
città fue
ad arme e in
grande tremore,
dubitandosi il popolo non tanto degli
sbanditi di fuori, che piccolo podere era il loro
a
la
potenza della
città, quanto di
tradimento dentro si
facesse per gli grandi. Per la qual cosa la
città si
guardò la notte con grande sollecitudine, e per la
buona guardia nullo s'ardì
a scoprire dentro di
tradimento.
Gli sbanditi ch'erano di fuori, veggendo la
grande guardia e luminare sopra le
mura, e che nullo
rispondea loro dentro, si partirono in più parti, e così
per la grazia di Dio e di messere santo Lorenzo
iscampò la
città di
Firenze di grande
pericolo e
rivoluzione;
che di vero si trovò che
doveano correre la
città e ardere in più parti, e rubare e fare micidi in
assai buoni uomini, e abbattere l'uficio de' signori
priori e gli ordini della giustizia, che sono contra i
nobili, e tutto il
pacefico stato della
città sovertere; e
cominciato per gli sbanditi il male, quasi tutti i nobili
doveano essere co· lloro per disfare il popolo. E così
si trovò; ma perché l'opera era grave
a
pulire, tanti
n'erano colpevoli, si rimase di fare giustizia per non
peggiorare stato, ché
ll'una
setta e parte
del popolo, i
quali non reggeano la
città, voleano pur che giustizia
si facesse, perché si volgesse stato nella
città. Quegli
che reggieno, perché
scandalo non
crescesse onde
nascesse
mutazione ne la
città, sì la passarono il più
temperatamente che poteano. E essendo
a la fine opposto
per la
fama
del popolo per gli più caporali di
nobili, ch'avessono aconsentito
a la detta congiura,
a
messer Amerigo
Donati, e
a messer
Tegghia
Frescobaldi,
e
a messer
Lotteringo
Gherardini, ma non si
trovò nullo ch'
acusasse; ma nel
consiglio de' priori e
del popolo per
dicreto
convenne
ciascuno in
polizze
scrivesse chi gli parea fosse colpevole: trovossi per
gli più i tre cavalieri nomati; che fu
nuova legge e
modo. I quali tre cavalieri dinunziati per lo modo e
sorte che detto avemo, essendo richesti per messer
Manno de la Branca d'
Agobbio, allora podestà,
a
sicurtà
privata di loro persone, compariro e confessarono
che
sentirono il trattato ma non vi si legaro; ma
perché
nol
palesarono
a' priori, furono condannati
ciascuno in libbre
MM, e
a
confini per
VI mesi fuori
della
città e
contado
XL miglia. Per molti si lodò di
passarla per questo mezzo per non crescere
scandalo
ne la
città; e per molti si biasimò, che giustizia non si
fece de' detti e di molti nobili che si diceva che v'aveano
colpa
a la detta congiurazione. E per questa
novità, e per fortificare il popolo,
a dì
XXVII d'
agosto
MCCCXXIII sì diedono
LVI pennoni della 'nsegna de le
compagnie,
III per gonfalone e tali
IIII, e così
a quegli
de la
setta che non reggeano come
a quegli che
reggeano,
mischiatamente; e tutti i popolani
a
sesto
a
sesto si congregarono insieme, e
promisono d'essere
a una concordia
a la difensione
del popolo; per la
qual cagione poi nacque
mutazione in
Firenze, e si
criò
nuovo stato, come innanzi farà menzione.
L. 10, cap. 220 rubr.Come Castruccio guastò le castella di Valdarno di
sotto.
L. 10, cap. 220Nel detto
anno,
a dì
XXIIII d'
agosto, essendo per
quegli
del castello di Montetopoli fatta preda e
danno
a quegli
del castello di Marti,
Castruccio signore
di Lucca
a richiesta de' Pisani mandò
CCC cavalieri, e
fece guastare le vigne di Montetopoli e ciò che v'era
scampato, ch'egli non avea guasto quando vi fu
a
oste; e simigliante feciono
a Castello Franco e
a quello
di Santa
Croce sanza niuno contasto o soccorso de
le masnade de' Fiorentini, ch'erano in maggiore
quantità di cavalieri in Valdarno, onde fu grande
vergogna
a' Fiorentini. E tutto ciò avenia per le divisioni
de la
città.
L. 10, cap. 221 rubr.Come quegli di Bruggia in Fiandra presono e arsono
il porto delle Schiuse.
L. 10, cap. 221Nel detto anno e mese d'agosto, essendo quistione
tra 'l conte di Fiandra e quegli di Bruggia col conte
di Namurro suo zio, il quale tenea la villa e 'l porto
delle Schiuse, e quella terra era molto cresciuta e
multiplicata per lo buono porto, il detto conte di
Fiandra, ciò fu il giovane Luis, con quegli di Bruggia
andarono ad oste sopra le dette Schiuse, e per forza
l'acquistaro, e uccisono e presono gente assai; e 'l
conte di Namurro fu preso; e poi rubarono e arsono
la detta villa e porto, che v'aveva più di MD abitanti
sanza i forestieri navicanti.
L. 10, cap. 222 rubr.D'uno vento pestilenzioso che fu in Italia e in
Francia.
L. 10, cap. 222Nel detto
anno
MCCCXXIII,
a l'uscita d'
agosto e
a
l'
entrar di settembre, fu uno vento
a
favognano, per
lo quale
amalorono di freddo con alquanti dì con
febbre e dolore di testa la maggiore parte degli uomini
e de le femmine in
Firenze: e questa
pestilenza
fu generale per tutte le
città d'Italia, ma
poca gente
ne morì; ma in
Francia ne morirono assai.
L. 10, cap. 223 rubr.Come quegli di Bergamo furono sconfitti dalla gente
de la Chiesa.
L. 10, cap. 223Nel detto anno e mese di settembre gente di Bergamo
in buona quantità a cavallo e a piè, vegnendo
in servigio di que' di Milano a l'oste e assedio ch'era
a Moncia, per la gente de la Chiesa furono scontrati
e sconfitti, e rimasonne tra morti e presi D e più.
L. 10, cap. 224 rubr.Come i mercatanti viniziani sconfissono gl'Inghilesi
in mare.
L. 10, cap. 224Nel detto anno e mese di settembre, essendo partite
VII galee de' Viniziani di Fiandra cariche di mercatantia,
XXXIIII cocche d'Inghilesi l'assaliro per rubare,
le quali galee francamente difendendosi, quelle
cocche sconfissono, e presonne X, e uccisonvi molti
Inghilesi.
L. 10, cap. 225 rubr.
Come i Fiorentini perderono il castello della Trappola
co· lloro vergogna.
L. 10, cap. 225Nel detto anno e mese di settembre il castello della
Trappola in Valdarno, il quale teneano i Pazzi, si
diede a' Fiorentini: mandovisi per lo Comune di Firenze
gente e guernimento; e stando a sicurtà con
mala guardia quegli che v'erano entro, i Pazzi e
Ubertini, per tradimento fu loro data l'entrata del castello,
e quanti Guelfi vi trovarono in su le letta gli
uccisono, in numero più di XL gagliardi fanti di Castello
Franco. Sentendo ciò i Fiorentini, vi mandarono
CC cavalieri e pedoni assai. Quegli ch'erano nella
Trappola per tema se ne partiro, e rubarono il castello
e misonvi fuoco, e ridussonsi nel castello di Lanciolina.
La gente de' Fiorentini seguendogli, gli assediarono
nel detto castello per più giorni; poi i Pazzi
e Ubertini con gli Aretini isforzatamente con più di
CC cavalieri e popolo assai venieno al soccorso; per
la qual cosa la gente de' Fiorentini sanza attendere se
ne partirono dall'asedio, e con grande vergogna se
ne tornarono a Firenze.
L. 10, cap. 226 rubr.Come il vescovo d'Arezzo ebbe la Città di Castello
per tradimento.
L. 10, cap. 226Nel detto
anno,
a dì
II d'ottobre, signoreggiando
la
Città di Castello messer Branca
Guelfucci
a guisa
di tiranno, e i più de' migliori Guelfi cacciati della
terra, certi di quegli che v'erano rimasi popolani sì
feciono trattato col vescovo d'
Arezzo per cacciare
messer Branca, il quale vi mandò
CCC uomini
a cavallo
con
Tarlatino suo fratello. E' detti traditori gli
diedono la notte una de le porte, e come gli Aretini
furono dentro, co' figliuoli di
Tano da Castello degli
Ubaldini e più altri Ghibellini, corsono la terra, e
per forza ne cacciarono il detto messer Branca, ed
eziandio tutti quegli Guelfi che aveano loro data la
terra, e ben
IIIIc altri Guelfi caporali, e in tutto si riformò
a parte ghibellina. Per la qual cosa i Perugini,
e
Agobbini, e Orbitani, e Sanesi, e Bolognesi, e
conti
Guidi guelfi mandarono
ciascuno
a
Firenze loro ambasceria,
e in
Firenze fermarono taglia di
M cavalieri,
e capitano il marchese da
Valiana per
guerreggiare la
Città di Castello e 'l vescovo d'
Arezzo. E fermarono
compagnia di
IIIm cavalieri per tre
anni
a richesta
del
capitano della taglia, che 'l terzo e più ne toccò
a'
Fiorentini.
Piuvicossi la detta compagnia in
Firenze
in Santo Giovanni
a dì
XXI di marzo
MCCCXXIII.
L. 10, cap. 227 rubr.Come il papa scomunicò Lodovico di Baviera eletto
imperadore.
L. 10, cap. 227Nel detto
anno
MCCCXXIII,
a dì
VIII d'ottobre, papa
Giovanni sopradetto apo
Vignone in
Proenza, in
piuvico
concestoro diede sentenzia di scomunicazione
contra
Lodovico
dogio di Baviera, il quale si
dicie
re de' Romani, però ch'avea mandato aiuto di sua
gente
a
Galeasso Visconti e frategli, che teneano la
città di Milano e più altre
città di Lombardia contra
la Chiesa,
opponendogli che non gli era licito d'usare
l'uficio dello imperio infino che non fosse approvato
degno e
confermato per la Chiesa,
dandogli
termine
tre mesi, ch'egli
dovesse avere
rinunziata la sua elezione
dello imperio, e
personalmente venuto
a
scusarsi
di ciò, ch'avea
favoreggiati gli
eretici e
sismatici
e ribegli di santa Chiesa: e privò tutti i
cherici che
al
detto
Lodovico
dessono
consiglio, aiuto o favore, se
disubbidisse. Il quale
Lodovico com'ebbe il detto
processo, con savio
consiglio appellò
al detto papa o
suo successore e
al
concilio generale, quando egli
fosse
a la sedia di San Piero
a
Roma; e mandò
a
corte
grande ambasceria di prelati e d'altri signori
scusandosi
al papa, e faccendo
promettere di non essere
contra la Chiesa; gli fu
prolungato
termine tre altri
mesi, e secondo che aoperasse, così si procederebbe
contra lui.
L. 10, cap. 228 rubr.D'una grande tempesta che fu nel mare Maggiore.
L. 10, cap. 228Nel detto anno e mese d'ottobre fu sì grande tempesta
nel mare Maggiore di là da Gostantinopoli,
che ben cento legni grossi vi periro; onde fue grande
danno a' mercatanti di Vinegia e di Genova e di Pisa
e ancora de' Greci, che molto avere e mercatantia e
gente vi si perdero.
L. 10, cap. 229 rubr.
Di novità che furono in Firenze per cagione degli
ufici e de le sette.
L. 10, cap. 229Nel detto anno, a l'uscita d'ottobre, i priori e gonfaloniere
che allora erano a la signoria di Firenze, e
erano de' maggiori popolani de la città, presono balìa
di fare priori per lo tempo avenire, e feciongli per
XLII mesi avenire, e mischiarono de la gente che non
avea retta la terra dal tempo del conte a Battifolle allora,
due in tre per uficio di priorato, per mostrare
di raccomunare la terra per la novità degli sbanditi
ch'era stata l'agosto dinanzi, e' detti eletti priori misono
i bossoli ordinati di trargli di due in due mesi;
onde poi nacque novità innanzi che finisse l'anno,
come innanzi farà menzione.
L. 10, cap. 230 rubr.Come Castruccio volle pigliare Pisa per tradimento.
L. 10, cap. 230Nel detto
anno
MCCCXXIII,
a dì
XXIIII d'ottobre, si
scoperse in
Pisa uno
tradimento ch'avea ordinato
Castruccio signore di Lucca con messer
Betto
Malepa
de'
Lanfranchi e con
IIII conastaboli tedeschi, di
fare uccidere il
conte
Nieri e 'l figliuolo e più altri
che reggeano la
città, e correre la terra, e dare la signoria
a
Castruccio; per la qual cosa fu tagliata la testa
al detto messer
Betto, e presi i detti conostaboli
e cacciata la loro gente; e d'allora innanzi il
conte
con quegli che reggeano in
Pisa si
palesarono nimici
di
Castruccio, e feciono
dicreto che chi l'uccidesse
avesse dal Comune di
Pisa
Xm fiorini d'oro, e tratto
d'ogni
bando. Questo
tradimento scoperse uno de'
Guidi e Bonifazio de'
Cerchi
rubegli di
Firenze, che
dimoravano in Lucca e in
Pisa; e guadagnarne danari
da' Pisani.
L. 10, cap. 231 rubr.Come la gente de la Chiesa ebbono danno a Carrara
in Lombardia.
L. 10, cap. 231Nel detto
anno e mese d'ottobre, essendo nella
villa di
Carrara nel
contado di Milano
CCC cavalieri
di quegli della Chiesa, messere Marco con
Vc cavalieri
di Milano subitamente assalì la detta villa; quella
poco forte e male fornita, abbandonata da' soldati de
la Chiesa, presono e rubarono e arsono con alcuno
danno de' loro nimici, partendosi la gente della
Chiesa in isconfitta.
E poi nel detto
anno,
a dì
XII di novembre, il detto
messer Marco con
MD cavalieri venne all'assedio,
a la rocca e ponte di Basciano in su il fiume d'Adda,
il quale era molto bene fornito e di vittuaglia e di
gente per la Chiesa. Non avendo soccorso da messer
Ramondo e da la sua gente ch'erano
a
Gargazzuola,
vilmente s'
arrendero, e chi
dice per moneta; che n'era
capitano uno oltramontano. E tornato messer
Marco in Milano,
dissensione nacque tra la sua gente
dagli Alamanni di sopra
a quegli di sotto, cioè di
Valdireno, per invidia che quegli di Soavia erano più
di presso
al signore, e meglio pagati; e ben
Vc a cavalio
se ne partirono, e parte se n'andarono in Alamagna,
e parte vennono nell'oste de la Chiesa sotto
la bandiera di messer
Arrigo di
Fiandra. Di questo è
fatta menzione per la
poca fede de' Tedeschi.
L. 10, cap. 232 rubr.Come il popolo minuto di Fiandra si rubellarono
contra i nobili e distrussongli.
L. 10, cap. 232Nel detto anno e mese di novembre il popolo minuto
del Franco di Bruggia in Fiandra, cioè i paesani
d'intorno a Bruggia, si rubellarono contra i nobili de
la contrada, e feciono uno capitano il quale appellavano
il Conticino, e a furore corsono il paese, e arsono
e guastarono tutti i manieri e fortezze di nobili, e
molti ne presono e incarceraro. E la cagione fu perché
i nobili gli gravavano troppo de la taglia ch'aveano
a pagare per la pace al re di Francia; e crebbe
tanto la detta congiura, che contaminarono tutto il
paese di Fiandra, e non ubbidieno al conte di Fiandra
loro signore; e a la fine, a dì XXI di febbraio vegnente,
entrarono in Bruggia per forza coll'aiuto del
popolo minuto di Bruggia, e corsono la terra, e uccisono
a ffurore molti grandi borgesi, e mutarono lo
stato e signoria de la terra a lloro volontà.
L. 10, cap. 233 rubr.Come Castruccio prese Fucecchio, e incontanente
ne fu cacciato in isconfitta.
L. 10, cap. 233Nel detto
anno
MCCCXXIII,
a dì
XVIIII di dicembre,
Castruccio signore di Lucca subitamente con
suo isforzo si partì da Lucca, e la notte vegnente
venne intorno
a Fucecchio per prendere la terra;
e per alcuno di quegli d'
entro di piccolo essere fue
ismurata una piccola
postierla, la quale era in luogo
solitaro presso
a la rocca, e per quella
entraro molti
di sua gente di
Castruccio, che non furono sentiti,
perché piovea diversamente, e
Castruccio in persona
v'
entrò con più di
CL uomini
a cavallo e
Vc a piè. E
combattendo la notte la terra e' presene una parte, e
prese la rocca che v'aveano cominciata
a fare i Fiorentini,
salvo la torre; e
credendosi avere vinta la terra,
e già n'avea scritto
a Lucca, quegli di Fucecchio
feciono la notte cenni di fuoco per soccorso
a le castella
vicine, ov'era la guernigione de' soldati de' Fiorentini;
per gli quali cenni soccorso vi venne de le
masnade fiorentine, ch'erano
a Santa
Croce, e
a Castello
Franco, e
a Samminiato, e vegnente il giorno,
vigorosamente combattero con
Castruccio e sua gente,
il quale era
abarrato
a le bocche de le vie d'in su
la piazza, e per forza gli sconfissono e cacciarono de
la terra; e 'l detto
Castruccio fu fedito nel volto, e
a
grande pena scampò, e più vi rimasono morti e presi
in quantità di
CL uomini tra
a cavallo e
a piede, e
quasi tutti i loro
cavagli ch'aveano
condotti dentro vi
rimasono, perché si fuggirono
a piè; e se fossono stati
seguiti, era finita la
guerra
castruccina
a' Fiorentini.
Grande allegrezza n'ebbe in
Firenze, però che
al
cominciamento aveano la terra per perduta, e più
bandiere di
Castruccio e de' suoi
conastaboli co'
cavagli
presi ne vennono
a
Firenze.
L. 10, cap. 234 rubr.
D'uno grande miracolo ch'aparve in Proenza.
L. 10, cap. 234Nel detto anno MCCCXXIII, il giorno de la Befania,
apparve in Proenza in una terra c'ha nome Alesta
uno spirito d'uno uomo di quella terra, il quale di
poco era morto, e con sentore quando venia scortamente
parlando, dicendo grandi cose e maravigliose
dell'altra vita e delle pene di purgatorio; e 'l priore
de' frati predicatori, uomo di santa vita, con più de'
suoi frati e con più di C buoni uomini della terra il
venne a disaminare e scongiurare, recando seco privatamente
Corpus Domini, per tema non fosse spirito
maligno e fittizio, il quale incontanente conobbe, e
confessò quello esser vero Iddio, dicendo al priore:
«Tu hai teco il salvatore del mondo»; e per la virtù
di Cristo scongiurandolo, più secrete cose disse, e
come per l'aiuto e meriti del detto priore e suoi frati
tosto avrebbe requia eternale.
L. 10, cap. 235 rubr.Come il vescovo d'Arezzo ebbe e prese la rocca di
Caprese.
L. 10, cap. 235Nel detto
anno,
a dì
VII di gennaio, il vescovo
d'
Arezzo ebbe la rocca di
Caprese
del
conte da
Romena,
a la quale era stato
ad assedio più di tre mesi;
e per lo detto
conte e per gli Fiorentini
tardi fu soccorsa,
onde
al detto vescovo
crebbe podere di più di
Vc fedeli di
Valdicapresi, ch'erano tutti Guelfi.
L. 10, cap. 236 rubr.Come gli usciti di Piagenza furono sconfitti da la
gente della Chiesa.
L. 10, cap. 236Nel detto anno, dì X di gennaio, messer Manfredi
di Landa uscito di Piagenza, che tenea Castello
Aquaro, con CC cavalieri e gente a ppiè venne verso
il borgo a San Donnino per levare preda e mercatantia
ch'andava a Piagenza: sentendosi in Piagenza,
IIIIc cavalieri di quegli del legato cavalcarono contra
loro, e tra Firenzuola e San Donnino gli sconfissono;
e gran parte ne furono presi e menati in Piagenza.
L. 10, cap. 237 rubr.Come i Pisani furono sconfitti in Sardigna da lo
'nfante d'Araona.
L. 10, cap. 237Nel detto
anno
MCCCXXIII,
a l'uscita di gennaio, i
Pisani feciono una armata di
LII tra
galee e
uscieri,
con
Vc cavalieri tra Tedeschi e Italiani, e con
IIm balestrieri
pisani, ond'era capitano messer Manfredi figliuolo
del
conte
Nieri naturale, e si partirono di
Pisa
a dì
XXV di gennaio per andare in Sardigna per
soccorrere Villa di Chiesa ch'era assediata da
don
Anfus figliuolo
del re d'
Araona, il quale era in su la
Sardigna per
conquistarla, come adietro è fatta menzione.
E per contradio tempo soggiornò la detta armata
al porto di
Lungone in
Elba infino
a dì
XIII di
febbraio, e in Sardigna arivarono
a dì
XXV di febbraio
a capo di terra nel
golfo di
Caseri, e trovarono
che Villa di Chiesa s'era renduta
al detto
don
Anfus
a dì
VII di febbraio, il quale v'era stato
ad assedio
VIII mesi, e venuto era con sua oste
ad assediare Castello
di
Castro. I Pisani scesi in terra co· lloro oste
andando verso Castello, e la gente di Castello venieno
per congiugnersi co· lloro, e dì
XXVIIII di febbraio
s'afrontarono
a battaglia col detto
don
Anfus, e combattendo
aspramente,
a la fine la gente de' Pisani furono
sconfitti e morto il loro capitano e degli altri, e
morirne assai de' Tedeschi
a cavallo: la maggiore
parte de' Pisani che poco ressono
a la battaglia si
fuggirono in Castello di
Castro. E dopo la detta
sconfitta e
perdita le
galee di
don
Anfus, ch'erano
nel porto di Castello incatenate per contradiare il
porto e la scesa
a' Pisani, si
scatenaro e vennono
contra l'armata de' Pisani. Quegli incontanente si
misono
a la fugga, e lasciarono tutti i loro legni grossi
carichi di vittuaglia e d'arnese d'oste, i quali furono
presi da le
galee di Raonesi. E ciò fatto, il detto
don
Anfus puose l'assedio per terra e per
mare
a Castello
di
Castro. Per questa sconfitta e
perdita di Villa
di Chiesa fu grande
abassamento de' Pisani, che
più di
CCm fiorini d'oro costava già loro la detta
guerra,
onde rimasono in male stato e in grande
discordia
dentro per le
sette che v'erano nella
città, e con
grande sospetto di
Castruccio ch'era loro contradio,
e
allegato col re di Raona.
L. 10, cap. 238 rubr.
Come i Fiorentini mandarono in Francia per cavalieri.
L. 10, cap. 238Nel detto anno, del mese di gennaio, i Fiorentini
mandarono in Francia ambasciadori per Vc cavalieri
franceschi, che venissono al soldo del detto Comune.
L. 10, cap. 239 rubr.Come messer Ramondo di Cardona fue sconfitto da
quegli di Melano, e preso.
L. 10, cap. 239Nel detto
anno,
a dì
XXVIIII di febbraio, messer
Ramondo di Cardona capitano dell'oste della Chiesa
in Lombardia si partì da
Moncia con
M cavalieri e
con gente
a piè assai, e venne e prese il castello e 'l
ponte di
Vavri in sul fiume d'Adda.
Galeasso e Marco
Visconti incontanente vi cavalcarono da Milano
con
XIIc di cavalieri tedeschi e popolo assai
a piè, e
misonsi
a l'assedio
del detto castello di
Vavri. Messer
Ramondo non essendo fornito di vittuaglia uscì fuori
al campo co la sua gente, e affrontossi
a battaglia con
quegli di Milano, la quale fu aspra e forte.
A la fine
per soperchio di gente il detto messer
Ramondo co
l'oste della Chiesa furono sconfitti, e preso il detto
messer
Ramondo e più altri conastaboli,
intra' quali
due di quegli che v'erano per lo Comune di
Firenze
vi rimasono, e menati presi in
Melano; messer Simonino
di messer Guidetto della Torre, uomo di gran
valore, anegò nel fiume d'Adda, e più altra buona
gente vi rimasono presi e morti; e messer
Arrigo di
Fiandra vi fu preso, ma
riscattossi da' Tedeschi che
l'aveano, e co· lloro insieme e con gli altri ch'erano
scampati de la battaglia ne venne in
Moncia. E poi il
detto messer
Ramondo essendo preso in Milano co
le guardie,
del mese di novembre scampò e venne
a
Moncia.
L. 10, cap. 240 rubr.Come il vicaro del re Ruberto fu cacciato da' Pistolesi.
L. 10, cap. 240Nel detto anno MCCCXXIII, dì III di marzo, tornando
a Pistoia per patti il vicaro del re Ruberto, che
n'era stato cacciato, con XXX a cavallo de la masnada
del conte Novello, per gli Pistolesi fu assalito e sconfitto
sotto a Tizzano, e fattagli grande vergogna; e
ciò fu opera di messer Filippo Tedici, che volea per
tirannia signoreggiare la terra.
L. 10, cap. 241 rubr.Come i Tarteri di Gazzeria corsono Grecia.
L. 10, cap. 241Nel detto
anno,
del mese di febbraio, il
Tartero de
la
Gazzeria e
Rusia, ch'aveva nome
con
esercito
di
CCCm d'uomini
a cavallo vennono in
Grecia infino
a
Gostantinopoli e più qua più giornate, consumando
e guastando ciò che innanzi si trovaro; e dimorarvi
infino
a l'
aprile vegnente con grande
consumazione
e distruzione de' Greci d'avere e di persone, che
più di
CLm di persone, tra' morti, e' ne menarono in
servaggio.
A la fine per difetto di vittuaglia per loro e
di loro bestiame furono costretti
a
dipartirsi, e tornarono
in loro paese. Per questo avenimento ancora si
mostra il fragello di Dio
a
coloro che non sono suoi
amici, che gli fa perseguitare
a' peggiori di loro. E
non si
maravigli chi leggerà di tanta quantità di gente
a cavallo; però che
ciascuno
Tartero vae
a cavallo; e'
loro
cavagli sono piccoli e sanza
ferri e con
brettine
sanza
freno, e la loro pastura è d'
erbaggio e di strame
sanza
biada; e' detti Tartari vivono di pesce e
carne mal
cotta, con poco pane, e di latte di loro bestiame,
che ne' loro
eserciti menano grandissima
moltitudine; e sempre stanno
a campo, e poco in cittadi
e in castelli o ville abitano, se non sono gli artefici.
L. 10, cap. 242 rubr.Come papa Giovanni ancora fece processi contro
l'eletto di Baviera.
L. 10, cap. 242Nel detto anno, a dì XXII del mese di marzo, papa
Giovanni XXII apo Vignone fece e piuvicò nuovi
processi contra Lodovico dogio di Baviera eletto re
de' Romani, per cagione de l'aiuto dato a' Visconti
di Milano contra la Chiesa, e scomunicollo se personalmente
non venisse a la sua misericordia infra tre
mesi apresso, e ordinò perdono di croce, perdonando
colpa e pena chi andasse o mandasse per tempo
d'uno anno al servigio della Chiesa in Lombardia
contra i Visconti signori che teneano Milano.
L. 10, cap. 243 rubr.
Come l'oste di Milano si partì dall'assedio di Moncia
co· lloro danno.
L. 10, cap. 243Nell'anno MCCCXXIIII, a dì XXVIII del mese di
marzo, essendo il signore di Milano Galeasso Visconti
a oste a Moncia, e per più giorni data battaglia
a la terra, quegli ch'erano per la Chiesa in Moncia,
ond'era capitano messer Arrigo di Fiandra, uscirono
fuori a combattere le torri e altri ingegni de' nimici,
e quegli per forza di battaglia arsono e presono con
gran danno di quegli dell'oste. Per la qual cosa tutta
l'oste si ritrasse da l'assedio de la terra per ispazio
d'uno miglio e più, lasciando il campo con gran danno
di loro; poi apresso a due dì si partirono e ritornarono
in Milano. E intra l'altre cagioni, però che 'l
capitano della detta oste, che v'era per lo eletto di su
detto re de' Romani, per lettere del suo signore per
non fare contra la Chiesa si partì, e tornossi con sue
genti in Alamagna.
L. 10, cap. 244 rubr.Come i Perugini coll'aiuto de' Toscani ebbono la
città di Spuleto.
L. 10, cap. 244Nel detto
anno,
a dì
VIIII d'
aprile, essendo la
città
di Spuleto assediata per gli Perugini e per lo
duca di
Spuleto che v'era per la Chiesa, per
II anni e più, e
aveavi intorno
XIIII battifolli, per tale modo l'aveano
afflitta e
distretta di vittuaglia, che s'
arenderono liberamente
a la Chiesa e
al Comune di Perugia sanza
nullo
patto, salve le persone; e i primi per
patti che
entrarono nella
città, acciò che non si
corresse né
guastasse, furono i cavalieri ch'erano nella detta oste
del Comune di
Firenze e di quello di Siena, ch'erano
CCL, i quali
guarentirono la terra; poi v'
entrarono i
Perugini sanza nullo malificio fare; e riformarono la
terra
a lloro signoria in parte guelfa, e sì come terra
loro
distrettuale, e come loro suditi.
L. 10, cap. 245 rubr.Di certi ordini fatti in Firenze contra gli ornamenti
delle donne, e di trarre di bando li sbanditi.
L. 10, cap. 245Nel detto anno MCCCXXIIII, del mese d'aprile, albitri
furono fatti in Firenze, i quali feciono molti capitoli
e forti ordini contra i disordinati ornamenti de
le donne di Firenze. Feciono dicreto ch'ogni isbandito
potesse uscire di bando pagando certa piccola cosa
al Comune, e rimanendo in bando al suo nimico,
salvo i rubelli, e quegli che furono condannati per la
venuta ch'aveano fatta a le porte l'agosto dinanzi per
essere ribanditi. Non fu per gli più lodato il dicreto,
però che la città non era in bisogno né iscadimento,
ch'e' bisognasse ribandire i malfattori. Ma fecesi per
la promessa fatta loro nell'oste a Prato, come dinanzi
si fece menzione.
L. 10, cap. 246 rubr.
Come il papa scomunicò il vescovo d'Arezzo.
L. 10, cap. 246Nel detto anno, dì XII d'aprile, papa Giovanni apo
Vignone in piuvico concestoro scomunicò e privò il
vescovo d'Arezzo, ch'era di quegli della casa da Pietramala
d'Arezzo, a condizione, se infra due mesi
non avesse fatta ristituire la Città di Castello nel primo
stato a parte di Chiesa e guelfa, e lasciata la signoria
temporale d'Arezzo, e venuto personalmente
in sua presenza fra tre mesi; la qual cosa non attenne,
e rimase in contumacia della Chiesa.
L. 10, cap. 247 rubr.Come il conte Novello prese Carmignano.
L. 10, cap. 247Nel detto anno, a dì XXI d'aprile, il conte Novello
capitano di guerra de' Fiorentini co la sua gente e
usciti di Pistoia guelfi subitamente prese Carmignano,
salvo la rocca, sanza saputa de' Fiorentini, per
vendetta dell'onta che que' che teneano Pistoia feciono
al vicario del re e a la sua gente, e non si volea
partire se non avesse la rocca. Per questa cagione
Castruccio signore di Lucca a richesta dell'abate da
Pacciano che tenea Pistoia venne a Serravalle con Vc
cavalieri; e faccendo segni di volere rendere Pistoia a
Castruccio, i Fiorentini feciono partire il conte da
Carmignano per tema e gelosia di Pistoia, e perché il
conte avea fatta la 'mpresa sanza loro saputa.
L. 10, cap. 248 rubr.
Come il re di Francia venne in Proenza per procacciare
d'esser l'imperadore.
L. 10, cap. 248Nel detto anno e mese d'aprile Carlo re di Francia
venne in tolosana con la reina sua moglie, figliuola
che fu d'Arrigo imperadore, e col re Giovanni di
Boemmia suo cognato, con più baroni e signori; e
per gli più si credette che venisse al papa a Vignone
per farsi eleggere imperadore. Tornossi adietro in
Francia, e tornando, la detta reina morì sopra partorire,
ella e la creatura; e per gli più si disse ch'avenne
perch'egli l'avea tolta per moglie vivendo la sua prima,
onde è fatta menzione.
L. 10, cap. 249 rubr.Come il re Ruberto si partì di corte di papa e andonne
a Napoli.
L. 10, cap. 249Nel detto anno e mese il re Ruberto si partì da
corte di papa e di Proenza con LVI tra galee e uscieri
e CCC cavalieri, e arrivò in Genova dì XXII d'aprile, e
in Genova dimorò più giorni; e per gli Genovesi gli
fu fatto grande onore, e cresciuta la signoria di Genova
per VI anni, oltre al primo termine gli s'erano
dati. Poi rassettata la terra a sua signoria, si partì di
Genova del mese di maggio, e puose a Porto Pisano,
e fece uno cavaliere di casa i Bardi di Firenze, e da'
Pisani ebbe grandi presenti e onore, e poi si tornò a
Napoli co la moglie del duca suo figliuolo, la quale
era figliuola di messer Carlo di Valos di Francia; a
grande onore la sposò a Napoli.
L. 10, cap. 250 rubr.
Come gente di Milano furono sconfitti da messer
Arrigo di Fiandra.
L. 10, cap. 250Nel detto anno, a dì XXVIII d'aprile, essendo partito
di Milano messer Vercellino Visconti con CCC cavalieri
e Vc pedoni, e presa la villa di Decimo, e quella
intendea d'aforzare, acciò che vittuaglia non entrasse
in Moncia, messere Arrigo di Fiandra si partì
di Moncia con Vc cavalieri, e subitamente sorprese la
detta gente di Milano e sconfisse, e pochi ne camparono,
che non fossono morti o presi.
L. 10, cap. 251 rubr.Come i Pisani furono sconfitti un'altra volta in
Sardigna.
L. 10, cap. 251Nel detto
anno,
a l'
entrante di maggio, i Pisani
ch'erano in Castello di
Castro, con tutta loro cavalieria
e Tedeschi, uscirono un'altra volta fuori
a battaglia
con
don
Anfus figliuolo de· re d'
Araona, i quali
furono sconfitti, e tra morti e presi più di
IIIc cavalieri;
il rimanente si fuggirono in Castello; e pochi dì
apresso il rimanente delle
galee e tutto il navile de'
Pisani si partirono di Sardigna e tornarono
a
Pisa
per tema di
XXV galee sottili che 'l re di Raona avea
mandate in Sardigna in aiuto
a
don
Anfus suo figliuolo,
onde i Pisani rimasono in Sardigna disperati
d'ogni salute.
Nel detto
anno,
a dì
VIIII di maggio,
scurò la luna
in gran parte in sulla sera nel
segno dello
Scarpione.
L. 10, cap. 252 rubr.Come gente di Castruccio ricevettono danno a Castello
Franco.
L. 10, cap. 252Nel detto anno, a dì XXII di maggio, vegnendo la
gente di Castruccio signore di Lucca a Castello Franco
in quantità di CL a cavallo, i soldati de' Fiorentini
intorno di CXX a cavallo uscirono di Castello Franco,
e vigorosamente s'affrontarono insieme; e durò la
battaglia per più di tre ore, che poco avea vantaggio
dall'uno all'altro. A la fine sopravenne da Fucecchio
in soccorso de' soldati di Firenze de la gente del conte
Novello intorno di C cavalieri. Per la qual cosa i
soldati di Lucca si misono in rotta, e rimasonne morti
X a cavallo. De la gente del conte trascorsono tra'
nemici Porcelletto d'Arli e uno suo compagno, e tanto
andarono innanzi, che furono presi da' nemici.
L. 10, cap. 253 rubr.Come i Fiorentini mandarono aiuto a' Perugini sopra
la Città di Castello.
L. 10, cap. 253Nel detto
anno,
a dì
XXVIII di maggio, i Fiorentini
mandarono
a Perugia per fare
guerra
a la
Città di
Castello la parte loro de la taglia, che furono
CCCXL
cavalieri soldati, onde fu capitano messer Amerigo
de'
Donati; e simigliante feciono i Sanesi, e' Bolognesi,
e l'altre
città che tennono
a la taglia, che furono
M cavalieri.
L. 10, cap. 254 rubr.Come il conte Novello si tornò a Napoli.
L. 10, cap. 254Nel detto anno, in calen di giugno, il conte Novello,
ch'era al soldo de' Fiorentini con CC cavalieri, si
tornò con sua gente a Napoli, e poco onore e meno
ventura di guerra ebbe in uno anno che dimorò al
servigio de' Fiorentini e capitano di guerra.
L. 10, cap. 255 rubr.Come il duca d'Ostericchi e quello di Chiarentana
passarono in Lombardia contra messere Cane.
L. 10, cap. 255Nel detto
anno,
a l'
entrante di giugno, il
duca di
Chiarentana e il
duca
Otto d'
Ostericchi con molti altri
baroni, e con più di
VIm cavalieri con più di
XIIm
cavalli e con arcieri
ungari vennono ne la Marca di
Trevigi e
a Padova per fare
guerra
a messer Cane
della Scala signore di Verona, per cagione che tenea
Vincenza e molte castella de' Padovani; e' Padovani
s'erano dati
al
dogio di Chiarentana. Ed erano tanta
gente e sì disordinata, che
distruggeano amici e nimici,
e per gl'Italiani erano chiamati barbanicchi. Messer
Cane prima con grande paura
del detto
esercito e
poi con gran senno si ritenne
a le fortezze, e tenne
trattati co' detti Tedeschi
menandoli più tempo in
isperanza di fare i loro comandamenti, per modo
ch'
a lloro
fallì vittuaglia, e cominciò mortalità in loro
oste; per la qual cosa feciono triegua con messer Cane,
e per moneta che diede
a' consiglieri de' detti signori,
infino
a la seguente
Pasqua di
Risoresso, e tornarsi
in loro paese con peggioramento dello stato de'
Padovani e'
Trevigiani, e
assaltamento
del detto messer
Cane.
L. 10, cap. 256 rubr.De la grandezza e edificazione de la città di Firenze
a le nuove cerchia e mura.
L. 10, cap. 256Nel detto
anno
MCCCXXIIII si stanziarono per lo
Comune di
Firenze e si cominciarono i barbacani
a
le
mura
nuove de la
città di
Firenze,
a
fargli
a costa
a
le dette
mura e
al di fuori de' fossi; e simigliante s'ordinò
che in ogni
CC braccia di
muro avesse e si facesse
una torre alta
XL braccia e larga braccia
XIIII per
fortezza e bellezza della detta
città. E acciò che sempre
sia memoria de la grandezza de la detta
città, e
ad altre genti che non fossono stati di
Firenze che
vedessono questa
cronica, sì faremo menzione ordinatamente
dell'
edificazione de le dette
mura, e la misura
come furono
diligentemente misurate
ad istanzia
di noi autore, essendo per lo Comune uficiale sopra
le
mura. Prima in su la fronte di levante di costa
al fiume d'Arno da la parte di settantrione, ove sono
le
V sestora de la
città, si ha una torre alta
LX braccia
fondata sopra una
pila di ponte ordinato
a ivi
edificare,
il quale si
dee chiamare il ponte Reale. Di presso
a quella torre
a
LXXXX braccia si ha una porta con
una torre alta
LX braccia, che si chiama porta Reale,
e chi la chiama porta di Santo Francesco, perch'è
dietro
a la chiesa de' frati minori. Da la detta porta
Reale
a
CCCCXLII braccia, una torre in mezzo, si ha
poi un'altra grossa torre alta simigliantemente
LX
braccia e larga braccia
XXII con una porta che si
chiama porta Guelfa. Da la detta porta conseguendo
la detta
frontiera e linea di
muro
a
CCCLXXXIIII braccia,
un'altra torre in mezzo, e poi si ha una torre di
simile altezza con una porta chiamata de la
Croce
overo di Santo Ambruogio, porta mastra, onde si vae
in Casentino. Da la detta porta conseguendo la detta
frontiera di levante, si hae
VIcXXX braccia, infra le
quali hae tre torri infino
a una grossa torre con
cinque
faccie alta
LX braccia, sanza porta; ivi fa il
muro
gombito, overo angolo, e si mostra verso tramontana,
e da quella torre chiamata la Guardia
del Massaio
a la porta detta
Fiesolana, e chi la chiama da
Pinti, che si guarda in verso
Fiesole, con una simigliante
torre alta
LX braccia, si ha di
misura braccia
VIIIIcXXV, e
cinque torri. E da la detta porta e torre
Fiesolana
a un'altra torre e porta detta per nome di
Servi Sante Marie, per uno munistero de' frati così
chiamati, si ha braccia
VIc, con una torre in mezzo.
Da la detta porta e torre de' Servi conseguendo la linea
del
muro infino
a la mastra porta e torre dal
ponte
a San
Gallo, da la quale esce la strada da Bologna,
e di Lombardia, e quella di
Romagna, si ha
braccia
VIIIcXLII e
IIII torri in mezzo. E da la detta
porta fa gombito, overo angolo,
a le dette
mura, mostrandosi
al
segno di maestro; e da la detta porta di
San
Gallo
a quella si dice di
Faenza, per uno munistero
di donne ch'è di fuori che si chiamano di
Faenza,
si ha braccia
MVIIIcXLVIII, e
nove torri; e ivi fa
gombito il
muro e discende
al ponente. E da la detta
porta e torre di
Faenza infino
a quella che vae in
Polverosa si ha braccia
CCCXX, e una torre in mezzo.
E da la detta porta di
Polverosa infino
a la porta mastra
del Prato d'Ognesanti, ond'esce la strada che
vae
a Prato e
a Pistoia e
a Lucca, si ha braccia
MLXX,
e
V torri in mezzo. E da la detta porta e torre
del
Prato infino
a una torre ch'è in su la gora d'Arno ha
braccia
CCLXXV, e una torre in mezzo. E de la detta
torre infino
a la riva d'Arno, la quale gira l'isola de la
gora
al fiume, che si chiama la Sardigna, ordinata di
chiudere di
mura, ha braccia da
CCCLXX. E così troviamo
che 'l detto
spazio de le
cinque sestora de la
città di
Firenze,
a le
nuove
cerchia di
mura, sono co
la testa di Sardigna
VIImVIIc braccia, sanza la larghezza
dell'Arno ch'è da braccia
Vc da la Sardigna
a
Verzaia:
e havi
VIIII porte con torri di
LX braccia
alte,
molto magne, e
ciascuna con
antiporto, che le
IIII sono
mastre e le
V postierle; e havi in tutto torri
XLV
con quelle de le porte, murata la
frontiera di Sardigna.
E da la torre de la Sardigna su per la riva d'Arno
infino
a la torre Reale, dove cominciammo di verso
levante, si ha braccia
IIIImVc, ch'è miglio uno e
mezzo. Avemo
diterminata la
città di qua dal fiume
d'Arno; diremo apresso
del
sesto d'Oltrarno, che
per sé è di grandezza e
potenza come un'altra buona
cittade, e seguiremo il primo trattato. E trovammo
che da la torre de la Sardigna, ch'è in su la riva d'Arno
da la parte di ponente, infino da l'altra riva d'Arno
da la contrada detta Verzaia, l'ampiezza
del fiume
d'Arno si è braccia
CCCL. Bene nonn è la detta torre
de la Sardigna apunto
a lo 'ncontro
a la torre de le
mura d'Oltrarno, ch'è fondata in sul fiume d'Arno,
però che la lunghezza
del
sesto d'Oltrarno, il qual è
murato, nonn è tanto quanto quello de le
cinque sestora,
anzi è più adietro da
braccia; ma la ritondità
de la
città e circuito pigliamo solamente
a la latitudine
del fiume d'Arno, come avemo detto di sopra,
braccia
CCCL.
L. 10, cap. 257 rubr.Ancora de l'edificazione delle mura d'Oltrarno.
L. 10, cap. 257Nel detto
anno si cominciò il
muro in su la riva
d'Arno da la coscia
del ponte
a la Carraia Oltrarno
andando insino
a Verzaia, ove si fece una torre fondata
in sul fiume (la detta torre fece rovinare poi il
fiume d'Arno per uno diluvio) ove fa capo il
muro
che chiude il
sesto d'Oltrarno; e da quella torre
a la
porta da Verzaia, overo detta di San Friano, la quale
strada vae
a
Pisa, si ha braccia di
muro
CCL, e una
torre in mezzo. E da la detta porta andando
al diritto
verso mezzogiorno infino
a una torre
a
V facce, ove
fa canto, overo angulo, il detto
muro, si ha braccia
VIc, torri
V, compitando la detta porta e la detta torre
coll'altre. E da la detta torre si volge il
muro verso il
segno di
scilocco assai bistorto e male ordinato, e
con più gomiti; e ciò si prese per
fretta, e
fondossi in
su' fossi sanza
adirizzarsi, e havi di
misura infino
a la
porta Romana, overo detta di San Piero
Gattolino,
braccia
MCCL, e torri
VIIII. E per me' la via dinanzi
a
la chiesa di Camaldoli si ha una
postierla con torre;
e quella porta Romana è molto magna, e alta braccia
,
ed è in su la strada che vae
a Siena e
a
Roma.
E da la detta porta andando
al diritto, quasi verso levante
verso la villa di
Bogole, salendo
al
poggio infino
a una torre
a
cinque facce, che fa canto
a le
mura,
hae braccia
MVc, e torri
X. E da la detta torre andando
le
mura su per
Bogole infino
a la vecchia torre e
porta di San Giorgio
al
poggio che vae in
Arcetri si
ha braccia
CCCC, e torri
Poi da la detta porta di
San Giorgio seguono le
mura vecchie fatte
al tempo
de' Ghibellini, scendendo verso levante
a la
postierla
che vae
a Samminiato, si ha braccia
M, e torri
E
poi seguono le
mura di sopra
del borgo di San
Niccolò
infino
a lo 'ncontro de la torre Reale di qua da
l'Arno, ove
dee essere una ricca porta, le quali
mura
sono di
spazio di braccia da
VIIcL, con
torri,
quando fieno compiute, da la porta di Samminiato
a
quella di fuori dal borgo di Sa·
Niccolò; sì che la parte
d'Oltrarno si ha tre porte mastre e tre postierle e
torri; e poi la larghezza
del fiume d'Arno dal detto
luogo
a lo 'ncontro de la torre fondata sopra la
pila
del ponte Reale di qua da l'Arno si ha braccia
CCCXL: e in questo
spazio è stanziato uno ponte. Sicché
raccogliendo le dette misure, sono in somma
braccia
che sono da
V miglia. E tanto gira la
cittade
dentro, cioè le
mura sanza i fossi e le vie di fuori;
che braccia
XXXV sono larghi i fossi di qua da Arno,
e
XXX que' di là da Arno, e la via di fuori braccia
XVI, e altrettanto quella dentro, e le
mura di qua da
l'Arno grosse braccia
III e mezzo, sanza i barbacani,
e
alte braccia
XX co' merli, e quelle d'Oltrarno furono
grosse pur braccia
III, sanza i barbacani; ma
agiunsevi per amenda gli
arconcelli
al
corridoio di
sopra. E così gira la nostra
città di
Firenze migliaia
XIIII, e
CCL braccia; che le
IIIm braccia
a la nostra
misura
fanno uno miglio. Puossi ragionare giri
cinque
miglia
al di fuori; ma rimase dentro assai
del voto di
casamenti con più orti e giardini. La larghezza e croce
de la detta
città facemmo misurare, e trovammo
che da la porta
a la
Croce, overo di Santo Ambruogio,
ch'è da levante, infino
a la porta
del Prato d'Ognesanti
in sul Mugnone, ch'è dal ponente, andando
per la
via diritta onde si corre il palio, hae braccia
IIIImCCCL; e da la porta di San
Gallo in sul Mugnone,
ch'è di verso tramontana, infino
a la porta Romana
di San Piero
Gattolino Oltrarno, ch'è dal mezzogiorno,
si ha braccia
Vm; e da la sopradetta porta
a la
Croce
a Gorgo infino
a mezzo Mercato Vecchio, si
ha da braccia
MMCC; e dal detto mercato infino
a la
porta
del Prato d'Ognesanti si ha quasi altrettanto; e
da la porta di San
Gallo infino in Mercato Vecchio
hae braccia
MMCC, e da la porta Romana di San Piero
Gattolino in Mercato Vecchio si ha da braccia
MMVIIIc; sicché mostra che 'l punto della croce e
del
centro
del giro della
cittade si ha in su la
Calimala,
quasi ov'è oggi la casa de' consoli dell'
arte de la lana,
ch'è tra
Calimala e la piazza e loggia d'Orto
Sammichele.
La detta
città di
Firenze hae sopra il fiume
d'Arno
IIIl ponti di pietra: quello si chiama Rubaconte,
e il ponte Vecchio, e quello di Santa Trinita, e
quello da la Carraia, sanza quello ordinato di fare
a
la fronte di levante detto Reale. E nella detta
città si
hae da
C chiese, tra
cattedrali, e
badie, e monisteri, e
altre cappelle, dentro
a le dette
mura; e
a l'uscita
quasi d'ogni porta n'hae una chiesa, o monistero, o
spedale. Lasceremo omai
del sito de la
cittade di
Firenze,
ch'assai n'avemo detto, e torneremo
a nostra
materia.
L. 10, cap. 258 rubr.
Come gente de la Chiesa furono sconfitti da quegli
di Milano.
L. 10, cap. 258Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì VIII di giugno,
partendosi de la terra di Moncia in Lombardia messer
Passerino de la Torre uscito di Milano, con VIc
cavalieri di quegli della Chiesa, per andare a , da
messer Marco Visconti colla gente di Milano fue assalito
e sconfitto, e rimasonne ben CC a cavallo, tra
morti e presi, di quegli de la Chiesa.
L. 10, cap. 259 rubr.Come i Pisani feciono pace co lo 'nfante d'Araona
in Sardigna.
L. 10, cap. 259Nel detto
anno,
a dì
XVIII di giugno, essendo la
gente de' Pisani
strettamente assediati in Castello di
Castro in Sardigna da
don
Anfus figliuolo
del re
d'
Araona, come adietro fa menzione, non possendo
più durare, avute
due sconfitte, e per difetto di vittuaglia,
s'
arrenderono, e pace feciono per lo Comune
di
Pisa col detto
don
Anfus in questo modo: che
riconoscieno
il detto re d'
Araona per signore e re dell'
isola di Sardigna, e
promisogli che ciò che' Pisani
singulari e il Comune avessono posessione in Sardigna,
di tenerle da llui e
fargline omaggio, e Castello
di
Castro riconoscere da llui,
dandogline l'
anno libbre
MM di genovini d'omaggio, rimanendo la terra
a'
Pisani; ma ciò attenne loro poco apresso, ch'
al tutto
volle la signoria di Castello. E essendo
a l'assedio il
detto
don
Anfus di Castello di
Castro, avea fatta una
terra murata e
acasata in su la riva
del porto di
Calleri
a piè di Castello di
Castro, e popolata di Raonesi e
Catalani,
a la quale puose nome
Aragonetta, e chi
Bonaria. E per tanto lasciò loro la terra di Castello
però che nulla persona vi poteva
entrare sanza la volontà
di quegli de la terra di
Raonetta di sul porto. E
altri dissoro che come i Pisani erano
a
misagio dentro
a castello, così e più erano di fuori i Catalani per
pestilenzia d'infermità e di mortalità, e però ne prese
ogni
patto che ne
poté avere. Ma con tutto il
danno
che 'l detto
don
Anfus vi
sostenesse di
perdita di sua
gente, che per corruzzione d'aria vi morirono
XVm e
più Catalani, egli per forza d'arme e con grande senno
e provedenza vinse e conquise la detta isola di
Sardigna sopra i Pisani in uno
anno; onde tutti
gl'Italiani si
maravigliarono come ciò potea essere.
Partissi di Sardigna il detto
don
Anfus
a dì
XVI di luglio
con
LVI tra
galee e
uscieri, e tornossi in Catalogna,
lasciando fornite le fortezze dell'isola, per cagione
che
L. 10, cap. 260 rubr.Come il legato ebbe Castello Aquaro.
L. 10, cap. 260Nel detto
anno,
a dì
VIII di luglio, Castello
Aquaro
del
contado di Piagenza, forte e nobile castello,
s'
arrendé
al legato cardinale e
al Comune di Piagenza
per difetto di vittuaglia, e non avea soccorso.
Ebbene
messer Manfredi di Landa, il quale il tenea,
Vm
fiorini d'oro dal legato; eravi stata l'oste de la Chiesa
e
del Comune di Piagenza più tempo all'assedio.
L. 10, cap. 261 rubr.Come messer Filippo Tedici di Pistoia tolse la terra
a l'abate da Pacciano suo zio.
L. 10, cap. 261Nel detto anno, a dì XXIII di luglio, messer Filippo
de' Tedici di Pistoia levò a romore la città di Pistoia,
e tolse la signoria a l'abate da Pacciano suo zio, e fecesi
chiamare signore per uno anno. I Fiorentini
mandandovi i loro cavalieri, non gli lasciò entrare
dentro a la terra, ma incontanente riformata la terra
a sua guisa, sì rifermò triegua con Castruccio signore
di Lucca, dandogli l'anno IIIm fiorini d'oro di trebuto;
e questa mutazione della signoria di Pistoia per
molti si disse che fu di tacito consenso dell'abate da
Pacciano, perché messer Filippo potesse meglio fornire
i suoi conceputi tradimenti, come innanzi si farà
menzione.
L. 10, cap. 262 rubr.Come il re di Francia tolse per moglie la cugina.
L. 10, cap. 262Nel detto
anno
MCCCXXIIII,
a dì
V di luglio,
Carlo
il giovane re di
Francia sposò e tolse per moglie la figliuola
che fu di messer
Luis di
Francia, fratello di
padre, ma non di madre, che fu
del re
Filippo suo
padre, e sua
cugina carnale, per
dispensazione di papa
Giovanni; la qual cosa per tutti i Cristiani fu tenuta
sconcia e laida cosa, e ancora vivendo la sua
prima moglie.
L. 10, cap. 263 rubr.Come si cominciò guerra in Guascogna tra 'l re di
Francia e quello d'Inghilterra.
L. 10, cap. 263Nel detto tempo il detto Carlo re di Francia cominciò
guerra in Guascogna contra il re d'Inghilterra,
per cagione che la gente del re di Francia avendo
cominciata una bastita, overo una nuova terra, in su i
confini de la Guascogna infra le terre de la giuridizione
del re d'Inghilterra, quegli del paese col balio
del re d'Inghilterra presono la detta bastita, e disfeciono
e guastarono, e 'l balio e gli sergenti che v'erano
per lo re di Francia impiccarono in sul detto luogo;
per la quale cosa il re di Francia isdegnato vi
mandò messer Carlo di Valos suo zio con più di IIIm
cavalieri franceschi a fare guerra, e per bisogno di
danari peggiorò la sua buona moneta d'argento XIIII
e più per C, e fece medaglie e bianche d'argento a
guisa del re Filippo suo padre, e fece prendere e ricomperare
tutti gl'Italiani che prestavano in suo reame,
e fargli finare per moneta.
L. 10, cap. 264 rubr.
Come papa Giovanni scomunicò Lodovico di Baviera
eletto re de' Romani.
L. 10, cap. 264Nel detto anno, a dì XIII di luglio, papa Giovanni
apo Vignone in Proenza diede ultima sentenzia contra
Lodovico dogio di Baviera eletto re de' Romani,
dispognendolo d'ogni benificio di lezione d'imperio,
sì come ribello di santa Chiesa, e fautore e sostenitore
degli eretici di Milano in Lombardia, e di mastro
Gian di Gandone, e di mastro Marsilio di Padova,
grandi maestri in natura e astrolagi, ma di certo eretici
in più casi; e comandò che innanzi calen di ottobre
prossimo fosse venuto il detto Lodovico personalmente
dinanzi da llui a misericordia, e a ffare penitenzia
del misfatto, o dal termine innanzi procederà
contra lui e' suoi beni, sì come scismatico e eretico.
L. 10, cap. 265 rubr.Come i Malatesti da Rimine furono sconfitti a Orbino.
L. 10, cap. 265Nel detto
anno,
a dì
XI d'
agosto, essendo i signori
Malatesti da
Rimine posti
ad oste
ad Orbino, e fatti
loro
VI cavalieri
a grande onore, e con loro isforzo e
del Comune da
Rimine posti
ad oste
ad Orbino, e
pognendo una fortezza e battifolle in su uno poggetto
chiamato
Cavallino presso
a Orbino, i Ghibellini
de la Marca co lo sforzo
del vescovo d'
Arezzo e di
que' de la
Città di Castello subitamente vi cavalcarono
con più di
VIIIc cavalieri e popolo assai, e per forza
presono la detta fortezza ancora non compiuta, e
non si prendeano guardia, e sconfissongli e misono
in
rotta; e rimasonne di quegli da
Rimine tra morti e
presi più di
VIIc, i più pedoni.
L. 10, cap. 266 rubr.Come i Ghibellini di Romagna vollono pigliare
Cesena.
L. 10, cap. 266Nel detto anno, a dì XVI d'agosto, i Ghibellini di
Romagna, coll'aiuto di parte de la detta gente che levarono
il battifolle ad Orbino, per tradimento entrarono
in Cesena. A la fine, combattendo, da quegli de
la terra ne furono per forza cacciati con grande danno
di quegli che v'erano entrati.
L. 10, cap. 267 rubr.Come il re di Francia si credette essere eletto
imperadore.
L. 10, cap. 267Nel detto
anno
MCCCXXIIII, essendo il re
Carlo re
di
Francia stato in grande speranza e trattato col papa
e con più baroni de la Magna d'essere eletto re
de' Romani per le
dissensioni de'
due eletti re d'Alamagna,
e co la detta speranza
parlamento avea ordinato
a
Bari sovr'Alba in Borgogna
a le
confini de lo
'mperio, ove
dovea essere il re di Buemme suo cognato,
e gran parte de'
elettori dello 'mperio, e più
altri signori e prelati d'Alamagna,
al detto
Bari andò
con molta di sua baronia, e
al giorno nomato
del
detto
parlamento
del mese di luglio,
al quale
parlamento
nullo de' detti baroni né prelati vi venne, se
non il
dogio
Lupoldro d'
Osteric. Per la qual cosa il
re si tornò in
Francia molto aontato, e con poco onore
de la detta impresa, veggendo la difalta che gli
aveano fatta i baroni de la Magna.
L. 10, cap. 268 rubr.Come messer Carlo di Valos acquistò parte di Guascogna.
L. 10, cap. 268Nel detto anno, del mese d'agosto e di settembre,
messer Carlo di Valos, ch'era ito coll'oste del re di
Francia in Guascogna, più terre de la Guascogna di
sotto ebbe a' suoi comandamenti, e la città di Regola
ebbe a patti, e fece triegua co la gente del re d'Inghilterra
sotto trattato d'accordo, e tornossi in Francia
del mese d'ottobre.
L. 10, cap. 269 rubr.Come i Pistolesi feciono triegua con Castruccio contra
volere de' Fiorentini.
L. 10, cap. 269Nel detto
anno,
a dì
XXXI d'
agosto,
Castruccio signore
di Lucca venne con suo isforzo di cavalieri e
pedoni nel piano di Pistoia presso
a la
città, e poi si
puose
a campo
a piè de le montagne, e cominciò
a
fare riporre il castello di Brandelli, e puosegli nome
Bello Isguardo, perché
del luogo si vede non solamente
Pistoia, ma
Firenze e tutto il piano di
Firenze.
I
Pistolesi mandarono per soccorso
a' Fiorentini, i
quali vi cavalcarono, popolo e cavalieri; e essendo
a
Prato, mandando innanzi di loro gente per
entrare in
Pistoia. Messer
Filippo, che n'era signore, non si fidò
che nullo Fiorentino
entrasse nella terra, ma voleva
che andassono di fuori contro
a
Castruccio. Per la
qual cosa i Fiorentini isdegnati si tornarono in
Firenze
sanza andare più innanzi; e'
Pistolesi
rifermarono
la triegua con
Castruccio
a la sua volontà, e con loro
vergogna e
crescimento di tributo. Per lo detto isdegno
i Fiorentini cercarono uno trattato co l'abate da
Pacciano e con uno loro conastabole guascone ch'era
in Pistoia
a la guardia della terra, e
dovea dare
a'
Fiorentini una delle porte; ma tutto ciò era inganno
e
tradimento. I Fiorentini,
a dì
XXII di settembre, di
notte vi feciono cavalcare di loro soldati, e come furono
a le porte di Pistoia, il detto conastabole avendo
rivelato il trattato
al signore di Pistoia, la terra fue
in arme, e fu preso il detto abate dal nipote; e ambasciadori
che v'avea
del Comune di
Firenze, e tutti i
Fiorentini che dentro v'erano, furono
a gran
periglio.
Riposossi il romore, e que' ch'aveano cavalcato si
tornarono
a
Firenze molto
scornati.
L. 10, cap. 270 rubr.
Come il signore di Milano riprese Moncia.
L. 10, cap. 270Nel detto anno e mese di settembre Galeasso Visconti
signore di Milano con sua gente andò ad oste
sopra la terra di Moncia, la quale si tenea per la
Chiesa, ed eravi dentro per capitano messer Vergiù
di Landa con CCC cavalieri e M pedoni, strignendo la
detta terra per modo che sanza grande scorta e periglio
non si potea fornire. A la fine per difalta di vivanda
s'arendéo a quegli di Milano a patti, se non
avessono soccorso dal legato cardinale infra X dì. Il
quale cardinale non avendo forza di fargli soccorrere,
si renderono, salve le persone e l'avere: a dì X di
dicembre nel detto anno, con gran vergogna della
Chiesa e del detto legato, lasciarono Moncia a que'
di Milano.
L. 10, cap. 271 rubr.Come si mutò stato di reggimento in Firenze.
L. 10, cap. 271Nel detto
anno
MCCCXXIIII,
del mese di settembre,
certi caporali grandi e popolani che reggeano la
città di
Firenze (parea che tra lloro medesimi avea
certi di quegli che nel
reggimento volessono più che
parte, ciò erano detti
Serraglini, ch'erano i Bordoni,
e altri loro seguaci) vennono in divisione; e la maggiore
parte di loro che si teneano migliori popolani,
acostandosi con quegli che non aveano retto per
adietro né essuti di loro
setta, che n'avea alquanti
tra priori; e i loro
XII consiglieri, che allora erano
a
la signoria della
città, copertamente e con ordine fatta
feciono pendere balìa
a' detti priori e'
dodici
consiglieri,
a correggere e
a riformare
a lloro volontà
la lezione de' priorati fatti l'
anno dinanzi, e quelle lezioni
trovando assai bene fatte, no· lle
mutarono, ma
arrosono gente
nuova per
VI priorati, e
mischiarsi insieme
con gli altri, e
mettendovi dell'altra
setta che
non avea retto, sotto
colore di
raccomunare la
città,
e dare parte
a' buoni uomini. E conseguendo il detto
processo, il seguente priorato,
del mese di novembre
seguente, feciono lezione per
XLII mesi di tutti gli
ufici che
doveano venire, sì de' gonfalonieri de le
compagnie, e simigliante de'
dodici consiglieri segreti
de' priori, e de' condottieri de le masnade di soldati,
a trargli
a le lezioni, come venieno, di
sei in
sei mesi,
e
mischiarono assai presso ch'
ebbene di
ciascuna
setta, e
misorgli in bossoli. E simigliante
corressono
le lezioni de le
capitudini dell'
arti, pognamo non
facessono di loro più ch'una elezione. E così si
rinovellò
nuovo stato in
Firenze, sanza niuna
novità o
pericolo di
città,
mischiatamente della
setta ch'avea
retta la
città dal tempo
del
conte
a Battifolle infino
allora, e di quella gente che non avea retto, rimagnendo
quegli ch'aveano retto in assai buona parte
de la signoria. Avemo di questa
mutazione fatta
menzione per
assempro
a quegli che sono
a venire, e
perché nullo
viva in isperanza che le cose comuni e
signorie, spezialmente in
Firenze, abbiano fermo stato,
ma sempre siamo in
mutazioni; ché faccendo ragione,
la detta
setta che si
criò
al tempo
del detto
conte
a Battifolle, non compié di durare
VIII anni interi,
vincendo ancora de le loro opere assai il meglio.
L. 10, cap. 272 rubr.Come il Comune di Firenze acquistòe il castello di
Lanciolina.
L. 10, cap. 272Nel detto anno, in calen d'ottobre, s'arendé al Comune
di Firenze il castello di Lanciolina in Valdarno
per cagione che guerreggiando il contado di Valdarno
Aghinolfo figliuolo di Bettino Grosso degli Ubertini,
con sua masnada che dimorava in Lanciolina
fue sconfitto e preso da quegli di Castello Franco e
di loro; e per riavere il detto Aghinolfo renderono il
detto castello, e donarne ogni ragione al Comune di
Firenze, il quale avea avuto per retaggio de la madre
dal conte Allessandro da Romena suo zio.
L. 10, cap. 273 rubr.Come in Mugello si fece una terra.
L. 10, cap. 273Nel detto
anno e mese d'ottobre si cominciò per
lo Comune di
Firenze
a fare una terra
nuova in Mugello
presso ove fu Ampinana e le terre che s'erano
racquistate per lo detto Comune da'
Conti, e puosesi
nome Vico.
L. 10, cap. 274 rubr.Dell'appello che l'eletto di Baviera fece contro al
papa.
L. 10, cap. 274Nel detto anno, del mese d'ottobre, Lodovico di
Baviera eletto re de' Romani, per cagione del processo
e scomunica e privazione che papa Giovanni avea
fatta contro a llui, sì fece in Alamagna uno grande
parlamento, nel quale si discusò del processo che 'l
papa avea fatto contra lui, come gli facea torto, e appellò
a le dette sentenzie al concilio generale a Roma,
opponendo contra il detto papa XXXVI capitoli,
come non era degno papa; e 'l detto appello mandò
del mese di novembre a la corte a Vignone; onde il
detto papa e tutta la Chiesa ebbe grande turbazione.
L. 10, cap. 275 rubr.Come i marchesi da Esti tolsono Argenta a la
Chiesa.
L. 10, cap. 275Nel detto anno, a dì XXXI d'ottobre, i marchesi da
Esti, che teneano Ferrara, tolsono per tradimento la
terra d'Argenta in Romagna a la Chiesa di Roma,
sanza fare danno o micidio niuno ne la terra.
L. 10, cap. 276 rubr.
De la venuta de' cavalieri franceschi in Firenze.
L. 10, cap. 276Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì XX di novembre,
giunsono in Firenze Vc cavalieri franceschi, i quali il
Comune di Firenze avea fatti soldare in Francia, e
furono molto bella gente e nobili, tutti gentili uomini,
intra' quali avea più di LX cavalieri di corredo. I
capitani e conostaboli furono il siri di Basentino, il
siri di Ciavigni, il siri d'Ipria, il siri di Giaconte, messer
Miles d'Alzurro, messer Guiglielmo di Noren
messer Gian di Curri, messer Uttaso d'Ombrieres,
Raolino Lanieri, messer Prezzivalle di , Rinaldo di
Fontana, Raolino di Rocciaforte, e vennono per
Lombardia armati e con bandiere levate. E messer
Passerino signore di Mantova, che tenea la città di
Modona per parte d'imperio, a richesta de' Fiorentini
e Bolognesi largì il passo per lo contado di Modona
presso a la città, pagando certa gabella per cavallo;
con tutto che per forza d'arme fossono passati, sì
erano ridottati.
L. 10, cap. 277 rubr.Come il legato cardinale credette avere la città di
Lodi, e furono sconfitti.
L. 10, cap. 277Nel detto
anno,
a dì
VIII di dicembre, sentendo il
legato cardinale che la terra di
Moncia non si potea
tenere,
cercò trattato con certi de la
città di Lodi che
gli
dovessono tradire la terra, e
doveanne avere
VIIIm
fiorini d'oro: fece cavalcare da Piagenza cavalieri e
gente
a piè assai, e fu per gli traditori rotto
del
muro
de la terra, e
entrarono dentro parte de la gente della
Chiesa. Sentiti da quegli de la
città, per forza gli ruppono
e sconfissono con grande
danno di quegli che
v'erano
entrati, e vergogna de la Chiesa.
L. 10, cap. 278 rubr.Come il papa scomunicò chi facesse contrafare i fiorini
d'oro.
L. 10, cap. 278Nel detto anno e mese di dicembre papa Giovanni
fece grandi processi e scomunica contra chiunque
facesse battere o battesse fiorini d'oro contrafatti e
falsi a la forma di que' di Firenze, però che per molti
signori erano fatti falsificare, com'era il marchese di
Monferrato e Spinoli di Genova. Ma il papa per sue
scomuniche corresse altrui, ma in questa parte non
corresse sé medesimo, ché fece fare i fiorini a la lega
e conio di quegli di Firenze, e non v'avea altra differenza,
se non che dal lato de la 'mpronta di santo
Giovanni diceano le lettere: «papa Giovanni», e
per intrasegna, di costa al santo Giovanni una mitra
papale, e dal lato del giglio diceano le lettere: «sancto
Petro et Pauli».
L. 10, cap. 279 rubr.Come Carmignano si rendé al Comune di Firenze.
L. 10, cap. 279Nel detto
anno,
a dì
XIII di gennaio, i terrazzani
del castello di
Carmignano, conoscendo che messer
Filippo
Tedici che tenea Pistoia tirannescamente e
a
progiudicio di parte guelfa, si renderono di loro
buona volontade
a perpetuo
al Comune di
Firenze il
castello e la rocca e la
corte, sì come
distrettuali e
contadini di
Firenze: e furono fatti franchi
VII anni, e
che
a lloro guisa chiamassono loro podestà di
Firenze
che fosse popolano ne' detti
VII anni.
L. 10, cap. 280 rubr.Come il re Ruberto volle essere morto i· Napoli.
L. 10, cap. 280Nel detto anno, del mese di gennaio, sentendo il
re Federigo che tenea Cicilia che 'l re Ruberto e 'l
duca suo figliuolo faceano a Napoli grande apparecchiamento
per fare armata per andare in Cicilia, ordinò
con assessini catalani e toscani che in Napoli
dovessono uccidere il re Ruberto e 'l duca, e mettere
fuoco a la Terzana ov'era il navilio; il quale tradimento
scoperto, gli assessini presi e giudicati ad
aspra morte.
L. 10, cap. 281 rubr.Come il prenze de la Morea passò in Romania.
L. 10, cap. 281Nel detto
anno
MCCCXXIIII,
del mese di gennaio,
messer
Gianni fratello
del re Ruberto,
prenze de la
Morea, si partì da Brandizio, con
XXV galee armate e
altri legni per andare in
Romania
a
racquistare il
principato de la Morea; e arrivando
a l'isola di Cefalonia
e
del
Giacinto, trovò che 'l
conte di Cefalonia
era stato morto per uno suo fratello, e avea rubellata
l'isola. Il
prenze per forza d'arme combatté co' ribelli,
e sconfissegli e
preseli, e le dette isole recò
a sua
signoria,
disertando i detti ribelli; e poi passò
a Chiarenza,
e fuvi ricevuto come signore
a grande onore.
L. 10, cap. 282 rubr.Come quegli della terra di Bruggia si rubellarono al
conte di Fiandra.
L. 10, cap. 282Nel detto anno, del mese di gennaio, quegli de la
terra di Bruggia in Fiandra con quegli del Franco
d'intorno, per cagione de le sette ch'avea il popolo
minuto co' grandi borgesi, si rubellarono al conte
Luis di Fiandra; per la qual cosa tutti i mercatanti si
partirono di Bruggia, e que' di Bruggia faccendo
guerra assediarono ne la terra d'Andiborgo la gente
del conte, e per buono tempo molestando il paese. A
la fine quegli di Guanto e d'Ipro feciono accordo tra
quegli di Bruggia e 'l conte per moneta, a grande
vergogna del conte e de' nobili.
L. 10, cap. 283 rubr.Come in Firenze ebbe mutazione per cagione de le
sette.
L. 10, cap. 283Nel detto
anno,
del mese di gennaio, essendo per
setta
accusato Bernardo Bordoni e altri suoi compagni
a l'
esecutore della giustizia ch'avessono fatta baratteria
a l'oficio della
condotta di soldati, i suoi
compagni comparirono e
scusarsi; ma il detto Bernardo
essendo
a
Carmignano per ambasciadore
del
Comune, il detto
esecutore
volendolo condannare, e
parte dell'uficio de' priori il contastavano che l'aveano
mandato in pruova
a
Carmignano, e
Chele Bordoni
suo fratello col favore e famiglia de' priori compari
a la
condannagione, protestando
a l'
esecutore;
zuffa e romore si cominciò tra la famiglia de' priori e
quella de l'
esecutore, onde tutta la
città quasi
romì.
A la fine l'
esecutore il condannò in libbre
MM, e che
non avesse mai uficio; e forse non sanza giusta cagione.
E prese il detto
Chele e più altri loro seguaci, e
condannogli grossamente, e
mandogli
a'
confini
a
torto, sanza altra ragione, con tutto ne fossono degni;
non per questa cagione, ma per la loro soperchia
arroganza, ch'erano i più
prosuntuosi popolani
di
Firenze, e aveano guidata la terra assai tempo. Ma
per abbattere loro e la loro
setta, ch'erano chiamati
Serraglini, fu loro fatto più che per giustizia. E per
cagione di ciò uno che allora era de' priori loro amico
e vicino, che gli aveva
favorati, uscito
del priorato,
fu condannato da l'
esecutore per
contumacia sotto
inquisizione di baratteria in libbre
MVc a torto e
sanza ragione, in
abassamento e disinore dell'uficio
del priorato. E tutto fu per cagione de le
sette, però
che 'l detto
esecutore
favoreggiava
coloro ch'erano
tornati in istato in Comune. Per la qual cosa l'uficio
del detto
esecutore, ch'avea nome Pietro
Landolfo
da
Roma, montò in tanta audacia e
tracotanza, che
l'uficio de' priori avea per niente; e tanto
crebbe,
ch'avrebbe guasta la
città
a modo d'uno bargello; e
già l'avea follemente cominciata, se non che poi
raveduti
i buoni popolani che guidavano la
città che l'opera
andava male, vi misono
freno, e feciono
dicreto
che' priori potessono privare dell'uficio, podestà, e
capitano, e
esecutore, che non si portassono bene;
per la qual cosa il detto
esecutore si ritenne
del suo
folle intendimento. Di ciò avemo fatta menzione non
tanto per lo piccolo fatto de' Bordoni, quanto per la
mutazione che ne
seguì, e per le
sette di
Firenze, e
per
assempro per l'avenire; però che per la cagione
di questa
novità
al tutto fue atterrata quella
setta de'
Serraglini, e non fu piccola
mutazione tra' popolani
di
Firenze.
L. 10, cap. 284 rubr.Di mutazione mossa nella città di Siena.
L. 10, cap. 284Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì XVIII di febbraio,
in Siena risurse la congiura de' giudici e de' beccari e
altri popolani contra l'uficio de' nove che governavano
la città, per rivolgere lo stato de la terra; la quale
giura scoperta, ne furono presi alquanti e dicapitati,
e molti condannati e fatti ribelli.
L. 10, cap. 285 rubr.
Come Castruccio prese la Sambuca, e' Pistolesi s'accordarono
co' Fiorentini.
L. 10, cap. 285Nel detto anno, a dì XXV di febbraio, Castruccio
signore di Lucca cavalcò la montagna di Pistoia, e
più tenute prese; e poi andando al castello de la
Sambuca, gli si rendéo, lo quale era fortissimo castello.
Ma per gli più si disse che fu opera simulata per
lo signore di Pistoia, per quello che ne seguì apresso.
Rotta la detta triegua per Castruccio a' Pistolesi,
mandarono a Firenze, e feciono accordo co' Fiorentini,
e promisono d'essere a la guerra co' Fiorentini
contra Castruccio, rimanendo messer Filippo Tedici
signore in Pistoia con più altri patti, promettendo i
Fiorentini di rendere loro Carmignano, e di fare che
'l papa promoverebbe il vescovo di Pistoia in altro
benificio, ch'era contrario di messere Filippo; e vollono
a la guardia di Pistoia C cavalieri soldati di quegli
di Firenze con capitano, cui quegli di Pistoia seppono
eleggere. E tutto ciò che seppono domandare
a' Fiorentini ebbono, salvo che domandava moneta il
detto messer Filippo, e era opera simulata; però che
grossamente gli fu proferta per gli Fiorentini, lasciando
la signoria, e no· lla vollono e' poi dare. I soldati
de' Fiorentini entrarono in Pistoia il dì di Risoresso,
a dì VII d'aprile, onde i Fiorentini tenendosi
poi al sicuro di Pistoia, si trovarono ingannati, però
che tutto fu opera di tradimento del detto messer Filippo
Tedici, come innanzi farà menzione.
L. 10, cap. 286 rubr.
Come la taglia de' cavalieri ch'erano a Castello cavalcarono
sopra gli Aretini.
L. 10, cap. 286Nel detto anno, a dì XXVIII di febbraio, il capitano
de la taglia ch'era sopra la Città di Castello, il qual
era messer Ferrante de' Malatesti d'Arimino, con
tutta sua gente cavalcò sopra Castiglione Aretino,
che per tradimento gli si dovea rendere; il quale tradimento
scoperto, e perduta la speranza, levarono
gran preda, e feciono gran danno e arsione intorno,
e per lo contado di Cortona, perché i Cortonesi erano
scesi contra loro.
L. 10, cap. 287 rubr.Come si trassono de' grandi certe schiatte di Firenze.
L. 10, cap. 287Nel detto anno, a l'entrare di quaresima, si feciono
in Firenze albitri sopra gli ordini, e statuti correggere
e fare di nuovo. Intra l'altre cose che feciono si
trassono del numero de' grandi e potenti X casati
menimi e 'mpotenti di Firenze, e XXV schiatte de' nobili
di contado, e recargli a popolo. Per certi fu lodato;
ma per molti biasimato, però che delle schiatte di
popolani possenti e oltraggiosi erano degni di mettere
tra' grandi per bene di popolo.
L. 10, cap. 288 rubr.
Come Azzo Visconti di Milano prese il borgo San
Donnino.
L. 10, cap. 288Nel detto anno, a dì XV di marzo, essendo i Parmigiani
e' Piagentini ad assedio ad uno castello che
si chiamava Castiglione, s'arrendéo loro a patti. E in
quello stante Azzo figliuolo di Galeasso signore di
Milano passò il fiume di Po con MD cavalieri per soccorrere
il detto castello, ma non venne a tempo; ma
in quello trattò d'avere il borgo a San Donnino, il
quale a dì XVIII di marzo gli s'arendéo, e iv'entro si
dimorò co la maggiore parte di sua gente, faccendo
grande guerra a' Piagentini, e a la gente de la Chiesa,
e a' Parmigiani.
L. 10, cap. 289 rubr.Come Castruccio volle fare uccidere il conte Nieri di
Pisa.
L. 10, cap. 289Nel detto anno MCCCXXIIII, dì XX di marzo, Castruccio
signore di Lucca mandò suoi assessini in Pisa
per fare uccidere il conte Nieri e più altri maggiorenti
che reggeano la città, perché non si voleano tenere
a sua lega; i quali presi, furono distrutti: onde
crebbe maggiormente la mala volontà da llui a quegli
che reggeano Pisa.
L. 10, cap. 290 rubr.
Come nuova moneta picciola si fece in Firenze.
L. 10, cap. 290Nell'anno MCCCXXV, in calen di aprile, si fece in
Firenze nuova moneta picciola de la lega e peso dell'
altra, mutando il conio con san Giovanni più lungo,
e 'l giglio mezzo a la francesca, sanza fioretti, però
che l'altra era molto falsificata. Ma molti indovinarono
che non dovea bene avenire a la città, avendo levati
i fioretti dentro a' gigli, come sempre erano stati.
L. 10, cap. 291 rubr.Di miracolosa neve che venne in Toscana.
L. 10, cap. 291Nel detto anno, a dì XI d'aprile, in tutta Toscana
cadde una grande neve molto piena, e durò per più
di quattro ore; non si prese nella città, ma di fuori
per tutto; e credettesi ch'avesse guaste tutte le frutta
e tutte le vigne, e non fece quasi danno niuno.
L. 10, cap. 292 rubr.
Come Castruccio ordinò tradimento in Firenze.
L. 10, cap. 292Nel detto
anno
MCCCXXV,
del mese d'
aprile,
Castruccio
signore di Lucca, sentendo che' Fiorentini
s'apparecchiavano di
fargli
guerra, fece cercare
tradimento
in
Firenze, e in Pistoia, e in Prato per rompere
l'ordine de' Fiorentini. In
Firenze per uno suo famigliare,
ch'era congiunto di
Tommaso di
Lippaccio
di messer
Lambertuccio
Frescobaldi, il quale
Tommaso
cercò di corrompere le masnade francesche
con uno messer Cristiano monaco, il quale il papa
avea dato
a' Franceschi per loro penitenziere, e ch'egli
assolvesse colpa e pena. Questi con uno cavaliere
de la bandiera di messer
Guiglielmo di Nore seguirono
il trattato; e prometteano il detto messer
Guiglielmo
e messer
Miles d'Alzurro conastaboli, e degli
altri, tornare da
Castruccio. Il quale trattato si scoperse:
e ancora che 'l detto
Tommaso
dovea rubellare
al Comune di
Firenze Capraia e Montelupo. Furono
presi il detto monaco e 'l detto cavaliere:
Tommaso
si fuggì. E ritrovato il
tradimento,
al detto cavaliere
fu tagliato il capo, e 'l detto monaco in perpetuale
carcere, e
Tommaso condannato come traditore,
e disfatti i ben'suoi; e messer
Guiglielmo di Nore
si
scusò ch'era malato, e disse che non sentì il trattato,
ma
veramente ne fue colpevole, come innanzi si
scoprì. Il trattato di Prato era per messer Vita Pugliesi
cavaliere della terra.
Scopersesi, e furonne dicapitati,
ed elli e' suoi cacciarono di Prato.
A quello
di Pistoia diede compimento, come innanzi farà
menzione.
L. 10, cap. 293 rubr.Come alcuno accordo fu tra gli eletti de la Magna.
L. 10, cap. 293Nel detto anno e mese d'aprile il dogio di Baviera
eletto re de' Romani trattato fece di pace con Federigo
dogio d'Osterlicche simigliante eletto, il quale
avea in sua pregione, e co' suoi fratelli sotto certi
patti, faccendogli rinunziare a la sua lezione dello
'mperio, salvo che 'l duca Lupoldro suo fratello non
volle aconsentire al detto accordo, ma s'alegò colla
Chiesa e col re di Francia, e facea gran guerra al detto
eletto di Baviera; e però non si compié allora il
detto trattato, ma poi per certo modo, come diremo
innanzi nel capitolo.
L. 10, cap. 294 rubr.Come Castruccio signore di Lucca ebbe la città di
Pistoia.
L. 10, cap. 294Nel detto
anno,
domenica mattina anzi il giorno,
dì
V di maggio
MCCCXXV, messer
Filippo de'
Tedici
che tenea Pistoia diede compimento
al suo
tradimento,
che mise in Pistoia
Castruccio signore di Lucca
con tutta sua gente, e
corse la terra; e' soldati che
v'erano
a la guardia per gli Fiorentini, e altri Guelfi
della terra che si levarono
a la difensione de la terra,
furono presi e morti, e tolto loro l'arme e'
cavalli.
Sentendosi la
novella in
Firenze, non però
al certo,
ch'
al tutto fosse perduta la terra, faccendosi per lo
Comune e popolo una grande festa, che la mattina
aveano fatto cavaliere uno Pietro
Landolfi da
Roma
esecutore degli ordini della giustizia
del popolo, e
Urlimbacca conastabole tedesco, per loro
meriti, e
essendo i priori co' detti cavalieri
novelli e tutte signorie,
e buona parte de la migliore gente di
Firenze,
a tavola
a mangiare nella chiesa di San Piero
Scheraggio, ove si faceva la
corte, s'abbatterono le
tavole, e ogni gente fu
a l'arme, e
cavalcossi infino
a
Prato, credendo che parte de la terra si tenesse, per
aiutarla ricoverare. Sentendo il vero, come
al tutto
per lo detto
tradimento era perduta, si tornarono in
Firenze con gran dolore e tema. Di questo
tradimento
ebbe il detto messer
Filippo da
Castruccio
Xm fiorini
d'oro, e la figliuola
del detto
Castruccio per moglie;
e incontanente
Castruccio vi fece cominciare
a
murare uno grande castello dentro
a la
città da la
porta
Lucchese in sul prato di Pistoia. E intanto di
questa
perdita di Pistoia s'ebbono
a riprendere i Fiorentini,
che più volte avrebbono avuta la signoria de
la terra dal detto messer
Filippo,
dandogli la detta
somma di moneta, o meno; ma per certi trattatori
fiorentini, o
volendolo ingannare, o della detta moneta
per loro propietà guadagnare, non si compié il
trattato; ma trattando più volte cercarono via, e feciono
fare cavalcate infino
a Pistoia per torre la terra,
onde il detto messer
Filippo con disperato
tradimento
si
condusse
a
darla
a
Castruccio; la qual cosa
fu
cominciamento di molti mali e
pericoli che ne
seguirono
a' Fiorentini e
a parte guelfa in
Toscana. E
il dì medesimo apparve in aria
due cerchietti congiunti
così:
°°, di
due
colori, quasi
a modo d'arco,
apparenti molto, e
duraro assai; onde si disse per
molti che non era sanza grande significazione di future
novitadi.
L. 10, cap. 295 rubr.Come messer Ramondo di Cardona venne in Firenze
per capitano di guerra.
L. 10, cap. 295Nel detto anno, il seguente dì che si perdé Pistoia,
dì VI di maggio, in su la terza giunse in Firenze subitamente
messer Ramondo di Cardona eletto capitano
di guerra per gli Fiorentini, che venia da corte
per mare per la via da Talamone, onde i Fiorentini si
riconfortarono molto; e il dì medesimo in sul vespro
giurò l'uficio in su la piazza di San Giovanni, con
grande trionfo e parlamento. E incontanente i Fiorentini
cavalcarono e puosono assedio al castello
d'Artimino, ch'era de' Pistolesi, e di poco tempo rimurato
e afforzato per gli Pistolesi.
L. 10, cap. 296 rubr.
Come il duca di Calavra con grande armata andò
sopra la Cicilia.
L. 10, cap. 296Nel detto anno, a dì VIII di maggio MCCCXXV, Carlo
duca di Calavra e figliuolo primogenito del re Ruberto,
apparecchiata una grande armata di CXX galee
e uscieri, e legni di carico in grande quantità, con
MMD cavalieri e popolo grandissimo, si partì di Napoli
per andare in Cicilia; ma per contrario tempo
dimorò a l'isola d'Ischia infino a XXII dì di maggio;
poi fatta vela arrivò a Palermo il dì de la Pentecosta,
dì XXVI di maggio, e puose assedio a la detta città di
Palermo, e dièvi più battaglie di dì e di notte, e faccendo
minare de le mura, ma niente v'aquistò altro
che di guastarla intorno, e dimoròvi a l'assedio infino
a dì XVIII di giugno. Poi partita l'oste, al terzo dì rovinarono
delle mura di Palermo più di CCC braccia da la
parte ov'era stata l'oste. Nota a che pericolosa
fortuna furono i Palermitani, e come fu corta la felicità
del duca. E partito il duca, fece la via per terra
da Coriglione con sua oste, e 'l navilio per mare,
guastando Trapali e tutto il paese d'intorno, e tutta
Valle di Mazzara, e poi Seragosa e Cattania, e poi a
dì VII d'agosto si puose a Messina da la contrada detta
Taurnabianca, infino presso a la città a II miglia,
guastando tutto sanza riparo o contasto nullo. E a
dì XX d'agosto si partì dell'isola sano e salvo con tutta
sua oste e navilio, e arrivò in Calavra; e a dì
di tornò in Napoli.
L. 10, cap. 297 rubr.
Di segno ch'apparve in aria.
L. 10, cap. 297Nel detto anno, dì XXI di maggio, dopo il suono
de le tre venne uno grandissimo tremuoto in Firenze,
ma durò poco, e la sera vegnente, XXII di maggio,
uno grandissimo raggio di vapore di fuoco si vide
volare sopra la città, e chi sentì e vide i detti segni
dubitò di futuro pericolo e novità.
L. 10, cap. 298 rubr.Come i Fiorentini ebbono il castello d'Artimino.
L. 10, cap. 298Nel detto anno, dì XXII di maggio, s'arrendé il castello
d'Artimino a l'oste de' Fiorentini, salve le persone,
vegnendo quegli che v'erano dentro presi a Firenze,
che furono CCVII tra terrazzani e Pistolesi: ma
poi furono lasciati, e fecionsi abattere le mura e le
fortezze, e recossene la campana del Comune d'Artimino.
L. 10, cap. 299 rubr.Come la gente del marchese de la Marca fu sconfitta
a Osimo.
L. 10, cap. 299Nel detto
anno
MCCCXXV,
a dì
XXX maggio, essendo
l'oste
del marchese de la Marca intorno di
Vc cavalieri
e popolo grande d'intorno e guastando la
città
d'
Osimo, quegli di Fermo e di
Fabbriano venuti
chiusamente la notte dinanzi in
Osimo, e l'oste de la
Chiesa essendo sparti
al guasto, assaliti da quegli
d'
Osimo, furono sconfitti; onde vi rimasono di quegli
della Chiesa più di
CC a cavallo, e più di
M a piè
tra morti e presi.
L. 10, cap. 300 rubr.L'apparecchiamento dell'oste de' Fiorentini.
L. 10, cap. 300Nel detto
anno,
a dì
VIII di giugno, i Fiorentini ordinaro
di fare oste sopra Pistoia e contra
Castruccio
signore di Lucca: diedono loro
insegne d'oste, e
puosolle
a San Piero
a Monticelli.
Castruccio sentendo
ciò, non istando ozioso,
a dì
XI di giugno uscì di
Pistoia, e venne in sul
castellare
del Montale, e quello
con istudio fece riporre e afforzare. I Fiorentini
sentendo ciò,
mercolidì mattina,
a dì
XII di giugno,
feciono cavalcare messer
Ramondo di Cardona capitano
di
guerra con tutti i soldati
a Prato, e il giuovidì
vegnente cavalcarono tutte le cavallate di
Firenze, e
ogni gente, popolo e cavalieri, e sonando le
campane
del Comune: intra l'altre
sonava una campana che fu
già
del castello
del Montale recata per gli Fiorentini
quando l'aquistarono; cominciando
a sonare si ruppe,
onde per molti si
dubitò di
segno di
mala fortuna.
Ma perché cresce materia di grandi cose da' Fiorentini
a
Castruccio, lasceremo ogn'altra
ricordanza
d'altre
novità di diversi paesi infino che sia tempo e
luogo, per seguire ordinatamente quelle de' Fiorentini.
E prima faremo menzione dell'ordine dell'oste,
che mai per lo Comune di
Firenze per sé propio
no· lla fece maggiore, sanza aiuto d'amistà; che della
città v'andarono
IIIIc cavalieri di cavallate de' migliori
della
città, grandi e popolani, che co· lloro compagni
furono più di
Vc uomini
a cavallo d'arme ben
montati, che più di
C erano
a grandissimi
destrieri.
Soldati avea, e vi furono
XVc che bene
VIc erano
Franceschi, con più grandi signori e gentili uomini, e
CC Tedeschi molto buona gente e
isprovata, e
CCXXX
n'avea messer
Ramondo di Cardona capitano dell'oste
tra llui e 'l suo maliscalco, ch'avea nome messer
Bornio di Borgogna, che i
cento erano Borgognoni e
gli altri Catalani. E oltre
a' detti soldati n'avea da
CCCCL tra Franceschi, e Guasconi, e
Fiamminghi, e
Provenzali, e Italiani, iscelti di tutte le masnade vecchie,
pochi per bandiera. Gente
a piè furono tra
contadini e cittadini più di
XVm bene armati; ed ebbono
i Fiorentini in loro oste
VIIIc e più trabacche e
padiglioni e
tende di panno lino; e andavano con
una campana in sul
carro,
al suono de la quale si mutava
l'oste e s'armava; e non era nullo dì, che non costasse
a' Fiorentini
IIIm fiorini d'oro e più. E aveva
nella detta oste, tra cittadini e signori forestieri, più
di
CCC grandissimi
destrieri di
valuta da
CL fiorini
d'oro in su, tutti
a briglie, e tra ogni cavallo,
ronzino
e
somieri, più di
VIm, sanza quegli dell'amistadi che
vennono poi.
L. 10, cap. 301 rubr.
Come l'oste de' Fiorentini andò a Pistoia, e come
presono il passo della Guisciana.
L. 10, cap. 301Nel detto
anno
MCCCXXV, lunidì, dì
XVII di giugno,
così nobile oste e così fornita, agiuntivi
CC
cavalieri di Siena, si partirono di Prato, e puosonsi
ad
Agliana
a campo in su quello di Pistoia,
guastandogli
intorno da le più parti, abattendo molte fortezze e
con gran prede, e mutandosi per
sei campi, e il dì di
san Giovanni feciono correre palio di sciamito velluto
presso
a la porta di Pistoia.
Castruccio essendo
dentro
a la terra di Pistoia con
VIIc cavalieri e popolo
grandissimo, non s'ardì
a uscire fuori
a nullo avisamento,
ma intendea pure
a la guardia della terra. Poi
a dì
IIII di luglio si puose l'oste
a Tizzano, e
a quello
messer
Ramondo fece rizzare
dificii e cominciare
a
cavare da più parti, faccendo vista di volere il castello;
e così stando,
a dì
VIIII di luglio messer
Ramondo
e 'l suo
consiglio de' capitani dell'oste feciono la notte
dinanzi cavalcare il suo maliscalco con
Vc cavalieri
de' migliori dell'oste
a Fucecchio; e acciò che
Castruccio
non si prendesse guardia, la notte medesima
fece un'altra cavalcata presso
a Pistoia, guastando.
Giunti i detti cavalieri
a Fucecchio cogli usciti di
Lucca, ch'erano da
CL a cavallo e
a piè assai, e dell'
altre castella di Valdarno gente assai, ond'erano capitani
messer
Attaviano
Brunelleschi e messer
Bandino
de' Rossi di
Firenze, apparecchiato uno ponte di
legname, la notte vegnente di furto per loro fu posto
in su la
Guisciana
al passo di
Rosaiuolo, e chiavato; e
passati i detti cavalieri e popolo assai di là, anzi che
quegli di Cappiano e di
Montefalcone se n'accorgessono.
E poi quel dì medesimo, dì
X di luglio, messer
Ramondo con tutta l'oste subitamente si partiro dall'
assedio di Tizzano e valicarono il
poggio
del monte
di sotto, e la sera medesima furono acampati cogli altri
cavalieri prima andati di là da
Guisciana intorno
al castello di Cappiano, che fue uno bello e proveduto
e sùbito acquisto di
guerra, che mai per forza né
per altro modo quel passo non s'era potuto acquistare
per gli Fiorentini.
Castruccio ciò sentendo, e appena
credendolo, come
stordito si partì di Pistoia
con tutti i
Pistolesi, lasciando la terra fornita di sua
gente, e venne in Valdinievole, e si puose in su Vivinaia
con sua oste; e mandò per soccorso
a Lucca e
a
Pisa e
a tutti i suoi amici, il quale ebbe dal vescovo
d'
Arezzo
CCC cavalieri, e de la Marca e di
Romagna
CC, e di Maremma da'
conti
a Santa Fiore e altri baroncelli
ghibellini da
CL; sì che si trovò da
XVc di cavalieri
e popolo grandissimo, e in su Vivinaia e
Montechiaro,
e i· lluogo detto il Cerruglio s'afforzò, e ripuose
Porcari, e fece fare uno fosso dal
poggio
al padule,
e steccare e guardare con molta sollecitudine di
dì e di notte. Ma da' Pisani nullo aiuto ebbe, perché
il
conte
Nieri e quegli che reggeano la terra si teneano
suoi nimici, per quello ch'egli avea operato contra
loro.
L. 10, cap. 302 rubr.
Come i Fiorentini ebbono Cappiano e 'l ponte, e
poi Montefalcone.
L. 10, cap. 302I Fiorentini essendo
ad oste
a Cappiano,
a dì
XIII
di luglio s'
arrenderono
a lloro le torri e 'l ponte da
Cappiano, ch'era molto forte; e
a dì
XVIIII di luglio
s'
arrendé Cappiano, salve le persone, per tema di cave
e di
difici. E
a dì
XXI di luglio si puose l'oste
a
Montefalcone, e
a dì
XXVIIII di luglio s'
arrendé
a
patti,
salve le persone. Essendo i Fiorentini in vittoria,
tutti gli amici mandarono soccorso: i Sanesi oltre
a
CC primi cavalieri mandarono altri
CC cavalieri e
VIc
balestrieri, e
C cavalieri delle case cittadini di Siena, e
C soldati; Perugia tra
due volte
CCLX cavalieri; Bologna
CC cavalieri; Camerino
L cavalieri;
Agobbio
L cavalieri;
Grosseto
XXX cavalieri; Montepulciano
XL
cavalieri; il
conte
Asartiano da Chiusi
XV cavalieri;
Colle
XL cavalieri; San Gimignano
XL cavalieri; Samminiato
XL cavalieri; Volterra
XXX cavalieri;
Faenza e
Imola
C cavalieri tra
due mandate; quegli da
Logliano
XV cavalieri e gente
a piè; i
conti
a Battifolle
XX
cavalieri e
Vc pedoni; e gli usciti di Lucca erano più
di
C cavalieri; e gli usciti di Pistoia da
XXV; sì che l'oste
de' Fiorentini
crebbe in più di
IIIm cavalieri. Si ritrovarono
a dì
IIII d'
agosto, che si puosono
ad assedio
ad Altopascio, il quale era molto forte di
mura e torri e
fossi e steccati. Bene avenne
a l'oste de' Fiorentini
pestilenzia, che per lo dimoro ch'aveano fatto
in su la
Guisciana molti n'
amalarono e molti ne morirono,
pure de' più
cari cittadini di
Firenze e altri
forestieri assai, onde l'oste
affiebolì molto. Stando
l'oste
ad Altopascio,
Castruccio fece cercare e
rinnovare
il trattato e
tradimento nell'oste de' Fiorentini
con
due conastaboli franceschi, ciò fu messer
Miles
d'Alzurro e messer
Guiglielmo di
Noren d'Artese
poveri cavalieri, il quale
tradimento si scoperse essendo
malato il detto messer
Miles, e vegnendo
a
morte; e fu preso per messer
Ramondo il detto messere
Guiglielmo, ma per tema degli altri Franceschi
non fu giustiziato, ma
datoli commiato: faccendo vista
d'andare
a Napoli
al re, da Montepulciano per
Maremma si tornò da la parte di
Castruccio, e poi
fece molto di male
a' Fiorentini. E essendo ancora
l'oste
ad Altopascio,
Castruccio fece cavalcare da Pistoia
CC de' suoi cavalieri e pedoni in sul
contado di
Prato, e in su quello di
Firenze infino
a
Lecole
a dì
X
d'
agosto, ardendo e guastando sanza niuno contasto,
levando grande preda. E poi
a dì
XXIII d'
agosto fece
fare un'altra cavalcata in su
Carmignano di
CL cavalieri
e
M pedoni, credendo prendere la terra e fare levare
l'oste d'Altopascio; e già
entrati nella villa, alquanti
Fiorentini con quegli di Campi e di Gangalandi
e' Guelfi di
Carmignano vi cavalcarono, e co'
cavalieri bolognesi ch'erano in
Firenze, e sconfissongli,
e bene
CCCCL ne furono morti e presi assai, onde
l'oste di
Castruccio molto
isbigottìo.
L. 10, cap. 303 rubr.Come il castello d'Altopascio si rendé a' Fiorentini.
L. 10, cap. 303Sentendo quegli di Altopascio la
rotta da
Carmignano,
e essendo da lloro assai malati, e vegnendo
tra lloro
a
riotta dentro, sì s'
arenderono
a' Fiorentini
a dì
XXV d'
agosto
MCCCXXV, salve le persone, che v'aveva
dentro
Vc fanti, e fornito per
due
anni. Preso
Altopascio, nell'oste de' Fiorentini e ancora in
Firenze
ebbe contasto o d'andare più innanzi o di tornare
all'assedio
a Santa Maria
a Monte, e in questo
bistentaro,
e ristettono
ad Altopascio, poi che ll'ebbono,
infino
a dì
VIIII di settembre, con grande spendio
e scemamento dell'oste de' Fiorentini, sì per molti infermi
che v'avea, e
a' più era rincresciuto l'osteggiare
sì lungamente, e d'altra parte per la baratteria che
messer
Ramondo facea
al suo maliscalco, di dare parola
per danari
a chi si volea partire dell'oste, onde
molto scemò l'oste de' Fiorentini; e 'l detto messer
Ramondo non v'avea la metà di sua gente: di questi
difetti accorgendosi i savi, e di
Firenze ch'erano nell'
oste capitani, com'era impossibile di passare in verso
Lucca per le fortezze e ripari di
Castruccio, consigliavano
che 'l porsi
a Santa Maria
a Monte, e l'afforzare
il campo, e
avicendare i cittadini e' forestieri; e
di fermo era il migliore, e sanza guari indugio s'avea
il castello per difetto d'infermità che v'era stata dentro.
Altri cittadini grandi e popolani che
menavano
messer
Ramondo e l'oste
a lloro guisa (ciò fu etc
.; per
loro prosunzione e vanagloria) si fermarono s'andasse
infino
a Lucca anzi che l'oste tornasse in
Firenze
e così si prese partito
del peggiore; e il detto dì
VIIII
di settembre si partì d'Altopascio, e per
arrota
al primo
fallo si puosono
a la
badia
a
Pozzevere in sul
pantano di
Sesto, che si poteano porre
a la piaggia
tra Vivinaia e
Porcari, e avevano rotte l'osti de' nimici,
e conquiso
Castruccio; ma
a cui Idio vuole male
gli toglie il senno. E con questo
crebbe giusta cagione,
che messere
Ramondo con quegli caporali fiorentini
che 'l guidavano per modo di
setta si
credea essere
signore di
Firenze, e non volendo porre l'oste
a
Santa Maria
a Monte, né cavalcare e porre l'oste come
potea in sul
poggio, per quistioni ch'avea mosse
a' Fiorentini di volere balìa così nella
città, tornato
lui, come nell'oste,
condusse sé e l'oste de' Fiorentini
a
pericolo e gran vergogna e
dammaggio, come appresso
faremo menzione.
L. 10, cap. 304 rubr.Come i Fiorentini furono sconfitti ad Altopascio da
Castruccio.
L. 10, cap. 304
Castruccio d'altra parte, con tutto che l'oste de'
Fiorentini fosse
affiebolita, egli medesimo e la sua
oste era mancata molto, sì per infermità, e sì per lunga
dura, e che gli
fallia lo spendio, che apena si potea
rimedire; tuttavia come franco
duca ritenea la
sua oste con molto affanno in isperanza, tegnendo
guerniti e
afforzati tutti i poggi da Vivinaia, e
Montechiaro,
e Cerruglio, e
Porcari, poi infino
al pantano
di
Sesto, acciò che l'oste de' Fiorentini non potesse
a valicare
a Lucca. Ma
dottandosi ancora che per sé
non potesse durare, e ancora conoscendo che l'oste
de' Fiorentini era
condotta in luogo dov'egli avea l'avantaggio
del combattere, s'avesse aiuto di più gente,
sì mandò
al capitano di Milano messer
Galeasso che
gli mandasse il figliuolo
Azzo con gente ch'era nel
borgo
a San
Donnino, e
mandogli
Xm fiorini d'oro,
promettendogli più moneta. Il quale
Azzo con
comandamento
del padre s'apparecchiò di venire con
VIIIc cavalieri, e per difalta
del legato e dell'oste della
Chiesa, ch'erano
a oste
a San
Donnino, che gli lasciarono
partire, e ebbe danari il maliscalco
del legato, si
partì co la detta gente per venire
a Lucca, e messer
Passerino signore di Mantova e di Modana gline
mandò
CC cavalieri, sì che sùbito soccorso e aiuto
ebbe da
M cavalieri tedeschi e oltramontani.
L. 10, cap. 305 rubr.Di quello medesimo.
L. 10, cap. 305Essendo l'oste
a
Pozzevero, messere
Ramondo volendo
amendare il fallo che si fece di
dovere porre
l'oste in su la piaggia tra
Montechiaro e
Porcari,
radoppiò
il fallo sopra fallo, che
mandandovi il suo
maliscalco e messer
Urlimbacca tedesco, forse con
C
cavalieri cogli
spianatori, per fare spianare,
a dì
XI di
settembre, di lungi
a l'oste più d'uno miglio,
Castruccio
ch'era
al disopra
del
poggio ordinatamente
mandò gente in più schiere per partite,
a cominciare
a' detti guardatori degli
spianatori badalucco, ed egli
poi con tutta sua gente e schiere fatte si
calò giù
a la
valle. Cominciato il badalucco si cominciò
a 'ngrossare,
che dell'oste de' Fiorentini vi trassono di volontà
sanza ordine più di
CC cavalieri, tra Franceschi, e
Tedeschi, e Fiorentini, de' migliori dell'oste, e simigliante
di quegli di
Castruccio, e fu la più
bella e
ritenuta
battaglietta che fosse anche in
Toscana, che
durò per
ispazio di parecchie ore, e più di
quattro
volte fu rotta l'una parte e l'altra,
rannodandosi e
tornando
a la battaglia
a modo di torniamento; e la
gente de' Fiorentini, ch'erano pochi più di
IIIc a cavallo,
sostennero e
ripinsono quegli di
Castruccio,
ch'erano più di
VIc; e aveasi la sera la vittoria per gli
Fiorentini, se messer
Ramondo avesse mandata più
gente in aiuto
a' suoi, o
colle schiere grosse fosse
mosso contra nemici; ma
condussele in capo
del piano,
che v'avea uno fosso con piccolo
spazio di
spianato,
per modo che bene commodamente le schiere
fatte non poteano sanza spartirsi valicare, e con
periglio.
Castruccio che per l'avantaggio
del
poggio vedea
tutto
pinse
colla sua schiera contra i Fiorentini, e
fu
sostenuto e
ripinto gran pezzo, e
scavallato in persona,
e fedito egli e più de' suoi per virtù de' buoni
cavalieri ch'erano da l'altra parte; ma
a la fine tra per
lo soperchio di gente, e perché s'
anottava, que' de'
Fiorentini si ritrassono alle schiere loro, ma sì vi rimasono
di loro da
XL cavalieri tra morti e presi pure
de' migliori,
intra' quali fu messere
Urlimbacca cavaliere
tedesco preso con
XII di sua bandiera, e messer
Francesco
Brunelleschi cavaliere
novello, e Giovanni
di messer Rosso della Tosa, e di Franceschi, e molti
fediti nel volto. E simigliante di quegli di
Castruccio
ne furono morti assai, ma non però presi, però che
Castruccio
al fine
soprastette i· lluogo ove fu la battaglia;
ma più di
C cavagli de' suoi voti tornarono nel
campo de' Fiorentini, però che tennono
al fuggire
tutti
al piano. E la sera ritratti l'una oste e l'altra, infino
a notte stettono schierati
ciascuno trombando appetto
l'uno dell'altro per
sostenere l'onore
del campo;
ma la notte dipartì, e
ciascuno tornò
a le sue logge.
Ma di certo dal giorno innanzi que' dell'oste de'
Fiorentini non furono coraggiosi né
avolontati di
combattere, com'erano prima, per difalta di quella
mala
condotta, e per lo
danno che ricevettono; e
Castruccio,
come quegli che non dormia, avendo presa
baldanza di quella
cotanta vittoria ch'avea avuta, e
attendendo suo soccorso e aiuto di Lombardia, e conoscendo
il male sito ove i Fiorentini erano
acampati,
con sagace inganno fece tenere i falsi trattati messer
Ramondo e 'l suo
consiglio con più di quelle castella
di Valdinievole, per
fargli indugiare che non si
partissono e
levassono il campo, come tutto dì erano
infestati sì da
Firenze e da' savi dell'oste, che
conosceano
il male luogo ov'erano
acampati; e tra che fu
tempo piovoso, e lo 'nganno de' trattati, gli venne
fatto suo intendimento.
L. 10, cap. 306 rubr.Di quella materia medesima.
L. 10, cap. 306Come que' dell'oste de' Fiorentini
sentirono che
Azzo Visconti con sua gente era venuto di Lombardia
in aiuto
a
Castruccio, ch'erano
VIIIc cavalieri tedeschi,
e quegli di messer
Passerino,
domenica mattina
dì
XXII di settembre si levarono da campo da la
badia
a
Pozzevero schierati e ordinati, e puosonsi
ad
Altopascio dal lato di qua, che
agiatamente potea
venirne
l'oste di qua da
Guisciana, o almeno si fossono
posti in su
Gallena, erano signori
del combattere
a lloro
volontà; ristettono
ad Altopascio per fornirlo.
Castruccio, che non ne stava ozioso, veggendo l'oste
de' Fiorentini levata per tema e paura, la
domenica
medesima venne in Lucca per sollecitare
Azzo che
cavalcasse con sua gente, e
a tutte le belle donne di
Lucca co la moglie insieme il fece
pregare: egli per
riposarsi, e che volea la moneta che gli fu
promessa,
non si volea partire di Lucca, onde
Castruccio con
grande fatica l'
accivì, tra di danari e di
promesse di
mercatanti, di
VIm fiorini d'oro, e
promisegli di cavalcare
lunidì mattina.
Castruccio lasciò la donna sua
coll'altre donne che 'l sollecitassono, ed egli la
domenica
a notte ritornò in sua oste, che gran paura avea
che l'oste de' Fiorentini si partissono sanza battaglia,
veggendo suo
vantaggio. I lunidì mattina l'oste de'
Fiorentini si levò e misonsi in ischiere, ed erano rimasi
intorno di
IIm cavalieri e non più, per gli malati
e partiti dell'oste, e gente
a piè da
VIIIm, e tutti
ad
agio si poteano partire e venire
a
Gallena; ma per
aroganza si misono
a roteare
colle schiere loro verso
l'oste di
Castruccio, trombando e
drappellando richeggendo
di battaglia.
Castruccio incontanente con
sua oste armato, ch'era con
MCCCC cavalieri, cominciò
a scendere il
poggio e tenere
a badalucco i Fiorentini,
tanto che
Azzo con sua gente venisse, e così
gli venne fatto, che in su l'ora di terza
Azzo giunse
colla sua gente; e incontanente che fu venuto si calarono
di Vivinaia
al piano
a la battaglia, i quali furono
da
XXIIIc di cavalieri in tutto que' dell'oste di
Castruccio;
ma il popolo suo lasciò
al
poggio, che pochi
ne scesono
al piano
a la battaglia. L'oste de' Fiorentini
molto bene ordinata in ischiere s'afrontò
coll'oste
di
Castruccio, e una piccola schiera de' Franceschi e
de' Fiorentini e d'altri intorno di
CL a cavallo, ch'erano
al dinanzi
a la schiera de' feditori, fedirono vigorosamente,
e trapassarono le schiere d'
Azzo. Gli altri
feditori ch'erano ordinati, ch'erano da
VIIc, ond'era
guidatore messer Bornio maliscalco di messer
Ramondo,
veggendo cominciata la battaglia, non resse,
ma incontanente volse la sua bandiera. Gli altri dell'
oste veggendo volgere le
'nsegne de' feditori, isbigottiti,
incominciarono
a temere, e parte
a fuggire:
che se messer
Ramondo
colla schiera grossa avesse
ancora
pinto dietro
a' primi feditori, avea vinta la
battaglia, ma istando fermo, e la gente per la
mala vista
del maliscalco cominciando
a fuggire, prima furono
da' nimici assaliti che
dessono
colpo, ma parvono
storditi e amaliati; ma il popolo
a piè cominciaro
a
sostenere francamente, ma la cavalleria non resse
quasi niente, e così in
poca d'ora che
durò l'assalto
furono rotti e sconfitti: e ciò fu i lunidì in su la nona,
a dì
XXIII di settembre
MCCCXXV. La quale sconfitta
di certo si disse, che 'l detto Bornio maliscalco
per
tradimento ordinato si mise prima
a fuggire che
a ffedire; e ciò si trovò, ch'egli era stato cavaliere per
mano di messer
Galeasso Visconti padre
del detto
Azzo, e stato lungamente
a' suoi soldi; e come tornò
in
Firenze, mai non si lasciò trovare, anzi si partì di
nascoso. Il
dammaggio de' morti
a l'
afrontata prima
fu piccolo, per lo poco reggere che fece l'oste de'
Fiorentini, ma poi
a la fugga ne furono morti e
presi
assai, però che
Castruccio mandò incontanente di
sua gente
a prendere il ponte
a Cappiano, il quale
sanza assalto per que' v'erano dentro in su le torri,
fue abbandonato; onde i Fiorentini e loro amistà che
fuggieno ricevettono maggiore
danno di morti e di
pregioni, che non feciono ne la battaglia. Rimasonne
morti in tutto da
tra
a cavallo, che furono pochi,
e
a piè, che non furono
XXV de le cavallate di
Firenze:
morti e presi ne furono in tutto intorno di
intra
quali fue messer
Ramondo di Cardona capitano
dell'oste, e 'l figliuolo, e più baroni franceschi, che
alquanto ressono la battaglia;
ebbevi da
XL de' migliori
di
Firenze grandi e popolani
a cavallo, e da
L
oltramontani buona gente e di
rinnomo, la maggior
parte cavalieri, e da
XX uomini di
rinnomo d'altre
terre di
Toscana. Tutti gli altri scamparono, chi per
una via e chi per altra; ma il campo e la salmeria di
tende e arnesi quasi tutti si perdero; e pochi dì appresso
s'
arrendé il castello di Cappiano e quello di
Montefalcone; e poi
a dì
VI d'ottobre s'
arrendé Altopascio,
e
andarne pregioni
a Lucca, ch'erano più di
Vc; ed era fornito per più tempo e fortissimo. E così
in
poca d'ora si mutò la
fallace fortuna
a' Fiorentini,
che in prima con falso viso di filicità gli avea lusingati
in tanta pompa e vittoria. Ma di certo fu giudicio
di Dio per soperchi peccati d'abattere tanta superbia
potenza, e così nobile cavalleria e valente popolo,
come furono
a la prima i Fiorentini ne la detta oste,
per più vili di loro e scomunicati; e così nonn è d'avere
speranza in forza umana altro che nel piacere e
volontà di Dio e la sua
disposizione.
Lasceremo
al presente alquanto de le
sequele e
aversità che per la detta sconfitta avennono
a' Fiorentini,
perché n'è di necessità per trattare dell'altre
novità state infra 'l detto tempo per l'universo
mondo
in più parti, e raccontate quelle, torneremo
a nostra
materia, in seguire delle storie e fatti de' Fiorentini,
ch'assai ne cresce materia di dire.
L. 10, cap. 307 rubr.Come a Cortona fu ristituito il vescovado.
L. 10, cap. 307Nel detto
anno
MCCCXXV,
del mese di giugno, papa
Giovanni con suo
concestoro rendé il vescovado
suo
a la
città di
Cortona, che lungamente era vacato,
perch'aveano morto il loro vescovo
anticamente, e
sottomiselo
al vescovado d'
Arezzo: e ciò fatto per
affiebolire
la grandezza
del vescovo d'
Arezzo, che bene
il terzo di suo vescovado gli scemò, e
fecene vescovo
uno degli
Ubertini. Per la qual cosa il vescovo
d'
Arezzo fece in
Arezzo abattere le case degli
Ubertini,
e
Montuozi loro castello, onde gli
Ubertini rubellarono
al vescovo Laterino, e di loro vennono
a
Firenze per
allegarsi co' Fiorentini; ma come fu la
sconfitta, s'accordarono col vescovo, e renderono
Laterino.
L. 10, cap. 308 rubr.Come il legato del papa fece fare oste al borgo a San
Donnino.
L. 10, cap. 308Nel detto
anno,
a l'uscita di giugno, il legato
del
papa ch'era in Lombardia
coll'oste della Chiesa e
aiuto de'
Piagentini e Parmigiani, vennono
ad oste
sopra il borgo
a San
Donnino con
MMD cavalieri e
popolo assai, il quale s'era rubellato, ed eravi dentro
Azzo Visconti con grande cavalleria di ribegli di santa
Chiesa, e
distrinselo sì, che poco v'aveano
a mangiare.
La lega de' ribelli, cioè messer Cane della Scala
signore di Verona, e messer
Passerino signore di
Mantova e di Modana, e' marchesi d'Esti da
Ferrara,
si raunarono
a Modana bene
MD cavalieri per soccorrere
e fornire quegli
del borgo
a San
Donnino, e
grande navilio con vittuaglia e con
gazzarre armate
misono su per lo fiume di
Po, le quali scontrandosi
col navilio della Chiesa, da lloro furono sconfitti e
presi. Veggendo la lega de' Ghibellini di Lombardia
che non poteano fornire il borgo
a San
Donnino per
quel modo, si puosono
ad assedio
a
Sassuolo, uno
forte castello
del
contado di Modana, ed
ebbello
a
patti, e
Fiorano un altro castello di que' signori da
Sassuolo, e avuti i detti castelli si dipartì di
Modona
la detta raunata, e
ciascuno si tornò
a casa. Ver è che
parte n'andarono per la
via di Chermona, e
entrarono
nel borgo
a San
Donnino con vittuaglia, però
che
ll'assedio dell'oste della Chiesa e de' Parmigiani
era molto dilungata dal borgo, e però si francò il
borgo, e
Azzo de' Visconti e sua gente per
serbarsi
a
soccorrere
Castruccio e isconfiggere l'oste de' Fiorentini,
come ne' passati
capitoli avemo
stesamente
fatta menzione.
L. 10, cap. 309 rubr.Come il re d'Araona ricominciò guerra a' Pisani.
L. 10, cap. 309Nel detto anno e mese di giugno il re d'Araona
mandò in Sardigna XII galee armate con IIIc cavalieri,
e trovarono nel golfo di Calleri due cocche de' Pisani
cariche di vittuaglia, ch'andavano per fornire Castello
di Castro; quelle presono, e uccisono tutti i Pisani,
onde ricominciarono la guerra a' Pisani: per la qual
cosa tutti i Catalani mercatanti e altri che furono trovati
in Pisa, furono presi con tutta loro mercatantia e
roba.
L. 10, cap. 310 rubr.Come il conte di Fiandra fue sconfitto e preso a
Coltrai da quegli di Bruggia.
L. 10, cap. 310Nel detto
anno
MCCCXXV,
a dì
XII di giugno, essendo
il giovane
Luis
conte di
Fiandra
a Ipro, ne fece
cacciare tutti i caporali de'
tesserandoli e
folloni, e
popolo
minuto, perché gli erano incontro con quegli
di
Bruggia; e poi andòe
a Coltrai con più di
CL gentili
uomini
a cavallo, e là facea raunata e s'afforzava
per fare
guerra
a que' di
Bruggia, che gli s'erano ribellati;
e per volere fare prendere certi caporali di
Bruggia ch'erano venuti
a Coltrai per
fargli
impiccare,
fuggiti in una casa nel borgo di verso
Bruggia, la
gente
del
conte vi misono fuoco, e arse tutto il detto
borgo, e eziandio passò il fiume de la Liscia, e arse la
metà e più della terra. Per la qual cosa que' di Coltrai,
veggendosi così arsi e guasta la terra, si raunarono
armati con certi che v'erano di
Bruggia, e combatterono
in su la piazza col
conte e con sua gente, e
sconfissongli, e presono il
conte, e fediro e uccisonne
più di
XL nobili uomini,
intra' quali morti fu il siri di
Ruella e quello di
Terramonda, figliuolo di messer
Guiglielmo de la casa di
Fiandra, e il
conte di
Namurro
fedito
a
morte. E venuti que' di
Bruggia
a
Coltrai, ne menaro il
conte preso
a
Bruggia, e
a mezzo
il
cammino in sua presenza
tagliarono la testa
a
XXVII suoi famigliari gentili uomini, ch'erano presi
co· llui, che fu una grande
crudeltà per
vili genti e fedeli
fare
al loro signore; e menato il
conte in pregione,
sì feciono rubellare il popolo
minuto d'Ipro, e
cacciarne i grandi borgesi che teneano col
conte.
Quegli de la villa di Guanto per soccorrere il loro signore
lo
conte,
del mese d'
agosto vegnente, andando
ad oste contra quegli di
Bruggia, i quali da quegli di
Bruggia sconfitti furono, e morti e presi assai; e tornati
in Guanto que' che scamparono, il popolo
minuto,
tesserandoli e
folloni, vollono uccidere tutti i
grandi borgesi di Guanto
a richiesta di quegli di
Bruggia, onde in Guanto tra lloro ebbe battaglia; ma
i gran borgesi e la parte
del
conte si trovarono più
forti, onde il popolo
minuto furono sconfitti, e molti
morti e presi, e
giustiziati di
villana
morte.
L. 10, cap. 311 rubr.De' fatti di Firenze.
L. 10, cap. 311Nel detto anno, a dì XXVII di luglio, s'apprese fuoco
in Firenze in Parione di costa a la chiesa di Santa
Trinita, e arsonvi XIIII case, e morirvi V persone.
Il dì di calen di agosto del detto anno si pubblicò
in Firenze il processo e scomunica fatta per papa
Giovanni contra Castruccio, siccome rubello e persecutore
della Chiesa, e fautore d'eretici per più articoli
contro a fede.
L. 10, cap. 312 rubr.Come il conte di Savoia fue sconfitto dal Dalfino di
Vienna.
L. 10, cap. 312Nel detto anno, a dì VII d'agosto, fue grande battaglia
in viennese tra il Dalfino di Vienna e 'l conte
di Savoia apresso del castello di , che la gente del
conte v'era ad assedio con cavalieri e popolo assai,
e fue con cavalieri ; e dopo la gran battaglia
il conte di Savoia fue sconfitto, e furonne morti
assai, e preso il conte d'Alzurro, e 'l fratello del duca
di Borgogna, e 'l siri di Belgiù, e più di CL tra cavalierie
e sergenti gentili uomini ch'erano col conte di
Savoia.
L. 10, cap. 313 rubr.
Come il conte Alberto da Mangone fue morto, e
suo contado rimase a' Fiorentini.
L. 10, cap. 313Nel detto anno, a dì XVIIII del mese d'agosto, il
conte Alberto da Mangone fu morto a ghiado per
tradigione in sua camera per Ispinello bastardo suo
nipote e per uno di quegli di Coldaia a petizione degli
Ubaldini e di messer Benuccio Salimbeni di Siena,
che tenea Vernia e avea per moglie la figliuola
che fu del conte Nerone, perché gli faceva guerra del
detto retaggio. Per la qual cosa il castello di Mangone
e la corte fue per lo detto Spinello renduto al Comune
di Firenze, e ebbene per lasciare la rocca XVIIc
di fiorini d'oro dal Comune, con tutto che di ragione
succedea al Comune di Firenze e Mangone e Vernia,
per testamento fatto per lo conte Allessandro padre
d'Alberto e Nerone, e poi ratificato per lo detto Alberto
e Nerone, che se rimanessono sanza reda di figliuoli
maschi legittimi, ne fosse reda il Comune di Firenze.
E ancora il Comune di Firenze v'avea su ragione
per censi vacati, i quali doveano per patti di
molti tempi adietro. Nel detto anno, a dì XXVIII d'agosto,
CC cavalieri di quegli ch'erano nel borgo a San
Donnino, andando per foraggio, furono sconfitti al
ponte a Lensa da quegli di Parma.
L. 10, cap. 314 rubr.
Come il Monte a San Savino fu distrutto.
L. 10, cap. 314Nel detto anno, del mese di settembre, poi che fu
la sconfitta de' Fiorentini, quegli del Monte a San
Savino si renderono al vescovo d'Arezzo, il quale fece
abattere le mura a la detta terra, perch'erano molto
Guelfi, e aveano mandato aiuto di loro gente a l'oste
de' Fiorentini. E poi a dì XI di maggio vegnente
vi cavalcò il vescovo con sua gente, e trasse del castello
tutti gli abitanti, e arse e fece disfare tutta la terra,
che non vi rimase pietra sopra pietra; e sì v'avea
più di M abitanti, che tutti gli disperse qua e là,
acciò che mai non potessono rifare la terra.
L. 10, cap. 315 rubr.Come si compié pace tra lo re di Francia e d'Inghilterra
per la guerra di Guascogna.
L. 10, cap. 315Nel detto anno, del mese di settembre, Adoardo
figliuolo del re d'Inghilterra venne in Francia, e per
trattato della reina d'Inghilterra sua madre e serocchia
del re di Francia si compié la pace dal re di
Francia a quello d'Inghilterra de la guerra cominciata
in Guascogna, e 'l detto figliuolo del re d'Inghilterra
ne fece omaggio al re di Francia in persona del
padre re d'Inghilterra, e lasciò al re di Francia le terre
che messer Carlo di Valos avea conquistate in
Guascogna, e rimase in Francia co la madre, e non
vollono tornare in Inghilterra, però che 'l re d'Inghilterra
si reggea male, e contro a lloro volere si guidava
per messer Ugo il Dispensiere.
L. 10, cap. 316 rubr.
Come i due eletti d'Alamagna feciono accordo insieme,
e Federigo d'Osteric fu tratto di pregione.
L. 10, cap. 316Nel detto anno, del mese d'ottobre a l'uscita, il
duca di Baviera eletto re de' Romani diliberò di sua
pregione Federigo duca d'Osteric, perch'era altressì
eletto re de' Romani, e fece pace co· llui, e promisegli
di rinunziare sua lezione, e di dargli le sue boci. Poi
furono a parlamento a l'ottava anzi Natale, e non furono
in accordo, però che Lupoldro fratello del duca
d'Osteric non volea che 'l suo fratello rinunziasse. E
poi furono a un altro parlamento, e furono inn accordo,
che quello di Baviera dovesse passare in Italia,
e 'l duca Lupoldro d'Osteric co· llui e per suo generale
vicario, e quello d'Osteric rimanere re ne la
Magna; e di questo si promisono con lettere e suggegli.
Gli elettori dello 'mperio a petizione del papa e
del re di Francia contradissono, opponendo che ll'uno
e l'altro avea perduta la lezione, perché a lloro
non era licito di ragione che l'uno potesse dare a l'altro
boce sanza fare per gli elettori nuova lezione. In
questo mezzo il duca Lupoldro d'Osteric, il quale
trattava co· re Ruberto, e con quello di Francia, e ancora
co' Fiorentini, e quello accordo dissimulava per
essere egli signore in Italia, sì si morì a dì XXVII di
febbraio MCCCXXV, e dissesi che fue avelenato; per la
qual morte tutto quello esordio e accordo rimase sospeso
e anullato.
L. 10, cap. 317 rubr.
Come Castruccio con sua oste venne in sul contado
di Firenze presso a la città, ardendo e guastando.
L. 10, cap. 317Nel detto
anno, tornando
a nostra materia lasciata
adietro de' fatti di
Castruccio e de' Fiorentini, come
Castruccio ebbe la vittoria della battaglia, mandati i
pregioni e le spoglie
del campo
a Lucca, non tornò
a
Lucca in persona, ma posto l'assedio
ad Altopascio,
sì fece disfare le torri e 'l ponte
a Cappiano, e poi il
castello di Cappiano e di
Montefalcone, per non avere
in quella parte
a guardare, e se ne venne
a Pistoia
per
guerreggiare i Fiorentini, e per dilungare la tornata
sua in Lucca, perché non v'avea da sodisfare i
suoi cavalieri soldati di loro paghe passate d'assai, e
de le
doppie per la vittoria, e per
nutricargli sopra le
prede de' Fiorentini. E
a dì
XXVII di settembre fece
uscire
ad oste
a
Carmignano messer
Filippo
Tedici
co'
Pistolesi, e incontanente fue abbandonato da
coloro
che v'erano per gli Fiorentini, salvo la rocca. Poi
a dì
XXVIIII di settembre
Castruccio con tutta sua
oste venne
a Lecore in sul
contado di
Firenze, e il dì
seguente puose il suo campo in su i
colli di
Signa. I
cavalieri e' pedoni de' Fiorentini ch'erano in
Signa,
faccendola afforzare, veduta l'oste di
Castruccio
abandonarono la terra, e furono sì
vili, che non ardirono
a tagliare il ponte sopra l'Arno. Poi il dì di calen
di ottobre
Castruccio puose suo campo
a San
Moro, ardendo e
rubando Campi, Brozzi, e
Quaracchi,
e tutte le villate d'intorno; e
a dì
II d'ottobre
venne in
Peretola, e la sua gente scorrendo infino
presso
a le
mura di
Firenze, e là dimorò per
III dì,
faccendo guastare per fuoco e ruberia dal fiume
d'Arno infino
a le montagne, e infino
a piè di
Careggi
in su
Rifredi, ch'era il più bello paese di villate, e 'l
meglio acasato e
giardinato, e più nobilemente, per
diletto de' cittadini, che altrettanta terra che fosse
al
mondo. E poi il dì di san Francesco, dì
IIII d'ottobre,
fece in
dispetto e vergogna de' Fiorentini correre
III
pali
i da le nostre mosse infino
a
Peretola, l'uno
a
gente
a cavallo, e l'altro
a piede, e l'altro
a femmine
meretrici; e non fue ardito uomo d'uscire della
città
di
Firenze; ma i Fiorentini molto inviliti, e
storditi di
paura e sospetto che dentro
a la
città non avesse
tradimento,
con tutto avessono cavalieri assai e gente
a
piè innumerabile, si tennono dentro in arme di dì e
di notte con grande affanno e sollecitudine
a guardare
la
città e le
mura e le porte; e
sgombravasi tutto il
contado, recando dentro così bene que' da San Salvi
e da Ripole e di quelle contrade, come de le villate
L. 10, cap. 318 rubr.Della materia medesima.
L. 10, cap. 318Poi il sabato mattina, dì
V d'ottobre, si levò da
Peretola,
e arse tutta la villa e quello d'intorno, e presono
e arsono il castello di
Capalle e quello di
Calenzano
sanza riparo niuno, che que' che v'erano dentro
gli
abandonaro. Ancora i Fiorentini dentro pareano
per paura amaliati; e ritornatosi
Castruccio con sua
oste la sera in
Signa, la
domenica apresso, dì
VI d'ottobre,
fece correre e ardere, sì come avea fatto di
qua, di là da Arno Gangalandi, e Sa· Martino la Palma,
e 'l castello de'
Pulci, e tutto il piano di Settimo.
E poi il martidì, dì
VIII d'ottobre, venne con tutta
sua oste infino
a Grieve, e' suoi
scorridori infino
a
San Piero
a Monticelli, e salirono in Marignolla infino
a
Colombaia,
rubando e levando grandi prede
sanza contasto niuno; che' Fiorentini temeano molto
da quella parte, perché i borghi di San Piero
Gattolino
e quello di San Friano, e d'intorno
al
Carmino e
a
Camaldoli non erano murati; ma rimettendo i fossi e
faccendo steccati con
C bertesche, in
XV dì lavorando
di dì e di notte con grande sospetto e paura. In somma
l'assedio e guasto che lo 'mperadore
Arrigo avea
fatto
a la
città di
Firenze fu quasi niente
a comparazione
di questo, consumando ciò ch'era da le porte
in fuori da quelle parti, con levando ogni dì grandissime
prede di gente e di bestiame e di loro arnesi. E
così feciono infino
a Torri in
Valdipesa, e infino
a
Giogoli, e poi infino
a Montelupo, e arsono il borgo,
e così quello di Puntormo, e la villa di Quarantola, e
più altre villate. E poi,
a dì
XI d'ottobre, s'
arendé la
rocca di
Carmignano, e poi il castello degli Strozzi,
ch'era ivi presso molto forte e bene fornito, chiamato
Torrebecchi; e andò poi con sua oste scorrendo intorno
a Prato.
L. 10, cap. 319 rubr.
Come Castruccio con Azzo di Milano ritornò co· lloro
oste a la città di Firenze.
L. 10, cap. 318Come
Azzo Visconti di Milano, ch'era
a Lucca
con sua gente, fue pagato di
XXVm di fiorini d'oro che
Castruccio gli aveva
promessi per la vittoria e per la
sua parte de' pregioni e preda, i quali danari il Comune
di Lucca
improntarono
a usura
dagli usciti di
Genova che dimoravano in
Pisa, sì ne venne il detto
Azzo con sua gente
a
Signa, e per fare la vendetta de'
Fiorentini
del palio che feciono correre
a le porte di
Milano
coll'oste di messer
Ramondo, come dicemmo
adietro. E
a dì
XXVI d'ottobre con
Castruccio insieme,
con bene
IIm cavalieri, vennono infino
a
Rifredi,
e di qua in su una isola d'Arno, che si vedea
apertamente
di
Firenze, fece correre uno palio di sciamito;
e poi la sera si ricolsono
a
Signa. Ma se prima s'ebbe
paura e
dotta in
Firenze,
a questa ritornata s'ebbe
maggiore, per paura non avessono trattato di
tradimento
dentro per gli amici e
parenti de' cittadini
presi
a la sconfitta, il quale mai non si sentì di vero;
ma certamente d'acordo assai per riavere i pregioni,
ma non furono uditi né intesi, ma tenuti
a sospetto
dagli altri cittadini; ma i buoni uomini di
Firenze,
così i Guelfi e così i Ghibellini ch'erano in
Firenze,
erano
favorevoli e solleciti
a la guardia della
città, e
a
l'
entrate
continuamente di dì e di notte per tema della
città. E poi il seguente dì
Azzo se n'andò con sua
gente
a Lucca e poi
a Modana in Lombardia. Il
contado
di
Firenze in verso il ponente ove
Castruccio
guastò e
corse rimase tutto
diserto, e le genti scampate
rifuggiti in
Firenze per gli
disagi ricevuti v'
adussono
infermità e mortalità grande, la quale s'apiccò
a' cittadini; e tutto quello
anno ebbe ne la
città grande
mortalità di gente sì fatta, che s'ordinò che banditore
non andasse per morti, acciò che la gente inferma
non
isbigottisse di tanti morti; e così per le
peccata
de' Fiorentini
seguì la
pestilenzia
a la disaventurata
fortuna ch'egli aveano ricevuta.
L. 10, cap. 320 rubr.Dello stato di Firenze medesimo.
L. 10, cap. 320I Fiorentini essendo in tanta afflizzione di
guerra e
così isprovati dal tiranno
Castruccio loro nimico,
mandarono per soccorso
al re Ruberto
a Napoli e
a'
vicini e
agli amici, ma da nullo n'ebbono sùbito aiuto,
se non da' Samminiatesi
LXXX cavalieri e da'
Colligiani
XXV e
C fanti. E feciono, per paura che non
valicasse
Castruccio da l'altra parte de la
città, afforzare
la rocca di
Fiesole, però che n'avea
minacciati i
Fiorentini, e avea grande volontà di riporre
Fiesole
per assediare meglio la
città; e avrebbelo fatto,
se' signori
Ubaldini l'avessono seguito, come aveano
promesso.
E ancora per paura di
Castruccio i Fiorentini
feciono afforzare la
badia di Samminiato
a Monte, e
in
ciascuno luogo misono gente e guernigione; e ancora
per tema che gli sbanditi non facessono raunata
né
rubellazione dentro
a la
città o di fuori d'alcuno
castello feciono ordine e
dicreto che
ciascuno potesse
uscire di
bando chente e per che misfatto si fosse,
pagando
al Comune certa piccola gabella, salvo quegli
delle case
escettati per Ghibellini o Bianchi rubelli.
E feciono capitano di
guerra messer Oddo da Perugia,
ch'era venuto per lo suo Comune capitano, e
messer Guasta da Radicofani
a la guardia de la
città.
E così come gente ismarrita e sconfitta si
sostentaro,
intendendo solamente
a la guardia della
città, ogni
onori
abandonando.
L. 10, cap. 321 rubr.Come il conte Ugo da Battifolle ritolse certo contado
a' Fiorentini in Mugello.
L. 10, cap. 321Nel detto
anno, in calen di ottobre, essendo ancora
i Fiorentini in tanto affanno e
pericolo, il
conte
Ugo figliuolo
del
conte
Guido da Battifolle riprese
per suoi
cinque popoli e villate di sotto
ad Ampinana
in Mugello, i quali s'erano
renduti più tempo addietro
al Comune di
Firenze, e
succedeano
al Comune
di ragione per compera fatta quando s'ebbe Ampinana,
secondo che si diceva. Onde il popolo di
Firenze
forte si tennero gravati dal
conte Ugo, e
maggiormente
perch'era stato il padre e egli amico, e faccendo
sì fatta
novità veggendo i Fiorentini in tanta
aversità: con tutto che il detto
conte dicea ch'erano
suoi per retaggio e di ragione, opponendo che la
vendita che fece il
conte Manfredi quando vendé
Ampinana fu solamente per lasciare il castello di fatto
a Fiorentini, e voleala commettere di ragione in
giudice comune, ma per lo modo sconcio non s'acettò
per gli Fiorentini. Ma ragione o non ragione ch'avesse
il
conte, fue condannato per l'
esecutore degli
ordinamenti de la giustizia,
a l'uscita
del mese di dicembre
del detto
anno, in libbre
XXXm,
a condizione
se non avesse
ristituiti i detti popoli ne lo stato primo
infra
X dì; la qual cosa perciò non fece, e rimase
in
bando e in
contumace
del Comune di
Firenze,
con tutto che fosse
sostenuta sua parte in
Firenze
per suoi amici e
parenti grandi e popolani. Ma poi
a
la venuta
del
duca in
Firenze il
conte Ugo il venne
a
servire in persona con
XX cavalieri e
CC pedoni per
III mesi; per la qual cosa il
duca il fece cancellare di
bando, ma i più de' Fiorentini ne furono
crucciosi.
L. 10, cap. 322 rubr.Come Castruccio venne a oste a Prato.
L. 10, cap. 322Nel detto
anno,
a dì
XVIIII d'ottobre,
Castruccio
con sua oste venne intorno
a Prato,
istandovi
a campo
per
VIIII dì,
guastandolo intorno intorno, e poi
per pioggia non potéo per la
via diritta tornare
a
Signa;
ma
a dì
XXVIII d'ottobre si tornò in Pistoia, e
poi l'altro dì ritornò in
Signa; e
a dì
XXX d'ottobre fece
ancora da
due parti correre sua gente infino
a
Rifredi,
e di là da Arno infino
a Grieve; e simigliante
fece
a dì
III di novembre, faccendo ardere infino
a
Giogoli. E poi
a dì
V di novembre cavalcò con sua
oste, forse con
VIIc cavalieri e
MD pedoni, in Valle di
Marina; e
albergòvi una notte, faccendo grandissimo
guasto. I Fiorentini sentendo com'era
entrato in forte
passo, e che i
Mugellesi erano raunati
a la
Croce
a
Combiata per
ripararlo che non passasse in Mugello,
sì vi cavalcarono
CC cavalieri e
IIm pedoni per
richiudergli
il passo dinanzi di là da la pieve
a
Calenzano;
e fatto l'avrebbono per lo
stretto e forte luogo, se
non che per ispie infino di
Firenze gli fu fatto assapere;
onde si ricolse e uscì
del passo, anzi che la gente
de' Fiorentini vi giugnesse, e
andonne
a
Signa
a
salvamento, e con gran preda, e con
CXXX pregioni;
e
a più
dispetto de' Fiorentini fece battere moneta
picciola in
Signa co la
'mpronta dello 'mperadore
Otto, e chiamarsi i castruccini.
L. 10, cap. 323 rubr.Come Castruccio tornò in Lucca con grande trionfo per la
sua vittoria.
L. 10, cap. 323Nel detto
anno
Castruccio guasto e arso sì
fattamente
il
contado di
Firenze e quello di Prato per lo
modo che detto è di sopra, avendo tra più volte avuti
più pregioni, e maggiore preda che non ebbe alla
sconfitta, e quasi inestimabile, lasciata guernita
Signa
degli usciti di
Firenze e di
CCC cavalieri, e rimandati
al vescovo d'
Arezzo
CCC suoi cavalieri ch'avea avuti
continui
a la detta
guerra, ricchi delle prede de' Fiorentini,
a dì
X di novembre si tornò in Lucca per fare
la festa di
Sammartino con grande trionfo e gloria,
vegnendoli incontro grande processione, e tutti quegli
della
città, uomini e donne, sì come
a uno re; e
per più
dispregio de' Fiorentini si fece andare innanzi
il
carro
colla campana che' Fiorentini aveano nell'
oste, coperto i buoi dell'arme di
Firenze, faccendo
sonare la campana, e dietro
al
carro i migliori pregioni
di
Firenze, e messer
Ramondo con torchietti accesi
in mano
ad offerere
a sa Martino. E poi
a tutti
diede
desinare, che furono da
cinquanta de' maggiorenti,
e le
'nsegne reali
del Comune di
Firenze
a ritroso
in su il detto
carro: e poi gli fece rimettere in
pregione,
gravandoli d'incomportabili taglie, faccendo
loro fare
tormenti e grandi
misagi sanza niuna
umanità; e alquanti de' più ricchi per fuggire i
tormenti
si ricomperarono grande somma di moneta. E
di certo
Castruccio trasse de' nostri pregioni e de'
Franceschi e forestieri presso
a
Cm fiorini d'oro, onde
fornì la
guerra.
L. 10, cap. 324 rubr.Come i Fiorentini essendo in male stato si providono
di moneta e di gente.
L. 10, cap. 324Nel detto
anno e mese,
intrante novembre, i Fiorentini,
veggendosi in grandi spese e in così
pericolosa
guerra, non si
disperarono, ma francamente s'
argomentarono
a lloro difensione, e ordinarono e feciono
nuove gabelle, che montarono
LXXm fiorini d'oro
l'
anno, oltre
a quelle che prima aveano, che montavano
CLXXXm fiorini d'oro, per fornire la detta
guerra
castruccina; e mandarono per cavalieri in Alamagna
e
a Padova, e feciono riporre e afforzare il
poggio di Combiata e quello di
Montebuono, acciò
che
Castruccio non potesse valicare in Mugello né in
Valle di Grieve; e mandarono
CC cavalieri in aiuto
a'
Bolognesi, onde furono capitani messer Amerigo
Donati e messer
Biagio Tornaquinci; ch'allora fu uno
grande fatto
a' Fiorentini, essendo col nimico tiranno
a l'uscio,
a mandare soccorso
a l'amico. Lasceremo
al presente
del male stato de' Fiorentini, e diremo
delle aversità che ne' detti tempi avennero
a' Bolognesi
per la forza de' tiranni di Lombardia.
L. 10, cap. 325 rubr.Come i Bolognesi furono sconfitti da messer Passerino
signore di Mantova e di Modana.
L. 10, cap. 325Nel detto
anno,
del mese di luglio, i Bolognesi feciono
oste per contastare la raunata di messer
Passerino
signore di Mantova e di Modana e degli altri tiranni
di Lombardia ch'erano nel
contado di Modana,
acciò che non potessono mandare aiuto
a
Castruccio
né
al borgo
a San
Donnino; ma più per tema
che non
entrassono nel loro
contado; e però non
mandarono aiuto
a l'oste de' Fiorentini che
CC cavalieri.
E sentita loro partita, la raunata di Modana sì
valicarono la
Scoltenna, e intorno
a Modana feciono
danno assai per più cavalcate, e tornarsi in Bologna.
Ma come i Fiorentini furono sconfitti ivi
a pochi dì,
cioè
a dì
XXX di settembre, ribelli di Bologna di casa
Galluzzi e' figliuoli di Romeo de'
Peppoli,
colla forza
di messer
Passerino rubellarono
a' Bolognesi il castello
di
Monteveglio
a la montagna. I Bolognesi vi
cavalcaro, popolo e cavalieri, e
puosonvi l'assedio, e
richiesono tutti i loro amici di
Toscana e di
Romagna,
e rifeciono il fosso che si chiama la
Mucia, di
qua dalla
Scoltenna, che tiene dal monte
al pantano,
per loro sicurtade, ed erano l'oste de' Bolognesi bene
XXIIc di cavalieri co le loro cavallate, e bene
XXXm pedoni,
che per comune v'erano quegli della
città. Messer
Passerino fece sua raunata, che vi venne la gente
di messer Cane da Verona con
VIc cavalieri, e' marchesi
d'Esti con
IIIIc, sì ch'avea bene
XVIIIc di cavalieri,
ed erano
a campo di là dal fosso e da la
Scoltenna,
badaluccandosi spesso per fornire il castello e
passare il fosso, e' Bolognesi si teneano francamente.
A l'uscita d'ottobre
Azzo Visconti che se n'andava
a
Milano con sua gente si dimorò in
servigio di messer
Passerino, e ancora
Castruccio gli mandò
CC cavalieri,
sì che con
XXVIIIc di cavalieri furono i tiranni di
Lombardia, quasi i più Tedeschi. I Bolognesi veggendosi
così
stretti, e da l'assedio
del castello non si
voleano partire, ancora mandarono per aiuto. I Fiorentini
non guardando
al loro grande bisogno mandarono
loro
CC cavalieri, e mandarono pregando per
ambasciadori che si ritraessono e non si mettessono
a battaglia:
fecionsene beffe,
rimprocciando i Fiorentini
di loro viltade. Poi
a dì
III di novembre quegli
di messer
Passerino valicarono la
Scoltenna, e in
parte ruppono il fosso, e
valicarne di loro; ma per
forza dal popolo di Bologna furono
ripinti, e non
poterono fornire il castello.
L. 10, cap. 326 rubr.Di quello medesimo.
L. 10, cap. 326Veggendo messer
Passerino e gli altri capitani che
non poteano passare la raunata, feciono vista di partire
l'oste, e gran parte tornarono
a Modana; poi feciono
vista di porre assedio
al ponte
a Santo Ambruogio.
I Bolognesi lasciarono
a la
rotta
del fosso i
Romagnuoli e' Fiorentini, ch'erano da
Vc cavalieri, e
vennono parte di loro cavalieri verso il ponte. Messer
Passerino e sua gente avendogli spartiti, cavalcarono
astivamente di là da la
Scoltenna verso il castello,
e' Bolognesi da la loro parte seguendo; ma prima
di Bolognesi giunsono i loro nimici ov'era stata la
rottura
del fosso e più
fiebole; e' Romagnuoli e' Fiorentini
che v'erano
a guardia mandando
a la cavalleria
di Bologna per aiuto, lentamente vi vennono. La
gente di messer
Passerino per forza valicarono il passo,
e cominciarono la battaglia. I Bolognesi veggendo
l'assalto poco ressono, ma incontanente si misono
a la fugga, e que'
cotanti che ressono, che furono i
Romagnuoli e' cavalieri de' Fiorentini e usciti di Modana,
furono malmenati, che più di
CCCL a cavallo e
più di
MD a piè vi rimasono tra presi e morti. I Bolognesi
piccolo
danno v'ebbono
a comparazione de la
loro grande oste, che' cavalieri si fuggirono verso
Bologna, e il popolo
a le montagne e
a' loro castelli;
ma da
XXVII de' buoni de la terra e la loro podestà vi
rimasono presi, e messer
Malatestino e
quattro de'
migliori usciti di Modana capitani. E questa sconfitta
fu
a piè di
Monteveglio venerdì dopo nona, dì
XV di
novembre.
L. 10, cap. 327 rubr.Come messer Passerino signore di Mantova e di
Modana venne a oste a la città di Bologna.
L. 10, cap. 327I Bolognesi tornarono in Bologna con grande vergogna
e con grande
danno, e messer
Passerino con
gli altri Lombardi valicarono il fosso de la
Muccia, e
tutti vennono
ad oste sopra Bologna, e puosonsi
al
borgo
a Panicale in sul fiume
del
Reno, e tolsono
l'acqua
a le loro mulina, vegnendo infino
a le porte
di Bologna, e salirono in su Santa Maria
a Monte di
sopra
a uno miglio
a la
città. Il popolo di Bologna
a
furia voleano uscire fuori, ma da loro capitano furono
ritenuti, acciò che non compiessono la loro
infortuna
d'essere
afatto isconfitti, e perdessono la terra;
ma si misono
a la difensione della
città, e più assalti
ebbono
a la
città da' Lombardi; e se non fosse l'aiuto
de' forestieri si perdea la terra.
A la fine vi feciono
correre
III pali, uno messer
Passerino, e uno
Azzo, e
uno i marchesi. E sentendo che la gente della Chiesa,
da
MD cavalieri, erano venuti verso Reggio, si levarono
da oste dì
XXIIII di novembre, e tornarono in Modana;
ma prima ebbono il castello di
E così mostra
che lle infortunate pianete di Saturno e di Marte
ci
attenessono la 'mpromessa delle loro congiunzioni
istate in questo
anno di tante battaglie e
pericoli in
questo nostro paese e altrove, come per noi è fatta e
farà menzione.
L. 10, cap. 328 rubr.Come Castruccio fece trattare falsa pace co' parenti
fiorentini de' suoi pregioni.
L. 10, cap. 328Nel detto anno MCCCXXV, dì VII di novembre, i
Fiorentini furono in grande sospetto dentro tra lloro,
temendo l'uno dell'altro di tradigione, e spezialmente
di certi grandi e popolani possenti, i quali aveano
loro figliuoli e fratelli in pregione a Lucca: sì feciono
uno dicreto sotto grande pena, che nullo cittadino
ch'avesse pregione a Lucca potesse essere castellano
di nullo castello, o vicaro di lega o di gente, o richesto
a nullo consiglio di Comune; però che sotto colore
di pace, a petizione e mossa de' pregioni, teneano
trattati con Castruccio contra il volere delli altri cittadini;
e non fu sanza gran pericolo, se non che per
gli savi cittadini fue riparato.
L. 10, cap. 329 rubr.Dell'assedio e perdita di Montemurlo.
L. 10, cap. 329
Nel detto tempo,
a dì
XVIII di novembre, ancora
la gente di
Castruccio vennono scorrendo e guastando
infino
a
Giogoli sanza nullo riparo, per ispaventare
i Fiorentini; e
a dì
XXIIII di novembre
Castruccio
ritornò
a
Signa con suo isforzo; e
a dì
XXVII di novembre
si puose all'assedio
al castello di Montemurlo,
e
fecevi intorno più battifolli, e il dì seguente ebbe
per
patti la fortezza degli Strozzi che si chiamava
Chiavello, e
fecela abattere e tagliare dal piè, e l'altro
dì ebbe per forza la torre
a
Palugiano ch'era de' Pazzi,
e
morirvi più di
XXX uomini, e
fecela disfare. E
stando all'assedio di Montemurlo lo
steccò tutto intorno,
e con più
difici vi gittava, e fece cavare il castello
da la parte de la rocca, e fece cadere molto de
le
mura. Dentro v'erano per castellani Giovanni di
messer
Tedici degli
Adimari e Neri di messer
Pazzino
de' Pazzi con
CL buoni fanti di masnade; il castello
era molto fornito di vittuaglia, ma male fornito
d'arme e di gente
a sì grande circuito e
a tanto affanno
di battaglie e di
difici e di cave; e più volte mandarono
per soccorso
a
Firenze, almeno che fossono
forniti di gente che dentro gli atasse
a la guardia.
Queglino che ll'aveano affare, ch'erano all'uficio della
condotta de' soldati, per negrigenzia, overo per
miseria di spendio, s'
indugiarono tanto
a fornirlo
che quando vollono non ebbono il podere, né altro
soccorso non si fece per gli Fiorentini; e si potea fare,
che più volte
Castruccio non v'avea
IIIc cavalieri,
e per le grandi
nevi e freddure molto
straccata la sua
gente; ma la viltà e la disaventura era tanta de' Fiorentini,
e con esso la
discordia, che no· ll'ardirono
a ssoccorrere
quando si potea. Quegli
del castello veggendosi
abandonati da' Fiorentini, avendogli per più
volte richesti di soccorso, e veggendo per le cave cadere
le
mura, e per gli molti
difici fragellati, sì cercarono
loro
patti con
Castruccio, e renderono il castello
a dì
VIII di gennaio
MCCCXXV, salve per persone,
con ciò che ne potessono trarre, e salvi i terrazzani
che vi volessono dimorare; con tutto che malvagiamente
trattò i terrazzani, che quasi tutti gli sperse, e
recolla
a gente di masnade
a la guardia,
rafforzando
il castello molto di rocca e
girone di
mura e di torri,
e
murò di fuori la fronte: la quale
perdita fu grande
vergogna e sbigottimento
a' Fiorentini, e fece aspra
guerra
al
contado di
Firenze e
a quello di Prato.
L. 10, cap. 330 rubr.Di gente che mandò 'l re Ruberto a' Fiorentini.
L. 10, cap. 330Nel detto
anno, il dì di calen di dicembre, giunsono
in
Firenze
CCC cavalieri che cci mandò il re Ruberto
di Puglia, la metà
a nostro soldo. Furono
cattiva
gente, e niente di bene ci adoperaro. Che se
a la
loro venuta fossono stati valorosi,
coll'altro aiuto de'
Fiorentini e loro masnade poteano di
leggere levare
l'assedio da Montemurlo, ma o per loro viltà, o per
comandamento
del re, conoscendo la infortuna de'
Fiorentini, non vollono fare una cavalcata, ma istarsi
in
Firenze
a la guardia della terra.
L. 10, cap. 331 rubr.Della sconfitta che' Pisani ebbono in mare in Sardigna
dal re d'Araona, e come feciono pace.
L. 10, cap. 331Nel detto
anno
MCCCXXV, in calen di dicembre,
si partirono di Porto Pisano
XXXIII galee, le quali i Pisani
aveano armate per soccorrere e fornire Castello
di
Castro in Sardigna, ed erano gran parte degli usciti
di
Genova
al loro soldo, e amiraglio messer
Guasparre
d'
Oria; e
a dì
XXVIIII di dicembre si combatterono
coll'armata
del re d'
Araona nel
golfo di
Calleri,
ch'erano
XXXI galea, e
XL barche
imborbottate, e
VII cocche.
A la fine de la
dura battaglia l'armata de'
Pisani furono sconfitti, e prese de le loro
VIII galee, e
molta gente morta e presa. I Pisani avendo perduta
ogni speranza di potere soccorrere Castello di
Castro,
cercarono accordo col re d'
Araona, e mandargli
loro ambasciadori in su una
galea con
lettere e
messi
di nostro signore lo papa.
A la fine la pace si compié,
che' Pisani renderono
a re di Raona Castello di
Castro
e ogni fortezza ch'aveano in Sardigna, e egli gli
quetò della
rendita
del tempo che l'aveano tenuta,
poi ch'egli ne fu eletto signore, e l'uno
a l'altro renderono
i pregioni, e
piuvicossi in
Pisa la detta pace
a
dì
X di giugno
MCCCXXVI.
L. 10, cap. 332 rubr.Come la gente di Castruccio ch'erano in Signa corsono
infino a la città di Firenze.
L. 10, cap. 332Nel detto anno MCCCXXV, a dì X di dicembre, le
masnade di Castruccio ch'erano in Signa, intorno di
CC cavalieri, corsono infino a San Piero a Monticelli,
e venienne infino a le porte di Firenze: uscì una masnada
di Fiamminghi a combattere con loro; e se per
lo capitano della guerra fossono seguiti, aveanne la
vittoria; ma per lo soperchio di gente furono rotti e
malmenati da quegli di Castruccio. In Firenze si levò
il romore, e sonarono le campane, e popolo e cavalieri
furono in arme e uscirono fuori, e corsono infino
a Settimo sanza ordine niuna. I nimici per lo soperchio
si ritrassono a Signa sanza danno niuno; e la
gente de' Fiorentini, ch'erano più di VIIIc cavalieri e
popolo innumerabile, si tornarono la sera di notte in
Firenze. La tratta fu gagliarda e di volontà, ma male
ordinata, e per gli savi di guerra fu forte biasimata;
che se Castruccio fosse stato in aguato pur con Vc cavalieri,
avea sconfitti i Fiorentini, e presa combattendo
la città.
L. 10, cap. 333 rubr.
Come i Fiorentini stanziarono di dare la signoria de
la città e contado al duca di Calavra figliuolo del re
Ruberto.
L. 10, cap. 333Nel detto
anno,
a dì
XXIIII di dicembre, i Fiorentini
veggendosi così affritti dal tiranno e in male stato,
e con questo male ordinati e peggio in concordia,
per cagione de le parti e
sette tra' cittadini, e vivendo
in paura grande di
tradimento, temendo di
coloro
ch'aveano i loro figliuoli e frategli pregioni in Lucca,
i quali erano possenti e grandi in Comune, e la forza
del nimico era ogni dì
a le porte per lo battifolle di
Montemurlo e di
Signa; i popolani guelfi, che reggeano
la
città col
consiglio di gran parte de' grandi e
possenti, non veggendo altro iscampo per la
città di
Firenze, sì
elessono e ordinarono signore di
Firenze
e
del
contado
Carlo
duca di Calavra, primogenito
del re Ruberto re di Gerusalem e di Cicilia, per tempo
e
termine di
X anni, avendo la signoria e aministrazione
de la
città per suoi vicari, osservando nostre
leggi e statuti, ed egli dimorando in persona
a
fornire la
guerra, tenendo fermi
M cavalieri, il meno,
oltramontani;
dovea avere
CCm di fiorini d'oro l'
anno,
pagandosi di mese in mese sopra le gabelle, e avendo
uno mese di venuta e uno di ritorno; e fornita la
guerra, per vittoria o per onorata pace, potea lasciare
uno di sua casa o altro grande barone in suo luogo
con
IIIIc cavalieri oltramontani, e avere
Cm fiorini d'oro
l'
anno. In questa forma con più altri articoli gli si
mandò la lezione
a Napoli per
solenni ambasciadori;
il quale
duca, col
consiglio
del re Ruberto suo padre
e de' suoi zii e d'altri de' suoi baroni, accettò la detta
signoria
a dì
XIII gennaio; e saputa l'
acettagione in
Firenze n'ebbe grande allegrezza, sperando per la
sua venuta essere vendicati e diliberi da la forza
del
tiranno
Castruccio, e messi in buono stato. E partissi
di Napoli per venire
a
fFirenze
a dì
XXXI di maggio
MCCCXXVI.
L. 10, cap. 334 rubr.Come quegli di Bruggia in Fiandra furono sconfitti,
e trassono il loro conte di pregione.
L. 10, cap. 334Nel detto anno MCCCXXV, all'uscita del mese di
novembre, parte della gente di Bruggia in Fiandra
avendosi rubellati dal loro signore, come addietro è
fatta menzione, guerreggiando il paese furono sconfitti
tra Bruggia e Guanto dal conte di Namurro e da
quegli di Guanto, e morti più di VIc. E poi a pochi
giorni quegli del Franco di Bruggia furono sconfitti
dal detto conte e da quegli di Guanto, e rimasorne
morti più di VIIIc; per le quali sconfitte e abassamento
che fu fatto di loro, fu trattato accordo, e quegli
di Bruggia trassono di pregione Luis il giovane loro
conte e loro signore.
L. 10, cap. 335 rubr.
Come lo 'nfante figliuolo del re d'Araona tolse le
decime del papa.
L. 10, cap. 335Nel detto anno, del mese d'ottobre, Anfus detto
infante d'Araona tolse a' collettori del papa che tornavano
di Spagna tutti i danari ricolti di decime e di
sovenzioni; e dissesi che furono CCm di fiorini d'oro
la valuta; onde il papa si crucciò forte. Il re d'Araona
mandò a corte suoi ambasciadori, dicendo come la
detta moneta volea in presto per la guerra di Sardigna,
e volea darne pegno più castella a la Chiesa, e
accordossene col papa.
Del mese di novembre presente VI galee del re
d'Araona ch'andavano in Sardigna si combatterono
con VII di Genovesi, e quelle de' Catalani furono
sconfitte, e presane l'una, con grande danno di loro
gente.
L. 10, cap. 336 rubr.Come i Fiorentini feciono loro capitano di guerra
messere Piero di Narsi.
L. 10, cap. 336Nel detto
anno
MCCCXXV, in calen di gennaio, i
Fiorentini feciono loro capitano di
guerra messer
Piero di
Narsi cavaliere banderese della
contea di
Bari de
Loreno, il quale tornando d'oltremare dal
Sipolcro, il settembre dinanzi per sua prodezza e
valore
volle essere
a la battaglia, ove i Fiorentini furono
sconfitti, ed egli vi fu preso, e 'l figliuolo morto, e di
sua gente assai; e tornato lui di pregione per sua redenzione,
fu eletto capitano; e presa lui la signoria,
con molta prodezza e sollecitudine si resse, tenendo
Castruccio assai
corto de la
guerra, e per suo senno
fece trattato con certi conastaboli di suo paese ch'erano
con
Castruccio di fare uccidere
Castruccio e di
rubellargli
Signa e
Carmignano, e tornare da la parte
de' Fiorentini con più di
CC cavalieri. Iscoperto per
Castruccio il detto trattato,
a dì
XX di gennaio fece
tagliare la testa
a
III conastaboli,
due Borgognoni e
uno Inghilese, e
VI Tedeschi, che teneano mano
al
tradimento, per la qual cosa molto si turbarono i soldati
e masnade di
Castruccio; e diede commiato
a
tutti i Franceschi e Borgognoni ch'avea, intra gli altri
a messere
Guiglielmo di
Noren ch'avea traditi i Fiorentini,
ed era di quella giura, onde molto si
scompigliaro
le masnade di
Castruccio.
L. 10, cap. 337 rubr.Come per gli Ghibellini de la Marca fu presa la
Roccacontrada.
L. 10, cap. 337Nel detto anno, a dì XII di gennaio, quegli di Fabbriano
con gente ghibellina de la Marca e masnade
d'Arezzo presono per tradimento con forza il castello
della Roccacontrada, e uccisonvi molti di quegli
che teneano la parte della Chiesa, pur de' maggiori
de la terra, uomini e donne e fanciugli.
L. 10, cap. 338 rubr.
Come Castruccio arse San Casciano e venne infino
a Peretola, e poi arse e abandonò Signa.
L. 10, cap. 338Nel detto anno, a dì XXX di gennaio, messer Piero
di Narsi capitano di guerra in Firenze cavalcò a Signa
con IIIIc cavalieri subitamente, e tornò la sera;
poi per gelosia di perdere la fortezza vi venne Castruccio
in persona a dì III di febbraio, e menonne
presi VII conastaboli tra a cavallo e a piè. E per questa
cagione de la cavalcata di messer Piero, e per dispetto
di ciò, avendo i Fiorentini per niente, Castruccio
tornò in Signa con VIIc cavalieri e IIm pedoni
a dì XVIIII di febbraio, e cavalcò a Torri in Valdipesa,
e guastò e arse tutta la villa levando gran preda; e
poi a dì XXII di febbraio fece un'altra cavalcata infino
a San Casciano, e arse il borgo e tutta la contrada, e
la sera tornò in Signa. Il capitano de' Fiorentini co'
cavalieri ch'avea cavalcò il dì in sul poggio di Campaio;
ma se fossono iti a la Lastra per lo piano, e preso
il passo, Castruccio e sua gente erano sconfitti: si
tornarono straccati e male in ordine per l'affanno e
lungo cammino ch'aveano fatto il giorno.
L. 10, cap. 339 rubr.Di quello medesimo.
L. 10, cap. 339E poi,
a dì
XXV di febbraio,
Castruccio per fare
più onta
a' Fiorentini venne con
VIIIc cavalieri e
IIIm
pedoni infino
a
Peretola, e incontanente si tornò in
Signa, ma per ciò di
Firenze non uscì uomo
a la difesa.
E poi,
a dì
XXVIII di febbraio, ricolta sua gente fece
ardere
Signa e tagliare il ponte sopra l'Arno, e
abbandonò
la terra, e ridussesi
a
Carmignano, e quello
fece crescere e afforzare, e riducere
a la guardia de'
rubelli di
Firenze e di
Signa e di tutta la contrada. La
cagione perch'
abandonò
Signa si disse perché gli era
di gran
costo
a
mantenerla, e di grande rischio,
quando i Fiorentini fossono stati
valorosi, essendo
così di presso
a la
città, e sentendo come il
duca s'aparecchiava
di mandare gente
a
fFirenze, temendo
che la gente che tenea in
Signa non fosse
soppresa.
Ma bene ebbe tanto
ardire
Castruccio e tanto gran
cuore, che istando in
Signa
cercò con grandi maestri
se si potesse alzare con
mura il corso
del fiume d'Arno
a lo
stretto della pietra
Golfolina per fare allagare
i Fiorentini, ma trovarono i maestri che 'l
calo d'Arno
da
Firenze infino là giù era
CL braccia, e però lasciò
di fare la 'mpresa.
L. 10, cap. 340 rubr.Come i Bolognesi feciono pace con messer Passerino.
L. 10, cap. 340Nel detto
anno, in calen di febbraio, i Bolognesi
feciono pace con messer
Passerino signore di Mantova
e di Modana, e per
patti riebbono tutti i loro castelli
e fortezze e
Monteveglio, perché furono sconfitti,
e tutti i loro pregioni: e per
sicurtà della pace
diedono
XL stadichi, giovani garzoni figliuoli di buoni
uomini di Bologna.
L. 10, cap. 341 rubr.Come certe masnade d'Arezzo furono sconfitte da
quelle de' Perugini.
L. 10, cap. 341Nel detto anno, a dì XVII di febbraio, CCC soldati
del vescovo d'Arezzo ch'erano a la Città di Castello,
andando a guastare il castello de la Fratta, si scontrarono
colle masnade de' Perugini, e combattersi insieme
aspramente; e se non fosse ch'era presso a notte
grande dammaggio si faceano insieme. A la fine quegli
d'Arezzo n'ebbono il peggiore.
L. 10, cap. 342 rubr.Come la gente de la Chiesa, capitano messer Vergiù
di Landa, cominciaro guerra a Modana.
L. 10, cap. 342Nel detto
anno,
a dì
X di marzo, messer
Vergiù di
Landa venne sopra Modana con
VIIIc cavalieri di
quegli della Chiesa, e ripuose
Sassuolo; e poi
del mese
di maggio prese
Castelvecchio, e più castelletta e
villaggi de'
Modanesi. E' Fiorentini vi mandarono in
aiuto della Chiesa
CC cavalieri; e con questa gente e
co' figliuoli di messere
Ghiberto da
Coreggia messer
Vergiù vinse per forza,
a dì
XV di giugno
MCCCXXVI,
l'isola di
Sezzana ch'era steccata e guernita di bertesche,
e
avevavi
CC cavalieri e
IIIm pedoni
a guardia
per lo signore di Mantova, i quali furono sconfitti, e
presa la fortezza
del ponte
a Borgoforte di qua da
Po, iscorrendo il mantovano con grande
danno de'
ribelli della Chiesa. E poi
a dì
II di luglio presono
per forza gli
antiporti e' borghi di Modana, ch'erano
affossati e steccati; e' cavalieri de' Fiorentini furono
de' primai ch'
entrarono
a l'antiporta, e poco
fallì che
non ebbono la
città; e stettono tutto luglio
a l'assedio
di Modana tenendola molto
stretta.
A l'uscita di luglio
messer
Passerino
colla lega de' Ghibellini di
Lombardia per tema di perdere Modana si partirono
dall'assedio d'uno castello de' marchesi
Cavalcabò in
chermonese, e feciono
al
Po ponte di
navi. Messer
Vergiù e sua gente sentendo il soperchio de' nimici
misono fuoco ne' borghi di Modana e se ne partiro,
e tornarono
a Reggio, e guastarla intorno.
L. 10, cap. 343 rubr.Come 'l vescovo d'Arezzo fece disfare Laterino.
L. 10, cap. 343Nell'anno MCCCXXVI, del mese di marzo, il vescovo
d'Arezzo fece disfare il castello di Laterino, che
non vi rimase pietra sopra pietra, e eziandio fece tagliare
il poggio in croce, acciò che mai non vi si potesse
su fare fortezza; e tutti gli abitanti fece andare
in diverse parti, ch'erano bene Vc famiglie; e ciò fece
per dispetto degli Ubertini, e acciò che nol potessono
rubellare, perché sentì che alcuno di loro venne a
Firenze per trattare di dare il detto Laterino a' Fiorentini
e allegarsi co· lloro, però che 'l vescovo gli
avea cacciati d'Arezzo, perch'egli cercavano in corte
col papa che 'l proposto d'Arezzo, ch'era degli Ubertini,
avesse il vescovado d'Arezzo.
L. 10, cap. 344 rubr.
Come i Ghibellini della Marca corsono la città di
Fermo, e ruppono la pace ordinata colla Chiesa.
L. 10, cap. 344Nel detto anno, a dì XXVI di marzo, essendo trattato
accordo da quegli della città di Fermo colla
Chiesa, e quegli della terra faccendone festa e ballando
per la città uomini e donne, quegli d'Osimo con
certi caporali ghibellini de la Marca, non piaccendo
loro l'accordo, entrarono nella città e corsonla, e uccisonne
de' caporali che voleano l'accordo, e nel palagio
del Comune misono fuoco, essendovi il consiglio
per lo detto accordo compiere; e molta buona
gente vi morì, e furono arsi e magagnati.
L. 10, cap. 345 rubr.Come Castruccio con sua gente cavalcò in Creti e
infino a Empoli.
L. 10, cap. 345Nel detto
anno
Castruccio, avendo di poco avuta
la
castellina di
Creti, che uno de'
Frescobaldi che ll'
avea in guardia per moneta la rendé, sì si distese
poi
Castruccio e sua gente per lo
Creti, e diede battaglia
a Vinci e
a cCerreto e
a
Vitolino, e passò Arno
infino
a
Empoli. E poi
a dì
V d'
aprile ebbe il castelletto
di Petroio sopra
Empoli, e quello
guernì: e co
la
castellina gran
danno faceano alla strada e
a tutto
il paese. Ma poi
a dì
XXV di giugno
abandonò Petroio
e disfecelo, per tema della venuta
del
duca d'Atene
e gente
del re Ruberto.
L. 10, cap. 346 rubr.Come il vescovo d'Arezzo fu privato dello spirituale
per lo papa, e come fu eletto legato per venire in Toscana.
L. 10, cap. 346Nel detto anno, a dì XVII d'aprile, papa Giovanni
in concestoro di tutti i cardinali apo Vignone dispuose
il vescovo d'Arezzo de' Tarlati dello spirituale
del vescovado, e concedettelo in guardia al proposto
della chiesa d'Arezzo, ch'era degli Ubertini; ma
per ciò non lasciò, e non ubbidette a' mandati del
papa. E in quello concestoro elesse il papa per legato
in Toscana e terra di Roma, per richesta e petizione
de' Fiorentini e del re Ruberto, messer Gianni Guatani
degli Orsini dal Monte cardinale, e fecelo paciaro
in Toscana, acciò che mettesse consiglio e pace
nelle discordie di Toscana, dandogli grande autoritade
di procedere spiritualmente a chi fosse disubbidiente
a la Chiesa.
L. 10, cap. 347 rubr.Come si ricominciò guerra in Romagna.
L. 10, cap. 347Nel detto
anno
MCCCXXVI,
del mese d'
aprile, si cominciò
guerra in
Romagna tra Forlì e
Faenza, e rubellossi
per gli Ghibellini il castello di
Lucchio. Quegli
di
Faenza e' Guelfi l'assediaro, e' Ghibellini di
Romagna e di Lombardia vi vennono
a fornirlo con
gran forza; e di
Firenze e di
Toscana v'andò gente in
servigio de' Guelfi.
A la fine per accordo s'
arrendé
a'
signori di
Faenza.
L. 10, cap. 348 rubr.Come Castruccio cavalcò in su quello di Prato, e fece
fare una fortezza al ponte Agliana.
L. 10, cap. 348Nel detto anno, del mese d'aprile, Castruccio
avendo molto molestati i Pratesi, e sostenea uno battifolle
fatto in Valdibisenzo chiamato Serravallino, e
un altro presso a l'Ombrone verso Carmignano, sì ne
puose un altro a ponte Agliana tra Prato e Pistoia
per guerreggiare i Pratesi, e perché i Pistolesi potessono
lavorare le loro terre: le quali fortezze furono
tutte abandonate e disfatte alla venuta del duca d'Attene
luogotenente del duca di Calavra.
L. 10, cap. 349 rubr.Come Azzo Visconti fece guerra a' Bresciani, e tolse
loro più castella.
L. 10, cap. 349Nel detto tempo, del mese di marzo e d'aprile,
Azzo Visconti co le masnade di Milano fece gran
guerra a' Bresciani, e tolse loro più castella e fortezze.
L. 10, cap. 350 rubr.
Come messer Piero di Narsi capitano de' Fiorentini
fu isconfitto da la gente di Castruccio, e poi mozzo il
capo.
L. 10, cap. 350Nel detto tempo,
a dì
XIIII di maggio, messer Piero
di
Narsi capitano di
guerra de' Fiorentini per fare
alcuna valentia innanzi che la gente
del
duca venisse,
si
cercò uno trattato con certi conastaboli borgognoni
e di suo paese ch'erano con
Castruccio, d'avere il
castello di
Carmignano; e segretamente, sanza
sentirlo
niuno Fiorentino, si raunò di tutte le masnade
CC
de' migliori cavalieri e con gente
a piè da
Vc, e subitamente
si partì di Prato, e passò l'Ombrone scorrendo
la contrada; il quale da' detti conastaboli fu
tradito, ch'eglino
colla gente di
Castruccio aveano
messo inn aguato in
due luogora
IIIIc cavalieri e popolo
assai, e uscirono adosso
al detto messer Piero e
sua gente, il quale co' primi combattendo vigorosamente,
e ruppegli; ma poi sopravegnendo l'altro
aguato, fu rotto e sconfitto e preso, egli e messer
Ame di
Guberto e messer
Utasso, conostaboli franceschi,
e bene
XI cavalieri di corredo, e
XL scudieri
franceschi e gente
a piè assai; onde in
Firenze n'ebbe
gran dolore, con tutto se n'avesse colpa per la sua
troppa
sicurtà e non volere
consiglio. Avuta questa
vittoria
Castruccio, venne in Pistoia e fece tagliare la
testa
al detto messere Piero,
opponendogli come gli
avea giurato, quando si
ricomperò di sua pregione,
di non essergli incontro; ma non fu vero, che messer
Piero era leale cavaliere e
pro', e di lui fu gran
dammaggio;
ma
fecelo morire
Castruccio per crescere
più l'onta de' Fiorentini, e per
ispaurire i Franceschi
loro soldati.
L. 10, cap. 351 rubr.Come il duca d'Atene venne in Firenze vicaro del
duca di Calavra.
L. 10, cap. 351Nel detto anno MCCCXXVI, a dì XVII di maggio,
giunse in Firenze il duca d'Atene e conte di Brenna
con IIIIc cavalieri, per vicario del duca di Calavra, e
tutte le signorie fece giurare sotto la signoria del duca
di Calavra e sua; e cassò tutte lezioni fatte de'
priori per lo innanzi, e' primi priori a mezzo giugno
fece a sua volontà. Il detto signore mandò il re Ruberto
innanzi, perché il granduca indugiava più sua
venuta, per cagione dell'armata ch'aparecchiava per
mandare in Cicilia; e i detti cavalieri vennono a mezzo
soldo del re, e l'altro mezzo del Comune di Firenze.
E quello tanto tempo che 'l detto duca d'Atene
tenne la signoria, ciò fu infino a la venuta del duca di
Calavra figliuolo del re, la seppe reggere saviamente
e fu signore savio e di gentile aspetto, e menò seco la
moglie figliuola del prenze di Taranto e nipote del re
Ruberto: albergò a casa de' Mozzi Oltrarno; e a dì
XXII di maggio fece piuvicare in Firenze lettere papali,
come la Chiesa avea fatto il re Ruberto vicario
d'imperio in Italia vacante imperio.
L. 10, cap. 352 rubr.
Come l'armata del re Ruberto andò in Cicilia, e poi
come tornò in Maremma e nella riviera di Genova.
L. 10, cap. 352Nel detto tempo,
a dì
XXII di maggio, si partì di
Napoli l'armata
del re Ruberto, la quale furono
LXXXX tra
galee e
uscieri e più altri legni
passaggeri
con
M cavalieri; de la quale armata fu ammiraglio e
capitano il
conte
Novello
conte d'Andri e di
Montescheggioso
de la casa
del Balzo; e
a dì
XIII di giugno
arrivarono in Cicilia ne la contrada di
Patti, e guastarono
infino
a
Palermo, e poi nel piano di
Melazzo; e
poi si ricolsono
a
galee, e valicarono per lo Fare, e
guastarono intorno
a
Cattana e Agosta e
Seragosa, e
tornaro infino
a le
mura di Messina; e poi si ricolsono
in
galee, e
rivalicarono per lo Fare sanza contasto
niuno, e
ripuosonsi ancora nel piano di
Melazzo. Allora
il figliuolo di
don
Federigo, che si chiamava il re
Imperio, vi cavalcò con
VIIc cavalieri; ma il
conte s'era
già ricolto con suo stuolo
a
galee, sì che non v'ebbe
battaglia, ma grandissimo
danno e guasto feciono
all'isola di Cicilia. Poi,
a dì
XIIII di luglio, tornati all'
isola di
Ponzo, e
rinfrescati di vittuaglia, si partirono,
e com'era ordinato di venire nella riviera di
Genova
e in
Lunigiana, la detta armata per
guerreggiare
gli usciti di
Genova e
Castruccio da quella parte, e 'l
duca verso
Firenze; e partendosi, arrivarono in Maremma,
e
a dì
XX di luglio scesono in terra, e presono
per forza il castello di
Magliano, e quello di
Colecchio,
e più altre villate de'
conti da Santa Fiore,
levando grandi prede con grande
danno de' detti
conti. Poi si partirono di Maremma, e lasciarono
guernito
Magliano di
C cavalieri per
guerreggiare i
detti
conti; si partirono e arrivarono
a
Portoveneri, e
là s'accozzarono
coll'oste de' Genovesi per
racquistare
le terre della riviera e fare
guerra
a
Castruccio, ma
poco v'aprodaro di
racquistare fortezza niuna, se
non che arsono per forza combattendo i borghi di
Lievanto e poi quegli di Lerice; e
bistentando nel
golfo della Spezia, non s'ardirono di scendere in
Lunigiana,
però che
Castruccio v'era guernito di molti
cavalieri e pedoni, e 'l
duca di Calavra non era ancora
uscito
ad oste sopra quello di Lucca, com'era fatta
l'ordine; sì che stando e operando invano,
a l'uscita
di settembre si dipartì la detta armata, e' Genovesi
tornarono in
Genova, e' Provenzali in
Proenza, e
l'altre
a Napoli; ma il
conte
Novello scese in Maremma,
e con
C cavalieri venne
al
duca di Calavra ch'era
in
Firenze.
L. 10, cap. 353 rubr.Come il legato del papa arrivò in Toscana e venne
in Firenze.
L. 10, cap. 353Nel detto
anno
MCCCXXVI messere
Gianni degli
Orsini cardinale e legato per la Chiesa arrivò
a
Pisa
in su
V galee de' Pisani
a dì
XXIII di giugno, e da' Pisani
gli fu fatto grande onore, con tutto che in grande
guardia e gelosia erano, sentendo in
Firenze il
duca
d'Atene. E in quegli giorni
IIIIc cavalieri provenzali,
gentili uomini, vennono per
mare in su
X galee
di
Proenza
a
Talamone per venire in
Firenze. Istando
il legato in
Pisa,
Castruccio gli mandò
lettere, dicendo
in tinore che con tutto che lla fortuna l'avesse
fatto ridere s'acconciava di volere pace co' Fiorentini;
ma furono parole vane e infinte,
a quello che
seguì
poi. Dimorato il legato in
Pisa alquanti giorni, si
venne in
Firenze
a dì
XXX di giugno, e da' Fiorentini
fu ricevuto onorevolemente quasi come papa, e fattogli
dono di
M fiorini d'oro in una coppa. Albergò
a
Santa
Croce
al luogo de' frati minori, e
a dì
IIII di luglio
piuvicò la sua legazione, e com'era legato e paciaro
in
Toscana, e nel
Ducato, e nella Marca d'Ancona,
e in Campagna e terra di
Roma, e nell'isola di
Sardigna, faccendo per sue
lettere amonizione
a tutte
le
città e signori di sua legazione che 'l
dovessono
ubbidire e dare aiuto e favore.
L. 10, cap. 354 rubr.Come IIIc cavalieri di quegli del signore di Milano
furono sconfitti a Tortona.
L. 10, cap. 354Nel detto tempo, a dì XXVIIII di giugno, IIIc cavalieri
di quegli di Galeasso signore di Milano con popolo
assai uscirono di Pavia, e vennono per guastare
Tortona; e guastando la contrada, e sparti d'intorno
di Tortona, uscirono CL cavalieri di quegli del re Ruberto
e della Chiesa, e tutti quegli della terra per comune,
e sconfissongli con danno di loro, e assai morti
e presi.
L. 10, cap. 355 rubr.
Come Tano da Iegi sconfisse gente de' Ghibellini
de la Marca, e come in Rimine fu fatto uno grande tradimento.
L. 10, cap. 355Nel detto tempo, all'entrante di luglio, gente di
Fabbriano e altri Ghibellini de la Marca, intorno di
CCCL cavalieri e popolo assai, essendo cavalcati per
prendere o guastare il castello di Murro, Tano signore
d'Iegi coll'aiuto de' Malatesti di Rimine vennono
al soccorso di Murro subitamente, e trovando sparti
e sproveduti gl'inimici, gli misono in isconfitta con
grande danno di loro. Essendo messer Malatesta con
sua gente al detto Murro, messer Lamberto, figliuolo
di Gianniciotto suo cugino, per signoreggiare Rimine
sì ordinò uno laido tradimento, sì come pare costume
di Romagnuoli; che fece invitare messer Ferrantino
e 'l suo figliuolo suoi consorti, e a tavola mangiando
co· llui gli fece assalire con arme, e prendere e
ritenere, e quale di loro famiglia si mise a la difensione
di loro signori fu morto e tagliato; e poi ciò fatto,
corse la terra faccendosene signore. Sentendo ciò
messer Malatesta ch'era a Murro, subitamente cavalcò
con sua gente e con sua amistà a la città di Rimine,
e là giugnendo fece tagliare una porta coll'aiuto
de' suoi amici d'entro, e corse la terra, e riscosse i
pregioni suoi cugini. Il traditore messer Lamberto
veggendo la forza di messer Malatesta non si mise a
difensione, ma fuggendo a gran pena scampò nel castello
di Santangiolo in loro contrada.
L. 10, cap. 356 rubr.
Come il duca venne in Siena, ed ebbe la signoria V
anni.
L. 10, cap. 356Nel detto anno, a dì X di luglio, il duca di Calavra
con sua baronia e cavalieri entrò nella città di Siena,
e da' Sanesi fu ricevuto onorevolemente. Trovò la
terra molto partita per la guerra ch'era intra' Tolomei
e' Salimbeni, che quasi tutti i cittadini chi tenea
coll'uno e chi coll'altro; e' Fiorentini temendo per
quella discordia che la terra non si guastasse, e parte
guelfa non prendesse altra volta per la detta discordia,
sì mandarono per loro ambasciadori pregando il
duca che per Dio non si partisse della terra infino
che non gli avesse acconci insieme, e avesse la signoria
della città; e 'l duca così fece, che tra le due case
Tolomei e Salimbeni fece fare triegua con sofficiente
sicurtà V anni, e fecevi molti cavalieri novelli, e dimorovvi
infino a dì XXVIII di luglio; e in questa dimoranza
tanto s'adoperò tra per paura e per amore,
come sono le parti nella città divise, gli fu data la signoria
di Siena per V anni sotto certo modo e ordine,
e per questa stanza del duca in Siena, volle da' Fiorentini
oltre a' patti XVIm fiorini d'oro, onde i Fiorentini
si tennono male appagati.
L. 11, cap. 1 rubr.
Qui comincia lo XI libro, il quale conta de la venuta
in Firenze di Carlo duca di Calavra figliuolo del re
Ruberto, per la cui venuta fu cagione che lo re eletto
de' Romani venne de la Magna in Italia.
L. 11, cap. 1
Carlo
duca di Calavra e primogenito
del re Ruberto
re di Gerusalem e di Cicilia
entrò nella
città di
Firenze
mercolidì all'ora di mezzodì, dì
XXX di luglio
MCCCXXVI, co la
duchessa sua moglie e figliuola di
messere
Carlo di
Valos di
Francia, cogl'infrascritti signori
e baroni, cioè messer
Gianni fratello
del re Ruberto
e
prenze de la Morea
colla donna sua, messer
Filippo dispoto di
Romania e figliuolo
del
prenze di
Taranto nipote
del re, il
conte di
Squillaci, messer
Tommaso di
Marzano, il
conte di
Sansoverino, il
conte di
Chiermonte, il
conte di
Catanzano e quello
di
Sangineto in Calavra, il
conte d'
Arriano, il
conte
Romano di Nola, il
conte di
Fondi nipote di papa
Bonifazio, il
conte di
Minerbino, messer
Guiglielmo
lo Stendardo, messer
Amelio dal Balzo, il signore di
Berra e quello di
Merlo, messer
Giuffredi di
Gianvilla,
e messer Iacomo di
Cantelmo, e
Carlo d'
Artugio
di
Proenza, e 'l signore
del
Sanguino, e messer Berardo
di siri
Grori d'Aquino, e messer
Guiglielmo signore
d'
Ebole, e più altri signori e cavalieri
francesci
e provenzali e catalani e
del Regno e napoletani, i
quali furono in quantità, co' Provenzali che vennono
per
mare, da
MD cavalieri, sanza quegli
del
duca d'Atene,
ch'erano
IIIIc;
intra' quali tutti avea bene
CC cavalieri
a sproni d'oro, molto
bella gente e nobile, e
bene
a cavallo, e in arme, e in arnesi, che bene
MD
some
a muli
a campanelle aveano. Da' Fiorentini fu
ricevuto con grande onore e processione; albergò
nel palagio
del Comune di costa
a la
Badia, ove solea
stare la podestà, e sì tenea ragione; e la signoria e le
corti de la ragione andò
a stare in Orto
Sammichele
ne le case che furono de' Macci. E nota la grande
impresa de' Fiorentini, che avendo avute tante afflizzioni
e
dammaggi di persone e d'avere, e così rotti
insieme, in meno d'uno
anno col loro
studio e danari
feciono venire in
Firenze uno sì fatto signore, e con
tanta baronia e cavalleria, e il legato
del papa, che fu
tenuta grande cosa da tutti gl'Italiani, e dove si seppe
per l'universo
mondo. E dimorato il
duca in
Firenze
alquanti dì, sì mandò per l'amistà. I Sanesi gli
mandarono
CCCL cavalieri, i Perugini
CCC cavalieri, i
Bolognesi
CC cavalieri, gli Orbitani
C cavalieri, i signori
Manfredi da
Faenza con
C cavalieri, il
conte
Ruggieri mandò
CCC fanti, e 'l
conte Ugo in persona
con
CCC fanti, e la cerna de' pedoni
del nostro
contado;
e per tutti si
credette che facesse oste; e l'
apparecchiamento
fu grande, e fece imporre
a' cittadini
ricchi
LXm fiorini d'oro. Poi, quale si fosse la cagione,
non procedette l'oste: chi disse perché il re suo padre
non volle, sentendo che tutti i tiranni di Lombardia
e di
Toscana s'apparecchiavano di venire in aiuto
a
Castruccio per combattere col
duca; e chi disse che
l'ordine fatto per lo
duca sì dell'armata e sì d'altri
trattati, e ancora i Fiorentini molto stanchi delle spese,
non era bene
disposta la materia; e per alcuno si
disse che
Castruccio era stato in trattato di pace col
legato e col
duca, e sotto il trattato trasse suoi
vantaggi
da la lega de' Ghibellini di Lombardia, e si fornì;
e così ingannò il
duca, e tornò invano la 'mpresa;
e
a questa
diamo più fede, che fummo presenti; con
tutto che molti dissono che se 'l
duca fosse stato
franco signore, avendo tanta baronia e cavalleria,
sanza porsi
a soggiornare nella sua venuta né
a Siena
né
a
Firenze, e
del mese di luglio e d'
agosto che
Castruccio
fu forte malato, avendo cavalcato verso Lucca,
avea vinta la
guerra
a ccerto.
L. 11, cap. 2 rubr.Di quistioni che 'l duca mosse a' Fiorentini per
istendere sua signoria.
L. 11, cap. 2Poi
a dì
XXVIIII d'
agosto sequente il
duca volle dichiarare
co' Fiorentini la sua signoria, e allargare i
patti, spezialmente di potere liberamente fare priori
a sua volontà, e simile ogni signoria e ufici e guardia
di castella e in
città e in
contado, e
a potere
a sua volontà
fare
guerra e pace, e rimettere in
Firenze isbanditi
e ribelli, nonistante altri
capitoli; e fecesi
riconfermare
la signoria per
X anni, cominciandosi in calen
di settembre,
MCCCXXVI. E in questa
mutazione
ebbe grande gelosia in
Firenze, però che' grandi e'
potenti per rompere gli ordini della giustizia
del popolo
si raunarono insieme, e voleano dare la signoria
libera
al
duca e sanza
termine, e niuno salvo; e ciò
non faceano né per amore né fede ch'
al
duca avessono,
né che
a lloro piacesse sua signoria per sì fatto
modo, ma solamente per disfare il popolo e gli ordini
della giustizia. Il
duca sopra cciò ebbe savio
consiglio,
e tenne col popolo, il quale gli avea data la signoria,
e così s'
aquetò la
città, e' grandi rimasono di
ciò molto
ispagati.
L. 11, cap. 3 rubr.Come il cardinale piuvicò processo contra Castruccio
e 'l vescovo d'Arezzo.
L. 11, cap. 3Nel detto tempo,
a dì
XXX d'
agosto, il legato cardinale,
veggendo che
Castruccio e 'l vescovo d'
Arezzo
l'aveano tenuto in parole dell'accordo e fare i suoi
comandamenti, sì piuvicò nella piazza di Santa
Croce,
ove fu il
duca e tutta sua gente e' Fiorentini e' forestieri
contra' detti, aspri processi contra
Castruccio,
sì come scomunicato per più casi, e
sismatico e
fautore degli
eretici, e persecutore de la Chiesa, privandolo
d'ogni sua dignità, e che ogni uomo lui e sua
gente potesse offendere in avere e persone sanza
peccato,
iscomunicando chi gli
desse aiuto o favore;
e il vescovo d'
Arezzo de'
Tarlati scomunicò per simile
modo, e 'l privò
del vescovado, dello spirituale e
temporale.
L. 11, cap. 4 rubr.Del fallimento della compagnia degli Scali di Firenze.
L. 11, cap. 4Nel detto tempo, a dì IIII d'agosto, fallì la compagnia
degli Scali e Amieri e figliuoli Petri di Firenze,
la quale era durata più di CXX anni, e trovarsi a dare
tra cittadini e forestieri più di IIIIc migliaia di fiorini
d'oro; e fue a' Fiorentini maggiore sconfitta, sanza
danno di persone, che quella d'Altopascio, però che
chi aveva danari in Firenze perdé co· lloro; sì che da
ogni parte il detto anno i Fiorentini sì di sconfitte, sì
di mortalità, sì di perdita di possessioni arse e guaste,
e sì di pecunia, ebbono grande persecuzione; e
molte d'altre buone compagnie di Firenze per lo fallimento
di quella furono sospette con grande danno
di loro.
L. 11, cap. 5 rubr.Come si murò il castello di Signa per gli Fiorentini.
L. 11, cap. 5Nel detto
anno
MCCCXXVI, dì
XIIII del mese di settembre,
i Fiorentini veggendo che 'l
duca loro signore
non era acconcio di fare oste né cavalcata contra
Castruccio signore di Lucca in quello
anno, sì ordinarono
di riporre ed afforzare
Signa e Gangalandi,
acciò che 'l piano e
contado da quella parte si potesse
lavorare; e così fu fatto, e
Signa fu murata di belle
mura e
alte, e con belle torri e forti, de' danari
del
Comune di
Firenze, e fu fatta certa immunità e grazia
a quale terrazzano vi rifacesse le case; e Gangalandi
s'ordinò di riporre per me' la pieve scendendo
verso l'Arno sopra capo
al ponte: fecionsi i fossi, ma
non si compié allora.
L. 11, cap. 6 rubr.Conta della prima impresa di guerra che 'l duca di
Calavra fece con tra Castruccio.
L. 11, cap. 6Nel detto
anno,
a l'
entrante d'ottobre, il
duca di
Calavra signore di
Firenze
ordinò con
Ispinetta marchese
Malispina ch'egli
entrasse nelle sue terre di
Lunigiana
a
guerreggiare da quella parte
Castruccio, e
soldogli in Lombardia
CCC cavalieri, e il legato di
Lombardia gline
diè
CC di quegli della Chiesa, e
C ne
menò da Verona di quegli di messer Cane suo signore,
e valicò da Parma l'alpi e venne nelle sue terre, e
puosesi
ad assedio
del castello di
Verruca
Buosi, che
Castruccio gli avea tolto. Da l'altra parte in quello
medesimo tempo usciti di Pistoia
a petizione
del
duca,
sanza saputa o
consiglio di niuno Fiorentino, rubellarono
a
Castruccio nell'alpe e montagne di Pistoia
due castella,
Cavignano e
Mammiano.
Castruccio
veggendosi assalire per sì fatto modo, con tutto
che l'
agosto dinanzi fosse stato malato
a
morte d'una
sua gamba, come valente signore, vigorosamente e
con grande sollecitudine s'argomentò
a riparo, che
incontanente fece porre campo e battifolli, overo bastite,
molto forti
a le dette
due castella, ed egli cogli
più della sua cavalleria venne
a Pistoia per fornire la
sua oste, e per istare
a ppetto
al
duca e
a' Fiorentini,
acciò che non potessono soccorrere le dette castella.
Al
duca e
al suo
consiglio parve avere fatta non savia
impresa, ma perché avea
promesso
a quelle castella il
suo soccorso, sì vi mandò la masnada de' Tedeschi,
ch'erano
CC cavalieri, i quali teneano i Fiorentini, e
C
altri soldati con
Vc pedoni, e capitano di loro messer
Biagio de' Tornaquinci di
Firenze, i quali salirono
a
la montagna; ma per forti passi e per grandi
nevi che
vennono in quegli giorni non s'ardirono di scendere
a fornire le castella; e sentendo l'assedio de la gente
di
Castruccio, ch'era grosso, il
duca fece cavalcare
a
Prato quasi tutta sua gente e l'amistadi, che furono
intorno di
IIm cavalieri e pedoni assai. E da Prato si
partì di questa gente messer
Tommaso
conte di
Squillaci con
CCC cavalieri scelti, e co· llui messer
Amerigo
Donati, e messere
Giannozzo Cavalcanti
con
M pedoni, e salirono
a la montagna per pugnare
di fornire per forza le dette castella; e l'altra cavalleria
e popolo ch'era in Prato cavalcarono infino
a le
porte di Pistoia, e poi si puosono
a campo in sul
castellare
del Montale, e stettonvi
III dì attendati; e in
questa stanza fu il più forte tempo di vento e d'acqua,
e
a la montagna di
nevi, che si ricordi di gran
tempo; che per necessitade quelli ch'erano
al Montale,
non possendo tenere le
tende tese,
convenne
che ssi levassono e tornassono in Prato; e levati, tornaro
sanza niuna buona ordine di
guerra per tal modo
che se
Castruccio fosse stato in Pistoia, avrebbono
avuto assai
a ffare. E la gente nostra ch'era
a le
montagne, per lo grande freddo e
nevi appena poteano
vivere, e
falliva loro la vittuaglia sì che per necessità,
e ancora perché
Castruccio con tutta sua
gente vi cavalcò da Pistoia e
rafforzò l'oste e prese i
passi che venieno
a le dette castella, sì che la gente
del
duca in nulla guisa poterono fornire le dette castella,
e furono in aventura d'essere sorpresi; e se poco
avessono atteso che la gente di
Castruccio si fossono
ingrossati e
stesi sopra i passi delle montagne,
non ne scampava mai uno. E pur così ebbono assai
a ffare, e lasciarono per le montagne assai
cavagli e
somieri
istraccati, e
convenne loro per forza tornare
per lo
contado di Bologna. E partita la gente
del
duca,
i detti
due castelli, quegli che v'erano dentro, di
notte si fuggirono; ma gli più di loro furono morti e
presi, e la nostra gente tornarono in
Firenze
a dì
XX
d'ottobre con onta e con vergogna. Avute
Castruccio
le dette castella, sanza tornare in Pistoia o
andarne
a
Lucca, come sollecito e
valoroso signore sì traversò
colla sua oste per le montagne di
Carfagnana e di
Lunigiana, per torre il passo e la vittuaglia
a Spinetta
e alla sua oste. Il detto Spinetta sentendo la venuta
di
Castruccio, e udendo com'egli avea prese le dette
castella, e più, che lle spie non
vere rapportarono come
la gente
del
duca era stata sconfitta
a la montagna,
si ritrasse con sua gente e lasciò la 'mpresa, e ripassò
l'alpe, e ritornò in Parma. E di vero, se poco
più vi fosse dimorato, sì v'era preso con tutta sua
gente. E così la prima impresa
del
duca per non proveduto
consiglio tornò in vano, e con vergogna. E
ciò fatto,
Castruccio fece disfare in
Lunigiana le più
delle fortezze che v'erano, perché non gli si
rubellassono,
e tornò in Lucca con gran trionfo, e fece ardere
e guastare il suo castello di
Montefalcone in su la
Guisciana, e quello
del Montale di Pistoia per avere
meno
a guardare, e perché la gente
del
duca non gli
potessono prendere. Avemo sì lungamente detto sopra
la materia, imperciò che furono
nuovi e diversi
avenimenti di
guerra in pochi giorni. Lasceremo alquanto
de' fatti della nostra
guerra, e diremo di
grandi e
nuove cose ch'avennono in Inghilterra in
quegli medesimi tempi.
L. 11, cap. 7 rubr.Come la reina d'Inghilterra fece oste sopra il re suo
marito, e preselo.
L. 11, cap. 7Egli avenne, come adietro si fece in alcuna parte
menzione, che la reina Isabella d'Inghilterra,
serocchia
del re di
Francia, passò col suo maggiore figliuolo
in
Francia per compiere la pace dal
marito
al
re di
Francia della
guerra di
Guascogna, e per suo
studio vi si diede compimento; e ciò fatto, si
dolfe
al
re suo fratello e
agli altri suoi
parenti
del portamento
disonesto e cattivo che tenea il re
Adoardo secondo
d'Inghilterra suo
marito, il quale co· llei non volea
stare; ma tegnendo vita in avolterio e in lussuria in
più
disonesti modi,
a la
sodotta d'uno messer Ugo il
Dispensiere suo barone, e guidatore
del reame, e
lasciandogli
usare sua
mogliera, la quale era nipote
del
re, e altre donne, acciò che la reina non degnasse vedere;
e sì era delle più belle donne
del
mondo la reina.
Il quale messer Ugo
Dispensiere il nutricava in
questa misera vita, e
del tutto avea
rovesciato in lui il
governo di sé e di tutto il reame, mettendo adietro
quegli di suo lignaggio e tutti gli altri gran baroni, e
la reina e 'l figliuolo recati
a niente. Questo messer
Ugo era di piccolo lignaggio d'Inghilterra, e
Dispensieri
avea nome, però che l'avolo fu
dispensiere
del
re
Arrigo d'Inghilterra, e poi messer Ugo il padre fu
dispensiere
del re
Adoardo primo, padre di questo
re; ma per lo grande uficio e cattività
del re era questo
messer Ugo montato in grande signoria, e avea
l'
anno più di
XXXm marchi di sterlini di
rendita, e tutto
il governo
del reame in mano, e per moglie una
nipote
del re nata di sua
suora; e per la sua disordinata
trascotanza era montato in tanta superbia che si
credea essere re, e la reina e' figliuoli
del re non volea
ch'avessono nulla signoria né stato. Per la qual
cosa la donna non volendo tornare in Inghilterra, se
'l re non cessasse da sé il governo
del detto messere
Ugo il
Dispensiere e de' suoi seguaci, e di ciò fece
scrivere e mandare ambasciatori
al re di
Francia; ma
però niente valse, e de la moglie e figliuolo si mise
a
non calere, sì era amaliato
del
consiglio
del detto
messere Ugo. Per la qual cosa la valente reina, data
per moglie
al figliuolo la figliuola
del
conte d'Analdo,
e con aiuto di moneta
del re di
Francia suo fratello
e d'altri suoi amici,
ordinò in
Olanda ne le terre
del detto
conte d'Analdo una armata di
LXXX tra
navi
e cocche picciole e grandi, e soldò tra d'Analdo e
di Brabante e di
Fiandra
VIIIc cavalieri, e ricolti in su
la detta armata ella e 'l figliuolo co la detta gente, onde
fece capitano messer
Gianni fratello
del
conte
d'Analdo, e partìsi d'
Olanda
del mese di settembre,
gli
anni di Cristo
MCCCXXVI, faccendo
disfidare il
marito e chi 'l seguisse; e fece intendere e dare
boce
in Inghilterra ch'ella fosse
allegata cogli Scotti e nimici
del re, e là
a le
confini d'Inghilterra e di Scozia
farebbe porto co la sua armata per accozzarsi cogli
Scotti.
L. 11, cap. 8 rubr.Di quello medesimo.
L. 11, cap. 8Lo re
Adoardo sentendo l'aparecchiamento
del
navilio e de' cavalieri che gli
venia adosso co la moglie
e col figliuolo, col
consiglio
del detto messer
Ugo si ritrasse con sua gente d'arme verso le
marce
e'
confini di Scozia per non lasciare la detta armata
porre in terra. Ma il capitano de la detta armata
maestrevolemente procedendo, non andarono
al luogo
ove aveano data la
boce, ma puosono
a
Giepsivi
presso di Londra
a
LXX miglia,
a dì
XV d'ottobre
MCCCXXVI. Incontanente ch'ebbono posto in terra, il
popolo di Londra si levò
a romore, e corsono la terra,
gridando: «
Viva la reina e il giovane re, e
muoiano
i
dispensieri e i loro seguaci»; e presono il vescovo
di
Silcestri, ch'era
aguzzetta
del detto messer
Ugo, e tagliargli la testa; e tutti i famigliari e' seguaci
de'
dispensieri che trovarono uccisono; e le case della
compagnia de' Bardi loro mercatanti rubarono e
arsono, e più giorni
durò la
città
ad arme e disciolta
infino
a la venuta della reina; e simile quasi tutti i baroni
d'Inghilterra si ridussono co la reina, e
abandonarono
lo re. E giunta la reina in Londra fu ricevuta
a grande onore, e riformata la terra, non s'intese
ad
altro che perseguitare i
dispensieri e lo re. E in questo
mese fu preso messer Ugo il vecchio, padre di
messer Ugo il giovane il
Dispensiere che guidava il
re, e fu
tranato co le sue armi indosso, e poi impiccato.
E ciò fatto, la reina e 'l figliuolo con sua oste seguirono
il re e messer Ugo infino in
Guales, ch'erano
nel castello chiamato
Carfagli, gli assediarono più
tempo, il quale era molto forte di selve e di marosi.
A la fine s'accordò il re col detto messer Ugo, e comunicarsi
insieme di mai non
abbandonarsi, e armarono
uno
battello, e di notte uscirono
del castello
per
andarsene in Irlanda con uno loro seguace ch'avea
nome il
Baldotto, prete e roffiano, e più altri famigliari.
Ma come piacque
a Dio, non erano sì tosto
infra
mare
XX miglia, che 'l vento e
tempesta di fortuna
e la corrente gli recava
a terra, e questo fu per
più volte; e veggendo che non poteano passare, sì
scesono in terra nel profondo e
salvatico di Gales
per venire
al castello di
Carsigli ov'era il figliuolo
del
detto messer Ugo, quasi con
poca compagnia e
sconosciuti.
Il
conte di Lancastro
cugino
del re, e fratello
di colui
a cui fece tagliare la testa con gli altri baroni,
come inn altra parte facemmo menzione, sì gli
faceva
a sua gente perseguitare il re e messere Ugo
tanto, che gli trovarono presso di Meti in
Guales: gli
sorpresono; e 'l re domandando s'erano amici, dissono
di sì, e che l'aveano per loro signore, e inginocchiarsi
a llui, ma che voleano messer Ugo; allora disse
il re: «Non siete con meco, se voi siete contra
costui»; e lo re tenendo messer Ugo accostato
a llui, e
'l braccio in
collo per
guarentillo, nullo gli ardia
a
porre mano adosso per
prenderlo; ma il capitano di
quella gente sagacemente richiese il re di
parlarli in
segreto per suo grande bene. Il re
iscostandosi da
messer Ugo per parlare
a colui, un altro della compagnia
disse
al detto messere Ugo, se volea scampare
il seguisse; e così fece. Incontanente dal
Guales
il
traviarono per boschi di lungi bene
XXX miglia; e
lo re veggendosi così ingannato si
dolfe molto, ma
poco gli valse; che
cortesemente fu
menato egli e 'l
Baldotto e gli altri ch'erano co· lloro presi. Come il
conte sentì come lo re e sua compagnia erano presi,
sì cavalcò in quella parte, e trovando
traviato messer
Ugo, andò in verso la casa di colui che l'avea preso;
trovando, lo menò; e partito da' compagni, e' prese
la moglie e' figliuoli, e minacciogli d'uccidere, o
gl'insegnassono quegli ch'aveano messer Ugo. Quivi
patteggiò e
vollene il
Gualese libbre
M di sterlini. Incontanente
il
conte lo fece pagare per averlo. E ciò
fatto, furono menati messer Ugo, e 'l
Baldotto suo
prete, e
Sime di Radinghe presi con grandi grida e
molti
corni dinanzi
a la reina, ch'era
ad
Eriforte; e
poco appresso messer Ugo
coll'armi sue
a ritroso fue
tranato, e poi impiccato, e poi tagliata la testa e
squartato, e mandato
ciascuno quartiere in diverse
parti
del reame, e ivi
penduti, e le 'nteriora arse. E
ciò fu
del mese di novembre
MCCCXXVI,
a dì
XXIIII.
E per questo modo la valente reina si vendicò
del
suo nimico ch'avea guasto il re suo
marito e tutto il
reame. Lo re fu
menato per lo
conte di Lancastro
a
Gudistocco, e in quello castello fu tenuto
cortesemente
pregione; poi i baroni raunati
a
parlamento richiesono
lo re ch'egli perdonasse
a la reina e
al figliuolo
e
a chiunque l'avea perseguito, e giurasse e
promettesse di guidare il reame per
consiglio de'
suoi baroni; e se ciò non volesse fare, e' farebbono re
Adoardo suo figliuolo. Lo re aontato de la vergogna
a llui fatta, in nulla guisa volle vedere la moglie né 'l
figliuolo, né dimettere, né perdonare; innanzi volle
essere
disposto re ed essere pregione. Per la qual
cosa i baroni feciono coronare re
Adoardo il terzo
suo figliuolo, e ciò fu il dì della
Candellora,
anno
MCCCXXVI. E la reina veggendo che 'l re no· lle volle
perdonare, né tornare
a esser re, mai poi non fue allegra;
ma come vedova si contenne in dolore, e volentieri
avrebbe
ritratto ciò ch'ella avea fatto. E poi il
detto re
Adoardo stando in pregione, per dolore infermò,
e morìo
del mese di settembre, gli
anni di
Cristo
MCCCXXVII, e per molti si disse che fu fatto
morire; e
dianvi fede. E così i laidi peccati, chi gli segue
contra Idio, hanno mali cominciamenti, e mali
mezzi, e
dolorosa fine. Lasceremo de' fatti d'Inghilterra,
che assai n'avemo detto, e torneremo alquanto
a' nostri di
Firenze e d'Italia.
L. 11, cap. 9 rubr.Come i Parmigiani e poi i Bolognesi diedono la signoria
al legato del papa.
L. 11, cap. 9Nel detto anno MCCCXXVI, in calen di ottobre, il
Comune di Parma diede la signoria al legato del papa
messer Ramondo dal Poggetto cardinale, il qual
era in Lombardia per la Chiesa di Roma, e in Parma
dimorò alquanto con sua corte, e avea a suo comandamento
le masnade de' cavalieri della Chiesa, ch'erano
bene IIIm cavalieri, la maggiore parte oltramontani,
buona gente d'arme; ma poco d'onore o di stato
feciono a santa Chiesa o a sua parte in aquisto di terre,
o danno di nimici ribelli della Chiesa; e di ciò tutta
la colpa si dava al detto legato, che 'l papa vi mandava
moneta infinita, e male erano pagate le masnade,
e nullo bene poteano fare. Poi per iscandalo che'
Bolognesi aveano tra lloro, per simile modo diedono
la signoria a la Chiesa e al detto legato, il quale venne
in Bologna a dì
L. 11, cap. 10 rubr.Come il re Ruberto e 'l duca mosse i primi patti a'
Fiorentini.
L. 11, cap. 10Nel detto
anno,
del mese di dicembre, lo re Ruberto
mandò
al Comune di
Firenze che oltre
al primo
patto che' Fiorentini aveano fatto
al
duca, come
addietro è fatta menzione, volea che' Fiorentini stessono
a pagare la taglia di
VIIIc cavalieri oltramontani;
per gli quali avea mandati in
Proenza e in
Valentinese
e in
Francia, e l'altre
città amici di
Toscana, come
sono Perugini e' Sanesi e l'altre terre d'intorno, acciò
che 'l
duca in su la
guerra fosse meglio acompagnato;
e se ciò non si facesse per gli Fiorentini, mandò
al
duca che si partisse di
Firenze e
tornassene
a Napoli.
Per la quale richesta i Fiorentini si turbarono molto,
imperciò che assai parea loro essere
caricati di spese,
e parea loro, ed era vero, che 'l re
rompéo loro i
patti;
e mal partito aveano di lasciare partire il
duca di
Firenze, e le terre vicine male voleano concorrere alla
spesa, onde il più
del carico tornava sopra il Comune
di
Firenze. Per la qual cosa per lo meno reo
partito i Fiorentini feciono composizione col
duca di
dargli
XXXm fiorini d'oro per gli detti cavalieri, e' Sanesi
ne diedono anche parte, e l'altre piccole terre
d'intorno, ma i Perugini non vollono stare alla spesa.
Ma come s'andasse la spesa, infra uno
anno che 'l
duca era venuto in
Firenze, tra per lo suo
salario e
l'altre spese
opportune che fece portare
a' Fiorentini,
più di
IIIIcL migliaia di fiorini d'oro si trovò speso il
Comune di
Firenze, usciti di gabelle e d'imposte e
libbre e altre
entrate di Comune; che fu tenuta grande
cosa e maravigliosa, e molto se ne
doleano i Fiorentini.
E oltre
a questo, per lo
consiglio de' suoi
aguzzetti savi
del regno di Puglia, si recò
al tutto la
signoria da la piccola cosa
a la grande di
Firenze, e
avilì sì l'uficio de' priori, che nonn osavano fare niuna
cosa quanto si fosse piccola, eziandio chiamare
uno messo; e sempre stava con loro uno de' savi
del
duca, onde
a' cittadini, ch'erano usati di signoreggiare
la
città, ne parea molto male: ma grande sentenzia
di Dio fu che per le loro
sette passate fosse avilita la
loro giuridizione e signoria per più vile gente e men
savi di loro.
L. 11, cap. 11 rubr.Come a le donne di Firenze fue renduto certo ornamento.
L. 11, cap. 11Nel detto anno MCCCXXVI, e del detto mese di dicembre,
il duca a priego che le donne di Firenze fatto
a la duchessa sua moglie, sì rendé a le dette donne
uno loro spiacevole e disonesto ornamento di trecce
grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano in
luogo di trecce di capegli dinanzi al viso, lo quale ornamento
perché spiacea a' Fiorentini, perch'era disonesto
e trasnaturato, aveano tolto a le dette donne, e
fatti capitoli contro a cciò e altri disordinati ornamenti,
come adietro è fatta menzione: e così il disordinato
appetito de le donne vince la ragione e 'l senno
degli uomini.
L. 11, cap. 12 rubr.
Come il papa fece nuovo vescovo d'Arezzo.
L. 11, cap. 12Nel detto anno e mese di dicembre papa Giovanni
fece vescovo d'Arezzo uno degli Ubertini, possenti
e gentili uomini del contado d'Arezzo, acciò che
co' suoi fosse contro a Guido Tarlati disposto per lui
del vescovado d'Arezzo; ma però poco aprodò, ché
'l nuovo eletto, con tutto l'aiuto del papa e del legato
cardinale ch'era in Firenze, non avea uno danaio di
rendita, che tutto il temporale e spirituale d'Arezzo
tenea per forza il detto Guido Tarlati, ed erane
tiranno e signore.
L. 11, cap. 13 rubr.Come Castruccio volle torre a' Pisani Vico loro castello.
L. 11, cap. 13Nel detto
anno
MCCCXXVI,
a dì
V di gennaio,
Castruccio
signore di Lucca essendo nimico di quelli
che reggeano
Pisa, sì
ordinò di torre
a' Pisani il castello
di
Vicopisano, e
mandòvi messer Benedetto
Maccaioni de'
Lanfranchi rubello di
Pisa con
CL cavalieri
di sue masnade, e
Castruccio con gran gente
venne
ad Altopascio per soccorrere, se bisognasse. Il
quale messer Benedetto
entrato la mattina per tempo
per
tradimento in Vico,
corse la terra; ma i terrazzani
levati, presono l'arme, e cominciarsi
a difendere, e
per forza ne cacciarono il detto messer Benedetto e
la gente di
Castruccio, e più di
L ve ne rimasono tra
presi e morti, onde i Pisani
maggiormente s'
inanimarono
contra
Castruccio.
L. 11, cap. 14 rubr.Come più terre di Toscana si diedono al duca.
L. 11, cap. 14Nel detto anno MCCCXXVI, del mese di gennaio e
di febbraio, i Pratesi e' Samminiatesi e quegli di San
Gimignano e di Colle diedono la signoria al duca di
Calavra figliuolo del re Ruberto in certo tempo e sotto
certi patti, salvo che' Pratesi per loro discordia si
diedono a perpetuo al duca e a sue rede.
L. 11, cap. 15 rubr.Di cavalcata fatta sopra Pistoia.
L. 11, cap. 15Nel detto anno, a dì XXI di gennaio, il conte Novello
colla gente del duca, in quantità di VIIIc cavalieri
de la migliore gente, cavalcarono infino a le porte
di Pistoia e ruppono l'antiporto, e poi guastarono e
arsono tutta Valle di Bura, e guastarono le mulina
con grande danno di preda de' Pistolesi.
L. 11, cap. 16 rubr.De' fatti degli usciti di Genova.
L. 11, cap. 16Nel detto anno, a l'entrante di febbraio, gli usciti
di Genova con gente di Castruccio presono il castello
di Siestri; e poi a dì III d'agosto vegnente, anni
MCCCXXVII, i detti usciti per inganno presono il forte
castello di Monaco, e tolsollo al Comune di Genova.
L. 11, cap. 17 rubr.
Dell'estimo fatto in Firenze.
L. 11, cap. 17Nell'anno MCCCXXVII, del mese d'aprile, si trasse
in Firenze uno nuovo estimo ordinato per lo duca, e
fatto con ordine per uno giudice forestiere per sesto,
a la isaminazione di VII testimoni segreti e vicini, stimando
ciò che ciascuno avea di stabile e di mobile e
di guadagno, pagando certa cosa per centinaio del
mobile, e certa cosa per centinaio lo stabile, e così
del procaccio e guadagno. L'ordine si cominciò bene;
ma gli detti giudici corrotti, cui puosono a ragione,
e a cui fuori di ragione, onde grande ramarichio
ebbe in Firenze; e così mal fatto, se ne ricolse LXXXm
fiorini d'oro.
L. 11, cap. 18 rubr.Come la parte ghibellina feciono venire in Italia Lodovico
duca di Baviera eletto re de' Romani.
L. 11, cap. 18Negli
anni di Cristo
MCCCXXVI,
del mese di gennaio,
per cagione della venuta
del
duca di Calavra in
Firenze i Ghibellini e' tiranni di
Toscana e di Lombardia
di parte d'imperio mandarono loro ambasciadori
in Alamagna
a sommuovere
Lodovico
duca di
Baviera eletto re de' Romani, acciò che potessono
resistere
e contastare
a la forza
del detto
duca e de la
gente della Chiesa, ch'era in Lombardia; e con grandi
impromesse il detto
Lodovico con
poca gente
condussono col
duca di Chiarentana insieme
a uno
parlamento
a Trento
a'
confini de la Magna di là da
Verona; e
al detto
parlamento fu messer Cane signore
di Verona con
VIIIc cavalieri, e
andovvi così guernito
di gente d'arme per tema
del detto
duca di
Chiarentana, con cui avea avuta briga per la signoria
di Padova; e fuvi messer
Passerino signore di Mantova,
e uno de' marchesi d'Esti, e messer Marco, e
messer
Azzo Visconti di Milano, e fuvi
Guido de'
Tarlati che si chiamava vescovo d'
Arezzo, e ambasciadori
di
Castruccio e de' Pisani e degli usciti di
Genova e di
don
Federigo di Cicilia, e d'ogni caporale
di parte d'imperio e Ghibellini d'Italia. Nel quale
parlamento prima si fece l'accordo di triegua dal
detto
duca di Chiarentana
a messer Cane di Verona.
Apresso,
a dì
XVI di febbraio, il detto eletto re de'
Romani, il quale volgarmente Bavero era chiamato
da
coloro che non voleano essere scomunicati, sì
promise e
giurò nel detto
parlamento di passare in
Italia, e venire
a
Roma sanza tornare in suo paese; e'
detti tiranni e ambasciadori de' Comuni ghibellini gli
promisono di dare
CLm fiorini d'oro come fosse
a Milano,
salvo ch'
a la detta lega non si
legarono i Pisani,
ma cercavano da parte di
dargli danari assai, acciò
che promettesse di non
entrare in
Pisa. E nel detto
parlamento piuvicò non
dovutamente papa Giovanni
XXII essere
eretico e non degno papa, apponendogli
sedici articoli incontro; e ciò fece con
consiglio di
più vescovi e altri prelati e frati minori e predicatori
e
agostini, i quali erano sismatici e ribelli di santa
Chiesa per più diversi casi, e co· lloro era il maestro
della
magione degli Alamanni, e tutta la
sentina degli
apostici e sismatici di
Cristianità. E intra gli altri più
forte e maggiore
capitolo che opponesse contro
al
detto papa sì
rinovò la quistione mossa in
corte che
Cristo nonn ebbe propio, dicendo come il papa e la
chericia amavano propio, ed erano nimici de la santa
povertà di Cristo, e intorno
a cciò più articoli di
scandalo in fede; e piuvicamente egli scomunicato, e
simile i suoi prelati, continuo facea celebrare l'uficio
sacro, e scomunicare papa Giovanni; e per
diligione
il chiamavano il papa prete Giovanni, onde grande
errore se ne commosse in
Cristianità. E ciò fatto,
a dì
XIII di marzo, si partì da Trento con
poca di sua gente,
e poveramente e bisognoso di danari, che in tutto
non avea
VIc cavalieri: e per le montagne ne venne
a
la
città di Commo, e poi di là venne e
entrò in Milano,
a dì
d'
aprile
MCCCXXVII.
L. 11, cap. 19 rubr.Come l'eletto di Baviera detto Bavero si fece coronare
in Milano.
L. 11, cap. 19E poi,
a dì
XXXI di maggio,
anni di Cristo
MCCCXXVII, il dì della Pentecosta, quasi all'ora di nona,
si fece coronare in Milano il detto Bavero della
corona
del ferro nella chiesa di Santo Ambruogio
per mano di
Guido de'
Tarlati
disposto vescovo d'
Arezzo,
e per mano di
di quegli di casa Maggio
disposto
vescovo di Brescia, e scomunicati; e già l'arcivescovo
di Milano,
a cui pertenea la coronazione,
non vi volle essere in Milano. E
a la detta coronazione
fu messer Cane signore di Verona con
VIIc cavalieri,
e' marchesi da Esti ribelli della Chiesa con
IIlc
cavalieri, e 'l figliuolo di messere
Passerino signore
di Mantova con
IIlc cavalieri, e più altri caporali di
parte d'imperio e Ghibellini di Italia vi furono; ma
però piccola festa v'ebbe. E rimase in Milano infino
a dì
XII d'
agosto per avere moneta e gente. Lasceremo
alquanto di lui,
incidendo lo suo
avento, per dire
de le
sequele e
novitadi che s'apparecchiarono in Italia
per la detta sua venuta.
L. 11, cap. 20 rubr.Di novitadi che fece il popolo di Roma per l'avento
del Bavero che si chiamava loro re.
L. 11, cap. 20Per la venuta
del detto Bavero eletto re de' Romani,
incontanente, e in quello medesimo tempo, si
commosse quasi tutta Italia
a
novitade; e' Romani si
levarono
a romore e feciono popolo, perché nonn
aveano la
corte
del papa né dello 'mperadore, e tolsono
la signoria
a tutti i nobili e grandi di
Roma e le
loro fortezze; e tali mandarono
a'
confini: ciò fu
messer Nepoleone
Orsini e messer Stefano de la Colonna,
i quali di poco per lo re Ruberto erano fatti
cavalieri
a Napoli, per tema che non
dessono la signoria
di
Roma
al re Ruberto re di Puglia; e chiamaro
capitano
del popolo di
Roma
Sciarra della Colonna
che reggesse la
cittade col
consiglio di
LII popolani,
IIII per rione; e mandarono loro ambasciadori
a
Vignone in
Proenza
a papa Giovanni,
pregandolo
che venisse
colla
corte
a
Roma, come
dee stare per
ragione; e se ciò non facesse, riceverebbono
a signore
il loro re de' Romani, detto
Lodovico di Baviera; e
simile mandarono loro ambasciadori
a sommuovere
o il detto
Lodovico chiamato Bavero; e la mossa loro
fue simulata sotto quella cagione di rivolere la
corte
del papa per
trarne
grascia, come per antico erano
usati; ma poi riuscì con maggiori
sequele come innanzi
si farà menzione. Il papa rispuose
a' Romani
per suoi ambasciadori, ammonendoli e
confortandogli
che non ricevessono il Bavero per loro re, però
ch'egli era
eretico e scomunicato e perseguitatore di
santa Chiesa, e ch'egli
a tempo convenevole, e tosto,
verrebbe
a
Roma. Ma però non lasciarono i Romani
o il loro errore, trattando col papa e col Bavero e col
re Ruberto,
dando
a
ciascuno intendimento di tenere
la
città di
Roma per loro, reggendosi
a signoria di
popolo, e dissimulando quasi
a parte ghibellina e
d'imperio.
L. 11, cap. 21 rubr.Come il re Ruberto mandò il prenze della Morea
suo fratello con M cavalieri ne le terre di Roma.
L. 11, cap. 21Lo re Ruberto, sentendo la venuta
del detto Bavero
in Lombardia, mandò messer
Gianni
prenze de la
Morea suo fratello con
M cavalieri
a l'Aquila per avere
a sua signoria le terre ch'erano in su i passi, e dell'
entrate
del Regno; e ebbe Norcia
del
Ducato
a sua
guardia, e poi la
città di Rieti, ne la quale lasciò il
duca d'Atene con gente d'arme; e poi fornì tutte le
terre di Campagna con rettore che v'era per lo papa,
a sua guardia e de la Chiesa. E poi
credette potere
entrare in
Roma co la forza de' nobili; ma da' Romani
non volle essere ricevuto. Per la qual cosa venne
a
oste
a Viterbo, e
guastogli intorno e prese assai
del
loro
contado, perché non gli vollono dare la terra. E
infra 'l detto tempo che 'l
prenze de la Morea guerreggiava
le terre di
Roma lo re Ruberto mandò in Cicilia
contra
don
Federigo
LXX galee con
Vc cavalieri,
la quale armata partì di Napoli
a dì
VIII di luglio
anni
MCCCXXVII, e all'isola di Cicilia in più parti feciono
danno assai, e presono più legni de' nimici. In questa
stanza
V galee di Genovesi de la detta armata per
mandato
del re Ruberto vennono
a la guardia de la
foce
del fiume
del Tevero, acciò che
grascia e vittuaglia
non
entrasse per la
via di
mare ne la
città di
Roma;
le quali
galee presono la
cittadella d'Ostia
a dì
V
d'
agosto nel detto
anno, e rubarla tutta. Per la qual
cosa il popolo di
Roma
furiosamente e non ordinati
vi corsono parte di loro
a Ostia, e assalendo la terra
molti ne furono fediti e morti di
moschetti di balestri
di Genovesi, e ritornarsi in
Roma. E ciò fatto, i Genovesi
misono fuoco ne la terra e partirsi, e tornarono
a loro
galee; de la qual cosa il popolo di
Roma
molto si turbò contra il re Ruberto, e certi trattati
ch'aveano co· llui d'accordo ruppono; onde il legato
cardinale ch'era in
Firenze n'andò verso
Roma
a dì
XXX d'
agosto nel detto
anno per
riconciliare i Romani
col re Ruberto, e per
entrare in
Roma con messer
Gianni
prenze della Morea e co' nobili di
Roma, che
n'erano fuori
a'
confini; ma il popolo di
Roma nulla
ne volle udire. Onde veggendo che per accordo non
poteano
entrare in
Roma, sì ordinarono d'
entrarvi
per inganno e forza; onde lunidì notte,
a dì
XXVIII di
settembre nel detto
anno, il detto
prenze
[]
L. 11, cap. 22 rubr.Come il prenze della Morea fratello del re Ruberto
e il legato cardinale entrarono in Roma, e furonne cacciati
con onta e danno.
L. 11, cap. 22
[] il legato cardinale degli
Orsini e messer Nepoleone
Orsini feciono rompere le
mura
del giardino
di San Piero de la
città detta Leonina, e
entrarono in
Roma con
Vc cavalieri e altrettanti pedoni; ma messer
Stefano della Colonna non vi volle
entrare; e la
detta gente presono la chiesa di San Piero, e la piazza
e 'l borgo de' rigattieri, e uccisono tutti i Romani
che la notte v'erano
a la guardia, e feciono barre
al
detto borgo verso Castello Santo Angiolo. Ma faccendosi
giorno, la parte de' Romani ch'aveano
promesso
di cominciare battaglia ne la terra
a
ppetizione
degli
Orsini non ne feciono niente, né la gente
del
prenze e
del legato non si trovarono nullo séguito
da' Romani, ma il contradio. Il popolo di
Roma, sonando
la campana di Campidoglio
a
stormo, la notte
furono
a l'arme, e vennero assalire il detto
prenze e
legato e loro gente, e
a le
sbarre fatte ebbe gran battaglia
e fuvi morto uno degli
Anibaldeschi, e altri assai
Romani; ma
a la fine
soprastando il popolo, e
crescendo
in forza da tutte parti, la gente
del
prenze,
ch'erano da
C cavalieri e pedoni assai
a difendere le
sbarre, furono sconfitti e rotti, e
morìvi messer
Giuffrè
di
Gianville, e altri cavalieri intorno di
XX, e
a piè
assai. E ciò veggendo il
prenze e legato, ch'erano
schierati
coll'altra cavalleria nella piazza di San Piero,
feciono mettere fuoco nel detto borgo, acciò che
'l popolo non
premesse loro adosso, ch'altrimenti
tutti erano morti e presi, e si ricolsono salvamente, e
partirsi di
Roma con
danno e disinore, e si ritornaro
ad
Orti; e ciò fu
a dì
XXVIII di settembre. Lasceremo
de' fatti
del re Ruberto e
del
prenze e de' Romani, e
torneremo adietro
a raccontare de' nostri fatti di
Firenze
e di
Toscana e di Lombardia, che furono nell'
avento
del detto Bavero.
L. 11, cap. 23 rubr.Come al duca di Calavra nacque uno figliuolo in
Firenze.
L. 11, cap. 23Nel detto
anno
MCCCXXVII,
a dì
XIII d'
aprile, nacque
in
Firenze uno figliuolo
al
duca di Calavra de la
sua donna figliuola di messer
Carlo di
Valos di
Francia,
il quale fu fatto Cristiano per messer Simone della
Tosa e per
Salvestro
Manetti de'
Baroncelli sindachi
fatti per lo Comune e popolo di
Firenze, e fu
chiamato Martino; e grande festa e armeggiare se ne
fece per gli Fiorentini; ma all'ottavo dì di sua natività
si morì e
soppellì
a Santa
Croce, onde grande
cordoglio
n'ebbe in
Firenze.
L. 11, cap. 24 rubr.Come la città di Modana si rubellò dalla signoria di
messere Passerino di Mantova.
L. 11, cap. 24Nel detto anno, a dì IIII di giugno, il popolo della
città di Modana per trattato del legato di Lombardia
si levò a romore gridando pace, e cacciarne fuori la
signoria e' soldati che v'erano per messer Passerino
signore di Mantova, e acconciarsi col detto legato, rimagnendo
la terra a lloro parte ghibellina, prendendo
signoria dal legato, e rendendo i loro beni agli
usciti loro guelfi, istandone certi caporali a' confini,
e avendo gli amici de la Chiesa per amici, e' nimici
per nimici. E di questo accordo si disse che vi spese
la Chiesa a certi cittadini XVm fiorini d'oro; sì che con
senno e con danari si recarono in pacefico stato i
Modanesi, ch'erano molto aflitti d'assedio e di guerra
e di tirannica signoria.
L. 11, cap. 25 rubr.
Di novità fatte in Pisa per la coronazione del Bavero.
L. 11, cap. 25Nel detto tempo, a l'entrare di giugno, venuta in
Pisa la novella e l'olivo della coronazione del Bavero
in Milano, se ne fece falò e festa per certi usciti di Firenze
e d'altre città, e alcuno popolano minuto pisano
gridando: «Muoia il papa e 'l re Ruberto e' Fiorentini,
e viva lo 'mperadore!». Per la qual cosa
coloro che allora reggeano Pisa, ch'erano i migliori e'
più possenti e ricchi popolani della città, e per setta
nimici di Castruccio, e non voleano la venuta del Bavero,
ma al continuo trattavano col papa e col re Ruberto,
sì cacciarono di Pisa quasi tutti i forestieri
usciti di loro cittadi, e mandarono a' confini de'
maggiori cittadini sospetti al loro stato, e ch'amavano
la venuta del Bavero e la signoria di Castruccio; e
tutti i soldati tedeschi mandarono via e tolsono loro i
cavagli per sospetto; e quasi si teneano più a reggimento
di parte di Chiesa che ghibellina, onde grande
novità ne seguì in Pisa a la venuta del Bavero, sì come
innanzi faremo menzione.
L. 11, cap. 26 rubr.D'uno trattato che 'l duca ordinò per torre la città
di Lucca a Castruccio, e fu discoperto.
L. 11, cap. 26Nel detto
anno
MCCCXXVII il
duca di Calavra signore
di
Firenze avendo
menato segretamente uno
trattato con certi della casa de'
Quartigiani di Lucca
ch'eglino co· lloro seguaci
rubellerebbono la
città di
Lucca
a
Castruccio, per soperchi ricevuti da la sua
tirannesca signoria, e per molta moneta che vi
spendea
il
duca e 'l Comune di
Firenze; e ciò fu ordinato
in questo modo: che la gente
del
duca
doveano cavalcare
in sul terreno e
a l'assedio di Pistoia, e come
Castruccio uscisse de la
città
colla sua cavalleria per
soccorrere Pistoia,
doveano trarre
bandiere e pennoni
dell'arme della Chiesa e
del
duca da più parti della
terra, le quali
insegne erano mandate di
Firenze segretamente;
e levato il romore in Lucca e presa alcuna
porta, la gente
del
duca e de' Fiorentini, che in
buona quantità n'avea
a Fucecchio e nelle terre di
Valdarno, incontanente per cenno
doveano cavalcare
a Lucca, e prendere la terra. E veniva fatto, se non
che lo 'ndugio de la cavalcata de la gente
del
duca si
tardò, e in questo mezzo alcuno de la casa medesima
de'
Quartigiani per viltà e paura lo scoperse
a
Castruccio.
Per la qual cosa
Castruccio subitamente fece
serrare le porte di Lucca, e
corse la terra con sue
genti, e fece pigliare
XXII di casa i
Quartigiani e più
altri, e trovare le dette
insegne. Messer
Guerruccio
Quartigiani con
III suoi figliuoli fece
impiccare co le
dette
insegne
a ritroso, e altri di loro fece propagginare,
e tutti gli altri de la casa de'
Quartigiani, ch'erano
più di
C, gli cacciò de la
città di Lucca e
del
contado. E questo fu
a dì
XII di giugno nel sopradetto
anno. E ciò fu grande sentenzia e giudicio di Dio
che gli detti della casa de'
Quartigiani
anticamente
guelfi furono caporali
a dare la
città e signoria di
Lucca
a
Castruccio, e tradendo i Guelfi, per lui furono
morti e
disertati per lo simile peccato di
tradimento.
E trovato
Castruccio il detto
tradimento, il
quale era con tanti seguaci buoni cittadini di Lucca e
del
contado, non s'ardì
a scoprirlo più innanzi, ma
vivendo in tanta paura e gelosia, che non s'
ardia
a
uscire della
città. E di certo per lo male volere de'
suoi cittadini, e per la forza
del
duca e de' Fiorentini,
tosto avrebbe perduta la terra, se non fosse il soccorso
brieve e venuta
del Bavero, come innanzi farà
menzione.
L. 11, cap. 27 rubr.Come il legato cardinale piuvicò in Firenze i processi
fatti per lo papa sopra il Bavero.
L. 11, cap. 27Nel detto anno MCCCXXVII, il dì de la festa di santo
Giovanni di giugno, messer Gianni Guatano degli
Orsini cardinale, legato in Toscana, a la detta festa
ne la piazza di San Giovanni piuvicò nuovi processi
venuti dal papa contra Lodovico duca di Baviera
eletto re de' Romani, sì come contra eretico e persecutore
di santa Chiesa: e poco appresso dimorò in
Firenze, che n'andò verso Roma per rimuovere i Romani
per lo modo che dicemmo addietro.
L. 11, cap. 28 rubr.Della rubellazione di Faenza in Romagna, il figliuolo
al padre.
L. 11, cap. 28Nel detto
anno,
a dì
VIII di luglio,
Alberghettino
figliuolo di Francesco de' Manfredi signore di
Faenza
rubellò e tolse la signoria de la detta
città di
Faenza
al padre e
a' frategli, e cacciogline fuori, e egli se
ne fece signore; e così mostra che non volesse tralignare
e
del nome e
del fatto di frate
Alberigo suo
zio, che diede le male frutta
a' suoi
consorti,
faccendogli
uccidere e tagliare
al suo
convito, sì che Francesco
Manfredi, che fu
a cciò fare, ricevette in parte
del detto peccato guidardone dal figliuolo.
L. 11, cap. 29 rubr.De' fatti di Firenze.
L. 11, cap. 29Nel detto anno, a dì XI di luglio, la notte vegnente
s'aprese fuoco in Firenze in borgo Santo Appostolo
nel chiasso tra' Bonciani e gli Acciaiuoli, e arsonvi VI
case e 'l palagio di Giotti, sanza danno di persone.
L. 11, cap. 30 rubr.Come il duca e' Fiorentini feciono oste sopra Castruccio,
e presono per forza il castello di Santa Maria
a Monte.
L. 11, cap. 30Nel detto
anno,
a dì
XXV di luglio, si partì l'oste di
Firenze ordinata per lo
duca e per lo detto Comune,
e
rassegnaronsi e feciono mostra la cavalleria ne la
piazza di Santa
Croce; e furono la gente
del
duca
MCCC a cavallo, e' Fiorentini
C caporali con
II o
III
compagni
ciascuno, molto nobile gente e bene in arme
e
a cavallo; e nell'isola dietro
a Santa
Croce si
rassegnarono i pedoni, che furono più di
VIIIm. E
avuta la benedizione dal legato cardinale e date le
'nsegne per lo
duca, si mossono e andarono la sera, e
puosonsi
a campo
a piè di
Signa in su l'Ombrone; e
stettonvi
III dì, che niuno non sapea dove l'oste si
dovesse andare, onde molto si
maravigliavano i Fiorentini;
ma ciò fu fatto cautamente acciò che
Castruccio
non si prendesse guardia ove l'oste si
dovesse
porre, o
a Pistoia, o andare in sul
contado di Lucca,
e acciò che gli
convenisse partire la gente sua in
due parti. E ciò fatto, subitamente di notte si levarono,
e lasciarono tutte le
tende tese infino la mattina
a
terza, acciò che' nimici non s'accorgessono che l'oste
fosse levata, e tutta la notte cavalcarono per lo
cammino
di Montelupo, e l'altro giorno anzi l'ora di nona
passarono la
Guisciana
a uno ponte che fu posto
la detta notte
al passo di
Rosaiuolo; e passati innanzi
CCCC cavalieri ch'erano in Valdarno, e' subitamente
si puosono all'assedio
al castello di Santa Maria
a
Monte. E poi s'agiunse
a la detta oste messer
Vergiù
di Landa con
CCCL cavalieri che mandò il Comune di
Bologna, e legato ed altre amistà, sì che 'l giorno appresso
v'ebbe intorno
MMD cavalieri, e più di
XIIm
pedoni, de la quale oste era capitano il
conte
Novello
di
Montescheggioso e d'Andri, che il
duca era rimaso
in
Firenze con
Vc cavalieri, però che non fu
oste generale, e non era onore
del
duca di porsi
a
oste
a uno castello. Il detto castello era molto forte
di tre gironi di
mura co la rocca, e di vittuaglia assai
fornito, e gente v'avea da
Vc uomini, e non più; però
che temendo
Castruccio che l'oste non andasse
a
Carmignano, vi mandò
CC de' migliori
masnadieri
che fossono in Santa Maria
a Monte. E dato
termine
a quegli
del castello d'
arendersi, non obbedendo,
domenica
a dì
II d'
agosto si diede per la detta oste
la battaglia da più parti
al primo girone di sotto
da' borghi; e' maggiori baroni e cavalieri dell'oste
ismontarono da cavallo, e col pavese in braccio e elmi
in capo si misono sotto le
mura e per li fossi rizzando
scale
a le
mura; e 'l popolo
a piè veggendo ciò
fare
a' cavalieri, feciono maraviglie di combattere; e
fu sì aspra battaglia da ogni parte, che di saettamento
per gli
balestrieri genovesi ch'erano all'assedio, sì
de' Fiorentini e d'ogni altro assalto, che que' d'
entro
non poterono durare; e uno
scudiere
provenzale
ch'avea nome
fu il primaio che salì in su le
mura
co le
'nsegne, e poi molti apresso, il quale dal
duca
fu fatto cavaliere, e donogli
rendita in suo paese. E
ciò veggendo i terrazzani, isbigottiti
abbandonarono
i borghi, e
entrarono nel secondo girone. Ma i Fiorentini
e la gente
del
duca
entrati nel primo girone,
sanza
riposo o indugio incontanente si misono
a
combattere l'altro girone, e simile per forza e con
iscale e con fuoco che misono, con grande affanno il
dì medesimo il vinsono, e quanta gente vi trovarono
dentro piccioli e grandi misono alle spade, se non alquanti
che ricoverarono nella rocca, e 'l castello da
più parti ardendo per lo fuoco prima messo per gli
nostri
a la battaglia, e poi la gente nostra
rubando la
preda, e togliendola gli oltramontani
a' nostri acciò
che no· ll'avessono salva, innanzi metteano i nostri
fuoco nelle case e nella preda. E per questo modo
non vi rimase casa piccola né grande che non ardesse;
e' terrazzani, uomini e femmine e fanciugli ch'erano
scampati e nascosi, non scamparono
del fuoco,
imperciò che molti se ne trovarono morti e arsi. E
ciò fu grande giudicio di Dio e non sanza cagione,
imperciò che quegli di Santa Maria
a Monte sempre
erano stati di parte guelfa, e aveano tradita la terra e
data
a
Castruccio: e gli usciti di Lucca e di loro parte
assai, e de' migliori ch'allora erano nel castello, per
lo detto
tradimento furono dati presi nelle
mani di
Castruccio. E oltre
a cciò
dapoi che si rendé
a
Castruccio,
era stata spilonca di tutte le ruberie e micidi
e
presure e
villani peccati fatti in Valdarno e nel
paese ne la detta
guerra. E poi che la gente nostra
ebbe il castello, si tenne la rocca
VIII dì aspettando
soccorso da
Castruccio, il quale non s'ardì con sua
gente d'uscire di Vivinaia ov'era
a campo, e ciò fue
a
dì
X d'
agosto nel detto
anno; e quegli ch'erano nella
rocca n'uscirono, salve le persone. E avuta la rocca,
l'oste nostra vi dimorò di fuori
a campo
VIII giorni
per
rafforzare la terra e rifare le bertesche e torri e
case, e lasciarla poi guernita di
C cavalieri e
Vc pedoni.
Avemo sì lungamente detto de la
presura
del detto
castello, però ch'era il più forte castello di
Toscana
e meglio fornito, e
ebbesi per forza di battaglia,
per la virtù e
vigoria de la buona gente ch'era ne la
nostra oste, la quale simile
vigoria non si
ricorda fosse
in
Toscana
a' nostri tempi; per la qual cosa
Castruccio
e sua gente forte isbigottiro, e in nulla parte
s'ardivano
a mettere né avisare poi co la nostra gente
e con quella
del
duca.
L. 11, cap. 31 rubr.
Come l'oste de' Fiorentini e del duca ebbono per
forza il castello d'Artimino.
L. 11, cap. 31Avuto il castello di Santa Maria
a Monte, si partì
l'oste de' Fiorentini di là
a dì
XVIII d'
agosto, e passarono
la
Guisciana, e
accamparsi
a piè di Fucecchio, e
quivi dimorarono
due giorni, acciò che
Castruccio
non si potesse avisare ove l'oste
dovesse fedire, o nel
contado di Lucca, o in quello di Pistoia; e ciò fatto,
subitamente
ripassarono la
Guisciana, e andarono
a campo
a
piè
del Cerruglio apresso di Vivinaia, e ivi e
a
Gallena dimorarono per
III dì,
schierandosi e
o trombando e richeggendo di battaglia
Castruccio, il
quale era in sul Cerruglio e
Montechiaro con
VIIIc
cavalieri e più di
Xm pedoni; e sarebbonsi
messi
a
passare e andare in verso Lucca per forza, se non
che lla stanza bisognava grande ispendio e fornimento,
e aveasi
novelle che 'l Bavero detto re de' Romani
di
corto
dovea passare in
Toscana, sì che per lo migliore
consiglio si ritornarono di qua da la
Guisciana,
e sanza restare la detta oste passò Monte
Albano,
e puosonsi
ad assedio
del castello d'
Artimino, il quale
era
rimurato e molto afforzato per
Castruccio, e
bene fornito di
vittuglia e di gente; e stettonvi
ad assedio
III giorni.
Al terzo dì vi diedono la più forte
battaglia tutto intorno che mai si
desse
a castello, e
per gli migliori cavalieri dell'oste; e
durò da mezzodì
infino
al primo sonno de la notte, ardendo gli steccati
e la porta
del castello; per la qual cosa quegli d'
entro
molto impauriti, e di saettamento i più fediti, sì
dimandarono misericordia, e che si voleano
arendere,
salve le persone. E così fu fatto; e la mattina,
a dì
XXVII d'
agosto, si partirono, e renderono il castello;
ma con tutti i
patti, partiti da lloro i cavalieri che gli
scorgeano, molti ne furono morti: e con quella vittoria
l'oste intendeva di seguire e combattere
Carmignano
e Tizzano, e sanza
dubbio gli avrebbono presi
per lo sbigottimento de la battaglia di Santa Maria
a
Monte e d'
Artimino; ma il
duca ebbe ferme
novelle
come il Bavero con sua gente era
a
Pontriemoli, sì
che, acciò che lla sua gente non trovasse
a campo, rimandò
che l'oste tornasse in
Firenze; e così tornò
bene
aventurosamente
a dì
XXVIII d'
agosto
del detto
anno. E nota che poi che 'l
duca venne in
Firenze,
che fu uno dì anzi calen d'
agosto
MCCCXXVI, infino
a
la tornata de la detta oste in
Firenze, che fu pochi dì
più d'uno
anno, si trovò speso il Comune di
Firenze
cogli danari
del
salaro
del
duca più di
Vc migliaia di
fiorini d'oro, che sarebbe gran cosa
a uno ricco reame.
E tutti uscirono delle borse de' Fiorentini, onde
ciascuno cittadino forte si
dolea. Lasceremo alquanto
de' nostri fatti di
Firenze ritornando adietro, dicendo
di quello che 'l Bavero, lui
coronato
a Milano,
fece in Lombardia e poi in
Toscana.
L. 11, cap. 32 rubr.Come il Bavero dispuose della signoria di Milano i
Visconti e misegli in pregione.
L. 11, cap. 32
Coronato in Milano
Lodovico detto Bavero eletto
re de' Romani, come adietro lasciammo, essendo in
Milano e volea moneta come
promessa gli fu
al
parlamento
a Trento,
Galeasso Visconti signore di Milano,
il quale per sua superbia e signoria si tenea maggiore
del detto Bavero in Milano, e avea
a suo soldo
bene
XIIc di cavalieri tedeschi, essendoli
domandata
la detta moneta per lo Bavero, rispuose
arrogantemente
al signore, dicendo come imporrebbe la moneta,
quando gli paresse luogo e tempo. E ciò non
dicea sanza cagione, imperciò che tutti i nobili di
Milano, e eziandio messer Marco suo fratello e gli altri
suoi
consorti, e quasi tutto il popolo di Milano
odiavano la sua
tirannesca signoria per gli soperchi
incarichi e gravezze
a lloro fatte, e volea tutto e non
parte, sì non s'
ardia d'imporre i danari
al popolo; e
se fatto l'avesse non sarebbe ubbidito. E già molti
de' maggiorenti de la sua signoria s'erano
compianti
al Bavero, per la qual cosa il detto signore rimandò
per lo suo maliscalco e sua gente, ch'erano andati
al
soccorso di
Voghiera, e fece parlare
a tutti i conostaboli
tedeschi ch'erano
a messer
Galeasso, e giurare
segretamente
a llui; e venuto il suo maliscalco, il Bavero
raunò uno grande
consiglio, ove fu
Galeasso e'
suoi e tutti i migliori di Milano, e in quello
dogliendosi
del detto
Galeasso e de' suoi, in prima gli fece
rifiutare la signoria, e poi nel detto
consiglio
al detto
suo maliscalco fece pigliare
Galeasso e
Azzo suo figliuolo,
e Marco e
Luchino suoi frategli; e ciò fu
a dì
VI del mese di luglio, gli
anni di Cristo
MCCCXXVII;
per la qual cosa i nobili e 'l popolo di Milano furono
molto allegri e
contenti. E ciò fatto, riformò la terra
di signoria d'uno suo barone vicario col
consiglio di
XXIIII de' migliori di Milano, i quali incontanente
impuosono e ricolsono
Lm fiorini d'oro, e
diedongli
al
detto Bavero. E per questo modo la Chiesa di Dio fu
vendicata de la superbia de' suoi nimici Visconti per
lo suo nimico
Lodovico di Baviera suo persecutore;
sì che
veramente s'adempié la parola di Cristo nel
suo santo Vangelio, ove dice: «Io ucciderò il nimico
mio col nimico mio etc
.».
L. 11, cap. 33 rubr.Come il Bavero, fatto suo parlamento in Lombardia,
passò in Toscana.
L. 11, cap. 33Per la detta
presura di
Galeasso e de' suoi si
maravigliarono
e impaurirono tutti i tiranni ghibellini di
Lombardia e di
Toscana, imperciò che propio lo
studio
e podere e dispendio di
Galeasso, e per suo
consiglio,
il detto Bavero s'era mosso d'Alamagna e venuto
in Lombardia; ed egli prima l'avea abbattuto di
signoria e messo in pregione. Per la qual cosa il detto
Bavero
ordinò di fare uno
parlamento generale
a
uno castello di
bresciana che si chiama
Liorci, e fece
sommuovere e richiedere tutti i caporali di parte
d'imperio di Lombardia e di
Toscana
al detto
parlamento;
e
Galeasso mandò legato in pregione nel castello
di
Moncia; e Marco lasciò, perché
nol trovò in
nulla colpa; e
Luchino e
Azzo gli
tagliò in
XXVm di
fiorini d'oro per loro redenzione, de' quali pagaro
XVIm, e menò seco presi
cortesemente
al detto
parlamento.
E partissi di Milano
a dì
XII d'
agosto nel detto
anno. E
al detto
parlamento fu messer Cane signore
di Verona, e messer
Passerino signore di Mantova,
e Rinaldo de' marchesi d'Esti, e
Guido
Tarlati
disposto vescovo d'
Arezzo, e ambasciadori di
Castruccio
e di tutte le terre di parte d'imperio, nel
quale
parlamento
palesò
lettere di trattato che
Galeasso
mandava
al legato
del papa contra 'l detto Bavero,
per mostrare la cagione perché preso l'avea.
Chi disse che furono
vere, e chi che furono
false. E
nel detto
parlamento in
dispetto di santa Chiesa fece
tre vescovi, uno in Chermona e l'altro in Commo e
l'altro, uno de'
Tarlati,
a la
Città di Castello. E ciò
fatto,
ordinò suo passaggio in
Toscana; e truovasi
ch'ebbe infino allora da' Milanesi e tiranni e terre
ghibelline d'Italia
CCm fiorini d'oro; e
bisognavangli,
però ch'egli e sua gente erano molto poveri di danari.
E partito il detto
parlamento, Marco e
Luchino e
Azzo Visconti si fuggirono e
entrarono nel castello di
Liseo, e poi feciono
guerra
a Milano. Il Bavero venne
a Chermona, e di là passò per lo ponte il fiume
del
Po
a dì
XXIII d'
agosto, gli
anni di Cristo
MCCCXXVII, e venne
al borgo
a San
Donnino con
MD
cavalieri de' suoi, con quegli ch'avea trovati in Milano,
e
CCL di quegli di messer Cane, e
CL di messer
Passerino, e
C di quegli de' marchesi d'Esti; e sanza
nullo contasto passò per lo
contado di Parma le
montagne
apennine, e
capitò
a
Pontriemoli in calen
di settembre nel detto
anno. E sì avea il legato che in
Lombardia era per la Chiesa più di
IIIm cavalieri soldati,
e non si mise
a contastarlo, ch'assai era
leggere
per li forti passi; onde il detto legato molto fu
abbominato
di
tradimento da' fedeli di santa Chiesa di
Toscana, ed
iscusavasi come non avea dal papa i danari
di loro paghe, e però non poteva fare cavalcare
la sua gente.
L. 11, cap. 34 rubr.Come il Bavero si puose ad assediare la città di
Pisa.
L. 11, cap. 34Come il Bavero e la donna sua, la quale era figliuola
del
conte d'Analdo, furono passati in
Toscana,
Castruccio con grande compagnia e grandi
doni
e presenti e
rinfrescamento di vittuaglia andò loro
incontro infino
a
Pontriemoli, e
acompagnogli in più
giorni infino
a Pietrasanta nel
contado di Lucca, e là
s'
arestò, e non volle
entrare in Lucca, se prima non
avesse la
città di
Pisa, la quale da certi che lla reggeano,
i quali erano i più ricchi e possenti di
Pisa e aversari
di
Castruccio, in nulla guisa voleano ubbidire il
detto Bavero per tema di
Castruccio e de le gravezze
de le spese,
dando cagione di non voler fare contra
la Chiesa, imperciò che 'l Bavero era scomunicato, e
non era imperadore con autorità di santa Chiesa; e
ancora non voleano i Pisani rompere pace
al re Ruberto
e
a' Fiorentini. E mandato il Bavero suoi ambasciadori,
non gli lasciarono
entrare in
Pisa, ma si
fornirono di gente e di vittuaglia, e afforzarono la
città, e cacciarne i soldati tedeschi ch'aveano, e tolsono
loro i
cavagli; onde il detto Bavero molto s'
aontò,
e fermossi di non passare più innanzi, se prima non
avesse
Pisa
a suo
comandamento. E in questo intervallo
di tempo
Guido
Tarlati
disposto vescovo d'
Arezzo
si mise mezzano, e venne
a Ripafratta, e mandò
che' Pisani gli
mandasson loro ambasciadori, i
quali vi mandarono tre de' maggiori di
Pisa, ciò fu
messer
Lemmo
Guinizzelli
Sismondi, e messer
Albizzo
da Vico, e ser Iacopo da
Calci; e stati più giorni
in trattato, e accordandosi i Pisani di dare
al Bavero
LXm fiorini d'oro, e s'andasse
a suo
viaggio sanza
entrare in
Pisa; il quale accordo in nulla guisa volle
accettare. E partendosi i detti ambasciadori
a
rotta
del trattato,
Castruccio passò il fiume di Serchio con
gente d'arme, e prese i detti ambasciadori; e poi il
Bavero con sua gente passò simigliante, e il suo maliscalco
con anche gente venne da Lucca, e puosono
oste
a la
città di
Pisa
a dì
VI di settembre, gli
anni di
Cristo
MCCCXXVII, e la persona
del signore si mise
a
Sammichele degli Scalzi.
L. 11, cap. 35 rubr.Come il Bavero ebbe la città di Pisa.
L. 11, cap. 35I Pisani veggendosi traditi de la 'mpresa de' loro
ambasciadori, e così subitamente venuto il Bavero e
Castruccio all'assedio della
città, isbigottirono assai;
ché se ciò avessono creduto, di certo avrebbono prima
mandato per soccorso in
Firenze
al
duca di cavalieri
e di gente, con tutto ch'
a la 'nfinta stessono in
trattato co· llui, e ebbono da' Fiorentini arme e saettamento
assai. Ma veggendosi così assaliti francamente,
ripresono vigore e buono ordine di guardia
della
città,
rimurando tutte le porte, e guardando le
mura. Il secondo dì il Bavero passò Arno, e puosesi
nel borgo di San Marco, e
Castruccio rimase dal lato
de la
città di verso Lucca con sua oste, e poi si
stese
l'oste
a la porta di San
Donnino e
a quella della Legatia
sanza contasto niuno, e in pochi dì feciono uno
ponte di legname dal borgo
a San Marco
a San Michele
de'
Prati, e un altro ne fece fare in su barche
dal lato di sotto
a la Legatia, sì che in pochi giorni
tutta ebbono assediata la
città intorno intorno; ne la
quale oste avea il Bavero, tra di sua gente e di quella
di
Castruccio e d'altri Ghibellini di
Toscana e di
Lombardia,
IIIm cavalieri o più, male
a cavallo, e popolo
grandissimo
del
contado di Lucca e di
Pisa medesimo,
e di quello di
Luni e della riviera di
Genova;
e di presente ebbono Porto Pisano; e poi faccendo
cavalcare per lo
contado co' caporali degli usciti di
Pisa, in pochi giorni ebbe
a suo
comandamento tutte
le castella e terre di
Pisa. Onde ciò sappiendo i Pisani
che teneano la
città, molto isbigottiro: né già però
non mandarono per soccorso
al
duca, se non di moneta,
per pagare i loro soldati ch'erano
a la guardia
della terra, perché non s'ardivano
a fare gravezza
a'
cittadini, perché il popolo
minuto non si levasse contro
a lloro; e 'l
duca vi mandò moneta per
lettere di
compagnie di
Firenze ch'erano dentro, e più ve ne
avrebbe mandati, se non ch'egli sentì ch'eglino stavano
in trattato col Bavero, avegna che
a la
difensa fossono
uniti e feroci. E più assalti e battaglie diede
a le
porte, e fece cavare sotto le
mura, e più
difici strani
levare per dare battaglia
a la
città; ma tutto era niente,
si era forte e bene guernita. E così vi stette il Bavero
all'assedio con grande affanno e con più difalte
più d'uno mese. Ma come piacque
a Dio, per
pulire i
peccati de' Pisani,
disensione nacque tra
coloro che
governavano la terra, e de' primi fu il
conte
Fazio figliuolo
del
conte
Gaddo, giovane uomo, e Vanni di
Banduccio
Bonconti, che per
lettere e
promesse di
Castruccio dissono di volere pace, e gli altri che co· lloro
reggeano la terra, temendo, dissono il simigliante;
e feciono trattato d'acordo, e di
dargli la
città,
LXm fiorini d'oro, rimanendo in loro giuridizione e
stato, e che
Castruccio né' loro usciti non potessono
entrare in
Pisa sanza loro volontà, stando
a'
confini.
E compiuto e giurato per lo Bavero il detto falso accordo,
gli diedono la terra
a dì
VIII d'ottobre, gli
anni
della incarnazione di Cristo
MCCCXXVII al nostro
corso; e la
domenica dì
XI d'ottobre appresso v'
entrò
il Bavero e la donna sua con tutta sua gente paceficamente
sanza nulla
novità fare; e
Castruccio e sua
gente e gli usciti di
Pisa rimasono di fuori. Ma
al terzo
giorno i Pisani medesimi per piacere
al signore, e
per paura, non potendo altro per lo popolo
minuto,
arsono i
patti scritti
del loro trattato, e liberamente
sanza niuno
nisi da capo gli diedono la signoria de la
città, e rivocarono
Castruccio e tutti i loro usciti i
quali di presente tornarono in
Pisa. E nulla
novità
v'ebbe, se non che uno ser
Guiglielmo da
Colonnata,
il qual era stato bargello in
Pisa,
menandolo
al Bavero
uno suo conastabole, e il popolo
minuto gli
venia
gridando dietro, il detto conastabole l'uccise ne la
piazza in presenza
del signore,
credendoli piacere;
per la qual cosa il detto Bavero per mostrare giustizia
fece prendere il detto, ch'avea nome messer
Currado
de la Scala tedesco, e fecegli tagliare il capo, e
fece mandare
bando che ogni maniera di gente potesse
andare e venire sano e salvo per
Pisa e per lo
contado, pagando la gabella di danari
VIII per libbra
d'ogni
mercatantia: e ciò fece perché i mercatanti
non si partissono di
Pisa, e per avere maggiore
entrata,
e i Pisani civanza di moneta. E ciò fatto, fece una
colta sopra i Pisani di
LXm fiorini d'oro per pagare i
suoi cavalieri, e appena fu cominciata di pagare, che
ne puose sopra quella una di
Cm fiorini d'oro per fornire
suo
viaggio
a
Roma; onde i Pisani si tennono
morti e consumati, imperciò che per la
perdita di
Sardigna e per quella
guerra erano molto
assottigliati
d'avere; e chiunque avea niente in
Pisa, si pentea forte
dell'accordo, che di certo se si fossono sostenuti
un altro mese, come poteano, aveano diliberi
del Bavero
loro e tutta Italia, ma dopo volta si
ravidono
co· lloro
danno e struggimento.
Del detto accordo
da' Pisani
al Bavero s'ebbe grande dolore per gli Fiorentini
e per tutti
coloro che teneano
a la parte della
Chiesa, imperciò che come il Bavero era per
istraccarsi
durando l'assedio, per la impresa di
Pisa fu
esaltato e ridottato da tutte genti.
L. 11, cap. 36 rubr.Come quegli che fu vescovo d'Arezzo si partì male
in accordo dal Bavero, e tornando ad Arezzo morì in
Maremma.
L. 11, cap. 36Nel detto
anno
Guido
Tarlati signore d'
Arezzo, e
stato
disposto vescovo, si partì di
Pisa dal Bavero assai
male
contento, per grosse parole e rimprocci avuti
da
Castruccio dinanzi
al detto signore; intra gli altri
rimprocci che
Castruccio il chiamò traditore, dicendo
che quand'egli sconfisse i Fiorentini
ad Altopascio,
e venne con
Azzo Visconti
a
Peretola, se 'l
vescovo d'
Arezzo fosse venuto
colle sue forze verso
Firenze per la
via di Valdarno, la
città di
Firenze non
si potea tenere; e in parte si potea appressare
al vero.
Il vescovo rispuose che traditore era egli ch'avea cacciato
di
Pisa e di Lucca Uguiccione da Faggiuola e
tutti i grandi Ghibellini di Lucca che gli avevano data
la signoria, sì come tiranno, e ch'egli non
dovea
rompere la pace
a' Fiorentini, se non la rompessono
a llui, come avea fatto elli,
rimproverandogli che se
non fossono i suoi cavalieri e danari che gli mandò,
non potea
sostenere l'oste contra i Fiorentini, e per
lui avea vinto. Per questi rimprocci il Bavero non gli
avea fatto onore, né ripreso
Castruccio, onde molto
dispetto prese, e si partì di
Pisa; e quando fu in Maremma,
cadde malato
al castello di
Montenero, nel
quale passò di questa vita
a dì
XXI del mese d'ottobre.
E innanzi che morisse, in presenza di più genti,
frati e
cherici e secolari, o per isdegno preso o per
buona coscienza, si riconobbe sé avere
errato contro
al papa e santa Chiesa, e confessò come papa Giovanni
era giusto e santo, e 'l Bavero, che si facea
chiamare imperadore, era
eretico e
fautore d'
eretici,
e
sostenitore di tiranni, e non giusto né degno signore,
promettendo e giurando (e di ciò
a più notai fece
fare
solenni carte) che se Dio gli rendesse santade,
che sempre sarebbe obediente
a santa Chiesa e
al papa,
e nimico de' suoi ribelli; e con molte
lagrime domandò
penitenzia e misericordia: ebbe i sacramenti
di santa Chiesa, e co la detta contrizione morì; onde
fu tenuto gran fatto in
Toscana. E lui morto, per gli
suoi ne fu portato il corpo
ad
Arezzo, e là sepolto
a
grande onore, come quegli ch'avea molto acresciuta
la
città d'
Arezzo e 'l suo vescovado. Per la sua
morte
l'oste d'
Arezzo e di quegli di Castello, ch'erano con
battifolli
a l'assedio
a Castello di Monte Sante Marie,
se ne partirono come in isconfitta e tornarono
ad
Arezzo; e feciono gli Aretini signori de la terra per
uno
anno
Dolfo e Piero
Saccone da Pietramala.
L. 11, cap. 37 rubr.Come il papa diede alcuna sentenzia contro al Bavero.
L. 11, cap. 37Nel detto anno MCCCXXVII, a dì XX d'ottobre, papa
Giovanni apo Vignone diede ultima sentenzia di
scomunica contro al Bavero, sì come a persecutore
di santa Chiesa e fautore degli eretici, privandolo
d'ogni dignità temporale e spirituale.
L. 11, cap. 38 rubr.Come il Bavero fece Castruccio duca di Lucca e d'altre
terre.
L. 11, cap. 38Nel detto
anno,
a dì
IIII di novembre, il Bavero
per meritare
Castruccio
del
servigio fattogli d'avere
avuta per suo senno e prodezza la
città di
Pisa n'andò
a la
città di Lucca con
Castruccio insieme, e fugli
fatto da' Lucchesi grande festa e onore; e poi il menò
Castruccio in Pistoia per
mostrargli la
città e
contado
di
Firenze, e com'era
a la
frontiera e presso
a
guerreggiare la
città di
Firenze. E tornaro in Lucca
per la festa di san Martino, per la quale con grande
trionfo e onore il detto Bavero fece
Castruccio
duca
de la
città e
distretto di Lucca, e
del vescovado di
Luni, e de la
città e vescovado di Pistoia e di Volterra;
e
mutò arme
a
Castruccio, lasciando la sua propia
della casa degl'
Interminelli col cane di sopra, e
fecelo
armare
a cavallo coverto, e
bandiere
a modo di
duca, col campo
ad oro, e
al traverso una banda
a
scacchi pendenti azzurri e argento, sì come l'arme
propia
al tutto, co' detti
scacchi
del
ducato di Baviera.
E fatta la detta festa, si tornarono in
Pisa
a dì
XVIII di novembre. E in quello brieve tempo che l'avea
presa trasse il Bavero de la
città di
Pisa e
del
contado, che di libbre e che d'imposte,
CLm di fiorini
d'oro, e de'
cherici di quella
diocesia
XXm fiorini d'oro,
con grande dolore e torzioni de' Pisani, sanza
quegli ch'ebbe da
Castruccio quando il fece
duca,
che si dice che furono
Lm fiorini d'oro. Lasceremo alquanto
del processo
del detto Bavero, che si riposa
in
Pisa e in Lucca, e rauna danari per fornire suo
viaggio
a
Roma; e faremo
incidenza d'altre cose che
furono in
Firenze e in altre parti
del
mondo in questi
tempi, tornando poi
a nostra materia per seguire
il corso e andamento
del detto Bavero.
L. 11, cap. 39 rubr.
Come il re di Scozia corse in Inghilterra.
L. 11, cap. 39Nel detto anno MCCCXXVII, del mese d'agosto, il re di
Scozia con più di XLm Scotti passò infra l'Inghilterra
per guastare il paese più giornate. Il giovane
Adoardo terzo re d'Inghilterra con tutta sua cavalleria
e forza di gente a piè gli andò incontro, e rinchiuse
tutti i detti Scotti in uno parco del vescovo di Durem,
e tutti gli avrebbe in quello morti o presi, se
non fosse la viltà e tradimento de' suoi Inghilesi, che
non faceano la guardia come si convenia, onde i detti
Scotti di notte si partirono, e tutti n'andarono sani e
salvi sanza battaglia o caccia niuna.
L. 11, cap. 40 rubr.Come il popolo della città d'Imola fu sconfitto da la
gente de la Chiesa.
L. 11, cap. 40Nel detto
anno,
a dì
VIII di settembre, messer Ricciardo
de' Manfredi di
Faenza con gente
a cavallo, di
quegli
del legato cardinale ch'era
a Bologna, essendo
venuti nella
città d'Imola, perché quegli della terra
per trattato fatto con
Alberghettino suo fratello che
avea rubellata
Faenza, ed egli con sua gente cavalcarono
per avere Imola, il popolo d'Imola si levò
a romore
per cacciarne il detto messer Ricciardo e la
gente de la Chiesa, onde si cominciò la battaglia in
su la piazza d'Imola; e per forza d'arme il detto messer
Ricciardo con gli
Alidogi e loro fedeli, e
colla
detta cavalleria della Chiesa, ch'erano da
Vc cavalieri,
sconfissono e ruppono il popolo d'Imola, e uccisonne
più di
CCCC, che non v'ebbe buona casa che uomo
non vi rimanesse morto; e poi corsono la terra e
rubarla tutta, onde la piccola
città d'Imola quasi rimase
distrutta di buona gente, e disolata di preda.
L. 11, cap. 41 rubr.Come in Firenze fu arso maestro Cecco d'Ascoli
astrolago per cagione di resia.
L. 11, cap. 41Nel detto
anno,
a dì
XVI di settembre, fu arso in
Firenze per lo 'nquisitore de' paterini uno maestro
Cecco d'Ascoli, il qual era stato astrolago
del
duca, e
avea dette e rivelate per la scienza d'astronomia, overo
di nigromanzia, molte cose future, le quali si trovarono
poi
vere, degli andamenti
del Bavero e de'
fatti di
Castruccio e di quegli
del
duca. La cagione
perché fu arso sì fu perché, essendo in Bologna, fece
uno trattato sopra la spera, mettendo che nelle
spere
di sopra erano generazioni di spiriti maligni, i quali
si poteano costrignere per incantamenti sotto certe
costellazioni
a potere fare molte maravigliose cose,
mettendo ancora in quello trattato necessità alle
infruenze
del corso
del
cielo, e dicendo come Cristo
venne in terra
accordandosi il volere di Dio co la necessità
del corso di storlomia, e
dovea per la sua natività
essere e
vivere co' suoi discepoli come poltrone,
e morire de la
morte ch'egli morìo; e come Anticristo
dovea venire per corso di pianete in abito ricco e potente;
e più altre cose vane e contra fede. Il quale
suo libello in Bologna riprovato, e
ammonito per lo
'nquisitore che no· llo usasse, gli fu opposto che l'usava
in
Firenze; la qual cosa si dice che mai non
confessò, ma contradisse
a la sua sentenzia, che poi che
ne fu
ammonito in Bologna, mai no· llo usò; ma che il
cancelliere
del
duca, ch'era frate minore vescovo
d'Aversa, parendogli abominevole
a tenerlo il
duca
in sua
corte, il fece prendere. Ma con tutto che fosse
grande astrolago, era uomo vano e di
mondana vita,
ed erasi
steso per audacia di quella sua scienza in cose
proibite e non
vere, però che la 'nfruenza delle
stelle non costringono necessitade, né possono essere
contra il libero arbitrio dell'animo dell'uomo, né
maggiormente
a la
proscienzia di Dio, che tutto guida,
governa e
dispone
a la sua volontà.
L. 11, cap. 42 rubr.De la morte del gran medico maestro Dino di Firenze.
L. 11, cap. 42Nel detto tempo,
a dì
XXX di settembre, morì in
Firenze maestro
Dino
del Garbo grandissimo dottore
in
fisica e in più scienze naturali e filosofiche, il
quale
al suo tempo fu il migliore e sovrano medico
che fosse in Italia, e più nobili
libri fece
a richesta e
intitolati per lo re Ruberto. E questo maestro
Dino
fu grande cagione de la
morte
del sopradetto maestro
Cecco, riprovando per falso il detto suo libello,
il quale avea letto in Bologna, e molti dissono che 'l
fece per invidia.
L. 11, cap. 43 rubr.Come messer Cane della Scala ricominciò guerra a'
Padovani.
L. 11, cap. 43Nel detto tempo messer Cane de la Scala signore
di Verona ricominciò guerra a' Padovani col figliuolo
di messer Ricciardo da Cammino di Trivigi, e presono
il castello d'Esti che teneano i Padovani, e
grande danno feciono co· lloro oste intorno a Padova;
per la qual cosa i Padovani mandarono per aiuto
al duca di Chiarentana, a la cui signoria s'erano dati,
il quale mandò in loro aiuto M cavalieri tedeschi, per
la qual cosa messer Cane si levò da oste e tornossi a
Verona.
L. 11, cap. 44 rubr.Come i conti da Santa Fiore riebbono Magliano.
L. 11, cap. 44Nel detto
anno
MCCCXXVII i
Pancechieschi di Maremma,
ch'aveano in guardia il castello di
Magliano
per lo
duca di Calavra, per paura
del maliscalco
del
Bavero, che cavalcò con grossa gente da
Pisa in
Maremma per andare verso
Roma, temendo che'
conti da Santa Fiore con quella gente non gli
asediasse,
misono fuoco nel detto castello, e vilmente se
n'uscirono fuori, e
abbandonarono, e'
conti il si ripresono
e
racconciarono; e' loro
mallevadori furono
presi in
Firenze per lo
duca, e
messi in pregione nelle
Stinche.
L. 11, cap. 45 rubr.Come la gente de la Chiesa osteggiarono Faenza.
L. 11, cap. 45Nel detto tempo la gente della Chiesa ch'era col
legato in Bologna cavalcarono con messer Ricciardo
Manfredi sopra la città di Faenza per raquistarla, la
quale avea rubellata Alberghettino suo fratello, e
guastarla intorno con grandissimo danno de la contrada,
ma però non poté avere la terra.
L. 11, cap. 46 rubr.Quando morì il re Giammo d'Araona.
L. 11, cap. 46Nel detto
anno,
del mese d'ottobre, morì lo re
Giammo d'
Araona di suo male, e fue soppellito in
Barzellona; e lo 'nfante
Anfus suo figliuolo, il quale
conquistò la Sardigna, ne fu fatto e
coronato re d'
Araona
e di Sardigna. Il detto re
Giammo fu savio e
valoroso signore e di grandi opere e imprese, come
per adietro le nostre
croniche in più parti fanno
menzione.
L. 11, cap. 47 rubr.Come il Bavero diede a Castruccio più castella de'
Pisani.
L. 11, cap. 47Nel detto anno, a dì III di dicembre, i Pisani per
comandamento del Bavero renderono a Castruccio,
detto duca di Lucca, per guidardone del suo servigio
il castello di Serrezzano e quello di Rotina in Versilia,
e Montecalvoli e Pietracassa, onde i Pisani si tennono
forte gravati.
L. 11, cap. 48 rubr.Come il duca fece cacciare uno popolano di Firenze,
perché aringò contro a llui.
L. 11, cap. 48Nel detto
anno,
a dì
VII di dicembre, uno popolano
di
Firenze chiamato
Gianni
Alfani, per cagione
che in uno
consiglio di dare aiuto
al re Ruberto
a richesta
de' suoi ambasciadori il detto
Gianni contradisse,
il fece il
duca condannare nell'avere e persona,
e guastare i suoi beni; e con tutto che 'l detto
Gianni
fosse per sue ree opere degno di quello, e peggio, sì
spiacque
a tutti i popolani di
Firenze per
assempro
di loro, e però ch'egli avea pure detto bene per lo
Comune, e
ragionevolemente, ma
disselo con troppa
audacia e prosunzione contra il signore. Avenne fatta
menzione, non per lo detto
Gianni, che non era degno
di scrivere in
cronica, ma per esemplo, e perché
a' Fiorentini parve essere troppo fedeli
del signore,
per questa cagione recando in loro
assempro che chi
a uno offende
a molti minaccia.
L. 11, cap. 49 rubr.Come il Bavero si partì di Pisa per andare a Roma.
L. 11, cap. 49Nel detto
anno
MCCCXXVII il Bavero essendo stato
in
Pisa, poi che la vinse, come adietro facemmo
menzione, non intese
a fare
guerra niuna
contra' Fiorentini,
né contra il loro signore messer lo
duca, ma
solamente
a raunare moneta per fornire suo
cammino
verso
Roma, e da l'ottobre ch'egli prese
Pisa infino
a la sua partita trasse da' Pisani, con
XXm fiorini
d'oro che impuose
al
chericato di
Pisa, che di libbre
e d'imposte e di loro
rendite e gabelle,
CCm fiorini
d'oro, con molti guai de' Pisani, che alla loro difensione
contra
al detto Bavero non ardirono
a imporre
Vm. E ciò fatto,
a dì
XV di dicembre nel detto
anno,
con sua gente in numero di
IIIm cavalieri e con più di
Xm bestie uscì della
città di
Pisa, e
acampossi
a la
badia
di Santo Remedio presso
a
Pisa
a
tre miglia, e di
là mandò innanzi per la
via di Maremma il suo maliscalco
co'
conti
a Santa Fiore e con
Ugolinuccio da
Baschio con
VIIc cavalieri e
IIm pedoni, acciò che
prendessono i passi di Maremma, e
fornissono il
cammino di vittuaglia. E nel detto luogo soggiornò il
Bavero
VI dì per attendere
Castruccio
duca di Lucca,
il quale mal volentieri andava con lui
a
Roma, temendo
di lasciare
isguernita la
città di Lucca e di Pistoia.
A la
fine non vegnendo il detto
Castruccio, e il
Bavero avendo
lettere e messaggi da' Romani, che
avacciasse sua andata
a
Roma se volesse la terra, acciò
che la parte degli
Orsini e della Chiesa non vi
mettessero prima la forza e gente
del re Ruberto, si
partì
a dì
XXI di dicembre, e fece la
pasqua di
Natale
a
Castiglione della Pescaia; e poi di là passò il fiume
d'Ombrone
a la foce di Grosseto con grande affanno,
perché per le gravi piogge il detto fiume era molto
grosso, e uno ponte
apposticcio ch'aveano fatto
fare il suo maliscalco co' detti
Maremmani, per soperchio
incarico di sua gente si ruppe, e assai di sua
gente e loro
cavagli annegarono, e
convenne che 'l signore
passasse
a la foce
a la marina con
due
galee e
più barche che fece venire da Piombino. Il quale
passaggio, se 'l
duca di Calavra co la sua gente e co'
Sanesi avesse voluto impedire, assai era loro
leggere
e sicuro; ma poi che 'l Bavero fu in
Toscana, il detto
duca
nol volle vedere né lui né sua gente, o per viltà
di cuore, o per senno e
comandamento
del padre lo
re Ruberto, per non venire
a la zuffa co' Tedeschi,
che l'andavano caendo. E così passò il Bavero la Maremma
con grande affanno e con male tempo e grande
soffratta di vittuaglia, albergando per necessità i
più de la sua gente
a campo nel cuore
del verno. E
pochi giorni apresso
Castruccio con
IIIc cavalieri de
la migliore gente ch'egli avea, e con
M balestrieri tra
Genovesi e Toscani,
seguì il Bavero e giunselo
a Viterbo,
e lasciò in Lucca e in Pistoia e in
Pisa da
M cavalieri
per guardia con buoni capitani.
Il detto Bavero, faccendo la
via di Santa Fiore, e
poi da Corneto e da Toscanella, giunse nella
città di
Viterbo
a dì
II del mese di gennaio
del detto
anno;
ne la quale fu ricevuto
a grande onore, sì come loro
signore, però che Viterbo si tenea
a parte d'imperio,
ed erane signore e tiranno di quella uno ch'avea nome
Salvestro di Gatti loro cittadino. Lasceremo alquanto
gli andamenti
del Bavero, e torneremo
a cciò
che fece il
duca di Calavra.
L. 11, cap. 50 rubr.Come il duca di Calavra si partì della città di Firenze,
e andonne nel Regno per contradiare al Bavero.
L. 11, cap. 50Sentendo il
duca di Calavra ch'era in
Firenze la
partita
del Bavero de la
città di
Pisa, e come già era
entrato in Maremma,
a dì
XXIIII di dicembre nel detto
anno fece uno grande
parlamento in sul palagio
del Comune ove abitava, ove furono i priori e' gonfalonieri
e' capitani de la parte guelfa, e tutti i
collegi
degli uficiali di
Firenze, e gran parte de la buona
gente de la
cittade, grandi e popolani; e quivi per
suoi savi solennemente e con belle
dicerie
anunziò la
sua partita, la quale
a llui era di necessità per guardare
il suo regno e per contastare le forze
del Bavero,
confortando i Fiorentini che rimanessono in costanza
e fedeli e con buono animo
a parte di santa Chiesa
e
al padre e
a llui, e ch'egli lasciava loro capitano e
suo luogotenente messer
Filippo di
Sangineto, figliuolo
del
conte di
Catanzano di Calavra, e per suo
consiglio messer Giovanni di
Giovannazzo e messer
Giovanni da
Civita di Tieti, grandi savi in ragione e
in pratica, e gente d'arme da
M cavalieri,
pagandogli
CCm fiorini d'oro l'
anno, com'egli ci fosse, per soldo
de' detti cavalieri, promettendo che quando bisognasse
egli in persona o altri di suo lignaggio verrebbe
con tutte sue forze
a l'aiuto e difensione di
Firenze.
A cciò che fu proposto e detto per gli savi
del
duca,
saviamente e con belle aringherie fornite di molte
autoritadi fu fatta la
risposta per gli Fiorentini per
certi loro savi, mostrando
doglia e pesanza di sua
partita, però che con tutto non fosse stato vivo signore
né guerriere, come molti Fiorentini avrebbono
voluto, e come potea
colle sue forze, sì fu pur
dolce
signore e di buono
aiere
a' cittadini, e nella sua stanza
adirizzò molto il male stato di
Firenze, ed ispense
le
sette ch'erano tra' cittadini, e con tutto che costasse
grossamente la sua stanza in
Firenze, che di vero
si trovarono spesi per lo Comune, in
XVIIII mesi che
il detto
duca fu in
Firenze, co la moneta ch'egli aveva
de'
gaggi, più di
DCCCCm di fiorini d'oro; e io il
posso testimonare con verità, che per lo Comune fui
a farne ragione, con tutto che' cittadini e tutti artefici
guadagnarono assai da lui e da sua gente. E dilibero
il detto
parlamento, il dì apresso
del
Natale fece il
duca grande corredo, e
diè mangiare
a molti buoni
cittadini, e gran
corte di donne, e con grande festa e
danze e allegrezza; e poi il lunedì vegnente dopo terza,
dì
XXVIII di dicembre, si partì il detto
duca di
Firenze
co la donna sua, e con tutti i suoi baroni, e con
ben
MD cavalieri de la migliore gente ch'avesse, e
seguì
suo
cammino soggiornando in Siena e in Perugia
e
a Rieti; e
a dì
XVI di gennaio,
anno detto, giunse
a
l'Aquila, e là si fermò con sua gente. Lasceremo alquanto
del Bavero e
del
duca, faccendo
incidenza
per dire d'altre
novità infra 'l detto tempo.
L. 11, cap. 51 rubr.Come il borgo a San Donnino s'arendé a la Chiesa.
L. 11, cap. 51Nel detto anno MCCCXXVII, del mese di dicembre,
il borgo a San Donnino in Lombardia, che tanto
avea fatto di guerra e di danno a la parte della Chiesa,
partitane la cavalleria di Milano per l'altre guerre
cominciate per la venuta del Bavero in Toscana, per
certo trattato tra' terrazzani s'arendéo a' figliuoli di
messer Ghiberto da Coreggio di Parma per lo legato
del papa ch'era in Lombardia, e costò danari assai al
detto legato.
L. 11, cap. 52 rubr.Come fu fatto accordo tra' Perugini e la Città di Castello.
L. 11, cap. 52Nel detto
anno e mese si fece accordo da' Perugini
a la
Città di Castello, rimagnendo la signoria di
Castello
a'
Tarlati d'
Arezzo e
a' figliuoli di
Tano degli
Ubaldini che n'erano signori, e
a la parte ghibellina,
rimettendo nella
città certi usciti guelfi e parte rimanendo
a'
confini, riavendo il frutto di loro posessioni,
e prendendo podestà e capitano di Perugia di
parte ghibellina
a lloro volontà. E ciò feciono i Perugini
perch'erano molto affannati de la detta
guerra, e
per la venuta
del Bavero male potuti atare da' Fiorentini
e
dagli altri Toscani.
L. 11, cap. 53 rubr.Come il papa fece X cardinali.
L. 11, cap. 53Nel detto anno, a dì XVIII di dicembre, per le digiune
Quattro Tempora, papa Giovanni per riformare
e rafforzare lo stato suo e della Chiesa per la venuta
del Bavero, e per la nimistà che la Chiesa avea
presa co· llui, appo Vignone in Proenza fece X cardinali,
i nomi de' quali furono questi: messer l'arcivescovo
di Tolosa, che l'arcivescovo di Napoli, che
messer Anibaldo di quegli di Ceccano in Campagna,
lo vescovo di Siponto, cioè fra Matteo degli Orsini di
Campo di Fiore, lo vescovo d'Alsurro ch'è di Francia,
lo vescovo di Ciarteri anche francesco, lo vescovo
di Cartaina di Spagna, lo vescovo di Mirapesce di
tolosana, lo vescovo di San Paulo anche di tolosana,
messer Giovanni figliuolo di messer Stefano de la
Colonna di Roma, messer Imberto di Ponzo di Caorsa
parente del detto papa.
L. 11, cap. 54 rubr.
Di certe novità che il legato del papa fece in Firenze.
L. 11, cap. 54Nel detto anno, il dì apresso la Pifania, per mandato
del cardinale degli Orsini legato in Toscana, il
quale era in terra di Roma, in Firenze si celebrò tre
dì continui processione per tutti i religiosi e secolari
maschi e femmine che la vollono seguire, pregando
Idio che desse il suo aiuto a santa Chiesa a la difensione
del Bavero, e lui recasse a l'obedienza della
Chiesa, e pace; e però diede grandi indulgenzie e
perdono. E in questo tempo il papa diede al detto legato
per sua mensa le rendite de la Badia di Firenze,
ch'era morto l'abate, e vacava, il quale la prese, e poi
non vi fu abate; e per gli monaci ch'erano X, con
ogni fornimento di cappellani e della chiesa, lasciò Vc
fiorini d'oro; e fu grande ragione, ché la Badia avea
di rendita presso a IIm fiorini d'oro, ed ispendeasi fra
X monaci e uno abate.
L. 11, cap. 55 rubr.Come il Bavero si partì di Viterbo e andonne a
Roma.
L. 11, cap. 55Nel detto
anno
MCCCXXVII, essendo il Bavero
giunto in Viterbo, in
Roma nacque grande questione
tra 'l popolo, e spezialmente tra'
LII buoni uomini,
chiamati
IIII per rione
a la guardia
del popolo romano,
che parte di loro voleano liberamente la venuta
del Bavero sì come loro signore, e parte di loro parendo
mal fare e contra santa Chiesa, e parte voleano
patteggiare co· llui anzi che si ricevesse in
Roma; e
a
questo terzo
consiglio s'apresono nel palese per contentare
il popolo, e mandargli
solenni ambasciadori
a cciò trattare. Ma
Sciarra della Colonna e Iacopo
Savelli, ch'erano capitani
del popolo,
coll'aiuto di
Tibaldo
di quegli di Santo Stazio, grandi e possenti Romani,
i quali tre caporali erano stati cagione de la revoluzione
di
Roma, e cacciati n'aveano gli
Orsini e
messer Stefano de la Colonna, e' figliuoli, tutto fosse
fratello carnale
del detto
Sciarra, però ch'era cavaliere
del re Ruberto e teneasi
a sua parte; per la qual
cosa tutti gli amici
del re Ruberto per tema si partirono
di
Roma, e tolto fu
agli
Orsini Castello
Santangiolo,
e tutte le forze di
Roma
a lloro e
a lloro seguaci,
sotto la forza e guardia
del popolo. I sopradetti
tre capitani
del popolo sempre nel segreto, dissimulando
il popolo, ordinavano e trattavano la venuta
del Bavero e di farlo re de' Romani, per animo di
parte ghibellina, e per molta moneta ch'ebbono da
Castruccio
duca di Lucca, e da la parte ghibellina di
Toscana e di Lombardia. Incontanente mandarono
segreti
messi e
lettere
a Viterbo
al Bavero, che lasciasse
ogni dimoranza, e venisse
a
Roma, e non
guardasse
a mandato o detto degli ambasciadori
del
popolo di
Roma. I quali ambasciadori giunti
a Viterbo,
ed
isposta solennemente la loro ambasciata co le
condizioni e
patti loro imposte per lo popolo di
Roma,
commise il Bavero la
risposta dell'ambasciata
a
Castruccio signore di Lucca, il quale, com'era per lo
segreto ordinato, fece sonare trombe e trombette, e
mandò
bando ch'ogni uomo cavalcasse verso
Roma;
«e questa», disse
agli ambasciadori di
Roma, «è la
risposta
del signore imperadore». I detti ambasciadori
cortesemente ritenne, e fece ordinare e mandò
scorridori innanzi prendendo ogni passo, acciò che
ogni messaggio o persona ch'andasse verso
Roma
fosse
arrestato e ritenuto. E così si partì il detto Bavero
con sua gente de la
città di Viterbo martidì
a dì
V di gennaio, e giunse in
Roma il giuovidì vegnente,
dì
VII di gennaio
MCCCXXVII, nell'ora di nona, e con
sua compagnia bene
IIIIm cavalieri, sanza contasto
niuno, com'era ordinato per gli detti capitani, e da'
Romani fue ricevuto graziosamente, ed ismontò ne'
palazzi di Santo Pietro, e là dimorò
IIII giorni; poi
passò il fiume
del Tevero per venire
ad abitare
a
Santa Maria Maggiore; e il lunidì vegnente salì in
Campidoglio, e fece uno grande
parlamento, ove fu
tutto il popolo di
Roma, ch'amava la sua signoria, e
degli altri; e in quello il vescovo d'
Ellera dell'ordine
degli
agostini disse la parola per lui con belle autoritadi,
ringraziando il popolo di
Roma dell'onore che
gli aveano fatto, dicendo e promettendo com'egli
avea intenzione di
mantenergli e
innalzargli, e di
mettere il popolo di
Roma in ogni buono stato, onde
a' Romani piacque molto, gridando: «
Viva, viva il
nostro signore e re de' Romani!». E nel detto
parlamento
s'ordinò la sua coronazione la
domenica vegnente,
e nel detto
parlamento il popolo di
Roma il
feciono sanatore e capitano
del popolo per un
anno.
E nota che col detto Bavero vennono in
Roma molti
cherici e parlati e frati di tutte l'ordini, i quali erano
ribelli e sismatici di santa Chiesa, e tutta la
sentina
degli
eretici de' Cristiani per contradio di papa Giovanni;
per la qual cosa molti de' cattolici
cherici e
frati si partirono di
Roma, e fu la terra e la santa
città
interdetta, e non vi si cantava uficio sacro né
sonava
campana, se non che s'
uficiava per gli suoi
cherici sismatici
e scomunicati. E 'l detto Bavero commise
a
Sciarra della Colonna ch'egli costrignesse i cattolici
cherici che dicessono il divino uficio; ma per tutto
ciò niente ne vollono fare; e il santo sudario di Cristo
fu nascoso per uno
calonaco di San Piero che l'avea
in guardia, perché non gli parea degno si vedesse per
gli detti sismatici, onde in
Roma n'ebbe grande turbazione.
L. 11, cap. 56 rubr.Come Lodovico di Baviera si fece coronare per lo
popolo di Roma per loro re e imperadore.
L. 11, cap. 56Nel detto
anno
MCCCXXVII,
domenica dì
XVII gennaio,
Lodovico
duca di Baviera eletto re de' Romani
fu
coronato
a Santo Pietro di
Roma con grandissimo
onore e trionfo, come diremo appresso; cioè ch'egli e
la moglie con tutta sua gente armata si partirono la
mattina da Santa Maria Maggiore, ove allora abitava,
vegnendo
a Santo Pietro,
armeggiandogli innanzi
IIII
Romani per rione con
bandiere, coverti di
zendado i
loro
cavagli, e molta altra gente forestiera, essendo le
vie tutte
spazzate e piene di mortella e d'
alloro, e di
sopra
a
ciascuna casa tese e parate le più belle gioie e
drappi e ornamenti che avessono in casa. Il modo
come fu
coronato, e chi il coronò, furono gl'infrascritti:
Sciarra de la Colonna, ch'era stato capitano di
popolo, Buccio di
Proresso, e
Orsino
stati sanatori,
e Pietro di
Montenero cavaliere di
Roma, tutti
vestiti
a
drappi
ad oro; e co' detti
a
coronarlo sì furono
de'
LII del popolo, e 'l prefetto di
Roma sempre
andandogli innanzi, come
dice il
titolo suo, ed era
adestrato da' sopradetti
IIII capitani, sanatori e cavaliere,
e da
Giacopo Savelli, e
Tibaldo di Santo Stazio,
e molti altri baroni di
Roma; e tuttora si facea
andare innanzi uno giudice di legge, il quale avea per
istratto l'ordine dello 'mperio. E col detto ordine si
guidò alla sua coronazione. E non trovando niuno
difetto, fuori la benedizione e confermazione
del papa,
che non v'era, e
del
conte
del palazzo di Laterano,
il quale s'era cessato di
Roma, che secondo l'ordine
dello 'mperio il
doveva tenere quando prende la
cresima
a l'altare maggiore di Santo Pietro, e ricevere
la corona quando la si trae, si providde, innanzi si
coronasse, di fare
conte
del detto
titolo
Castruccio
detto
duca di Lucca. E prima con grandissima sollecitudine
il fece cavaliere
cignendogli la spada
colle
sue
mani, e
dandogli la
collata; e molti altri ne fece
poi cavalieri pur toccandogli co la
bacchetta dell'oro,
e
Castruccio ne fece in sua compagnia
VII. E ciò fatto,
si fece
consecrare il detto Bavero come imperadore,
in luogo
del papa o de' suoi legati cardinali,
a
sismatici e scomunicati,
al vescovo che fu di Vinegia
nipote che fu
del cardinale da Prato, e
al vescovo
d'
Ellera; e per simile modo fu coronata la sua donna
come imperadrice. E come il Bavero fu
coronato, si
fece
leggere tre decreti imperiali, prima della cattolica
fede, il secondo d'onorare e
reverire i
cherici, il
terzo di conservare le
ragioni de le vedove e
pupilli,
la quale ipocrita dissimulazione piacque molto
a' Romani.
E ciò fatto, fece dire la
messa; e compiuta la
detta solennitade, si partirono di Santo Pietro, e vennono
nella piazza di Santa Maria dell'
Ariacelo dov'era
apparecchiato il mangiare; e per la molta e lunga
solennità fue sera innanzi che si mangiasse; e la notte
rimasono
a dormire in Campidoglio. E la mattina
apresso fece sanatore e suo luogotenente
Castruccio
duca di Lucca, e
lasciollo in Campidoglio; ed egli e
la moglie se n'andarono
a San Giovanni Laterano. In
questo modo fu
coronato
a imperadore e re de' Romani
Lodovico detto Bavero per lo popolo di
Roma,
a grande
dispetto e onta
del papa e della Chiesa di
Roma,
a grande
dispetto e onta
del papa e della Chiesa di
Roma, non guardando niuna reverenza di santa
Chiesa. E nota che
presunzione fu quella
del detto
dannato Bavero, che non troverrai per nulla
cronica
antica o
novella che nullo imperadore cristiano mai
si facesse coronare se non
al papa o
a suo legato, tutto
fossono molto contradi della Chiesa, o prima o
poi, se non questo Bavero; la qual cosa fu molto da
maravigliare. Lasceremo alquanto di dire ora più
del
Bavero, faccendo alcuna
incidenza, però che rimane
in
Roma per ordinare e fare maggiori e più maravigliose
cose. Ma come egli fu
coronato, sanza
soggiorno
se fosse andato
colla sua gente verso il regno di
Puglia, nullo ritegno né difensione v'avea, con tutto
che 'l
duca di Calavra fosse
a la
frontiera
a l'Aquila
con
MD cavalieri, e guernito Rieti, e Cepperano, e
ponte
Corbolo, e San Germano di gente d'arme; ma
il detto Bavero si trovò in
Roma
a la detta sua coronazione
più di
Vm cavalieri, tra Tedeschi e
Latini,
buona gente d'arme e volonterosi di battaglia; ma
a
cui Idio vuole male gli toglie il buono
consiglio, e così
avenne
a llui, come inanzi nel suo processo faremo
menzione.
L. 11, cap. 57 rubr.Come quegli da Fabbriano furono sconfitti da la
gente de la Chiesa.
L. 11, cap. 57Nel detto anno MCCCXXVII, di gennaio, essendo l'oste della
Chiesa sopra il castello di Fornoli ne la Marca d'Ancona,
quegli da Fabbriano ribegli de la Chiesa con IIIIc cavalieri
e IIm pedoni per levare il detto assedio vennono e puosonsi
ivi presso a un altro castello che teneano que' della
Chiesa. Tano da Iegi capitano della gente della Chiesa gli
asalì con sua gente e miseli in isconfitta, e rimasonvi VII
bandiere di cavalieri, e da CLXX cavagli, e ben IIIc uomini
morti e IIIIc presi.
L. 11, cap. 58 rubr.
Conta de' fatti di Firenze.
L. 11, cap. 58Nel detto anno, a dì XXII di gennaio, si cominciò a
fondare in Firenze la grande porta de la cittade sopra
le mura che va verso Siena e verso Roma, presso
al munistero de le Donne di Monticelli Oltrarno; e
in quelli tempo si dificarono quelle mura nuove della
cittade intorno a la detta porta verso il poggio di Bogoli.
Domenica notte vegnente, a dì XXIIII di gennaio,
s'apprese il fuoco in Firenze nel sesto di Borgo presso
a la loggia de' Bondelmonti, e arsonvi due case
sanza altro danno.
L. 11, cap. 59 rubr.Come la città di Pistoia fu presa per lo capitano del
duca e de' Fiorentini.
L. 11, cap. 59Nel detto
anno
MCCCXXVII,
a l'uscita di gennaio,
essendo messo innanzi segretamente
a messer
Filippo
di
Sangineto, capitano di
guerra per lo
duca rimaso
in
Firenze, per uno Baldo Cecchi e Iacopo di
messer Braccio Bandini Guelfi usciti di Pistoia come
potea avere la
città di Pistoia per
imbolìo e forza, se
si volesse assicurare, il detto messer
Filippo cautamente
intese
al trattato, e segretamente fece fare nel
castello dello 'mperadore di Prato ponte di legname,
e
scale e
bolcioni e altri
difici da combattere terre; e
mercolidì sera,
a dì
XXVII di gennaio, serrate le porte,
si partì il detto messere
Filippo di
Firenze con
VIc
uomini di cavallo di sua gente, e non menò seco nullo
Fiorentino, se non messer Simone di messer Rosso
della Tosa, che
ordinò il trattato col detto messer
Filippo.
E anzi mezzanotte giunsono
a Prato, dov'erano
apparecchiati i detti
difici di legname, e
caricandogli
in muli e
aportatori mandati di
Firenze, si mise
in
via menando seco
IIm fanti
a piè tra Pratesi e soldati
de' Fiorentini ch'erano ordinati in Prato; e giunse
a Pistoia anzi il giorno di costa
a la porta di San
Marco da la parte ov'era il fosso con meno acqua, e
il luogo de la terra più solitario e peggio guardato. I
detti Baldo e Iacopo
passaro il fosso su per lo
ghiaccio,
e con iscala salirono in su le
mura che non furono
da nulli sentiti, e ivi su misono le
bandiere
del
duca e
del Comune di
Firenze, e per simile modo ne
misono dentro da
C fanti; e trovandogli l'uficiale
ch'andava
ricercando le guardie, levò il romore, e
egli e sua compagnia furono morti di presente, e la
terra fu tutta
ad arme. In quello la gente di messer
Filippo puosono il ponte sopra il fosso, e con più
scale messe
a le
mura molta gente vi misono dentro,
e co'
bolcioni dentro e di fuori
pertugiarono il
muro
in
due parti, per modo che vi poteano mettere il cavallo,
onde menando
a mano più ve ne furono
messi;
e messer
Filippo in persona con alquanti di sua gente
v'
entrò dentro, e incontanente seminarono triboli
di ferro, ch'aveano portati, per le vie d'onde i nemici
poteano loro venire adosso, per impedire loro e' loro
cavagli; e come vi furono ingrossati dentro, la cavalleria
e gente di fuori e quegli
entrati dentro combatterono
la torre de la porta
a Sa· Marco, e misono fuoco
nel ponte e porta dell'antiporta. La gente di
Castruccio,
che v'erano dentro da
CL cavalieri e
Vc pedoni
soldati
a la guardia, sanza i cittadini, francamente
parte di loro rimagnendo armati in su la piazza,
e parte vennono
a combattere la gente ch'era
entrata
da le
mura, e per forza gli
ripinsono allo stretto
e rottura de le
mura, e molti se ne gittavano fuori, se
non fosse la virtù e sollecitudine
del detto messer
Filippo
e di sua compagna, ch'erano dentro già con
centocinquanta cavalieri, i quali montando in su i loro
cavagli con grande vigore percossono
a' nemici e
per
due riprese gli rimisono in
rotta; e intanto arsa
l'antiporta, e per quelli ch'erano dentro tagliata la
porta, e le guardie de la torre morti e fuggiti, tutta la
cavalleria e gente di fuori con grande vigore e grida e
spavento di trombe e di nacchere
entrarono ne la
terra. E ciò sentendo la gente di
Castruccio, con
due
suoi figliuoli piccoli che dentro v'erano,
Arrigo e
Galerano,
si ridussono
al Prato nel castello fatto per
Castruccio
chiamato Bellaspera, il quale tutto non fosse
compiuto era molto maraviglioso e forte. Gli spaventati
cittadini, uomini e femmine di Pistoia, de la sùbita
presa non proveduti, e ancora non era giorno,
a
nulla difesa della
città intesono se non
a lo scampo
di loro e di loro cose, correndo come ismarriti qua e
là per la terra. La cavalleria e gente
del capitano, e'
Fiorentini e' Pratesi la maggior parte, si sparsono per
la terra
a la preda e ruberia, che quasi il capitano e
messer Simone non rimasono con
LXXX a cavallo co
le
bandiere
ducali e
del Comune di
Firenze, i quali
traendo dietro
a' nimici nel Prato, i Tedeschi di
Castruccio
vigorosamente percossono
al capitano e
a
sua gente, e diedono loro molto
a ffare per più assalti;
e furono in
pericolo d'essere sconfitti e cacciati i
nostri della terra per
mala
condotta de' Borgognoni
soldati, che s'erano sparti per la
città
a la ruberia, e
lasciate le
bandiere e 'l capitano; ma
ischiarando il
giorno, la gente cominciò
ad andare
al Prato
al soccorso
del capitano. I nimici veggendo la gente nostra
ingrossare, e già di loro e morti e presi, si rinchiusono
nel castello, e intesono di quello per la porta
Luccese
co' detti figliuoli di
Castruccio sanza ritegno
scampare, e fuggendo verso Serravalle, e lasciando
molti l'arme e'
cavagli, e presine e morti alquanti.
Ma se per lo capitano fosse stato meglio proveduto,
o da' suoi cavalieri meglio
obbidito, che parte di loro
fossono cavalcati di fuori
a la porta
Luccese, i figliuoli
di
Castruccio e tutta sua gente erano morti e
presi. In questo modo fu presa la
città di Pistoia
giuovidì
a dì
XXVIII di gennaio
anni
MCCCXXVII, e
tutta fu
corsa e rubata sanza nullo ritegno, e
durò la
ruberia più di
X dì,
rubando Guelfi e Ghibellini, onde
molto fu ripreso il capitano; che se
a cciò avesse
riparato, e co la sua gente e con
Vc cavalieri della
Chiesa, ch'allora erano in Prato, fosse di presente
cavalcato, avrebbe avuto Serravalle,
Carmignano,
Montemurlo, e Tizzano, o alcuno de' detti castelli.
Ma il vizio della
covidigia guasta ogni buono
consiglio.
Raquetata la ruberia, il capitano riformò la terra
per lo re Ruberto e per lo
duca, e lasciòvi per capitano
il detto messer Simone de la Tosa con
CCL soldati
e
M pedoni
al soldo
del Comune di
Firenze, e il detto
messer
Filippo tornò in
Firenze,
domenica
a dì
VII
di febbraio, con grande onore e trionfo fattogli per
gli Fiorentini d'armeggiatori con
bandiere e coverti
di
zendadi, e andargli incontro co la cavalleria e popolani
a piè,
ciascuna compagnia col suo gonfalone,
e fattogli palio per mettere sopra capo, ma ciò non
volle acconsentire, ma
fecevi mandare sotto innanzi
a llui il pennone dell'arme
del
duca, ch'elli usava
portare sopra capo, che gli fu posto in gran senno e
conoscenza, e
menonne seco molti pregioni
pistolesi
e altri, e uno figliuolo
del traditore messer
Filippo
Tedici e uno suo nipote piccoli garzoni, e più altri
cari figliuoli de' Ghibellini di Pistoia, e molta roba,
drappi, arnesi, e gioelli. Avemo sì distesamente
inarrato
la
presura della
città di Pistoia, però che per sì
fatto modo e così forte
città di
mura e di fossi e
guernita di gente d'arme non fu presa in
Toscana già
fa grandissimo tempo, e ancora per la sequela ch'avenne
poi della detta
presura, come diremo appresso.
E per l'aquisto di Pistoia
a dì
VI di febbraio s'
arendé
la
castellina ch'è sopra Puntormo, la quale
molta
guerra avea fatta
a la strada che vae
a
Pisa.
L. 11, cap. 60 rubr.Come Castruccio si partì di Roma dal Bavero sì tosto
come seppe la perdita di Pistoia.
L. 11, cap. 60Essendo
Castruccio in
Roma col Bavero in tanta
gloria e trionfo, come detto avemo, d'esser fatto cavaliere
a tanto onore, e
confermato
duca, e fatto
conte
di palazzo e sanatore di
Roma, e più ch'
al tutto,
era signore e maestro de la
corte
del detto imperadore,
e più era temuto e ubbidito che 'l Bavero, per
leggiadria e grandezza fece una roba di sciamito
cremesi,
e dinanzi
al petto con
lettere d'oro che diceano:
«E quello che Idio vuole», e nelle spalle di dietro
simili
lettere che diceano: «E sì sarà quello che
Idio vorrà». E così egli medesimo
profetezzò in sé le
future sentenzie di Dio. E stando lui in tanta gloria,
come piacque
a dDio, prima perdé la
città di Pistoia
per lo modo che detto avemo. Come la gente di
Castruccio
ebbono perduta Pistoia, incontanente per
terra e per
mare mandarono messaggi e
vacchette armate,
sì che per la
via di
mare
Castruccio seppe la
novella in
Roma in tre dì. Incontanente
Castruccio
fu
al Bavero e re de' Romani detto imperadore, e
dolfesi forte de la
perdita di Pistoia,
rimprocciando
che se non l'avesse
menato seco Pistoia non sarebbe
perduta, mostrando grande gelosia della
città di
Pisa
e di quella di Lucca, che nonn avessono
mutazione.
Incontanente prese congio da llui, e partissi di
Roma
il primo dì di febbraio con sua gente. Ma
Castruccio
lasciò sua gente in
cammino, ed egli con pochi con
grande sollecitudine e rischio per gli passi di Maremma
cavalcò innanzi, e giunse in
Pisa con
XII a cavallo
a dì
VIIII di febbraio,
anni
MCCCXXVII. E la sua gente,
ch'erano
Vc cavalieri e
M pedoni
a balestra, giunsono
più giorni apresso. E nota che per la partita di
Castruccio tutto l'
osordio e imprese
del Bavero ch'avea
ordinate per passare nel Regno, gli vennono poi
corte e
fallite, come innanzi faremo menzione; però
che
Castruccio era di grande
consiglio in
guerra e
bene
aventuroso, ed egli solo più temuto dal re Ruberto
e dal
duca e da quegli
del Regno, che 'l Bavero
con tutta sua gente. Sì che per l'aquisto di Pistoia
Castruccio si partì di
Roma, onde allora il Bavero
prolungò l'andare nel Regno, che se vi fosse ito sanza
indugio e col senno di
Castruccio e con sua gente, di
certo il re Ruberto era in
pericolo di potersi difendere,
perché male s'era ancora proveduto
a la difesa.
Come
Castruccio fue in
Pisa,
al tutto prese la signoria
de la terra, e recò
a sé tutte l'
entrate e le gabelle
de' Pisani; e oltre
a cciò gli
gravò di più
incarichi di
moneta. E poco apresso per alcuno trattato
credette
avere Montetopoli per
imbolìo, e
cavalcòvi con sua
gente una notte, e di sua gente per
condotta
del traditore
entrarono infino
a l'antiporta. La mattina per
tempo quegli de la terra, e' soldati
a cavallo e
a piè
che v'erano per lo Comune di
Firenze,
sentirono il
tradimento, e vigorosamente difesono la porta, e uccisono
il traditore, e
coloro cu' egli avea già
condotti
dentro. Per la qual cosa
Castruccio si tornò
a
Pisa, e
poi in calen di marzo fece fare una grande cavalcata
nel piano di Pistoia, ed egli medesimo venne
a provedere
Pistoia, come quegli che tutto suo animo era
disposto in
raquistarla; e fece fornire Montemurlo, e
tornossi in Lucca sanza contasto niuno da' Fiorentini
o dal capitano
del
duca. Lasceremo alquanto de'
processi di
Castruccio, e diremo d'altre cose
istrane
ch'avennono ne' detti tempi.
L. 11, cap. 61 rubr.
Come e quando morì Carlo re di Francia.
L. 11, cap. 61Nel detto
anno
MCCCXXVII, il dì di calen di febbraio,
morì
Carlo re di
Francia di sua malatia, e cogli
altri re fu soppellito
a San
Donis
a grande onore.
Questi non lasciò nullo figliuolo, ma la reina sua moglie,
la quale, come adietro facemmo menzione, era
sua
cugina carnale, rimase grossa, e fu fatto governatore
del reame messer
Filippo di
Valos suo
cugino, e
figliuolo che fu di messer
Carlo di
Valos.
Al detto
termine la detta reina fece una
figlia femmina, sì che
de la signoria
del reame fu fuori e di quistione, e il
detto messer
Filippo ne fu re, come innanzi faremo
menzione. Questo re
Carlo fu di piccola bontà, e
al
suo tempo non fece cosa notabile, e in lui finì l'
eritaggio
del reame
del suo padre il re
Filippo, e de'
suoi fratelli, che co· llui furono
IIII re:
Luis e Giovanni
suo piccolo figliuolo nato della reina
Cremenza
poi che morì il padre, che non vivette che
XX dì, ma
pur fu nel numero de' re; e morto il detto fanciullo
succedette e fu re il
zio, ciò fu il re
Filippo, e poi il
detto
Carlo, e di niuno rimase
reda maschio; ciò
avenne loro la sentenzia che 'l vescovo d'Ansiona
profetezzò loro, come dicemmo adietro nel
capitolo
della
presura e
morte di papa Bonifazio, come per lo
detto peccato commesso per lo re
Filippo loro padre
egli e' suoi figliuoli avrebbono gran vergogna e abbassamento
di loro stato, e i· lloro
fallirebbe la signoria
del reame. E così avenne, che come adietro facemmo
menzione, vivendo il detto re
Filippo padre,
le donne de' suoi detti tre figliuoli furono trovate in
avolterio con grande vergogna de la casa reale, e in
loro
fallì la signoria
del reame, che di nullo di loro rimase
reda maschio. E però e da guardare d'offendere
chi e in luogotenente di Cristo, né
a santa Chiesa,
a diritto né
a torto, che con tutto che' suoi pastori
per loro difetti non sieno degni, l'offesa
a lloro fatta
è dell'onnipotente Iddio.
L. 11, cap. 62 rubr.Come in tutta Italia fu corruzzione di febbre.
L. 11, cap. 62Nel detto anno e mese di febbraio fu per tutta Italia
una generale corruzzione di febbre mossa per
freddo, onde i più de le genti ne sentirono, ma pochi
ne morirono. Dissono gli astrolaghi naturali che di
ciò fu cagione l'aversione di Mars e di Saturno.
L. 11, cap. 63 rubr.Come il conte Guiglielmo Spadalunga prese Romena
e poi la lasciò.
L. 11, cap. 63Nel detto
anno,
a dì
XXVI di febbraio,
Guiglielmo
Spadalunga, de'
conti
Guidi ghibellini,
coll'aiuto di
IIIc cavalieri tedeschi ch'ebbe
dagli Aretini, prese il
castello di
Romena, salvo la rocca, il quale era de'
suoi
consorti guelfi figliuoli
del
conte
Aghinolfo; onde
in
Firenze per cagione dell'essere
del Bavero n'ebbe
grande gelosia e paura; e cavalcarvi le masnade
de' cavalieri, e gli altri
conti
Guidi guelfi si raunarono
co· lloro isforzo per contradiare il detto
conte
Guiglielmo, il quale veggendo sì sùbito soccorso, ed
egli mal proveduto di vittuaglia, lasciò la terra con
alcuno
danno di sua gente.
L. 11, cap. 64 rubr.Come i Genovesi ripresono il castello di Volteri.
L. 11, cap. 64Nel detto anno MCCCXXVII, a l'entrante di marzo, i
Genovesi d'entro ripresono per forza e ingegno il castello
di Volteri con grande danno di loro usciti che
dentro v'erano, che molti ne furono morti e presi.
L. 11, cap. 65 rubr.Come si cominciò guerra tra' Viniziani e gli usciti
di Genova e que' di Saona.
L. 11, cap. 65Nel detto tempo si cominciò
guerra in
mare tra'
Viniziani e quegli di Saona e gli usciti di
Genova, per
cagione che' detti usciti di
Genova corseggiando in
mare in Soria e in
Romania, più cocche e
galee cariche
d'avere de' mercatanti di Vinegia presono tra più
volte nel detto
anno, in quantità di
valuta di più di
LXXm fiorini d'oro, e più di
IIIc Viniziani per più riprese,
e in più legni
affrontandosi co· lloro
a
bbattaglia
furono morti.
A la fine volendo gli Viniziani pigliare
la
guerra per comune, e ordinato, e già armate
LX galee,
Castruccio signore di Lucca per animo di
parte, che
ll'una parte e l'altra erano Ghibellini, prese
in mano la differenza, e accordogli insieme con
amenda
a' Viniziani di libbre
M di viniziani grossi,
e grande
danno e vergogna de' Viniziani; ma
feciollo
per non perdere il
navicare, e per tema di soperchia
spesa; ma più gli vinse animo di parte e la loro
viltade.
L. 11, cap. 66 rubr.Come il Bavero fece cominciare guerra a la città
d'Orbivieto.
L. 11, cap. 66Nel detto anno il Bavero che si facea chiamare imperadore,
essendo rimaso in Roma dopo la partita di
Castruccio, mandò de' suoi cavalieri da MD a Viterbo,
e fece cominciare guerra a la città d'Orbivieto,
perché si teneano a la parte della Chiesa, e molte ville
e castella di loro contado arsono e guastarono; e
maggior danno avrebbono fatto, se non che a dì IIII
di marzo in Roma nacque una grande zuffa tra' Romani
e' Tedeschi, per cagione che di vittuaglia che
prendeano non voleano dare danaio, onde molti Tedeschi
furono morti, e furonne i Romani sotto l'arme,
e abarrarsi in più parti in Roma. Per la qual cosa
il Bavero ebbe sospetto di tradimento; s'afforzò in
Castello Santo Angiolo, e tutta sua gente fece tornare
ad abitare ne la contrada si chiama Portico di San
Piero, e per la sua gente ch'era sopra Orbivieto rimandò,
e fece ritornare in Roma. Alla fine s'aquetò
la zuffa, e più Romani furono condannati, onde s'acrebbe
la loro mala volontà contra il Bavero e sua
gente.
L. 11, cap. 67 rubr.
Come il Bavero fece torre la signoria di Viterbo e il
suo tesoro a Salvestro de' Gatti che n'era signore.
L. 11, cap. 67Nel detto anno MCCCXXVII, del mese di marzo, il
Bavero, essendogli detto che 'l signore di Viterbo
avea grande tesoro di moneta, e egli di ciò molto bisognoso,
mandò il suo maliscalco e 'l cancelliere con
M uomini a cavallo a la città di Viterbo, e giunti nella
terra, subitamente feciono pigliare Salvestro de' Gatti
e 'l figliuolo, ch'era signore di Viterbo, e quegli
che gli avea data l'entrata de la terra e la signoria,
opponendogli che egli stava in trattato col re Ruberto
di dare a sua gente Viterbo, e fecelo martoriare
per farlo confessare ove avea suo tesoro; il quale
confessato ch'era nella sagrestia de' frati minori, vi
mandaro, e vi trovarono XXXm fiorini d'oro; e quegli
presi, con essi n'andarono a Roma, menandone preso
il detto Salvestro e 'l figliuolo; sì che il piccolo tiranno
dal maggiore fue sanza colpa di quel peccato
degnamente pulito, e toltagli la signoria de la terra, e
il suo tesoro.
L. 11, cap. 68 rubr.Come il cancelliere di Roma si rubellò al Bavero.
L. 11, cap. 68Nel detto
anno,
a dì
XX di marzo, il
cancelliere di
Roma, ch'era nato degli
Orsini, rubellò contra
al Bavero
la terra d'
Asturi in su la marina, ch'era sua, e
misevi le genti
del re Ruberto, acciò che facessono
guerra
a
Roma; per la qual cosa i Romani
a furore
corsono
a disfare le case sue, e la
bella e nobile torre
ch'era sopra la
Mercatantia
a piè di Campidoglio,
che si chiamava la torre
del
Cancelliere. E in questo
tempo il Bavero fece in
Roma una imposta di
XXXm
fiorini d'oro, per gran
fame ch'avea di moneta; i
Xm
ne fece pagare
a' Giudei, e gli altri
Xm a'
cherici di
Roma, e gli altri
a' laici romani; onde il popolo si
turbò forte, perché non erano usati di così fatti
incarichi,
e attendeano dell'essere in
Roma il Bavero avere
grascia e non ispesa; per la qual cosa
a' Romani
cominciò
a crescere la loro
mala volontà e indegnazione
contra il detto Bavero.
L. 11, cap. 69 rubr.Di certe leggi che fece in Roma Lodovico di Baviera
sì come imperadore.
L. 11, cap. 69Negli
anni di Cristo
MCCCXXVIII,
a dì
XIIII del mese
d'
aprile,
Lodovico di Baviera, il quale si facea
chiamare imperadore e re de' Romani, congregato
parlamento nella piazza dinanzi
a Santo Pietro in
Roma, ove avea grandi
pergami in su i gradi de la
detta chiesa, dove stava il detto
Lodovico parato come
imperadore, acompagnato di molti
cherici e parlati
e religiosi romani, e altri di sua
setta che l'aveano
seguito, e di molti giudici e
avogadi, in presenza
del
popolo di
Roma fece pubblicare e
confermò le 'nfrascritte
nuove
leggi per lui
nuovamente fatte, la sustanzia
in brieve de le quali è questa: che qualunque
Cristiano fosse trovato in
eresia contro
a Dio e contra
a la 'mperiale maestà, che secondo ch'è
anticamente
per le
leggi,
dovesse essere morto, così
confermò
che fosse; e di ciò potesse essere giudicato e sentenziato
per
ciascuno giudice
competente, o fosse
stato richesto o non richesto; incontanente trovato in
quello peccato dell'
eretica pravità o de la
lesa maestà,
fosse e
dovesse essere morto, nonostante le
leggi
fatte per gli
predecessori suoi, le quali negli altri casi
rimanessono in loro fermezza. E questa legge volle
s'intenda
a le cose passate e
a le presenti, e
a quelle
che fossono pendenti, e che
debbono avenire. Ancora
fece comandare che
ciascuno notaio
dovesse mettere
in
ciascuna carta ch'egli facesse, posti gli
anni
Domini, e
indizione, e il dì: «Fatta
al tempo dell'
eccellente
e magnifico
domino nostro
Lodovico imperadore
de' Romani,
anno suo etc
.», e che altrimenti
non valesse la carta.
Item, che
ciascuno si guardasse
di dare aiuto o
consiglio
ad alcuno ribello o
contumace
del sacro imperadore o
del popolo di
Roma,
sotto la pena de' suoi beni, e che piacesse
a la sua
corte. Queste
leggi furono pensatamente fatte e ordinate
per lo detto Bavero e per lo suo
maculato
consiglio
a
fine che sotto queste volle partorire lo suo iniquo
e pravo intendimento contra papa Giovanni e la
diritta Chiesa, come apresso faremo menzione.
L. 11, cap. 70 rubr.
Sì come il detto Lodovico diede sentenzia, e come
potéo dispuose papa Giovanni XXII.
L. 11, cap. 70Apresso, i· lunidì vegnente,
a dì
XVIII d'
aprile
del
detto
anno, il detto
Lodovico per simile modo ch'avea
fatto il giuovidì dinanzi fece
parlamento, e congregare
il popolo di
Roma,
cherici e laici, ne la piazza
di San Piero, e in su i sopradetti
pergami venne
vestito di porpore, e co la corona in capo e la verga
dell'oro ne la mano diritta, e la poma overo
mela d'oro
ne la manca, sì come imperadore; e puosesi
a sedere
sopra uno ricco trono
rilevato, sì che tutto il
popolo il potea vedere, intorniato di parlati e baroni
e di cavalieri armati. E come fu posto
a sedere, fece
fare silenzio; e uno frate Niccola di
Fabbriano dell'
ordine de'
romitani si fece
al
perbio, e gridò
ad
alte
boci: «Ècci alcuno procuratore che voglia difendere
prete Iacopo di Caorsa, il quale si fa chiamare papa
Giovanni
XXII?». E così gridò tre volte, e nullo rispuose.
E ciò fatto, si fece
al
perbio uno abate d'Alamagna
molto letterato e propuose in
latino queste
parole: «
Hec
est
dies
boni
nuntii etc
.», allegando
sopra questa autoritade molto belle parole sermonando;
e poi si lesse una sentenzia molto lunga e ornata
di molte parole e falsi argomenti, inn effetto di
questo tenore. Prima nel proemio, come il presente
santo imperadore, essendo avido dell'onore e di ricoverare
lo stato
del popolo di
Roma, si mosse d'Alamagna
lasciando il regno suo e' suoi figliuoli piccioli
in adolescente etade, e sanza alcuna dimoranza era
venuto
a
Roma, sappiendo come
Roma era capo
del
mondo e de la fede
cristiana, e che ella era
vacua
della sedia spirituale e temporale; e stando
a
Roma,
dinanzi
a llui pervenne che Iacopo di Caorsa, il quale
si faceva abusivamente dire papa Giovanni
XXII,
avea voluto mutare il
titolo de'
cardinalitichi, i quali
sono
a
Roma, ne la
città di
Vignone, e non lasciò, se
non perché i suoi cardinali non l'assentirono. E poi
sentì che quello Iacopo di Caorsa avea fatto bandire
le croce contro
a' Romani, e queste cose fece asapere
agli
LII rettori
del popolo di
Roma e
ad altri savi, come
gli parve che si
convenisse. Per la qual cosa per il
sindaco della
chericia di
Roma, e per quello
del popolo
di
Roma, costituiti da
coloro che n'aveano balìa,
fue
isposto dinanzi
a llui e
supplicato ch'egli procedesse
sopra il detto Iacopo di Caorsa secondo
eretico,
e provedesse la Chiesa e 'l popolo di
Roma di
santo pastore e di fedele Cristiano, sì come altra volta
fu fatto per
Otto terzo imperadore. Onde volendo
attendere
a la piatà de' Romani e de la santa Chiesa
di
Roma, che rapresenta tutto il
mondo e la fede
cristiana,
procedette sopra il detto Iacopo di Caorsa,
trovandolo in caso di
resia per gl'infrascritti modi,
cioè, prima, che essendo il regno d'
Erminia assalito
da' Saracini, e volendo lo re di
Francia
mandarvi
soccorso di
galee armate, egli avea quella andata fatta
convertire sopra i Cristiani, cioè sopra i Ciciliani.
Ancora, che essendo egli
pregato da'
frieri di Santa
Maria degli Alamanni ch'egli mandasse oste sopra i
Saracini, avea risposto: «Noi avemo in casa i Saracini».
Anche avea detto che Cristo avea avuto propio
in comune co' suoi discepoli, il quale sempre
amò
povertade. E appresso trovatolo in altri grandi peccati
di
resia,
massimamente ch'egli s'avea voluto
apropiare lo spirituale e 'l temporale
dominio, di
consiglio di
Ioab, cioè di Ruberto
conte di
Proenza,
faccendo contro
al santo Vangelio, ove dice che Cristo,
vogliendo fare
distinzione dello spirituale dal
temporale, disse: «
Id
quod
est
Cesaris
Cesari,
et
quod
est
Dei
Deo». E in altra parte
del Vangelio disse:
«
Regnum
meum
non
est
de
hoc
mundo;
et
si
de
hoc
mundo
esset
regnum
meum,
ministri
mei etc
.»,
e seguentemente: «
Regnum
meum
non
est
hic». Sì
che i detti e altri diversi e grandi peccati di
resia ha
commessi, anche ch'avea
prosummito e avuto ardire
contra la 'mperiale maestade,
disponendo e cassando
la sua elezione, la quale incontanente fatta, per quella
medesima ragione è
confermata, e non abisogna di
confermagione alcuna, con ciò sia cosa che non sia
sottoposto
ad alcuno, ma ogni uomo e tutto il
mondo
è sottoposto
a llui. Onde avendo il detto Iacopo
commessi cotali peccati, si di
resia e sì de la lesa
maestade, nonostante ch'egli non sia stato citato, che
non bisogna per la
nuova legge fatta per lo detto imperadore,
e per altre
leggi canoniche e civili,
rimovea,
privava, e
cassava il detto Iacopo di Caorsa da
l'oficio
del
papato, e da ogni oficio e beneficio temporale
e spirituale, e
sommettendolo
a
ciascuno ch'avesse
giuridizione temporale, che 'l potesse punire
d'
animaversione, secondo che
eretico e commettitore
de la lesa maestade; e che nullo re, prencipe, o barone,
o comunità gli
dovesse dare aiuto,
consiglio, o favore,
né averlo né tenerlo per papa, in pena di privazione
d'ogni dignità,
cherici e laici di cheunque stato
fosse, e
a pena d'essere condannato come
fautore
d'
eretico, e di commettere peccato de la lesa maestà;
e la metà della pena e
condannagione fosse applicata
a la camera dello 'mperadore, e l'altra metade
al popolo
di
Roma, e chiunque gli avesse dato aiuto,
consiglio
o favore, da indi adietro cadesse in simile sentenzia,
assegnando
termine
a
scusarsi
a chi contro
a cciò avesse fatto,
a quegli d'Italia uno mese, e
a tutti
gli altri d'universo
mondo infra
due mesi, che si
venissono
a
scusare. E data e
confermata la detta
sentenzia, disse il detto
Lodovico Bavero che infra
pochi giorni
provederebbe di dare buono papa e
buono pastore, sì che grande consolazione n'avrebbe
il popolo di
Roma e tutti i Cristiani. E queste cose
disse ch'avea fatte di
consiglio di grandi savi
cherici e
laici fedeli Cristiani, e de' suoi baroni e prencipi. De
la detta sentenzia i savi uomini di
Roma molto si turbarono;
l'altro semplice popolo ne fece gran festa.
L. 11, cap. 71 rubr.
Come il figliuolo di messer Stefano della Colonna
entrò in Roma, e piuvicò il processo del papa contro al
Bavero.
L. 11, cap. 71Apresso la detta sentenzia data per lo Bavero contro
a papa Giovanni
XXII, il venerdì, dì
XXII del detto
mese d'
aprile e de la detta
indizione, messer Iacopo
figliuolo di messer Stefano della Colonna venne
in
Roma ne la contrada di Santo
Marcello, e ne la
piazza de la detta chiesa, in presenza di più di
M Romani
ivi raunati, trasse fuori uno processo scritto,
fatto per papa Giovanni contra
Lodovico di Baviera,
e nullo era stato ardito di recarlo e
piuvicarlo in
Roma,
e quello
diligentemente lesse; e disse che
agli
orecchi
del
chericato di
Roma era pervenuto che certo
sindaco era comparito dinanzi
a
Lodovico di Baviera,
il quale abusivamente si fa dire imperadore, e
sposto contra il santo papa Giovanni
XXII, e ancora
il sindaco
del popolo di
Roma, il quale sindaco, cioè
quello
del
chericato di
Roma, mai non
ispuose; e se
alcuno fosse venuto come sindaco vero, non era, con
ciò sia cosa che il
chericato, cioè i
calonaci di Santo
Pietro, e quegli di Santo Giovanni Laterano, e di
Santa Maria Maggiore, i quali sono i primi nel
chericato
di
Roma, e gli altri maggiore
cherici seguente
loro, e' religiosi abati e' frati minori e predicatori, e
gli altri savi degli ordini, erano, già sono più mesi,
partiti di
Roma per cagione de la gente
scomunicata
ch'era
entrata in
Roma; e chi v'era rimaso e avea celebrato
era scomunicato, sì che di ragione non poteano
fare sindaco; e se alcuno fosse stato sindaco innanzi,
e fosse rimaso in
Roma, ancora era scomunicato:
onde egli
contradicendo
a quello ch'era stato
fatto per lo detto
Lodovico, dicendo che papa Giovanni
era cattolico e giusto papa, e
ragionevolemente
fatto per gli cardinali di santa Chiesa, e questo che si
dice imperadore, imperadore non essere, ma essere
eretico e scomunicato, e' sanatori di
Roma e'
LII del
popolo, e tutti
coloro che consentivano
a llui, e
dessono,
o avessono dato aiuto o
consiglio o favore,
similemente
erano
eretici e scomunicati. E intorno
a la
materia molte altre parole disse,
profferendo di ciò
provare di ragione, e se bisognasse,
colla spada in
mano in luogo comune. E apresso
diligentemente il
detto processo scritto
conficcò con sue
mani ne la
porta de la detta chiesa di Santo
Marcello sanza nullo
contasto; e ciò fatto, montò
a cavallo con
IIII compagni,
e partissi di
Roma, e
andonne
a
Pilestrino. De
le quali cose grande mormorio fue per tutta
Roma; e
fatto assapere
al Bavero ch'era
a Santo Pietro, gli
mandò dietro genti d'arme
a cavallo per
prenderlo,
ma già era assai dilungato. Per la detta bontade e
ardire
del detto messer Iacopo, come il papa il seppe,
il fece vescovo di
e mandò ch'egli andasse
a llui,
e così fece.
L. 11, cap. 72 rubr.Come il Bavero e 'l popolo di Roma feciono legge
contra qualunque papa si partisse di Roma.
L. 11, cap. 72Il
dìe sequente, ciò fu sabato, dì
XXIII del detto
mese d'
aprile, richesti per
bando i sanatori di
Roma,
e'
LII del popolo, e' capitani di
XXV, e' consoli, e'
XIII
buoni uomini, uno per rione, che fossono dinanzi
a
lo 'mperadore, e così fu fatto; e consigliarono assai
sopra la
novità fatta, come detto avemo, per messer
Iacopo de la Colonna. E poi fue tratta fuori e pubblicata
una
nuova legge in questo tenore: che il papa,
il quale lo 'mperadore e 'l popolo di
Roma intendea
di chiamare, e ogni altro che papa fosse,
debbia
stare ne la
città di
Roma, e non partirsi, se non tre
mesi dell'
anno, e non dilungarsi da
Roma da
due
giornate in su, e allora co la licenza
del popolo di
Roma; e quando fosse asente da
Roma, e fosse richesto
per lo popolo di
Roma, ch'egli tornasse in
Roma;
e se
a le tre richeste non tornasse, s'intendesse essere
casso
del
papato, e
potessene chiamare un altro. E
ciò fatto, sì
perdonò il Bavero
a tutti i Romani ch'erano
stati e tratti
a uccidere la sua gente
a la zuffa e
battaglia che fu
al ponte dell'isola; e queste
leggi e
perdono fece il Bavero per contentare il popolo di
Roma. E nota ingiusta e non proveduta legge,
a imporre
al pastore di santa Chiesa costituzioni e modi
di stare o andare contra la libertà di santa Chiesa, e
contra la somma podestà che
deono avere, e sempre
hanno avuta, i sommi pontefici.
L. 11, cap. 73 rubr.Come Lodovico di Baviera col popolo di Roma elessono
antipapa contro al vero papa.
L. 11, cap. 73Negli
anni di Cristo
MCCCXXVIII,
a dì
XII di maggio,
il dì dell'Ascensione la mattina per tempo, congregato
il popolo di
Roma, uomini e femmine che vi
vollono andare, dinanzi
a Santo Pietro,
Lodovico di
Baviera che si facea chiamare imperadore venne incoronato
e parato
coll'abito imperiale in su il
pergamo,
il quale era sopra le gradora di San Piero, con
molti
cherici e religiosi, e co' capitani
del popolo di
Roma, e intorno di lui molti de' suoi baroni; e fece
venire dinanzi
a ssé uno frate Pietro da Corvara, nato
de'
confini tra 'l
contado di Tiboli e
Abruzzi, il
quale era dell'ordine de' frati minori, inn adietro tenuto
buono uomo e di santa vita. E lui venuto, il
detto Bavero si rizzò in su la sedia, e 'l detto frate
Piero fece sedere sotto il
solicchio. E ciò fatto, si levò
frate Niccola di
Fabbriano dell'ordine de'
romitani,
e propuose in suo sermone queste parole: «
Reversus
Petrus
ad
se
dixit: "
Venit
angelus
Domini,
et
liberavit
nos
de
manu
Erodis ed
de
omnibus
factionibus
Iudeorum"», appropiando il detto Bavero
per l'angelo, e papa Giovanni per
Erode; e intorno
a cciò molte parole. E fatto il detto sermone, venne
innanzi il vescovo che fu di Vinegia, e gridò tre volte
al popolo se voleano per papa il detto frate Pietro; e
con tutto che 'l popolo assai se ne turbasse,
credendosi
avere papa romano, per tema rispuosono in gridando
che sì. E poi si levò ritto il Bavero, e
letta per
lo detto vescovo in una carta il decreto che
a confermazione
del papa si
costuma, l'appellò il detto Bavero
Niccola papa quinto, e diedegli l'anello, e misegli
adosso il manto, e
puoselo
a ssedere da la mano diritta
di costa
a sé; e poi si levarono, e con grande
trionfo
entrarono nella chiesa di Santo Pietro; e detta
la
messa, con grande festa n'andarono
a mangiare.
Di questa lezione e
confermagione
del detto antipapa
la buona gente di
Roma forte si turbarono, parendo
loro che 'l detto Bavero facesse contra fede e la
santa Chiesa; e sapemmo poi di vero da la sua gente
medesima, che quegli ch'erano savi, parve loro ch'egli
non facesse bene; e molti per la detta cagione mai
poi non gli furono fedeli come prima, spezialmente
quegli de la bassa Alamagna ch'erano co· llui.
L. 11, cap. 74 rubr.Come la città d'Ostia fu presa per le galee del re
Ruberto.
L. 11, cap. 74Il sequente dìe che fue fatto l'antipapa XIIII galee
armate del re Ruberto entrarono in Tevero, e presono
la città d'Ostia con grande danno de' Romani; e
alquante de le dette galee vennono su per lo fiume
del Tevero infino a Santo Paolo, scendendo in terra,
e ardendo case e casali, e levando grande preda di
gente e di bestiame; onde i Romani molto isbigottirono,
gittando molte rampogne al signore. Per la
qual cosa vi fece cavalcare a la detta Ostia VIIIc cavalieri
di sua gente e molti Romani a piè a soldo, i
quali assalendo la terra, molti ne furono morti e più
fediti per gli molti balestrieri delle galee ch'erano in
Ostia, e così si tornarono in Roma con danno e con
vergogna.
L. 11, cap. 75 rubr.
Come l'antipapa fece VII cardinali.
L. 11, cap. 75
A dì
XV del mese di maggio
del detto
anno l'antipapa
fatto per
Lodovico di Baviera fece
VII cardinali,
i nomi de' quali furono questi: il vescovo che fu
disposto
di Vinegia per papa Giovanni, il quale fu nipote
del cardinale da Prato; l'abate di Santo Ambruogio
di Milano, il quale anche fu
disposto; uno
abate d'Alamagna, il quale lesse la sentenzia contra
papa Giovanni; frate Niccola da
Fabbriano de'
romitani,
il quale e stato nominato in questo, che
sermonò
contra papa Giovanni; l'altro fu messer Piero
Orrighi
e messer
Gianni d'
Arlotto popolani di
Roma;
l'altro, l'arcivescovo che fu di
Modona; e alcuno altro
Romano n'
elesse, i quali non vollono accettare,
avendo di ciò coscienza, ch'era contra Dio e contra
fede. Tutti questi detti di sopra furono
disposti di loro
benifici per papa Giovanni, perch'erano sismatici
e ribelli di Santa Chiesa, i quali furono
confermati
per lo detto
Lodovico, sì come fosse imperadore; e
egli forni di
cavagli e d'arnesi l'antipapa e' detti suoi
sismatici cardinali. E con tutto che 'l sopradetto antipapa
biasimava per
via di spirito le ricchezze e onori
ch'usava il diritto papa e' suoi cardinali e gli altri
parlati de la Chiesa, e tenea l'oppinione che Cristo
fue tutto povero e non ebbe propio comune, e così
doveano fare i successori di santo Pietro: egli pur
sofferse e volle co' suoi cardinali avere
cavagli e famiglie
vestite e cavalieri e
donzelli e forniti d'arnesi,
e usare larga mensa
a mangiare sì come gli altri; e
rimosse
e diede molti benifici
ecclesiastichi siccome
papa, annullando quegli dati per papa Giovanni, e
dando larghi brivilegi con falsa bolla e per moneta,
però che con tutto che 'l Bavero l'avesse fornito, come
avea potuto, egli da sé era sì povero di moneta,
che per necessità
convenne che 'l suo papa e' suoi
cardinali e loro
corte fosse povera, e per moneta
desse
brivilegi e dignità e benifici. E fatte le dette cose,
il detto Bavero lasciò il suo papa ne'
palagi di San
Piero in
Roma, e egli cogli più di sua gente si partì di
Roma e
andonne
a Tiboli,
a dì
XVII del detto mese di
maggio.
L. 11, cap. 76 rubr.Come Lodovico di Baviera si fece ricoronare e confermare
imperadore al suo antipapa.
L. 11, cap. 76Sabato,
a dì
XXI del sopradetto mese di maggio, il
detto Bavero si partì da Tiboli, e venne
a San Lorenzo
fuori le Mura, e ivi albergò, e tutta sua gente intorno
acampata. Poi la
domenica mattina, il dì de la
Pentecosta,
entrò in
Roma, e 'l suo antipapa co' suoi
sismatici cardinali gli vennono incontro insino
a San
Giovanni Laterano, e poi ne vennono per
Roma insieme
col detto Bavero; e ismontati
a Santo Pietro, il
Bavero mise
a l'antipapa la
berriuola dello scarlatto
in capo, e poi l'antipapa coronò da capo
Lodovico di
Baviera,
confermandolo, sì come papa,
a essere degno
imperadore. E ciò fatto, il detto Bavero
confermò
la sentenzia data per
Arrigo imperadore contra
lo re Ruberto e contra i Fiorentini e altri. E il detto
antipapa in quegli giorni fece marchese della Marca,
e
conte di
Romagna, e
conte in Campagna, e
duca di
Spuleto, e fece più legati ne' detti luoghi e in Lombardia.
E poi il Bavero si partì di
Roma e
andonne
a
Velletri, e lasciò sanatore in
Roma Rinieri, figliuolo
che fu d'Uguiccione da Faggiuola, il quale
martorizzò
e fece ardere
due buoni uomini, l'uno lombardo,
e l'altro toscano, perché diceano che 'l detto frate
Piero di Corvara non era né potea essere degno papa,
ma era papa Giovanni
XXII degno e santo.
L. 11, cap. 77 rubr.Come gente del Bavero furono sconfitti presso a
Narni.
L. 11, cap. 77Nel detto anno MCCCXXVIII, a dì IIII di giugno,
IIIIc cavalieri di quegli del Bavero, venuti da Roma
con MD pedoni, s'erano partiti da Todi per torre il
castello di Santo Gemini. Sentendo ciò gli Spuletini,
con loro isforzo e con CC cavalieri di Perugia ch'erano
in Spuleto, ch'andavano in Abruzzi in servigio del
re Ruberto, si misono in guato presso di Narni, e ivi
ebbe grande battaglia e ritenuta per gli Tedeschi, ma
per lo forte passo la gente del Bavero rimasono sconfitti
e morti, e presi gran parte.
L. 11, cap. 78 rubr.
Come il Bavero adoperò con sua oste in Campagna
per passare nel Regno, e come si tornò a Roma.
L. 11, cap. 78Nel detto
anno,
a dì
XI di giugno, il popolo di
Roma
co la gente
del Bavero stati più tempo
ad assedio
al castello della
Mulara, nel quale era la gente
del re
Ruberto, per difalta di vittuaglia s'
arendé
al popolo
di
Roma,
andandone sani e salvi la gente
del re, ch'erano
IIIc cavalieri e
Vc pedoni. E ciò fatto, il Bavero
colla detta oste andò
a
Cisterna, e
arendési
a llui, e'
Tedeschi la rubarono tutta e arsono; e per
caro di
vittuaglia ch'ebbe nel campo
del Bavero, che vi valse
o danari
XVIII provigini il pane, e non ve n'avea, i Romani
si partirono tutti e tornarsi in
Roma; e 'l Bavero
tornando
a
Velletri, que' della terra non ve lo lasciarono
entrare per paura non rubassono la terra e
ardessono, come aveano fatto
a
Cisterna; per la qual
cosa gli
convenne stare di fuori
a campo
a grande
misagio. E in quella stanza la gente
del re Ruberto
ch'erano in Ostia, per tema non v'andasse l'oste
del
Bavero, la rubarono tutta e arsono, e
abandonarla.
Ancora nel detto dimoro
a campo tra la gente
del
Bavero ebbe grande
dissensione, da' Tedeschi dell'
alta Alamagna
a quegli della bassa, per cagione della
preda di
Cisterna e per lo
caro della vittuaglia; e
armarsi in campo l'una parte e l'altra per combattersi;
onde il Bavero con gran fatica e promesse gli dipartì,
mandandone
a
Roma que' de la bassa Alamagna,
ed egli cogli altri si tornò
a Tiboli dì
XX di giugno,
e là dimorò intorno d'uno mese per cercare
via
e modo d'
entrare nel Regno; ma per
povertà di moneta,
e per la
carestia grande ch'era
al paese, e' passi
forti e guardati dal
duca di Calavra e da sua gente,
non s'ardì
a mettere, e tornossi
a
Roma
a dì
XX di luglio.
Lasceremo alquanto degli andamenti
del Bavero,
e torneremo adietro
a raccontare d'altre
novità
avenute in questo tempo in
Toscana e per l'universo
mondo, che ne sursono assai.
L. 11, cap. 79 rubr.Come papa Giovanni aramatizzò di scomunica il
Bavero e' suoi seguaci.
L. 11, cap. 79Nel detto anno MCCCXXVIII, dì XXX di marzo, papa
Giovanni appo Vignone aramatizzò di scomunica
il Bavero e' suoi seguaci, e dispuose Castruccio del
ducato di Lucca e di Luni, e Piero Saccone de la signoria
d'Arezzo, ed ogni brivilegio ricevuto dal Bavero
per sentenzia cassò e annullò.
L. 11, cap. 80 rubr.Come fu pace tra re d'Inghilterra e quello di Scozia.
L. 11, cap. 80Nel detto
anno e mese di marzo si compié l'accordo
e pace tra re d'Inghilterra e quello di Scozia,
ch'era
durata la
guerra
anni, con grande
danno e
abassamento degl'Inghilesi; e feciono parentado insieme,
che il giovane re d'Inghilterra
diè per moglie
la
serocchia
al figliuolo
del re di Scozia.
L. 11, cap. 81 rubr.Come Castruccio fece rubellare Montemasso a' Sanesi.
L. 11, cap. 81Nel detto anno, a dì X d'aprile, Castruccio prima
fatto rubellare, e poi il fece fornire, Montemassi in
Maremma, il quale certi gentili uomini maremmani,
che v'aveano ragione, col favore di Castruccio l'aveano
rubellato a dispetto de' Sanesi che v'erano ad
oste, e con battifolle, e' Fiorentini vi mandarono in
loro soccorso CCL cavalieri, ma giunsono tardi, sì che
non poterono riparare a la forza della cavalleria di
Castruccio. Per la qual cosa i Sanesi mandarono ambasciadori
a Pisa a Castruccio, e dimandargli che
non si travagliasse contro a lloro. Castruccio per
ischernie de' Sanesi non fece loro null'altra risposta,
se non per una lettera bianca, ch'altro non dicea se
non: «Levate via chelchello», in sanese, cioè il battifolle;
onde i Sanesi forte ingrecaro, e rinforzarvi l'assedio
coll'aiuto de' Fiorentini, che vi mandarono
CCCL cavalieri, e per patti ebbono il detto Montemassi
a dì d'agosto MCCCXXVIII.
L. 11, cap. 82 rubr.
Come fu preso e disfatto il castello del Pozzo sopra
Guisciana.
L. 11, cap. 82Nel detto anno, a dì XXVI d'aprile, le masnade de'
Fiorentini ch'erano in Santa Maria a Monte, presono
il castelletto del Pozzo in su Guisciana, il quale era
molto rafforzato. Vegnendo la gente di Castruccio
per fornirlo, e que' del castello uscendo incontro per
loro ricevere, le masnade de' Fiorentini entrarono in
mezzo tra 'l castello e loro, e misongli in isconfitta, e
ebbono il Pozzo, il quale i Fiorentini feciono di presente
diroccare infino a le fondamenta. Quello Pozzo
Castruccio avea molto fatto afforzare e murare, e
tenealo per suo luogo propio.
L. 11, cap. 83 rubr.Come Castruccio corse la città di Pisa e fecesene fare
signore.
L. 11, cap. 83In questi tempi e mese d'
aprile
Castruccio essendo
in
Pisa, e non parendogli che la terra si reggesse
bene
a sua guisa, e
convitando d'
esserne
al tutto signore,
e certi grandi e popolani di
Pisa, i quali
a la
venuta
del Bavero erano de la
setta di
Castruccio, allora
erano contra lui per non
volerlo per signore, e
aveano fatto trattato in
Roma col Bavero ch'egli donasse
la signoria
a la 'mperadrice, acciò che
Castruccio
non avesse la signoria; e così fece per danari
ch'ebbe da' Pisani (la quale donna mandò
a
Pisa per
suo vicario il
conte d'
Ottinghe d'Alamagna, il quale
da
Castruccio infintamente fu ricevuto), ma
due dì
apresso
Castruccio con sua cavalleria e con gente
a
piè assai
del
contado di Lucca
corse la
città di
Pisa
due volte, non riguardando reverenza o signoria
del
Bavero o de la moglie, e prese messer
Bavosone d'
Agobbio,
il quale il Bavero v'avea
lasciato per suo vicario,
e messer
Filippo da Caprona e più altri grandi
e popolani di
Pisa, e per forza si fece
eleggere signore
libero di
Pisa per
II anni, e ciò fu
a dì
XXVIIII d'
aprile
MCCCXXVIII; per la qual cosa il sopradetto
conte
d'
Ottinghe si ritornò
a
Roma con onta e vergogna.
Ben si disse che
Castruccio il contentò di moneta,
acciò che non si
dolesse lui
al Bavero né
a la donna
sua; ma di certo di questa
novità nacque grande
isdegno coperto dal Bavero
a
Castruccio,
del quale
sarebbe nato
novità assai e diverse, se
Castruccio
fosse lungamente vivuto, come innanzi faremo
menzione.
L. 11, cap. 84 rubr.Come i Fiorentini renderono il castello di Mangone
a messer Benuccio Salimbeni di Siena.
L. 11, cap. 84Nel detto
anno,
a dì
XXX d'
aprile, i Fiorentini per
volontà e
comandamento
del
duca loro signore, e
per certe
rapresaglie e roba de' Fiorentini sostenute
da' Sanesi, renderono contra loro buona voglia il castello
di Mangone
a messer
Benuccio de'
Salimbeni
di Siena, che vi
cusava ragione per la moglie, la quale
fu figliuola
del
conte
Nerone da
Vernia, e nipote
del
conte Alberto da Mangone; ma per certe
ragioni e
testamenti fatti con
patti infra i
conti da Mangone,
chi di loro rimanesse sanza
reda maschio
legittimo,
rimanesse e
Vernia e Mangone
al Comune di
Firenze,
e morto Alberto nullo ve ne rimanea, e 'l Comune
di
Firenze n'avea ragione, e n'era in possessione.
Per la qual cosa il popolo di
Firenze molto si turbò
di
renderlo; ma per lo male stato
del nostro Comune,
e per non recarne i Sanesi
a nimici, e non potere
contastare
a la volontà
del
duca, si rendé per lo meno
reo, con
patti che messer
Benuccio ne
dovesse
con
C fanti fare oste e cavalcate col Comune di
Firenze,
e mandare uno palio di
drappo
ad oro per la
festa
del beato Giovanni.
L. 11, cap. 85 rubr.Come Castruccio puose l'assedio a la città di Pistoia.
L. 11, cap. 85Ne' detti tempi grande quistione nacque dal Comune
di
Firenze
a messer
Filippo di
Sangineto, il
quale il
duca di Calavra avea
lasciato in suo luogo e
capitano di
guerra in
Firenze per cagione che oltre
a'
patti di
CCm fiorini d'oro che 'l
duca avea l'
anno per
la sua signoria e per tenere
M cavalieri (che non ne
tenea allora
VIIIc), sì volea che' Fiorentini
fornissono
a loro spese la
città di Pistoia e Santa Maria
a Monte,
e non bastava il
costo de' soldati, che oltre
a le masnade
a cavallo pagati de' danari de' Fiorentini, teneano
i Fiorentini in Pistoia
M pedoni, e nel castello
di Santa Maria
a Monte
Vc al loro soldo, sì volea il
detto messer
Filippo si fornisse di vittuaglia de la
moneta
del Comune le dette terre, e il
duca ne volea
e avea la signoria e
dominazione libera de la detta
città di Pistoia e di Santa Maria
a Monte. Onde isdegno
e gara nacque grande tra' rettori di
Firenze e il
detto messer
Filippo e' suoi consiglieri; e non sanza
giusta cagione de' Fiorentini, però che 'l detto messer
Filippo quando prese Pistoia l'avea co la sua gente
rubata e vota d'ogni sustanza, e no· lla volea fornire
di vittuaglia de la pecunia che gli rimanea, pagati i
suoi cavalieri, di
CCm fiorini d'oro, che bene lo potea
fare largamente, anzi gli rimandava
al
duca nel Regno.
Onde i Fiorentini
ingrecati e
imbizzarriti per lo
detto isdegno, s'acrebbe grossamente
danno sopra
danno e
pericolo sopra vergogna, come innanzi faremo
menzione; che per ispesa di
IIIIm fiorini d'oro si
trovava chi forniva la
città di Pistoia, che
costò poi
a'
Fiorentini più di
Cm, con
danno e vergogna
del Comune
di
Firenze e
del
duca che n'era signore. Questa
discordia sentendo
Castruccio, e come Pistoia non
era fornita per più di
due mesi, co la grande volontà
ch'aveva di riprenderla, e di vendicarsi di messer
Filippo
e de' Fiorentini de l'onta che
lline parea avere
ricevuta de la
perdita di quella, come sollecito e
valoroso
signore vi mandò la sua gente, in quantità di
M cavalieri e popolo assai,
a l'assedio,
a dì
XIII di
maggio
MCCCXXVIII, e egli rimase in
Pisa
a sollecitare
di fornire la detta oste. E
mandòvi i Pisani per comune,
e col loro carroccio, i più contra loro volontà,
e egli poi venne in persona nella detta oste
a dì
XXX
maggio con tutto il rimaso di sua gente, e trovossi
con
XVIIc di cavalieri e popolo innumerabile, sì ch'elli
cinse la
città d'intorno intorno di sua oste e con
più battifolli, sì che nullo vi potea
entrare né uscire,
avendo tagliate le vie e fatti i fossi e
isbarre e steccati
di maravigliosa opera, acciò che nullo potesse uscire
di Pistoia, né' Fiorentini impedire né assalire sua
oste da l'altra parte.
L. 11, cap. 86 rubr.Come i Fiorentini feciono grande oste per soccorrere
la città di Pistoia, e come Castruccio l'ebbe a patti.
L. 11, cap. 86Istando
Castruccio
a l'assedio di Pistoia per lo
modo ch'avemo detto di sopra,
dando
a la
città sovente
battaglie con gatti e grilli e torri di legname armate,
e riempiendo in alcuna parte de' fossi, ma poco
o niente vi
poté fare, però che la terra era fortissima
di
mura con ispesse
torricelle e bertesche, e poi
steccata con
dupplicati fossi, come
Castruccio medesimo
l'avea fatta afforzare, e dentro avea per lo Comune
di
Firenze
CCC cavalieri e
M pedoni, buona
gente d'arme
a la guardia e difensione, sanza i cittadini
guelfi, i quali sovente uscivano fuori assalendo il
campo con
danno de' nimici; e le masnade de' Fiorentini
ch'erano in Prato spesso assalivano l'oste; ma
poco levava, sì avea
Castruccio afforzato il campo. In
questa stanza i Fiorentini feciono disfare e tagliare
co' picconi la rocca e le
mura e tutte case e fortezze
del castello di Santa Maria
a Monte, e
misonvi fuoco,
e feciolla rovinare
a dì
XV di giugno
del detto
anno,
per non avere
a fornire tante guardie di castella, e per
la
tenza ch'aveano de la detta guardia co la gente
del
duca, sì come dicemmo dinanzi, e per fare partire
Castruccio da l'assedio di Pistoia, o asottigliare sua
oste, per venire
a difendere Santa Maria
a Monte.
Ma egli, come costante e valoroso, niente si mosse da
Pistoia, ma
raforzò l'asedio. I Fiorentini veggendo
che Pistoia era con difalta di vittuaglia, e non si potea
fornire sanza possente oste o per battaglia con
Castruccio, sì raunarono tutta loro amistà, e ebbono
dal legato di Lombardia, il quale era in Bologna,
Vc
cavalieri, prestando loro per paga
Xm fiorini d'oro, e
IIIIc cavalieri
del Comune di Bologna, e
CC cavalieri
del Comune di Siena, e gente di loro
a piè con balestra,
e da
CCC cavalieri tra di Volterra, e San Gimignano,
e
Colle, e Prato, e'
conti
Guidi guelfi e altri
amici, e messer
Filippo di
Sangineto capitano per lo
duca
VIIIc cavalieri, che ne
dovea avere
M, per la qual
difalta, oltre
a quegli, il Comune di
Firenze ne soldò
IIIIcLX sotto
bandiere
del Comune, onde furono capitani
messer Gian di
Bovilla di
Francia e messer
Vergiù di Landa di Piagenza. E raunata la detta cavalleria,
la quale furono da
XXVIc di cavalieri, molto
bella e buona gente, la maggiore parte oltramontani,
e popolo
a piè grandissimo, e preso il gonfalone della
Chiesa, e la croce dal legato cardinale ne la piazza
di Santa
Croce, si mosse di
Firenze il capitano con
parte dell'oste martidì
XIII di luglio, e
andonne
a
Prato; e il seguente e terzo dì apresso si mosse di
Firenze
tutta l'altra cavalleria e gente. E poi i· lunidì, dì
XVIIII di luglio, uscì tutta l'oste de' Fiorentini di Prato
ordinata e schierata, e puosonsi
a campo di là dal
ponte Agliana, e 'l seguente dì si puosono
a le
Capannelle,
e quivi assai presso
a l'oste di
Castruccio,
ispianando di concordia intra le
due osti, avendo
Castruccio
promessa e
ingaggiata la battaglia. Tutto
uno giorno stette l'oste de' Fiorentini
ischierata in
sul campo per combattere; ma
Castruccio veggendo
tanta buona gente
a' Fiorentini, e volonterosa di
combattere, ed egli si sentia con assai meno cavalleria,
non si volle mettere
a la fortuna de la battaglia;
ma con grandissima sollecitudine e
studio
personalmente
intendea
a fare
imbarrare con alberi tagliati e
fossi e steccati intorno
a la sua oste, e spezialmente
verso la parte ove avisava che l'oste de' Fiorentini si
dovea porre. E così ingannati i Fiorentini da
Castruccio
di non volere la battaglia, mossono loro
schiere, e tennono
a mano diritta verso tramontana,
e
acamparsi
al ponte
a la
Bura; che s'avessono tenuto
di costa
al fiume dell'Ombrone da la mano sinestra,
di nicessità
convenia che
Castruccio venisse
a la battaglia,
o Fiorentini
fornissono per forza Pistoia, e
entrassono
tra la terra e Serravalle, onde
venia la vittuaglia
a l'oste di
Castruccio. Ma
a cui Idio vuole
male gli toglie il senno; che presono pure il peggiore,
e
strinsonsi
a'
poggetti di
Ripalta, ove l'oste di
Castruccio
era più forte per lo sito
del terreno, e dove
avea più battifolli, e gente
a piè innumerabile
a la difesa.
E stando nel detto luogo da
VIII giorni
badaluccandosi
sovente le genti de le
due osti insieme, ma
poco poterono avanzare i Fiorentini; che s'aquistavano
il giorno terreno, la notte era ripreso e afforzato
di steccati per la gente di
Castruccio. E sturbò ancora
molto la 'mpresa, che messer
Filippo capitano per
lo
duca di Fiorentini alquanto amalò, e non era bene
inn accordo col maliscalco che v'era
colla cavalleria
de la Chiesa e di Bologna, che l'uno volea tenere una
via, e l'altro un'altra; e de' soldati de la Chiesa, che
v'avea assa' Tedeschi, spesso passavano con
fidanza
a l'oste di
Castruccio, onde si prese alquanta sospeccione,
e dissesi che
Castruccio avea fatti corrompere
più conostaboli tedeschi de la gente de la Chiesa. E
per le dette cagioni, e ancora che legato da Bologna
studiava di riavere la sua cavalleria per sue imprese
di
Romagna, sì ssi prese partito in
Firenze, per lo
men reo, di fare tornare l'oste, e cavalcare in su quello
di
Pisa, e lasciare guernimento in Prato di gente e
di vittuaglia, sì che se
Castruccio si levasse da l'assedio
di Pistoia, si fornisse la terra. E così levato il
campo e l'oste de' Fiorentini, e schierati,
a dì
XXVIII
di luglio,
trombato, e richesto
Castruccio di battaglia,
non comparendo, si partì l'oste e tornò in Prato,
e gran parte cavalcarono per la
via di
Signa in Valdarno
di sotto; e faccendo vista di passare
Guisciana
per andare verso Lucca, e parte ne passarono, il maliscalco
de la Chiesa con grande cavalleria e pedoni
corsono sopra quello di
Pisa, e presono e arsono il
Ponte
ad Era; e poi per forza combattendo presono
il fosso
Arnonico e
uccisonvi e presono molte genti:
e simile presono Cascina, e corsono
a San Savino, e
infino presso
al borgo di San Marco di
Pisa, avendo
molti pregioni e grandissima preda, però che' Pisani
non si prendeano guardia, trovandogli
a mangiare co
le tavole
messe, e non v'avea cavalieri né genti
a la
difesa, che tutti erano
a l'oste di Pistoia; sì che infino
a le porte di
Pisa poteano cavalcare sanza contradio.
Castruccio per cavalcata che la gente de' Fiorentini
facessono in su quello di Lucca o di
Pisa, non si
mosse dall'asedio di Pistoia, sentendo ch'era stretta
di vittuaglia, e que' d'
entro, d'onde era capitano
messer Simone de la Tosa, isbigottiti, veggendo partita
l'oste de' Fiorentini, e non aveano potuto
fornirgli,
ed era loro
fallita la vittuaglia, cercarono trattato
con
Castruccio di rendere la terra, salve le persone
con ciò che se ne potessono portare, e chi volesse essere
cittadino di Pistoia rimanesse. E così fu fatto; e
arrendessi Pistoia
a
Castruccio,
mercoledì mattina
a
dì
III d'
agosto, gli
anni di Cristo
MCCCXXVIII. E nota
se questa impresa fu con grande vergogna e
danno e
spesa de' Fiorentini, e quasi
incredibile
a
dovere potere
essere, che
Castruccio tenesse l'assedio con
XVIc
di cavalieri o là intorno, e' Fiorentini, che n'aveano
tra nell'oste e in Pistoia
IIIm cavalieri o più, molto
buona gente e popolo grandissimo, non
poterlo levare
da campo. Ma quello che per Dio è
permesso nulla
forza né senno umano può contastare.
L. 11, cap. 87 rubr.Come morì il duca Castruccio signore di Pisa e di
Lucca e di Pistoia, e messer Galeasso de' Visconti di
Milano.
L. 11, cap. 87Come
Castruccio ebbe
racquistata Pistoia per suo
grande senno e
studio e prodezza per lo modo che
detto avemo, sì riformò e rifornì la terra di gente e di
vittuaglia, e
rimisevi i Ghibellini, e tornò
a la
città di
Lucca con grande trionfo e gloria
a modo di triunfante
imperadore, e trovossi in sul colmo d'essere temuto
e ridottato, e bene
aventuroso di sue imprese,
più che fosse stato nullo signore o tiranno italiano,
passati
CCC anni,
ritrovandone il vero per le
croniche;
e con questo, signore della
città di
Pisa, e di
Lucca, e di Pistoia, e di
Lunigiana, e di gran parte de
la riviera di
Genova di levante, e trovossi signore di
più di
IIIc castella
murate. Ma come piacque
a Dio, il
quale per lo debito di natura
raguaglia il grande col
piccolo, e ricco col povero, per soperchio di disordinata
fatica presa nell'oste
a Pistoia, stando armato,
andando
a cavallo e talora
a piè
a sollecitare le guardie
e' ripari di sua oste, faccendo fare fortezze e tagliate,
e talora cominciava
colle sue
mani acciò che
ciascuno lavorasse
al caldo
del
sole
leone, sì gli prese
una febbre
continua, onde cadde forte malato. E per
simile modo partendosi l'oste da Pistoia, molta buona
gente di quella di
Castruccio
amalaro e
morirne
assai. Intra gli altri notabili uomini messer
Galeasso
de' Visconti di
Melano, il quale era in
servigio di
Castruccio,
amalò
al castello di
Pescia, e in quello in
corto
termine morì scomunicato assai poveramente,
ch'era stato così grande signore e tiranno, che innanzi
che 'l Bavero gli togliesse lo stato era signore di
Melano e di
VII altre
città vicine
al suo séguito, com'
era Pavia, Lodi, Chermona, Commo, Bergamo,
Noara, e Vercelli, e morì vilmente soldato
a la mercé
di
Castruccio. E così mostra che i giudici di Dio possono
indugiare, ma non preterire.
Castruccio innanzi
ch'egli
amalasse, sentendo che 'l Bavero tornava da
Roma, e parendogli averlo offeso in
isturbargli la sua
impresa
del Regno per lo suo dimoro in
Toscana, e
presa la
città di
Pisa
a sua signoria contra sua volontà
e mandamento, temette di lui, e ch'egli
nol levasse
di signoria e di stato, come avea fatto
Galeasso di
Melano, si fece cercare trattato d'accordo segretamente
co' Fiorentini; ma, come piacque
a Dio, gli
sopravenne la malatia, sì che si rimase, e lui agravato
ordinò suo testamento, lasciando
Arrigo suo primo
figliuolo
duca di Lucca; e che sì tosto come fosse
morto, sanza fare lamento,
dovesse andare in
Pisa co
la sua cavalleria e correre la
città, e
recarla
a sua signoria.
E ciò fatto, passò di questa vita sabato
a dì
III
di settembre
MCCCXXVIII. Questo
Castruccio fu della
persona molto destro, grande, d'assai avenante forma,
schietto, e non grosso, bianco, e pendea in palido,
i capegli
diritti e biondi con assai grazioso viso:
era d'etade di
XLVII anni quando morì. E poco innanzi
a la sua
morte
conoscendosi morire, disse
a più
de' suoi
distretti amici: «Io mi veggo morire, e morto
me, vedrete
disasseroncato», in suo
volgare
lucchese,
che viene
a dire in più aperto
volgare: «Vedrete
revoluzione», overo in sentenzia
lucchese:
«Vedrai mondo andare». E bene
profetezzò, come
innanzi potrete comprendere. E per quello che poi
sapemmo da' suoi più privati
parenti, egli si confessò
e prese il sagramento e l'olio santo divotamente; ma
rimase con grande errore, che mai non riconobbe sé
avere offeso
a Dio per offensione fatta contra santa
Chiesa, faccendosi coscienza che giustamente avesse
operato per lo 'mperio e suo Comune. E poi che in
questo stato passò, e tennesi
celata la sua
morte infino
a dì
X di settembre, tanto che com'egli avea
lasciato,
corse
Arrigo suo figliuolo co la sua cavalleria
la
città di Lucca e quella di
Pisa, e ruppono il popolo
di
Pisa combattendo
ovunque trovarono riparo. E
ciò fatto, tornò in Lucca e feciono il lamento, vestendosi
tutta sua gente
a nero, e con
X cavagli coverti di
drappi di
seta e con
X bandiere; dell'arme dello
'mperio
due, e di quelle
del
ducato
due, e della sua
propia
due, e una
del Comune di
Pisa, e simile di
quello di Lucca e di Pistoia e di
Luni. E soppellissi
a
grande onore in Lucca
al luogo de' frati minori di
san Francesco
a dì
XIIII di settembre. Questo
Castruccio
fu uno
valoroso e magnanimo
tiranno, savio
e
accorto, e sollecito e
faticante, e
prode in arme,
e bene proveduto in
guerra, e molto aventuroso di
sue imprese, e molto temuto e ridottato, e
al suo
tempo fece di belle e notabili cose, e fu uno grande
fragello
a' suoi cittadini, e
a' Fiorentini e
a' Pisani e
Pistolesi e
a tutti i Toscani in
XV anni ch'egli signoreggiò
Lucca: assai fu crudele in fare morire e tormentare
uomini, ingrato de'
servigi ricevuti in suoi
bisogni e necessitadi, e vago di gente e amici
nuovi, e
vanaglorioso molto per avere stato e signoria; e
al
tutto si
credette essere signore di
Firenze e re in
Toscana.
Della sua
morte si
rallegrarono e
rassicurarono
molto i Fiorentini, e appena poteano credere che
fosse morto. Di questa
morte di
Castruccio ci cade
di fare memoria
a noi autore,
a cui avenne il caso.
Essendo noi in grande turbazione della persecuzione
che facea
al nostro Comune, la quale ci parea quasi
impossibile,
dogliendone per nostra
lettera
a maestro
Dionigio dal Borgo
a San Sepolcro, nostro amico e
divoto, dell'ordine degli
agostini, maestro in Parigi
in divinità e filosofia, pregando m'
avisasse quando
avrebbe fine la nostra aversità, mi rispuose per sua
lettera in brieve, e disse: «Io veggio
Castruccio morto;
e alla fine della
guerra voi avrete la signoria di
Lucca per mano d'uno ch'avrà l'arme nera e rossa,
con grande affanno, ispendio, e vergogna
del vostro
Comune, e poco tempo la
gioirete». Avemmo la detta
lettera da Parigi in quegli giorni che
Castruccio
avea avuta la vittoria di Pistoia di su detta, e riscrivendo
al maestro com'elli
Castruccio era nella maggiore
pompa e stato che fosse mai,
rispuosemi di
presente: «Io raffermo ciò ti scrissi per l'altra
lettera;
e se Idio nonn ha
mutato il suo giudicio e il corso
del
cielo, io veggio
Castruccio morto e
sotterrato».
E com'io ebbi questa
lettera, la mostrai
a' miei compagni
priori, ch'era allora di quello
collegio, che pochi
dì innanzi era morto
Castruccio, e in tutte le sue
parti il giudicio
del maestro
Dionigio fu
profezia. Lasceremo
alquanto delle
novità di
Toscana, e faremo
incidenza faccendo menzione d'altre cose che in questi
tempi furono in più parti
del
mondo, e degli andamenti
del Bavero, il quale era rimaso
a
Roma, tornando
poi
a nostra materia de' fatti di
Firenze.
L. 11, cap. 88 rubr.Come Filippo di Valos fu coronato re di Francia.
L. 11, cap. 88Nel detto
anno
MCCCXXVIII di maggio,
a l'ottava
di Pentecosta, messer
Filippo di
Valos, figliuolo che
fu di messer
Carlo di
Valos,
a cui succedette il reame
di
Francia, però che di niuno de' tre suoi
cugini,
ch'erano stati re di
Francia e figliuoli
del re
Filippo il
Bello, non rimase niuno figliolo maschio, fu
coronato
re di
Francia
a la
città di
Rens co la moglie
a grande
festa e onore; e ciò fatto,
ristituì il reame di Navarra
al figliuolo che fu di messer
Luis di
Francia suo
cugino,
faccendogline omaggio, che gli succedea per
dote de la moglie, che fu figliuola
del re
Luis che fu
re di
Francia, per successione
del re
Filippo suo padre,
e re di Navarra per lo retaggio della reina Giovanna
sua madre, e per
aquitarlo della quistione
ch'egli avea mossa, dicendo ch'era vero
reda
del reame
di
Francia per la moglie, ch'era figliuola
del re
Luigi maggiore de' fratelli, figliuolo
del re
Filippo il
Bello, e così suo
cugino com'egli. E in quella coronazione,
ordinato
saviamente lo stato
del reame, e'
ordinò
d'andare con tutto suo podere sopra i
Fiamminghi,
i quali s'erano rubellati da la signoria de·
reame, e cacciato il loro
conte e signore.
L. 11, cap. 89 rubr.Come il detto re di Francia sconfisse i Fiamminghi
a Cassella.
L. 11, cap. 89Ne' detti tempi, essendo quegli di
Bruggia e di
tutte le terre de la marina di
Fiandra rubellato
a
Luis
conte di
Fiandra loro signore, come adietro in alcuna
parte facemmo menzione, e
Luis uscito di loro
pregione, stando nella villa di Guanto, più volte gli
feciono oste adosso, e l'assalirono, e cacciarono
del
paese tutti i nobili e i grandi borgesi; onde il detto
conte andò in
Francia e
al suo sovrano signore, cioè
a
Filippo di
Valos nuovo re di
Francia,
dolendosi di
quello che gli faceano i
Fiamminghi suoi vassalli,
a'
quali il detto re di
Francia mandò comandando che
dovessono tenere il
conte per loro signore e
rimetterlo
in suo stato: i quali
disobedienti, e con orgoglio rispondendo
che non erano aconci d'ubbidire né 'l
conte né lui, lo re
ricordandosi de le 'ngiurie e
vergogne
fatte per gli
Fiamminghi
a' suoi anticessori e
a
la casa di
Francia, sì s'aparecchiò d'andare
ad oste
sopra loro; e con grande
esercito si mosse con tutta
la baronia di
Francia, e oltre
a' Franceschi menò seco
il
conte di Savoia, e 'l
Dalfino di Vienna, e 'l
conte
d'Analdo, e quello di
Bari, e quello di
Namurro, e
più altri baroni di Brabante e di
confini de la Magna,
i quali erano suoi amici e
al suo
servigio, e con numero
di più di
XIIm cavalieri e popolo grandissimo
a
piè, e co la detta oste si mosse di
Francia, e
andonne
in
Fiandra. I
Fiamminghi non ispaventati sentendosi
venire adosso sì grande
esercito, ma come valorosi e
franchi lasciando ogni loro
arte e mestiere, per comune
vennono tutti
a piede
a le
frontiere di
Fiandra,
e puosonsi
a campo in sul
poggio di
Cassella per
contradiare il re di
Francia che non
entrasse in loro
paese. Lo re di
Francia con sua oste s'
acampò
a piè
del detto
poggio, e quivi stettono più giorni sanza assalire
l'una oste l'altra, se non di
scaramucci e badalucchi,
però che
ciascuna oste era in luogo forte.
A la
fine tanto s'asicurarono le
due osti, che quasi nullo
stava armato per lo soperchio caldo ch'era allora. E'
Fiamminghi sagacemente, per sapere lo stato e essere
dell'oste de' Franceschi, vi mandarono uno pesciaiuolo
di
Bruggia
a
vendere pesci, molto savio e
aveduto, e che sapeva bene il francesco, il quale avea
nome
Gialucola, ed era de' maggiori maestri dell'oste,
il quale per la sua
patria si mise
a
pericolo di
morte, e più giorni vendendo i suoi pesci, usò e stette
nell'oste de' Franceschi, e vide e conobbe loro
condizione e stato; e tornato
a' suoi, disse tutto, com'
era
a lloro
leggere di prendere il re di
Francia e
sconfiggere tutta sua oste, se volessono essere valenti,
però che per lo caldo non istavano armati né in
nulla guardia. E fé ordinare di fare richiedere il re di
battaglia ordinata il dì di santo
Bartolomeo d'
agosto,
ch'è
a dì
XXIIII del mese; la qual cosa per lo re e per
tutta sua gente fu accettata allegramente. E poi disse
a' suoi: «
A noi
conviene usare inganno con prodezza.
Il re attende la giornata ordinata di battaglia, e in
questo mezzo non fa quasi guardia, e spezialemente
il meriggio per lo caldo si spogliano e dormono tutti.
Armianci segretamente, e subitamente assaliamo l'oste,
e io con certi eletti n'anderò diritto
a la
tenda
del
re, che la so bene». E com'ebbe detto e ordinato,
così fu fatto, che
a dì
XXIII d'
agosto, gli
anni di Cristo
MCCCXXVIII, dì
II innanzi il giorno de la battaglia
ordinata, i
Fiamminghi armati di corazze in sul pieno
meriggio, sanza fare nullo romore né di trombe né
d'altro stormento, scesono
del
poggio di Cassella, e
assalirono il campo e l'oste
del re di
Francia, che non
se ne prendeano nulla guardia, con grande
danno e
mortalità de' Franceschi per modo che, come aveano
ordinato i
Fiamminghi, venia fatto di mettere inn
isconfitta il re di
Francia e sua oste. E già il sopradetto
pesciaiuolo con sua compagnia era venuto sanza
contasto niuno infino
a la
tenda
del re, il quale re da'
detti assalitori fu
a condizione di
morte, e con grande
fatica e rischio apena
poté ricoverare
a cavallo.
Ma che impedì i
Fiamminghi, come piacque
a Dio, il
venire soperchio armati di corazze, e 'l caldo era
grande, onde non si poteano per istanchezza
del corso
ch'aveano fatto reggere, ma molti ne
traffelaro, e
d'altra parte il
conte d'Analdo e quello di
Bari e
quello di
Namurro con loro gente, i quali erano co· lloro
tende
a l'
estremità dell'oste, e non istavano nell'
agio né
morbidezze de' Franceschi, ma sanza dormire
stavano armati
a la tedesca, come s'avidono della
scesa de'
Fiamminghi, montarono
a cavallo e misonsi
al contasto, onde i Franceschi ebbono alcuno
riparo, e
vennonsi armando e montando
a cavallo.
Per la qual cosa la battaglia de' Franceschi rinforzò,
e i
Fiamminghi per
istraccamento di loro soperchie
armi
affieboliro, onde in quello giorno, come piacque
a Dio, furono sconfitti i
Fiamminghi, e
morirne
in sul campo più di
XIIm, e gli altri si fuggirono chi
qua e chi là per lo paese. E ciò fatto, il re con sua
oste ebbe incontanente
Popolinghe, e poi la buona
villa d'Ipro, e venne verso
Bruggia. Quegli ch'erano
rimasi in
Bruggia contradi
del re e
del
conte si teneano
forte, credendo
guarentire la terra; ma come
piacque
a Dio, e quasi fu uno miracolo, le donne e
femmine di
Bruggia congregate insieme, presono
bandiere dell'arme
del
conte correndo in su la piazza
dell'
Alla di
Bruggia, gridando in loro lingua: «
Viva
il
conte, e
muoiano i traditori!»; per la quale
sommozione
i detti caporali per paura si partirono, e le
donne mandarono per lo
conte, il qual era
ad
Andriborgo,
e
diedongli la signoria della terra; e poi vi
venne il re di
Francia con grande festa, e
risagì signore
il detto
conte de la
contea di
Fiandra dal fiume
de la Liscia in là,
aquetandolo d'ogni spesa ch'
avea fatta ne la detta oste, e amonendolo che fosse
buono signore, e si guardasse che per sua difalta non
perdesse la
contea più; che se ciò gli avenisse, gli torrebbe
la terra. E ciò fatto, si tornò lo re in
Francia
con grande vittoria e trionfo, e 'l
conte rimase in
Fiandra e fece abattere tutte le fortezze di
Bruggia e
d'Ipro, e fece morire tra più volte di
mala
morte più
di
Xm Fiamminghi de la Comune, i quali erano stati
caporali e cominciatori de la
disensione e
rubellazione.
Questa fu notabile e grande vendetta e
mutazione
di stato che Idio
permise de'
Fiamminghi per abbattere
l'orgoglio e ingratitudine che 'l detto
scomunato
popolo aveano presa sopra i Franceschi per la
vittoria ch'aveano avuta sopra loro l'
anno
del
MCCCI
a Coltrai, e più altre, come in que' tempi facemmo
menzione, e però n'avemo fatta più distesa memoria.
L. 11, cap. 90 rubr.Come fu canonizzato santo Pietro di Morrone, papa
Celestino.
L. 11, cap. 90Nel detto
anno
MCCCXXVIII papa Giovanni co'
suo' cardinali apo la
città di
Vignone in
Proenza,
ov'era la
corte, canonizzò santo Pietro di
Morrone, il
quale fu papa Celestino
V, onde
al suo tempo, che fu
gli
anni di Cristo
MCCLXXXXIIII, facemmo adietro
compiutamente menzione; il quale rinunziò il
papato
per utile di sua anima, e tornossi
al suo
romitaggio
al
Morrone
a fare penitenzia; e in sua vita, e poi dopo
la sua
morte, fece Idio per lui nel paese d'
Abruzzi
molti miracoli, e la sua festa si celebrò dì
XVIII di
maggio, e il corpo suo imbolato
del castello di Fummone
in Campagna,
reverentemente fu portato nella
città dell'Aquila.
L. 11, cap. 91 rubr.Come gli usciti di Genova presono Volteri e riperdero.
L. 11, cap. 91Nel detto anno, a dì VI di giugno, gli usciti di Genova
ch'erano in Saona presono per forza il castello
di Volteri presso a Genova, mettendo a morte chiunque
vi trovarono dentro, ma poco il tennono, che'
Genovesi v'andarono ad oste per terra e per mare, e
riebbollo a patti.
L. 11, cap. 92 rubr.Come quegli di Pavia rubarono la moneta che 'l papa
mandava a' suoi cavalieri.
L. 11, cap. 92Nel detto
anno,
a l'
entrante di luglio, vegnendo da
corte da
Vignone la paga de' soldati che lla Chiesa
tenea col suo legato in Lombardia, i quali danari erano
in quantità di
LXm fiorini d'oro
a la guardia di
CL
cavalieri, passando per lo
contado di Pavia di qua
dal fiume di
Po, le masnade di Pavia ribelli della
Chiesa, fatta posta della venuta de la detta moneta, e
messisi in aguato, essendo passati parte de la detta
scorta, sì assalirono il rimanente e misongli in
rotta,
e presono parte
del
tesoro, che furono più di
XXXm
fiorini d'oro, sanza i pregioni e
cavagli e
somieri e
arnesi.
L. 11, cap. 93 rubr.Come la gente del re Ruberto presono Alagna.
L. 11, cap. 93Nel detto
anno,
a l'
entrante di luglio, la gente
del
re Ruberto in quantità d'ottocento cavalieri, ond'era
capitano il dispoto di
Romania nipote
del detto re, e
il
conte
Novello di quegli
del Balzo, presono e
entrarono
per forza ne la
città d'Alagna in Campagna col
favore de' nipoti che furono di papa Bonifazio, e
cacciarne con battaglia tutti i seguaci
del Bavero, il
quale si facea chiamare imperadore, onde fu grande
favore
al re Ruberto, e il contradio
al detto Bavero.
Nel detto
anno,
a dì
XVII di luglio, i Ghibellini de
la Marca con cavalieri d'
Arezzo vennono in quantità
di
Vc cavalieri subitamente sopra la
città da
Rimine,
per
condotta dell'arciprete de'
Malatesti ribello di
Rimine, e presono i borghi, ma poi per forza ne furono
cacciati con
danno e con vergogna di quegli
usciti di
Rimine.
Nel detto
anno e mese di luglio ne la
città di
Vignone
in
Proenza, ove era la
corte di
Roma, fu grandissimo
diluvio d'acqua per
crescimento di Rodano;
che per diverse piogge cadute in Borgogna, e
nevi
strutte
a le montagne, il Rodano
crebbe sì disordinatamente,
che uscì de' suoi termini, e infinito
danno
fece in
Valdirodano, e in
Vignone guastò più di
M
case lungo la riva, e molte genti anegarono.
Nel detto
anno e mese di luglio
Alberghettino,
che tenea
Faenza, venne
ad acordo e
comandamento
del papa, cioè
del legato
del papa
a Bologna.
L. 11, cap. 94 rubr.Come i Parmigiani e' Reggiani si rubellarono dal
legato e dalla Chiesa di Roma.
L. 11, cap. 94Nel detto anno, il primo dì d'agosto, quegli della
città di Parma con trattato de' Rossi che n'erano signori
rubellarono Parma a la signoria de la Chiesa, e
cacciarne la gente e uficiali del legato, opponendo
che gli oppressavano troppo, ed era pur vero, con
tutto ch'eglino pure aveano male in animo, e in più
casi erano stati mali Guelfi e non fedeli a parte di
Chiesa. E per simile modo il seguente dì si rubellarono
i Reggiani, e feciono lega con messer Cane signore
di Verona e con Castruccio, onde i Fiorentini e gli
altri Guelfi di Toscana ne sbigottirono assai.
L. 11, cap. 95 rubr.
Come il Bavero, che si facea chiamare imperadore,
col suo antipapa si partì di Roma e venne a Viterbo.
L. 11, cap. 95Nel detto tempo, gli
anni di Cristo
MCCCXXVIII,
essendo il sopradetto Bavero in
Roma in povero stato
di moneta, perché gli aveano
fallato il re
Federigo
di Cicilia e que' di Saona usciti di
Genova e gli altri
Ghibellini d'Italia di venire con loro armata e con
moneta
al tempo promesso; e la sua gente già per difetti
venuta in
discordia e da' Romani male
veduti, e
la gente
del re Ruberto già presa forza in Campagna
e in terra di
Roma, sì s'avisò il detto Bavero che in
Roma non potea più dimorare sanza
pericolo di sé e
di sua gente, si mandò il suo maliscalco
a Viterbo
con
VIIIc cavalieri, ed egli appresso si partì di
Roma
col suo antipapa e' suoi cardinali
a dì
IIII d'
agosto
del detto
anno, e giunse
a Viterbo
a dì
VI d'
agosto. E
a la sua partita i Romani gli feciono molta ligione,
isgridando lui e 'l falso papa e loro gente, e
chiamandogli
eretici e scomunicati, e gridando: «
Muoiano,
muoiano, e
viva la santa Chiesa!»; e fedirono co'
sassi, e uccisono di loro gente; e lo
'ngrato popolo gli
fece la coda romana, onde il Bavero ebbe grande
paura, e
andonne in caccia e con vergogna. E la notte
medesima ch'egli s'era il dì dinanzi partito
entrò in
Roma
Bertoldo
Orsini nipote
del legato cardinale
con sua gente, e la mattina vennero messer Stefano
della Colonna, e furono fatti sanatori
del popolo di
Roma. E
a dì
VIII d'
agosto vennono il legato cardinale
e messer Nepoleone
Orsini con loro seguaci con
grande festa e onore; e riformata la santa
città di
Roma
de la signoria di santa Chiesa, feciono molti processi
contra il
dannato Bavero e contra il falso papa,
e su la piazza di Campidoglio arsono tutti i loro ordini
e brivilegi; ed eziandio i fanciugli di
Roma andavano
a'
mortori, ov'erano sotterrati i corpi de' morti
Tedeschi e d'altri ch'aveano seguitato il Bavero, e
iscavati de le
monimenta gli
tranavano per
Roma e
gittavangli in Tevero. Le quali cose per giusta sentenzia
di Dio furono
al Bavero e
al suo antipapa e
a'
loro seguaci grande brobbio e
abbominazione, e segni
di loro rovina e
abassamento. E per la loro partita
si fuggirono di
Roma
Sciarra de la Colonna, e Iacopo
Savelli, e i loro seguaci, i quali erano stati caporali
di dare la signoria di
Roma
al Bavero, e di molti
furono
abattuti e guasti i loro palazzi e beni, e condannati.
E poi
a dì
XVIII d'
agosto
entrò in
Roma
messer
Guiglielmo d'
Ebole con
VIIIc cavalieri
del re
Ruberto e gente
a piè assai con grande onore: onde
la
città fu tutta sicura, e riformata
a l'ubbidienza di
santa Chiesa e
del re Ruberto.
L. 11, cap. 96 rubr.Come il Bavero andò a oste a Bolsena con trattato
d'avere la città d'Orbivieto.
L. 11, cap. 96Come il Bavero fu in Viterbo con sua gente, il
quale avea ancora più di
MMD cavalieri tedeschi, sanza
gl'Italiani, sì venne
a oste sopra il
contado d'Orbivieto,
e prese più loro castella e villate, faccendo
grande
danno. E
a dì
X d'
agosto, l'
anno detto, si
puose
a oste
al castello di Bolsena,
al quale fece dare
continue battaglie; ma la sua stanza era in quello luogo
per uno trattato ch'avea in Orbivieto, che gli
dovea
essere data la terra la
vilia di santa Maria d'
agosto,
ch'è loro principale festa: andando i cittadini
a
l'offerta, i traditori d'
entro
doveano dare la terra per
la porta che vae verso
Bagnorea. E già v'era cavalcato
il suo maliscalco con
M cavalieri, ma come piacque
a nostra Donna, si scoperse il detto
tradimento
in sul punto che giunse il maliscalco, e' traditori presi
e
giustiziati. E quando fu
fallito
al Bavero il suo intendimento,
il dì appresso si partì
coll'oste da Bolsena
e tornossi
a Viterbo, e poi
a dì
XVII d'
agosto si
partì di Viterbo col suo falso papa e' suoi cardinali e
tutta sua gente, e venne
a la
città di Todi, non oservando
i
patti
a'
Todini che gli aveano dati
IIIIm fiorini
d'oro, acciò che non
entrasse in loro terra; e venuto
in Todi, impuose
a'
Todini
Xm fiorini d'oro, e
caccionne
i Guelfi, e l'antipapa per bisogno di danari
spogliò Santo
Fortunato di tutti i gioelli e santuarie
infino
a le lampane, che v'erano d'ariento, che valea
grande
tesoro. E stando il Bavero in Todi, sì mandò
il
conte d'
Ottinghe con
Vc cavalieri per
conte in
Romagna,
il quale co la forza de' Ghibellini di
Romagna
cavalcarono infino
a le porte d'Imola, ardendo e
guastando; e d'altra parte il detto Bavero fece cavalcare
il suo maliscalco con
M cavalieri
a Fuligno, credendo
avere la terra per
tradimento; ma come piacque
a Dio, non venne fatto, onde si tornarono
a Todi,
ardendo e
dibruciando e levando prede per le
terre
del
Ducato.
L. 11, cap. 97 rubr.Come il Bavero essendo a Todi ordinò di venire sopra
la città di Firenze, e l'apparecchiamento che feciono
i Fiorentini
L. 11, cap. 97Ne' detti tempi essendo il Bavero in Todi, e perseguitando
con tanta rovina e
Romagna e 'l
Ducato, e
essendo molto infestato da' Ghibellini usciti di
Firenze
e gli Aretini e gli altri Toscani di parte d'imperio,
che
dovesse venire
ad
Arezzo per venire da quella
parte
a oste sopra la
città di
Firenze, con ordine
fatta, che
Castruccio, che ancora vivea e era molto
montato per la vittoria avuta sopra i Fiorentini de la
città di Pistoia, con sua oste
dovesse venire per lo
piano di verso Prato, e gli
Ubaldini co la forza
del
conte d'
Ottinghe e de' Ghibellini di
Romagna rubellare
il Mugello, e da tutte parti chiudere le strade
a'
Fiorentini, mostrando
al detto Bavero che, vinta la
città di
Firenze (che assai gli era possibile), era signore
di
Toscana e di Lombardia, e poi assai
leggermente
potea conquistare il regno di Puglia sopra il re
Ruberto; onde il detto Bavero
a cciò s'accordò, e già
avea questo preso per
consiglio, e fece cominciare
l'
apparecchiamento per la sua venuta
ad
Arezzo. I
Fiorentini ebbono grandissima paura, e bisognava
bene, ch'egli era in sul tempo de la ricolta, e era
carestia
e scarso di vittuaglia, onde se fosse seguita la
detta venuta
del Bavero, e il detto ordine preso per
gli Ghibellini, i Fiorentini erano in grande
pericolo
di potere
guerentire la
cittade, e da molte parti erano
spaventati, veggendosi circundati di sì possenti tiranni
e nimici. Ma però non si
disperaro né si gittarono
tra vili e cattivi, però che vile perisce chi
a viltà s'appoggia;
e piccolo riparo e rispitto molti casi fortuiti
passa. Onde i Fiorentini presono
conforto e vigore, e
con grande
consiglio e sollecitudine feciono
rafforzare
le castella di Valdarno, cioè Monteguarchi, e Castello
San Giovanni, e Castello Franco, e l'
Ancisa, e
guernire di vittuaglia e d'ogni guernimento da
difenzione
e
guerra; e
mandarvi in
ciascuna terra
due capitani
de' maggiori cittadini, uno grande e uno popolano,
con masnade
a cavallo e con grande quantità
di buoni
balestrieri. E per simile modo feciono guernire
Prato e
Signa e
Artimino, e tutte le castella di
Valdarno di sotto, e feciono isgombrare di vittuaglia
e strame tutto il
contado, e recare
a la
città o
a terre
forti e
murate, acciò che' nimici non trovassono di
che
vivere per loro e per loro bestie. E mandarono
per loro amistadi, e grande guardia si facea di dì e di
notte ne la
città, e
a le porte e
a le torri e
mura, e faccendo
rafforzare
ovunque la
città era debole; e come
franchi uomini erano
disposti
a
sostenere ogni passione
e
distretta per mantenere
coll'aiuto di Dio la
cittade. E ordinarono di mandare
al re Ruberto e
al
duca, e così feciono, che
rimossa ogni cagione, il
duca
personalmente co le sue forze venisse
a la difensione
della
città di
Firenze; e se non venisse, il Comune
era fermo, che le
CCm di fiorini d'oro che
davano
al
duca per suoi
gaggi secondo i
patti, di non pagargli,
se non tanti solamente quanto montassono i
gaggi de' cavalieri che tenea messer
Filippo di
Sangineto
suo capitano, che poteano montare l'
anno
CXm
di fiorini d'oro; e il rimanente voleano per lo Comune
per fornire la
guerra. De la quale richesta il re e 'l
duca molto si turbarono; ma veggendo il bisogno de'
Fiorentini, però non volle mettere in aventura la persona
del
duca contra il Bavero, ma ordinarono di
mandare messer
Beltramon
del Balzo con
IIIIc cavalieri
a suo soldo per contentare i Fiorentini. Ma tardi
era il soccorso; ma come piacque
a Dio, che mai non
venne meno la sua misericordia
a le
strette necessitadi
del nostro Comune, in brevissimo tempo ci diliberò
del tiranno
Castruccio per sua
morte, come adietro
facemmo menzione, e poi di diverse e varie
mutazioni
e
novità ch'avennono
al
dannato Bavero, come
innanzi faremo menzione; e non solamente Idio
ci guarentì, ma ci
adirizzò in vittorie,
prosperità, e
buono stato.
L. 11, cap. 98 rubr.Come fu morto il tiranno messer Passerino signore
di Mantova.
L. 11, cap. 98Nel detto
anno,
a dì
XIIII d'
agosto,
Luisi da Gonzaga
di Mantova, con trattato fatto con messer Cane
signore di Verona e
coll'aiuto de' suoi cavalieri venuti
segretamente
a Mantova, tradì messere
Passerino,
e
corse la
città di Mantova gridando: «
Viva il popolo,
e muoia messer
Passerino e le sue gabelle!», e
con questa
furia vegnendo in su la piazza, trovando
il detto messer
Passerino isproveduto e disarmato
vegnendo
a cavallo
a la detta gente per sapere perché
il romore fosse, il detto
Luisi gli diede d'una spada
in testa, ond'egli morì di presente; e poi prese il
figliuolo e 'l nipote
del detto messer
Passerino, il
quale suo figliuolo era fellone e reo, e
degnamente
gli fece morire per mano
del figliuolo di messer
Francesco de la
Mirandola, cui messer
Passerino per
tradimento e
a torto avea fatto morire; e poi si fece
signore de la terra. E così si mostra il giudicio di Dio
per la parola
del suo santo Vangelio, «Io ucciderò il
nimico mio col nimico mio», abbattendo l'uno tiranno
per l'altro. Questo messer
Passerino fu de la casa
de'
Bonaposi di Mantova, e gli antichi furono Guelfi;
ma per essere signore e tiranno si fece Ghibellino,
cacciando i suoi medesimi e ogni possente di Mantova.
Fu piccolo de la persona, ma molto savio e proveduto
e ricco, e fu signore in Mantova lungo tempo
e di Modana, e sconfisse i Bolognesi, come adietro
facemmo menzione, l'
anno
MCCCXXV; ma dopo il
colmo de la detta sua gloria e vittoria ogni dì venne
abassando suo stato, come piacque
a Dio.
L. 11, cap. 99 rubr.Come quegli di Fermo de la Marca presono San Lupidio.
L. 11, cap. 99Nel detto anno e mese d'agosto quegli de la città
di Fermo de la Marca presono per tradimento il castello
di San Lupidio, e corsollo e rubarlo tutto, e
cacciarne i Guelfi con molta uccisione, e quasi la
detta terra fu distrutta.
L. 11, cap. 100 rubr.
Come i Sanesi ebbono Montemassi co la forza de'
Fiorentini.
L. 11, cap. 100Nel detto anno e mese d'agosto i Fiorentini, non
istanchi né sbigottiti per la tornata del Bavero in Toscana,
mandarono in aiuto de' Sanesi Vc cavalieri,
onde fu capitano messer Testa Tornaquinci, per difendergli
da la forza di Castruccio, il quale avea
mandati in Maremma VIc de' suoi cavalieri per levare
i Sanesi da oste dal castello di Montemassi, e già
aveano preso e rubato e arso il castello di Pavanico;
e di certo i Sanesi non aveano podere di tenere campo,
se non fosse la forza de' Fiorentini, che incontanente
la gente di Castruccio si ritrasse, e' Sanesi ebbono
il castello a patti, rendendosi a sicurtà ne le
mani de' Fiorentini a dì XXVII d'agosto. Lasceremo
de' fatti universali degli strani, e torneremo al processo
e andamenti del Bavero.
L. 11, cap. 101 rubr.Come don Piero di Cicilia co la sua armata e di quegli
di Saona vennono in aiuto del Bavero, e come arrivarono
a Pisa, là dov'era il detto Bavero.
L. 11, cap. 101Nel detto
anno
MCCCXXVIII,
del mese d'
agosto,
don Piero, che re Piero si facea chiamare, figliuolo di
Federigo signore di Cicilia, con
LXXXIIII tra
galee e
uscieri, e con
III navi grosse e più legni sottili, tra di
Cicilia e degli usciti di
Genova ch'abitavano in Saona,
vennono
al soccorso
del Bavero detto imperadore
con
VIc cavalieri tra Catalani e Ciciliani e
Latini; e
tutto che secondo l'ordine e
promessa giugnessono
tardi
al suo soccorso, puosono in più parti nel Regno,
prima in Calavra, e poi
ad
Ischia, e poi sopra
Gaeta, seguendo la
stinea de la marina, faccendo
danno e correrie
a le terre
del re Ruberto sanza contasto
niuno. E poi in terra di
Roma presono
Asturi e
vennono in foce di Tevero, credendo che 'l Bavero
fosse
a
Roma; e non
trovandolo, guastarono intorno
a
Orbitello, e arrivarono
a Corneto; e di là sentendo
novelle che 'l Bavero era
a Todi, gli mandarono ambasciadori
che venisse
a la marina
a parlamentare
co· lloro, il quale Bavero avendo le dette
novelle,
mutò
consiglio
del venire verso
Firenze per la
via d'
Arezzo,
e partissi da Todi
a dì
XXXI d'
agosto col suo
antipapa e tutta sua
corte e gente, e venne
a Viterbo,
e là lasciò il detto antipapa e la 'mperadrice e l'altra
gente, e con
VIIIc cavalieri andò
a Corneto
a
don Piero;
e là scendendo que' signori in terra, stettono in
parlamento alquanti giorni con grandi
contasti e riprensioni,
perché l'armata non era venuta
al tempo
promesso, e domandava il Bavero i danari promessi
per gli
patti.
Don Piero e suo
consiglio il richiedea
che venisse sopra le terre
del re Ruberto, e egli verrebbe
co l'armata per
mare e
darebbegli la moneta
promessa, ch'erano
XXm once d'oro. In questo contasto
ebbono
novelle e ambasciadori da' Pisani, come
la gente di
Castruccio aveano
corsa la
città di
Pisa e
cacciatane la signoria
del Bavero; e d'altra parte il
detto Bavero non si sentia in podere, né in
disposizione
la sua gente di volere andare nel Regno, sentendo
i passi guerniti, e la
carestia di vittuaglia grande
in tutte parti: sì prese
consiglio di venire verso
Pisa
co la donna sua e con tutta sua gente per terra, e
l'armata per
mare. E così fu fatto; che
a dì
X di settembre
si partirono di Corneto, e vegnendo, morì
a
Montalto il
perfido
eretico e maestro e conducitore
del Bavero maestro
Marsilio di Padova; e giunse il
Bavero e l'oste sua
a Grosseto
a dì
XV di settembre; e
l'armata di
don Piero presono
Talamone e guastarlo,
e scesono
a Grosseto, e col Bavero insieme vi puosono
l'oste
a petizione degli usciti di
Genova e de'
conti
da Santa Fiore per torre il porto e 'l passo de la
mercatantia
a' Fiorentini e
a' Sanesi e
agli altri Toscani
che per ischifare
Pisa faceano quella
via; e stettonvi
IIII dì
a l'assedio
dandovi grandi battaglie co'
balestrieri ch'erano in su l'armata, e salirono più volte
in su le
mura di Grosseto, e furonne cacciati per
forza, e
rimasonvene morti più di
IIIIc de' migliori;
ma per soperchia gente e battaglie non si potea la
terra guari tenere. Ma in questa stanza venne
novella
e ambasciadori di certi imperiali di
Pisa
al Bavero,
come
Castruccio signore di Lucca era morto, e che'
figliuoli con loro masnade aveano
corsa la terra, e
che per Dio si studiasse d'andare
a
Pisa, se non che
temeano che non
dessono la terra
a' Fiorentini. Per
la qual cosa il Bavero si partì da Grosseto
a dì
XVIII
di settembre, e con sollecito cavalcare
entrò in
Pisa
a
dì
XXI di settembre, e da' Pisani fu ricevuto con
grande allegrezza per essere fuori de la signoria de'
figliuoli di
Castruccio e de' Lucchesi; i quali sentendo
la sua venuta, si partirono di
Pisa e tornarono
a
Lucca, e il Bavero riformò la terra di
Pisa
a sua signoria,
e fece suo vicario
Tarlatino de'
Tarlati d'
Arezzo,
il quale fece cavaliere, e diede il gonfalone
del
popolo, onde i Pisani furono molto
contenti, e parve
loro tornare in loro libertade per la signoria
tirannesca
avuta da
Castruccio e da' figliuoli. E ciò fatto,
don Piero di Cicilia, avuti molti parlamenti col Bavero
e
coll'altra lega de' Ghibellini, si partì di
Pisa co la
sua armata
a dì
XXVIII di settembre, e simile feciono
gli usciti di
Genova. Ma
a
don Piero male avenne,
che essendo col suo navilio già presso
a l'isola di Cicilia,
fortuna gli venne
a la 'ncontra, e tutto suo navilio
sciarrò in più parti alle piagge di terra di
Roma e
di Maremma, onde furono in grande
pericolo e condizione
di scampare; e perirono in
mare da
XV de le
sue
galee co la gente che v'era suso, e molte altre
ruppono e
straccarono in diverse parti; e
don Piero
con grande
pericolo arrivò
a Messina con
IIII galee
solamente; e rimanente dell'altre arrivarono in diversi
porti di Cicilia scemati di gente e d'arnesi, onde
i Ciciliani ricevettono una grande sconfitta. Lasceremo
alquanto di questa materia, e torneremo
a' fatti
di
Firenze e dell'altra Italia.
L. 11, cap. 102 rubr.
Come messere Cane della Scala ebbe la signoria della
città di Padova.
L. 11, cap. 102Nel detto anno MCCCXXVIII, essendo la città di Padova
molto afflitta e anullata di podere e di signoria
e di gente, e perduto la maggior parte di suo contado
per la discordia di grandi cittadini, e per la persecuzione
de la guerra avuta con messer Cane della
Scala signore di Verona, quegli della casa da Carrara
di Padova, cacciati i loro vicini e guasta loro parte
guelfa per volere essere signori e tirannare, quasi per
necessità non potendo bene tenere la terra, s'accordaro
con messere Cane e imparentarsi co· llui, e diedongli
la signoria di Padova a dì VIII del mese di settembre,
la quale sì lungamente avea bramata; e a dì
X del mese v'entrò con grande trionfo e signoria. E
come fu in Padova, l'ordinò e compuose in assai giusto
e convenevole stato secondo la terra ch'era guasta,
sanza fare vendetta di niuno, e rimettendo nella
città chiunque volle tornare sotto la sua signoria. E
bene s'adempié la profezia di maestro Michele Scotto
de' fatti di Padova, ove disse molto tempo dinanzi:
«Padue magnatum plorabunt filii necem diram et
orrendam datam Catuloque Verone».
L. 11, cap. 103 rubr.
Come i Fiorentini presono per forza il castello di
Carmignano.
L. 11, cap. 103Nel detto tempo, sentendo messer
Filippo di
Sangineto
con gli altri capitani della
guerra di
Firenze e
col
consiglio de' priori, che cci trovammo allora di
quello
collegio, sentendo che 'l castello di
Carmignano
non era bene fornito, ed erano isbigottiti de la
morte di
Castruccio, sì ordinarono segretamente
d'assalirlo e di combatterlo e
prenderlo per forza; e
così misono
a
seguizione, che 'l detto capitano con
certi Fiorentini e con parte della cavalleria e popolo
a piè si partirono una notte ordinata di Samminiato e
dell'altre terre di Valdarno, e feciono la
via
del monte,
e la mattina furono intorno
a
Carmignano; e per
simile modo, e
a uno punto, vi venne la cavalleria de'
Fiorentini ch'era in Prato, co' Pratesi e gente
a piè
assai, sì che si trovarono intorno
a
Carmignano
VIIIc
cavalieri oltramontani e
Vm pedoni. Il castello era assai
forte di sito, e parte murato per
Castruccio e parte
steccato e affossato, e con torri e bertesche di legname;
ma era d'uno grande giro e porpreso, e dentro
v'avea
L cavalieri e da
VIIc uomini
a piè, che bisognava
a la guardia
due
cotanti gente. Messer
Filippo
capitano de' Fiorentini fece tutti i cavalieri scendere
a piè, e
a
ciascuno conastabole aggiunse pedoni con
pavesi e balestra e raffi e
stipa e fuoco, e
a
ciascuno
diede la sua posta intorno
al castello; e da più di
XX
parti
a uno suono di trombe e nacchere il fece assalire
e combattere; la quale battaglia fue aspra e
dura e
sostenne da la mattina
a ora di nona. Ma
a la fine per
lo grande
porpreso e per la prodezza de' nostri cavalieri
in più parti vinsono la battaglia con grande
danno
di que' d'
entro e
entrarono per forza dentro
a la
terra e puosono le
bandiere. Gli altri de la terra veggendo
entrati i nimici dentro,
abbandonarono le loro
poste e la terra, e fuggirono, chi
poté, nel girone de
la rocca, e l'altra gente
entrò poi ne la terra, e
corsolla
e rubarla tutta, e di gran preda la spogliarono; e
ciò fu
a dì
XVI del mese di settembre
del detto
anno.
E la rocca si tenne poi
VIII giorni, avendovi
ritti
mangani e
difici, i quali gli consumavano
dì e notte,
e eranvi con grande
fame e difetto di vittuaglia per la
molta gente che v'erano rifuggiti de' terrazzani.
A la
fine s'
arendé la rocca e 'l girone
a
patti, salve le persone
e ciò che se ne potessono portare. E ebbono i
soldati che v'erano dentro per
menda di loro
cavagli
MCC fiorini d'oro. Questi
patti così larghi si feciono
loro però che 'l Bavero era già giunto in
Pisa, e di
sua cavalleria già venuta in Pistoia, ond'era
a la nostra
oste grande
pericolo
a
soprastarvi. Di questo acquisto
di
Carmignano ebbe in
Firenze grande allegrezza,
isperando che la fortuna
prospera fosse
adirizzata
a' Fiorentini, ma più
consigli si tennono di disfare
la terra e la rocca per
dubbio
del Bavero, o di
ritenerla;
a la fine si vinse che si ritenesse e si recasse
a minore giro, e si
murasse tutta con torri di pietre e
calcina, e
rafforzare la rocca e 'l girone, e che mai
non si lasciasse per gli Fiorentini, ma che si
confiscasse
a perpetuo
al nostro
contado; e così fu tutto
di presente fatto.
L. 11, cap. 104 rubr.
Come il re di Francia fece fare pace tra 'l conte di
Savoia e 'l Dalfino di Vienna.
L. 11, cap. 104Nel detto anno, a l'uscita di settembre, lo re Filippo
di Francia a preghiera e studio de la reina Crementa,
la quale era stata moglie del re Luis di Francia
e figliuola di Carlo Martello re d'Ungheria e nipote
del re Ruberto, sì fece fare pace tra 'l conte di
Savoia e 'l Dalfino di Vienna nipote de la detta reina,
intra' quali era stata lunga e mortale guerra; e essendo
la detta reina malata a morte, per darle consolazione
lo re in sua presenza la fece fare, e basciare in
bocca i detti signori, la quale poco apresso passò di
questa vita, onde fu gran dammaggio, sì come di savia
e valente donna e reina.
L. 11, cap. 105 rubr.Come il Bavero andò a Lucca, e dispuose de la signoria
i figliuoli di Castruccio.
L. 11, cap. 105Essendo il sopradetto Bavero in
Pisa, i figliuoli di
Castruccio gli furono molto
abominati da' Pisani, e
ch'eglino e il loro padre
Castruccio aveano tenuto
trattato co' Fiorentini contra l'onore della corona; e
ciò fu in parte verità. Onde il Bavero era molto indegnato
contra loro, e per lo correre ch'aveano fatto in
Pisa, e la sua gente non lasciavano
entrare in Lucca.
Per la qual cosa la moglie che fu di
Castruccio, per
raumiliarlo contra i figliuoli, sì venne in
Pisa, e donogli
il
valore di
Xm fiorini d'oro, tra in danari e
gioegli
e ricchi
destrieri, e rimisesi in lui, lei e' figliuoli.
Per la qual cosa, e per
consiglio de' Pisani e di certi
Lucchesi, il Bavero andò
a Lucca
a dì
V d'ottobre, e
fugli fatto grande onore; ma per gli
sombugli ch'avea
nella
città per gli cittadini, che non voleano che' figliuoli
di
Castruccio rimanessono signori, si levò la
città
a romore
a dì
VII d'ottobre, e s'
asserragliò e
abarrò da casa gli Onesti e in più parti.
A la fine fu
corsa per gli Tedeschi, e riformò la terra
a sua signoria,
e lasciò per signore il
Porcaro suo barone, che
tanto è
a dire
Porcaro in tedesco come
conte castellano;
ma in nostra lingua era chiamato
Porcaro. E
impuose
a Lucca e
al
contado
CLm di fiorini d'oro, tagliandogli
per uno
anno, promettendo di lasciargli
franchi. E trasse di pregione messer
Ramondo di
Cardona e 'l figliuolo, che fu capitano de' Fiorentini,
e
pagogli per sua redenzione
IIIIm fiorini d'oro, e
fecelo
giurare
a la sua signoria, e ritennelo
al suo soldo
con
C cavalieri; e ciò fu
a
priego
del re di Raona; e
tornò in
Pisa
a dì
XV d'ottobre, e
a' Pisani impuose
Cm fiorini d'oro; per le quali imposte in
Pisa e in Lucca
n'ebbe grandi ramarichii e dolori per gli cittadini
per la soperchia gravezza, e il loro male stato, e
macerati
de le guerre. In questa stanza il
Porcaro, che 'l
Bavero avea
lasciato in Lucca, s'imparentò co' figliuoli
di
Castruccio, e
rimisegli inn istato e signoria,
e mostrava di volersi tenere co· lloro insieme la signoria
di Lucca e
del
contado; per la qual cagione per
certi Lucchesi e Pisani furono fatti sospetti de la corona,
onde per gelosia della 'mpresa
del
Porcaro de'
fatti di Lucca e de' Tedeschi de la bassa Alamagna
partiti da llui e andati
al Cerruglio, come appresso
faremo menzione, il Bavero tornò
a Lucca
a dì
VIII
di novembre, e
dispuose di signoria il detto
Porcaro,
il quale se n'andò per
disdegno in Lombardia e poi
in Alamagna, e
a' figliuoli di
Castruccio tolse ogni
titolo
del
ducato, e mandò loro e lla madre
a'
confini
a
Pontriemoli, e 'l Comune di
Pisa con
assento
del Bavero
condannarono i figliuoli di
Castruccio, e
Nieri
Saggina loro
tutore, e tutti gli usciti di
Firenze, e chi
furono caporali co· lloro
a rompere il popolo di
Pisa
e correre la terra nell'avere e nella persona sì come
traditori.
L. 11, cap. 106 rubr.Come certi della gente del Bavero si rubellarono da
lui, e vennono in sul Cerruglio di Vivinaia.
L. 11, cap. 106In questo presente tempo i Tedeschi de la bassa
Alamagna i quali erano col Bavero,
conceputo il
disdegno,
cominciata la
discordia tra 'l Bavero e loro
infino
a
Cisterna, in Campagna, sì come adietro facemmo
menzione, e istando in
Pisa, e non potendo
avere le loro paghe e
gaggi dal Bavero, sì feciono infra
loro
cospirazione e congiura, e furono da
VIIIc
uomini
a cavallo, e i più de' migliori di sua gente,
seguendoli
più altri gentili uomini rimasi
a piè per
povertà;
e partirsi di
Pisa
a dì
XXVIIII d'ottobre
del detto
anno, e
credettono prendere e rubellare la
città di
Lucca e
tenerlasi per loro; e venia loro fatto, se non
che 'l Bavero sentendo loro folle partita, per messaggi
battendo, mandò
a Lucca che non fossono
ricettati
nella
città; e così fu fatto. Per la qual cosa albergando
ne' borghi di Lucca, gli rubarono d'ogni sustanzia,
e vennono in Valdinievole, e non potendo
entrare in niuna fortezza murata, sì si misono in sul
Cerruglio, il quale è in su la montagna di Vivinaia e
di
Montechiaro, il quale luogo
Castruccio avea afforzato
quando avea la
guerra co' Fiorentini, e quello
rafforzarono e tennono, faccendosi dare trebuto e
vittuaglia
a tutte le terre vicine. E in questa loro stanza
più trattati feciono cercare co' Fiorentini, e venne
in
Firenze il
duca di
Cambenic de la casa di quegli di
Sassogna, e messer
Arnaldo di
, loro caporali; ma
poco effetto ebbono allora i loro trattati, perché voleano
troppo larghi
patti e molta moneta, e' Fiorentini
si poteano male fidare di loro; e con questo tuttora
erano in trattato col Bavero per
riconciliarsi co· llui,
per avere i loro
gaggi, e parte n'ebbono, più per
tema che non s'accordassono co' Fiorentini che per
amore. Avenne che in questi trattati da lloro
al Bavero
egli mandò
a lloro per ambasciadore e trattatore
messer Marco de' Visconti di Milano, il quale
ad
istanzia
del Bavero fece loro certa impromessa di
moneta per levargli
del luogo e
menargli in Lombardia;
i quali passato il
termine, e non fornito per lo
Bavero come avea
promesso, ritennono il detto messer
Marco
cortesemente per loro pregione per
LXm
fiorini d'oro; e dissesi che 'l Bavero il vi mandò viziatamente
per farlo
ritenere per levarlosi d'intorno,
non fidandosi di lui per quello ch'avea fatto
a messer
Galeasso suo fratello di torgli la signoria di Milano.
Di questa compagna dal Cerruglio seguirono poi
grandi
novitadi e
mutazioni ne la
città di Lucca, come
innanzi faremo per gli tempi menzione.
L. 11, cap. 107 rubr.Come il re Ruberto e 'l duca suo figliuolo mandarono
inn aiuto de' Fiorentini Vc cavalieri.
L. 11, cap. 107Nel detto anno, il dì d'Ognesanti, giunse in Firenze
messer Beltramone del Balzo con Vc cavalieri, i
quali il re Ruberto e 'l duca suo figliuolo mandò di
Puglia al servigio de' Fiorentini e al suo soldo per
contastare il Bavero; e ciò fu per sodisfare in parte la
richesta ch'aveano fatta i Fiorentini di volere la persona
del duca, sì come dovea venire a difendere la
città di Firenze, dapoi che prendea CCm fiorini d'oro,
com'era in patti. De la quale venuta de' cavalieri i
Fiorentini furono altrettanto contenti come se fosse
venuto il duca in persona, perciò che già rincrescea
loro la sua signoria, e cercavano modo di non volergli
dare l'anno i detti danari dapoi che non istava in
Firenze personalmente; ma tosto si quetò la detta
questione, come diremo apresso.
L. 11, cap. 108 rubr.Come morì Carlo duca di Calavra e signore di Firenze.
L. 11, cap. 108Nel detto
anno,
a dì
VIIII del mese di novembre,
come piacque
a Dio, messer
Carlo figliuolo
del re
Ruberto
duca di Calavra, e signore de' Fiorentini,
passò di questa vita nella
città di Napoli d'infermità
di febbre presa
a
uccellare nel Gualdo; onde in Napoli
n'ebbe grande dolore e in tutto il Regno, e
soppellìsi
al monistero di Santa Chiara in Napoli,
a dì
XIIII di novembre,
a grande onore, sì come re; e poi
se ne fece l'
esequio in
Firenze
a dì
II di dicembre
a la
chiesa de' frati minori, molto grande e onorevole di
cera in grandissima quantità, per lo Comune e per la
parte guelfa e per tutte l'
arti; e furonvi le signorie e 'l
capitano ch'era
del
duca, e uomini e donne e tutta la
buona gente de la
città di
Firenze, che apena poteano
capere nella piazza di Santa
Croce non che nella
chiesa. Di questo
duca non rimase
reda nulla maschio,
ma
due figliuole femmine, una nata, e d'una
rimase grossa la
duchessa; onde
a lo re Ruberto suo
padre e
a tutto il Regno n'ebbe gran dolore, però che
'l re Ruberto non avea altro figliuolo maschio. Questo
duca
Carlo fu uomo assai bello
del corpo, e informato,
innanzi grosso, e non troppo grande; andava
in capegli sparti, assai era grazioso, di
bella faccia
ritonda, con piena barba e nera, ma non fu di gran
valore
a quello che potea essere, né troppo savio; dilettavasi
in dilicatamente
vivere e de la donna, e più
in
ozio che in fatica d'arme, con tutto che 'l padre lo
re Ruberto il tenea molto
corto per gelosia de la sua
persona, perché non avea più figliuoli; morì d'etade
di
anni; assai fu cattolico e onesto, e amava giustizia.
De la
morte di questo signore i cittadini di
Firenze
ch'amavano parte guelfa ne furono
crucciosi,
quanto per parte; ma il genero de' cittadini ne furono
contenti per la gravezza della spesa e moneta che
traeva de' cittadini, e per rimanere liberi e franchi,
che già cominciava
a dispiacere forte
a' cittadini la
signoria de' Pugliesi, i quali avea lasciati suoi uficiali
e governatori, che
a nulla altra cosa intendeano con
ogni sottigliezza se non di fare venire danari in Comune,
e di tenere
corti i cittadini di loro onori e
franchigia, e tutto si
voleano per loro; e di certo, se 'l
duca non fosse morto, non potea guari durare, che'
Fiorentini avrebbono fatta
novità contra la sua signoria,
e rubellati da llui.
L. 11, cap. 109 rubr.Come i Fiorentini riformarono la città di signorie
dopo la morte del duca.
L. 11, cap. 109
Dapoi che' Fiorentini ebbono
novelle de la
morte
del
duca, ebbono più
consigli e ragionamenti e avisi,
come
dovessono riformare la
città di
reggimento e signoria
per modo comune, acciò che si levassono le
sette tra' cittadini; e come piacque
a dDio, quegli
che allora erano priori, con
consiglio d'uno buono
uomo per
sesto, di concordia trovarono questo modo
ne la lezione de' priori e gonfalonieri, cioè che'
priori con
due arroti popolani per
sesto facessono
scelta e
rapporto di tutti i cittadini popolani guelfi
degni de l'uficio
del priorato, d'età da
XXX anni in
suso; e per simile modo feciono i gonfalonieri de le
compagnie con
II popolani arroti per gonfalone; e simile
recata facessono i capitani di parte guelfa col loro
consiglio; e simile i
cinque uficiali della
mercatantia
col
consiglio di
VII capitudini de le maggiori
arti,
due consoli per
arte. E fatte le dette recate, ne la
sala
de' priori si congregarono i priori e' gonfalonieri
a
l'
entrante
del mese di dicembre, e co· lloro i
XII buoni
uomini consiglieri, e con cui i priori faceano le
gravi diliberazioni, e con
XVIIII gonfalonieri de le
compagnie, e
due consoli di
ciascuna delle
XII arti
maggiori, e
VI arroti fatti per gli priori e per gli detti
XII consiglieri per
ciascuno
sesto, sì che in tutto furono
in numero di
LXXXXVIII; e messo
ciascuno uomo
recato
a scruttino segreto di fave bianche e nere, ricolte
per
due frati minori e
due predicatori e
due
romitani,
forestieri savi e discreti, e parte di loro
a vicenda
stavano nella camera
a ricogliere le fave e
a
noverarle; e chiunque avea
LXVIII boci, cioè
LXVIII
fave nere, era aprovato per priore e messo in segreto
rigistro scritto, il quale rimase apo i frati predicatori,
e in una piccola cedola sottile iscritto il nome e sopranome
suo, e messo in una borsa
a
sesto
a
sesto,
come venia; e quelle borse messe in uno forziere serrato
a
tre chiavi, e mandato nella sagrestia de' frati
minori; e l'una chiave teneano i frati
conversi di Settimo,
che stavano
a la camera dell'arme de' priori, e
l'altra il capitano
del popolo, e l'altra il ministro de'
frati. E quando finiva l'uficio de' priori de'
due in
due mesi, anzi loro uscita il meno per
III dì, i vecchi
priori col capitano sonando e
raccogliendo il
consiglio
facevano venire il detto forziere, e in presenza
del
consiglio s'apriva, e
a
sesto
a
sesto s'
aprieno le
dette borse,
mischiando le
bollette, e poi
traendole
in aventura; e quegli ch'era tratto era priore, oservando
il divieto ne la persona di quegli ch'era
due
anni, che più non potea essere infra 'l tempo; e il figliuolo,
padre, o fratello di quegli avea divieto uno
anno; e la casa ond'era
VI mesi. E questo ordine si
fermò prima per gli opportuni
consigli, e poi in pieno
parlamento ne la piazza de' priori, ove fu congregato
molto popolo, ov'ebbe molti dicitori, e lodando
l'ordine, e
confermandola
a dì
XI di dicembre
MCCCXXVIII, sotto gravi pene chi contro facesse, e
che di
due in
due
anni
del mese di gennaio si
dovesse
rifare da capo per simile modo, e chi vi si trovasse
in registro che non fosse uscito o tratto vi rimanesse;
e chi di nuovo fosse approvato per lo detto
squittino
fosse rimescolato con quegli che non fossono tratti; e
quegli che tratti fossono si
rimettessono
a
sesto
a
sesto
in un'altra borsa infino che fossono gli altri tutti
tratti. Per simile modo e
squittino s'
aprovarono i
XII
uomini consiglieri de' priori; e chi era,
durava
il loro uficio
IIII mesi, e qual era dell'uno
collegio era
dell'altro.
I gonfalonieri de le compagnie si feciono per simile
modo, salvo che poteano essere giovani di
XXV anni
o da indi in suso; e
durava il loro uficio
quattro
mesi, che in prima
duravano
VI mesi. E per simile
modo
ciascuna de le
XII maggiori
arti feciono i loro
consoli; e
rimutossi il
consiglio
del
Cento, e
Credenza,
e
LXXXX, e generale, che soleano essere per antico;
e fecesi uno
consiglio di popolo di
CCC uomini
popolani scelti e approvati sofficienti e guelfi; e simile
uno
consiglio di Comune, ove avea grandi uomini
de' casati e popolani di
CCL uomini approvati, e furono
recati
a
termine di
IIII mesi, ove soleano essere
per
VI mesi, per
avicendare i cittadini, e dare parte
degli ufici. Per questo modo fu riformata la
città di
Firenze de' suoi reggimenti e uficiali, e poco tempo
appresso per fuggire le
pregherie si feciono per borse,
overo
sacchi, approvati per
squittino le podestadi
forestiere. Avemo così
stesamente fatta memoria di
questa
riformazione, perché fu con bello ordine e
comune; e
seguìne assai tranquillo e
pacefico stato
al
nostro Comune uno tempo, perché sia esemplo
a
coloro
che sono
a venire; ma com'è l'usanza de' Fiorentini
di spesso volere fare
mutazioni, per la qual
cosa gli detti buoni ordini assai tosto si coruppono e
viziaro per le
sette de' malvagi cittadini, che
al tutto
voleano reggere sopra gli altri, mettendo con frode
a
le riformazioni de' loro seguaci non degni
a' detti
ufici, e lasciare adietro de' buoni e sofficienti, onde
seguì poi molti
danni e
pericoli
a la nostra
città, come
innanzi faremo menzione.
L. 11, cap. 110 rubr.
Come in Firenze fu fatta una imposta sopra il chericato.
L. 11, cap. 110In questi tempi si fece in Firenze per autorità d'una
vecchia lettera di papa una imposta sopra il chericato
di XIIm fiorini d'oro (bene ch'ella fosse ordinata
innanzi per lo priorato ch'era stato al tempo che 'l
Bavero dovea venire verso Firenze per la via d'Arezzo,
e Castruccio era vivo, e dovea venire da la parte
di Pistoia), acciò ch'egli atassono per li loro benifici
la difensione de la città e del contado contra i rubegli
e persecutori di santa Chiesa; de la quale imposta
il detto chericato ingrato e sconoscente non volea
pagare, e convenne che pagassono per forza; per la
qual cosa appellarono al papa, e misono lo 'nterdetto
in Firenze a dì XVIII di novembre, e poi il levarono
infino a la Bifania, e poi il ripuosono infino che 'l vescovo
di Firenze ch'era ne la Marca tornò, e levollo
con loro grande vergogna, però che s'ordinava di
trarre i cherici de la guardia del Comune; e ciò fu a
dì V di febbraio anni MCCCXXVIII. Lasceremo alquanto
de' fatti di Firenze, e diremo dell'altre novità degli
strani che furono in questi tempi.
L. 11, cap. 111 rubr.
Come sobbissò per tremuoti gran parte de la città di
Norcia del Ducato con più castella ivi intorno.
L. 11, cap. 111Nel detto anno MCCCXXVIII, a l'entrante di dicembre,
furono diversi tremuoti ne la Marca ne le contrade
di Norcia, per modo che quasi la maggior parte
de la detta città di Norcia sobbissò, e caddono le
mura de la terra e le torri, case, e palazzi, e chiese, e
de la detta rovina, perché fu sùbita e di notte, morirono
più di Vm persone. E per simile modo rovinò
uno castello presso a Norcia, che si chiama le Precchie,
che non vi rimase persona né animale vivo; e
per simile modo il castello di Montesanto, e parte di
Monte Sammartino, e di Cerreto, e del castello di
Visso.
L. 11, cap. 112 rubr.Come il Bavero ne la città di Pisa condannò papa
Giovanni, e papa Giovanni apo Vignone diè sentenzia
contro al Bavero.
L. 11, cap. 112Nel detto
anno,
a dì
XIII del mese di dicembre, il
Bavero, il quale si dicea essere imperadore, si congregò
uno grande
parlamento, ove furono tutti i suoi
baroni e maggiori di
Pisa, laici e
cherici, che teneano
quella
setta, nel quale
parlamento frate
Michelino di
Cesena, il quale era stato ministro generale de' frati
minori,
sermonò in quello contro
a papa Giovanni,
opponendogli per più falsi articoli e con molte autoritadi
ch'egli era
eretico e non degno papa; e ciò fatto,
il detto Bavero
a modo d'imperadore
diè sentenzia
contra il detto papa Giovanni di privazione. E in
questi medesimi tempi e mese di dicembre, per le
digiune
Quattro Tempora, il detto papa Giovanni apo
Vignone in
concestoro de' suoi cardinali e de' parlati
di
corte piuvicò e fece gran processi contra il detto
Bavero, sì come
eretico e persecutore di santa Chiesa
e de' suoi fedeli, e per sentenzia il privò e
dispuose
d'ogni dignità e stato e signoria, e commise
a tutti
gl'inquisitori della
eretica pravità che procedessono
contro
a llui e chi gli
desse aiuto o
conforto o favore.
L. 11, cap. 113 rubr.Come l'antipapa con suoi cardinali entrò ne la città
di Pisa e predicò contro a papa Giovanni.
L. 11, cap. 113Nel detto
anno,
a dì
III di gennaio, l'antipapa di
su detto, frate Piero di Corvara,
entrò in
Pisa
a modo
di papa con suoi
VII cardinali fatti per lui,
al quale
per lo Bavero detto imperadore e da sua gente e
da' Pisani fu ricevuto con gran festa e onore,
andandogli
incontro il
chericato e' religiosi di
Pisa e' laici
col detto Bavero con grande processione
a piè e
a cavallo,
con tutto che quegli che 'l vidono dissono che
parea loro opera isforzata e non degna, e la buona
gente e' savi di
Pisa molto si turbarono, non parendo
loro ben fare,
sostegnendo tanta
abbominazione. E
poi
a dì
VIII del detto mese di gennaio il detto antipapa
predicò in
Pisa e diede perdono, come potea,
di colpa e di pena, chi
rinnegasse papa Giovanni, e
tegnendolo per non degno papa, confessandosi de'
suoi peccati infra gli
otto dì, e
confermando la sentenzia
che 'l detto Bavero avea data contro
a papa
Giovanni per la predica di frate
Michelino, come dicemmo
adietro.
L. 11, cap. 114 rubr.Di certe cavalcate che la gente che 'l capitano del re
Ruberto co la gente de' Fiorentini feciono sopra il contado
di Pisa.
L. 11, cap. 114Nel detto tempo, a dì X di gennaio, essendo il Bavero
in Pisa con tutta sua forza, messere Beltramone
del Balzo capitano della gente del re Ruberto essendo
in Samminiato a le frontiere colla sua gente e con
quella de' Fiorentini, in numero di M a cavallo e gente
a piè assai, cavalcarono in sul contado di Pisa per
la Valdera infino a ponte di Sacco, e levarono grande
preda di gente, e di bestiame, e arsono tutto il paese,
e stettonvi due dì e una notte, né però la gente del
Bavero non uscirono di Pisa per soccorrere il loro
contado, dicendo il Bavero a' Pisani, se volessono
che cavalcassono, dessono danari a' suoi cavalieri;
onde molto fu ripreso e tenuto a vile da la buona
gente di Toscana. E poi a dì XXI di febbraio il detto
messer Beltramone con sua gente e con quella de'
Fiorentini cavalcarono sopra il contado di Pisa, e simile
levarono grande preda, ma fu con danno d'alquanti
di sua gente a piè, i quali per ghiottornia de la
preda s'erano dilatati per lo paese, e a la ritratta ve
ne rimasono de' morti e de' presi più di CL.
L. 11, cap. 115 rubr.
D'uno certo tradimento che fu scoperto che si doveva
fare in Firenze.
L. 11, cap. 115Nel detto
anno, in mezzo gennaio, fu
menato uno
trattato per Ugolino di
Tano degli
Ubaldini con certi
uomini di piccolo affare di
Firenze di tradire la
città
di
Firenze in questo modo: che
dovea mettere di sagreto
in
Firenze
CC de' suoi fanti, e quegli stare nel
borgo d'Ognesanti e di San Paolo, e una notte ordinata
fare mettere fuoco in
quattro case, in diverse
parti di
Firenze in San Piero Scheraggio e Oltrarno,
le quali si trovarono
allogate
a pigione e
stipate di
scope; e appresi i detti fuochi, quando la gente fossono
tratti
al soccorso
del fuoco, i detti fanti, onde
dovea essere capo uno Giovanni
del Sega da Carlone,
oso fante e ardito, si
doveano raunare in sul prato
d'Ognesanti con più altri loro seguaci e Ghibellini,
gridando: «
Viva lo 'mperadore!», e
imbarrare le
vie, e fare tagliare la porta
del Prato e quella de le
Mulina; e da Pistoia per cenno di fuoco ordinato
doveano
venire la notte
M cavalieri di quegli
del Bavero
con
M fanti in groppa
a guida
del detto Ugolino e altri
usciti di
Firenze, ed
entrare in sul Prato e correre
e combattere la terra. E da
Pisa
dovea simigliante
quella notte muovere il maliscalco
del Bavero con
molta gente e venire
a
Firenze. Ma, come piacque
a
Dio, il detto trattato si scoperse per certi compagni
del detto Giovanni
del Sega, e liberò Idio la
città di
Firenze di tanto
pericolo, con tutto che per molti cittadini
si fece quistione, se potesse essere venuto fornito
il detto
tradimento, non essendo nella
città possenti
uomini ch'avessono risposto
al
tradimento, che
non si trovò di vero; e in
Firenze avea gente
a cavallo
assai, e
a piè innumerabile quantità
a la difensione, e
la
città grande, e in molte parti ripari e fortezze da
difendere. Ma s'avessono proceduto, non era sanza
grande rischio e
pericolo, essendo il romore di notte
e improviso, onde i cittadini sarebbono stati isbigottiti
e in sospetto l'uno dell'altro per tema di maggiore
ordine di
tradimento, sì che ci e il
pro e il
contro.
Ma come si fosse, il detto Giovanni fue
menato in su
uno
carro per tutta la
città
attanagliato, e
levatogli le
carni di
dosso co le
tanaglie calde in fuoco, e poi
piantato; e tre altri ch'aveano
cerco e sentito il trattato,
e non revelato, furono impiccati in sul prato d'Ognesanti;
e Ugolino di
Tano e più suoi seguaci condannati
come traditori. E quegli che scopersono il
trattato ebbono
MM fiorini d'oro dal Comune, e
brivileggiati
che potessono sempre portare ogni arme
da offendere e da difendere per guardia di loro persone.
Ma per molti cittadini e forestieri si disse che
la detta
cerca e trattato sì pur fece, ma parendo
al
consiglio
del Bavero impossibile
a
poterlo fornire e
recarlo
a fine sanza loro gran
pericolo, sì il lasciarono,
e il detto Ugolino degli
Ubaldini e' suoi
consorti
a più loro amici e
parenti fiorentini se ne
scusarono,
che non v'avea colpa.
L. 11, cap. 116 rubr.
Come l'antipapa fece suo cardinale messer Giovannino
Visconti di Milano.
L. 11, cap. 116Nel detto
anno,
a dì
XXVIIII di gennaio, l'antipapa
a richiesta
del Bavero e di messere
Azzo Visconti di
Milano fece suo cardinale messer
Giovannino di
messer
Maffeo Visconti, e
mandollo in Lombardia
per suo legato; e il detto Bavero
confermò sì come
imperadore la signoria di Milano
a messer
Azzo Visconti,
promettendogli il detto messer
Azzo in certe
paghe
CXXVm di fiorini d'oro per sodisfare i suoi cavalieri,
i quali erano
al Cerruglio; onde
ordinò loro
capitano messer Marco Visconti, e licenziollo si tornasse
a Milano. Il quale messer
Azzo se n'andò in
Lombardia con uno barone
del Bavero che si chiamava
il
Pulcaro, con certi de' cavalieri dal Cerruglio,
e giunto in Milano il detto
Pulcaro ebbe da messer
Azzo
XXVm di fiorini d'oro, e andossene con essi nella
Magna sanza risponsione
al detto Bavero o
a' cavalieri
dal Cerruglio. Per la qual cosa saputo in Lucca,
il Bavero si tenne male
contento e ingannato dal
Pulcaro
e da messer
Azzo Visconti; e i cavalieri de la
compagna dal Cerruglio ritennono messer Marco Visconti
loro capitano per pegno e come loro pregione
per gli loro
gaggi
promessi per messer
Azzo. In questi
inganni e
dissimulazioni vivea in Lucca e in
Pisa il
detto antipapa e quegli che si chiamava imperadore.
E in questi dì quegli della
città di Volterra e di San
Gimignano feciono una tacita triegua col Bavero e
co' Pisani, acciò che non gli
cavalcassono, onde i
Fiorentini furono molto
crucciosi, e
mandarvi loro
ambasciadori forte
riprendendogli.
L. 11, cap. 117 rubr.Come il capitano del Patrimonio e gli Orbitani furono
sconfitti in Viterbo credendo avere presa la terra.
L. 11, cap. 117Nel detto anno, a dì II di febbraio, il capitano del
Patrimonio, che v'era per lo papa, co la forza degli
Orbitani, avendo certo trattato con certi cittadini di
Viterbo di dare loro l'entrata della terra, sì entrarono
in Viterbo per una porta con CCC cavalieri e VIIc pedoni,
e corsono la terra infino a la piazza, e per mala
capitaneria si cominciaro a spargere per la città rubando,
credendo avere vinta la terra. Il signore di
Viterbo con molti de' cittadini si cominciarono a difendere
e abarrare le vie; e combattendo, vinsono
coloro ch'erano rimasi in su la piazza, onde furono
sconfitti e cacciati; e rimasonvi tra morti e presi più
di C a cavallo e più di CC a piè. E in questi medesimi
dì que' d'Orbivieto lasciarono la signoria di Chiusi a'
signori di Montepulciano, però che di loro era il vescovo
di Chiusi, e rimisono in Chiusi ogni parte e
usciti.
L. 11, cap. 118 rubr.Come i Romani per carestia tolsono la signoria di
Roma al re Ruberto.
L. 11, cap. 118In questi tempi,
a dì
IIII di febbraio, essendo in
Roma sanatore per lo re Ruberto messer
Guiglielmo
d'
Eboli suo barone con
CCC cavalieri
a la guardia de
la terra, i Romani avendo grande
carestia di vittuaglia
per lo grande
caro che
generalmente era per tutta
Italia,
dogliendosi
del re Ruberto che non gli forniva
del Regno,
a romore si levò il popolo, gridando:
«Muoia il sanatore!»; e
corsollo in Campidoglio assalendolo
aspramente, il quale con tutta sua gente
non
poté
resistere; si s'
arendé e uscì de la signoria
con grande
danno e vergogna, e' Romani feciono loro
sanatori messer Stefano de la Colonna e messer
Poncello
Orsini, i quali
del loro grano e di quello degli
altri possenti Romani feciono venire in piazza, e
racquetarono il popolo.
L. 11, cap. 119 rubr.Come il detto anno, e più il seguente, fue grande
caro di vittuaglia in Firenze e quasi in tutta Italia.
L. 11, cap. 119Nel detto
anno
MCCCXXVIII si cominciò e fu infino
nel
CCCXXX grande
caro di grano e di vittuaglia in
Firenze,
che di soldi
XVII lo
staio ch'era
valuto di ricolta,
il detto
anno valse
XXVIII, subitamente in pochi dì
montò in
XXX soldi; e poi
entrando il seguente
anno
CCCXXVIIII, ogni dì venne montando sì, che per la
Pasqua
del
Risoresso
del
XXVIIII valse soldi
XLII, e
innanzi che fosse il
novello per lo
contado in più
parti valse fiorino uno d'oro lo
staio, e nonn avea
pregio il grano,
possendosene avere per danari la
gente ricca che n'avea bisogno, onde fu grande stento
e dolore
a la povera gente. E non fu solamente in
Firenze, ma per tutta
Toscana e in gran parte d'Italia;
e fu sì crudele la
carestia che' Perugini, e' Sanesi,
e' Lucchesi, e'
Pistolesi, e più altre terre di
Toscana
per non potere
sostentare cacciarono di loro terre
tutti i poveri mendicanti. Il Comune di
Firenze con
savio
consiglio e buona provedenza, riguardando
a la
piatà di Dio, ciò non sofferse, ma quasi gran parte
de' poveri di
Toscana mendicanti
sostenne, e fornì di
grossa quantità di moneta la canova; mandando per
grano in Cicilia,
faccendolo venire per
mare
a
Talamone
in Maremma, e poi
condurlo in
Firenze con
grande rischio e ispendio; e così di
Romagna e
del
contado d'
Arezzo, e non guardando
al grave
costo,
sempre ch'era la grave
carestia, il tenne
a mezzo fiorino
d'oro lo
staio in piazza, tuttora col quarto
orzo
mescolato. E con questo era sì grande rabbia
del popolo
in Orto San Michele, che
convenia vi stesse
a
guardia degli uficiali le famiglie delle signorie armate
col ceppo e mannaia per fare giustizia, e
fecionsene
intagliare
membri. E
perdévi il Comune di
Firenze
in quegli
due
anni più di
LXm fiorini d'oro per
sostentare
il popolo; e tutto questo era niente; se non che
infine si provide per gli uficiali
del Comune di non
vendere grano in piazza, ma di fare pane per lo Comune
a tutti i forni, e poi ogni mattina si vendea in
tre o
quattro canove per
sesto di peso d'once
VI il
pane mischiato per danari
IIII l'uno. Questo argomento
sostenne e contentò la
furia
del popolo e della
povera gente, ch'almeno
ciascuno potea avere pane
per
vivere, e tale avea danari
VIII o
XII per sua vita il
dì, che non potea raunare i danari di
comperare lo
staio. E tutto ch'io scrittore non fossi degno di tanto
uficio, per lo nostro Comune mi trovai uficiale con
altri
a questo amaro tempo, e co la grazia di Dio
fummo de' trovatori di questo rimedio e argomento,
onde s'
apaciò il popolo, e fuggì la
furia, e si contentò
la povera gente sanza niuno
scandalo o romore di
popolo o di
città. E con questo testimonio di verità
che anche in niuna terra si fece per gli possenti e pietosi
cittadini tante
limosine
a' poveri, quanto in quella
disordinata
carestia si fece per gli buoni Fiorentini;
ond'io sanza fallo stimo e credo che per le dette
limosine e provedenza fatta per lo povero popolo,
Idio abbia guardata e guarderà la nostra
città di
grandi aversitadi. Avemo fatto sì lungo parlare sopra
questa materia per dare esemplo
a' nostri cittadini
che verranno d'avere argomento e riparo, quando in
così
pericolosa
carestia incorresse la nostra
città, acciò
che si salvi il popolo
al piacere e reverenza di
Dio, e la
città non incorra in
pericolo di furore o
rubellazione.
E nota che sempre che la pianeta di Saturno
saràe ne la fine
del
segno
del
Cancro e infino
al ventre
del Leone,
carestia fia in questo nostro paese
d'Italia, e
massimamente nella nostra
città di
Firenze,
però che
pare attribuita
a parte di quello
segno.
Questo non diciamo sia però necessitade, che
Idio può fare
del caro vile e
del vile caro secondo
sua volontà, o per grazia de'
meriti di sante persone
o per
pulizione de' peccati; ma
naturalmente parlando,
Saturno secondo il detto de' poeti e astrolagi è lo
Dio de' lavoratori, ma più vero la sua infruenza porta
molto
a l'overaggio e semente de le terre; e quand'
egli si truova ne le case e segni suoi aversi e contrarii,
come il
Cancro e più il Leone, adopera male le
sue vertù ne la terra, però ch'egli e di naturale isterile,
e il
segno
del Leone isterile; sì che dà
caro e
sterelità,
e non ubertà e abbondanza. E questo per
isperienza
avemo veduto per gli tempi passati, e basti
a
chi s'intende di queste
ragioni, che così fu in questi
tempi, il qual è di
XXX in
XXX anni, e talora ne le sue
quarte, secondo le congiunzioni di buone o ree pianete.
L. 11, cap. 120 rubr.Come l'antipapa del Bavero fece in Pisa processi
contra papa Giovanni e lo re Ruberto e Comune di Firenze.
L. 11, cap. 120Nel detto
anno
MCCCXXVIII,
a dì
XVIIII di febbraio,
l'antipapa
del Bavero, il quale era nella
città di
Pisa, in pieno
parlamento e sermone, ove fu il detto
Bavero e tutta sua baronia e parte de la buona gente
di
Pisa, fece processo e
diè sentenzia di scomunica
contro
a papa Giovanni, e contro
al re Ruberto, e
contro
al Comune di
Firenze e chi loro seguisse, opponendo
contro
a' detti falsi articoli. Avenne in ciò
grande maraviglia, e visibile e aperta, che raunandosi
il detto
parlamento, subitamente venne da
cielo la
maggiore
tempesta di gragnuola e d'acqua con terribile
vento, che per poco mai venisse in
Pisa; e perché
agli più de' Pisani pareva mal fare andando
al
detto sermone, e per lo forte tempo pochi ve n'andavano,
per la qual cosa il Bavero mandò il suo maliscalco
a cavallo con gente d'arme e con fanti
a piede
per la
città
a costrignere che la buona gente andasse
al detto
parlamento e sermone, e con tutta la forza
pochi ve n'andarono. E in quello cavalcare per la terra
il detto maliscalco, essendo la detta fortuna e
tempesta,
prese freddo
a la persona, onde per guerire la
sera fece uno bagno, ove fece mettere acqua
stillata,
e in quello bagnandosi vi s'apprese fuoco, e subitamente
il detto maliscalco nel detto bagno arse e morì
sanza altro male di persone; la qual cosa fu tenuto
gran miracolo di Dio e
segno contrario
al Bavero e
a
l'antipapa, che' loro indegni processi non piacessono
a Dio. E poi
a dì
XXIII di febbraio il detto Bavero
palesò
a' Pisani di partirsi di
Toscana, e per sue grandi
bisogne gli
convenia
ire in Lombardia, onde i Pisani
per la sua appressione furono molto allegri.
L. 11, cap. 121 rubr.
Come la parte ghibellina de la Marca presono la città
d'Iegi, e tagliarono il capo a Tano che n'era signore.
L. 11, cap. 121Nel detto anno, a dì VIII di marzo, i Ghibellini de
la Marca, ond'era loro capitano di guerra il conte di
Chieramonte di Cicilia, con gente del Bavero subitamente
entrarono ne' borghi della città d'Iegi col favore
e trattato di quegli de la cittade, de la quale era
capo e signore Tano da Iegi, uno grande capitano di
parte guelfa e molto ridottato in tutta la Marca, il
quale tirannescamente lungo tempo l'avea soggiogata,
e molto temuto e disamato da' suoi cittadini, e
presi i borghi e la terra, assediarono i palazzi e rocca
ov'era il detto Tano e sua famiglia, e quella combatterono;
e perché il detto Tano era non proveduto né
fornito, non potendosi difendere s'arrendé, al quale
il detto conte di Chieramonte infra il terzo dì gli fece
tagliare la testa, sì come a nimico e ribello dello
'mperio. E così gli fece confessare, e dicesi che di
sua libertà confessò, e si rendé colpevole non di
quello peccato che gli parea avere fatto mercé in servigio
di santa Chiesa essere rubello dello 'mperio,
ma che in quello tempo, essendo eletto capitano di
guerra de' Fiorentini, e s'apparecchiava di venire, era
disposto a petizione di certi grandi e popolani di Firenze,
per cagione di sette, di guastare il nostro tranquillo
stato, e farvi nuova parte, e sì come tiranno
cacciare gente de la nostra città di Firenze. Se questo
s'avesse potuto fare o no, egli di vero il confessò a la
morte, onde per la grazia di Dio la nostra città fu libera
del male volere del tiranno per mano de' nostri
nimici non provedutamente
L. 11, cap. 122 rubr.
Come gli Aretini ebbono il Borgo a Sansipolcro per
assedio.
L. 11, cap. 122Nel detto anno avendo i signori da Pietramala
d'Arezzo impetrato dal Bavero titolo de la signoria
d'Arezzo e de la Città di Castello, le quali teneano, e
de la terra del Borgo a Sansipolcro, la quale non era
sotto loro soggezione, volendola signoreggiare quegli
del borgo, si misono a la difensione i Guelfi e' Ghibellini
per essere liberi; onde i detti Tarlati signori
da Pietramala co la forza degli Aretini e con loro
amistà misono assedio con oste a la terra del Borgo a
Sansipolcro, la quale era molto forte e di mura e de'
fossi, e intorno a quella stettono più d'otto mesi ad
assedio con più battifolli non avendo contasto niuno.
Ben mandarono que' del borgo loro ambasciadori a'
Fiorentini per darsi loro liberamente, se gli liberassono
dell'asedio e gli difendessono dagli Aretini. Per
gli Fiorentini si diliberò di non fare quella impresa
per l'essere del Bavero, ch'allora era in Pisa, e perché
il borgo era di lungi e fuori di nostre marce e impossibile
a fornirlo. A la fine i borghigiani veggendosi
abandonati dagli amici guelfi di Toscana, e certi de'
migliori de la terra presi dagli Aretini in loro cavalcate,
s'arrenderono agli Aretini sotto certi patti a l'uscita
del mese di marzo, rimanendo la dominazione de
la terra a' detti signori da Pietramala d'Arezzo.
L. 11, cap. 123 rubr.
Come il Bavero andò a Lucca e fece correre la terra,
e dispuose della signoria i figliuoli di Castruccio.
L. 11, cap. 123Nel detto anno, a dì XVI di marzo, il Bavero si partì
di Pisa e andonne a Lucca per certa disensione cominciata
in Lucca tra quegli della casa de' Pogginghi
con séguito di loro amici grandi e popolani e quegli
degl'Interminelli e' figliuoli di Castruccio e' loro seguaci,
i quali ciascuna parte avea abarrata la terra, e
si combatteano per non avere signoria di tiranni
cioè de' figliuoli di Castruccio e' loro seguaci, o d'altri
degl'Interminelli. Ivi al terzo dì che 'l Bavero vi fu
venuto, fece correre la terra al suo maliscalco con la
sua cavalleria, ove fu grande punga e battaglia, e misesi
fuoco, ond'arsono la maggior parte de le case de'
Pogginghi, e intorno a Santo Michele, e in Filungo
infino a cantone Bretto, nel migliore e più caro de la
cittade con grandissimo danno de' casamenti e d'avere.
A la fine de' Pogginghi e di loro seguaci molti
furono cacciati fuori de la terra; e ciò fatto, il Bavero
riformò la terra e prese mezzo, e fece suo vicaro in
Lucca Francesco Castracane degl'Interminelli per
XXIIm di fiorini d'oro ch'ebbe da llui tra danari e promesse;
e dispuose d'ogni signoria i figliuoli di Castruccio,
i quali, tutto fossono congiunti del detto
messer Francesco, s'astiavano e voleano male insieme,
perché ciascuno volea essere signore. E riformata
la terra, il Bavero si tornò in Pisa a dì III d'aprile
MCCCXXVIIII.
L. 11, cap. 124 rubr.
Come i seguaci de' figliuoli di Castruccio con messere
Filippo Tedici corsono la città di Pistoia, e come ne
furo cacciati.
L. 11, cap. 124In quegli giorni entrarono nella città di Pistoia i figliuoli
di messer Filippo Tedici co la forza de' figliuoli
di Castruccio loro cognati, e con Serzari Sagina,
che si chiamava signore d'Altopascio, e loro seguaci
e masnade di loro amici tedeschi a cavallo e a
piè, e corsono la terra, gridando: «Vivano i duchini!»,
cioè i figliuoli di Castruccio, sanza contasto
niuno; e credendosi avere vinta la terra, quegli della
casa de' Panciatichi, e di Muli, e Gualfreducci, e
Vergellesi, antichi Ghibellini e nimici de' Tedici, con
loro amici e coll'apoggio del vicaro che v'era per lo
Bavero, con armata mano e con séguito del popolo e
di molti loro amici cittadini ricorsono la terra la loro
volta gridando: «Viva lo 'mperadore!»; e ruppono
e sconfissono e cacciarono de la terra i Tedici e 'l signore
d'Altopascio e' loro seguaci, e assai ne furono
morti e presi.
L. 11, cap. 125 rubr.Come la gente del legato vollono prendere Reggio,
e come Forlì e Ravenna feciono le comandamenta del
legato.
L. 11, cap. 125Nel detto tempo e mese per certo trattato
dove'
essere data l'
entrata de la
città di Reggio
al legato
del
papa ch'era in Bologna, onde vi cavalcò il suo maliscalco
con più di
VIIIc cavalieri e gente
a piede assai,
e furono infino ne' borghi de la terra; ma vennono sì
tardi, che già era scoperto il
tradimento; onde furono
presi e guasti di
coloro che ll'aveano ordinato, e
la gente della Chiesa vi ricevettono
danno e vergogna,
e tornarsi
a Bologna. E nel detto mese,
a dì
XXVI
di marzo, i
Forlivesi e que' di Ravenna per certo ordine
di pace vennono
a' comandamenti
del legato
a
Bologna.
L. 11, cap. 126 rubr.Come la gente di messer Cane di Verona furono
sconfitti nel castello di Salò in bresciana.
L. 11, cap. 126Nel detto anno, faccendo messer Cane de la Scala
grande guerra a' Bresciani, fece fare una grande armata
di gazzarre e d'altro navilio, e con molta gente
d'arme a dì XXIIII di marzo fece assalire il castello di
Salò in bresciana, e per gente de la terra ch'erano al
tradimento fu data loro l'entrata, e corsono e rubarono
la terra. A la fine i Bresciani avisati di questa cavalcata
giunsono a Salò, e combatterono co' nimici e
sconfissorgli e cacciarono de la terra, e rimasonne
più di Vc morti.
L. 11, cap. 127 rubr.Come il Bavero si partì di Pisa e andonne in Lombardia,
e fece oste sopra Milano.
L. 11, cap. 127Nell'
anno
MCCCXXVIIII,
a dì
XI d'
aprile, si partì di
Pisa
Lodovico di Baviera, il quale si facea chiamare
imperadore, per andare in Lombardia, per cagione
che' Visconti che teneano la signoria di Milano non
gli rispondeano come volea, per la quistione già mossa
contra
a messer Marco, e perché 'l Bavero mostrava
d'abattere lo stato de' figliuoli di
Castruccio, i
quali erano
a
setta co' detti Visconti. E partendosi il
Bavero di
Toscana, diede speranza
a' suoi seguaci di
Pisa e di Lucca e dell'altra
Toscana di tosto ritornare,
con tutto che
a' Pisani paresse
M anni la sua partita
per le
'ncomportabili gravezze ricevute da llui, e
con poco suo onore o stato de' Pisani o de' Lucchesi;
e lasciò in
Pisa suo vicario messer
Tarlatino d'
Arezzo
con
VIc cavalieri tedeschi, e in Lucca Francesco
Castracane
Interminelli con
IIIIc cavalieri. E
giunto il detto Bavero in Lombardia, fece richiedere
a
parlamento
a
Marcheria tutti i tiranni e' grandi
lombardi, i quali la maggiore parte vi furono, ciò fue
messer Cane della Scala, e il signore di Mantova, e
quello di Commo e di Chermona, salvo che non vi
furono i Visconti di Milano. E tenuto
parlamento infino
a
venerdì santo,
a dì
XXI d'
aprile, si ordinò co'
detti Lombardi di fare oste sopra Milano, per cagione
che messer
Azzo Visconti e' suoi
nol voleano ubbidire
né dare la signoria libera di Milano, e sentiva
che teneano trattato d'accordo col papa e
colla Chiesa.
E ciò fatto, si tornò
a Chermona per ordinare la
detta oste, e poco appresso,
del mese di maggio, co
la lega di Lombardia il detto Bavero andò sopra Milano
con
MM cavalieri e puosesi
a
Moncia, e ivi e nel
contado di Milano stette più tempo guastando il paese;
ma non v'aquistò terra niuna
del
contado di Milano,
salvo ch'
a l'uscita
del mese di giugno, per via di
trattati, con certi
patti il Bavero ebbe la
città di Pavia,
e poi con sua gente si tornò
a Chermona per le
novitadi già cominciate ne la
città di Parma e di Reggio e
di Modana contro
al legato e la Chiesa, come innanzi faremo
menzione.
L. 11, cap. 128 rubr.Come la compagna de' Tedeschi dal Cerruglio vennono a
Lucca e furono signori de la terra.
L. 11, cap. 128Nel detto
anno,
quattro dì apresso partito il Bavero
di
Pisa, ciò fu
a dì
XV d'
aprile, i suoi ribelli tedeschi
ch'erano in sul Cerruglio in Valdinievole, come
adietro facemmo menzione, i quali erano intorno
VIc
uomini
a cavallo, molto aspra e buona gente d'arme,
con trattato di certi Fiorentini, ond'era caporale e
menatore messer Pino de la Tosa e il vescovo di
Firenze
con certi altri cittadini segreti, infino che 'l Bavero
era in
Pisa, faccendo loro grandi promesse di
danari per lo Comune di
Firenze, e ancora con certo
trattato con masnade vecchie de' Tedeschi stati
al
servigio di
Castruccio, i quali erano
a la guardia
del
castello de l'Agosta di Lucca, si feciono loro capitano
messer Marco Visconti di Milano, stato per loro
gaggi promessi loro pregione. E partirsi di notte
tempore di Valdinievole e vennono
a Lucca; e com'
era ordinato, fu data loro l'
entrata
del castello de
l'Agosta; e incontanente mandarono per
Arrigo figliuolo
di
Castruccio e per gli suoi frategli, i quali
erano per
confini
del Bavero
al castello loro di
Monteggioli;
e loro giunti, e
entrati nel castello di Lucca,
vollono correre la terra. I Lucchesi per tema d'essere
rubati e arsi con Francesco
Interminelli insieme,
ch'era signore di Lucca per lo Bavero, s'
arenderono,
e diedono la signoria dell'altra terra
a messer Marco
e
a' suoi seguaci
del Cerruglio la
domenica apresso.
E poi in questo stante corsono il paese d'intorno, e
chi non facea le comandamenta sì rubavano e uccideano
come gente salvaggia e bisognosa che viveano
di
ratto. E perché quegli de la terra di Camaiore si
contesono, furono arsi e rubati, e arsa e guasta la terra,
e morti più di
IIIIc di loro terrazzani
a dì
VI di
maggio: e poi corsono e guastarono intorno
a
Pescia.
E in questa
mutazione di Lucca il detto messer Marco
e' suoi seguaci mandarono
a
Firenze loro ambasciadori
frati
agostini
a richiedere i Fiorentini ch'
atenessono
loro i
patti de la moneta promessa, offerendosi
di dare la signoria di Lucca e 'l castello
libero
a'
Fiorentini, pagando le masnade di loro
gaggi sostenuti
ch'era lo stimo e loro
domanda intorno di
LXXXm
fiorini d'oro, e promettendo di perdonare e di lasciare
i figliuoli di
Castruccio in alcuno stato
cittadinesco,
e non signori. Di ciò si tennono molti e più
consigli
in
Firenze; e come la 'nvidia che guasta ogni bene,
overo ch'ancora non fosse tempo di nostro felice
stato, overo che paresse loro ben fare, contastatori
ebbe in
Firenze assai. Principale fu messer Simone
de la Tosa contrario per
setta, e per lignaggio
consorto
di messer Pino, e più suoi seguaci grandi e popolani,
mostrando con belle
ragioni e
colorate la
confidanza di messer Marco e de' Tedeschi istati nostri
contrarii e nimici, e come non era onore
del Comune
di
Firenze
a perdonare
a' figliuoli di
Castruccio
di tante offese ricevute dal padre; e così il benificio
trattato per lo Comune di
Firenze d'avere la signoria
di Lucca, per invidia cittadina rimase, e presesi
il peggiore con grande interesso e
dammaggio
del nostro Comune, come innanzi per lo tempo faremo
menzione.
L. 11, cap. 129 rubr.Come fu fatta pace tra' Fiorentini e' Pistolesi.
L. 11, cap. 129Per la detta
mutazione di Lucca i Ghibellini caporali
che teneano la
città di Pistoia, ciò erano, come
dicemmo adietro,
Panciatichi, e
Muli, e
Gualfreducci,
e
Vergiolesi, i quali erano contradi e nimici di
messer
Filippo
Tedici e de' suoi, e sospetti de' figliuoli
di
Castruccio e loro seguaci per lo parentado
di messer
Filippo, conoscendo che bene non poteano
tenere la
città di Pistoia sanza grande
pericolo, se
non si facessono amici de' Fiorentini, per la qual cosa
feciono cercare trattato di pace col Comune di
Firenze,
del quale trattato fu
menatore e fattore messer
Francesco di messer
Pazzino de' Pazzi, però ch'avea
parentado co'
Panciatichi
del lato guelfo, onde degli
altri
Panciatichi si fidarono con gli altri loro seguaci
ch'erano signori di Pistoia: lo quale trattato ebbe tosto
buono compimento, però che facea così bene per
gli Fiorentini come per gli
Pistolesi, e dievisi fine
a dì
XXIIII di maggio
MCCCXXVIIII, in questo modo: che'
Pistolesi renderono
a' Fiorentini Montemurlo, pagando
XIIc di fiorini d'oro
a le masnade che v'erano
dentro, e
quetarono in perpetuo
a' Fiorentini
Carmignano
e
Artimino e
Vitolino e più altre terre
del
monte di sotto, le quali aveano prese e teneano i Fiorentini;
e
promisono di rimettere tutti i Guelfi in Pistoia
infra certo tempo, salvo i
Tedici, e
raccomunare
gli ufici co' Guelfi, e d'avere gli amici per amici e'
nimici per nimici
del Comune di
Firenze. E per pegno
diedono
a' Fiorentini la guardia de la rocca di
Tizzano, la quale rimessa de' Guelfi
oservarono in
prima che 'l
termine ordinato; e vollono che' Fiorentini
avessono la guardia della
città di Pistoia, e vi tenessono
uno capitano popolano di
Firenze con gente
d'arme; e così fu fatto. E' Fiorentini per più fermezza
di pace feciono fare per sindaco di Comune, che
fu messer Iacopo Strozzi, cavalieri
due de'
Panciatichi,
e uno de'
Muli, e uno de'
Gualfreducci, e donarono
loro
MM fiorini d'oro, e feciono in Pistoia
XXXVI
cavallate
al soldo de' Fiorentini. E' detti Ghibellini
di Pistoia feciono ordine che s'abbattesse ogni insegna
d'
aguglia e di Bavero e di
Castruccio e di parte
ghibellina, e feciono per sopransegna
a lloro
bandiere
i nicchi dell'oro sa Jacopo. Di questa pace si fece
gran festa in Pistoia d'armeggiare e d'altri giuochi, e
ancora in
Firenze il dì dell'Ascensione apresso si feciono
ne la piazza di Santa
Croce ricche e belle giostre,
tenendosi tavola ferma per
III dì per
VI cavalieri,
dando giostra
a ogni maniera di gente
a cavallo,
perdere e guadagnare, ov'ebbe di molto belli
colpi e
d'abattere di cavalieri, e
al continuo v'era pieno di
belle donne
a'
balconi, e di molto buona gente.
L. 11, cap. 130 rubr.Come il legato di Lombardia fece fare oste sopra
Parma, Reggio e Modana, e come feciono le sue comandamenta.
L. 11, cap. 130Nel detto anno, a l'uscita di maggio, il legato del
papa di Lombardia, ch'era in Bologna, fece fare oste
sopra la città di Parma e quella di Reggio di più di
MM cavalieri e popolo assai, perché s'erano rubellati
a la Chiesa e non voleano ubbidire il legato. Poi per
certo trattato in corte col papa di dissimulata pace
Parma e Reggio feciono le comandamenta a dì XXV
di giugno, mettendovi il legato suoi rettori e uficiali
con poca gente, sì che la signoria e forza de le dette
terre si rimase pure a' signori di quelle. E ciò fatto, a
dì V di luglio vegnente la detta oste de la Chiesa venne
sopra la città di Modana, per la qual cosa, come
avea fatto Parma e Reggio, e in quella forma, i Modanesi
s'arrenderono al legato.
L. 11, cap. 131 rubr.Come il legato di Toscana co' Romani fece oste sopra
Viterbo.
L. 11, cap. 131In quello medesimo tempo il legato di
Toscana, il
quale era
a
Roma, fece co' Romani e con altro suo
podere oste sopra la
città di Viterbo, perch'era ribella
a' Romani e
a la Chiesa, e
signoreggiavasi per tiranno,
e quella guastarono intorno, e presono più
castella de le loro, ma la
città non poterono
avere.
L. 11, cap. 132 rubr.Come i Pisani cacciarono di Pisa il vicaro del Bavero
e le sue masnade.
L. 11, cap. 132Nel detto
anno,
del mese di giugno, i Pisani sentendo
che 'l Bavero era rimaso in Lombardia per
non tornare
al presente in
Toscana, e dispiacendo loro
la sua signoria, e ancora per le
novità e
mutazioni
de la
città di Lucca, sì ordinarono col
conte
Fazio il
giovane di cacciare il vicario
del Bavero, ch'era messer
Tarlatino di quegli da Pietramala d'
Arezzo, e tutti
i suoi uficiali, e feciono venire in
Pisa da la
città di
Lucca messer Marco Visconti con certe masnade de'
cavalieri de la compagna
del Cerruglio nimici
del Bavero,
e uno sabato sera feciono levare la terra
a romore
e armare il popolo e' cavalieri di messer Marco,
e tutti trassono
a casa il
conte
Fazio, e
tagliarono
il ponte
a la Spina, e misono fuoco nel ponte nuovo,
e armarono e
barrarono il ponte vecchio ch'è sotto le
case
del
conte, acciò che le masnade
del Bavero le
quali erano in
Pisa
a petizione
del suo vicario non
potessono passare né correre il quartiere di
Quinzica
dov'era il
conte co la forza sua e
del popolo. La
domenica
mattina vegnente, dì
XVIII di giugno, cresciuta
la forza
del
conte e
del popolo, e volendo passare
il ponte vecchio per assalire e combattere il vicario
al
palagio, egli veggendosi mal parato
a tanta forza, si
partì con sua famiglia di
Pisa, e fu rubato il palagio
di tutti suo' arnesi; e poi riposato il romore, riformarono
la terra di loro podestà, e mandarne le masnade
del Bavero gran parte.
L. 11, cap. 133 rubr.Come messer Marco Visconti venne in Firenze per
certi trattati, e poi tornato in Milano fu morto da' fratelli
e nipote.
L. 11, cap. 133Rivolto lo stato di
Pisa per lo modo scritto nel
passato
capitolo, i Pisani e 'l
conte
Fazio providono
messer Marco Visconti
riccamente
del
servigio ricevuto
da llui. Il detto messer Marco non volle tornare
a Lucca, però ch'era in
gaggio per lo Bavero
a' cavalieri
del Cerruglio per loro soldi, come adietro facemmo
menzione;
cercò, e mandò
lettere
al Comune
di
Firenze che volea venire e passare per
Firenze per
andarsene in Lombardia con intendimento di parlare
a' priori e con
coloro che reggeano la
città cose utili
per potere avere la
città di Lucca. Fugli data licenzia
del venire
sicuramente; il quale venne in
Firenze
a dì
XXX di giugno nel detto
anno con
XXX a cavallo di
sua famiglia; da' Fiorentini fu veduto graziosamente
e fattogli onore assai, ed egli da ssé, mentre dimorò
in
Firenze,
al continuo mettea tavola,
convitando cavalieri
e buona gente, e fece nel palagio de' priori
l'obbedienza di santa Chiesa dinanzi
a' priori e
a l'altre
signorie e
del vescovo di
Firenze e di quello di
Fiesole e di quello di Spuleto, ch'era Fiorentino, e
dinanzi
a lo 'nquisitore e di certi legati che erano in
Firenze per lo papa. E
promise d'andare
a la misericordia
del legato di Lombardia e poi
al papa, e d'essere
sempre figliuolo e difenditore di santa Chiesa.
In
Firenze tenne trattato co' cavalieri dal Cerruglio
che teneano il castello di Lucca di dare
al Comune di
Firenze il detto castello e tutta la
città,
dando loro
LXXXm fiorini d'oro; e de' maggiori caporali e conastaboli
vennono in
Firenze per lo detto trattato,
profferendo di dare per
sicurtà molti di loro caporali
per
istadichi per oservare la
promessa. In
Firenze se
ne tennono più
consigli, e gli più s'accordarono
al
trattato, e spezialmente la comune gente e quegli de
la
setta di messer Pino de la Tosa, il quale, come dicemmo
adietro, avea
menato il trattato di fare torre
Lucca
a messer Marco e
a' cavalieri dal Cerruglio.
L'altra
setta, ond'era caporale messer Simone de la
Tosa suo
consorto, per invidia, o forse perché per loro
non era mosso il detto trattato e non aspettavano
l'onore, o forse utole, s'oppuose contro, mostrando
più
dubitazioni e
pericoli, come si poteano perdere i
danari, e la gente si mettesse per gli Fiorentini
a la
guardia
del castello dell'Agosta. E così per
mala concordia
de' nostri non
diritti cittadini
a la republica
rimase il trattato, e messer Marco si partì di
Firenze
a dì
XXVIIII di luglio, e furongli
donati per lo Comune
di
Firenze
M fiorini d'oro per aiuto
a le sue spese.
Il detto messer Marco se n'andò
a Milano, e da' suoi
cittadini fu ricevuto
a grande onore, e avea da' Milanesi
grande séguito, maggiore che neuno de' suoi
fratelli, o che messer
Azzo Visconti suo nipote, ch'era
signore di Milano. Per la qual cosa montò la 'nvidia
e la gelosia che messer Marco non togliesse la signoria
a messer
Azzo per gli trattati fatti in
Firenze
co' Guelfi, e forse messere Marco per tornare in grazie
del papa ed esser signore di Milano, che 'l potea
e n'avea per aventura la 'ntenzione guardando suo
tempo. Avenne che
a dì
IIII di settembre nel detto
anno, fatto messer
Azzo uno grande
convito ove fu
messer Marco e messer
Luchino e messer
Giovannino
Visconti suoi zii, e altri de' Visconti e più buona
gente di Milano, compiuto il mangiare, e partendosi
messer Marco e l'altra buona gente, fu fatto chiamare
per parte di messer
Azzo che tornasse
al palazzo,
che volea egli e' frategli parlare co· llui
al segreto. Il
detto messer Marco non prendendosi guardia, e non
avendo arme, andò
a lloro, e
entrato co· lloro in una
camera, come i traditori
caini aveano ordinato, co· lloro
masnadieri armati uscirono adosso
a messer
Marco, e sanza fedirlo il presono e
strangolarlo, sì
ch'afogò, e morto il gittarono da le finestre
del palazzo
in terra. Di questa
disonesta
morte di messer
Marco i Milanesi per comune ne furono molto turbati,
ma nullo n'osò parlare per paura. Questo messer
Marco fu bello cavaliere e grande della persona,
fiero e ardito, e
prode in arme, e bene
aventuroso in
battaglia più che niuno Lombardo
a' suoi dì; savio
non fu troppo, ma se fosse vivuto, avrebbe fatto di
grandi
novitadi in Milano e in Lombardia.
L. 11, cap. 134 rubr.
Come le castella di Valdinievole feciono pace e accordo
co' Fiorentini.
L. 11, cap. 134Nel detto anno la lega delle castella di Valdinievole,
come sono Montecatini, Pescia, Buggiano, Uzzano,
il Colle, il Cozzile, e Massa, e Montesommano, e
Montevettolino, veggendo il male stato di Lucca, e
come i Pistolesi s'erano pacificati co' Fiorentini, e seguivane
loro utile e bene, e per consiglio di loro amici
ghibellini di Pistoia, spezialmente de' cavalieri novelli
fatti per lo Comune di Firenze, e per posarsi in
pacefico stato de le loro lunghe guerre e pericoli passati,
cercavano pace co' Fiorentini, e compiési a dì
XXI di giugno del detto anno, perdonando e dimettendo
il Comune di Firenze ogni offesa ricevuta da lloro
ne la guerra castruccina, e eglino promisono a'
Fiorentini d'avere gli amici per amici e' nimici per
nimici, e feciono lega co' Fiorentini, e vollono un capitano
di Firenze.
L. 11, cap. 135 rubr.Come i Pisani trattarono di comperare Lucca, e come
la gente de' Fiorentini cavalcarono in su le porte di
Pisa, e come si fece pace tra Fiorentini e' Pisani
L. 11, cap. 135Nel detto
anno,
a l'
entrata
del mese di luglio, i Pisani
sentendo i trattati menati per messer Marco Visconti
co' Fiorentini e' cavalieri tedeschi
del Cerruglio
che teneano Lucca, per tema ch'
a' Fiorentini
non
crescesse la forza e 'l podere avendo Lucca, e
tornarla
a parte guelfa, e non fossono loro più presso
vicini, sì s'
intraversarono, e cercarono co' detti Tedeschi
il detto trattato d'avere Lucca per
LXm fiorini
d'oro. E fatto il
patto, diedono caparra
XIIIm fiorini
d'oro, i quali si perderono per la
fretta che ebbono:
non ne presono
stadichi né cautela; e ciò avenne per
le varie
novità e
mutazioni ch'avennono poi in Lucca.
Per la qual cosa
sentendolo i Fiorentini, di ciò
molto
crucciati feciono cavalcare sopra i Pisani messer
Beltramone
del Balzo maliscalco de la gente
del
re Ruberto, ch'era in Sa·
Miniato co le masnade de'
soldati de' Fiorentini, in quantità di più di
M a cavallo
e gente
a piede assai, e corsono infino
al borgo di
San Marco di
Pisa, e infino
a l'
antiporto sanza contasto
niuno, ardendo e guastando,
menandone grande
preda di pregioni, di bestie e d'arnesi. E poi si volsono
per Valdera
rubando e ardendo ciò che si trovarono
innanzi; e ebbono per forza combattendo il castello
di
Pratiglione e quello di Camporena, che 'l tenevano
i Pisani, e
feciollo disfare. I Pisani veggendosi
così apressati da' Fiorentini, e eransi rubellati dal
Bavero, e essendo in assai male stato, cercarono pace
co' Fiorentini. I Fiorentini l'asentirono per potere
meglio fornire la
guerra di Lucca, e compiési la detta
pace
a Montetopoli per gli nostri e loro sindachi e
ambasciadori,
a dì
XII del mese d'
agosto
del detto
anno, con
patti e franchigie de la pace vecchia, e
ch'eglino sarebbono nimici
del Bavero e di chiunque
fosse nimico de' Fiorentini. Il settembre seguente
certi Ghibellini di
Pisa, dispiacendo la pace fatta
co' Fiorentini, cercarono con quegli di Lucca di tradire
Pisa; ma fu scoperto il
tradimento, e certi ne furono
presi e guasti, e molti ne furono fatti rubelli e
isbanditi.
L. 11, cap. 136 rubr.Come i Fiorentini ripresono il contado d'Ampinana,
che 'l tenea il conte Ugo.
L. 11, cap. 136Nel detto anno, a dì XV di luglio, i Fiorentini mandarono
di loro masnade in Mugello e feciono riprendere i popoli e
contado del castello che fue d'Ampinana, il quale s'avea
ripreso il conte Ugo da Battifolle per lo modo detto adietro
al tempo della sconfitta d'Altopascio.
L. 11, cap. 137 rubr.Come si rubellò il castello di Montecatini da la lega
de' Fiorentini.
L. 11, cap. 137Nel detto
anno,
a dì
XVII di luglio, gli amici ghibellini
de' figliuoli di
Castruccio i quali erano in
Montecatini,
coll'aiuto delle masnade de' Lucchesi
ch'erano in Altopascio, rubellarono la terra da l'accordo
de la lega, e cacciarne fuori i Guelfi, e
fornissi
per gli Lucchesi. Per la qual cosa le masnade de' Fiorentini
cavalcarono in Valdinievole, e presono e arsono
il borgo di Montecatini, e rimasevi per capitano
messer Amerigo
Donati per gli Fiorentini, con gente
d'arme
a cavallo e
a piede assai
a la guardia di
Buggiano
e dell'altre terre della lega di Valdinievole, e
per fare
guerra
a Montecatini. E in questa stanza da
XII caporali e grandi Ghibellini
del castello di
Montevettolino
andarono segretamente in Montecatini
per ordinare di rubellare
Montevettolino. E
ispiandolo
messer Amerigo,
a l'uscita che feciono
del castello
gli fece prendere, e per la loro
presura ebbe il
castello di
Montevettolino in signoria per lo Comune
di
Firenze, che innanzi non vi lasciavano
entrare
dentro le loro masnade. E infino allora si cominciò
l'assedio di Montecatini per gli Fiorentini, non perciò
stretto, come seguirono poi, come innanzi si farà
menzione; ma erano le loro guernigioni di gente
a
cavallo e
a piede ne le castella d'intorno, e non vi potea
entrare vittuaglia se non di furto, o con grossa
scorta.
L. 11, cap. 138 rubr.Come messer Cane della Scala ebbe la città di Trevigi,
e incontanente di malatia vi morì.
L. 11, cap. 138Nel detto
anno,
a dì
IIII di luglio, messer Cane
della Scala di Verona andò
ad oste sopra la
città di
Trevigi con tutto suo podere, e furono più di
MM cavalieri
e popolo grandissimo, la quale
città di Trevigi
era in comunità, ma il maggiore n'era l'
avogaro di
Trevigi:
al quale assedio stette
XV dì, e poi l'ebbe liberamente
a
patti, salvi tutti avere e persone,
ciascuno
in suo grado. E
a dì
XVIII del detto mese v'
entrò
messer Cane
colla sua gente con grande festa e trionfo,
e fu adempiuta la
profezia di maestro Michele
Scotto, che disse che 'l Cane di Verona sarebbe signore
di Padova e di tutta la Marca di Trivigi. Ma
come piacque
a Dio, e le più volte
pare ch'avegna
per lo piacere di Dio e per mostrare la sua
potenzia,
e perché niuno si
fidi in niuna felicitade umana, che
dopo la grande allegrezza di messer Cane, adempiuti
gli suoi intendimenti, venne il grande dolore, che
giunto lui in Trevigi, e
mangiato in tanta festa, incontanente
cadde malato, e il dì de la Maddalena, dì
XXII di luglio, morì in Trevigi, e fune portato morto
a soppellire
a Verona, e di lui non rimase né figlio né
figlia
legittimo, altro che
due bastardi, i quali poi da'
loro zii frategli di messer Cane perché non
regnassono
furono
scacciati, e alcuno di loro fatto morire. E
nota che questi fu il maggiore tiranno e 'l più possente
e ricco che fosse in Lombardia da
Azzolino di
Romano infino allora, e chi
dice di più; e nella sua
maggiore gloria venne meno de la vita e di sue rede,
e rimasono signori appresso lui messer Alberto e
messer Mastino suoi nipoti.
L. 11, cap. 139 rubr.Come il legato di Lombardia ebbe la città di Faenza
a patti.
L. 11, cap. 139Nel detto
anno,
a dì
VI di luglio, il legato di Lombardia
da Bologna mandò grande oste sopra la
città
di
Faenza, la quale aveva rubellata e tenea
Alberghettino
di Francesco Manfredi, e stettevi
all'assedio
XXV dì.
A la fine per
consiglio
del padre e di messer
Ricciardo suo fratello, ch'erano di fuori col legato,
s'
arrendé
a
patti con grandi
impromesse
al detto
Alberghettino
l'ultimo dì di luglio, e
Alberghettino ne
venne
a Bologna
al legato, e
fecelo di sua famiglia, e
dandogli robe e
gaggi con sua compagnia, mostrandogli
grande amore.
A dì
XXV del detto mese di luglio
essendo l'oste de la Chiesa sopra
Mattelica ne la
Marca, da' Ghibellini e ribelli de la Chiesa furono
sconfitti.
L. 11, cap. 140 rubr.Come la città di Parma, e di Modana, e di Reggio si
rubellarono al legato.
L. 11, cap. 140Nel detto
anno,
a dì
XV d'
agosto, avendo il legato
di Lombardia fatti venire in Bologna i figliuoli di
messer
Ghiberto da Coreggio e Orlando de' Rossi
sotto sua
confidanza (il quale Orlando era stato signore
di Parma), per tema non gli facesse rubellare
la terra, sotto protesto ch'egli non volea far pace co'
detti figliuoli di messer
Ghiberto, il ritenne in Bologna,
e
fecelo mettere in pregione. Per la qual cosa i
fratelli e'
consorti
del detto Orlando col popolo della
città, che l'amava molto, rubellarono
al legato e
a la
Chiesa la
città di Parma, e presono tutti gli uficiali
del legato e quanta di sua gente v'avea. E per simile
modo si rubellò la
città di Reggio e quella di Modana,
temendo di loro, e
ispiaccendo lo 'nganno e
tradimento
fatto
al detto Orlando sotto la detta
confidanza.
L. 11, cap. 141 rubr.Ancora come i Tedeschi ch'erano in Lucca vollono
venderla per danari a' Fiorentini, e no· lla seppono
prendere.
L. 11, cap. 141Ne' detti tempi, essendo la
città di Lucca in grande
variazione e in male stato e sanza nullo ordine di
signoria o
reggimento, se non
al corso de' conastaboli
de' Tedeschi dal Cerruglio che se n'erano signori e
guidavallasi come preda guadagnata, i quali Tedeschi
tennono con più genti e Comuni e signori d'intorno
trattati per avere danari e dare la signoria di
Lucca, vedendo che per loro no· lla poteano bene tenere,
e ancora ne richiesono da capo il Comune di
Firenze, il quale, come detto è adietro nel
capitolo
del trattato che ne fece messer Marco Visconti di
Milano, per le
'nvidie de' cittadini non s'ebbe ancora
per gli rettori
del Comune di
Firenze di ciò concordia.
Ma certi valenti e ricchi cittadini di
Firenze la
vollono
comperare per lo Comune
LXXXm fiorini d'oro
per loro
vantaggio, e
credendone fare
al Comune
di
Firenze grande onore e grande loro guadagno, e
fornire le spese, rimanendo in loro mano le gabelle e
l'
entrate di Lucca con certo ordine e
patti. E
a cciò
teneano co· lloro i mercatanti usciti di Lucca, e
metteanvi
Xm fiorini d'oro, e voleano che 'l Comune di
Firenze vi mettesse innanzi solamente
XIIIIm fiorini
d'oro, e prendesse la guardia
del castello de l'Agosta
con
XX i maggiori e migliori conastaboli per
istadichi
per oservare i
patti; e gli primi danari si ritraessono
fossono quegli
del Comune di
Firenze, e tutti gli altri
insino
LVIm di fiorini d'oro metteano di loro volontà
singulari cittadini di
Firenze. E di ciò potemo rendere
piena fede noi autore, però che fummo di quegli.
Ma la
guercia e disleale sempre invidia de' cittadini
di
Firenze, e
massimamente di
coloro ch'erano
al governamento
de la
città,
nol vollono aconsentire,
dando
scusa di falsa ipocresia, dicendo come oppuosono
l'altra volta sotto
colore d'onesta, che
fama correa
per l'universo
mondo che i Fiorentini per
covidigia
di guadagno di moneta hanno comperata la
città di
Lucca. Ma
al nostro parere, e di più savi che poi
l'hanno
disaminata quistionando, che compensando
le sconfitte e'
danni ricevuti e
ispendii fatti per lo
Comune di
Firenze per cagione de' Lucchesi per la
guerra
castruccina, niuna più alta vendetta si potea
fare per gli Fiorentini, né maggiore laude e gloriosa
fama potea andare per lo
mondo che potersi dire: i
mercatanti e'
singulari cittadini di
Firenze
colla loro
pecunia hanno comperata Lucca, e gli suoi cittadini
e contadini, stati loro nimici, come servi. Ma
a cui
Idio vuole male gli toglie il senno, e non gli lascia
prendere i buoni partiti; o forse, o sanza forse, ancora
non erano purgati i peccati, né
domata la superbia
né l'usure, e'
maliabrati guadagni de' Fiorentini, per
fare loro spendere e consumare in
guerra seguendo
la
discordia co' Lucchesi, che per ogniuno
danaio
che Lucca si comperava,
C o più, ma dire potremmo
infiniti, spesi poi per gli Fiorentini ne la detta
guerra,
come innanzi leggendo faremo per gli tempi menzione;
che si potea co la sopradetta prestanza di moneta,
e non ispesa né perduta, fare così onorata e alta
vendetta de' Lucchesi, avendogli comperati come
servi, e sopra servi i loro beni, e alle loro spese, e sotto
il nostro giogo rendere loro pace e perdonare, e
fargli liberi e compagni, come per l'antico soleano
essere co' Fiorentini.
L. 11, cap. 142 rubr.Come messer Gherardino Spinoli di Genova ebbe
poi per danari la signoria della città di Lucca.
L. 11, cap. 142Essendo rotto il detto trattato da' Tedeschi di
Lucca
a' Fiorentini, però che' rettori
del Comune di
Firenze non lasciarono ciò compiere, come nel passato
capitolo è fatta menzione, ma minacciaro chiunque
se ne travagliasse, e alcuno ch'avea
menato il
trattato fatto mettere in carcere; messer
Gherardino
degli
Spinoli di
Genova s'accordò co' detti Tedeschi,
e
dando loro
XXXm fiorini d'oro, e ritenendone alquanti
di loro, chi volle co· llui rimanere
a' suoi
gaggi;
li diedono la
città di Lucca e
feciolne signore, il
quale vigorosamente la prese:
a dì
II di settembre
del
detto
anno venne in Lucca, e ebbe la signoria de la
città libera e sanza nullo contasto; e poi
ordinò le
sue masnade, e richiese i Fiorentini di pace o di triegua,
i quali nulla ne vollono intendere, anzi feciono
rubellare il castello di Collodi presso di Lucca
a l'
entrante
d'ottobre, il quale messer
Gherardino co la cavalleria
sua e popolo di Lucca vennono
a l'assedio
del detto Collodi, il quale, non soccorso
a tempo da'
Fiorentini, com'era promesso, s'
arendero
a messer
Gherardino e
al Comune di Lucca,
a dì
XX del detto
mese d'ottobre, con poco onore de' Fiorentini. Onde
in
Firenze ebbe molti
ripitii e biasimi dati
a
coloro
che non aveano
lasciato prendere l'accordo co' Tedeschi,
né saputo fare la
guerra e impresa cominciata;
e 'l detto messer
Gherardino, avuto il castello di
Collodi, con ogni sollecitudine procacciò di raunare
moneta, e d'avere gente d'arme per levare i Fiorentini
dall'assedio, il quale già aveano cominciato e posto
al castello di Montecatini in Valdinievole.
L. 11, cap. 143 rubr.Come i Melanesi e' Pisani si riconciliarono col papa
e co la Chiesa, e furono ricomunicati per l'offese fatte
per lo Bavero e antipapa.
L. 11, cap. 143
Del mese di settembre
del detto
anno apo la
città
di
Vignone, ov'era la
corte di
Roma, i Milanesi e
messer
Azzo Visconti che n'era signore furono
riconciliati
e
ricomunicati da papa Giovanni, e con
patti
ordinati co· lloro ambasciadori si rimisono de l'offese
fatte
a la Chiesa nel detto papa; e messer Giovanni
figliuolo che fu di messer
Maffeo Visconti, il quale il
Bavero avea fatto fare cardinale
al suo antipapa, come
adietro fu fatta menzione, sì rinunziò
al detto
cardinalato; e 'l papa il fece vescovo di
Noara, e levò
lo 'nterdetto di Milano e
del
contado. E per simile
modo il detto papa
riconciliò e assolvette i Pisani,
però ch'eglino aveano tanto
adoperato col
conte
Fazio
da
Doneratico loro grande cittadino, il quale
avea in guardia, come gli avea
lasciato segretamente
il Bavero quando si partì di
Pisa, il suo antipapa in
uno suo castello in Maremma, il quale antipapa da'
detti fu ingannato e tradito, e poi mandato preso
a
Vignone
a papa Giovanni, come innanzi faremo
menzione. E fatta per gli ambasciadori de' Pisani
ch'erano
a
corte la detta
convegna con grandi
vantaggi
del detto
conte
Fazio, che 'l papa gli donò il castello
di
Montemassi, ch'era dell'arcivescovado, e altri
ricchi
doni e benifici
ecclesiastichi, e così
ad altri
grandi cittadini di
Pisa che seguirono la 'mpresa, e
fattine assai cavalieri
papali con ricchi
doni. E tornati
i detti ambasciadori in
Pisa, il gennaio appresso si
publicò in
Pisa il trattato e l'accordo, e in pieno
parlamento,
e in mano d'uno legato
cherico oltramontano
mandato per lo papa, tutti i Pisani giurarono nella
chiesa maggiore d'essere sempre ubbidenti e fedeli
di santa Chiesa e nimici
del Bavero e d'ogn'altro signore
che venisse in Italia sanza la volontà della
Chiesa.
L. 11, cap. 144 rubr.Come il legato di Toscana ebbe Viterbo, e mise in
pace tutto il Patrimonio, e simile la Marca.
L. 11, cap. 144Nel detto
anno e mese di settembre
Salvestro de'
Gatti, il quale tenea per tirannia la signoria de la
città
di Viterbo, e contra la Chiesa, fu
a
tradimento
morto in Viterbo da uno figliuolo
del prefetto, e
corse
la terra e ridussela
a l'obedienza della Chiesa. E
poi
a l'
entrante di novembre vegnente messer
Gianni
Guatani degli
Orsini cardinale e legato in
Toscana
venne
a Viterbo, e fece riformare la
città e tutte le
terre
del
Patrimonio in pace e in buono stato sotto la
signoria de la Chiesa. E in questo tempo medesimo
tutte le terre de la Marca si
pacificarono e tornaro
a
l'ubbidenza di santa Chiesa, rimanendo le parti de le
terre
ciascuna in suo stato.
L. 11, cap. 145 rubr.Come il Bavero raunò sua gente in Parma credendosi
avere la città di Bologna, e poi come si partì d'Italia
e andonne in Alamagna.
L. 11, cap. 145Nel detto
anno,
a l'
entrante
del mese d'ottobre, il
Bavero che si tenea imperadore, il quale era
a la
città
di Pavia, venne
a Chermona, e poi
a dì
XVII di novembre
venne
a Parma, e là si trovò con cavalieri che
gli mandò il vicario suo da Lucca, con più di
MM cavalieri
oltramontani, con intendimento d'avere la
città
di Bologna, e di
torla
al legato
del papa messer
Beltrando dal Poggetto che v'era dentro per la Chiesa.
E ciò si cercava per certo trattato fatto per certi
Bolognesi e altri; il quale trattato fu scoperto, e fatta
giustizia di certi traditori, come innanzi nel seguente
capitolo si farà menzione. E vedendo il detto Bavero
che 'l suo proponimento non gli era venuto fatto,
a
dì
VIIII di dicembre seguente si partì di Parma con
ambasciadori de' maggiori caporali di Parma e di
Reggio e di Modana, e
andonne
a Trento per parlamentare
con certi baroni de la Magna e co' tiranni e
signori di Lombardia, per ordinare
al primo tempo
d'avere
nuova gente e forte braccio per venire sopra
la
città di Bologna, e per torre il
contado di
Romagna
a la Chiesa. E stando
al detto
parlamento, ebbe
novelle de la Magna com'era morto il
dogio d'
Osterichi,
eletto che fu
a re de la Magna e istato suo aversario,
incontanente lasciò tutto il suo
esordio d'Italia
e
andonne in Alamagna, e poi non passò di qua da'
monti.
L. 11, cap. 146 rubr.Come la città di Bologna volle essere tradita e tolta
al legato cardinale per lo Bavero.
L. 11, cap. 146Nel detto
anno,
del mese d'ottobre,
cospirazione
fu fatta nella
città di Bologna per
torla e
rubellarla
al
detto legato cardinale, che dentro v'era per la Chiesa;
e
a cciò era capo
Ettor de'
conti da Panigo con
ordine de' Rossi da Parma, perché 'l detto legato tenea
in pregione Orlando Rosso per lo modo che dicemmo
adietro. E
a questo trattato teneano l'arciprete
di Bologna de la casa de'
Galluzzi, e messer
Guido
Sabatini, e più altri grandi e popolari di Bologna,
dispiacendo loro la signoria
del legato. E co· lloro tenea
mano
Alberghettino de' Manfredi, il qual'era per
lo legato levato di sua signoria di
Faenza, e tenealo
in Bologna intorno di sé
a' suoi
gaggi. E era l'ordine
che 'l Bavero detto imperadore, il quale era venuto
da Pavia
a Parma
colle sue forze, come nel
capitolo
dinanzi dicemmo,
dovea venire
a Modana e fare cavalcare
parte di sua gente in
Romagna; per la qual
cavalcata con ordine
del detto
Alberghettino
doveano
fare rubellare
Faenza e
mettervi la detta cavalleria;
e come le masnade della Chiesa per la detta venuta
del Bavero e cavalcata di sua gente fossono
uscite di Bologna per andare
a le
frontiere, come per
lo legato era ordinato, si
dovea levare la
città di Bologna
a romore per quegli caporali che guidavano il
trattato, e loro seguaci; e il detto
Ettor da Panigo
con
Guidinello da
Montecuccheri con grande quantità
di fanti e
masnadieri
a piè
doveano
al giorno nomato
venire dalle montagne in Bologna con quegli
cittadini ch'aveano fatta la congiura, e con loro séguito,
ch'erano molti, cacciarne i· legato e sua gente,
e
mettervi dentro il Bavero co le sue genti. La quale
congiurazione fu scoperta segretamente
al legato per
alcuno seguace de' congiurati,
credendosene valere
di meglio; per la qual cosa il legato fece pigliare il
detto
Alberghettino, e l'arciprete de'
Galluzzi, e 'l
detto messer
Guido, e
Nanni de'
Dotti cognato d'
Ettor
da
Panago, e più altri grandi cittadini e popolani
di Bologna. Ma il detto
Ettor non
poté avere, perché
già era
a la montagna
a raunare suo isforzo. E
disaminata
la detta congiura, e confessata per gli detti
traditori, il legato trovò che la congiura era sì grossa,
e tanti e tali cittadini di Bologna vi teneano mano,
ch'egli non s'
ardia
a farne fare giustizia, con tutta la
forza delle sue masnade,
dubitando forte che la
città
di Bologna non si levasse
a furore contra lui; e bisognavagli
bene, avendo così di presso il Bavero e le
sue forze. Per la qual cosa il legato mandò per aiuto
di gente
al Comune di
Firenze perché fossono
a la
sua guardia; i quali Fiorentini gli mandarono di presente
CCC cavalieri de le migliori masnade ch'avessono,
e
IIIIc balestrieri tutti
soprasegnati di
soprasberghe,
il campo bianco e 'l giglio
vermiglio, molto
bella
e buona gente, de' quali avea la 'nsegna
del Comune
di
Firenze messer Giovanni di messere Rosso de la
Tosa. E come la detta gente fu venuta in Bologna, il
legato fu rassicurato e forte, e
al terzo dì fece
al suo
maliscalco, armata tutta sua gente e quella de' Fiorentini,
in su la piazza di Bologna mozzare il capo
a'
sopradetti presi caporali de la congiura, salvo che
l'arciprete, perch'era sacro, fece morire d'inopia inn
orribile carcere. E di queste cose io
posso rendere
testimonio, ch'io era allora in Bologna per ambasciadore
del nostro Comune
al legato. E se non fosse il
soccorso che 'l nostro Comune vi mandò così sùbito,
la
città di Bologna era perduta per la Chiesa, e prendea
stato d'imperio e ghibellino; e il legato e sua
gente in
pericolo di
morte, o d'
esserne cacciati, sì era
la terra in grande gelosia, e pregna di male talento
contra il legato e sua gente: e per cagione di ciò ritenne
il legato più mesi la detta gente de' Fiorentini
al suo
servigio e guardia
a'
gaggi de' Fiorentini; ma
male fu gradito per lo legato sì fatto e tale
servigio
de' Fiorentini, come innanzi si potrà vedere, ove
tratteremo de' suoi processi.
L. 11, cap. 147 rubr.Come i Pistolesi diedono il loro castello di Serravalle
in guardia al Comune di Firenze.
L. 11, cap. 147Nel detto
anno,
a dì
XI di novembre, il Comune di
Pistoia diedono in guardia il loro caro e forte castello
di Serravalle
al Comune di
Firenze per tre
anni liberamente;
e ciò fu
procaccio de'
Panciatichi, e de'
Muli, e de'
Gualfreducci, e
Vergiolesi, con anche case
ghibelline, i quali amavano pace co' Fiorentini e
buono stato de la loro
città, e furono quegli che prima
ordinarono la pace co' Fiorentini, e diedono loro
la terra di Pistoia
a guardia, come adietro facemmo
menzione. La quale
dazione di Serravalle fu molto
cara e
gradita per gli Fiorentini, e d'allora innanzi
parve loro stare
sicuri de la
città di Pistoia, però
ch'era e è gran fortezza, e quasi la chiave e porta
del
nostro piano e di quello di Pistoia; e ancora si può
dire la rocca di Pistoia è l'
entrata in Valdinievole, e
di quello potere difendere le nostre castella e
frontiere,
e
guerreggiare il
contado di Lucca. E poi più
tempo appresso stette sotto la guardia e signoria de'
Fiorentini con grande pace e buono stato de la
città
di Pistoia, e d'allora innanzi i Fiorentini cominciarono
a
strignere più l'assedio di Montecatini.
L. 11, cap. 148 rubr.Come i figliuoli di Castruccio vollono torre la città
di Lucca a messer Gherardino Spinoli.
L. 11, cap. 148Nel detto tempo per le feste di
Natale,
a dì
XXVII
di dicembre, i figliuoli di
Castruccio co· lloro amici e
colle masnade vecchie de' Tedeschi ch'erano stati
al
soldo e amici di
Castruccio
credettono torre la signoria
di Lucca
a messer
Gherardino; e con armata mano,
a cavallo e
a piè corsono la
città di Lucca gridando:
«Vivano i
duchini!», da la mattina infino
all'ora
di terza sanza contasto alcuno. Onde messer
Gherardino
temette forte, e se non fosse ch'egli era nel castello
de l'Agosta, egli perdeva la terra; ma rasicurato
per lo
conforto de' buoni uomini di Lucca ch'amavano
la sua signoria, s'afforzò e fece armare sua
gente, e apresso mangiare uscì de l'Agosta, e
corse la
città di Lucca infino
a sera gridando: «
Muoiano i
traditori e
viva messer
Gherardino!». Per la qual cosa
i figliuoli di
Castruccio e' caporali di loro seguaci
uscirono di Lucca e
andarsene
a lloro castella, e messer
Gherardino rimase signore, e molti Lucchesi de
la
setta
castruccina mandò
a'
confini, e cassò e cacciò
via le masnade vecchie, e
rinovossi di soldati tedeschi
di Lombardia; e molti de' suoi amici e
consorti
e
parenti fece venire da Saona in Lucca per
sicurtà di
lui. E per le dette
novità di Lucca i Fiorentini
crebbono
gente all'assedio di Montecatini, e
credettollo
avere con
poca fatica e per loro gagliardia, la qual
cosa venne allora manco il loro aviso; che
a dì
XVII di
febbraio alquanti dell'oste de' Fiorentini ch'erano allo
assedio di Montecatini, di notte tempore con iscale
e
difici di legname assalirono il castello e scalarono
le
mura, e parte di loro
entrarono dentro valentemente;
ma quegli de la terra erano sì forti e sì avisati,
e di guerresche masnade, che ruppono gli asalitori, e
quanti dentro n'erano
entrati rimasono presi e morti.
L. 11, cap. 149 rubr.
Come i Turchi e' Tartari sconfissono i Greci di Gostantinopoli.
L. 11, cap. 149Negli anni di Cristo MCCCXXX, essendo la forza e
oste dello 'mperadore di Gostantinopoli passato la
bocca d'Avida in su la Turchia per guerreggiare i
Turchi, i quali Turchi mandarono per aiuto a' Tartari
de la Turchia; e venuti con grande esercito assalirono
l'oste de' Cristiani e Greci, e misongli inn
isconfitta, e pochi ne scamparono che non fossono
presi o morti; e perderono tutta la terra di là dal
braccio San Giorgio, che poi non v'ebbono i Greci
nullo podere o signoria. E eziandio i detti Turchi
con loro legni armati corsono per mare, e presono e
rubarono più isole d'Arcipelago; per la qual cosa
molto abassò lo stato e podere dello 'mperadore di
Gostantinopoli. E poi continuamente ogn'anno feciono
loro armate, quando di Vc e VIIIc legni tra grossi
e sottili, e correano tutte l'isole d'Arcipelago rubandole
e consumandole, e menandone gli uomini e
le femmine per ischiavi, e molti ancora ne feciono loro
tributari.
L. 11, cap. 150 rubr.Come il re d'Inghilterra fece tagliare la testa al conte
di Cantibiera suo zio e il Mortimiere.
L. 11, cap. 150Nel detto
anno
MCCCXXX,
del mese di marzo, il
giovane
Adoardo re d'Inghilterra fece prendere il
conte di Cantibiera suo
zio, fratello carnale
del padre,
e
oppuosegli cagione ch'egli ordinava congiura
contra lui per
rubellargli l'isola d'Inghilterra e per
torgli la signoria, per la qual cosa gli fece mozzare la
testa; onde fu molto ripreso, e detto gli fece torto, e
che non era colpevole. Ben si trovò che 'l detto
conte
per
consiglio d'indovini
entrò in fantasia, e
feciollo
intendente che
Adoardo suo fratello, e ch'era stato
re d'Inghilterra e fatto morire, come adietro de' fatti
d'Inghilterra facemmo menzione,
dovea essere vivo e
sano; per la qual cosa il detto
conte suo fratello facea
cercare di ritrovarlo, e
mettevasene inchesta, ond'avea
molto sommosso il paese. E poi
del mese d'ottobre
vegnente fece cogliere cagione
al
Mortimiere, il
quale era stato governatore
del reame e della reina
sua madre, quand'ebbe la
guerra col
marito e co'
dispensieri,
opponendogli tradigione, e
fecelo
impiccare;
si disse sanza colpa. E tali sono i guidardoni
a chi
s'impaccia tra' signori, o ssi rivolge negli
innormi
peccati; che si dicea che 'l detto
Mortimiere si giacea
co la reina madre
del detto re; e d'allora innanzi il re
abassò molto la signoria e lo stato de la reina sua
madre.
L. 11, cap. 151 rubr.
Come i Fiorentini per loro ordini tolsono tutti gli
ornamenti a le loro donne.
L. 11, cap. 151Nel detto
anno, per calen d'
aprile, essendo le donne
di
Firenze molto trascorse in soperchi ornamenti
di corone e
ghirlande d'oro e d'argento, e di
perle e
pietre preziose, e reti e intrecciatoi di
perle, e altri
divisati ornamenti di testa di grande
costo, e simile
di vestiti intagliati di diversi panni e di
drappi rilevati
di
seta di più maniere, con fregi e di
perle e di bottoni
d'argento
dorato ispessi
a
quattro e
sei
fila
accoppiati
insieme, e
fibbiagli di
perle e di pietre preziose
al petto con diversi segni e
lettere; e per simile
modo si facevano disordinati
conviti per le nozze de
le
spose, ed altri con più soperchie e disordinate
vivande;
fu sopra cciò proveduto, e fatti per certi uficiali
certi ordini molto forti, che niuna donna non
potesse portare nulla corona né
ghirlanda né d'oro
né d'ariento né di
perle né di pietre né di
vetro né di
seta né di niuna
similitudine di corona né di
ghirlanda,
eziandio di carta dipinta, né rete né
trecciere di
nulla spezie se non semplici, né nullo vestimento intagliato
né dipinto con niuna figura, se non fosse tessuto,
né nullo addogato né traverso, se non semplice
partita di
due
colori; né nulla fregiatura né d'oro, né
d'ariento, né di
seta, né niuna pietra preziosa, né
eziandio ismalto, né
vetro; né potere portare più di
due anella in
dito, né nullo scaggiale né cintura di
più di
XII spranghe d'argento; e che d'allora innanzi
nulla si potesse vestire di sciamito, e quelle che ll'aveano
il
dovessono marcare, acciò ch'altra
nol potesse
fare; e tutti' vestiri di
drappi di
seta rilevati furono
tolti e difesi; e che nulla donna potesse portare panni
lunghi dietro più di
due braccia, né
iscollato di più
di braccia uno e quarto il capezzale; e per simile modo
furono difese le gonnelle e robe divisate
a' fanciulli
e fanciulle, e tutti' fregi, e eziandio
ermellini, se
non
a' cavalieri e
a loro donne; e
agli uomini tolto
ogni
ornamento e cintura d'argento, e'
giubbetti di
zendado o di
drappo o di
ciambellotto. E fu fatto ordine
che nullo
convito si potesse fare di più di tre
vivande,
e
a nozze avere più di
XX taglieri, e la sposa
menare
VI donne seco e non più; e
a
ccorredi di cavalieri
novegli più di
C taglieri di tre
vivande; e che
a
corte de' cavalieri
novelli non si potessono vestire
per donare robe
a' buffoni, che in prima assai se ne
donavano. Sopra i detti
capitoli feciono uficiale forestiere
a cercare e donne e uomini e fanciulli de le
dette cose divietate con grandi pene. Ancora feciono
ordine sopra tutte l'
arti in correggere loro ordini e
monipoli e posture, e che ogni carne e pesce si vendesse
a peso per certo pregio la libbra. Per gli quali
ordini la
città di
Firenze amendò molto delle disordinate
spese e ornamenti
a grande profitto de' cittadini,
ma
a grande
danno de' setaiuoli e orafi, che per
loro profitto ogni dì trovavano ornamenti
nuovi e diversi.
I quali divieti fatti, furono molto commendati
e lodati da tutti gl'Italiani; e se le donne usavano soperchi
ornamenti, furono recate
al convenevole; onde
forte si
dolfono, ma per li forti ordini tutte si rimasono
degli
oltraggi; ma per non potere avere panni
intagliati, vollono panni divisati e
istrangi, i più
ch'elle poteano avere,
mandandoli
a fare infino in
Fiandra e in Brabante, non guardando
a
costo; ma
però molto fu grande
vantaggio
a tutti i cittadini in
non fare le disordinate spese nelle loro donne e
conviti
e nozze, come prima faceano; e molto furono
commendati i detti ordini, però che furono utoli e
onesti; e quasi tutte le
città di
Toscana e molte altre
d'Italia mandarono
a
Firenze per
asempro de' detti
ordini, e
confermargli nelle loro
città.
L. 11, cap. 152 rubr.
Come messer Gherardino Spinola signore di Lucca
cavalcò con suo isforzo per fornire Montecatini, e nol
poté fornire.
L. 11, cap. 152Nel detto
anno,
a dì
XXIII d'
aprile,
Ispinetta de'
marchesi
Malispina venne di Lombardia in Lucca
con gente d'arme; per la qual cosa messer
Gherardino
Spinola signore di Lucca con sue masnade
a cavallo
e
a piè e col detto Spinetta cavalcarono per fornire
Montecatini, e presono la rocca
uzzanese, e
iv'
entro
due degli
Obizzi usciti di Lucca e
L fanti,
che co· lloro erano per lo Comune di
Firenze
a la
guardia di quella. Ma però non poterono fornire
Montecatini né appressarsi
ad esso, però che' Fiorentini
aveano afforzato l'assedio e fatte per loro fosse
e tagliate in verso la parte di Lucca, e volto in
quelle il fiume de la
Pescia e de la
Borra; e tornarsi
in Lucca con poco onore. E poi
a dì
II di maggio vegnente
il detto messer
Gherardino raunata più gente
e avuto da' Pisani aiuto, come sono usati per adietro,
con
VIc cavalieri e
IIIc balestrieri, fece ancora pugna
di fornire Montecatini, e venne con sue genti infino
a'
palizzati e oste de' Fiorentini, e di ciò gli avenne
come l'altra volta; e per simile modo, e per le dette
fosse e tagliate, non vi
poté apressare né quelle passare,
perché nell'oste de' Fiorentini avea più di
M cavalieri
e popolo grandissimo. E nota
lettore che da
piè di Serravalle infino
a
Buggiano per gli Fiorentini
era affossato e steccato e
imbertescato spesso tutta la
detta bastita, il campo e l'assedio de' Fiorentini con
guardie per tutto, e i detti fossi pieni d'acqua e accozzati
insieme, e messi in quegli il fiume della
Nievola
e quello della
Borra; la quale bastita tenea più
di
sei miglia nel piano; e da la parte
del monte tra le
castelletta d'intorno e altri battifolli per gli poggi e
tagliate fatte e barre di legname messi, dove stavano
di dì e di notte guardie con grossa gente
a piè, erano
più di
XII poste di battifolli, sì che di Montecatini
non potea uscire né
entrare gente né vittuaglia, se
non quello che si prendeano in preda nelle
pendici e
circustanze
del
poggio. E girava la detta impresa e
guardia de' Fiorentini da
XIIII miglia; che fu tenuta
grande cosa e ricca impresa
a chi la vide, che fummo
noi di quegli. Che certo la bastita e la cinta de' fossi
e di steccati che si legge fece
Giulio Cesare
al castello
d'
Aliso in Borgogna, ch'ancora si vede il
porpreso,
non fu maggiore né così grande, come quello che'
Fiorentini feciono intorno
a Montecatini. Lasceremo
alquanto de' fatti de' Fiorentini e dell'assedio di
Montecatini per raccontare altre
novità state in questi
tempi inn altri paesi, ritornando poi assai tosto
a
nostra materia, come i Fiorentini ebbono per
fame il
detto Montecatini.
L. 11, cap. 153 rubr.Come il maliscalco de la Chiesa e gente del re Ruberto
furono sconfitti presso de la città di Modana da'
Modanesi.
L. 11, cap. 153Nel detto
anno
MCCCXXX,
a dì
XXIIII d'
aprile, tornando
da Reggio messer
Beltramone e messer
Ramondo
del Balzo, e messer
Galeasso fratello
del re
Ruberto bastardo, ch'erano in Lombardia per lo detto
re
al
servigio de la Chiesa, e 'l maliscalco de la
Chiesa e
del legato con molta buona gente d'arme in
quantità di
VIc cavalieri, i quali erano
al
servigio
del
legato ch'era in Bologna, credendo avere la villa di
Formigine presso
a Modana
a
VI miglia, com'era loro
promessa per
tradimento, sentendo ciò il signore di
Modana, la notte dinanzi cavalcò col popolo di Modana,
e con
CCC cavalieri
a la detta terra di Formigine.
E la mattina trovandosi ingannati la detta gente
de la Chiesa, e sentendo la venuta di quegli di Modana,
temettono che non fosse aguato di più grossa
gente che non erano, e
ridussonsi schierati in su uno
prato assai presso de la terra; e non s'avidono che 'l
detto prato era affossato e
impadulato d'intorno.
Quegli di Modana, conoscendo il luogo, uscirono
fuori francamente, e presono l'
entrata
del detto prato,
e
rinchiusono i detti cavalieri, i quali non poteano
combattere né si poteano partire per gli pantani e
fossi d'intorno; e quale si mise per combattere rimase
morto da' pedoni ch'erano in su le ripe de' fossi,
che tutti i
cavagli scontravano co le
lance, e meglio e
più potea uno pedone che uno cavaliere; e per questo
modo la detta gente furono la maggiore parte
presi e menati in Modana, che pochi ne scamparono.
La quale fu tenuta una grande disaventura, e fu
grande isbigottimento
al legato cardinale ch'era in
Bologna, e
a tutta la parte de la Chiesa di Lombardia
e di
Toscana.
L. 11, cap. 154 rubr.
Come papa Giovanni per paura non lasciò passare
in Proenza il conte d'Analdo.
L. 11, cap. 154Nel detto mese d'aprile, vegnendo il conte d'Analdo
a la corte del papa a Vignone con sua gente intorno
di VIIIc cavalieri per avere la benedizione del papa,
e per andare sopra i Saracini di Granata per uno
suo boto e pellegrinaggio, e essendo già in Ricordana,
papa Giovanni prese di sua venuta il maggiore
sospetto del mondo, perché 'l detto conte era suocero
del Bavero detto imperadore suo nimico; e mandò
per lo siniscalco di Proenza e per tutti i cavalieri e
baroni del paese che fossono in Vignone con arme e
cavagli, e tutte le sue famiglie e de' cardinali e prelati
fece armare, e tutti i cortigiani per sua guardia; e trovarsi
i Fiorentini da C in arme a cavagli coverti, molto
bella gente, sanza i Fiorentini a piè, che furono
più di CCC armati. E ciò fatto, il papa mandò comandando
al conte d'Analdo che non dovesse venire in
Proenza sotto pena di scomunicazione, assolvendolo
del suo boto se tornasse adietro, il quale conte per
non disubbidire il papa si tornò in Analdo.
L. 11, cap. 155 rubr.Come il legato fece oste sopra Modana, e tornò con
poco onore.
L. 11, cap. 155
A l'
entrante
del mese di giugno nel detto
anno, i
Parmigiani ribelli
del legato e de la Chiesa ebbono il
borgo
a San
Donnino, il quale tenea la gente
del legato;
per la qual cosa, e ancora per la sconfitta ricevuta
la sua gente da'
Modanesi, il detto legato fece
fare sua oste e cavalcata sopra Modana di più di
MD
cavalieri, e andarono infino presso
a la terra guastando;
e poi tornando i
Modanesi,
coll'aiuto de' Parmigiani
e Reggiani cavalcarono appresso l'oste de la
Chiesa presso di Bologna
a
VI miglia infino in sul
fosso de la
Muccia con
VIIIc cavalieri e
IIIm pedoni, e
affrontarsi, il detto fosso in mezzo; ma non s'ardì l'oste
de la Chiesa combattere, che essendo tanta cavalleria
più di loro nimici, fu tenuta grande viltade. Lasceremo
delle 'mprese
del legato di Lombardia, e
torneremo
a' fatti dell'oste de' Fiorentini, e com'ebbono
il castello di Montecatini.
L. 11, cap. 156 rubr.Come i Fiorentini per lungo assedio ebbono il forte
castello di Montecatini.
L. 11, cap. 156Nel detto
anno,
a dì
XI di giugno, venuto soccorso
da' Lombardi
a messer
Gherardino Spinola signore
di Lucca di
CCCCL cavalieri tedeschi, onde si trovò
colle sue masnade e' Pisani e altri amici con più di
MCC cavalieri e popolo grandissimo, uscì fuori
a oste
per soccorrere Montecatini, il quale era molto
a lo
stremo di vittuaglia per l'assedio de' Fiorentini, e
puosesi
a campo nel luogo detto
E come furono
acampati,
scandalo nacque tra messer
Gherardino e
messer Francesco
Castracani, e fu fedito messere
Gherardino da uno degl'
Interminelli, e
fuggìsi quegli
in
Buggiano, onde fu preso messer Francesco e' suoi
seguaci e alcuno conastabole e mandati
a Lucca, e alcuno
giustiziato. I Fiorentini
rinforzata loro oste di
quantità di
MVc cavalieri, co· lloro amistà e popolo
grandissimo, e' s'
accamparono il grosso dell'oste in
sul Brusceto, quasi
a lo 'ncontro dell'oste de' Lucchesi,
il fosso e steccato in mezzo, e nondimeno fornite
di guardie il
procinto e la pieve sotto Montecatini.
E dell'oste de' Fiorentini era capitano messer Alamanno
degli
Obizzi uscito di Lucca, con certi cavalieri
di
Firenze grandi e popolani pur de' maggiori e
più savi e
sperti in
guerra, i nomi de' quali sono questi:
messer
Biagio Tornaquinci, messer
Giannozzo
Cavalcanti, messer Francesco de' Pazzi, messer
Gerozzo
de' Bardi, messer Talento
Bucelli, e altri
donzelli
grandi e popolani capitani de le masnade de'
pedoni. Messer
Gherardino e sua gente feciono più
assalti
al fosso de' Fiorentini e in più parti; ma poco
poterono accedere, che in tutte parti furono
riparati.
E richiesono i Fiorentini di battaglia, ma gli Fiorentini
per loro
vantaggio non la vollono prendere.
A la
fine,
a dì
XXII di giugno anzi il giorno, armata l'oste
de' Lucchesi e schierati, e mandati
privatamente la
notte dinanzi
CCCL cavalieri e
Vc pedoni de le migliori
masnade ch'avessono, ond'era capitano il
Gobbole
tedesco molto maestro di
guerra, con
Burrazzo de'
conti da Gangalandi, e altri usciti di
Firenze, e con
Luzzimborgo fratello di messer
Gherardino, e cavalcarono
infino presso
a Serravalle e dirimpetto
a luogo
detto la Magione, ove avea meno guardia, e passarono
per forza il ponte
a la Gora sopra la
Nievole,
e vennono
a la Pieve, e
a quella combatterono co la
guernigione e guardie di quella, che v'avea da
C cavalieri
e popolo assai per gli Fiorentini; e sconfissongli,
e presono e menarono in Montecatini messer Iacopo
de'
Medici e messer
Tebaldo di
Ciastiglio conastabole
francesco, e più altri. E l'oste de' Lucchesi, veduto
per gli loro preso il passo, si ritrassono verso quella
parte schierati per rompere l'oste de' Fiorentini e
fornire il castello. Ma ciò veggendo l'oste de' Fiorentini,
vi mandarono soccorso di
Vc cavalieri e pedoni
assai, i quali vi furono vigorosamente e sì
presti, che
non lasciarono passare più de la gente de' Lucchesi;
e quegli ch'erano passati non poterono ritornare
adietro sanza
pericolo di loro, onde si ricolsono
al
poggio di Montecatini, e là su istando, feciono molti
assalti
all'oste e alle bastite de' Fiorentini di dì e di
notte; e dall'altra parte facea il simile messer
Gherardino
co lo rimanente dell'oste de' Lucchesi da la parte
di fuori. E ciò veggendo i Fiorentini e' capitani di
Firenze, e considerando il grande
porpreso che la loro
oste aveano
a guardare, sì rifornirono l'oste di
molte genti
a piè cittadini di volontà, e per l'ordine
di tutte l'
arti che vi mandarono, e la parte guelfa e altri
possenti singulari, e il Comune masnade di forestieri
a soldo; onde si
radoppiò l'oste di gente
a piè,
e mandovisi la podestà e altri cittadini, perché 'l capitano
dell'oste era malato. E stato messer
Gherardino
alla
punga per fornire il castello, o per ricoverare
quegli ch'erano di là passati, per
ispazio d'
otto giorni,
e veggendo che la sua
potenzia non potea
resistere
a quella de' Fiorentini, e la sua oste era diminuita
per quegli ch'erano inchiusi in Montecatini, e col rimanente
di sua oste stava
a grande rischio, si partì
del campo, e ritrassesi con sua oste parte
a
Pescia e
parte
a Vivinaia; e poi si tornò in Lucca con poco
onore e con grande sospetto,
abandonando
al tutto
Montecatini. I Fiorentini apresso strinsono l'assedio,
ponendo uno battifolle
a luogo detto le
Quarantole,
sì presso
al castello, che tolsono le fontane di fuori,
per modo che que' d'
entro non avendo più di che
vivere
di vittuaglia, e male acque per bere,
patteggiarono
di rendere il castello liberamente
al Comune di
Firenze, salve le loro persone, arme e
cavagli. E ciò
fu
a dì
XVIIII di luglio
del detto
anno; e così fu fatto,
e
uscitine le masnade
a cavallo e
a piè de' Lucchesi, i
Fiorentini v'
entrarono con grande allegrezza, che v'erano
stati
ad assedio per più di
XI mesi, e non vi si
trovò dentro vittuaglia per tre dì.
L. 11, cap. 157 rubr.Come in Firenze ebbe grande quistione di disfare
Montecatini.
L. 11, cap. 157Ne la detta
punga e presa di Montecatini fu grande
abbassamento de lo stato di messer
Gherardino
signore di Lucca e de' Lucchesi, e
esaltazione e grandezza
de' Fiorentini, sì come d'una grande vittoria. E
preso Montecatini, in
Firenze n'ebbe grande quistione,
e più
consigli se ne tennono di
disfarlo
al tutto o
di lasciarlo in piede.
A molti parea di
disfarlo per
iscemare spesa di guardia e di
guerra
al Comune, e
perpetuo
segno e memoria di vendetta per la sconfitta
che' Fiorentini v'ebbono
a piede per cagione di
quello, l'
anno
MCCCXV, da Uguiccione da Faggiuola
e Pisani e Lucchesi, come adietro facemmo menzione.
Altri consigliarono che non si disfacesse, però
che'
Montecatinesi erano
naturalmente Guelfi e
amatori
del Comune di
Firenze, e per
novello e per
antico:
ricordandosi che
al tempo che gli usciti guelfi
di
Firenze furono cacciati di Lucca per la forza
del
re Manfredi e de' Ghibellini di
Toscana, come in
questa
cronica
al detto tempo si fece menzione, nulla
terra di
Toscana,
città, o castello gli volle
ritenere, altro
che quegli di Montecatini, ch'
al tutto
a lloro si
profersono e si vollono dare, per la qual cosa mai
non furono amici de' Lucchesi, ma gli
perseguirono
infino che gli ebbono
messi per forza sotto loro
soggezzione,
che prima erano
esenti, e comunità per loro.
Per questa cagione, e ancora perché nonn era finita
la
guerra da' Fiorentini
a' Lucchesi, e Montecatini
è una forte terra e grande
frontiera, e quasi in
corpo
del
contado di Lucca, per potere fare
guerra
a
Lucca si diliberò di lasciarlo in piede, e
rimisonvisi i
Guelfi usciti, e giurarono la fedeltà perpetua
del Comune
di
Firenze, e
promisono le
fazzioni reali e
personali
sì come propia terra
del
contado di
Firenze, e
sempre per la festa di santo Giovanni di giugno offerere
in
Firenze
a la sua chiesa uno ricco
cero co la figura
del detto castello; e' Fiorentini gli presono
a loro
guardia e libertà e difensione, come
a lloro amati
suditi. E nota che 'l detto nome di
Montecatino si è
Monte
Catellino, però che
Catellina uscito di
Roma
di prima il puose per sua fortezza, e là si ridusse
quando uscì di
Fiesole, innanzi che da' Romani fosse
sconfitto nel piano di
Picceno, detto oggi
Peteccio,
assai ivi di presso vicino. E questo troviamo per autentica
cronica; ma per lo
scorso e corrotto
volgare è
mutato il nome di
Catellino in Catino; e nonn è da
maravigliare se quello sito hae avute molte
mutazioni
e battaglie, però che di certo è de le reliquie di
Catellina.
L. 11, cap. 158 rubr.Come in questi tempi scurò il sole e la luna.
L. 11, cap. 158Nel detto
anno,
a dì
XVI del mese di luglio, alquanto
dopo l'ora di Vespro,
iscurò il sole quasi la
metade ne la fine
del
segno
del
Cancro, e l'opposizione
andata dinanzi de la luna e
del sole,
scurò la
luna nel Sagittario. E poi,
a dì
XXVI di dicembre vegnente,
scurò tutta la luna nel
segno
del
Cancro; per
la qual cosa e per certi savi astrolagi si disse dinanzi,
intra l'altre cose, significava che, con ciò sia cosa che
'l
segno
del
Cancro sia attribuito per l'ascendente de
la
città di Lucca, ch'eglino
doveano avere molte
ditrazioni
e abbassamento, come ebbono per lo 'nnanzi
a lloro avenne per l'assedio che' Fiorentini feciono
a la
città di Lucca, e altre
mutazioni e aversità ch'ebbono
poi, come apresso faremo menzione. Lasceremo
alquanto de' fatti e
guerra da' Fiorentini
a' Lucchesi,
e diremo d'altre
novità
istate ne' detti tempi
per altri paesi.
L. 11, cap. 159 rubr.Come il re Filippo di Francia venne a Vignone al
papa a parlamentare co· llui.
L. 11, cap. 159Nel detto anno, a l'entrante del mese di luglio, il
re Filippo di Francia venne in Proenza sotto titolo di
pellegrinaggio a Santa Maria di Valverde e a Marsilia
a vicitare il corpo di santo Lodovico vescovo che fu
di Tolosa, e figliuolo che fu del re Carlo secondo, e
venne con poca compagnia, se non con sua privata
famiglia. E fornito il suo pellegrinaggio venne a Vignone,
e con papa Giovanni stette più d'otto dì a segreto
consiglio da llui al papa sanza altra persona, ragionando
di più cose e trattati, che non si poté sapere.
Dissesi sopra il passaggio per lui ordinato oltremare
e altre mene d'Italia, che poi per l'esecuzioni si
scopersono, come innanzi faremo menzione. E ciò
fatto, sanza soggiorno il re si tornò in Francia.
L. 11, cap. 160 rubr.Di certe osti che furono in Lombardia.
L. 11, cap. 160Nel detto
anno e mese di luglio i signori de la Scala
di Verona feciono oste sopra la
città di Brescia, e
tolsono loro più castella in
bresciana; e il legato di
Lombardia fece fare oste sopra la
città di Modana
infino
a' borghi, e guastarla intorno intorno, e tornarsi
a Bologna.
L. 11, cap. 161 rubr.Di certo tradimento ordinato in Pisa, e come i Pisani
mandarono preso l'antipapa a papa Giovanni a Vignone.
L. 11, cap. 161Nel detto
anno e mese di luglio ne la
città di
Pisa
era ordinata
cospirazione, ond'era capo messer
Gherardo
del Pellaio de'
Lanfranchi, per cagione che
a llui
e alla sua
setta parea che quegli che reggeano la
terra fossono contra parte imperiale, e tenessono
troppo
colla Chiesa e co' Fiorentini, overo per invidia
de la signoria. La quale congiura scoperta, il detto
messer
Gherardo e più suoi seguaci si partirono di
Pisa, e furono condannati per rubelli, e
IIII popolani
che ne furono presi come traditori furono impiccati.
E ciò fatto,
a dì
IIII d'
agosto vegnente, il Comune di
Pisa in accordo col
conte
Fazio mandarono l'antipapa
preso
a
Vignone in su
due
galee provenzali armate,
con certo ordine e
patti trattati per loro ambasciadori
col papa. Il quale antipapa giunse
a
Vignone
a dì
XXIIII d'
agosto, e poi il dì seguente in piuvico
concestoro dinanzi
al papa e' cardinali e tutti i prelati
di
corte il detto antipapa col capestro in
collo si
gittò
a' piè
del papa cheggendo misericordia; e con
bello sermone e autorità si confessò peccatore e
eretico
col Bavero insieme che fatto l'avea, mettendosi
a
la mercé
del papa e de la Chiesa. Per la qual cosa il
papa risposto
al suo sermone
saviamente, co llagrime,
più per soperchia allegrezza, si disse, che per altra
pietade, il levò
colle sue
mani di terra e
basciollo
in bocca e
perdonogli, e fecegli dare una camera sotto
la sua
tesoreria e
libri da
leggere e studiare; e vivea
de la
vivanda
del papa,
faccendolo tenere sotto
cortese guardia, non
lasciandogli parlare
ad alcuna
persona. E in questo modo vivette poi tre
anni e uno
mese; e lui morto, fu soppellito onorevolemente
a la
chiesa de' frati minori in
Vignone in abito di frate.
Di questo inganno e
tradimento fatto per gli Pisani
dell'antipapa il Comune di
Pisa e il
conte
Fazio ne
furono in grande grazia di papa Giovanni, e ciò che
voleano aveano in sua
corte, e mandava in
Pisa da
XX
robe da cavalieri; onde i Fiorentini e gli altri Comuni
di
Toscana istati sempre fedeli e amatori di santa
Chiesa molto ne
sdegnarono.
L. 11, cap. 162 rubr.Come il re di Spagna sconfisse i Saracini di Granata.
L. 11, cap. 162Nel detto anno, del mese d'agosto, il re di Castello
e di Spagna essendo ad assedio d'uno castello del re
di Granata, l'oste de' Saracini di Granata vegnendolo
per soccorrere furono sconfitti e morti, e presi più
di XVm Saracini, e lo re di Spagna ebbe la terra.
L. 11, cap. 163 rubr.
D'una nuova e bella limosina che uno nostro cittadino
lasciò a' poveri di Cristo.
L. 11, cap. 163Del mese di settembre del detto anno morì in Firenze
uno nostro cittadino di piccolo affare, che non
avea figliuolo né figliuola, e ciò ch'avea lasciò per
Dio per ordinato testamento; e intra gli altri legati
che fece lasciò che a tutti i poveri di Firenze, i quali
andassono per limosine, fossono dati danari VI per
uno. E per gli suoi esecutori fu ordinato per bando
che in ciascuno sesto, ne le maggiori chiese di quegli
sesti, in una mattina si raunassono tutti i poveri, e in
quelle rinchiusi, perché non andassono dall'una chiesa
a l'altra; e dando a ciascuno povero, come n'usciva,
danari VI, si trovò che montò libbre CCCCXXX di
piccioli, che furono per numero più di XVIIm di persone
tra maschi e femmine piccioli e grandi, sanza i
poveri vergognosi e quegli degli spedali e pregioni e
religiosi mendicanti, che disparte ebbono la loro limosina
a danari XII l'uno, che furono più di IIIIm. La
qual cosa fu tenuto gran fatto, e grandissimo numero
di poveri; ma di ciò nonn è da maravigliare, però
che non solamente furono di Firenze, ma per le limosine
che vi si fanno traggono di tutta Toscana e
più di lungi a Firenze. Per lo gran fatto che allora fu
tenuto n'avemo fatta memoria, e per dare buono
esemplo a chi per l'anima sua vorrà fare limosina a'
poveri di Cristo.
L. 11, cap. 164 rubr.
Di certe novitadi ch'ebbe in Lucca, e come per tradimento
riebbono il castello di Buggiano.
L. 11, cap. 164Nel detto anno, a dì X di settembre, avendo messer
Gherardino Spinoli signore di Lucca rimessi in
Lucca per accordo quegli de la casa de' Quartigiani,
e' Pogginghi, e gli Avogadi, e altri quando prese la
signoria, che per Castruccio e gli suoi n'erano stati
cacciati, come adietro facemo menzione, il detto
messer Gherardino per gelosia corse la terra con sua
cavalleria, e fece prendere messer Pagano Quartigiani
e uno suo nipote e altri, opponendo loro che trattavano
col signore d'Altopascio e co' Fiorentini di
dare loro la terra. E di vero vi si mandaro bandiere
a' detti per gli Fiorentini, e certo trattato era; per la
qual cosa fece loro tagliare le teste. E poi, a dì XVIIII
di settembre, per trattato e tradimento quegli del castello
di sopra di Buggiano si rubellarono a' Fiorentini,
e presono la loro podestà ch'era Tegghia di messer
Bindo Bondelmonti, e renderlo a' Lucchesi; e venutavi
la cavalleria di Lucca a due dì apresso, combatterono
i borghi di Buggiano, ne' quali erano le
guernigioni de le masnade de' Fiorentini; i quali
Lucchesi vi ricevettono grande danno, che le dette
masnade uscirono fuori e combatterongli e ruppono
e ripinsongli nel castello. Per la quale rubellazione i
Fiorentini molto turbati ordinarono di fare oste a
Lucca per lo modo che seguirà apresso, onde assai
ne cresce materia.
L. 11, cap. 165 rubr.
Come i Fiorentini puosono oste e assedio a la città
di Lucca.
L. 11, cap. 165Come i Fiorentini ebbono perduto il castello di
Buggiano, sì ordinarono d'andare
a oste sopra la
città
di Lucca, sentendola molto
affiebolita; e partite le
masnade di Pistoia e di Valdinievole, salirono in sul
poggio
del Cerruglio di notte, e quello,
datovi assalto
di battaglia, ebbono
a
patti
a dì
V d'ottobre
del detto
anno. E per simile modo ebbono il castello di Vivinaia,
e
Montechiaro, e San Martino in
Colle, e
Porcari.
E poi
a dì
VIII d'ottobre scesono
al piano e
acamparsi
a Lunata; e
a dì
X d'ottobre si strinsono
all'assedio della
città
a mezzo miglio, prendendo il
campo da la strada che vae
a Pistoia
a quella che va
ad Altopascio; e quello campo affossaro e
steccaro
con bertesche e porte, e faccendovi molte case d'assi
e coperte di lastre e tegoli per potervi vernare. E de
la detta oste,
al
cominciamento, fu capitano messer
Alamanno degli
Obizzi uscito di Lucca con
consiglio
di
VI cavalieri di
Firenze; e
avevavi
al soldo de' Fiorentini
XIc di soldati
a cavallo
al
cominciamento de
l'oste, e in Lucca non avea che
Vc cavalieri, e poi vennono
nell'oste de' Fiorentini de la gente
del re Ruberto
e di Siena e di Perugia da
IIIIc cavalieri e popolo
grandissimo. E
a dì
XII d'ottobre i Fiorentini vi feciono
correre tre palii per vendetta di quegli che fece
correre
Castruccio
a
Firenze; il primo di quegli da
cavallo fu una
melagranata
fitta in una lancia, e iv'
entro
fitti
XXV fiorini d'oro
nuovi; e l'altro fu di panno
sanguigno, che 'l corsono i fanti
a piè; e l'altro di
baraccame
bambagino, che 'l corsono le meretrici dell'
oste. E gli detti palii si feciono tenere presso
a la
porta di Lucca quanto potea trarre uno balestro, armata
tutta l'oste; e mandarono
bando che chi di
Lucca volesse uscire
a correre, o vedere correre i
detti palii, potesse venire e tornare salvamente; onde
molti n'uscirono
a vedere la festa. Intra gli altri n'uscirono
CC cavalieri tedeschi armati, i quali erano
usciti di Montecatini quando fu assediato, che per
trattato fatto per gli Fiorentini si rimasono nel campo
al soldo de' Fiorentini, ond'era capo il
Gobbole
tedesco, il quale poi fece molta
guerra
a' Lucchesi.
De la quale uscita de' detti
CC cavalieri grande isbigottimento
ne presono i Lucchesi, e grande favore
l'oste de' Fiorentini. Ma la peggiore
capitaneria che
nella detta oste fosse
adoperata di
guerra per gli Fiorentini
sì fu che 'l capitano col suo
consiglio non lasciarono
fare guasto nullo, ma lasciarono
seminare il
piano delle
VI migliaia d'intorno
a Lucca, sotto cagione
di dare esemplo
a' Lucchesi di bene
trattargli,
acciò che si rendessono
a' Fiorentini. Ma il capitano
e gli altri usciti di Lucca n'
aricchirono per le dette
difensioni, faccendo ricomperare i contadini di Lucca,
e per lo detto modo corruppono e guastarono la
detta oste. E per questa cagione i Fiorentini
elessono
per loro capitano
Cantuccio di messer Bino de'
Gabbriegli
d'
Agobbio, la quale lezione fu fatta più per
ispezialtà di
setta, che ragionevole,
a fare capitano
uno
scudiere non uso di
guerra
a guidare tanti gentili
uomini e cavalieri e baroni, onde male n'avenne, che
se difetto fu nella detta oste ne la
capitaneria di messer
Alamanno
Obizzi, maggiore avenne per quella
del detto
Cantuccio; ma fu per altra forma e caso più
pericoloso, come innanzi faremo menzione. Lasceremo
alquanto
del detto assedio di Lucca, che vi dimorò
più mesi, per raccontare d'altre cose che furono
ne' detti tempi; e poi ritorneremo
a nostra materia
a
raccontare
del fine de la detta oste.
L. 11, cap. 166 rubr.Come le castella di Fucecchio e di Santa Croce e Castello
Franco di Valdarno si diedono liberi al Comune
di Firenze.
L. 11, cap. 166Nel detto anno e mese d'ottobre, osteggiando i
Fiorentini la città di Lucca, il castello di Fucecchio, e
di Castello Franco, e di Santa Croce, i quali erano a
la guardia del Comune di Firenze istati, dapoi si rivolse
lo stato di parte guelfa in Lucca, di loro libera
volontà e a lloro stanza e mossa, si diedono e sottomisono
al Comune di Firenze, sì come loro distrittuali
e contadini con mero e misto imperio, essendo
eglino trattati in Firenze come contadini e popolani,
e faccendo ogni fazione di Comune, reale e personale,
con giusto estimo ordinato di libbra, e dando ciascuna
de le dette terre uno cero grande co la figura
di quello castello a la festa del beato santo Giovanni
Batista di giugno; e gli detti patti si compierono e
fermarono e accettarono in Firenze a dì IIII di dicembre
MCCCXXX.
L. 11, cap. 167 rubr.
Come di prima il re Giovanni di Buem passò in Italia
e ebbe la città di Brescia e quella di Bergamo.
L. 11, cap. 167Nel detto anno, essendo il re Giovanni di Buem,
figliuolo che fu dello 'mperadore Arrigo di Luzzimborgo,
venuto in Chiarentana per certe bisogne ch'avea
a ffare col duca di Chiarentana suo cognato, e
quegli della città di Brescia in Lombardia essendo in
male stato, e molto oppremuti da' loro usciti e dal signore
di Milano e da quegli di Verona, e dal re Ruberto,
a cui i Bresciani s'erano dati, non erano soccorsi
né atati (e male il potea fare per la forza de'
Ghibellini di Lombardia), sì mandarono loro segreti
ambasciadori con pieno sindacato al detto re Giovanni,
e diedonglisi liberamente. Il Boemino, povero
di moneta e cupido di signoria, accettò e prese la
detta signoria, e sanza altro consiglio; e co' detti ambasciadori
vi mandò CCC cavalieri, e poi incontanente
apresso si mise al cammino, e giunse in Brescia
con IIIIc cavalieri a dì XXXI d'ottobre MCCCXXX, e da'
Bresciani fu ricevuto a grande onore come loro signore.
E poco stante lui in Brescia, la città di Bergamo
era in grande divisione, e combattiensi insieme i
cittadini; una de le parti, che si chiamavano i Collioni,
mandò al detto re Giovanni ch'egli mandasse per
la terra, il quale vi mandò il suo maliscalco con CCC
cavalieri, e fugli data l'entrata della terra, e caccionne
la parte di , e rimase al re Giovanni la signoria. La
quale venuta in Italia del detto re Giovanni fece
grande mutazione e rivoluzione, come per innanzi
leggendo di suoi processi faremo menzione.
L. 11, cap. 168 rubr.
D'uno grande diluvio d'acqua che fu in Cipri e in
Ispagna.
L. 11, cap. 168Nel detto anno MCCCXXX, del mese di novembre,
nell'isola di Cipri piovve quasi al continuo XXVIII dì
e le notti; la qual cosa stata disusata e isformata, né
mai ricordata in quello paese, per l'abondanza di
quella piova crebbono sì le riviere scendendo da le
montagne, che giunte a la città di Niccosia e a quella
di Limisa, tutto che di loro natura siano di poca acqua,
crebbono tanto che quelle città tutte allagarono
diversamente, e molte case di quelle rovinaro, e tra
in quelle due città e castella e maserie dell'isola vi
morirono per la somersione del diluvio più di VIIIm
persone. Nel detto anno per simile modo fu disordinato
diluvio ne le parti di Spagna, e crebbe sì diversamente
il fiume della grande città di Sibilia, che
quasi pareggiò d'altezza le mura de la detta città, e se
il riparo de le dette mura non fosse stato, la città
profondava tutta; e di fuori de la terra fece innumerabile
danno di casali profondare, e di gente anegare
in grande quantità.
Nel detto anno, a dì XVI di gennaio, fu morto
Matteo de' tiranno e signore di Corneto con più
suoi seguaci ghibellini da' Guelfi di quella terra a romore
di popolo, e' Guelfi ne rimasono signori.
L. 11, cap. 169 rubr.
Come si ritrovò il corpo di santo Zenobio.
L. 11, cap. 169A mezzo il detto mese di gennaio l'arcivescovo di
Pisa fiorentino, il vescovo di Firenze, e quello di Fiesole,
e quello di Spuleto fiorentino, con calonaci di
Firenze e molti cherici e prelati, feciono scoprire l'altare
di santo Zenobi di sotto a le volte di Santa Reparata
per trovare il corpo del beato Zenobio, e convenne
fare cavare sotterra per X braccia anzi che si
trovasse; e trovatolo in una cassa commessa in una
arca di marmo, di quello levato alquanto del suo teschio
del capo, e nobilemente il feciono legare in una
testa d'argento a similitudine del viso e testa del detto
santo per poterlo annualmente per la sua festa con
grande solennità mostrare al popolo; e l'altro corpo
rimisono in suo luogo con grande devozione d'orazioni
e canti, e sonando le campane del Duomo di dì
e di notte per X dì quasi al continuo, dando per gli
vescovi perdono al popolo che 'l vicitasse. Per la
quale traslazione e indulgenzia quasi tutto il popolo
e persone di Firenze devote, uomini e donne, piccoli
e grandi, v'andarono a vicitarlo con grande devozione
e oferta.
L. 11, cap. 170 rubr.
Come si levò l'oste de' Fiorentini da Lucca, e come i
Lucchesi si diedono al re Giovanni di Buem.
L. 11, cap. 170Tornando
a nostra materia dell'assedio de la
città
di Lucca per gli Fiorentini, come lasciammo nel
quinto
capitolo scritto adietro, per la partita de' cavalieri
tedeschi che n'uscirono, e de la venuta de la
gente
del re Ruberto e de' Sanesi e Perugini e altre
amistà che mandarono aiuto
a' Fiorentini, la detta
oste
crebbe assai di gente d'arme
a piè e
a cavallo, e
quegli di Lucca scemando isbigottirono molto. Per
la qual cosa i Fiorentini ordinarono ch'
al tutto l'oste
acircondasse la terra intorno intorno, acciò che vittuaglia
né altro aiuto vi potesse
entrare; ch'
al continuo
per gli Pisani
nascosamente era fornita di gente
d'arme per la guardia de la terra e di vittuaglia
contra'
patti de la pace. E ciò fu fatto
a dì
XVIIII del mese
di dicembre, che una parte dell'oste valicarono gli
Oseri che vanno da
Pontetetto, e
fecionvi su più
ponti e valichi, e puosonsi
a la villa di
Cattaiuola alquanto
di là dal detto
Pontetetto, verso la parte di
Pisa, ove avea ricchi e begli casamenti e giardini fatti
per
Castruccio; e 'l sopradetto
Gobbole tedesco con
sue masnade e con molti
briganti
a piè e fanti di volontà
si puosono nel borgo
del Ponte
a San Piero, e
in capo
del prato in su la strada che vae
a Ripafratta
feciono una bastita, overo battifolle, guernito di gente
d'arme, per lo quale circuito d'assedio i Lucchesi
d'
entro furono molto
ristretti e afflitti, e cominciò loro
a mancare la vittuaglia e vino e molte altre cose
necessarie; e
convenne loro ogni vittuaglia e vino
raccomunare, e fare taverne di vino inacquato per lo
Comune, e carne poveramente; e simile canova di
pane,
dandolo per peso alle masnade e alle famiglie.
Per la quale
stremità quegli che reggeano Lucca, per
loro feciono cercare accordo co' Fiorentini, mandando
uno di loro maggiori più sagreto in
Firenze sotto
salvocondotto e sagretamente con certi
patti d'
arendere
la terra (e fu l'opera assai di presso all'accordo
per diversi
patti e modi, partendosi messer
Gherardino
della signoria), e
dargli danari, e
disfaccendosi
il castello de l'Agosta, rimanendo i Ghibellini in
Lucca co' Guelfi insieme, e
raccomunando gli ufici
a
la guardia e signoria de' Fiorentini, e faccendo certi
gentili uomini ghibellini in numero di
XXIIII de' più
caporali cavalieri per lo Comune e popolo di
Firenze
per loro
sicurtà,
al modo di que' di Pistoia, donando
a
ciascuno
Vc fiorini d'oro de' danari
del Comune di
Firenze, rimanendo le gabelle e l'
entrate
del Comune
di Lucca
al Comune di
Firenze per fornire la spesa
della guardia di Lucca, e i rimanente scontare
del
dono si facesse
a' detti cavalieri; e oltre
a cciò in
termine
di
V anni sodisfare tutti i cittadini di
Firenze
che furono
presi da
Castruccio di ciò che si ricomperarono
da llui, che montavano fiorini
Cm d'oro e più.
E di certo sarebbe venuto fatto; ma la 'nvidia e avarizia,
le quali guastano ogni bene, parte di quegli Fiorentini
che sentivano e guidavano il detto trattato co'
caporali cittadini di Lucca, per volerne l'onore e il
profitto tutto
a lloro propietà, lo scopersono
a messer
Gherardino, e co· llui tennono
nuovo trattato, e
andaronne chiusamente in Lucca
a
parlargli certi di
loro; per la quale cagione si guastò l'uno trattato per
l'altro, rimanendo in grande sospetto i cittadini di
Lucca con messer
Gherardino. E io autore, con tutto
non fossi degno di sì grandi cose menare,
posso essere
vero testimonio, però che fui di quello numero
con pochi diputato per lo nostro Comune
a menare
il primo trattato, il quale fu guasto per lo modo detto.
Ma la giustizia divina, la quale non perdona alla
pulizione degl'
innormi peccati, come
a Dio piacque,
tosto vi mise penitenza con vergogna
del nostro Comune
per gli modi
dupplicati e improvisi e non pensati
che diremo qui apresso; in prima, che
mutando i
Fiorentini il capitano dell'oste
Cantuccio de'
Gabbriegli
d'
Agobbio, di cui dinanzi facemmo menzione,
giunse nell'oste con sua compagna di
L cavalieri e
C sergenti
a piè
a dì
XV di gennaio; e come uomo poco
iscorto e uso
a guidare sì fatta oste, che v'avea
CCC gentili uomini più grandi e più maestri e degni
di lui, avenne ch'alcuno
Borgognone di piccolo affare
fece alcuna follia; e la famiglia di
Cantuccio
prendendolo,
e
a la guisa come fosse podestà in
Firenze,
il volesse giustiziare, i Borgognoni per isdegno, che
n'avea nell'oste più di
VIc a cavallo
al soldo de' Fiorentini,
fiera gente e aspra, s'armarono, e tolsono il
malfattore
a la famiglia
del capitano, e
fedirgli e uccisonne;
e
a furore corsono
a la casa e loggia
del capitano,
e rubarono tutto, e uccisono cui poterono di
sua famiglia, e misono fuoco nell'albergo, e però arse
il quarto
del campo con grande
danno e
pericolo;
onde il campo e oste de' Fiorentini fu
a grande rischio,
se non fosse per gli savi capitani consiglieri
che v'erano di
Firenze, ch'
atutarono il furore
coll'
aiuto de' cavalieri tedeschi, che gli ubbidirono e seguirono,
e
nascosono il capitano e cui poterono di
sua famiglia, e rimase
a lloro
al tutto la guardia
dell'oste; e se non fosse la
fiebolezza di que' di Lucca,
l'oste de' Fiorentini stava in grande
pericolo per
la detta
novità e
discordia. In questo stante messer
Gherardino,
riconfortatosi della
discordia dell'oste
de' Fiorentini, lasciò il trattato co· lloro, e mandò incontanente
suoi ambasciadori con sindachi di pieno
mandato in Lombardia
al re Giovanni, e
diedongli la
signoria di Lucca con certi
patti, ed egli la
promise
di difendere; e
a dì
XII di febbraio mandò in
Firenze
il detto re tre suoi ambasciadori, i quali con belle parole
e
promesse di pace e d'amore richiesono per sua
parte i Fiorentini,
pregandogli si
dovessono partire
da l'assedio di Lucca, sì come di sua terra, e fare triegue
co· llui; e loro in pieno
consiglio fu risposto com'
era la detta oste sopra Lucca
a petizione della
Chiesa e
del re Ruberto, e che però non si leverebbe.
Partirsi i detti ambasciadori, e
andarne
a
Pisa. Pochi
dì apresso avuta la detta
risposta, il re Giovanni
mandò il suo maliscalco in Parma con
VIIIc cavalieri
per soccorrere Lucca; e ciò sentendo i Fiorentini,
presono
al loro soldo messer
Beltramon
del Balzo,
che tornava di pregione di Lombardia, iscambiato
per lo legato con Orlando Rosso di Parma, e
feciollo
capitano di
guerra; e ito lui nell'oste da Lucca, parendogli
folle la stanza per le
novità state ne la detta
oste, che molto l'avea
scompigliata e pochi giorni dinanzi
uno messer
Arnoldo tedesco conastabole de'
Fiorentini, si partì
del campo con
C cavalieri, e
entrò
in Lucca, e per lo maliscalco
del re Giovanni che
venia
a Lucca, gli parve il migliore di levare l'oste.
E così fece
a dì
XXV del detto mese di febbraio
MCCCXXX, e
ricolsonsi sani e salvi in sul
poggio di Vivinaia,
e di quello partendosi, rubarono la terra e
misonvi
fuoco. E così tornò in vano la 'mpresa dell'oste
de' Fiorentini, che nel
cominciamento e poi fu così
prospera, e Lucca così affinita. E però non si
dee
nullo disperare, né d'alcuna impresa fare grolia, né
avere troppa speranza, se prima non si vede la fine,
che sovente
riescono le 'mprese
ad altro
segno che
non sono cominciate, per lo piacere di Dio. E poi il
primo dì di marzo apresso il maliscalco de· re Giovanni
venne di Lombardia, e
entrò in Lucca con
VIIIc cavalieri tedeschi, e prese la signoria della terra
per lo re, e
partissene messer
Gherardino male
contento
dal re Giovanni e da' Lucchesi, e con suo
dammaggio
di più di
XXXm fiorini d'oro messi de' suoi danari
ne la detta signoria e
guerra de' Lucchesi, e non
gli
poté riavere. E
dogliendosene il detto messer
Gherardino
al re Giovanni, gli fu rimprocciato ch'egli
era istato traditore, ch'egli avea tenuto trattato co'
Fiorentini di dare loro Lucca; e mostrata gli fu innanzi
al re una
lettera
del Comune di
Firenze, la
quale messer
Gherardino s'avea fatta fare
a sua cautela
del trattato.
L. 11, cap. 171 rubr.Come la gente del re Giovanni cavalcarono in su il
contado di Firenze nella contrada di Greti.
L. 11, cap. 171Per la detta venuta della gente
del re Giovanni in
Lucca i Fiorentini
abandonarono il borgo di
Buggiano
che teneano, e
misonvi fuoco; e simile lasciarono
il castelletto
del Cozzile e quello de la
Costa sopra
Buggiano
a dì
VIIII di marzo
del detto
anno; e poi
a
dì
XV del detto mese di marzo il sopradetto maliscalco
del re Giovanni ch'era in Lucca con
M cavalieri e
MM pedoni si partirono di
Buggiano e passarono sotto
Montevettolino,
ispianando le tagliate,
entrarono
in Greti in sul
contado di
Firenze sanza contasto
niuno, e presono e arsono il borgo di Cerreto
Guidi,
e combatterono il castello; e presono e arsono
Collegonzi
e Agliana, e corsono il paese per
III dì, e
menarne
preda di
C pregioni e
IIIIc bestie grosse e
MM
minute; e feciono
danno assai con grande vergogna
de' Fiorentini, ch'aveano altrettanti cavalieri e più
al
loro soldo, che per loro non fu fatto contasto niuno.
Che se pure
CC cavalieri avessono difesa la tagliata
da
Montevettolino
a la
Guisciana, ch'assai era
leggere
a difendere, non ne tornava mai niuno adietro,
che tutti rimaneano o presi o morti; però che la cavalcata,
tutto fosse per loro ardita e franca, sì fu folle
e con
mala provedenza di non lasciare guardia
al
passo. Ma dissesi che certi conastaboli de' Fiorentini
ch'erano
a la guardia de le castella di Valdinievole
seppono la cavalcata, e stettono
al
tradimento, e lasciarono
valicare i nimici sanza volergli contastare, i
quali ciò saputo, furono
acommiatati da' Fiorentini e
cassi di loro soldi.
L. 11, cap. 172 rubr.Come al re Giovanni fu data la signoria di Parma,
di Reggio, e di Modana.
L. 11, cap. 172Nel detto
anno,
a dì
II di marzo, Giovanni re di
Buem
entrò nella
città di Parma in Lombardia con
grande onore, la quale gli fu data per Orlando Rosso
e quegli della sua casa de' Rossi, per contradio
del
legato cardinale ch'era in Bologna per la Chiesa loro
contradio. E per simile modo si diede poco apresso
al detto re la
città di Reggio e quella di Modana per
certi
patti, per non tornare
a la signoria della Chiesa
e de' suoi legati e uficiali
caorsini; per la qual cosa il
papa si mostrò molto turbato, e mandò sue
lettere
bollate in
Firenze, le quali in
coram populi si lessono,
e piuvicaro, come di suo volere né de la Chiesa il re
Giovanni non era passato in Italia, né presa la signoria
di Lucca e delle sopradette terre di Lombardia,
ma tutto fu disimulazione
del papa e
del legato, come
per lo 'nanzi per loro processi si potrà comprendere.
L. 11, cap. 173 rubr.Come si cominciò grande guerra in mare tra' Catalani
e' Genovesi.
L. 11, cap. 173Nel detto anno e mese di marzo si cominciò la
guerra da' Catalani a' Genovesi e' Viniziani molto
aspra e dura, per cagione di più ruberie fatte in mare
per gli Genovesi andando in corso sopra' Catalani e'
Viniziani. E per cagione di ciò i Genovesi co' loro
usciti e que' di Saona feciono triegua, onde poi nacque
pace tra lloro, come per innanzi faremo menzione.
I Viniziani per loro viltà e tema de' Genovesi feciono
pace assai tosto co· lloro, per piccola amenda
di meno di Xm fiorini d'oro, che 'l valere di più di Cm
fiorini d'oro aveano perduti, sanza più buona gente
di Vinegia morti da' Genovesi in mare. Quella guerra
de' Catalani durò poi più tempo con grande uccisione
e dammaggio dell'una parte e dell'altra, come
per gli tempi si troverà.
L. 11, cap. 174 rubr.Come il popolo di Colle di Valdelsa uccisono il loro
capitano e signore, e diedonsi a la guardia de' Fiorentini.
L. 11, cap. 174Nel detto
anno,
a dì
X di marzo, essendo signore
di
Colle di
Valdelsa messer
Albizzo ch'era arciprete
di
Colle, che s'era fatto capitano di popolo co' suoi
frategli, messer
Desso e Agnolo de la casa di
Tancredi,
che teneano la terra
a modo di tiranni, soppressando
disordinatamente il popolo e chiunque avea
podere ne la terra; per la qual cosa il popolo di
Colle,
dispiaccendo loro sì fatta tirannia e signoria, con
ordine di
tradimento,
coll'aiuto di quegli da
Montegabri
e da
pPicchiena, de' detti signori loro
cugini e
parenti, in su la piazza di
Colle, usciti
coloro da
mangiare, uccisono il detto capitano arciprete e
Agnolo suo fratello; e messer
Desso si difese gran
pezza francamente, ma alla fine per lo soperchio de'
nimici fu fedito, poi preso per
tradimento d'
Agnolino
Granelli de' Tolomei, e poi in pregione lo
strangolaro;
e uno fanciullo di quello Agnolo d'età di
X
anni presono, e per paura il tennono pregione, e tengono
ancora, acciò che nullo di quella progenia
scampasse, con tutto ch'un altro suo fratello era
a
Firenze.
E ciò fatto, per tema di loro
parenti, ch'erano
i Rossi di
Firenze e altri possenti e grandi di
Firenze,
feciono popolo, e diedono poi la guardia de la terra
di
Colle
al Comune e popolo di
Firenze per più
anni,
chiamando podestà e capitano fiorentino. Della qual
cosa i Fiorentini furono
contenti, però ché 'l detto
capitano tiranneggiava in
Firenze con certi grandi, e
al tempo
del
caro fu molesto
al popolo di
Firenze di
fare divieto e non lasciare venire vittuaglia
a
Firenze,
e era amico di
Castruccio tutto si tenesse Guelfo.
L. 11, cap. 175 rubr.
Quando si cominciarono le porte del metallo di
Santo Giovanni, e si compié il campanile de la Badia
di Firenze.
L. 11, cap. 175Nel detto anno MCCCXXX si cominciarono a fare le
porte del metallo di Santo Giovanni molto belle e di
maravigliosa opera e costo, e furono formate in cera,
e poi pulite e dorate le figure per uno maestro Andrea
Pisano, e gittate furono a fuoco di fornello per
maestri viniziani. E noi autore per l'arte de' mercatanti
di Calimala, guardiani dell'opera di Santo Giovanni,
fui uficiale a far fare il detto lavorio. E il detto
anno s'alzò e compié il campanile della Badia di Firenze,
e per noi fu fatto fare a priego e a istanzia di
messer Giovanni degli Orsini di Roma, cardinale e
legato in Toscana e signore de la detta Badia, e della
sua entrata di quella Badia.
L. 11, cap. 176 rubr.Di certi miracoli che furono in Firenze.
L. 11, cap. 176L'
anno
MCCCXXXI morirono in
Firenze
due buoni
e giusti uomini e di santa vita e
conversazione e di
grandi
limosine, tutto che fossono laici. L'uno ebbe
nome
Barduccio, e
soppellìsi in Santo Spirito
a luogo
de' frati
romitani; e l'altro ebbe nome Giovanni
, e
soppellìsi
a San Piero Maggiore. E per
ciascuno
mostrò Idio aperti miracoli di sanare infermi e
atratti e di più diverse maniere, e per
ciascuno fu fatta
solenne
sepoltura, e poste più immagini di cera
per voti fatti.
L. 11, cap. 177 rubr.D'uno parlamento che fu fatto intra re Giovanni e
legato di Lombardia.
L. 11, cap. 177Nel detto
anno,
a dì
XVI d'
aprile, fu fatto uno
parlamento
segreto in sul fiume della
Scoltena tra Bologna
e Modana intra re Giovanni di Buem, figliuolo
che fu dello 'mperadore
Arrigo, e· legato di Lombardia
cardinale, che dimorava per la Chiesa in Bologna;
e furono in accordo insieme, e
al dipartire si basciarono
in bocca; e poi il dì seguente con grande festa
mangiarono insieme
al castello di
Piumaccio. Per
la qual cosa tutti i signori e tiranni di Lombardia e
ancora il Comune di
Firenze, il quale si tenea nimico
del detto re Giovanni per la
nimistà antica d'
Arrigo
imperadore suo padre, e per la sua impresa di Lucca
e di Brescia, presono grande sospetto e isdegno contra
il cardinale legato, parendo loro che
disimulatamente
egli e la Chiesa avessono fatto venire il detto
re Giovanni in Italia; e che
colla forza
del detto re, e
per trattato
del papa Giovanni e
del re di
Francia,
volesse occupare la signoria di Lombardia e di
Toscana;
onde
a riparare ciò si trattò di fare compagnia
e lega e giura col re Ruberto insieme contro
al detto
re Giovanni e contra chiunque gli
desse aiuto o favore;
e de la detta lega il papa
disimulando co' Fiorentini,
per sue
lettere che mandò loro, si mostrò contento;
onde poi
seguì l'
abassamento
del detto re e
del legato, come innanzi faremo menzione.
L. 11, cap. 178 rubr.Come si divise e partì la casa de' Malatesti da Rimine.
L. 11, cap. 178Nel detto anno, del mese di maggio, essendo la
casa de' Malatesti da Rimine in Romagna nel maggiore
stato e colmo che fossono stati mai, e di loro
fatti poco tempo dinanzi VI cavalieri con grande
onore, e trionfavano non solamente la città da Rimine
ma quasi tutta la Romagna; ma per la cupidigia
della tirannica signoria messer Malatesta il giovane
figliuolo di messer Pandolfo a tradimento cacciò di
Rimine tutti i suoi consorti, e loro perseguendo con
arme per uccidergli, e alquanti ne prese, e morirono
poi in pregione, opponendo loro che volevano cacciare
lui; per la qual cosa fu guasta la detta casa, e
commossesene quasi tutta la Romagna. E pare una
maladizione in quello paese, e ancora pessima usanza
di Romagnuoli, che volentieri sono traditori tra lloro.
E nota che pare ch'avegna nelle signorie e istato
delle dignità mondane che come sono in maggiore
colmo hanno di presente la loro discesa e rovina, e
non sanza providenza del divino giudicio per pulire
le peccata, e perché niuno si confidi della fallace
prospera ventura.
L. 11, cap. 179 rubr.
Come la città di Firenze fu lungamente interdetta.
L. 11, cap. 179Nel detto anno, a dì X di maggio MCCCXXXI, il legato
di Toscana mise lo 'nterdetto a la città di Firenze
per cagione ch'egli avea impetrata dal papa a sua
mensa la pieve di Santa Maria in Pineta che vacava,
al modo ch'avea fatta la Badia di Firenze, de la quale
pieve erano padroni la casa de' Bondelmonti, e a lloro
stanza, e perché pareva a' cittadini che 'l detto legato
volesse occupare tutti i buoni benifici di Firenze,
e ancora quello benificio preso a inganno contro
a' Bondelmonti, per la qual cosa non gli lasciarono
avere la rendita né' frutti di quella pieve; e innanzi
ne sostennono lo 'nterdetto XVIIII mesi, con grande
sconcio e fatica de' cittadini in ogni atto spirituale,
tanto che i detti Bondelmonti s'accordarono col legato,
per la qual cosa i detti Bondelmonti molto furono
obbrigati al popolo di Firenze.
L. 11, cap. 180 rubr.Come il re Giovanni si partì di Lombardia, e andonne
oltremonti.
L. 11, cap. 180Nel detto
anno, avendo il re Giovanni ordinato
col legato insieme una disimulata pace e trattato di
rimettere gli usciti guelfi in Lucca, alquanti ve ne
tornarono contra volere de' Fiorentini. E intra gli altri
che
cercò il detto trattato fu messer
Manno degli
Obizzi, per la qual cosa molto venne in disgrazia de'
Fiorentini; e poi quegli Guelfi ch'erano tornati in
Lucca, per la
mala signoria se ne partirono. Poi il
detto re Giovanni, riformata Lucca e Parma e Reggio
e Modana
a la sua signoria, vi lasciò
Carlo suo figliuolo
con
VIIIc cavalieri, e egli si partì di Parma
a dì
II di giugno per andare
a
corte e in
Francia e nella
Magna, per ordinare maggiori cose col papa e col re
di
Francia per sottomettere la libertà degl'Italiani,
come innanzi farà menzione.
L. 11, cap. 181 rubr.Come delle masnade de' Fiorentini furono sconfitti
a Buggiano.
L. 11, cap. 181Nel detto anno messer Simone Filippi di Pistoia
vicario in Lucca del re Giovanni fece porre oste e
battifolli al castello di Barga in Carfagnana che si tenea
per gli Fiorentini, sentendo ch'era male fornito;
per la qual cosa i Fiorentini feciono cavalcare messer
Amerigo de' Donati capitano di Valdinievole con
IIIIc cavalieri sopra Buggiano per fare levare il detto
assedio da Barga. Ma le masnade di Lucca di notte
vennono a Buggiano, da Vc cavalieri. Messere Amerigo
e sua gente isproveduti di tale avenimento, e non
prendendosi guardia, furono assaliti subitamente sul
Brusceto sotto Montecatini, e rotti e sconfitti a dì VI
di giugno, e rimasonne da C a cavallo tra morti e presi,
e messere Amerigo e gli altri fuggiro in Montecatini;
e il luglio apresso si perdé Uzzano per tradimento,
che 'l teneano i Fiorentini.
L. 11, cap. 182 rubr.
Come papa Giovanni ricomunicò i Milanesi e' Marchigiani.
L. 11, cap. 182Nel detto anno, a dì IIII di giugno, papa Giovanni
apo Vignone ricomunicò i Milanesi e' Marchigiani, i
quali erano stati sì lungamente iscomunicati e in contumacia
di santa Chiesa per molti falli fatti contro a
la Chiesa, come adietro è fatta menzione; e ciò fece il
papa a petizione del legato di Lombardia, l'una per
rompere la lega già cominciata tra' Lombardi, e l'altra
perché i Marchigiani fossono riverenti al legato,
che 'l n'avea fatto marchese e signore.
L. 11, cap. 183 rubr.Di fuochi che s'apresono nella città di Firenze in
questo anno.
L. 11, cap. 183Nel detto
anno,
a dì
XXIII di giugno, la notte de la
vilia di santo Giovanni s'apprese fuoco in sul ponte
Vecchio dal lato di là, e arsono tutte le botteghe, che
v'erano da
XX, con grande
danno di molti artefici, e
morirvi
due garzoni, e in parte arsono delle case di
San Sipolcro della magione dello Spedale. E poi,
a dì
XII di settembre la notte vegnente, s'aprese fuoco
a
casa Soldanieri da Santa Trinita in certe case basse di
legnaiuoli e di maliscalco, le quali case erano
a lo
'ncontro della
via di Porta Rossa, e
morirvi
VI persone,
che per lo 'mpetuoso fuoco
del molto legname e
stalle non poterono scampare. E poi
a dì
XXVIII di
febbraio la notte vegnente s'apprese fuoco nel palagio
del Comune, ove abita la podestà, e arse tutto il
tetto
del vecchio palazzo e le
due parti
del
nuovo
dalle prime volte in su. Per la qual cosa s'ordinò per
lo Comune che si rifacesse tutto in volte infino
a' tetti.
E poi
a dì
XVI di luglio vegnente s'apprese nel palazzo
dell'
arte della lana d'Orto San Michele, e arse
tutto da la prima volta in su, e
morìvi uno pregione,
che 'l vi mise credendo scampare, e la sua guardia;
poi per l'
arte della lana si rifece più nobile e tutto in
volte infino
al tetto.
L. 11, cap. 184 rubr.Come in Firenze nacquono due leoncegli.
L. 11, cap. 184Nel detto anno, a dì XXV di luglio, il dì di santo Iacopo,
nacquono in Firenze II leoncini del leone e
leonessa del Comune, che stavano in istia incontro a
San Pietro Scheraggio; e vivettono, e fecionsi grandi
poi: e nacquono vivi e non morti, come dicono gli
autori ne' libri della natura delle bestie, e noi ne rendiamo
testimonianza, che con più altri cittadini gli
vidi nascere, e incontanente andare e poppare la leonessa;
e fu tenuta grande maraviglia che di qua da
mare nascessono leoni che vivessono, e non si ricorda
a' nostri tempi. Bene ne nacquono a Vinegia due,
ma di presente morirono. Dissesi per molti ch'era segno
di buona fortuna e prospera per lo Comune di
Firenze.
L. 11, cap. 185 rubr.
Come i Fiorentini presono la signoria di Pistoia.
L. 11, cap. 185Nel detto
anno, il dì seguente la festa di sa Iacopo,
essendo in Pistoia in grande sospetto e gelosia
della signoria della terra, che parte de' cittadini ch'amavano
di ben
vivere, voleano la signoria de' Fiorentini,
e parte voleano rimanere liberi; i Fiorentini
avendo ciò sentito, di que' dì per lo detto sospetto
mandata di loro gente in Pistoia, in quantità di
Vc cavalieri
e
MD pedoni, e' feciono correre la terra gridando:
«Vivano i Fiorentini!», sanza fare nulla ruberia
né altro malificio. Per la qual cosa i
Pistolesi
per
solenne
consiglio, non potendo altro, diedono la
signoria
al Comune e popolo di
Firenze per uno
anno;
e riformata la terra ne mandarono fuori più di
C
confinati, e gran parte di Guelfi ritornarono in Pistoia,
che' più erano contradi
a la signoria de' Fiorentini,
per volere tiranneggiare la terra, e torre lo
stato
a' cavalieri de'
Panciatichi e
Muli e
Gualfreducci
ghibellini, fatti cavalieri per lo popolo di
Firenze,
e
a lloro seguaci, parendo loro che i Fiorentini
gli
mantenessono in maggiore stato per le
promesse
fatte, che non parea
agl'ingrati Guelfi rimessi in Pistoia
per gli Fiorentini. E poi appresso, innanzi che
fosse mezzo l'
anno, parendo
a'
Pistolesi che' Fiorentini
gli trattassono
benignamente, e
manteneangli in
pacefico stato e sanza gravezze, di loro buona volontà
feciono sindachi
due di loro anziani, e mandargli
a
Firenze
a dare la guardia e signoria della terra liberamente
a' Fiorentini per
due
anni, oltre
a la prima
dazione;
e' Fiorentini la presono e solennemente l'ordinarono,
eleggendo loro le podestadi forestieri di
VI
in
VI mesi, e uno capitano della guardia grande popolano
di
Firenze di tre in tre mesi, con
VI cavagli e
L fanti, e uno conservadore di pace forestiere con
X
cavagli e
C fanti, e la podestà di Serravalle e
due castellani
de le rocche fiorentini. E in
Firenze
elessono
XII buoni popolani di tre in tre mesi,
a cui diedono
piena balìa della governazione di Pistoia, e delle riformazioni
delle signorie co' priori di
Firenze insieme,
e ciò fu in mezzo gennaio; e poi
all'uscita
del
febbraio seguente i Fiorentini vi feciono cominciare
uno bello e forte castello da la parte de la terra di
verso
Firenze per più
sicurtà della terra, il quale si
compié, e
misonvi guardie e castellani con
C fanti
alle spese de'
Pistolesi; e oltre
a cciò
CCC fanti
a la
guardia de la terra.
L. 11, cap. 186 rubr.Come i Sanesi osteggiarono e sconfissono i conti da
Santa Fiore, e' Pisani ebbono Massa.
L. 11, cap. 186Nella detta state i Sanesi feciono oste sopra i
conti
da Santa Fiore, e gli Orbitani sopra quegli da
Baschia
in Maremma, e feciono loro grande
danno. Ed
essendo i detti Sanesi all'assedio d'Arcidosso, i
conti
da Santa Fiore con
CC cavalieri tedeschi avuti da
Lucca, e con tutto loro isforzo, vennono per soccorrere
il detto castello, e furono sconfitti da' Sanesi; e
poi ebbono il detto castello i Sanesi. E in questo
stante dell'oste de' Sanesi i Massetani si rubellarono
dalla loro signoria, e cacciarono di
Massa la podestà
di Siena, e la casa de'
Ghiozzi e loro seguaci e parte,
e dieronsi
a' Pisani.
L. 11, cap. 187 rubr.Come i Catalani co· lloro armata vennono sopra Genova,
per la qual cosa i Genovesi co' loro usciti feciono
pace.
L. 11, cap. 187Nel detto
anno,
a l'
entrante d'
agosto, i Catalani
con armata di
XLII galee e
XXX legni armati vennono
nella riviera di
Genova e di Saona, e
arsonvi più castegli
e ville e manieri, e feciono
danno grande; né
però i Genovesi né que' di Saona non s'ardirono di
contastargli, per cagione ch'erano male in ordine e
peggio in accordo i Guelfi d'
entro e' Ghibellini di
fuori, ch'erano in Saona. E fatto per gli Catalani la
detta vergogna e
dammaggio
a' Genovesi e
a' loro
usciti, se n'andarono sani e salvi in Sardigna. Per la
detta venuta de' Catalani i Genovesi d'
entro e que'
di fuori parendo loro avere di ciò grande vergogna,
cercarono di fare pace tra lloro; e l'una parte e l'altra
mandarono grande e ricca ambasceria
a Napoli
al re
Ruberto,
commettendogli le loro questioni, e
pregandolo
gli
pacificasse insieme: il quale re Ruberto
diede fine
a la detta pace
a dì
VIII di settembre
MCCCXXXI, con
patti che gli usciti tornerebbono tutti
in
Genova, e
rendebbono tutte le fortezze di Saona e
della riviera che teneano
al Comune; e feciono loro
signore il detto re Ruberto di concordia di tutti que'
d'
entro e que' di fuori, oltre
al
termine ch'egli l'avea
in signoria da' Guelfi d'
entro per
III anni, e
dandogli
alle spese
del Comune
CCC cavalieri e
Vc sergenti
a la
guardia della terra e
del suo vicario, e 'l Castello di
Peraldo sopra
Genova, e
promisono d'essere contro
al Bavero, e contro
al re Giovanni, e contro
a ogn'altro
signore che passasse in Italia contra il volere
del
papa e della Chiesa e
del re Ruberto, rimanendo liberi
Ori e
Spinoli della
guerra
del re Ruberto
a
don
Federigo che tenea Cicilia, d'
aoperarne
a lloro volontà
d'atare l'una parte e l'altra, come
a lloro piacesse;
però ch'uno d'
Oria era amiraglio di quello di Cicilia,
e uno Spinola
del re Ruberto. E i Fiorentini mise il
re Ruberto nella detta pace, che gli usciti si teneano
per nimici de' Fiorentini, per l'aiuto ch'eglino aveano
fatto
al detto re contra loro, quand'erano all'assedio
di
Genova. La quale pace poco piacque
al re,
dubitando
forte della
potenzia de' Ghibellini tornando
nella
città, e assai il mostrò
a' Guelfi; ma eglino la
pur vollono. E poi di gennaio
MCCCXXXIII prolungarono
la signoria di
Genova
al re Ruberto per
V anni,
la qual pace e signoria per lo re poco tempo
durò,
che i Ghibellini la ruppono, e cacciarne fuori i Guelfi,
e tolsono la signoria
del re, come innanzi per gli
tempi si farà menzione.
L. 11, cap. 188 rubr.Come il legato di Lombardia fece assediare la città
di Forlì, e s'arendé a llui.
L. 11, cap. 188Nel detto
anno,
del mese d'
agosto, il legato
del
papa ch'era in Bologna fece fare oste
a la
città di
Forlì in
Romagna, la quale oste fece con forza di
MVc
cavalieri e popolo grandissimo; e
fecevi porre battifolli
perché non faceano le sue comandamenta, e
aveano cacciato il suo vicario e
tesoriere. E' Fiorentini,
con tutto fossono indegnati contro
al legato per
l'amistà e compagnia ch'avea presa col re Giovanni,
sì pur mandarono in aiuto della Chiesa ne la detta
oste
C cavalieri, e istettevi la detta oste infino all'uscita
d'ottobre. E poi partita l'oste, per
patti s'
arrenderono
al legato
a dì
XXI di novembre sotto certi
patti e
convenzioni, cioè di torre suo vicario e
tesoriere, e
pagare il censo solamente; ma le masnade de' loro
cavalieri
a la guardia della terra vollono
eleggere
que' della terra di Forlì
a lloro volontà, giurando ubbidenza
del detto legato.
L. 11, cap. 189 rubr.Come il duca d'Attene passò in Romania con gente
d'arme e non poté aquistare niente.
L. 11, cap. 189Nel detto
anno,
del mese d'
agosto all'uscita, il
duca
d'Attena, cioè
conte di Brenna, si partì da Brandizio,
e passò in
Romania con
VIIIc cavalieri franceschi
menati di
Francia gentili uomini, e
Vm pedoni toscani
al soldo vestiti insieme, la quale fu molto buona e
bella gente d'arme, per
racquistare sua terra che gli
occupavano que' della compagna. E co' detti cavalieri
il seguirono molta gente
del regno di Puglia. E come
fu di là, prese la terra dell'Arta, e molto
del paese,
casali e ville; e se i suoi nimici fossono venuti
a
battaglia di campo co· llui, di certo avrebbe
racquistato
suo paese e avuta vittoria, ch'egli avea seco molta
buona cavalleria da tenere campo
a tutti quegli di
quella
Romania,
Latini e Greci. Ma que' della compagnia
maestrevolemente si tennono alla guardia delle
fortezze, e non vollono uscire
a battaglia. Per la
qual cosa la cavalleria e gente
del
duca usi
a grandi
spese per lo bistento e lungo dimoro non potendo
avere battaglia,
istraccarono e non poterono durare;
e tornò in vano la 'mpresa
del
duca, che gli era costata
grande
tesoro, e per necessità si partirono tutti
del
paese col
duca insieme. Dissesi per gli savi infino che
si mosse, che se vi fosse ito con meno gente e di meno
costo tegnendosi
a
guerra guerriata e rinfrescata
gente, vincea suo paese e avea onore della 'mpresa.
L. 11, cap. 190 rubr.D'avenimenti di guerra da noi a que' di Lucca, onde
morì messere Filippo Tedici di Pistoia.
L. 11, cap. 190Nel detto
anno,
a dì
XIIII di settembre, essendo
quegli di
Buggiano
a ffare loro vendemmie con guardia
di
LXX cavalieri di que' di Lucca, la nostra gente
di Valdinievole, intorno di
CL cavalieri e pedoni assai,
uscirono loro adosso e sconfissongli e cacciarono
infino
al borgo di
Buggiano. In questa caccia, com'era
ordinato, vennono da
CC de' loro cavalieri da
Pescia,
e trovando i nostri sparti e seguendo i nimici,
percossono loro adosso e sconfissongli, e rimasono
de' nostri presi
V conastaboli, e da
L e più cavalieri.
E poi
a dì
XXI del detto mese, partendosi di Lucca
CC cavalieri e
M pedoni
a la
condotta di messer
Filippo
de'
Tedici di Pistoia per pigliare il castello di
Popiglio
de la montagna di Pistoia, che
dovea loro essere
dato, e iscesi i cavalieri
a piè, perch'era
stretto luogo,
entrarono nel castello lasciando di fuori i
cavagli.
Quegli
del castello che non
sentirono il trattato francamente
gli
ripinsono fuori; que'
del paese d'intorno
trassono
a' valichi e
a' forti passi delle montagne, e
presono i loro
cavagli e misongli in isconfitta; e fuvi
morto da'
villani, com'era degno, il detto messer
Filippo
traditore di Pistoia e più altra buona gente, e
presi più di
C cavagli. E poi il marzo vegnente que'
di Lucca ch'erano in
Buggiano misono aguato per pigliare
Massa in Valdinievole. Per la gente de' Fiorentini
ch'erano in Montecatini, sentito, uscirono loro
adosso e sconfissongli, e rimasono di loro assai presi
e morti, e
IIII bandiere da cavallo ne vennono prese
a
Firenze. E così va di
guerra guerriata, che talora
nell'uno luogo si perde e nell'altro si guadagna.
L. 11, cap. 191 rubr.Come il marchese di Monferrato tolse Tortona al re
Ruberto.
L. 11, cap. 191Nel detto anno, del mese di settembre, il marchese
di Monferrato con sua forza entrò ne' borghi e
terra di Tortona in Piemonte, la quale gli fu data da'
cittadini; e la gente che v'era dentro per lo re Ruberto,
ond'era capitano messere Galeasso fratello bastardo
del detto re, e' si ridussono nella città e rocca
di sopra, e poi non potendo tenere la città di sopra
che non era bene fornita, sì ll'abandonarono co· lloro
vergogna, e rimase alla signoria del marchese.
L. 11, cap. 192 rubr.Come il fiume del Po ruppe gli argini di Mantovani.
L. 11, cap. 192Nel detto
anno,
del mese d'ottobre,
crebbe il fiume
del
Po in Lombardia sì diversamente, che ruppe
in più parti degli argini di
mantovana e di
ferrarese,
e guastò molto paese, e
morirvi
anegando
Xm persone
tra piccoli e grandi.
L. 11, cap. 193 rubr.Quando si ricominciò a lavorare la chiesa di Santa
Reparata di Firenze, e fu grande dovizia quello anno.
L. 11, cap. 193Nel detto
anno e mese d'ottobre, essendo la
città
di
Firenze in assai tranquillo e buono stato, si ricominciò
a lavorare la chiesa maggiore di Santa Reparata
di
Firenze, ch'era stata lungo tempo
vacua e sanza
nulla operazione per le varie e diverse guerre e
ispese avute la nostra
città, come adietro s'è fatta
menzione, e
diessi in guardia per lo Comune la detta
opera all'
arte della lana, acciò che più l'avanzasse, e
istanziòvi il Comune gabella di danari
II per libbra
d'ogni
danaro ch'uscisse di camera
del Comune, come
anticamente era usato, e oltre
a cciò ordinarono
una gabella di danari
IIII per libbra sopra ogni
gabelliere
della somma che comperasse gabella dal Comune,
le quali
due gabelle montavano l'
anno libbre
XIIm
di piccioli. E' lanaiuoli ordinarono ch'ogni fondaco e
bottega di tutti gli artefici di
Firenze tenessono una
cassettina ove si mettessono il
danaro di Dio, di ciò
che si vendesse e comperasse; e montava l'
anno
al
cominciamento libbre
IIm. E di queste
entrate si forniva
la detta opera. E in questo
anno fu in
Firenze
grande
divizia e ubertà di vittuaglia; e valse lo
staio
del grano colmo soldi
VIII di piccioli di libbre tre
il fiorino d'oro, che fu tenuto gran maraviglia alla disordinata
carestia stata l'
anno
del
MCCCXXVIIII e poi
del
MCCCXXX, come dicemmo adietro. E in questi
tempi si feciono in
Firenze molti buoni ordini e
adirizzamento sopra ogni vittuaglia, e ogni carne e
pesce si
dovesse
vendere
a peso, e ogni
volatio certo
pregio convenevole; e sopra cciò vi feciono uficiale,
e misono pene chi non l'osservasse.
L. 11, cap. 194 rubr.Di guerra che fu mossa in Buemmia al re Giovanni.
L. 11, cap. 194Nel detto
anno,
del mese di novembre, essendo il re
Giovanni andato in Buemmia, raunò suo isforzo
coll'
aiuto dell'arcivescovo di Trievi suo
zio e
del
dogio
di Chiarentana suo cognato, e trovossi con più di
Vm
cavalieri, per cagione che 'l re di Pollonia e lo re
d'Ungheria e 'l
dogio d'
Ostericchi suoi nimici, e ancora
con ordine
del Bavero, che per le 'mprese sue
di Italia gli voleva male, e re d'Ungheria
a petizione
del re Ruberto e suo
zio, e genero
del re di Pollonia,
aveano raunato grande
esercito di più di
XVm cavalieri
tra Tedeschi e
Ungheri per cavalcare in su i reame
di Buemmia e guastarlo. Le quali osti istettono
afrontati più giorni sopra la riviera di
ciascuno
dalla sua parte; poi per le 'mprese
del re Giovanni
gli
convenne partire per andare in
Francia. Per la
qual cosa il re Giovanni da' savi fu tenuto folle di
cercare
nuove imprese in Italia per lasciare in
periglio
il suo reame. Ma tutto ciò facea
a petizione
del
re di
Francia per certi grandi intendimenti, come per
lo 'nanzi leggendo si potrà comprendere. E partito
lui di
Boemmia, i suoi nimici valicarono in suo reame,
e per
due volte sconfissono la gente
del re Giovanni
con grande guastamento di suo paese; e più
l'avrebbono guasto, se non fosse la forte vernata che
gli fece partire.
L. 11, cap. 195 rubr.Come il re di Francia promise di fare il passaggio
oltremare.
L. 11, cap. 195Nel detto
anno, per la
pasqua della Natività di
Cristo, il re
Filippo di
Francia piuvicò in Parigi dinanzi
a' suoi baroni e prelati com'egli
imprendea di
fare il passaggio d'oltremare per
racquistare la Terrasanta
dal marzo vegnente
a
due
anni, domandando
a' prelati e comunanze di suo reame aiuto e
susidio
di moneta; e richiese i
duchi e'
conti e' baroni che
s'
ordinassono d'andare co· llui; e mandò suoi ambasciadori
a
Vignone
a papa Giovanni
a
notificare
a llui e
a' suoi cardinali la sua impresa, richeggendo la
Chiesa per
XXVII capitoli grandi
susidii e grazie e
vantaggi,
intra' quali ebbe di molti
sconvenienti e oltraggiosi.
Intra gli altri volea tutto il
tesoro de la
Chiesa e le
decime di tutta
Cristianità per
VI anni,
pagando in tre, e in suo reame le
'nvestiture e
promutazioni
d'ogni benificio
eccresiastico; e domandava
titolo
del reame d'Arli e di Vienna per lo figliuolo;
e che d'Italia volea la signoria per messere
Carlotto
suo fratello. Perché 'l papa né' suoi cardinali la
maggiore parte non gli vollono accettare, rispondendo
che passati erano
XL anni che i suoi anticessori
aveano aute le
decime
del reame per lo passaggio, e
consumatele in altre guerre contra i Cristiani, ma
che re seguisse sua impresa, e alla sua mossa la
Chiesa gli
darebbe ogni aiuto che si
convenisse temporale
e spirituale
al
sussidio
del santo passaggio;
per le quali
domande e risposte si cominciò alcuno
isdegno tra la Chiesa e 'l re di
Francia.
L. 11, cap. 196 rubr.Come gli Aretini vollono prendere Cortona.
L. 11, cap. 196Nel detto anno, all'uscita di gennaio, messer Piero
Saccone de' Tarlati signore d'Arezzo per avere la città
di Cortona certo trattato e tradimento ordinò con
messer Guccio fratello di messer Rinieri di che
n'era signore, promettendogli più vantaggi; e il detto
per discordia ch'avea col fratello, perché nol trattava
come volea, aconsentì al detto tradimento. E cavalcarvi
gli Aretini di notte, ma discoperto il tradimento,
il detto messer Guccio dal fratello fu preso, e de'
suoi seguaci cittadini che co· llui intendeano al tradimento,
in quantità di più di XXX, furono impiccati a'
merli delle mura della terra al di fuori, e il detto messer
Guccio fu messo in oscura pregione, nella quale
con grande stento, com'era degno, finì sua vita.
L. 11, cap. 197 rubr.
Come gli usciti di Pisa vennono sopra Pisa, e come i
Fiorentini mandarono loro soccorso.
L. 11, cap. 197Nel detto
anno,
a dì
VIIII di gennaio, avendo gli
usciti di
Pisa, ond'era capo il vescovo che fu d'
Ellera
in
Corsica, fatta lega co' Parmigiani e con certi Ghibellini
di
Genova, ond'era capo Manfredi de'
Vivaldi,
che tenne il castello de
Lerici, e ancora con gente
di Lucca, i quali furono in quantità di
Vc cavalieri e
popolo assai, e presono più terre de' Pisani di là dal
fiume della
Magra, e corsono sopra
Serrezzano, e poi
vennono iscorrendo infino presso di
Pisa. Onde i Pisani
furono in grande gelosia e paura di loro cittadini
d'
entro, amici e partefici di loro usciti; e
dì e notte
stavano sotto l'arme, e chiuse le porte,
dubitando di
perdere la terra. Mandarono per più ambasciadori
l'uno apresso l'altro
al Comune di
Firenze pregando
che per Dio gli soccorressono, e mandassono di loro
cavalieri
a la guardia della terra, promettendo d'essere
sempre frategli e amici
del Comune di
Firenze.
Per la qual cosa i Fiorentini mandarono loro
CC cavalieri,
e
a Montetopoli, e
a l'altre castella de' Fiorentini
di Valdarno ne mandarono più di
Vc, che
a richiesta
de' Pisani andassono
a
Pisa o dove
a lloro bisognasse;
e giunti in
Pisa i detti cavalieri, i loro usciti
si ritrassono, e' Pisani mandarono fuori certi
confinati,
di cui
dubitavano, e la
città rimase in pace e
sanza sospetto. Il quale
servigio de' Fiorentini venne
a que' che reggeano
Pisa
a grande bisogno; che se
ciò non fosse stato, di certo si rubellava loro la terra,
e mutava stato.
L. 11, cap. 198 rubr.Come i Bolognesi si diedono liberamente a la Chiesa,
e come il legato fece uno castello in Bologna.
L. 11, cap. 198Nel detto
anno,
a dì
X di gennaio, per
procaccio e
segacità
del legato di Lombardia che dimorava in
Bologna, fece tanto che i Bolognesi si diedono per
loro
solenni
consigli
a perpetuo
privileggiati e liberi
sanza alcuno
patto o salvo
al papa e
a la Chiesa di
Roma, promettendo loro, e con
simulate
lettere di
papa Giovanni, che infra uno
anno il papa co la
corte
verrebbe
a stare in Bologna; e sotto questo inganno
cominciò
a fare fare uno forte e magno castello in
Bologna alla fine
del loro prato in su le
mura, dicendo
che ciò facea per l'abituro
del papa,
ordinandolo
a ogni atto d'abituro nobilemente
a cciò. E per sé fece
fare quasi un altro compreso di castello più infra
la terra, pigliando più case di cittadini, dicendo l'abiterebbe
egli venuto il papa. E fece segnare tutte le
liveree
dove
dovessono abitare tutti gli altri cardinali.
E tutto ciò fu fatto
ad
arte e simulatamente per fare
la detta fortezza per meglio
dominare i Bolognesi. I
Bolognesi per lo
vantaggio che s'
aspettavano vegnendo
in Bologna la
corte, che tutti speravano d'essere
ricchi, si lasciarono ingannare, e assentirono che si
facessono la detta fortezza e castello in Bologna, e
mandarono loro
solenni ambasciadori de' maggiori
cittadini e sindachi apo
Vignone
al papa,
dandogli
per
solenne
obbrigagione liberamente la signoria, e
pregandolo da parte
del loro Comune l'avacciamento
della sua venuta alla sua
città di Bologna. I quali
ambasciadori e sindachi dal papa furono ricevuti
graziosamente, e accettata per la Chiesa la loro obrigagione,
promettendo loro più volte il papa in piuvichi
concestori di venire infra l'
anno
a Bologna
fermamente.
La quale promessa fu disimulata e infinta, e
non s'attenne per lo papa, onde fu ripreso da tutti i
Cristiani che 'l seppono, che già promessa di papa
non
dee essere
mendace sanza necessaria cagione, la
quale non fu in lui. Ma la divina providenza non
dimette
la giustizia della sua
pulizione
a chi manca fede
e con frode e inganno; che poco tempo apresso il
sopradetto legato compiuto il detto castello, e quando
più
groliava e
trionfava, la sua oste fu sconfitta
a
Ferrara, e i Bolognesi si rubellarono da la Chiesa, e
lui cacciarono di Bologna, e il detto castello tutto
disfeciono e abatterono, come innanzi faremo menzione.
L. 11, cap. 199 rubr.Come il legato fu fatto conte di Romagna ed ebbe libera
la città di Forlì.
L. 11, cap. 199Nell'
anno
MCCCXXXII papa Giovanni fece
conte di
Romagna i legato, e que' di Forlì gli diedono liberamente
la signoria de la terra, e
entròvi dentro il detto
legato con più di
MVc cavalieri di sua gente
a grande
trionfo e onore, con intenzione di vicitare tutte le
terre di
Romagna, e poi andare ne la Marca; ma rimase,
dubitando di Bologna per certe
novità ch'aparvono
in Lombardia, come poco apresso faremo
menzione.
L. 11, cap. 200 rubr.Come il Comune di Firenze ordinò di fare la terra
di Firenzuola oltre alpe.
L. 11, cap. 200Nel detto
anno, avendo i signori
Ubaldini
disensione
e
guerra insieme,
ciascuna parte
a gara mandando
al Comune di
Firenze di volere tornare
a l'ubidienza
e
a la signoria
del Comune,
traendogli di
bando, per gli Fiorentini fu accettato; ma
ricordandosi
che per molte volte s'erano
riconciliati per simile
modo col Comune di
Firenze, e poi
rubellatisi
a lloro
posta e
vantaggio, come si può trovare per adietro,
si provide per lo detto Comune di fare una grossa
e forte terra di là dal giogo dell'alpe in sul fiume
del
Santerno, acciò che i detti
Ubaldini più non si
potessono rubellare, e'
distrittuali contadini di
Firenze
d'oltre l'alpe fossono liberi e franchi, ch'erano servi
e fedeli de' detti
Ubaldini; e chiamarono
a fare fare
la detta terra
sei grandi popolani di
Firenze con
grande balìa intorno
a cciò. E essendo i detti uficiali
in sul palazzo
del popolo co' signori priori insieme in
grande contasto, come si
dovesse nominare la detta
terra, e chi dicea uno nome e chi un altro, noi autore
di questa opera trovandone tra lloro,
dissi: «Io vi dirò
uno nome molto bello e utole, e che si confà
a la
'mpresa, però che questa fia terra
nuova e nel cuore
dell'alpe, e nella forza degli
Ubaldini, e presso alle
confini di Bologna e di
Romagna; e s'ella nonn ha
nome che
al Comune di
Firenze ne caglia e
abbiala
cara,
a' tempi aversi di
guerra che possono avenire,
ella fia tolta e rubellata ispesso; ma se lle porrete il
nome ch'io vi dirò, il Comune ne sarà più geloso e
più sollecito
a la guardia: perch'io la
nominerei,
quando
a voi piacesse,
Firenzuola».
A questo nome
tutti inn accordo sanza alcuno contasto furono
contenti,
e il
confermarono, e per più aumentare e
favorare
il suo stato e
potenza le diedono per insegna e
gonfalone mezza l'arme
del Comune, e mezza quella
del popolo di
Firenze; e ordinarono che la maggiore
chiesa di quella terra, conseguendo
al nome, si chiamasse
San
Firenze; e feciono franco chi l'abitasse
X
anni, recando tutte le genti vicine e ville d'intorno
ad
abitarla, e
traendogli d'ogni
bando di Comune; e ordinarvi
mercato uno dì della
semmana. E cominciossi
a
fondare
al nome di Dio
a dì
VIII d'
aprile
del detto
anno quasi alle
VIII ore
del dì, provedutamente
per istrolagi, essendo ascendente il
segno
del
Leone,
acciò che lla sua
edificazione fosse più ferma e forte,
e stabile e potente.
L. 11, cap. 201 rubr.
Come i Turchi per mare guastarono gran parte di
Grecia.
L. 11, cap. 201Nel detto anno, del mese di maggio e di giugno, i
Turchi armarono CCCLXXX tra barche grosse e legni
con più di XLm Turchi, e vennono per mare sopra
Gostantinopoli, e combatterollo, e avrebbollo avuto,
se non fosse l'aiuto de' Latini e Genovesi e Viniziani.
E poi guastarono più isole d'Arcipelago, e menarne
in servaggio più di Xm Greci; e que' di Negroponte
per paura si feciono tributari, onde venne in ponente
grande cramore al papa e al re di Francia e agli altri
signori de' Cristiani; per la qual cosa s'ordinò per loro
che l'anno seguente si facesse armata sopra i Turchi,
e così si fece.
L. 11, cap. 202 rubr.Come que' della Scala tolsono al re Giovanni la città
di Brescia e di Bergamo, e come s'ordinò lega da noi
a' Lombardi.
L. 11, cap. 202Nel detto
anno, parendo
a' Guelfi della
città di
Brescia male stare sotto la signoria
del re Giovanni,
per l'antica
nimistà avuta
collo imperadore
Arrigo
suo padre, e per
dispetto d'uno forte castello ch'egli
avea fatto fare
al disopra della terra per tenergli più
suggetti, sì trattarono
cospirazione e di dare la terra
a' signori della Scala da Verona, promettendo loro di
mantenergli in loro stato, e di cacciarne la parte ghibellina,
che teneano col re Giovanni, e così
aseguiro:
che
a dì
XIIII del mese di giugno cavalcato là messer
Mastino della Scala con
XIIIIc di cavalieri e popolo
grandissimo, e i Guelfi della terra cominciarono il
romore con armata mano, gridando: «
Muoiano i
Ghibellini e il re Giovanni, e vivano i signori della
Scala!»; e combattendo contra loro, apersono alcuna
porta della terra ch'era in loro podere, e per quella
vi misono messer Mastino e sua gente, e cacciarne
i Ghibellini e la gente
del re Giovanni; e assai ne furono
presi e morti, salvo quegli che scamparono nel
castello, o si fuggirono della terra.
Al quale castello
si puose l'assedio, e fu tutto affossato e steccato intorno,
e tennesi per la gente
del re Giovanni infino
a
dì
IIII del mese di luglio, ch'aspettavano soccorso dal
figliuolo
del re Giovanni ch'era
a Parma, il quale non
s'ardì di venire sentendo la
potenza di messer Mastino,
e ch'egli avea la terra, per la qual cosa s'
arenderono,
salve le persone. E poi il detto messer Mastino
il settembre vegnente per simile modo tolse la
città
di Bergamo
a la gente
del re Giovanni, e fecesi la lega
già trattata da' detti signori della Scala, e quello di
Melano, e quello di Mantova, e' marchesi da
Ferrara
col re Ruberto e col Comune di
Firenze contra
al Bavero
e
al re Giovanni, o chi gli
desse aiuto o favore; e
avere gli amici per amici, e' nimici di
ciascuno per
nimici, non
traendone imperio né Chiesa. La quale
lega fu ordinata di
IIIm cavalieri;
VIc al re Ruberto e
VIc cavalieri
al Comune di
Firenze, e
VIIIc cavalieri
a'
signori della Scala, e
VIc cavalieri
al signore di Milano,
e
CC cavalieri
al signore di Mantova, e
CC cavalieri
a' marchesi da
Ferrara, e
confermossi per ambasciadori
e sindachi con
solenni contratti e saramenti.
E fu in
patti che la lega
aterebbe conquistare
a messer
Azzo di Milano la
città di Chermona e 'l borgo
a
San
Donnino, e
a' que' della Scala la
città di Parma,
e
al signore di Mantova la
città di Reggio, e
a' marchesi
da
Ferrara la
città di
Modona, e
a' Fiorentini la
città di Lucca. E nota,
lettore,
nuova
mutazione di
secolo, che il re Ruberto capo di parte di Chiesa e
de' Guelfi, e simile il Comune di
Firenze,
allegarsi in
compagnia co' maggiori tiranni e Ghibellini d'Italia,
e spezialmente con messer
Azzo Visconti di Milano,
il quale fue
al
servigio di
Castruccio
a sconfiggere i
Fiorentini
ad Altopascio, e poi venire
a oste infino
a
la
città di
Firenze, come adietro facemmo menzione:
ma
a cciò
condusse il re Ruberto e' Fiorentini la
dubitazione
del Bavero e
del re Giovanni, e lo sdegno
preso col legato per la compagnia fatta col re Giovanni.
La quale lega da cui fu lodata e da cui biasimata,
ma
a ccerto ella fu allora lo scampo della
città
di
Firenze e la
confusione
del re Giovanni e
del legato,
come innanzi leggendo si troverrà.
L. 11, cap. 203 rubr.D'una grande punga fatta sopra Barga, e come i Fiorentini
la perdero.
L. 11, cap. 203Nel detto
anno, essendo i Lucchesi
colla gente
del
re Giovanni all'assedio di Barga in
Carfagnana, la
quale si tenea per gli Fiorentini, e
aveavi intorno più
battifolli e bastite con quantità di
VIIIc cavalieri e popolo
grandissimo, i Fiorentini sentendo ch'
a quegli
della terra
falliva la vittuaglia,
fecionvi cavalcare il loro
capitano della
guerra con tutta la loro cavalleria; e
partirsi di Pistoia
a dì
VII di luglio, e cavalcarono per
la
via della montagna; e giunti sopra Barga in nulla
guisa poterono fornire la terra per le tagliate e fortezze
che v'aveano fatte intorno i Lucchesi, e tornarsene
adietro con poco onore. Ma poi i Fiorentini volendo
vincere la
punga feciono compagnia con
Ispinetta
marchese, tutto fosse Ghibellino, ma nimico
era di que' di Lucca, e feciongli grandi
vantaggi di
moneta, e mandargli
CC cavalieri, e egli ne menò di
Lombardia da' signori della Scala e di Mantova altri
CC, sì che con
IIIIc cavalieri e popolo assai giunse in
Carfagnana sopra Barga dì
XII di settembre, promettendo
a' Fiorentini di fornirla per forza. I Fiorentini
d'altra parte si mossono di Pistoia
a dì
VII di settembre
in quantità di
VIIIc cavalieri e popolo assai, e presono
il Cerruglio, e Vivinaia, e
Montechiaro con intendimento
che' Lucchesi si levassono da Barga; e se
a quegli fossono rimasi, e
afforzatigli e forniti,
a certo
aveano vinta la
guerra di Lucca, però che sono sì
sopra
a Lucca, che ogni dì gli poteano correre infino
a le porte. Ma veggendo che' Lucchesi non si partivano
dall'assedio, anzi quello rinforzaro, e
cavalcatovi
messer Simone
Filippi vicario
del re Giovanni con
tutta la forza rimasa in Lucca, e fatto venire cavalieri
da Parma, i Fiorentini
abandonarono il Cerruglio e
quell'altre fortezze di sopra Lucca, e cavalcarono in
Carfagnana
al soccorso di Barga, e
a quello pugnarono
dall'una parte e Spinetta dall'altra con ogni forza
e ingegno; e richeggendo di battaglia messer Simone
Filippi, il quale
colla sua gente era sì afforzato, che i
Fiorentini né Spinetta si poteano loro apressare; e
veggendo che lla terra non si potea più tenere, non
volle combattere, onde i Fiorentini perderono la
punga, e partirsi e tornarsi
a Pistoia, e Spinetta nelle
sue terre, e Barga s'
arendé
a' Lucchesi salve le persone
a dì
XV d'ottobre. Di questa impresa i Lucchesi
montarono assai nella
guerra, e' Fiorentini ne calarono;
e grande
ripitio n'ebbe in
Firenze contro
a
coloro
che reggeano la terra; l'una che la 'mpresa fu folle
a tenere terra così di lungi e con poco utile, e ispiacque
infino
al
cominciamento
a' più de' Fiorentini, e
al principio si poteva fornire per ispesa di
IIIc fiorini
d'oro, e quegli ch'allora erano
al priorato
nol seppono
fare; e poi
costò
al Comune di
Firenze più di
Cm
fiorini d'oro sanza la vergogna. E nota che sempre è
riuscito male
al Comune di
Firenze
a fare le 'mprese
isformate e da lungi; e leggendo questa per adietro si
troverrà manifesto.
L. 11, cap. 204 rubr.Come i Genovesi co· lloro armata corsono la Catalogna.
L. 11, cap. 204Nel detto
anno,
a dì
XX d'
agosto, si partirono di
Genova
L galee armate e
VI legni di Genovesi per andare
sopra i Catalani, per fare vendetta della venuta
che feciono l'
anno dinanzi sopra la riviera di
Genova;
e giunti in Catalogna la corsono tutta, le loro riviere,
e simile l'isola di
Maiolica e di
Minorica, e feciono
grandi guasti e ruberie in più parti sanza nullo
contasto, e presono
V galee di Catalani, le quali per
paura percossono
a terra, e gran parte de la gente
lo scamparono, e le
galee arsono, e tornarono
a
Genova
sani e salvi
a dì
XV d'ottobre
MCCCXXXII con grande
onore.
L. 11, cap. 205 rubr.Come e perché il Comune di Firenze condannò il
Comune di San Gimignano.
L. 11, cap. 205Nel detto anno, a dì X di settembre, avendo la podestà
di San Gimignano con più gente della terra
con bandiere levate corso sopra i loro usciti alla villa
di Campo Urbiano del contado di Firenze, e quella
villa combatterono e arsono, perché riteneano i loro
usciti. Per la quale cosa indegnato il Comune di Firenze
feciono citare la detta podestà, overo capitano,
con più terrazzani di San Gimignano che furono nella
detta cavalcata, e non comparirono; onde fu condannato
in Firenze il Comune di San Gimignano in
libbre Lm, e la detta podestà, ch'era di Siena, e CXLVII
uomini di San Gimignano a essere arsi. E volendo il
Comune di Firenze far fare l'eseguizione alle loro
masnade, il Comune di San Gimignano chiesono misericordia
e perdono, rimettendosi a la mercé del popolo
e Comune di Firenze liberamente; per la qual
cosa fu loro fatta grazia e perdonato a dì X d'ottobre,
ribandendo i loro usciti, e rendendo i loro beni, e
amendando a que' di Campo Urbiano ogni loro
dammaggio a lloro stimo e degli ambasciadori di Firenze,
ch'andarono a vedere il guasto; e così fu fatto.
L. 11, cap. 206 rubr.
Come il capitano di Milano ricominciò guerra al legato
di Lombardia e al re Giovanni.
L. 11, cap. 206Nel detto anno, del mese d'ottobre, messer Azzo
di Milano avendo trattato d'avere la città di Chermona,
che si tenea per la Chiesa, e cavalcatavi sua gente,
ed entratine parte dentro a la terra per una porta
ch'a lloro fu data per gli traditori, per forza combattendo,
dalle masnade della Chiesa che v'erano ne furono
cacciati fuori, e rimasonne presi e morti. E poi
per questa cagione messer Azzo col signore di Mantova
con più di MVc cavalieri venne sopra la città di
Modona, e istettevi intorno per XX dì guastandola
d'intorno. Per la qual cosa in Bologna ebbe gran
paura e sospetto, e il legato ch'era in Romagna per
andare nella Marca tornò con sua gente a Bologna in
grande fretta, e con grande gelosia e paura di perdere
Bologna.
L. 11, cap. 207 rubr.Di più fuochi apresi nella città di Firenze.
L. 11, cap. 207Nel detto
anno,
a dì
XIII di novembre, s'apprese
fuoco da San Martino nella
via che va in Orto San
Michele, e arsono
III case e la torre overo palazzo de'
Giugni con grande
danno di lanaiuoli, che in quelle
aveano loro botteghe, e
morirvi
IIII tra uomini e garzoni.
E la sera apresso s'aprese Oltrarno da casa i
Bardi, e arsono
II case. E quella medesima sera s'apprese
al canto di Borgo San Lorenzo, ma poco arse.
E poi
a dì
XVIIII di novembre s'apprese
al borgo
al
Ciriegio, e arse una casa. E
a dì
XXVI di gennaio di
mezzodì s'apprese fuoco contra il campanile vecchio
di Santa Reparata da la
via di
Balla, e arse una casa.
E nota che bene si mostra in
Firenze la 'nfruenza
del
pianeto di Mars, che in quella ha
potenza, che essendo
nel
segno
del
Leone sua
tripicitade, è
segno di
fuoco, che in poco più d'uno
anno tanti fuochi s'accesono
nella nostra
cittade, come appare qui, e poco
adietro e innanzi; overo che s'
appresono per
mala
provedenza e guardia; e
a questo si
dee dare più fede.
E non vi
maravigliate perché in questo nostro
trattato facciamo
ricordo d'ogni fuoco apreso nella
città di
Firenze, che all'altre
novità paiono piccolo
fatto; ma niuna volta vi s'aprende fuoco, che tutta la
città non si commuova, e tutta gente sia sotto l'arme
e in grande guardia.
L. 11, cap. 208 rubr.Come l'oste de' marchesi da Ferrara fu sconfitta dal
figliuolo del re Giovanni a San Filice.
L. 11, cap. 208Nel detto
anno, essendo
a oste la gente de' marchesi
da
Ferrara
coll'aiuto della lega di Lombardia in
quantità di
MC cavalieri e popolo assai sopra il castello
di San Filice nel
contado di
Modona, della quale
oste era capitano messer Giovanni da Campo
Sampiero
di Padova, e avendo il detto castello molto
stretto con battifolli,
Carlo figliuolo
del re Giovanni
si partì di Parma con sua gente, e venne
a
Modona
per soccorrere il detto castello, e il legato da Bologna
mandò la sua cavalleria intorno di
VIIIc cavalieri alle
frontiere di
Modona, comandando loro che
a richiesta
del detto
Carlo fossono contra i marchesi. Il detto
Carlo avendo
novelle come l'oste de' marchesi era
molto sparta e male ordinata, come franco
duca, sanza
attendere l'aiuto dalla gente
del legato, ma tuttora
gliene
crebbe vigore e baldanza, uscì di
Modona con
VIIIIc cavalieri molto buona cavalleria e con tutto il
popolo di
Modona; e giunto all'oste de' nimici subitamente
gli assalì, e
durò la battaglia dalla nona infino
passato vespro molto ritenuta.
A la fine la gente
de re Giovanni ebbono la vittoria, e di que' della lega
de' Lombardi vi rimasono tra morti e presi più di
Vc cavalieri e popolo assai; e rimasevi preso il detto
messer Giovanni e molti conostaboli; e ciò fu
a dì
XXV di novembre
del detto
anno; onde montò molto
la grandezza
del re Giovanni, e ancora i· legato ne
prese vigore; e perché
disamava i marchesi, perché
liberamente non gli vollono dare la signoria di
Ferrara,
e incontanente fece loro muovere
guerra, e ardere
la villa di
Consandoli; e' marchesi, tutto fossono
sconfitti, corsono in sul bolognese, e arsono la villa
di
Cierie.
L. 11, cap. 209 rubr.Come messer Azzo Visconti tolse la città di Pavia al
re Giovanni.
L. 11, cap. 209Nel detto
anno,
a l'uscita di novembre, messer
Azzo
Visconti capitano di Milano prese la
città di Pavia
che gli fu data da certa parte de' cittadini, la quale
tenea la gente
del re Giovanni, e
corsa la terra combattendo,
le masnade
del re Giovanni non poterono
risistere per la grande
potenza di que' di
Melano, si
ridussono nel forte castello il quale avea fatto fare
messer
Maffeo Visconti
anticamente quando signoreggiava
Pavia, e quello tennono francamente più di
IIII mesi, attendendo soccorso da Piagenza e da Parma
dal figliuolo
del re Giovanni e da la gente della
Chiesa, e ancora la venuta
del re Giovanni in Lombardia,
come aveano
promesso. Ma il detto castello
era tutto affossato e steccato
al di fuori per que' di
Milano, e con forti battifolli e bastite forniti di grande
cavalleria e grandissimo popolo. Ma venuto il re
Giovanni in Lombardia con grande
potenza di cavalleria,
come innanzi faremo menzione, venne all'
entrata
di marzo con più di
MD cavalieri
al soccorso
del
detto castello, e per forza d'arme ruppe alcuno battifolle
e isteccato, ma per la forza
del luogo pochissima
quantità di vittuaglia vi
poté mettere dentro. E
lui partito, poco tempo appresso
fallì
a quegli
del castello
la
vivanda; per la qual cosa uno
conte tedesco
che v'era dentro per lo re Giovanni s'
arendé possendosi
partire sano e salvo con sue genti; e così fece.
Della detta
punga molto
esaltò il capitano di Milano,
e 'l re Giovanni n'abassò.
L. 11, cap. 210 rubr.Come il re Giovanni andò a Vignone a papa Giovanni.
L. 11, cap. 210Nel detto
anno,
del mese di novembre, il re Giovanni
venne di
Francia
a
Vignone in
Proenza per
parlamentare con papa Giovanni, e in sua compagnia
menò più baroni e signori di
Valdirodano per
farsi fare salvocondotto, perché
dubitava di venire
nelle terre
del re Ruberto; e bisognavagli bene, che
per contastare la sua venuta il siniscalco di
Proenza,
messer
Filippo di
Sangineto, raunò in
Vignone più
di
VI cavalieri gentili uomini di
Proenza, e que' di
Vignone erano aparecchiati in arme
a suo
comandamento;
ma il papa
a
priego de' detti signori gli
diè licenzia
del venire sicuro, e comandò
al siniscalco che
non gli
dovesse offendere. E venuto il re Giovanni in
Vignone dinanzi
al papa, il papa gli fece grande asalto
di parole e minacce, riprendendolo delle sue imprese
delle terre di Lombardia e di Lucca, ch'aparteneano
alla Chiesa; ma tutto fu opera disimulata, però
che tutte sue imprese erano con ordine
del re di
Francia e
del legato di Bologna per abattere i tiranni
di Lombardia, e perché il re di
Francia per sé, overo
per messer
Carlotto suo fratello, il quale era sanza
reame, cercavano sagretamente col papa d'essere l'uno
di loro re in Italia. Il re Giovanni con infinte
scuse
si rimise
a la mercé
del papa, e
riconciliollo il papa
con seco com'era ordinato, e ristette in
corte più
di
XV dì,
ciascuno giorno
a
consiglio sagreto col papa,
ove ordinarono più cose segrete, che poco tempo
apresso partorirono, e le
congiure ordinate furono
palesi, come innanzi leggendo faremo menzione. E
partitosi il re Giovanni di
corte, se n'andò in
Francia
per seguire la traccia. Lasceremo alquanto degli andamenti
del re Giovanni per dire d'altre
novità di
Toscana, ma tosto torneremo
a sua materia, ch'assai
ne cresce tra mano.
L. 11, cap. 211 rubr.
Come i Sanesi sconfissono i Pisani, e poi i Pisani gli
cavalcarono infino presso a Siena.
L. 11, cap. 211Nel detto
anno, avendo i Pisani tolta la signoria di
Massa in Maremma, come addietro facemmo menzione,
i Sanesi co· lloro capitano, in quantità di
IIIc
cavalieri e popolo assai, cavalcarono
al soccorso d'uno
castello che' Pisani co' Massetani aveano assediato,
ond'era capitano messer
Dino della Rocca di Maremma
con
CC cavalieri e
M pedoni. Trovandogli i
Sanesi male ordinati, sì gli sconfissono
a dì
XVI di dicembre
nel detto
anno co· lloro grande
danno, e furonne
assai presi e morti, e fu preso il detto capitano.
E poi i Sanesi corsono la Valdera infino
a
Folcole
con grande
danno de' Pisani. Per la quale sconfitta
i Pisani adirati mandarono per soccorso
a Lucca e
a Parma, e
soldarono quanta gente poterono avere,
onde in poco tempo ebbono
VIIIc buoni cavalieri oltramontani,
e feciono loro capitano di
guerra
Ciupo
degli
Scolari uscito di
Firenze, il quale
del mese di
febbraio vegnente cavalcò in sul
contado di Siena infino
al piano di
Filetta, guastando e ardendo quanto
innanzi si trovarono sanza nullo contasto, e arsono il
bagno
a
Macereto, e poi tornarono in Valle di
Strova
e
a la
badia
a
Spugnole, e in quelle contrade feciono
il somigliante, e gli
scorridori corsono infino
a
Camposanto
presso
a
due miglia
a Siena, levando grandi
prede e faccendo
danno assai; e più avrebbono fatto,
se non che i Fiorentini mandarono delle loro masnade
CC cavalieri
a la guardia
del castello di
Colle, onde
i Pisani
dubitando si ritrassono, e tornarsi
a
Pisa
con grande onore. I Sanesi richiesono i Fiorentini
d'aiuto, e ch'eglino mandassono
a Siena le loro masnade
per volere combattere co' Pisani quand'erano
sopra loro. I Fiorentini
nol vollono loro dare per non
rompere pace
a' Pisani, e per
dubbio de' Fiorentini e
di loro
mercatantie ch'erano in
Pisa; onde i Sanesi
presono grande isdegno contra i Fiorentini, e tutta
l'onta e vergogna e
danno ricevuto da' Pisani si riputarono
avere ricevuto da' Fiorentini, perché non gli
aveano soccorsi.
L. 11, cap. 212 rubr.Come il figliuolo del re Giovanni venne a Lucca, e
come il detto re Giovanni tornò in Lombardia.
L. 11, cap. 212Nel detto
anno, in calen di gennaio,
Carlo figliuolo
del re Giovanni venne di Parma
a Lucca, e da'
Lucchesi gli fu fatto grande onore sì come
a re e
a lloro
signore, ma poco vi dimorò in Lucca: ma innanzi
ch'egli si partisse volle da' Lucchesi
XLm fiorini
d'oro, ma
a la fine con grande fatica e
renzione de'
cittadini n'ebbe
XXVm; sì che la festa che' Lucchesi
feciono della sua venuta tornò loro in amarore e
danno. E ciò fatto, il detto
Carlo si tornò in Lombardia
per vedere il re Giovanni suo padre, il quale tornava
di
Francia, ed era venuto
a Torino all'uscita di
gennaio col conastabole
del re di
Francia, e col
conte
d'
Armignacca, e con quello di Forese, e col maliscalco
di
Mirapesce, e più altri signori e baroni, e con un
fioretto di
VIIIc cavalieri eletti di
Francia e di Borgogna
e di
Valdirodano. E dissesi ch'avea avuto da re
di
Francia o in
dono overo in
presto
Cm fiorini d'oro.
E giunse in Parma
a dì
XXVI di febbraio, e là si trovò
col figliuolo con più di
IIm buoni cavalieri, sanza
Vc
che di sua gente avea nella
città di Lucca. E per soccorrere
il castello di Pavia e ricoverare la terra si partì
di Parma
a dì
X di marzo con
MD cavalieri, e fece
la
punga
a Pavia per lo modo che dicemmo adietro
nel
capitolo della
perdita ch'egli fece della
città di
Pavia. E non potendo fornire suo intendimento cavalcò
in sul
contado di Milano, e poi in su quello di
Bergamo, faccendo grande
dammaggio; ma però il
capitano di Milano non si volle partire da oste dal
castello di Pavia, né afrontarsi
a battaglia col re Giovanni,
il quale non potendo avere battaglia si tornò
a
Parma
a dì
XXVII di marzo.
L. 11, cap. 213 rubr.Come il legato mandò a' Fiorentini che ssi partissono
dalla lega de' Lombardi.
L. 11, cap. 213Nel detto
anno, dì primo di febbraio, vennono in
Firenze ambasciadori
del legato, pregando il nostro
Comune che si
dovessono partire dalla lega de' signori
di Lombardia, dicendo ch'erano tiranni e suoi
nimici e di santa Chiesa, e allegando molte autorità e
ragioni, che la nostra
città co· lloro non era né convenevole
né
bella compagnia, e ch'egli erano stati co'
nostri nimici
a
sconfiggerne. Fu loro risposto che ciò
non poteva essere che la lega rimanesse, però ch'ell'
era fatta con asentimento di papa Giovanni e
del re
Ruberto, e contro
al Bavero e contro
al re Giovanni
nostri nimici e di santa Chiesa; e che il legato non facea
bene
a tenere lega o
conversazione col re Giovanni.
E per la detta richesta
del legato
maggiormente
si
confermò la detta lega per l'avenimento
del re
Giovanni, con tanta forza di cavalleria quanta menava
d'oltramonti, avendo di lui e
del legato grande sospetto;
e videsi per opera, come per gli seguenti
capitoli
seguirà. E di certo, se lla detta lega non fosse
fatta e
mantenuta, la nostra
città portava grande
pericolo,
però che il legato col re Giovanni aveano ordinato
di cominciar
guerra da più parti per sottomettere
a lloro la nostra repubblica, ch'
a certo la maggiore
volontà che legato avesse era che' Fiorentini
gli si dessono come i Bolognesi, e ciò ch'egli adoperava
col re Giovanni era
a questo fine: e ciò si trovò
veramente per
lettere trovate, e per gli loro
osordi e
trattati; e però non fu follia
se' Fiorentini s'allegarono
col minore nimico per contastare
al maggiore e
più possente.
L. 11, cap. 214 rubr.Come l'oste del legato sconfissono i marchesi a
Consandoli, e poi puosono l'oste a Ferrara, e Fiorentini
vi mandarono soccorso.
L. 11, cap. 214Nel detto
anno,
a dì
VI di febbraio, la cavalleria e
gente
del legato ch'era in Argenta subitamente cavalcarono
a
Consandoli, ov'era la gente de' marchesi, e
coloro
virilmente assalirono e sconfissono, e presono
la villa e il porto e tutto il loro navilio; e fu preso
Niccolò marchese con
XL buoni uomini caporali con
grande
dammaggio e
perdita de' marchesi. Per la
quale sconfitta molto abassò lo stato de' marchesi, e
montò la signoria e
potenzia
del legato in tale modo,
che di presente sanza indugio, per
comandamento
del legato, la sua cavalleria, in quantità di
MD cavalieri
e popolo e navilio grandissimo, si puose
ad oste
sopra la
città di
Ferrara. E di presente presono il
borgo di contro e l'isola di San
Giosso, e poi di giorno
in giorno
crebbe l'oste; e
mandòvi il legato tutti i
caporali di
Romagna, e
al continovo erano nella detta
oste i
due quartieri
del popolo di Bologna e tutta
la loro cavalleria; e aveano compreso e quasi chiusa
la
città di
Ferrara e di qua e di là da
Po, sì che sanza
grande
pericolo non vi potea
entrare né uscire persona.
Onde
a' marchesi e
a que' della terra di
Ferrara
parea male stare, e molto isbigottirono per lo sùbito
improviso assedio, che non s'erano forniti e non si
credeano avere
guerra dal legato, e per la sconfitta
ricevuta
a San Filice erano molto
afieboliti. Ed era
per
perdersi la terra certamente, se non che mandarono
per soccorso
a' signori di Lombardia ch'erano
tenuti alla lega, e
al Comune di
Firenze. Per la qual
cosa i Fiorentini vi mandarono
IIIIc cavalieri della
migliore cavalleria ch'egli avessono, onde feciono capitano
messer Francesco degli Strozzi, e Ugo degli
Scali
colla 'nsegna
del Comune di
Firenze, il campo
bianco e 'l giglio
vermiglio, e di sopra l'arme
del re
Ruberto. E partirono di
Firenze
a dì
II di marzo, e
convenne che facessono per necessità, non potendo
andare né da Parma, né da Bologna, né per
Romagna,
la via per
mare
a
Genova con grande fatica e
ispendio, e poi da
Genova
a Milano, e poi
a Verona;
e là furono ricevuti da que' signori
a grande onore. E
la parte de' cavalieri che toccavano della taglia
al re
Ruberto, per non andare contro
a le
'nsegne della
Chiesa e
del legato, per grazia rimasono
a le
frontiere
da noi
a Lucca.
L. 11, cap. 215 rubr.Come il re Giovanni venne in Bologna al legato.
L. 11, cap. 215Nell'anno MCCCXXXIII, a dì III d'aprile, il re Giovanni
venne in Bologna al legato, e pasquò co· llui
con grande festa; de la quale venuta in Bologna del
re Giovanni molto si turbarono i Bolognesi, e male
ne parve loro; ma ciò non poterono riparare contro
la volontà del legato, anzi convenne loro pagare per
comandamento del legato al detto re Giovanni contro
a loro volere fiorini XVm d'oro. E promise al legato
d'andare con sua cavalleria nell'oste di Ferrara,
sentendo che la lega venia al soccorso e mandòvi innanzi
il conte d'Armignacca con IIIc de' suoi cavalieri
e le sue insegne, e tornò a Parma per ordinare sua
mossa. I Fiorentini veggendo scopertamente la lega
fatta tra re Giovanni e il legato, mandarono sagretamente
a' loro cavalieri che non si guardasse per loro
reverenza del legato, che l'aveano per loro nimico,
dapoi ch'era venuto il re Giovanni a Bologna, e presi
gaggi da llui, e mandata sua gente e sue insegne nell'
oste a Ferrara.
L. 11, cap. 216 rubr.
Come l'oste del legato ch'era all'assedio di Ferrara
fu sconfitta.
L. 11, cap. 216Essendo l'oste
del legato intorno
a
Ferrara molto
ingrossata, e più era per essere giugnendovi il re
Giovanni
colle sue forze come
dovea, quegli della lega
di Lombardia
dubitando che lla terra non si perdesse
per loro indugio
del soccorso, diliberarono di
soccorrerla innanzi che vi venisse il re Giovanni; e
mandarvi subitamente
XVIIc di cavalieri,
VIc de'
signori della Scala,
Vc cavalieri di que' di Milano,
CC
cavalieri
del signore di Mantova, e
XXV gazzarre armate
in
Po, e
IIIIc cavalieri
del Comune di
Firenze. E
venuta la detta cavalleria in
Ferrara quasi
sagreta
a
que' dell'oste, subitamente presono
consiglio d'assalire
l'oste; ma quella essendo molto afforzata di fossi
e di
palizzi,
ciascuna masnada rifiutava d'assalire da
quella parte, e in ciò ebbe tra lloro grande
contesa.
A
la fine i capitani che v'erano per gli Fiorentini francamente
promisono di fare la 'mpresa
coll'
avogaro di
Trevigi e Spinetta marchese, insieme con uno
fioretto
di
CL cavalieri delle masnade de' signori della Scala,
intra' quali avea più di
XL usciti di
Firenze gentili
uomini, i quali tutti di grande e buono volere sotto la
bandiera
del nostro Comune si ridussono, e non lasciando,
perché in quella fosse
al di sopra il rastrello
e l'arme
del re Ruberto. E uscirono per la porta che
va
a Francolino, per assalire l'oste da la parte ov'era
più forte di fossi e di steccati. Tutta l'altra gente della
terra
a cavallo e
a piè uscirono per la porta
del
Leone,
a uno cenno di campana, e simile il navilio
per
Po per assalire il ponte da San Gioso. L'asalto fu
forte e sùbito, ma niente
aprodava per le barre e tagliate
e fosse ch'erano tra la terra e l'oste, se non che
la gente de' Fiorentini cogli altri detti di sopra assalirono
al di dietro dell'oste, e per forza di
spianatori
feciono uno
stretto valico
al fosso e ruppono alquanto
dello steccato; il quale per lo sùbito e improviso
assalto da tante parti con grida e suono di
campane e
di stormenti, e quasi come
isbalorditi que' dell'oste,
male fu difeso, sì che con grande affanno quasi uno
innanzi altro salirono in su lo
spianato
del campo, i
quali schierati in sul detto campo trovarono ivi presso
il
conte d'
Armignacca, con quasi tutta la cavalleria
di Linguadoco e
colle
insegne
del re Giovanni in
quantità di
VIc cavalieri, i quali francamente i nostri
gli asalirono; e 'l
conte e sua gente si difesono e sostennono
vigorosamente con ritenuta battaglia più di
spazio d'una ora, non sappiendo qual parte s'avesse
il migliore; e in tutta la detta oste non ebbe altra
gente che punto reggesse o combattesse. Alla fine
per la nostra buona gente e buoni capitani, i quali
ciascuno fece il dì maraviglia in arme, ebbono la vittoria,
e que' dell'oste della schiera
del
conte furono
sconfitti e rotti. E ciò fatto, tutta l'altra oste si mise
in volta e in fugga; ma poco valse il fuggire, che per
lo fiume
del
Po, e per le
gazzarre e legni armati che
v'erano all'asalto, quasi non ne scamparono se non
pochi che si misono
a nuoto, che tutti furono o
presi
o morti o annegati in
Po; e cadde il ponte di San
Gioso per lo carico grande della gente che fuggia,
onde molti n'anegarono, e rimasevi preso il
conte
d'
Armignacca, e l'abate di
Granselva, e tutti i baroni
di Linguadoco, e' signori di
Romagna, e la cavalleria
di Bologna, che non furono morti
a la battaglia.
La detta
dolorosa sconfitta fu
a dì
XIIII d'
aprile
MCCCXXXIII, per la quale isconfitta molto abassò la
potenzia e signoria
del legato, e lo stato de· re Giovanni
molto n'
afiebolìo. E' signori di
Ferrara e le masnade
della lega tutti furono ricchi di pregioni e di
preda. Ma pochi dì apresso i marchesi per avere l'amore
de' Bolognesi lasciarono tutti i popolani di Bologna,
e poco apresso la cavalleria e' signori di
Romagna,
per
recarglisi
ad amici e torgli
al legato.
L. 11, cap. 217 rubr.Di fuochi e altre novità state nella città di Firenze.
L. 11, cap. 217Nel detto
anno
MCCCXXXIII s'apprese fuoco in
Firenze
dì
XVIIII d'
aprile di notte da la porta dell'
alloro
da Santa Maria Maggiore, e arsevi una casa. E poi
a
dì
XVII di luglio s'apprese in Parione, e
arsene un'altra.
E in questo
anno si cominciò
a
fondare la grande
porta da San Friano, overo da Verzaia, e fu molto
isformata
a comparazione dell'altre della
città; e furonne
assai ripresi gli uficiali che lla feciono cominciare.
E in questo
anno, uno mese innanzi la festa di
san Giovanni, sì feciono in
Firenze
due brigate d'artefici,
l'una nella
via Ghibellina, tutti vestiti
a giallo,
e furono bene
CCC; e nel Corso de'
Tintori dal ponte
Rubaconte fu l'altra brigata vestiti
a bianco, e furono
da
Vc. E
durò da uno mese continuo giuochi e
sollazzi
per la
città, andando
a
due
a
due per la terra con
trombe e più stormenti, e
colle
ghirlande in capo
danzando, col loro re molto onorevolemente
coronato
e con
drappo
ad oro sopra capo, e alla loro
corte
faccendo
al continuo e
cene e
desinari con grandi e
belle spese. Ma la detta allegrezza poco tempo apresso
tornò in pianto e dolore, spezialmente in quelle
contrade, per cagione
del diluvio che venne in
Firenze,
e più
gravò là che in altra parte della
città, come
innanzi faremo menzione; e parve
segno per contrario
della futura aversità, sì come le più volte aviene
delle
false e
fallaci felicità temporali, che dopo la soperchia
allegrezza segue soperchio amarore. E ciò è
bene da notare per
assempro di noi e di chi apresso
di noi verrà.
L. 11, cap. 218 rubr.Di certi andamenti del re Giovanni a Bologna a richesta
del legato.
L. 11, cap. 218Nel detto
anno,
a dì
XV di maggio, dopo la detta
sconfitta da
Ferrara il legato
dubitando di suo stato
mandò per lo re Giovanni, il quale venne di Parma
a
Bologna
a parlamentare co· llui con
poca compagnia,
e tosto si partì con moneta ch'ebbe dal legato. Ma
poi
a dì
VIII di giugno ritornò
a Bologna con
IIm cavalieri
per andare in
Romagna, e fare soccorrere il
castello di
Mercatello in
Massa
Tribara ch'era assediato
dagli Aretini. Della quale venuta i Bolognesi
ebbono grande paura e sospetto, che 'l re Giovanni
non gli volesse signoreggiare, e
rimettervi i Ghibellini.
Ma dimorando lui in Bologna, gli Aretini ebbono
per
patti il detto castello per lo 'ndugio
del soccorso
del re Giovanni; e dissesi palese che 'l re Giovanni sì
come amico degli Aretini, e
a lloro
preghiera e per
animo di parte ghibellina, indugiò il soccorso. Per la
qual cosa il legato s'
indegnò co· llui, e partissi da Bologna
sanza suo congio
a dì
XV di giugno, e tornossi
in Parma. E poi
a dì
XVI di luglio il detto re Giovanni
venne alla
città di Lucca, e
fecevi fare
a' Lucchesi
una imposta di
XVm fiorini d'oro per pagare sua gente;
e quella ricolta,
a dì
XIII d'
agosto si partì di Lucca
egli e 'l figliuolo, e
andonne
a Parma.
L. 11, cap. 219 rubr.Come furono morti il conte dell'Anguillara e Bertoldo
degli Orsini da' Colonnesi.
L. 11, cap. 219Nel detto
anno,
a dì
VI di maggio, essendo stata
lungamente briga tra' Colonnesi e gli
Orsini di
Roma,
essendo il
conte dall'Anguillara con
Bertoldo di
messer
degli
Orsini suo cognato, vegnendo per
certo trattato d'accordo per accozzarsi con messer
Stefano della Colonna e con gli altri,
Stefanuccio di
Sciarra della Colonna con sua compagnia di gente
d'arme
a cavallo mise uno aguato fuori
del castello di
Cesaro, e improviso assalirono i detti
Bertoldo
Orsini
e il detto
conte, i quali di ciò non si guardavano
ed erano meno gente di loro. Veggendosi assalire si
difesono vigorosamente, ma per lo soperchio furono
rotti, e' detti
Bertoldo e il
conte morti, il quale
Bertoldo
era il più ridottato uomo di
Roma e il più valentre;
e di lui fu grande
danno, e molto ne furono
ripresi i Colonnesi, sì per lo
tradimento, e ancora
perché per quante guerre erano state tra gli
Orsini e'
Colonnesi insieme, mai in loro persone non s'erano
né morti né fediti, e questo fu
cominciamento di
molto male; e però n'avemo fatta menzione.
L. 11, cap. 220 rubr.Come i Saracini presono il forte castello di Giubeltaro
in Ispagna.
L. 11, cap. 220Nel detto anno, del mese di giugno, i Saracini di
Morrocco e quegli di Granata, sentendo che 'l forte
castello di Giubeltaro in Ispagna, che anticamente fu
loro, era male fornito di vittuaglia e per la carestia
ch'era al paese, e per certo trattato subitamente con
grande navilio e esercito di gente a cavallo e a piè vi
vennono per mare e per terra, e quello in pochi giorni
per tradimento del castellano ebbono a patti per
molti danari gli diedono; tutto fosse mal fornito, si
potea tenere tanto che fosse soccorso. Come il re di
Spagna il seppe, incontanente v'andò a oste con tutto
suo podere, e avrebbelo riavuto assai tosto, perché
ancora non era bene fornito per lo sùbito soccorso
del re di Spagna, se non che, come piacque a
Dio, per fortuna di mare il navilio del re di Spagna
partito di Sibilia col foraggio e fornimento dell'oste
soprastette più giorni, onde l'oste de' Cristiani ebbe
grande soffratta di vittuaglia, e per necessità gli convenne
partire; e se i Saracini di Granata l'avessono
saputo, non ne campava uomo, che non fosse morto
o preso. E partita la detta oste, III dì appresso vi
giunse il detto navilio col fornimento, ma il soccorso
fu invano. E così aviene sovente de' casi della guerra,
come dispone Idio per le peccata.
L. 11, cap. 221 rubr.
Come il re Adoardo il giovane sconfisse gli Scotti a
Vervicche.
L. 11, cap. 221Nel detto
anno,
a dì
XVIIII di luglio, essendo il re
Adoardo il giovane d'Inghilterra con grande oste
d'Inghilesi e d'altra gente sopra la
città, overo terra,
di Vervicche, ch'è
a'
confini tra l'Inghilterra e la Scozia,
gli Scotti per soccorrere la terra vi vennono col
loro re, ch'avea nome
Davit, figliuolo che fu
del valente
Ruberto di
Brus re di Scozia, onde adietro è
fatta menzione, e con tutto loro isforzo degli Scotti, i
quali sanza indugio s'affrontarono
a battaglia con
gl'Inghilesi. E per la buona cavalleria ch'avea il re
d'Inghilterra, e di
Fiandra e di Brabante e d'Analdo,
onde fu capitano messer Amerigo di
Bielmonte, mise
gli Scotti in isconfitta; e
rimasonvi tra morti e presi
più di
XXVm uomini, ch'erano quasi tutti
a piè. E avuta
il re d'Inghilterra la detta vittoria, pochi dì apresso
gli s'
arendé la terra di Vervicche liberamente. La
detta
guerra ricominciò in questo modo, come facemmo
menzione,
al tempo
del buono
Adoardo il
vecchio, avolo di questo giovane
Adoardo: grandi
guerre e battaglia furono intra llui e 'l re Ruberto di
Brus, onde poi fu pace; e morto il re Ruberto di
Brus rimase suo figliuolo il detto
Davit piccolo fanciullo;
e lui
cresciuto in età, il detto
Adoardo il giovane
gli diede per moglie la
serocchia, e coronollo
del reame di Scozia
faccendolo ugnere re, che mai
più niuno in
Iscozia fu unto e sagrato, riconoscendo
da llui il reame con certo omaggio. Il detto
Davit per
suduzione di
Filippo di
Valos re di
Francia si rubellò
dal re d'Inghilterra, e
colla moglie passò in
Francia;
per la qual cosa si
rinovellò l'antica
guerra tra gl'Inghilesi
e gli Scotti; onde il re d'Inghilterra cassò il
detto
Davit de· reame di Scozia, e
fecelo suo ribello,
ed
elesse e coronò per re di Scozia Ruberto di
Bagliuolo
consorto per nazione di Ruberto di
Brus, e
imprese la detta
guerra, onde nacque la detta sconfitta.
E tutto che 'l re d'Inghilterra avesse la vittoria
nella detta
guerra, morirono il
conte d'
Eriforte e
due
altri suoi
cugini e più altri grandi baroni d'Inghilterra.
Avemo
steso la detta ricominciata
guerra, perché
ne surse e nacque poi la grande
guerra tra 'l re di
Francia e d'Inghilterra, come innanzi farà menzione.
L. 11, cap. 222 rubr.Come il Dalfino di Vienna fu morto dalla gente del
conte di Savoia.
L. 11, cap. 222Nel detto
anno, all'uscita
del mese di luglio, essendo
il
Dalfino di Vienna
ad assedio dell'
Amperiera,
castello
del
conte di Savoia, con
MVc cavalieri tra di
sua gente e d'amici, volendo il detto
Dalfino fare dare
battaglia
al detto castello, e andando in persona
disarmato
proveggendo intorno
a quello, gli venne
uno quadrello di balestro grosso per tale modo che,
lui recato
al padiglione e
sferrato, passò di questa vita.
E però è follia
a' prencipi di mettersi
a sì fatte
cerche disarmati, che mettono
a
pericolo loro e tutta
loro oste. Ma per la
morte
del
Dalfino i suoi baroni e
cavalieri non
abandonarono l'assedio, ma come franchi
e valenti, tanto vi stettono ch'ebbono il castelletto
per forza, e quanti dentro vi trovarono tutti gli
manganarono fuori delle
mura; e poi corsono il paese
e terre di Savoia sanza contasto niuno. Apresso lui
fu fatto
Dalfino messer Uberto suo fratello, il quale
era
a Napoli col re Ruberto suo
zio, il quale venuto
in suo paese per
consiglio di papa Giovanni e
del re
Ruberto, per cagione che 'l re di
Francia domandava
al papa di volere il reame di Vienna e d'Arli, sì si
pacificò
col
conte di Savoia, perché il re di
Francia non
gli signoreggiasse.
L. 11, cap. 223 rubr.Come il re d'Ungheria venne a Napoli, e il figliuolo
isposò la figlia del duca di Calavra.
L. 11, cap. 223Nel detto
anno, l'ultimo dì di luglio,
Carlo Umberto
re d'Ungheria con Andreas suo secondo figliuolo
con molta baronia arrivaro alla terra di Bestia
in Puglia, e loro venuti
a Manfredonia, da messer
Gianni
duca di
Durazzo e fratello
del re Ruberto con
molta baronia furono ricevuti
a grande onore, e
conviati
infino
a Napoli; e là vegnendo, il re Ruberto gli
si fece incontro infino
a'
prati di Nola, basciandosi
in bocca con grandi
acoglienze, e
ordinovisi e fecesi
fare per lo re una chiesa
a onore di nostra Donna per
perpetua memoria di loro congiunzione. E poi giunti
in Napoli, si cominciò la festa grande, e fu molto
onorato il re d'Ungheria dal re Ruberto, il quale era
suo nipote, figliuolo che fu di
Carlo Martello primogenito
del re
Carlo secondo, il quale per molti si dicea
ch'
a llui succedea il reame di
Cicilla e di Puglia; e
per questa cagione parendone
al re Ruberto avere
coscienza, e ancora perch'era morto il
duca di Calavra
figliuolo
del re Ruberto; e nonn era rimaso di lui
altro che
due figliuole femmine, né re Ruberto non
avea altro figliuolo maschio, innanzi che 'l reame tornasse
ad altro lignaggio sì volle il re Ruberto che dopo
lui succedesse il reame
al figliuolo
del detto re
d'Ungheria suo nipote. E per
dispensagione e volontà
di papa Giovanni e di suoi cardinali sì fece sposare
al detto Andreas, ch'era d'età di
VII anni, la figliuola
maggiore che fu
del
duca di Calavra, ch'era
d'età di
V anni, e lui fece
duca di Calavra
a dì
XXVI di
settembre
del detto
anno con grande festa,
a la quale
il Comune di
Firenze mandò
VIII ambasciadori de'
maggiori cavalieri e popolani di
Firenze, con
L famigliari
tutti vestiti d'una assisa per fare onore
a' detti
re, i quali molto
gradiro. E compiuta la detta festa,
poco apresso si partì il re d'Ungheria e tornò in suo
paese, e lasciò
a Napoli il figliuolo co la moglie alla
guardia
del re Ruberto con ricca compagnia.
L. 11, cap. 224 rubr.
Come fu fatta pace tra' Pisani e' Sanesi.
L. 11, cap. 224Nel detto anno, a dì II di settembre, essendo stato
lungo trattato d'accordo da' Pisani a' Sanesi della
guerra avuta insieme per cagione della città di Massa,
menato per lo Comune e vescovo di Firenze, i
quali in ciò molto s'adoperaro, vi si diè compimento
nella città di Firenze, ov'era grande ambasceria dell'
uno Comune e dell'altro in questo modo: che Massa
rimanesse libera rimettendo dentro ogni parte che
n'era fuori, e non v'avessono affare né Pisani né Sanesi,
ma che il detto vescovo di Firenze vi mettesse
la signoria per tre anni a sua volontà, il quale al continuo
vi mettea signoria di Firenze; di questa pace
furono mallevadori per l'uno Comune e per l'altro il
Comune di Firenze, con pena di diecimila marchi
d'argento a pagare per la parte che lla pace rompesse
a l'altra. La quale pace poco tempo s'attenne per gli
Sanesi, come innanzi farà menzione.
L. 11, cap. 225 rubr.Come la città di Forlì e quella d'Arimino e di Cesena
in Romagna si rubellarono al legato.
L. 11, cap. 225Nel detto
anno
MCCCXXXIII,
domenica
a dì
XVIIII
di settembre, Francesco di
Sinibaldo
Ordilaffi, il
quale era cacciato di Forlì per lo legato,
entrò in
Forlì
nascosamente in uno
carro di fieno; e come fu
nella
città mandò per tutti i suoi amici, caporali della
terra, da' quali molto era amato per li suoi antichi; e
saputa la sua venuta, furono molto allegri, perché
parea loro male stare alla signoria de' Caorsini e di
Linguadoco. E incontanente feciono armare tutto il
popolo, e corsono
a la piazza gridando: «
Viva Francesco,
e muoia il legato, e chi è di Linguadoco!», e
corsono la terra, e rubarono gli uficiali
del legato, e
alquanti ne furono morti, e gli altri che scamparono
si fuggirono
a
Faenza. E poi il
mercoledì apresso,
a
dì
XXII di settembre, messer
Malatesta d'Arimino
con suoi seguaci
entrò in
Rimino con
CC cavalieri e
pedoni assai per una porta che gli fu data da que'
della terra, e
corse la terra, e uccisono e rubarono e
presono quanta gente v'avea dentro
del legato, ch'erano
più di cinquecento tra
a cavallo e
a piè, che non
ne
poté fuggire alcuno. E simile in que' dì si rubellò
la
città di Cesena per gli cittadini medesimi, salvo il
castello ch'era molto forte; in quello si ridussono le
masnade
del legato, ma quello assediato d'
entro e di
fuori per que' di Cesena e per gli altri Romagnuoli,
afossandolo e
steccandolo d'intorno, il quale non
avendo soccorso dal legato, s'
arrenderono poi all'
entrante
di gennaio, salve le persone. E nota che non
fu sanza cagione la detta
rubellazione; intra
ll'altre
maggiori fu perché tutti i signori e caporali di
Romagna
furono
presi alla sconfitta di
Ferrara in
servigio
della Chiesa e
del legato, e
convennonsi ricomperare,
e per loro redenzione il legato come ingrato signore
non li volle sovenire di niente, né solamente
prestare loro di sua moneta.
L. 11, cap. 226 rubr.
Come i figliuoli che furono di Castruccio vollono
torre Lucca al re Giovanni e come egli si partì d'Italia,
e lasciò Lucca a' Rossi di Parma.
L. 11, cap. 226Nel detto
anno avendo il re Giovanni di Buem intendimento
di partirsi d'Italia, veggendo che lle sue
imprese non gli
riuscivano
prospere come s'avisava,
essendo in Parma
cercò per più trattati di
vendere la
città di Lucca, e co' Fiorentini e co' Pisani e con altri.
Ma alla fine parendogli vergogna di ciò fare, non
vi diede compimento. Sentendo questo i figliuoli che
furono di
Castruccio,
dubitando di non perdere loro
stato, i quali il re Giovanni tenea seco
istadichi in
Parma per sospetto di loro,
nascosamente si partirono
di Parma e vennono in
Carfagnana, e co· lloro seguaci
di Lucca e di fuori ordinarono di torre e rubellare
la
città di Lucca
al re Giovanni. E
a dì
XXV di
settembre
del detto
anno la notte
entrarono in Lucca
con grande séguito di gente
a ccavallo e
a ppiè, e
corsono la terra, e furonne signori quello dì e
ll'altro
seguente, salvo
del castello dell'Agosta, nel quale si
ridussono le masnade
del re Giovanni ch'erano in
Lucca. Sentendo il re Giovanni la partita de' figliuoli
di
Castruccio e lla detta
cospirazione, subitamente si
partì di Parma con parte di sua gente, e in meno di
due dì fu venuto
a
lLucca; cioè fu lunedì sera
a dì
XXVII di settembre; e per lo sùbito avenimento di lui,
ch'
a pena si potea credere per gli Lucchesi se non
quando il vidono, e giunto in Lucca, la sua gente
corsono la terra; e lla notte medesima i figliuoli di
Castruccio e lloro seguaci si partirono di Lucca e
andarne
in
Carfagnana; i quali il re Giovanni fece
isbandire come traditori. E alquanti giorni apresso
dimorò in Lucca; ma innanzi si partisse trasse da'
Lucchesi quanta moneta
poté avere, e ppoi lasciò
a'
Rossi di Parma la guardia e lla signoria della
città di
Lucca, e
impegnolla loro per
XXXVm di fiorini d'oro
ch'ebbe da lloro
contanti, e tornato in Parma, incontanente
si partì col figliuolo e con certi caporali di
sua gente
a dì
XV d'ottobre
del detto
anno, e andossene
nella Magna lasciando Parma e
lLucca alla signoria
de' Rossi, e Reggio alla signoria di quegli da
Fogliano, e
Modona alla signoria di que' di casa i
Pigli,
e da
ciascuno ebbe moneta assai. Tale e così onorevole
fu la partita di Lombardia e di
Toscana
del re
Giovanni, ch'
al
cominciamento ch'egli venne in Italia
ebbe dalla
fallace fortuna tanta
prosperità con
poca
fatica, avendo ferma speranza d'essere in poco di
tempo
al tutto re e
ssignore d'Italia
coll'aiuto della
Chiesa e
del suo legato, e col favore
del re di
Francia,
la quale
al tutto gli tornò in vano.
L. 11, cap. 227 rubr.D'una grande quistione che mosse papa Giovanni
che l'anime beate non poteano vedere Iddio perfettamente infino al dì
del giudicio.
L. 11, cap. 227Nel detto
anno
MCCCXXXIII si piuvicò per papa
Giovanni apo
Vignone, con tutto che più di
due
anni
dinanzi l'avesse
conceputo e trovato, l'opinione
della visione dell'anime quando sono passate di questa
vita, cioè ch'egli
sermonò in piuvico
concestoro
per più volte dinanzi
a tutti suoi cardinali e prelati di
corte che niuno santo, eziandio santa Maria, non
può
perfettamente vedere la beata
speme, cioè Iddio
in trinitade, la qual'è la vera deitade, ma dicea che ssolo
possono vedere l'umanità di Cristo la quale prese
della vergine Maria; e lla detta visione imperfetta
dicie che
durerebbe infino
al chiamare dell'angelica
tromba, ciò fia quando il figliuolo di Dio verrà
a giudicare
i
vivi e' morti, dicendo
a' beati: «
Venite
benedicti
patris
mei,
percipite
regnum, etc
.»; e
de converso,
cioè
a'
dannati: «
Ite
maladetti in
ignem
etternum»;
d'allora inanzi per gli beati
perfettamente sarà
in loro la visione chiara della vera e infinita deità;
e così sarà il contradio delle pene de'
dannati, che sì
come per lo
merito
del bene fare infino
al detto giorno
la loro beatitudine fia imperfetta e non compiuta,
così
dicie e s'intendea
del male avere fatto la
pulizione
e lla pena e 'l
supplicio essere imperfetti. Onde
nota che non mostrava per lo suo
oppinione che inferno
sia infino
al dire della parola «
Ite
maladitti etc
.».
Questo suo oppenione provava e argumentava
per molte autorità e detti di santi; la quale quistione
dispiaceva alla maggiore parte de' cardinali; nondimeno
e' comandò loro e
a tutti i maestri e prelati di
corte sotto pena di scomunicazione che
ciascuno studiasse
sopra la detta quistione della visione de' santi,
e facessene
a llui relazione, secondo che
ciascuno
sentisse o
del
pro o
del contro, tuttora protestando
che infino allora nonn avea
diterminato
ad alcuna
delle parti, ma ciò che nne dicea e
proponea era per
via di disputazione e d'
esercizio di trovare il vero.
Ma con tutte le sue protestagioni di certo si dicea e
vedea per opera ch'egli sentiva e
credeva
al detto
oppinione;
però che qualunque maestro o prelato gli
recava alcuna autorità o detto di santi che in alcuna
parte
favorasse il detto suo
oppinione, il vedea volentieri,
e gli faceva grazia d'alcuno benificio. Il quale
oppinione
sermonandolo
a Parigi il ministro generale
de' frati minori, il quale era
del paese
del papa e
sua
criatura, fu riprovato per tutti i maestri di divinità
di Parigi, e per gli frati predicatori e
romitani e
carmelliti,
e per lo re
Filippo di
Francia il detto ministro
fu forte ripreso
dicendogli ch'egli era
eretico,
e che s'egli non si
riconoscesse
del detto errore, il farebbe
morire come paterino, però che suo reame
non
sostenea nulla
resia; ed eziandio se 'l papa medesimo
ch'avea mosso il detto falso
oppinione il volesse
sostenere, il
riproverebbe per
eretico, dicendo
laicamente, come fedele Cristiano, che invano si
pregherebbono
i santi, o
avrebbesi speranza di salute
per gli loro
meriti, se nostra Donna santa Maria e
santo Giovanni e santo Piero e Paolo e gli altri santi
non potessono vedere la deità infino
al dì
del giudicio,
e avere perfetta beatitudine in vita
etterna; e che
per quella oppinione ogni indulgenza e perdonanza
data per antico per santa Chiesa, o che si
desse, era
vana; la qual cosa sarebbe grande errore e guastamento
della fede cattolica. E
convenne che innanzi si
partisse il detto ministro
sermonasse il contradio, dicendo
che ciò ch'avea detto era in quistionando, ma
la sua
credenza era quella che santa Chiesa era consueta
di credere e predicare. E sopra ciò il re di
Francia e lo re Ruberto ne scrissono
a papa Giovanni
riprendendolo
cortesemente, che con tutto che 'l
detto
oppinione
sostenesse in quistionando per trovare
il vero, non si
convenia
a papa di muovere le
quistioni sospette contra la fede cattolica, ma chi le
movesse dicidere e
istirpare. Della qual cosa molto
furono
contenti la maggiore parte de' cardinali, i
quali
ripugnavano il detto
oppinione. E per questa
cagione il re di
Francia prese grande audacia sopra
papa Giovanni e no· llo richiedea di quella grazia o
cosa ch'egli domandasse, ch'egli osasse disdire. E fu
grande cagione perché papa Giovanni condiscese
al
re di
Francia in
dargli intendimento della signoria
d'Italia e dello imperio di
Roma per gli trattati mossi
per lo re Giovanni, come in alcuna parte avemo fatta
menzione, e faremo per lo 'nanzi. Il sopradetto oppinione
si
quistionò in
corte mentre che papa Giovanni
vivette, e poi per più d'uno
anno; alla fine si dichiarò
e fu riprovato, come innanzi leggendo si potrà
trovare. Lasceremo della detta quistione, ch'assai
n'avemo detto, e torneremo
a nostra materia de' fatti
della nostra
città di
Firenze per
contare d'una grande
aversità e
pericolo di diluvio d'acqua che venne in
quegli tempi in quella, la quale è bene da farne distesa
memoria, che fu delle maggiori
novità e
pericolo
che mai ricevesse la
città di
Firenze
dapoi ch'ella fu
rifatta. E però cominceremo in raccontando quello
diluvio il
XII libro, però che ne
pare che si
convenga,
però che fu quasi uno
rimutamento di secolo della
nostra
città.
L. 12, cap. 1 rubr.
Qui comincia il libro dodecimo, il quale, nel suo cominciamento
faremo memoria d'uno grande diluvio
d'acqua che venne in Firenze e quasi in tutta Toscana.
L. 12, cap. 1Nelli
anni di Cristo
MCCCXXXIII, il dì di calen di
novembre, essendo la
città di
Firenze in grande
potenzia,
e in felice e buono stato, più che fosse stata
dalli
anni
MCCC in qua, piacque
a Dio, come disse
per la bocca di Cristo nel suo Evangelio: «Vigilate,
che nnon sapete il
dìe né l'ora
del iudicio Dio», il
quale volle mandare sopra la nostra
città; onde quello
dì de la
Tusanti cominciòe
a
piovere diversamente
in
Firenze ed intorno
al paese e ne l'alpi e montagne,
e così
seguì
al continuo
IIII dì e
IIII notti,
crescendo
la
piova
isformatamente e oltre
a modo usato, che
pareano aperte le cataratte
del
cielo, e con la detta
pioggia continuando grandi e spessi e spaventevoli
tuoni e baleni, e caggendo
folgori assai; onde tutta
gente vivea in grande paura, sonando
al continuo
per la
città tutte le
campane delle chiese, infino che
non alzòe l'acqua; e in
ciascuna casa bacini o
paiuoli,
con grandi strida gridandosi
a Dio: «Misericordia,
misericordia!» per le genti ch'erano in
pericolo, fuggendo
le genti di casa in casa e di tetto in tetto, faccendo
ponti da casa
a casa, ond'era sì grande il romore
e 'l tumulto, ch'apena si potea udire il suono
del tuono. Per la detta pioggia il fiume d'Arno
crebbe
in tanta abondanza d'acqua, che prima onde si
muove scendendo de l'alpi con grande rovina ed
empito,
sì che sommerse molto
del piano di Casentino,
e poi tutto il piano d'
Arezzo,
del Valdarno di sopra,
per modo che tutto il coperse e scorse d'acqua, e
consumòe ogni sementa fatta, abbattendo e divellendo
li alberi, e mettendosi inanzi e
menandone ogni
molino e gualchiere ch'erano in Arno, e ogni
edificio
e casa presso
a l'Arno che fosse non forte; onde periro
molte genti. E poi scendendo nel nostro piano
presso
a
Firenze,
acozzandosi il fiume della Sieve
con l'Arno, la qual era per simile modo isformata e
grandissima, e avea allagato tutto il piano di Mugello,
non pertanto che ogni fossato che mettea inn
Arno parea un fiume, per la quale cosa giuovedì
a
nona
a dì
IIII di novembre l'Arno giunse sì grosso
a
la
città di
Firenze, ch'elli coperse tutto il piano di
San Salvi e di Bisarno fuori di suo corso, in altezza in
più parti sopra i campi ove braccia
VI e dove
VIII e
dove più di
X braccia; e fue sì grande l'
empito de
l'acqua, non potendola lo
spazio ove corre l'Arno
per la
città ricevere, e per cagione e difetto di molte
pescaie fatte infra la
città per le
molina, onde l'Arno
per le dette pescaie era alzato oltre l'antico letto di
più di braccia
VII; e però salì l'altezza de l'acqua alla
porta de la
Croce
a Gorgo e
a quella
del Renaio per
altezza di braccia
VI e più; e ruppe e mise in terra
l'
antiporto de la detta porta, e
ciascuna delle dette
porte per forza ruppe e mise in terra. E nel primo
sonno di quella notte ruppe il
muro
del Comune di
sopra
al Corso de'
Tintori incontro
a la fronte
del
dormentorio de' frati minori per
ispazio di braccia
CXXX; per la quale rottura venne l'Arno più
a pieno
ne la
città, e addusse tanta abondanza d'acqua, che
prima ruppe e guastò il luogo de' frati minori, e poi
tutta la
città di qua da l'Arno;
generalmente le rughe
coperse molto, e allagò ove più e ove meno; ma più
nel
sesto di San Piero Scheraggio e porte San Piero e
porte
del
Duomo, per lo modo che chi leggerà per lo
tempo avenire potrà comprendere i termini fermi e
notabili onde faremo menzione apresso. Nella chiesa
e
Duomo di San Giovanni salì l'acqua infino
al piano
di sopra de l'altare, più alto che mezze le colonne
del
profferito dinanzi
a la porta. E in Santa Liperata infino
a l'arcora de le volte vecchie di sotto
al coro; e
abbatté in terra la colonna co la croce
del
segno di
san
Zanobi ch'era ne la piazza. E
al palagio
del popolo
ove stanno i priori salì il primo grado della scala
ove s'
entra, incontro
a la
via di
Vacchereccia, ch'è
quasi il più alto luogo di
Firenze. E
al palagio
del
Comune ove sta la podestà salì nella
corte di sotto
dove si tiene la ragione braccia
VI. Alla
Badia di
Firenze,
infino
a piè de l'altare maggiore, e simile salì
a
Santa
Croce
al luogo de' frati minori infino
a piè de
l'altare maggiore; e in Orto San Michele e in Mercato
Nuovo salì braccia
II; e in Mercato Vecchio braccia
II, per tutta la terra. E Oltrarno salìo ne le rughe
lungo l'Arno in grande altezza, spezialmente da San
Niccolò, e in borgo
Pidiglioso, e in borgo San Friano,
e da Camaldoli, con grande
disertamento delle
povere e
minute genti ch'abitavano in terreni. In
piazza infino
a la
via traversa, e in via Maggio infino
presso
a San Felice. E il detto giuovidì ne l'ora
del
vespro la forza e
empito de l'acqua
del corso d'Arno
ruppe la pescaia d'Ognesanti e gran parte
del
muro
del Comune, ch'è
a lo 'ncontro e dietro
al borgo
a
San Friano, in
due parti, per
ispazio di braccia più di
Vc. E la torre de la guardia, ch'era in capo
del detto
muro, per
due
folgori fu quasi tutta abattuta. E rotta
la detta pescaia d'Ognesanti, incontanente rovinò e
cadde il ponte alla Carraia, salvo
due
archi dal lato
di qua. E incontanente apresso per simile modo cadde
il ponte da Santa Trinita, salvo una
pila e un arco
verso la detta chiesa, e poi il ponte Vecchio è
stipato
per la preda de l'Arno di molto legname, sì che per
istrettezza
del corso l'Arno che v'è salì e valicò l'arcora
del ponte, e per le case e botteghe che v'erano
suso, e per soperchio dell'acqua l'abatté e rovinò tutto,
che non vi rimase che
due
pile di mezzo. E
al
ponte Rubaconte l'Arno valicò l'arcora dal lato, e
ruppe le sponde in parte, e
intamolò in più luogora;
e ruppe e mise in terra il palagio
del castello
Altafronte,
e gran parte de le case
del Comune sopr'Arno
dal detto castello
al ponte Vecchio. E cadde in
Arno la statua di Mars, ch'era in sul pilastro
a piè
del
detto ponte Vecchio di qua. E nota di Mars che li
antichi diceano e lasciarono in iscritta che quando la
statua di Mars cadesse o fosse mossa, la
città di
Firenze
avrebbe gran
pericolo o
mutazione. E non sanza
cagione fu detto, che per
isperienza s'è provato,
come in questa
cronica farà menzione. E caduto
Mars, e quante case avea dal ponte Vecchio
a quello
da la Carraia, e infino alla gora lungo l'Arno rovinato,
e in borgo Sa· Iacopo, eziandio tutte le vie
lung'
Arno di qua e di là rovinaro, che
a riguardare le
dette rovine parea quasi uno caos; e simile rovinaro
molte case male fondate per la
città in più parti. E se
non fosse che la notte vegnente rovinò
del
muro
del
Comune dal prato d'Ognesanti da braccia
CCCCL per
la forza dell'acqua, la quale rottura
sfogò l'abondanza
della raccolta acqua, onde la
città era piena e tuttora
crescea, di certo la
città era in grande
pericolo, e
per montare l'acqua in tutte parti della
città il
doppio
che non fece; ma rotto il detto
muro, tutta l'acqua
ch'era ne la
città
ricorse con grande foga
a l'Arno,
e fu venuta quasi meno e nella
città fuori
del corso
d'Arno il venerdì
ad ora di nona, lasciando la
città
e tutte le vie e case e botteghe
terrene e volte
sotterra,
che molte n'avea in
Firenze, piene d'acqua di
puzzolente mota, che non si sgombrò in
sei mesi; e
quasi tutti i
pozzi di
Firenze guastò, e si
convennero
rifondare per lo
calo
del letto d'Arno. E seguendo il
detto diluvio apresso la
città verso ponente, tutto il
piano di
Legnaia, e d'
Ertignano, e di Settimo, d'Ormannoro,
Campi, Brozzi,
Sammoro,
Peretola, e
Micciole
infino
a
Signa, e
del
contado di Prato, coperse
l'Arno diversamente in grande altezza, guastando i
campi, vigne,
menandone
masserizie, e le case e
molina
e molte genti e quasi tutte le bestie; e poi passato
Montelupo e Capraia, e per la giunta di più fiumi
che di sotto
a
Firenze mettono in Arno, i quali
ciascuno
venne rabbiosamente rovinando tutti i loro
ponti. Per simile modo e
maggiormente coperse
l'Arno e guastò il Valdarno di sotto, e
Pontormo e
Empoli e Santa
Croce e Castelfranco, e gran parte de
le
mura di quelle terre rovinaro, e tutto il piano di
San
Miniato e di Fucecchio e Montetopoli e di Marti
al Ponte
ad Era. E giugnendo
a
Pisa sarebbe tutta
sommersa, se non che l'Arno
sboccò dal fosso
Arnonico
e dal borgo
a le
Capanne nello
stagno; il quale
stagno poi fece un grande e profondo canale infino
in
mare, che prima non v'era; e da l'altro lato di
Pisa
isgorgò ne li
Osori e mise nel fiume
del Serchio; ma
con tutto ciò molto allagò di
Pisa, e
fecevi gran
danno,
e guastò tutto 'l piano di Valdiserchio e intorno
a
Pisa, ma poi vi lasciò tanto terreno, che alzò in più
parti
due braccia con grande utile
del paese. Questo
diluvio fece alla
città e
contado di
Firenze infinito
danno di persone intorno di
IIIc, tra maschi e femine,
piccioli e grandi, ch'
al principio si
credea di più
di
IIIm, e di bestiame grande quantità, di rovina de'
ponti e di case e
molina e gualchiere in grande numero,
che nel
contado non rimase ponte sopra nullo
fiume e fossato che non
rovinasse; di
perdita di
mercatantie,
panni lani di lanaiuoli per lo
contado, e
d'arnesi, e di
masserizie, e
del vino, che nne menòe
le
botti
piene, assai ne guastòe; e simile di grano e
biade ch'erano per le case, sanza la
perdita di quello
ch'era seminato, e il guastamento e rovina delle terre
e de' campi;
l'acqua coperse e guastò, i monti e
piaggie ruppe e
dilaniò, e menò via tutta la buona
terra. Sì che
a stimare
a
valuta di moneta il
danno
de' Fiorentini, io che vidi queste cose per nullo numero
le potrei né saprei
adequare, né
porrevi somma
di
stima; ma solo il Comune di
Firenze sì peggiorò di
rovina di ponti e
mura di Comune e vie, che più di
CLm di fiorini d'oro costaro
a
rrifare. E questo
pericolo
non fu solamente in
Firenze e nel
distretto, con
tutto che l'Arno per la sua disordinata abondanza
d'acqua in quella peggio facesse, ma
dovunque hae
fiumi o fossati in
Toscana e in
Romagna,
crebbono
per modo che tutti i loro ponti ne menaro e usciro di
loro termini, e
massimamente il fiume
del Tevero, e
copersono le loro pianure d'intorno con grandissimo
dannaggio
del
contado
del Borgo
a
Sansipolcro, e di
Castello, di Perugia, di Todi, d'Orbivieto, e di
Roma;
e il
contado di Siena e d'
Arezzo e la Maremma
gravò molto. E nota che
nne' dì che fue il detto diluvio
e più dì appresso in
Firenze ebbe grande difetto
di farina e di pane per lo guasto delle
molina e de'
forni; ma i
Pistolesi, Pratesi,
Colle, e
Poggibonizzi, e
l'altre terre
del
contado e d'intorno, soccorsono con
grande abondanza di pane e di farina la
città di
Firenze,
che venne
a grande bisogno. Fecesi questione
per li savi Fiorentini antichi, che allora viveano in
buona memoria, qual era stato maggiore diluvio, o
questo, o quello che fu gli
anni
Domini
MCCLXVIIII. I
più dissono che l'antico non fu quasi molto meno acqua,
ma per l'alzamento fatto
del letto d'Arno, per la
mala provedenza
del Comune di lasciare alzare le pescaie
a
coloro ch'aveano le
molina inn Arno, ch'era
montato più di braccia
VII da l'antico corso, la
città
fu più allagata e con maggiore
damaggio che per
l'antico diluvio; ma
a cui Dio vuole male li toglie il
senno. Per lo quale difetto avenuto delle pescaie incontanente
fu fatto
dicreto per lo Comune di
Firenze
che infra' ponti nulla pescaia né molino fosse, né di
sopra
a Rubaconte per
ispazio di
IIm braccia, né di
sotto
a quello dalla Carraia per
ispazio di
IIIIm braccia,
sotto gravi pene; e dato ordine, e chiamati oficiali
a fare rifare i ponti e le
mura cadute. Ma tornando
al proposito
a la quistione di sopra,
crediamo che
questo diluvio fosse troppo maggiore che l'antico,
che solamente non fu tanto il
crescimento per
piova,
come fue per terremuoto. Di certo che l'acqua chiara
surgea d'
abisso con grandi
sampilli sopra più terreni;
e questo vedemo in più parti, e eziandio in sulle
montagne; e però più
a pieno avemo messo in nota
in questa
cronica di questo disordinato diluvio
a perpetua
memoria, perch'è istata grande
novità da notare,
che
dapoi che lla
città di
Firenze fu distrutta per
Totile
Flagellum Dei, non ebbe sì grande aversità e
damaggio come fu questo.
L. 12, cap. 2 rubr.D'una grande questione fatta in Firenze, se 'l detto
diluvio venne per iudicio di Dio o per corso naturale.
L. 12, cap. 2In
Firenze ebbe
del detto diluvio grande ammirazione
e tremore per tutte genti,
dubitando non fosse
iudicio di Dio per le nostre
peccata, che poi che bassò
il diluvio più dì apresso non
finava di
piovere con
continui tuoni e baleni molto spaventevoli; per la
qual cosa le più delle genti di
Firenze ricorsono
a la
penitenzia e comunicazione, e fu bene fatto per
apaciare
l'
ira di Dio. E di ciò fu fatta quistione
a' savi religiosi
e maestri in
teologia, e simile
a' filosofi in natura
e
a strolaghi, se 'l detto diluvio fosse venuto per
corso di natura o per iudicio di Dio. Per li astrolaghi
naturali fu risposto, ponendo inanzi la volontà di
Dio, che gran parte della cagione fu per lo corso celesto
e forti coniunzioni di pianete,
assegnandone
più
ragioni, le quali in parte racconteremo in brieve
e
al grosso, per meglio fare intendere, in questo modo,
cioè che
a dì
XIIII del maggio passato fu
ecrissi, o
vuoli
oscurazione di grande parte
del sole nel
segno
della fine
del Tauro casa di Venus con
caput Draconis;
per la quale
scurazione infino allora per savi religiosi
e per mostramento d'astrolaghi fu sermonato in
pergamo in
Firenze, il quale noi udimo, che ciò significava
grande secco nella presente state vegnente,
e poi ne l'opposizione di quello
eclissi grande soperchio
d'acque, e tremuoti e grandi
pericoli e mortalitade
di genti e di bestie; amonendo le genti
a penitenzia.
E poi apresso
a l'
entrante di luglio fu congiunzione
a grado di Saturno con Marte alla fine
del
segno de la
Vergine, casa di Mercurio; il quale significa
soperchio d'acque e
sommersione per li
due detti
pianeti
infortuni. Ma quello che dissono che
gravò
più, seguendo l'una congiunzione l'altra, sì fu che il
dì
del diluvio il sole si trovòe ne l'opposizione
del
suo
eclissi
a gradi
XVIIII de lo
Scorpione in congiunzione
con
cauda Draconis e con la
stella che ssi chiama
Cuore de lo
Scorpione, che sempre sono
infortune
e fanno grandi
pericoli in
mare e in terra; e Venus
pianeta acquosa si trovò ne la fine
del detto
Scorpione,
e per agiunta il sole in tale congiunzione si trovò
assediato intra lle
due infortunate, cioè Saturno e
Mars, congiunte insieme per
sestile
aspetto; Saturno
nella Libra in sua
esaltazione congiunta co· llui la luna,
la qual è
portatrice
del tempo futuro; e
a llui venne
con segni e ascendenti
aquatichi stata nella sua
congiunzione dinanzi, cioè ne la Libra medesima con
Saturno e con Venus e Mercurio pianeti
aquatichi; e
l'ascendente de la sua congiunzione fu Tauro sua
esaltazione e casa di Venus ov'era stato l'eclissi
del
sole, e nella sua opposizione di quello lunare dinanzi
al diluvio fu il suo ascendente il
Cancro sua casa, che
significa abondanza d'acqua; e i detti pianeti aquatichi,
Venus e Mercurio, erano in
Iscorpione,
segno
aquatico e casa di Marte, e con
cauda Dragone. E nel
cominciamento e grande parte di quello lunare dinanzi
al diluvio furo grandi piogge in
Firenze e in
molte parti, e questo fu
segno
del futuro diluvio. E
da l'altra parte la pianeta di Mars
a la venuta
del diluvio
si trovò nel
segno
del Sagittario in sua propietà
caldo e secco, e che volontieri saetta, inviluppato nel
detto
segno co· Mercurio pianeto
convertivole e reo
co' rei, freddo e umido e
aquatico, e contra la complessione
di Mars e
del detto
segno, il quale Mars
combattendosi co' raggi di Saturno, mandaro in terra
le loro influenze, cioè soperchi di tuoni e di
piove,
e baleni con
folgori, e
sommersioni e tremuoti. E per
agiunta
al fatto, la pianeta di Iove, la qual è
fortunata,
dolce e buona, in quell'ora si trovòe nel
segno de
l'
Aquario casa di Saturno, e con Saturno congiunta
in trino
aspetto, e con Mars in
sestile
aspetto, sì che
la sua vertù fu vinta da li detti
due infortuni, e con
neente di podere; ma
convenne ch'agiugnesse alla infortuna
de' rei per lo
segno d'
Aquario ov'era. E nota,
lettore, e
raccogli, se neente intenderai de la detta
scienza, tu troverai
al punto e giorno che venne il diluvio
congiunte quasi tutte e
sette le pianete
del
cielo
insieme corporalmente, o per diversi aspetti e in case
e termini di segni, da commuovere l'aria e'
cieli e gli
elementi
a
darne le sopradette influenze. Domandati
ancora i detti astrolaghi perché il detto diluvio avenne
più
a
Firenze che
a
Pisa, ch'era in su l'Arno medesimo,
e là giù
dovea esere e fu più grosso, o
ad altre
terre di
Toscana, fu risposto che prima ci fu la
cagione de la
mala provedenza de' Fiorentini, come
detto è, per l'altezze de le pescaie; l'altra secondo
istorlomia, Saturno, il quale dà infortuna, e
sumersione,
e ruine, e diluvii ne la sua opposizione, era nel
segno de la Libra, in sua
esaltazione; la quale Libra
s'atribuisce
a la
città di
Pisa, e
a l'opposito
del
segno
de l'
Ariete, il quale
Ariete
pare s'atribuisca
a la
città
di
Firenze, e l'ascendente de l'
entrare
del sole nell'
Ariete
nello detto
anno fu segnore; la Libra e l'
Ariete
si trovò
di ponente col sole in cadimento; il quale
(di cui l'
Ariete è
esaltazione) si trovò congiunto e
assediato
al tempo
del diluvio in
mala parte e infortuni,
come detto è. E Mars, il quale è segnore
del
segno
de l'
Ariete, si trovò congiunto con Saturno e
vinto da llui per lo modo che di sopra è fatta
menzione. E queste contrarietà e congiunzioni paiono cagione
del soperchio diluvio e
damaggio
a la
città di
Firenze più che
a
Pisa. E basti quello che in questo
avemo
raccolto di più lunghe
disposizioni de li astrolaghi
sopra questa questione. Sopra la detta questione
i savi religiosi e maestri in
teologia rispuosono
santamente e
ragionevolmente, dicendo che lle
ragioni
dette delli astrolaghi poteano in parte essere
vere,
ma non di necessità, se non in quanto piacesse
a
Dio; però che Idio è sopra ogni corso celesto, e elli il
fa movere e
regge e governa; e 'l corso di natura è
apo Dio, quasi come
al
fabro è il martello, che con
esso può foggiare diverse spezie di cose, come averà
imaginato nella sua
mente. Per simile modo e
maggiormente
il corso di natura e delli
elementi, e eziandio
le demonia, per lo
comandamento di Dio sono
flagella e
martella
a' popoli per punire le
peccata; e
a
la nostra fragile natura non è possibile d'antivedere
l'
abisso e etterno
consiglio
del
predestino e prescienza
de l'Altissimo, ma eziandio male si conoscono per
noi l'opere sue fatte e
a noi visibili. Ed acciò che di
questa questione utile si tragga per li
lettori, diciamo
che Idio ha signoria di mandare e
premettere i suoi
iudicii
al
mondo, e secondo corso di natura, e quando
a llui piace sopra natura, e ancora contra natura,
sì come omnipotente segnore de l'universo; e fallo
a
due fini, o per graziosa misericordia, o per
aseguizione
di iustizia. Ed acciò che per chi leggerà sia più
chiaro e aperto
ad intendere, di molte e lunghe
ragioni
e sottili allegagioni de' detti savi
ritrarremo
al
grosso e ricoglieremo, dicendo alquanti veri e chiari
esempli e miracoli della sacra Scrittura sopra la detta
materia; e cominceremo dal principio
del Genesi,
ove dice: «In principio
creò Idio il
cielo e la terra;
et
dixit,
et
fatta
sunt etc
.». Questo fue grazia e sopra
natura
a fare per la sua infinita
potenzia il corso
del
cielo e di natura per una sola parola, che prima era
neente; e chi ha podere di fare la cosa, pur materialmente
parlando, la può disfare e mutare:
maggiormente
Idio può tutto fare, e alterare, disfare, e mutare.
Apresso in quello medesimo Genesi,
capitolo
VIII, disse Idio
a
Noè: «Fa' l'arca, ch'io voglio mandare
il diluvio dell'acque sopra terra, perché
muoiano
tutte
creature per le
peccata delle genti etc
.». E
questo fue per la sua giustizia. Apresso si legge nel
XXIII capitolo
del detto Genesi delli angeli che vennero
ad
Abraam e
a
Lot, i quali per lo peccato contra
natura distrussono le
cinque
città di
Sogdoma e
Gomorra e l'altre; e questa fue
eseguizione di giustizia,
e sopra corso di natura. E se pur
X uomini giusti
e sanza il detto peccato vi fossono trovati, disse Idio
ad
Abraam ch'avrebbe perdonato
a li altri, tanta è la
sua clemenzia e misericordia infinita. E nel
XX capitolo
del Genesi Idio
anunziò
ad
Abraam, ch'avea
C
anni, e
a
Sarra sua moglie, ch'avea
anni
LXXXX ed era
sterile, ch'ella
conceperebbe
Isaac padre d'Israel, e
così fu; e ancora questo fu sopra natura, e per grazia
di Dio, acciò che di quello nascesse il suo popolo e il
suo unigenito figliuolo Gesù Cristo. E che leggiamo
ancora nel
libro de l'
Esodo, cominciando
al
X capitolo,
delle
pestilenzie che Idio mandò sopra Faraone
e il suo popolo d'
Egitto per li
prieghi di Moisè e
d'
Aron, e per la
crudeltà che faceano
al popolo di
Dio; e alla fine per grazia
al popolo Israel aperse il
mare, ove passarono salvi, e Faraone
colla cavalleria
e popolo suo in quello
mare la sommerse. E la detta
grazia
del popolo Israel, e le dette
pestilenzie sopra
Faraone, furo per operazioni e iudicio divino e sopra
natura, e non per corso di stelle. Ancora
al detto suo
populo per grazia e sopra natura, e contra natura,
Idio li nutricò
XL anni nel
deserto di manna, e con la
guida della colonna de la nuvola e
del fuoco. E parte
di quello popolo per lo peccato de la
'nfedelità li
consumò per ferro; e parte per lo peccato de la
golosità
li perseguitò
colle
trafitte de' serpenti; e parte di
loro per superbia e
ribellazione l'
inghiottì la terra;
ciò fu Abi e
Daviron e loro seguaci; e parte di loro
per lo peccato d'usare il fare il sacrificio indegnamente,
per fuoco li
pulì e distrusse; e tutte queste
pestilenzie furo sopra natura e per iudicio di Dio per
le
peccata
del popolo. La grande
città di Ninive era
giudicata da Dio
a
pericolare per li loro peccati, e
per li
sermoni di
Giona profeta mandato da Dio si
corressero e tornaro
a penitenzia, e ebbono grazia e
misericordia da Dio; onde si manifesta
chiaramente
che Idio
rimuove per li
prieghi e penitenzia i suoi
giudicii, e però
maggiormente può e
dee seguire il
corso di natura il volere di Dio, e adoperare sopra
natura come
a llui piace, però che la fece, com'è detto
dinanzi. Che diremo della grazia e miracolo che
Idio fece sopra natura e contra 'l corso di natura per
li
prieghi di Iosuè suo servo, e capitano e re
del suo
popolo, di fare tornare il sole braccia
X adietro
del
suo corso? Nelli
libri de' Re intra gli altri miracoli,
per lo peccato della vanagloria che commise
Davit
a
fare numerare il suo popolo, molto
del popolo di
Dio per
pestilenzia morire contra corso di loro natura.
E quante diverse persecuzioni di battaglie si leggono
in quelli
libri de' Re, e nelli altri
libri, che Idio
permise quando in
pro e quando incontro
al suo popolo
per li loro peccati o
meriti? Che
Nabucdonosor
distrusse la prima volta la
città di Ierusalem, e tutti i
Giudei menò in servaggio, quelli che scamparo di
morte; e poi
Nabucdonosor per li suoi peccati d'uomo
fu bestia per
VII anni, e poi per simile modo distrusse
la seconda volta Ierusalem
Antioco re; e tutto
fu per li peccati de' figliuoli Israel e per le loro
abominazioni.
E quando si
riconobbono
a Dio, con piccolo
podere e
cominciamento, Giuda
Maccabeo il
padre e' fratelli feciono la vendetta, e distrussono il
regno d'
Antioco, e tutti i detti giudicii di Dio furo
per li peccati, e sopra ogni corso di natura. E però
disse Idio
al suo popolo: «Io sono lo Idio
Sabaot»,
cioè
a dire, in
latino, lo Idio de l'oste e delle battaglie,
«e
doe vinto e perduto
a cui mi piace, secondo
i
meriti e peccati, e la vittoria delle battaglie è nella
mia
destra». E tutto questo è per la divina
potenzia
e sopra 'l corso d'ogni natura. Assai è detto sopra
miracoli che sono sopra natura e contra natura che
Idio fece nel vecchio Testamento.
Del nuovo alquanto
diremo. Può esere, o fu mai, o sarà maggiore grazia,
che la divina
potenzia degnò d'
incarnare nella
graziosa vergine Maria, ed esere Idio e uomo nato di
vergine, e sofferire passione e
morte, e ne la passione
scurò tutto il sole nel mezzodì, e era la luna in suo
opposito, che secondo corso di natura non potea
scurare; ma fu sopra natura, perché il fattore de la
natura sofferia pena. E così grande e sì fatto misterio
fu sopra ogni
potenzia naturale, e ciò piacque
a l'Altissimo
per osservare giustizia per lo peccato
del primo
uomo, e per fare grazia e misericordia per ricomperare
l'umana generazione; e nullo verbo è impossibile
a Dio. I miracoli che fece Gesù Cristo
vangelizzando
in terra, e poi i suo' apostoli e li altri santi e martiri e
vergini per lo suo nome, sono ancora tutto
dì; i quali sono sopra ogni natura e corso celesto; sopra
le quali dette
vere
ragioni e argomenti
principalmente
la soluzione della nostra questione
è molto
chiara. Che diremo de la rovina de la
città di Ierusalem
la terza volta, e per la persecuzione e
scerramento
de' Giudei fatto per
Tito e per
Vespasiano imperadori
di
Roma, per la vendetta
del peccato commesso
della giusta e non giusta
morte di Cristo figliuolo
di Dio? Certo questo fue chiaro ed
evidente iudicio
di Dio, e non per corso di natura, che mai poi non
ebbero i Giudei istato né ricetto di loro segnoria, e
sono passati più di
MCCC anni ch'è
durato il loro
esilio.
Dell'altre molte persecuzioni, rovine,
pestilenzie,
diluvii, e battaglie,
naufragi, avenute
al tempo de'
Romani e de' pagani per iudicio di Dio e pulimento
de' peccati oltre
al corso di natura, prima e poi che
venne Cristo,
a raccontarle sarebbono infinite e
confusione
del nostro trattato; e simile poi
al tempo de'
Cristiani per la venuta de' Gotti, e Vandali, e Saracini,
e di Lungobardi, de li
Ungheri, de'
Teotonici,
Spagnuoli, e Catalani, e Franceschi, e Guaschi, che
sono venuti in Italia, e tutto dì vengono; delle quali
pestilenzie assai
chiaramente
a' buoni intenditori si
possono comprendere per questa
cronica, e per altri
libri che di ciò fanno menzione, le quali tutte sono
state e sono per lo giudicio di Dio per
pulire li peccati.
E però tornando
al proposito della nostra questione
e
a sentenzia, e
racogliendo i sopradetti esempli
veri e chiari, tutte le
pestilenzie e battaglie, rovine
e diluvii, arsioni e persecuzioni, naufragii e
esilii
avengono
al
mondo per
permissione de la divina giustizia
per
pulire i peccati, e quando per corso di natura,
e quando sopra natura, come piace e
dispone la
divina
potenzia. E nota ancora,
lettore, che, la notte
che cominciò il detto diluvio, uno santo
eremita
ch'era nel suo solitario
romitoro di sopra
a la
badia
di
Valombrosa stando in orazione sentì e visibilmente
udì un fracasso di demonia di sembianza di schiere
di cavalieri armati, che cavalcassero
a furore. E ciò
sentendo il detto
romito fecesi il
segno della croce, e
si fece
al suo sportello, e vide la
moltitudine de' detti
cavalieri terribili e neri; e scongiurando alcuno da la
parte di Dio che lli dicesse che ciò significava, e li
disse: «Noi andiamo
a
somergere la
città di
Firenze
per li loro peccati, se Idio il
concederà». E questo io
autore per
saperne il vero ebbi da l'abate di
Valombrosa,
uomo religioso e degno di fede, che
disaminando
l'ebbe dal detto suo
romito. E però non
credano
i Fiorentini che la presente
pestilenzia, ond'è
fatta questione, sia loro avenuto altro che per giudicio
di Dio, bene che in parte il corso
del sole s'accordasse
a ciò per punire i nostri peccati, i quali sono
soperchi e dispiacevoli
a Dio, sì di superbia l'uno vicino
coll'altro in volere segnoreggiare e tiranneggiare
e rapire, e per la infinita avarizia e mali guadagni di
Comune, di fare frodolenti
mercatantie e usure, recati
da tutte parti de l'ardente invidia l'uno fratello e
vicino
coll'altro; sì della vanagloria de le donne e disordinate
spese e ornamenti; sì de la
golosità nostra
di mangiare e bere disordinato, che piùe vino si logora
oggi in uno popolo di
Firenze
a taverne, che
non soleano logorare li nostri antichi in tutta la
città;
sì per le disordinate lussurie delli uomini e delle
donne; e sì per lo pessimo peccato della ingratitudine
di non conoscere da Dio i nostri grandi beneficii
e il nostro potente stato, soperchiando i vicini d'intorno.
Ma è grande maraviglia come Dio ci
sostiene
(e forse parràe
a molti ch'io dica troppo, e
a me peccatore
non sia lecito di dire), ma se non ci volemo ingannare
noi Fiorentini, tutto è il vero; di quante battiture
e discipline ci ha date Idio
al nostro presente
tempo, pur da li
anni
MCCC in qua, sanza le passate
che scritte sono in questa
cronica: prima la nostra divisione
di parte bianca e nera; poi la venuta di meser
Carlo di
Francia, e 'l cacciamento che fece di parte
bianca, e le
sequele e rovina che furono per quella;
poi il giudicio e
pericolo
del grande fuoco che fue
nel
MCCCIIII, e poi di più altri apresso stati nella
città
di
Firenze per li tempi con grande
damaggio di molti
cittadini; apresso della venuta d'
Arrigo di
Luzimborgo
imperadore nel
MCCCXII, e il suo assedio
a
Firenze
e guastamento
del nostro
contado, e conseguente
la mortalità e corruzione che poi fu in
cittade e in
contado; appresso la sconfitta da
Montecatino nel
MCCCXV; apresso la persecuzione e
guerra
castruccina,
e la sconfitta d'Altopascio nel
MCCCXXV, e la sequela
della sua rovina, e la sformata spesa fatta per
lo Comune di
Firenze per le dette guerre fornire;
apresso il
caro e la
fame l'
anno
MCCCXXVIIII, e la venuta
del Bavero si dicea imperadore; apresso la venuta
del re Giovanni di Boemia, e poi il presente diluvio;
ond'è nata la questione, che
raccogliendo tutte
l'altre dette aversitadi inn una, non furono maggiori
di questa. E però
istimate, Fiorentini, che queste
tante minacce di Dio e battiture non sono sanza cagione
di soperchi peccati, e paiono
a l'aversitadi li
detti giudicii, che di nostri antichi. Ed io autore sono
di questa sentenzia sopra questo diluvio: che per li
oltraggiosi nostri peccati Idio mandò questo giudicio
mediante il corso
del
cielo, e apresso la sua misericordia,
però che poco
duròe la rovina per non lasciarne
al tutto perire, per li
prieghi delle sante persone
e religiose abitanti nella nostra
città e d'intorno, e
per le grandi
limosine che ssi fanno in
Firenze. E però
carissimi fratelli e cittadini, che
al presente sono e
che saranno, chi leggerà e intenderà,
dee avere assai
gran matera di correggersi e lasciare i vizii e' peccati
per lo tremore e minacce de la iustizia di Dio, per lo
presente e per lo tempo
a venire; e acciò che l'
ira di
Dio più non si
spanda sopra noi, e che
pazientemente
e con forte animo
sostegnamo l'aversità, riconoscendo
Idio onnipotente, e ciò faccendo, e con vertù
bene adoperando
meritiamo misericordia e grazia
da llui, la quale fia
dupplicata, e
esaltazione e magnificenza
de la nostra
città. Di questo diluvio e sùbito
avenimento
a la nostra
città di
Firenze
corse la
fama e
novella tra tutti i Cristiani, e ancora più grave e
pericolosa
che non fu, con tutto fosse quasi inestimabile.
E vegnendo
al cospetto della maestà
del re Ruberto,
amico, e per fede e
devozione di noi segnore nostro,
si
dolfe di noi di tutto suo cuore, e come il padre
fae
al figliuolo, per suo sermone per lui
dittato ci
mandò amonendo e
confortando, e il suo podere
profferendo per la forma e modo che
conterà il detto
suo sermone, overo
pistola; la quale in questa nostra
opera ci
pare degna di mettere in nota verbo
a verbo
a perpetua memoria, acciò che i nostri successori cittadini
che verranno e leggeranno quella, sia manifesta
la sua clemenza e
sincero amore che 'l detto re
portava
al nostro Comune, e di ciò possano
trarre
uttilità di buoni e santi esempli e
amunizioni e
conforto,
però che tutta è piena d'auttoritadi della divina
scrittura, sì come quelli ch'è sommo filosofo e
maestro, più che re che portasse corona già fa mille e
più
anni; e con tutto che in
latino, come la mandòe,
fosse più nobile e di più alti verbi e intendimenti per
li belli
latini di quella, ci parve di
farla volgarizzare,
acciò che seguisse la nostra materia
volgare, e fosse
utile
a' laici come
a li alletterati.
L. 12, cap. 3 rubr.Questa è la lettera e sermone che il re Ruberto
mandò a' Fiorentini per cagione del detto diluvio.
L. 12, cap. 3
Ai nobili e savi uomini priori dell'
arti, e gonfaloniere
di iustizia,
consiglio e Comune della
città di
Firenze,
amici diletti e devoti suoi, Ruberto per la grazia
di Dio di Ierusalem e di Cecilia re, salute e amore
sincero. Intendemo con amaritudine di tutto il cuore,
e con piena compassione d'animo, lo
piangevole
caso e avenimento di molta trestizia, cioè il
disaveduto
e sùbito accidente, e molto
dannoso cadimento, il
quale per
soprabondanza di
piene d'acque, per divino
consentimento in parte aperte le cataratte
del
cielo,
venne nella vostra
cittade; li quali casi né
a nnoi
conviene altrimenti
sporli, né da voi altrementi
imputarli,
se non come la Scrittura divina dice, cotali
cose
a caso avenire. Non si
conviene
a nnoi, il quale
per la reale condizione la veritade hae
a conservare,
d'essere amico lusinghiere, né di riprendere la iustizia
di Dio, dicendo che voi siate innocenti. La dottrina
dell'Apostolo
dice: «Se noi diremo che noi non
abbiamo peccato, noi inganniamo noi medesimi, e
non fia in noi veritade». Adunque li nostri peccati
richeggiono che non solamente che noi incorriamo
in questi
pericoli, ma eziandio in maggiori. Noi
dovemo
apropiare il singulare diluvio alli particulari
peccati, siccome lo universale diluvio fue mandato
da Dio per li universali peccati, per li quali ogni carne
avea abreviata la
via sua de l'umana generazione.
Noi conosciamo l'ordine di queste
pestilenzie per la
scrittura
del Vangelio, però che poi la verità di Dio
antimise la sconfitte date da li nemici, soggiunse li
diluvii de le
tempeste, per le quali parla santo Gregorio
dicendo così sopra il Vangelio, dov'è scritto
'Saranno segni nel sole e ne la luna etc
.': «Noi
sostenemo»,
dice santo Gregorio, «sanza cessamento,
avegna che prima che Italia fosse conceduta
ad essere
fedita dal coltello de' pagani, io vidi in
cielo schiere
di fuoco, e vidi colui medesimo splendiente di
splendori
al modo
del balenare, il quale poi isparse il
sangue umano. La
confusione
del
mare e delle
tempeste
nonn è solamente
nuova levata, ma con ciò sia
cosa che molti
pericoli già
anunziati e compiuti sieno,
non è
dubbio che non seguitino eziandio pochi, i
quali restano
a cotale
imputazione, di passare
a nostra
corezzione, non
a
stravolgimento di disperazione».
E noi
crediamo intra queste cose non solamente
la iustizia di Dio essere nutrice di costoro, ma
crediamo
la bontà divina essere sì come madre pietosamente
correggente e in meglio
commutante, dicente
santo Agustino nel sermone
del bassamento de la
città
di
Roma: «Idio anzi il giudicio opera disciplina
molte volte non
eleggendo colui cui elli batta, non
volendo trovare cui elli
condanni». E egli medesimo
dice sopra quello verso
del salmo: «Sì come viene
meno il fumo, vengono meno ellino; tutto ciò che di
tribulazioni noi
patiamo in questa vita, è battitura di
Dio, il quale ne vuole correggere, acciò che nella fine
non ne
condanni». Imperciò santo Agustino medesimo
nel predetto sermone delle tribolazioni e
pressure
del
mondo dice: «Quante volte alcuna cosa di
pressura e di tribulazioni noi sofferiamo, le tribulazioni
sono insiememente nostre correzzioni». Ma in
queste cose con molto
studio è da guardarci, che noi
alcuna cosa notabilmente non
meritiamo de li nostri
meriti, e che noi non ci maravigliamo, quasi s'elle
non fossono cagioni di queste tribulazioni quelle cose
che nnoi dicemo; però che Agustino medesimo dice
nel sermone dell'
abassamento di
Roma: «
Maravigliansi
li uomini; or si
maravigliassono ellino solamente
e non
bestemiassero». Ancora è da schifare
per queste cose il
mormorare contra Dio, sì come la
nostra niquitade biasimasse la divina
dirittura, e sì
come se le nostre inumerabili e grandissime colpe
riprendessono
la somma iustizia; sì come n'amonisce
Agustino nel predetto sermone delle tribulazioni
del
mondo, dicendo: «O fratelli, nonn è da mormorare,
sì come alcuni di
coloro
mormorano». E l'Apostolo
dice: «E' furono
vasi di serpenti». Or che cosa disusata
sostiene ora l'umana generazione, la quale non
patissono li nostri padri? Ancora c'è un'altra cosa:
poco sarebbe
riconoscere i peccati, se quello non si
propone
a schifare per inanzi quelli. In quello caso
nonn è da
dubitare che colui che pregherà per perdonanza
quella con orazioni
impetri, e così acquisti
la divina grazia, e
schiferàe la rigidezza
del iudicio, sì
come per lo savio Salamone si dice: «Figliuolo, tu
peccasti, or non vi
arrogere più; ma
priega de li passati
peccati, ch'elli ti sieno dimessi». Noi leggiamo
d'altre cittadi, le quali per li loro gravi peccati con
ampia vendetta diceano esere disfatte, essere riserbate,
e rivocata la sentenzia per penitenzia e per orazioni.
Al tempo d'
Arcadio Imperadore volendo Idio
fare paura alla
città di
Gostantinopoli, e
spaurendola
per
amendarla,
revelòe
a uno fedele uomo che quella
città
dovea perire per fuoco da
cielo. Costui lo
manifestòe
al vescovo, e 'l vescovo il predicò
al popolo.
La
città si
convertìe in pianto di penitenzia, siccome
già fece l'antica Ninive. Venne il
dìe che Idio avea
minacciato, e ecco di verso levante una nuvola con
puzzo di
solfo, e stette sopra la
cittade, acciò che li
uomini non
pensassono che colui ch'avea così detto
fosse per falsitade ingannato; e fuggendo li uomini
a
la chiesa, la nuvola cominciò
a scemare, e
a poco
a
poco si disfece, e il popolo fue fatto
sicuro. Siccome
Agostino nel detto sermone
introduce: «Secondo
questo Idio per bocca di profeta avea avanti detto
che lla ismisurata
città di Ninive si
dovea disfare; e
troviamo che essa fue deliberata per asprezza di penitenzia,
e per grido d'orazione, né da la penitenzia e
d'adorare non siano di lungi le
limosine loro salutevoli
compagne, secondo il
consiglio di
Daniello dato
a
Nabocodonosor, che con
elimosine ricomperasse le
sue
peccata, e
ratemperasse la sentenzia di Dio contra
lui pronunziata».
Aguardiamo insieme dunque
lo spaventevole giudicio, e pensiamo di cercare il remedio,
ma schifiamo il rimanente che è da temere;
per le quali cose non le nostre parole, ma quelle
del
Salvatore
profferiamo in mezzo; e elli disse: «Or
pensate voi che quelli
XVIII sopra li quali cadde la
torre in
Siloe e
uccisorli fossono colpevoli sanza tutti
li altri abitanti in Ierusalemme? No, io dico
a voi; ma
se voi non farete penitenzia, simigliantemente perirete».
Dove
Tito dice: «Una torre è aguagliata
a la
cittade,
acciò che lla parte spaventi il tutto; quasi dica
tutta la
cittade poco poi fia occupata, se lli abitanti
perseverranno nella infedelitade». La qual cosa mostra
Beda, dicendo: «Però ch'ellino non fecero penitenzia,
nel quarantesimo
anno de la passione di Cristo,
li Romani, cominciando da Galilea ond'era cominciata
la predicazione
del Segnore, l'
empia gente
infino
a le radici distrussero». Ma acciò che per
quelle parole ch'avemo dette di sopra non siamo giudicato
grave amico, e acciò che noi non inganniamo
li
meriti de le
vostre virtudi, le quali ci confidiamo
essere
acetti ne la benignitade di Dio, atendendo
a la
divina Scrittura, la quale non pur riprende li
presuntuosi
per
amaestrarli, ma adolcisce li aflitti, acciò che
per remedio di consolazione li
conforti spesse volte
in suoi luoghi; queste cotali passioni e
pressure confessiamo
che vengono per
provarci; però che in quello
che Idio
esamina si loda la vertude della
pazienzia
in noi. L'Apostolo
testimoniò: «La sua pietosa provedenza
non ci lascia tentare oltre la nostra possa,
ma la contentazione fae frutto». Quale
utilitade cerchiamo
noi fedeli maggiore, che cotali miserie noi
prendiamo
efficace argomento de l'amore di Dio che
ne apruova perché e
al proponimento
a voi santo e
religioso
cherico
Iudit femenina per esemplo dirizza
e manda la seguente parola: «E ora, o fratelli, però
che voi che siete preti nel popolo di Dio, da voi dipende
l'anima di
coloro
al vostro parlare,
dirizziate li
cuori loro, sì ché ssi ricordino
coloro che sono tentati
che li nostri padri furono tentati, acciò che fossono
provati s'elli adoravano
veramente Idio suo:
ricordare
si
debbono come 'l padre nostro
Abraam fu tentato,
e provato per molte tribulazioni fatto è amico di
Dio; così fue
Isaac, così
Iacob, così Moisè, e tutti
quelli che piacquero
a Dio, per molte tribulazioni
passarono fedeli». Onde e
a Tobia disse l'angelo:
«Però che tu eri
caro
a Dio, fue necessario che la
tentazione ti provasse». Or
crediamo noi e voi esere
migliori e più inocenti che li nostri padri
patriarchi, i
quali per tante miserie di battiture o mandate o concedute
da Dio trapassaro i santi? O
desdegnamo, o
maggiormente
indegnamo noi degni
membri di patire
quelle cose le quali non
ischifarono gli apostoli,
nostro corpo la Chiesa, nostro capo Cristo, cioè il
fuoco, il ferro, li martirii
villani, noi quasi
dischiattati,
e come non
apartenessimo loro, e come non partefici
di loro fortuna, o forse più santi, con impazienzia
portiamo cotali cose? Ma sse per impazienzia ch'è
in noi, elli ci
pare troppo malagevole seguitare li padri
di
ciascuno testamento, almeno non
disdegnamo
per
pazienzia le virtudi prendere esempli da l'infedeli
prencipi e filosofi, li quali furono: come scrive
Seneca,
libro primo dell'
ira, di
Fabio, che prima vinse
l'
ira sua che
Anibale; e Iulio Cesare nel
libro della vita
de' Cesari; e d'
Ottaviano Agusto nel Policrato
libro
terzo,
capitolo
XIIII; di
Domiziano, sì come testimonia
il bello parlatore
Licinio; ed
Antigone re, secondo
Seneca,
libro terzo dell'
ira; e de la
pazienzia
de' filosofi, cioè di
Socrate
libro terzo di
Seneca de
l'
ira, e di
Diogenes
libro
III dell'
ira, anzi il fine,
a ciò
che non passi il
manifesto od
occulto
lamentamento
d'alcuno o d'alcuni, sì com'è contradio. Ancora per li
mormoramenti de li
credenti che dicono che questi
tempi sono peggiori che gli antichi tempi e che Idio
hae riserbato la indegnazione dell'
ira sua infino
ad
ora e ch'elli hae serbati li presenti
die
a spandere
quella,
leggano overo odano li leggenti da
Adam
fatiche
e sudore, spine, e triboli, diluvio,
dicadimento;
trapassarono tempi pieni di fatica, di
fame e di guerre,
e però sono scritte,
a ciò che noi non
mormoriamo
del presente tempo contra Dio. Passò quel tempo
appo li padri nostri,
remotissimi molto da li nostri
temporali, quando il capo dell'asino morto si
vendéo altrettanto auro; quando lo sterco
colombino
si comperòe non poco argento; quando le femine
patteggiaro insieme
del
manicare i loro
fantolini. Or
non avemo noi in orrore udire quelle cose? Tutte
quelle cose
leggiutole,
spaventiamocene sì, che noi
avemo
maggiormente onde ci allegrare, che onde
mormorare delli nostri tempi. Quando fue dunque
bene
a l'umana generazione? quando non paura?
quando non dolore? quando certa felicitade? quando
non vera felicitade?
dove fia la vita sicura? Or
non è questa terra quasi una grande
nave portante
uomini
tempestanti, pericolanti,
soggiacenti
a tanti
marosi,
a tante
tempeste, tementi il
pericolare, sospirante
in porto, ed è compensare la
conoscente e grata
ragione de la vostra considerazione, e il pensamento
della diritta bilancia, quanto in ricchezze in
morbidezze in
potenzia, e, cittadini, Idio la vostra
cittade
nobilitòe, scampòe, e sopra tutte le vicine, anzi
remote cittadi, sanza comparazione
esaltò, sì ch'ella
puote essere asomigliata
ad adornato albore fronzuto
e fiorito
dilatante li rami suoi infino
a termini
del
mondo. Per tanti e sì grandi benificii temporali
non vi divieti l'aversitade di dire le
vostre lingue
col santo
Iob: «Se noi riceviamo li beni da la mano
del Signore, perché non
sostenemo li mali?». Ancora
queste aflizzioni alcuna volta salutevolemente ne
sono mandate, e
avegnonci
a spirituale profitto, però
che sse alcuna volta non ne fossono mandate o
permesse
da Dio, noi ci
crederemmo qui avere cittadi
stabili e
dimoranti, e poco cureremo di cercare de
l'
etterna, con san Piero dicendo: «Buono è
a noi essere
qui». Ma li mali che più ne priemono ci fanno
passare
a
cielo, e intendere
a la futura gloria. E se
per aventura alcuno svergognato o arrogante
presumisce
di
storcersi contro
a l'opera de lo etterno artefice,
intenda rispondere
a llui la bontade delle
creature,
la quale il
fabricatore di tutte le cose dal principio
raguardòe nelle sue
creature. Se il fiume, il quale
aministròe tanti
dilettamenti e tante grandi uttilitadi
dal
cominciamento de la tua
cittade, perché
gravemente
porti se una volta con disusato allagare ti fece
alcuni
danni? Ma diràe un altro
calognatore, però
che noi dicemo dinanzi che le tribulazioni ne sono
amonimenti e correzzioni, dicono,
a ciò ch'io diventi
migliore sono puniti quelli, perch'io
viva quelli
muoiano, perch'io sia serbato quelli sono perduti.
«None perciò», dice santo Giovanni
Grisostimo,
«ma sono puniti per li loro peccati propi, ma fassi di
questo
a quelli che veggono materia di salvarsi». Or
forse si leveranno contro invidiosi, iudicando voi per
lo partimento
del detto cadimento essere i maggiori
peccati
intrigati di loro, e per questo esere più
odiosi
a Dio? anzi si
crederanno esser più giusti di voi, e
meno colpevoli e più graziosi
al giusto iudice? Questi
di vero per quello medesimo errore
antimetteranno
per suoi
meriti il re
Salomone certamente
pacifico,
a cui fu riserbato lo
edificare
del tempio, e ne'
cui tempi
sottorise la tranquillitade della pace, e il
cui regno non cognobbe
guerra,
al suo padre
David
santissimo,
a cui fue interdetto l'
edificare di quello
medesimo tempio, lo quale fue nomato da Dio uomo
spanditore di sangue, il quale e sotto essere provocato
da continui
pericoli di guerre, e
due volte da Dio
manifestamente e piuvicamente fu
corretto. In quello
medesimo modo
coloro che non sanno li santi
libri
diranno che lli amici di
Iob fossono più inocenti
di lui, e
antimetteranno loro nel
riguiderdonamento;
imperciò che noi non leggiamo ch'elli fossono
esaminati
da Dio nelle
pestilenzie sì come
Iob, però che di
vero elli non erano auro o argento da provare ne la
fornace
del fuoco, né da riporre nel
tesauro
del sommo
re, ma erano
maggiormente paglia o letame, le
quali messe in sul fuoco gettano
puzzo
spiacente
a
Dio e abominevole alli uomini. Or giudicheremo noi
per simile cechitade che lli marinari fossono migliori
che
Ionas il profeta, per lo quale si pruova che si levòe
la
tempesta, e però fue sommerso in
mare e tranghiottito
dal pesce, lo quale fue messaggio di Dio
banditore di penitenzia, e figura di Cristo
passuro, e
li marinari furono pagani e adoratori d'idoli? Non
maraviglia, se lle grazie e prerogative di vertudi che
noi dicemmo, Idio raguardò in voi, le quali elli
esamini;
e provate,
guiderdoni e coroni voi, li quali siete
conosciuti sempre essere stati in Italia chiaro braccio
della Chiesa e nobile fondamento di tutta la fede.
Non si
maraviglino dunque li
rimproveranti invidiosi,
se un poco inanzi con le
promesse sentenzie della
santa Scrittura noi mostriamo per la pruova delle
vostre
virtudi voi essere
acetti
a Dio, aprovati
al suo
beneplacimento. Se impertanto voi
riconoscerete
umilemente che per li vostri peccati voi
incorreste
nelli predetti
danni, e
comportateli con virtù di
pazienza,
con pagamenti per ciò di divote
voci rendere
grazie.
Dice il sapientissimo re: «Figliuolo mio, non
gittare la disciplina
del Segnore, e non
fallare quando
da llui
se'
corretto; colui cui il Segnore ama, sì 'l
gastiga, e come padre in figliuolo si compiace». La
quale sentenzia non isdegna d'allegare l'Apostolo
nelle sue
pistole, dicendo: «Figliuolo mio, non mettere
i non calere la disciplina
del Segnore, né ti sia
fatica, quando da llui sarai ripreso: colui cui il Segnore
ama si 'l gastiga; elli batte chiunque elli riceve
in figliuolo». Ecco adunque per le soprascritte cose
avete
chiaramente che per le
pressure delle predette
passioni si dimostrano in voi esere virtudi e
meriti, e
che non solamente voi siete ricevuti in amici da Dio,
ma spezialmente da llui siete in figliuoli adottati.
A li
figliuoli
a' quali s'impone la disciplina non solamente
remunerazione si
promette, ma ssi serba loro certa
ereditade. Appare dunque per la vertade della santa
Scrittura che lle virtudi e li
meriti sono remunerati
dal iustissimo re delli re, eziandio in alcuni di vero;
ne' quali publicamente,
manifestamente eziandio, rilucono
temporalmente,
ad esemplo
del
mutamento
de' buoni, sì come è scritto
del beato
Iob,
al quale
furono
restituiti
dupplicati per li perduti beni; ma
nelli altri più preziosi, e migliori sanza comparazione,
si serba il
meritamento nella futura gloria. Li predetti
amonimenti, li quali noi stimiamo non esere alla
vostra prudenzia tanto soperchi quanto necessarii,
provedemo di mandare per debito di caritade alla
vostra
dilezzione, e ancora le compassioni
a le quali
ci
condogliamo con tutte le interiora dell'amistade, e
le consolazioni de' veri
libri vi
soggiugnemo,
a le
quali d'abondante offeriamo d'agiugnere quelle consolazioni
di fatto che noi fare possiamo, altre volte
oferte; ma la promessa nostra
lettera, pochi
dìe poi
che
a nnoi fue manifesto il sopradetto vostro caso,
ordinammo di
mandarvi, ma però che 'l presente di
più persone contenea molto meno, ritenne quella più
tostamente essere venuta, il mandare d'essa
sospendemo.
Ma ora piùe deliberatamente provedendo, e
estimando in ogni caso che s'apartenea
a vostra informazione
e
a vostra cautela, vi mandiamo; né alla
vostra amistà rincresca di bene
leggere la lunghezza
della presente
lettera, la quale non rincrebbe
a noi di
compilare intra tante e sì faticose sollicitudini.
Data
a Napoli sotto il nostro secreto anello, di
II
di dicembre, seconda
indizione,
anni
MCCCXXXIII.
L. 12, cap. 4 rubr.
Ancora di certe novità che furono in Firenze per cagione
del diluvio.
L. 12, cap. 4Il
dìe apresso che fue cessato il diluvio, essendo
rotti i sopradetti tre ponti in
Firenze, e tutta la
città
aperta e
schiusa lungo il fiume d'Arno, certi grandi
di
Firenze cercaro di fare
novità contro
a' popolani,
avisandosi di
poterlo fare, però che sopra l'Arno non
avea che uno ponte, e quello era in forza di grandi, e
la
città
scompigliata e tutta
schiusa, e le genti tutte
isbigottite. Onde uno di casa i Rossi fedì uno de'
Magli loro vicino, per la qual cosa tutto il popolo fue
sotto l'arme, e più dì si fece grande guardia in
Firenze
di dì e di notte; e alla fine i grandi e possenti e ricchi,
che aveano
a perdere, non aconsentiro alla follia
de' malvagi, e ancora il popolo aveano preso vigore e
forza; onde non s'ardiro di cominciare
novità; e ancora
se l'avessono cominciata n'avrebbono avuto il
peggiore. E pertanto si
riposòe la
città, e quello de'
Rossi che fece il malificio fue condennato. E fecesi
incontanente fare per lo Comune certi ponticelli di
legname sopra l'Arno, e uno grande sopra piatte e
navi incatenate; ma
al
cominciamento, innanzi che i
detti ponti fossono fatti, si passava l'Arno per
navi. E
avenne poi,
a dì
VI di dicembre essendo venuta una
grande
piova in Arno, si rivolse una
nave ove avea da
XXXII uomini, de' quali annegaro
XV uomini cittadini,
e li altri per l'aiuto di Dio scamparo. Lasceremo
alquanto de' fatti di
Firenze e
del diluvio, ch'assai
n'avemo detto, e diremo alquanto de' fatti di Lombardia
e della nostra lega. Ma nonn è da lasciare di
dire, che quando il legato ch'era
a Bologna seppe l'aversità
ch'era avenuta
a' Fiorentini ne fece grande allegrezza,
dicendo che ciò era loro avenuto perch'erano
stati contro
a llui e contro
a santa Chiesa
a
Ferrara;
e forse in parte disse il vero; ma non giudicava sé
de' suoi defetti e futuro avenimento, né
credea che 'l
suo iudicio e sentenzia di Dio gli fosse così da presso,
come tosto leggendo si potrà trovare.
L. 12, cap. 5 rubr.Come falliro le triegue, e ricominciossi guerra dalla
lega al legato, e le terre che tenea il re Giovanni.
L. 12, cap. 5Nel detto
anno, per calen gennaio,
fallendo le triegue
da la gente
del re Giovanni e
del legato
a la nostra
lega, si fece per li
collegati uno
parlamento
a
Lierci, per consigliare se fosse da seguire le triegue o
ricominciare la
guerra.
Acordavansi i
collegati
al
prolungare le triegue, salvo messer Mastino e 'l Comune
di
Firenze; e questo si fece per lo migliore per
non lasciare prendere forza
al legato e
al re Giovanni;
e ordinaro si
rincominciasse la
guerra, e
confermarono
in quello
parlamento la divisa
del conquisto
per lo modo detto, cioè che 'l segnore di Milano
avesse
Cremona, e messer Mastino Parma, e que' da
Mantova Reggio, e' marchesi
Modona, e' Fiorentini
Lucca. Per la qual cosa que' da Milano cavalcaro sopra
la
città di Piagenza; e quelli di Verona e di Mantova
sopra Parma e Reggio; e' marchesi da
Ferrara
sopra
Modona; e la nostra gente ch'erano in Valdinievole
corsono sopra
Buggiano. E poi,
a dì
VIII di
gennaio, quelli di Lucca corsono sopra
Ficecchio e
Santa
Croce, e levaro grande preda di bestie grosse,
e
rincominciossi la
guerra. E poi,
a dì
XXIII del mese
di febbraio apresso, essendo cavalcati
IIIIc cavalieri
di quelli della lega di Lombardia sopra Parma e Reggio,
furono sconfitti presso
al castello di
Correggio
da quelli di Parma e da la gente
del legato, e rimasevi
preso
Ettor de'
conti da
Panago e più altri conostabili.
L. 12, cap. 6 rubr.Come il legato perdéo Argenta, e poco apresso fu
cacciato di Bologna.
L. 12, cap. 6Nel detto
anno,
a dì
VII di marzo, essendo i marchesi
da
Ferrara co· lloro oste stati
a l'assedio della
terra d'Argenta più mesi, nella quale era la gente della
Chiesa e
del legato, l'arcivescovo d'
Ambruno mandato
per lo papa in Lombardia, volle essere
a
parlamento
co'
collegati di Lombardia
a Peschiera, e in
quello richiese per lo papa tre cose: che lega più non
fosse, promettendo pace onorevole per li
collegati; la
seconda, che si levasse l'oste da Argenta; la terza
che i marchesi
dovessono liberare il
conte d'
Armignacca
e li altri pregioni sanza
costo. Fu risposto per
messer Mastino per bocca d'uno delli ambasciadori
di
Firenze che lla lega non si potea partire; ma in caso
che Parma rimanesse libera alla Chiesa, si cesserebbe
l'oste ordinata. Quella d'Argenta e de' pregioni,
fu risposto per li detti ambasciadori di
Firenze
che in quanto
Ferrara rimanesse
a' marchesi per lo
censo usato, e Argenta per uno piccolo censo, s'accorderebbono
col legato cardinale. L'arcivescovo
prese
termine di rispondere, e partìsi e venne
a Bologna
al legato. In questa stanza Argenta essendo forte
stretta dell'assedio, e non possendo essere soccorsi,
fallendo loro la vittuaglia, s'
arendero; però che,
dapoi
che lla gente della Chiesa furo sconfitti
a
Ferrara,
non ardiro di tenere campo contra la gente della lega,
onde molto abassò la
potenzia
del legato. E avuta
i marchesi la vittoria d'Argenta, pochi dì apresso cavalcaro
in sul
contado di Bologna col loro sforzo. Il
legato
del papa cardinale ch'era in Bologna mandòe
al riparo quasi tutta sua cavalleria, e volea mandare
fuori nella detta cavalcata i
due quartieri
del popolo
di Bologna; e già erano armati in sulla piazza, con
tutto che mal volontieri andavano, e male parea loro
essere trattati. Onde avenne, come piacque
a Dio, e
di vero sanza ordine proveduta, uno messer
Brandaligi
de'
Goggiadini con
de'
Beccadelli, uomini
poveri
al bisogno
del loro stato e vaghi di
mutazioni
e di
novitadi, parendo loro male stare sotto la segnoria
del legato, e veggendo abassato lo stato suo per la
sconfitta da
Ferrara e per la
perdita d'Argenta, essendo
saliti in sulla ringhiera
del palazzo di Bologna
colle spade ignude in mano, sì cominciaro
a gridare:
«Povolo, povolo, e muoia il legato, e chi è di Linguadoco!».
Alle quali grida e romore il popolo armato
fu
scommosso seguendo il romore cominciato,
si partiro di su la piazza iscorrendo per la terra: e
combattero il palagio
del grano e il vescovado, dove
stavano il maliscalco e li altri officiali
del legato; e in
quelli misono fuoco, e rubaro e uccisono tutti li oltramontani
che trovaro per la terra; e ciò fatto, assaliro
e combattero il
nuovo castello ov'era il legato,
per uccidere lui e sua gente che v'erano fuggiti dentro,
e
misonvi l'assedio di dì e di notte; e questa
rubellazione
fu fatta
a dì
XVII del detto mese di marzo
MCCCXXXIII. E nota che tutta questa rovina avenne
al
legato perch'era male co' Fiorentini, che sse fosse
stato bene di loro, la sconfitta ch'ebbe
a
Ferrara la
sua gente non avrebbe avuta, né perduta Argenta, né
'l popolo di Bologna li sarebbe rubellato per
dotta
de' Fiorentini, né lla
Romagna; ma la disordinata
cupidità
di volere segnoria fa montare in superbia e in
ingratitudine contro all'amico, spezialmente i
cherici;
e questo
principalmente il fece cadere in questo errore,
e di somma
prosperità in poco di tempo cadere
in grande
pericolo e
abassamento. Sentendosi la
novella
in
Firenze, i Fiorentini la maggior parte ne furo
lieti, e non
crucciosi, per la lega che i· legato avea
fatta col re Giovanni; ma per tema di sua persona e
reverenza de la Chiesa vi mandaro incontanente
IIII
ambasciadori, de' maggiori cittadini di
Firenze, e
co· lloro
IIIc cavalieri di loro masnade e delle vicherie
a piè di Mugello, per
guarentire il legato e sua gente;
e giunti
a Bologna con molta fatica, e
lusinghe e
prieghi faccendo
al popolo di Bologna per parte
del
Comune di
Firenze, trassono
del castello il legato e
sua gente e suoi arnesi, il lunidì d'Alba, dì
XXVIII di
marzo, per la porta di fuori
del castello, fasciato intorno
con li detti ambasciadori e
colla nostra gente
armata; e con tutto questo fue in grande
pericolo il
legato di perder la vita, che lo sfrenato popolo di Bologna
li vennero dietro
isgridandolo con
villane parole,
e con armata mano per offendere e rubare lui e
sua gente, insino
al ponte
a San
Ruffello; e poi i loro
contadini correndo alle strade infino
a
Leurignano in
su l'alpe. E di certo, se 'l soccorso de' Fiorentini non
fosse stato, e il loro proveduto argomento, il legato
rimanea morto e rubato con tutta sua gente. E partito
lui di Bologna, il popolo
a furore abattero e disfecero
il castello, in modo che in pochi dì non vi rimase
pietra sopra pietra, ch'era uno ricco e nobile lavorio.
I Fiorentini
condussono il legato in
Firenze
a dì
XXVI di marzo, e fu ricevuto
a grande onore e processione,
e
presentatoli per lo Comune
IIm fiorini
d'oro per
ispese; no· lli volle ricevere, ringraziando
molto il Comune
del grande e onorevole
servigio
a llui
fatto, riconoscendo per loro la vita e lo stato. E di
Firenze si partì
a dì
II d'
aprile; e fue acompagnato
per ambasciadori e gente d'arme da' Fiorentini infino
presso
a
Pisa; e di là n'andò
a
corte, e giunse
a
Vignone
a dì
XXVI d'
aprile. E come fue dinanzi
al papa
e
a' cardinali in piuvico consistoro si
dolfe de la
fortuna
a llui incorsa, e vergogna e
danno
fattoli per
li Bolognesi, dimandando vendetta per sé e per la
Chiesa, lodandosi in
palese
del soccorso e onore ricevuto
da' Fiorentini; ma in segreto
al papa disse che
ogni disaventura si riputava avuta per la gente che'
Fiorentini mandaro
al soccorso di
Ferrara, onde la
sua oste fue sconfitta. Per la qual cosa il papa non
volle poi vedere né udire i Fiorentini, con tutto che
prima avea cominciato
a
disamarli per la
mala informazione
fattali per
lettere dal detto legato contro
a'
Fiorentini sì per la 'mpresa della lega. E di certo se
papa Giovanni fosse più lungamente vivuto, elli
avrebbe
adoperato ogni
abassamento e
damaggio di
Fiorentini, e già l'avea ordito, però che sopra tutti i
cardinali amava messer
Beltramo dal Poggetto cardinale
d'Ostia suo nepote, ma per li più si dicea piuvicamente
ch'elli era suo figliuolo, e di molte cose il simigliava.
L. 12, cap. 7 rubr.Di novità ch'ebbe in Bologna dopo la cacciata de· legato.
L. 12, cap. 7Appresso la cacciata
del legato di Bologna la terra
rimase in grande
scandalo tra' cittadini, che
ciascuno
de' maggiorenti volea essere segnore, e quelli cittadini
ch'erano stati amici
del legato v'erano sospetti. E
se non fosse che i Fiorentini vi mandaro di presente
CC cavalieri con
due savi e grandi cittadini per ambasciadori
e consiglieri dello stato della terra, e per
guardia di quella, di certo i Bolognesi si sarebbono
stracciati insieme, e
datisi per loro
discordia
a meser
Mastino della Scala, o
a' marchesi, o
ad altri tiranni;
e stettevi la detta gente de' Fiorentini per
due mesi,
avendo dirizzata la terra in assai buono stato secondo
la loro fortuna, con tutto ch'assai fossero pregni
di male volontadi tra lloro. Incontanente che li ambasciadori
e' cavalieri di
Firenze si furono partiti di
Bologna, partoriro le loro
niquitadi; e i figliuoli di
Romeo di
Peppoli, e'
Goggiadini, e' loro seguaci
ch'aveano rubellata la terra
al legato,
a romore e
a
furore ne cacciarono i
Sabatini, e'
Rodaldi, e'
Bovattieri,
e parte de'
Beccadelli, e più altre case e famiglie
de' grandi e di popolo, e arsono loro le case, e tali
disfeciono, e più
confinati fecero ne la terra; onde
tra cacciati e
confinati n'uscirono più di
MD cittadini;
e ciò fue
a dì di giugno
MCCCXXXIIII. E se non fosse
che' Fiorentini vi rimandaro incontanente loro
ambasciadori e cavalieri
al riparo de la loro fortuna,
Bologna era
al tutto guasta e
deserta, o venuta in mano
di tiranno. E nota che questo giudicio di Dio non
fue sanza cagione e giustizia, che con tutto che fosse
giusta la cacciata
del legato di Bologna per la sua superbia
e tirannia, lo ingrato popolo di Bologna non
l'avea
a fare, sì per reverenza di santa Chiesa, e sì per
l'utile che' Bolognesi traevano della stanza
del legato
in Bologna, che tutti n'
aricchiano; ma la parola di
Dio non puote preterire, cioè: «Io ucciderò il nimico
mio col nimico mio».
L. 12, cap. 8 rubr.Come la lega di Lombardia ebbe Chermona, ed altre
novità ch'avennero per quella in Lombardia e in
Toscana.
L. 12, cap. 8Nell'
anno
MCCCXXXIIII,
del mese d'
aprile, l'oste
della lega di Lombardia co' loro segnori, in quantità
di
IIIm cavalieri, furo sopra la
città di Chermona. E
poi in calen di maggio
patteggiòe il segnore di Chermona
di rendere la terra
al segnore di Milano, com'
erano le
convenenze
giurate della lega con certi
patti e ordini, intra gli altri che sse per lo re Giovanni,
a cui s'erano dati, non fossero soccorsi con oste
campale infino
a mezzo luglio,
darebbono la terra
per lo modo
patteggiato, e così feciono, però che 'l
soccorso non fu fatto; però che il re Giovanni e 'l figliuolo
erano partiti di Lombardia, e la sua gente
non era possente
a
resistere
a la forza della lega. Infra
questo tempo, all'uscita di maggio, la detta oste
venne sopra la
città di Reggio e poi sopra Modana, e
guastarle d'intorno. E poi volendo andare sopra la
città di Parma e
porrervi l'assedio, essendo già tra
Reggio e Parma, avenne per ordine fatto, e ordinato
infino in
corte di papa per lo cardinale dal Poggetto
in qua dietro legato in Lombardia, onde si
spendea,
e fatto era
diposito di
Lm fiorini d'oro per dare
a' conestaboli
tedeschi della bassa Magna, i quali
doveano
prendere messer Mastino della Scala
principalmente
e li altri segnori, e cominciare la zuffa ne l'oste,
com'era ordinato per fornire loro
tradimento. La
quale cosa fue revelata
a messer Mastino per uno suo
antico conestabole ch'era di quella giura; per la qual
cosa il
tradimento non venne fatto, e furonne alquanti
presi e guasti, e partirsi de l'oste
XXVII bandiere
de' detti Tedeschi, e
andarne in Parma; onde
l'oste fue tutta
scerrata, e que' tiranni e segnori si
tornaro i· lloro terre con grande sospetto e paura di
loro persone di non esere o presi o morti da' loro
soldati; e ciò fu
a dì
VII di giugno
del detto
anno. Per
la detta cavalcata de la lega di Lombardia, com'era
ordinato, messer
Beltramone dal Balzo capitano di
guerra de' Fiorentini con
VIIIc cavalieri cavalcò sopra
'l
contado di Lucca, e guastò
Buggiano e
Pescia con
intendimento d'andare infino
a Lucca; e
dovevavisi
fermare l'oste, e
crescervi gente
a cavallo e
a piede
per li Fiorentini; e la lega di Lombardia ferma
a Parma
doveano mandare
a la detta oste di Lucca inn
aiuto de' Fiorentini
Vc cavalieri. Ma le genti ordinano
le cose, e Dio le
dispone: che per la detta
novità de'
Tedeschi fatta in Lombardia ogni ordine de l'assedio
di Parma e di Lucca tornò in vano, e la nostra gente
d'arme col capitano si tornò in Pistoia.
L. 12, cap. 9 rubr.Di certe reliquie sante che vennero in Firenze.
L. 12, cap. 9Nel detto anno, a dì XIII d'aprile, furo mandate in
Firenze delle reliquie di santo Iacopo e di santo
Alesso, e alquanto del drappo che vestì Cristo, per
procaccio d'uno monaco fiorentino di Valombrosa
di santa vita, il quale le procacciò in Roma da' suo'
segnori. E venute in Firenze, furono ricevute a grande
processione di cherici, e furonvi i priori e l'altre
segnorie e molta buona gente di Firenze, e con grande
devozione furono messe ne l'altare di Santo Giovanni.
L. 12, cap. 10 rubr.
Di novità che fuoro ne la città d'Orbivieto.
L. 12, cap. 10Nel detto anno, all'uscita d'aprile, battaglia cittadina
si cominciò in Orbivieto, e fue morto Nepoleuccio
de' Monaldeschi che n'era segnore per Manno
di meser Currado suo consorto; e corsa la terra,
ne cacciaro fuori tutta la setta e seguaci del detto
Napoleuccio, onde la detta città fu guasta e partita, e
'l detto Manno se ne fece segnore.
L. 12, cap. 11 rubr.Di certo fuoco che ss'apprese in Firenze.
L. 12, cap. 11A dì X di giugno del detto anno, la mattina a la
campana del giorno, s'apprese fuoco nel popolo di
Santo Simone alla fine del Parlagio antico verso Santa
Croce, e arsonvi II case e tre femine.
L. 12, cap. 12 rubr.Quando si cominciò a fondare il campanile di Santa
Reparata e 'l ponte a la Carraia.
L. 12, cap. 12Nel detto,
anno
a dì
XVIII di luglio, si cominciò
a
fondare il campanile
nuovo di Santa Reparata, di costa
a la faccia della chiesa in su la piazza di Santo
Giovanni. E
a ciò fare e benedicere la prima pietra
fue il vescovo di
Firenze con tutto il
chericato e co'
segnori priori e l'altre segnorie co· molto popolo
a
grande processione; e fecesi il fondamento infino all'
acqua tutto sodo; e soprastante e proveditore della
detta opera di Santa Liperata fue fatto per lo Comune
maestro
Giotto nostro cittadino, il più sovrano
maestro stato in dipintura che ssi trovasse
al suo
tempo, e quelli che più trasse ogni figura e atti
al naturale;
e
fulli dato
salario dal Comune per remunerazione
della sua vertù e bontà. Il quale maestro
Giotto
tornato da Milano, che 'l nostro Comune ve l'avea
mandato
al
servigio
del segnore di Milano, passò di
questa vita
a dì
VIII di gennaio
MCCCXXXVI, e fu seppellito
per lo Comune
a Santa Reparata con grande
onore. E in questo tempo e istante si cominciò
a
fondare
il
nuovo ponte
a la Carraia, il qual era caduto
per lo diluvio, e fue compiuto di fare in calen di gennaio
MCCCXXXVI, e
costò più di
XXVm di fiorini d'oro,
e
restrinsesi
II pile
al Vecchio; e fecionsi di
nuovo le
mura sopra la riva d'Arno da l'un lato e da l'altro,
per
adirizzare il corso
del fiume, e per più bellezza e
fortezza de la
città.
L. 12, cap. 13 rubr.
Come messer Mastino ebbe il castello di Colornio
in parmigiana.
L. 12, cap. 13Nel detto anno, del mese d'agosto, messer Mastino
della Scala con la lega di Lombardia venne all'assedio
del castello di Colornio in sul contado di Parma,
e 'l Comune di Firenze vi mandò CCCL cavalieri,
molto bella e buona gente, onde fu capitano Ugo
delli Scali; sì che messer Mastino vi si trovò con IIIm
cavalieri, e bisognavali bene, che' Parmigiani con la
cavalleria ch'avea loro lasciata il re Giovanni, con
l'aiuto di Lucca e di Reggio e di Modana, si trovarono
con più di IIm buoni cavalieri, i quali per più volte
feciono punga per rompere l'oste e di combattere
con messer Mastino; ma l'oste era sì forte di fossi e
di steccati, che non ebbono podere, né messer Mastino
non si volle mettere a battaglia campale. Per la
quale cosa i Parmigiani non potero fornire Colornio,
e quello abandonato, s'arendéo a messer Mastino a
dì XXIIII di settembre del detto anno. La quale vittoria
fu cagione a messere Mastino d'avere poco apresso
la città di Parma, come inanzi faremo menzione.
L. 12, cap. 14 rubr.
Come i Fiorentini riebbono il castello d'Uzzano in
Valdinievole.
L. 12, cap. 14Nel detto anno, a dì XII di settembre, per trattato
di messer Beltramone dal Balzo capitano di guerra
de' Fiorentini, e per tradimento e costo di IIm fiorini
d'oro, il castello d'Uzzano di sopra a Pescia in Valdinievole
s'arendéo al Comune di Firenze; e ciò fatto,
il detto messer Beltramone dal Balzo capitano di
guerra de' Fiorentini cavalcò con Vc cavalieri e popolo
assai per due volte infino a le porti di Lucca, ardendo
e guastando e levando gran preda con grave
danno di Lucchesi. Ma ciò potea fare sicuramente
per l'oste de la lega ch'era a Colornio in Lombardia,
e la cavalleria di Lucca era a Parma, sì che lla città di
Lucca era isfornita di genti d'arme.
L. 12, cap. 15 rubr.Come il re Giovanni simulatamente donò la città di
Lucca al re di Francia.
L. 12, cap. 15Nel detto
anno,
a dì
XIII d'ottobre, essendo il re
Giovanni
a Parigi simulatamente e per favore de'
Lucchesi e
a lloro richesta donò
al re
Filippo di
Francia tutte le
ragioni ch'elli avea in Lucca e nel
contado; e il detto re di
Francia significò
a tutti i
mercatanti di
Firenze ch'erano in Parigi, come
a llui
apartenea la signoria di Lucca e ch'ellino scrivessono
al nostro Comune che
a la
città di Lucca né
al
contado
non si facesse
guerra; ma però non si lasciò. E lo
re Ruberto per sue
lettere e ambasciadori de la detta
impresa di Lucca molto si
dolfe
al re di
Francia suo
nipote, e
pregandolo ch'elli lasciasse la detta impresa
di Lucca, però che lla signoria non era sua di ragione,
e erali stata tolta per
tradimento, e rubellata per
Uguiccione da Faggiuola e poi per
Castruccio
Interminelli,
per la qual cosa il re di
Francia non vi mandò
sua gente né ne prese possessione.
L. 12, cap. 16 rubr.Come i Fiorentini per guardia della terra feciono in
Firenze VII bargellini.
L. 12, cap. 16Nel detto
anno, per calen novembre,
coloro che
reggeano la
città di
Firenze
crearono uno
nuovo oficio
in
Firenze; ciò furono
VII capitani di guardia della
città,
ciascuno con
XXV fanti armati, e in ogni
sesto
de la
città ne stava uno, e nel
sesto d'Oltrarno
due; i
quali guardavano la
città di dì e di notte, di sbanditi
e di zuffe e offensioni e di giuoco e d'arme, e fuoro
chiamati bargelli. L'oficio de' detti ebbe bello
colore
e buona mossa; ma quelli che reggeano la
città il feciono
più per loro guardia e
francamento di loro stato,
perché
dubitavano ch'
a la
nuova reformazione de
la lezione de' priori, che ssi
dovea fare il gennaio
apresso, non avesse
contesa, perché certi popolani
ch'erano degni d'essere
al detto oficio per
sette n'erano
schiusi.
Durò il detto uficio uno
anno e non più,
fornita la detta lezione; e poi ne surse un altro oficio
di maggiore lieva, che ssi chiamò conservatore, come
inanzi
al tempo faremo menzione.
L. 12, cap. 17 rubr.Conta di guerra tra' Catalani e' Genovesi.
L. 12, cap. 17Nel detto anno i Genovesi co· lloro galee armate
feciono grande danno a' Catalani, che presono di loro
quattro grandi cocche in Cipri, e altre quattro in
Cicilia, e quattro galee in Sardigna, tutte cariche di
ricco avere, e li uomini tutti misono alle spade o anegaro
in mare, e VIc ne 'mpiccaro a uno colpo in Sardigna,
la quale fue una grande crudeltà; ma non fu
sanza merito in parte di giudicio di Dio alla loro città,
come seguendo in questo assai tosto faremo menzione.
L. 12, cap. 18 rubr.
Come i Turchi furo sconfitti in mare da galee de la
Chiesa e del re di Francia.
L. 12, cap. 18Nel detto anno l'armata de la Chiesa di Roma e
del re di Francia e' Viniziani, in quantità di XXXII galee
mandate in Grecia per difenderla da' Turchi che
tutta la correano e guastavano, iscontrandosi col navilio
de' Turchi ch'era infinito, combattero co· lloro. I
Turchi fuggendo a terra, ne morirono più di Vm, e arsono
di loro navilio CL legni grossi sanza i sottili e
piccioli, e poi corsono tutte le loro marine e alquanto
fra terra, levando gran preda di schiavi e di cose
con grande danno di loro.
L. 12, cap. 19 rubr.De la morte di papa Giovanni XXII.
L. 12, cap. 19Nel detto
anno,
a dì
IIII di dicembre, morì papa
Giovanni apo la
città di
Vignone in
Proenza, ov'era
la
corte, d'infermità di flusso, che tutto il suo corpo
si disolvette, e per quello si sapesse, morì convenevolmente
assai ben
disposto apo Dio, rivocando il
suo
oppinione mosso de la visione dell'anime de'
santi. E ciò fece, secondo si disse, più per
infestamento
del cardinale dal Poggetto suo nipote e degli
altri suoi
parenti,
a ciò che non morisse con quella
sospeccionosa
fama, che da suo
movimento, non credendo
sì tosto morire, e elli morì il dì seguente. E
a
ciò che sia manifesto
a chi per li tempi leggerà questa
cronica, e non possa avere preso errore per quella
oppinione, sì metteremo apresso verbo
a verbo la
detta dichiarazione fatta fedelmente volgarizzare, come
avemo la copia dal nostro fratello che allora era
in
corte di
Roma.
«Giovanni vescovo, servo di servi di Dio,
a perpetua
memoria. Né sopra quelle cose che dell'anime
purgate partite da' corpi, se
a la
resurrezzione de'
corpi la divina
essenzia con quella visione, la quale
l'Apostolo chiama "
fiaccole", vegghiamo, sì per noi
come per molti altri, in nostra presenzia recitando e
allegando la sacra Scrittura e li originali detti de' santi,
o per altro modo ragionando, spesse volte dette
sono altrementi che per noi dette e intese fossono, e
intendansi e dicansi, possano nelli orecchi de' fedeli
dubbio e
oscurità generare; ecco la nostra intenzione
la quale con la santa Chiesa cattolica intorno
a queste
cose abbiamo, e abbiamo avuto, per lo tenore
delle presenti, come seguita: dichiariamo, confessiamo
certamente e
crediamo che l'anime
purgate partite
da' corpi sono ne'
cieli de'
cieli e in paradiso con
Cristo, e in compagnia delli angeli raunate, e veggiono
Idio e la divina
essenzia faccia
a faccia
chiaramente,
in quanto lo stato e la condizione dell'anima partita
dal corpo comporta. E se altre cose e quale o per
altro modo intorno
a questa materia per noi dette
predicate, overo scritte fossono, per alcuno modo
quelle cose abbiamo dette, predicate, overo scritte,
recitando e disputando i detti della sacra Scrittura e
de' santi, e così vogliamo essere dette, predicate, e
scritte. Anche se alcune altre cose sermocinando, disputando,
domatriando, amaestrando, overo per alcuno
altro modo dicemmo, e
predicamo, o scrivemo
intorno
a le predette cose, overo altre cose che raguardano
la fede cattolica, la sacra Scrittura, overo
a'
buoni
costumi, in quanto sono
consone
a la fede cattolica
e
a la
determinazione de la Chiesa
a la sacra
Scrittura e
a' buoni
costumi, la
sponiamo; altrementi
per altro modo quelle cose abbiamo avute, e vogliamo
per non dette, predicate e scritte, e quelle
revochiamo
espressamente; e le predette tutte cose, e
qualunque altre predette e scritte per noi di qualunque
mai fatti in ogni luogo, e in qualunque luogo o
in qualunque stato, che abbiamo, e abbiamo avuto
da quinci adietro, e
sommettiamo
a la
determinazione
de la Chiesa e de' nostri successori.
Data
a
Vignone
a dì
III di dicembre,
anno
XVIIII
del nostro pontificato».
E poi anullò le
reservazioni per lui fatte, che da la
sua
morte innanzi non avessono vigore.
L. 12, cap. 20 rubr.Del tesoro che ssi trovò la Chiesa dopo la morte di
papa Giovanni, e di sua vita e costumi.
L. 12, cap. 20Dissesi che l'eclissi
del sole, che fue
del mese di
maggio l'
anno dinanzi, significò la sua
morte
dovere
esere quando il sole verrebbe
a l'opposizione
del suo
mezzo corso; e così parve che fosse. De la
morte
del
detto papa se ne fece in
Firenze l'
osequio
a dì
XVI di
dicembre ne la chiesa di Santo Giovanni con grande
e ricca luminaria, e grande solennità e celebrazione
d'oficio per lo
chericato e per tutti i cittadini. E nota
che dopo la sua
morte si trovò nel
tesoro de la Chiesa
a
Vignone in monete d'oro coniate il valere e
compito
di
XVIII milioni di fiorini d'oro e più; e il vasellamento,
corone,
croci, e mitre, e altri gioielli d'oro
con pietre preziose lo stimo
a larga
valuta di
sette
milioni di fiorini d'oro, che ogni
milione è mille migliaia
di fiorini d'oro la
valuta. E noi ne possiamo di
ciò fare piena fede e testimonianza vera, che il nostro
fratello carnale, uomo degno di fede, che allora era
in
corte mercatante di papa, che da'
tesorieri e da altri
che fuoro deputati
a
contare e pesare il detto
tesoro
li fu detto e acertato, e in somma recato per farne
relazione
al
collegio de' cardinali per mettere in
aventario, e così il trovaro. Il detto
tesoro, la maggior
parte, fu raunato per lo detto papa Giovanni
per sua industria e sagacità, che infino l'
anno
MCCCXVIIII puose la reservazione di tutti i beneficii
collegiati di
Cristianità, e tutti li volea dare egli, dicendo
il facea per levare le
simonie. E di questo trasse
e raunò infinito
tesoro. E oltre
a ciò e per la detta
reservazione quasi mai non
confermò elezzione di
nullo parlato, ma
promovea uno vescovo inn uno arcivescovado
vacato, e
del vescovado
del vescovo
promosso
promovea
uno minore vescovo, e talora avenia
bene sovente che d'una
vacazione d'uno grande
vescovado o arcivescovado o patriarcato facea
sei o
più
promozioni; e simile d'altri benifici; onde grandi
e molte provisioni di moneta tornavano
a la camera
del papa. Ma non si ricordava il buono uomo
del
Vangelio di Cristo, dicendo
a' suoi discepoli: «Il vostro
tesoro sia in
cielo, e non
tesaurizzate in terra»;
né
del
tesoro che Piero e li altri apostoli chiesero
a
Mattia, quando
asortiro i· lloro
collega in luogo di
Iuda
Scariotto. E questo basti, e forse è detto più
ch'
a nnoi non si
conviene, però che 'l detto
tesoro dicea
papa Giovanni raunava per fornire il santo passaggio
d'oltremare; e forse avea quella intenzione.
Molto
tesoro consumò in Lombardia per abattere i
tiranni, e mantenere grande il suo nepote, overo figliuolo,
legato di Lombardia, come adietro è fatta
menzione, e talora contro
a'
Turchi. Allegravasi oltre
modo d'uccisione e
morte de' nimici; molto
amò il
nostro Comune di
Firenze mentre fumo
favorevoli e
aiutatori
del detto suo legato; e più grazie
al Comune
e singolari cittadini fece, che
X vescovadi diede
al
suo tempo
a' Fiorentini e molti altri benifici
ecclesiastici;
ma poi che 'l nostro Comune fue contro
al detto
legato, ne fu nimico, e cercava ogni nostro
abassamento.
Modesto fu e
sobrio in suo
vivere, e più amava
vivande grosse che dilicate, e in sé propio poco
spendea; quasi ogni notte si levava
a dire l'uficio e
istudiare; e le più mattine dicea la
messa, e assai era
latino di dare udienza, e tosto
spediva. Piccolo fu di
persona,
prosperoso e
collerico, e tosto si movea
a
ira. Savio in iscienza, e d'un aguto spirito, e magnanimo
fu
a le gran cose. Assai fece grandi e ricchi i
suoi
parenti, vivette da
LXXXX anni, e seppellito fue
in
Vignone; ma poi i suoi
parenti ne portaro o tutto
o parte
del suo corpo
a Caorsa: e nel
papato regnò
anni
XVIII e mesi. Lasciamo omai della materia,
ch'assai avemo detto, e de' suoi modi e
costumi, e diremo
della lezione di papa Benedetto che succedette
appresso lui.
L. 12, cap. 21 rubr.
De la lezione di papa Benedetto XII.
L. 12, cap. 21Dopo la
morte e
sepoltura di papa Giovanni i cardinali,
ch'erano allora
XXIIII, e tutti ritrovandosi in
Vignone, per lo siniscalco di
Proenza
del re Ruberto
furo
messi nel conclavi per bene guardati e
distretti,
a ciò che tosto facessono lezione di papa. E avendo
tra lloro tira e
discordia della lezione, perché dell'una
maggiore
setta, della quale era capo il cardinale di
Peragorgo, ciò era fratello
del
conte di
Peragorgo,
con séguito grande de' cardinali
caorsini e franceschi,
e il cardinale de la Colonna, sì trattaro d'
eleggere
papa il cardinale fratello
del
conte di
Comingio,
uomo savio e
valoroso e di buona vita: fuoro
a llui, e
profersorli le loro
voci, con
patto ch'elli promettesse
loro di non venire
a
Roma; la qual cosa non volle
promettere, dicendo che inanzi
rinunzierebbe il cardinalato
ch'elli avea certo, che 'l
papato ch'era in
aventura. Per la qual cosa rimescolata la divisione de
la lezione tra'
collegi quasi per gara, non credendo
venisse fatto, misono
a
squittino quelli di loro
collegio
ch'era tenuto il più minimo de' cardinali; ciò fu il
cardinale Bianco di piccola nazione di tolosana, il
quale era stato monaco e poi abate di
Cestella, però
uomo di buona vita. Sanza osservazione d'ordinato
squittino, parve opera divina, che
ciascuna
setta di
cardinali
a
rrigatta li diedono le loro
voci, e così fu
eletto papa la
vilia di santo Tomè apostolo dopo
vespero,
a dì
XX di dicembre
MCCCXXXIIII. E lui eletto
papa,
ciascuno s'
amirò, e elli medesimo ch'era presente
disse: «Avete eletto uno asino», o per grande
umilità non
conoscendosi degno, o
profetizzando il
suo stato, però che fue uomo di grosso intelletto
quanto ne la pratica
cortigiana, ma sofficiente assai
in iscrittura. E poi si coronò papa
a dì
III di gennaio
al luogo de' frati predicatori
a
Vignone, e chiamossi
papa Benedetto
XII. E come fue eletto, diede commiato
a tutti i prelati, salvo
a' cardinali, e donò
al
collegio de' cardinali de la camera
Cm fiorini d'oro
per
ispese.
L. 12, cap. 22 rubr.Di certo diluvio d'acque che fu in Firenze e in Fiandra.
L. 12, cap. 22Nel detto
anno,
a dì
V di dicembre, fu tanta
piova,
che 'l fiume d'Arno
crebbe
isformatamente per modo
che, se le pescaie ch'erano nel fiume inanzi
al
grande diluvio fossono state in piede, gran parte de
la
città sarebbe allagata; ma per lo diluvio il letto
d'Arno era abassato più di
VI braccia; ma pur così
ruppe e ne menòe uno ponte di legname fatto
a grossi
pali, il quale era fatto tra 'l ponte Vecchio e quello
di Santa Trinita, e uno ponte di piatte grosse incatenato,
ch'era fatto tra 'l ponte
a Santa Trinita e quello
da la Carraia, con
danno assai. In
Fiandra e in
Olanda
e
Silanda in questo tempo fuoro tante soperchie
piove, e gonfiamento
del
fiotto
del
mare, che tutte
case e terre di quelle marine si
disertaro.
L. 12, cap. 23 rubr.Come uno frate Venturino da Bergamo commosse
molti Lombardi e Toscani a penitenzia.
L. 12, cap. 23Nel detto
anno, per le feste della Nattività di Cristo,
un frate
Venturino da Bergamo dell'ordine de'
predicatori d'età di
XXXV anni, di picciola nazione,
per sue prediche recòe
a penitenzia molti peccatori
micidiali e rubatori, ed altri cattivi uomini de la sua
città e di Lombardia. E per le sue
efficaci prediche
commosse
ad andare
a la quarentina
a
Roma e
al
perdono più di diecimila Lombardi gentili uomini e
altri, i quali tutti vestiti quasi dell'abito di santo
Domenico,
cioè con
cotta bianca e mantello cilestro o
perso, e in sul mantello una colomba bianca intagliata
con tre
foglie d'ulivo in becco; e venieno per le
città di Lombardia e di
Toscana
a schiere di
XXV o
XXX, e ogni brigata con sua croce innanzi gridando pace
e misericordia; e giugnendo ne le cittadi si
rassegnavano
prima
a la chiesa de' frati predicatori, e in
quella dinanzi
a l'altare si spogliavano da la
cintola in
su, e si
batteano un pezzo umilmente. E ne la nostra
città di
Firenze fu loro fatte grandi
elimosine, che
per le devote genti, uomini e donne, ogni dì erano
messe tavole, e piena tutta la piazza vecchia di Santa
Maria Novella, ove ne mangiavano per volta
Vc o più
ben serviti; e così
durò
XV dì continui, come passavano
a
Roma. Infra 'l detto tempo fue in
Firenze il detto
frate
Venturino, e predicò più volte; e
a le sue
prediche traeva tutto 'l popolo di
Firenze quasi come
a uno profeta. Le dette sue prediche non erano
però di sottili
sermoni né di profonda scienzia, ma
erano molto
efficaci e d'una buona loquela e di sante
parole,
dicendole molto
dubbiose e
acentive
a commuovere
genti, quasi affermando e dicendo: «Quello
ch'io vi dico sappia, e non altro; ché Dio così vuole».
Andonne
a
Roma co' detti pellegrini, e co· molti
altri di
Toscana che 'l seguiro, che fue innumerabile
popolo con molta onestà e
pazienzia. E poi da
Roma
andòe
a
Vignone
al papa il detto frate
Venturino per
impetrare grazia di perdono
a chi ll'avea seguito. In
corte, o per invidia o per altra sua
presunzione, fu
acusato
al papa, e
apostili più articoli di peccati e di
resia, de' quali fue
disaminato, e fatta inquisizione, e
fu trovato buono Cristiano e di santa vita; ma per la
sua
presunzione, e perché diceva che non era niuno
degno papa se non stesse
a
Roma
a la sedia di san
Piero, e per tema ch'ebbe il papa che per le sue prediche
non
comovesse il popolo cristiano, sì lli
diè i
confini
a dimorare
a
Frisacca, una terra nelle montagne
di
Ricordana, e
comandolli che non confessasse
persona, né predicasse
a popolo. E questi sono i
meriti
c'hanno le sante persone da' prelati di santa
Chiesa; overo che fue giusto per temperare la soperchia
ambizione
del frate, tutto ch'adoperasse con
buona intenzione.
L. 12, cap. 24 rubr.Come i Ghibellini di Genova ne cacciaro i Guelfi e
la segnoria del re Ruberto.
L. 12, cap. 24Nel detto
anno, essendo ne la
città di
Genova tornati
per pace fatta per lo re Ruberto tutti i Ghibellini,
come adietro in alcuna parte facemmo menzione,
e mandando
a
Genova il re uno meser
Bolgro da
Tollentino suo uficiale per ordinare la guardia della
terra, e che 'l
termine de la signoria
del re si prolungasse,
e essendovi per podestà per lo re messer
Giannozzo
Cavalcanti di
Firenze,
sombuglio e
comozione
nacque in
Genova tra' Guelfi e' Ghibellini; perché
a
la maggiore parte de' Genovesi ch'erano d'animo imperiale,
e
naturalmente sono
altieri e disdegnosi, rincrescea
la segnoria
del re, e non volendo prolungare
più la segnoria
al re; per la quale
dissensione cominciaro
tra lloro battaglia cittadina, e
asserragliaro tutta
la terra e
imbarraro. Alla prima ebbono il migliore i
Guelfi, ma poi si partiro tra lloro; che i Salvatichi
per cagione ch'
ad uno di loro per lo sopradetto meser
Bolgaro, quando fu podestà di
Genova, per mandato
del re Ruberto fece tagliare il capo
a uno de'
maggiori della casa, perch'era gran pirrato e rubatore
in
mare, per lo quale sdegno s'accordaro co' Ghibellini
e co· lloro seguaci
a torre la segnoria
al re, accordati
a ciò fare co li
Orii e
Spinoli. E avuto grande
soccorso di genti da Saona e della riviera, per terra e
per
mare
cresciuto loro podere, per forza di battaglia
ne cacciaro i Guelfi e le segnorie
del re,
a dì
XXVIII
di febraio
del detto
anno, con gran vergogna
del re
Ruberto; e fune dato colpa
a la podestà di troppa negligenzia.
Cacciati i Guelfi di
Genova,
andarsene al
Monaco, e poi col favore
del re Ruberto
armaro
galee,
e furono segnori
del
mare,
rubando chi meno
poteva di loro, e tenendo la
città di
Genova molto
stretta. I Ghibellini che rimasono segnori in
Genova
feciono
due capitani, uno di casa d'
Oria e uno di casa
Spinola. Per questa
mutazione molto si sconciò il
buono istato di
Genova e di
mercatantia, e male vi si
tenea ragione, onde molto abassò il podere de' Genovesi;
e' Guelfi medesimi che tennero co' Ghibellini
fuoro poi cacciati di
Genova.
L. 12, cap. 25 rubr.
Come cominciò l'abassamento de' Tarlati d'Arezzo,
e come fue tolto loro il Borgo a Sansipolcro.
L. 12, cap. 25Nell'
anno di Cristo
MCCCXXXV, essendo messer
Piero
Saccone de'
Tarlati d'
Arezzo, fratello che fu
del valente vescovo d'
Arezzo, di cui adietro in più
luogora avemo fatta menzione, co' suoi fratelli e
consorti
segnori al tutto d'
Arezzo, e de la
Città di Castello,
e
del Borgo
a
Sansipolcro, e di tutte loro castella,
e di quelle di
Massa
Tribara,
dominando come
tiranni infino nella Marca, e avendo
disertato
Nieri
d'Uguiccione da Faggiuola, e i
conti da Montefeltro,
e quegli da
Montedoglio, e la casa delli
Ubertini, e il
vescovo d'
Arezzo delli
Ubertini e' figliuoli di
Tano
da Castello, e più altri
baroncelli
del paese, ghibellini
e guelfi, per segnoreggiare tutto; e per loro
presunzione,
presa la
città di
Cagli, nella quale i Perugini
cusavano alcuna ragione, e perché contro
a' Perugini
teneano la
Città di Castello, i Perugini co' detti Ghibellini
segretamente feciono lega e compagnia e con
messer
Guiglielmo segnore di
Cortona, e
dando
a
Nieri da Faggiuola di loro genti, e per trattato fatto
con Ribaldo da
Montedoglio cognato de'
Tarlati, che
per loro tenea il Borgo
a
Sansipolcro,
entròe il detto
Nieri nel detto Borgo con
CC cavalieri e
Vc pedoni
a
dì
VIII d'
aprile
del detto
anno, e prese la terra, salvo
la rocca, che ssi tenne infino
a dì
XX d'
aprile, nella
quale era messere Uberto di
Maso de'
Tarlati; e vegnendo
gli Aretini co· lloro sforzo per
soccorrella, i
Perugini con tutta loro lega e forza vi fuoro più grossi
e possenti, sì che al tutto rimasono segnori della
terra e della rocca, la quale s'
arendé loro, salve le
persone. E questo fue il
cominciamento de la loro
rovina e
abassamento.
L. 12, cap. 26 rubr.D'una rovina che fece parte della montagna di Falterona.
L. 12, cap. 26Nel detto
anno,
a dì
XV di maggio, una
falda de la
montagna di
Falterona da la parte che discende verso
il
Decomano in Mugello, per tremuoto e rovina
scoscese più di
quattro miglia infino
a la villa si chiamava
il Castagno, e quella con tutte le case, persone
e bestie salvatiche e
dimestiche e alberi
sobissò, e assai
di terreno intorno, gittando abondanza d'acqua
ritenuta, oltre
a l'usato modo torbida come acqua di
lavatura di cenere; e gittò infinita quantità di serpi, e
due serpenti con
quattro piedi grandi com'uno cane,
li quali l'uno vivo e l'altro morto fuoron presi
a
Decomano. La quale torbida acqua
discese nel
Decomano,
e tinse il fiume della Sieve; e la Sieve tinse il
fiume dell'Arno infino
a
Pisa; e
durò così torbido
per più di
due mesi, per modo che dell'acqua d'Arno
a neuno buono
servigio si poteva operare, né'
cavalli
ne voleano bere; e fue ora che i Fiorentini
dubitaro
forte di non
poterlo mai gioire, né poterne lavare o
purgare panni lini o lani, e che però l'
arte della lana
non se ne perdesse in
Firenze; poi
a poco
a poco
venne
rischiarando, e tornando in suo stato.
L. 12, cap. 27 rubr.Di certi scontrazzi che fuoro tra lla nostra gente e
quella di Lucca.
L. 12, cap. 27Nel detto anno, a dì VI di giugno, avendo il capitano
della guerra de' Fiorentini, messer Beltramone
dal Balzo, posto uno battifolle, overo bastita, tra Uzzano
e Buggiano in Valdinievole per guerreggiare
Buggiano e Pescia, tornando da quello la nostra gente
in quantità di CL cavalieri, certi de' nemici per ordine
d'aguato uscirono loro adosso, e combattero, e
fuoro rotti i nimici, e presine XXII cavalieri, e uno conestabole
morto. Intanto, com'era ordinato per li nimici,
vennero da Pescia a Buggiano CC cavalieri di
quelli di Lucca e assalirono i nostri, che ssi credeano
avere vinto, e misolli in isconfitta, e rimasonvi de'
nostri IIII conestaboli presi e uno morto, con più cavalieri
presi e morti.
L. 12, cap. 28 rubr.
Come i Perugini furo sconfitti da li Aretini.
L. 12, cap. 28Nel detto
anno,
a dì
VIII di giugno, avendo i Perugini
e i loro
collegati presa grande baldanza sopra li
Aretini per la
rubellazione
del Borgo
a
Sansipolcro,
col segnore di
Cortona in quantità di
VIIIc cavalieri e
Vm pedoni erano partiti di
Cortona e
intrati in sul
contado d'
Arezzo guastando la contrada di Valdichiana.
Messer Piero
Saccone segnore d'
Arezzo uscito
di
Castiglione
Aretino con
Vc cavalieri di sue masnade
e pedoni assai, venne arditamente contro
a'
Perugini, i quali, veggendo li Aretini, si cominciarono
a ricogliere verso
Cortona male ordinati e peggio
capitanati. Li Aretini,
intra' quali avea di buoni capitani
di
guerra, veggendo il loro male
reggimento, assaliro
vigorosamente i cavalieri di Perugia ch'erano
ischierati in sulla strada alla guardia de' guastatori, e
dopo la prima
afrontata alquanto ritenuta i cavalieri
perugini furono rotti e sconfitti, e rimaservi de' cavalieri
pur de' migliori cittadini e forestieri da
C tra
presi e morti, e più di
CC pedoni, e seguendo la caccia
infino
a le porte di
Cortona; e se non fosse il
refugio
della terra, pochi ne sarebbono scampati. E ciò
fatto, li Aretini cavalcaro guastando e ardendo in sul
contado di Perugia per
V dì, e fuoro infino
a le forche
di Perugia presso
a la
città
a
due miglia; e per
diligione
de' Perugini v'impiccarono de' Perugini presi
colla gatta, overo
muscia, al lato, e
colle lasche
del
lago
infilzate pendenti dal braghiere dell'impiccati.
Per la qual cosa i Perugini molto
aontati, non feciono
come genti isbigottiti né sconfitti; ma subitamente
raunaro danari, e mandaro in Lombardia per
M
cavalieri tedeschi, i quali erano stati delle masinade
del re Giovanni, molto buona gente, i quali erano di
poco partiti di Parma, quando si rendé
a messere Alberto
e Mastino, e chiamavansi i cavalieri de la Colomba;
però che s'erano ridotti
a la
badia de la Colomba
in Lombardia e ne la contrada, vivendo di
ratto
e sanza soldo. E quelli soldati vennero
a Perugia,
co' quali, co' Perugini, e
coll'aiuto de' Fiorentini, che
incontanente saputa la sconfitta mandarono
a Perugia
CL cavalieri
colla 'nsegna
del Comune di
Firenze
feciono apresso di gran cose contra li Aretini, come
per lo inanzi leggendo si potrà trovare. E in questo tempo,
a dì
XV di giugno, passando per
Firenze da
CL balestrieri genovesi, i quali andavano
ad
Arezzo
in
servigio di messer Piero
Saccone, che lli mandavano
i
parenti della moglie ch'era de li
Spinoli di
Genova,
andando al
dilungo per la terra con
bandiere
levate, e
colle sopransegne imperiali e ghibelline, i
fanciulli e' garzoni e popolo
minuto di
Firenze
a grido
li seguiro fuori della porta, e tutti li rubaro e presono
e fediro, sicché non potero andare al
servigio
delli Aretini, e tornarsi
a
Genova; e
convenne che i
mercatanti di
Firenze ch'aveano
a fare in
Genova
mendassero loro il
danno ricevuto. De la qual cosa, e
de' cavalieri che' Fiorentini mandaro loro subitamente
sanza richesta, i Perugini ebbono molto
a grado
da' Fiorentini, che per lo sùbito avenimento della
sconfitta erano molto sbigottiti; e per questo piccolo
soccorso presono vigore e
conforto per lo modo detto
di sopra, e 'l
consiglio de' Perugini ordinòe di trovare
moneta per
via di gabelle al modo di
Firenze,
onde soldaro i detti
M cavalieri.
L. 12, cap. 29 rubr.D'una armata che 'l re Ruberto fece sopra Cicilia.
L. 12, cap. 29Nel detto
anno,
a dì
XIII di giugno, partiti
del porto
de la
città di Napoli una armata di
LX galee e più
altri legni che il re Ruberto mandòe sopra l'isola di
Cicilia con
M cavalieri, onde fu capitano il
conte
Curiliano
di Calavra e il
conte di
Chiermonte rubello di
quello di Cicilia. E i Fiorentini li mandaro aiuto al re
per quella armata
C cavalieri; di più non potero servire
il re per la gente de' Fiorentini ch'era in Lombardia
in
servigio della lega, e sopra la
città di Lucca
e al
servigio di Perugini, come adietro è detto. La
detta armata stettono in su l'isola di Cicilia il luglio e
l'
agosto faccendo grande
danno, ma nulla terra murata
v'acquistaro, però che e'
parenti e' fedeli
del
conte di
Chiermonte non li rispuosono come aveano
promesso; e chi disse che 'l detto
conte non volle
perché il re no· lli fece quello onore quando venne
a llui, come si
credette, e per animo imperiale; e
a
ciò
diamo fede, che tornata la detta armata
a Napoli,
il detto
conte si partì dal re e
andonne in Alamagna
al Bavero, e poi tornò al
servigio di messer Mastino
della Scala, onde s'era mosso.
L. 12, cap. 30 rubr.Come la città di Parma e di Reggio s'arendero a' segnori
della Scala, e quello che di ciò seguitò.
L. 12, cap. 30Nel detto
anno, avendo la lega di Lombardia co'
cavalieri di
Firenze (e al continuo n'avea al loro
servigio
CCCCL) molto aflitta la
città di Parma,
dapoi
ch'ebbono il castello di
Colornio, come adietro facemo
menzione, Orlando e messer
Marsilio de' Rossi
di Parma, che teneano la segnoria della terra, trattato
feciono con messer
Azzo Visconti da Milano di
darli
Parma e Lucca; per la qual cosa messer Mastino e li
altri segnori de la lega e' Fiorentini si turbaro molto,
e ordinaro
parlamento
e tutti vi fuoro, e messer
Azzo
a
Solcino, e molto isdegno si scoperse allora tra
messer
Azzo e messer Mastino, che messer
Azzo pur
volea seguire la 'mpresa. I Fiorentini temendo di
Lucca, che non venisse
a le
mani di messer
Azzo, e
confidandosi più di messer Mastino per le
impromesse
fatte
a lloro di rendere loro Lucca,
antipuosono
con ogni opera e
coll'aiuto delli altri allegati di levare
messer
Azzo dal suo proponimento, e di
paciarlo
con messer Mastino, e dopo molti trattati s'
accozzaro
insieme in sul fiume
del
Leglio, e
rimisesi la
questione nelli ambasciadori di
Firenze, i quali accordaro
che Parma fosse di messer Mastino, e la lega
atasse
a messer
Azzo acquistare Piagenza e il borgo
a
San
Donnino. E ciò fatto, e
confermato per
solenni
strumenti, i Rossi di Parma, non aspettando soccorso
dal re Giovanni, trattaro concordia con messer Mastino
e con la lega, mosso prima il trattato per
Ispinetta
marchese, e poi seguito e tratto
a fine per mano
di messere
Marsilio da
Carrara di Padova loro
zio; e in tutto si rimisono i· llui, e rendero la
città di
Parma
a messer Mastino e
a messer Alberto de la
Scala con promesse di larghi e grandi
patti, lasciando
loro
Pontriemoli e più castella in
parmigiana, e promissione
di
lasciarli i maggiori cittadini di Parma, e
che avessono dal Comune annualmente per loro provisione
grande quantità di moneta, in quantità di
Lm
fiorini d'oro. E elli
promisono
a meser Mastino d'aoperare
con effetto con messer Piero Rosso loro fratello,
il quale tenea la
città di Lucca per lo re Giovanni,
di
farliele rendere,
acordandosene per certa
quantità di moneta col detto re. E questi
patti di
Lucca, dicea messer Mastino, facea
a petizione
del
Comune di
Firenze, per osservare i
patti della lega, e
così ne scrisse al detto Comune di
Firenze, e continuo
dicea
a li ambasciadori de' Fiorentini ch'erano
intorno di lui
a Verona, e quando di ciò mancasse
messer Piero Rosso, sarebbono di sua gente al
servigio
de' Fiorentini atare acquistare Lucca
Vc cavalieri
e tutte queste promesse erano inganno. Ebbono la
possessione della
città di Parma i segnori della Scala
di Verona
a dì
XXI di giugno il detto
anno
MCCCXXXV, e
entròvi messer Alberto de la Scala con
VIc cavalieri, però che messer Mastino per alcuno
disagio
di sua persona preso
a
Colornio se n'era ito
a
Verona; e al
cominciamento quelli della Scala osservaro
largamente i
patti
a' Rossi di Parma infino che
ebbono la possessione di Lucca. Essendo renduta la
città di Parma
a messer Mastino, poco apresso i segnori
da Fogliano, che teneano la
città di Reggio, per
non avere adosso l'oste della lega, cercaro trattato
con messer Mastino, e con certi
patti rendero la
città
di Reggio
a dì
IIII di luglio
del detto
anno,
a meser
Mastino, il quale incontanente la
rinvestì e diede
a
quelli da Gonzaga segnori di Mantova, com'era in
patti de la lega,
riconoscendola da llui per omaggio,
dandogline ogn'
anno uno
falcone pellegrino, il quale
li
doveano mandare
a Verona.
L. 12, cap. 31 rubr.
Come meser Azzo segnore di Milano ebbe a patti la
città di Piagenza e di Lodi, e' marchesi Modana.
L. 12, cap. 31E poi per simile modo, a dì XXVII di luglio del detto
anno, si rendé la città di Piagenza a meser Azzo
segnore di Milano; ma poi li Scotti di Piagenza con
certi altri la rubellaro a meser Azzo, e più tempo
stettono in trattato col re Ruberto di darli la terra. Il
re per sua lunghezza, overo per tema di fare sì grande
impresa contra meser Azzo, no· lli soccorse, per la
quale cosa sotto certi patti s'arendero a meser Azzo a
dì XV di dicembre MCCCXXXV. E poi, a l'entrante di
settembre MCCCXXXV, s'arendé la città di Lodi al detto
meser Azzo; e così fu a ciascuno de' collegati della
lega di Lombardia osservati i patti del conquisto fatto,
che a' marchesi da Ferrara, dopo molto stento
avutasi la città di Modana per meser Mastino, la diede
loro a dì VIII di maggio MCCCXXXVI, salvo che al
Comune di Firenze non furo atenute le convenenze
de la città di Lucca, onde poi tra 'l Comune di Firenze
e meser Mastino ne seguiro grandi novità, sì come
apresso per li tempi faremo menzione. Lasceremo alquanto
de' fatti di Lombardia, e diremo di quelli di
Firenze e d'altre parti che furono in que' tempi.
L. 12, cap. 32 rubr.
Come i Fiorentini presono in guardia il castello di
Pietrasanta, e con vergogna i· lasciaro.
L. 12, cap. 32Nel detto anno, a dì VIIII di luglio, tegnendosi il
castello di Pietrasanta del contado di Lucca per Niccolaio
de' Pogginghi, che ll'avea avuto in pegno dal
conestabole di Francia, al tempo che venne in Lucca
col re Giovanni, per Xm fiorini d'oro che lli avea prestati,
non potendo di suo podere guardare la terra, la
diede in guardia al Comune di Firenze, salvo si ritenne
la rocca; i quali vi mandaro C cavalieri e IIIc pedoni,
capitano meser Gerozzo de' Bardi. Per la quale
folle baldanza due dì apresso certi usciti di Lucca, in
quantità di CC pedoni, presono il poggio della Pedona
ch'è tra Pietrasanta e Camaiore, e quello intendeano
d'aforzare; incontanente vi cavalcò meser Piero
Rosso con le masinade di Lucca a cavallo e a piede,
e quello poggio assediaro; e non essendo forniti
di vittuaglia né soccorsi, s'arendero, e fuoro menati a
Lucca presi; de' quali caporali ne furo impiccati
XVIII, intra' quali ebbe due de' Pogginghi. Ma poi
l'aprile vegnente il detto Niccolao di Poggio rendé
Pietrasanta a meser Mastino de la Scala, che tenea
già Lucca, per XIm fiorini d'oro, mandandone fuori le
masnade de' Fiorentini; ma non compié l'anno
apresso, che meser Mastino fece pigliare il detto Niccolao
in Lucca, e opponendoli trattava co' Fiorentini,
e tolseli i detti danari e più; e così il traditore dal
traditore fu tradito giustamente.
L. 12, cap. 33 rubr.
Di grande corruzzione di vaiuolo che fue in Firenze.
L. 12, cap. 33Nel detto anno e istate fue in Firenze una grande
corruzzione di male di vaiuolo, che tutti i fanciulli di
Firenze e del contado ne fuoro maculati diversamente;
per la quale malatia più di IIm ne falliro per morte
in Firenze tra maschi e femine. Dissesi per alcuni
strolagi e naturali, che la congiunzione di Marte e di
Saturno nel segno de la Libra, e il Giove a lloro opposizione
nell'Ariete, ne fu cagione.
L. 12, cap. 34 rubr.Come si rubellò Grosseto a' Sanesi, e poi il riebbono
per danari.
L. 12, cap. 34Nel detto
anno,
a dì
XXVIII di luglio, essendo
Batino
segnore di Grosseto per tirannia, sì come il più
possente cittadino di quella, stato più tempo in Siena
a'
confini e quasi in cortese pregione (però che i Sanesi
li aveano tolto Grosseto
tortevolemente e
a inganno,
e in Siena il teneano per paura) il detto
Batino
si partì
celatamente di Siena, e rubellò Grosseto.
Per la qual cosa
a' Sanesi surse assai
guerra in
picciol
tempo, per la qual cosa i Sanesi incontanente feciono
oste
a Grosseto con molto dispendio e mortalità di
loro gente per lo
pestilenzioso luogo. E essendo
ad
oste infino
a dì
VIII di novembre, per certo falso trattato
di que' d'
entro fu data
a' Sanesi una porta de la
città, e rotto alquanto
del
muro; e
intrato dentro il
conte
Marcovaldo de'
conti
Guidi loro capitano di
guerra con più di
CCC uomini, com'era ordinato, fuoro
rinchiusi e quasi tutti presi; e di grande aventura
scampòe il
conte. E
raforzata l'oste de' Sanesi,
Batino
essendo andato
a
Pisa per soccorso, da' Pisani ebbe
aiuto de' cavalieri, e ancora per suoi danari soldò
cavalieri, sì che menò i Maremma
Vc cavalieri, e
francamente levò da oste i Sanesi e villanamente, che
lasciaro tutto il loro campo e arnesi, e misonsi in fuga.
E poi co' detti cavalieri
corse
Batino tutte le terre
de' Sanesi di Maremma infino al bagno
a
Petriuolo,
levando grandi prede; e ciò fu
a dì
XXVI di novembre
del detto
anno. Ma poi i Sanesi trattarono acordo col
detto
Batino, e
promisonli
Xm fiorini d'oro, e elli rendesse
loro Grosseto,
a dì
XXVI di luglio
MCCCXXXVI;
ma
rupporli dislealmente la 'mpromessa, che non li
pagaro che lla prima paga di
Vm fiorini d'oro; e così
fue ingannato il tiranno tirannescamente.
L. 12, cap. 35 rubr.
Come i Sanesi per inganno presono la città di Massa, e
ruppono pace a' Pisani.
L. 12, cap. 35Ancora nel detto
anno tegnendo i Fiorentini la
guardia della
città di
Massa in Maremma per l'acordo
fatto da' Pisani
a' Sanesi per lo vescovo di
Firenze, come adietro facemo menzione, l'
anno
MCCCXXXIII, e essendovi per podestà
Teghia di meser
Bindo de'
Bondelmonti e per capitano
Zampaglione
de' Tornaquinci, la
setta de' cittadini ch'amavano
i Sanesi, e per loro trattato, cominciarono il romore
e battaglia nella
città, e
abarrarsi ne la terra; e
la parte de' Sanesi s'accostaro col detto
Zampaglione
loro capitano, e dissesi per corruzzione di moneta.
Incontanente vi cavalcaro i Sanesi popolo e cavalieri,
e
entraro ne la terra da la parte di sopra ov'era la forza
della loro
setta. I Fiorentini vi mandaro allora il
loro vescovo e altri ambasciadori per
acquetare la
terra, ma neente v'adoperaro per la forza de' Sanesi
ch'aveano presa gran parte de le fortezze de la
città; e
convenne per forza ch'al tutto fossono segnori de
la terra, e cacciarne i caporali amici de' Pisani; e ciò
fu
a dì
XXIIII d'
agosto
del detto
anno. Per la qual cosa
i Pisani si turbaro molto contro
a' Sanesi, perch'aveano
loro rotta pace, e però diedono i· loro soccorso
de' cavalieri
a
Batino di Grosseto contro
a' Sanesi,
come detto avemo. Ma più si
dolfono de' Fiorentini,
perché s'erano fidati di loro, e data in guardia la
città
di
Massa, ed erano
mallevadori della pace sotto pena
di
Xm marchi d'argento, con tutto che noi sapemo di
vero che' Fiorentini non ci usaro frode né inganno
contra' Pisani, ma
falliro in negligenza di non mandare
la forza de' loro cavalieri al soccorso della podestà
di
Massa, e non
puliro il capitano loro cittadino,
il quale si disse che fu colpevole della
rivoluzione
della
città.
L. 12, cap. 36 rubr.Di certi fuochi appresi in Firenze.
L. 12, cap. 36Nel detto anno, a dì XXV d'agosto, s'aprese fuoco
in Firenze da San Gilio, e arse una casa de' tintori. E
poi a dì XVII di settembre s'apprese nella piazza di
San Giovanni verso il corso delli Adimari, e arsono V
case.
L. 12, cap. 37 rubr.Come i Perugini e' loro collegati ebbono la Città di
Castello.
L. 12, cap. 37Nel detto
anno, sabato notte ultimo dì di settembre,
il marchese di
Valliana avendo tenuto segreto
trattato con tre fratelli di Monterchi
anticamente
suoi fedeli, i quali erano
a la guardia ne la
Città di
Castello sopra una porta, per
raporto d'una loro madre,
subitamente e di notte si partì dal Monte Sante
Marie, e cavalcò co' figliuoli di
Tano da Castello, e
con
Nieri da Faggiuola, e con meser Branca da Castello,
con
Vc cavalieri de' Perugini e pedoni assai; e
anzi dì giunsono
a le porte di Castello, che
dovea loro
esere data per li detti traditori: fu loro risposto. E
quando meser
Ridolfo
Tarlati, ch'era in Castello segnore
con
C cavalieri, sentì i nemici, fue
a l'arme per
difendere la terra; e vegnendo
a la porta ov'erano i
traditori, li fu gittato da loro de la torre d'
entro: incontanente
sbigottito
abarrò la
via dinanzi per difensione;
ma il marchese e' suoi compagni e' maestri di
guerra incontanente feciono agirare la loro gente da
l'altra parte della terra, faccendo vista con grande tumulto
di grida e di sono di trombe e di nacchere
d'assalire altra porta; e rimase con pochi
a tagliare la
detta porta. Que' d'
entro storditi per lo sùbito assalto,
e male proveduti, corsono per la terra per paura
a
l'altre porte. Intanto fu tagliata e aperta quella ov'erano
i traditori; e tagliato il ponte, e
entrati dentro, e
poi grande battaglie ebbono
a le
sbarre de la
via, e
per forza le vinsono, però che messer
Ridolfo e' figliuoli
vedendo i nimici dentro si fuggiro con parte
di sua gente ne la rocca; che se fosse stato fermo
a la
difesa, non
perdea la terra. La
città per li Tedeschi
fue tutta
corsa e rubata, e 'l castello de la rocca assediato
dentro e di fuori; e per la troppa gente in quella
rifuggiti, non essendo fornita al bisogno di vittuaglia,
s'
arrendero pregioni
a dì
V d'ottobre. E messer
Ridolfo con
due suoi figliuoli e li altri della rocca
n'andaro presi
a Perugia. E poco apresso i Perugini
ebbono il forte castello di
Citerna, e più altre della
contrada. Avemo detto sì distesa questa presa di Castello
perché fue d'aventuroso avenimento, e con
bello accorgimento e prodezza di
guerra. E nota che
se questa vittoria non fosse avenuta
a' Perugini, elli
erano per
disertarsi de la
guerra con li Aretini; però
che già cominciava loro
a rincrescere la grossa spesa
de' cavalieri soldati, sì come popolo e cittadini male
proveduti
a
guerra, e poco
mobolati di moneta
comunemente.
L. 12, cap. 38 rubr.Come il re d'Inghilterra isconfisse li Scotti.
L. 12, cap. 38Nel detto
anno, la state
MCCCXXXV, il giovane
Adoardo re d'Inghilterra con sua baronia ancora
passò in
Iscozia con Ruberto di
Balliuolo, il quale
n'avea fatto
nuovo re, e contra
Davit re nato di Ruberto
di
Brus, combattéo con lui e con li Scotti e
sconfisseli. Ben vi rimase morto per soperchio affanno
il
conte di
Cornovaglia, fratello carnale
del re
d'Inghilterra; e prese il re
Adoardo quasi tutto il
paese di Scozia, salvo le fortezze delle montagne, e
de' boschi e
maresi. E 'l detto re
Davit di
Brus si tornò
in
Francia al re
Filippo di
Valos suo
collegato,
avendo quasi perduto il reame. Lasceremo alquanto
delli strani, e torneremo
a nostra materia de' fatti di
Firenze e delle pertinenze.
L. 12, cap. 39 rubr.Come i Fiorentini criarono di nuovo l'uficio del
conservadore, e quello ne seguì.
L. 12, cap. 39Nel detto
anno, per calen di novembre, i Fiorentini
che reggeano la
città feciono u·
nuovo
reggimento
di segnoria, il quale chiamaro il capitano della guardia
e conservatore di pace e di stato de la
città. E il
primo fue meser Iacopo
Gabrielli d'
Agobbio; e il
detto dì
entrò in segnoria con
L cavalieri e con
C fanti
a piè, con
salario di
Xm fiorini d'oro l'
anno con
grande arbitrio e balìa sopra li sbanditi; e sotto il suo
titolo de la guardia
stendea il suo uficio di ragione e
di fatto
a modo di bargello e sopra ogni altra signoria,
e faccendo iustizia di sangue come li piacea, sanza
ordine di statuti. E tornò
a stare ne
palagi che
fuoro de' figliuoli Petri dietro e di costa
a la chiesa di
San Piero Scheraggio, i quali in quelli tempi si comperarono
per lo Comune di
Firenze da'
creditori de
la compagnia delli
Scali fiorini
VIIm d'oro. Questo
uficio feciono e
criarono quelli cittadini popolari che
reggeano la terra per fortificare loro stato e per paura
di non
perderlo, quasi al modo dell'
anno dinanzi
aveano fatti i
VII bargellini, come adietro facemo
menzione. Il detto messere Iacopo stette in segnoria
uno
anno faccendo aspro uficio, e faccendosi molto
temere
a' cittadini grandi e popolani; e li sbanditi
quasi si cessaro tutti di
città e di
contado; però che
prese Rosso figliuolo di
Gherarduccio de'
Bondelmonti,
il quale avea
bando di
contumace de la testa
per certa
riformagione, e non per istatuto né micidio
per lui fatto, ma per una cavalcata ch'elli con certi
avea fatta
a Monte Alcino in
servigio de' Tolomei di
Siena; e
feceli tagliare il capo contro al volere de la
maggiore parte de' Fiorentini, però che non avea fatta
offensione
a nullo cittadino né in nostro
distretto,
ma per farsi temere: però che chi
a uno offende molti
minaccia. E poi più altri per simile modo giudicò
a
morte, e condannò quasi tutti i Comuni e popoli di
contado per cagione di
ritenere sbanditi
a diritto e
a
torto, come li piacque. E così menando rigido e
crudo
il suo oficio, molte cose inlicite e di fatto fece in
Firenze,
a petizione di
coloro che l'aveano chiamato
e reggeano la
città, e ancora per non licito guadagno.
Poi compiuto l'
anno se n'andò
ad
Agobbio ricco di
molti danari. E in suo luogo ci venne in calen di novembre
MCCCXXXVI, per uno
anno apresso, messer
Accorrimbono da
Tolentino, uomo d'età di più di
LXXV anni, il quale altra volta stato in
Firenze per
podestà fu buono rettore. Al
cominciamento di suo
uficio cominciò bene; ma poco appresso dilatando
suo uficio, che l'avea di fatto, infino
a' piati
minuti
intese per guadagneria di sé e di sua
corte. E infra 'l
suo tempo,
a dì
XIII di luglio
MCCCXXXVII, essendo
a
sindacato uno meser Niccola de la Serra d'
Agobbio
stato podestà di
Firenze, e trovandosi in defetto, e
per l'
esecutore delli ordinamenti de la giustizia suo
parente, il quale era
del
contado d'
Agobbio, col favore
del detto meser
Accorrimbono e della
nuova
podestà, ch'era nipote
del detto meser
Accorrimbono,
non lasciando
a' sindachi in ciò fare loro officio,
gente
minuta si commosse, e fue in parte la
città
a
romore in su le piazze de le segnorie, perché non si
facea iustizia de la podestà e di sua famiglia; e co'
sassi cacciati fuoro e fediti, e alquanti morti delle famiglie
delle dette segnorie
a lloro gran difetto, spezialmente
quella
del detto meser
Accorrimbono, onde
tutta la
città si comosse. E volendo il detto meser
Accorrimbono fare iustizia in persone di certi che
avea
presi per lo detto romore, per paura
del popolo
minuto non ebbe l'
ardire, e non l'avrebbe potuto fare
per la
furia
del popolo; e
convenne fosse condannata
la podestà vecchia, e certi de' detti che feciono
il romore, in pecunia. Per la quale cosa e cagioni si
fece decreto che infra
X anni nullo rettore di
Firenze
potesse esser d'
Agobbio o
del
contado. Conseguendo
l'uno errore sopra l'altro, il detto meser
Accorrimbono,
a petizione di certi caporali che reggeano
la
città, per cagione di
setta fece una inquisizione
del
mese di settembre contra meser Pino della Tosa,
ch'era morto il giugno dinanzi, ch'elli e
Feo di meser
Odaldo de la Tosa e
Maghinardo delli
Ubaldini
aveano tenuto trattato con meser Mastino de la Scala
di tradire
Firenze; e fune costretto e martoriato il figliuolo
di meser Pino per farlo confessare ciò, ed altri
gentili uomini di
Firenze amici di messer Pino,
per disfare la sua memoria e distruggere i suoi amici;
e ciò fu fatto per invidia, e chi disse per operazione
d'alcuno
consorto
del detto messer Pino. La qual cosa
non fu né si trovò vero; e il detto
Maghinardo se
ne venne
personalmente
a
scusare. Ben fu vero che
messer Pino per mandato
del re Ruberto, da cui tenea
terra,
cercò con meser Mastino concordia co· llui
e col nostro Comune,
dandone la
città di Lucca libera.
E per la detta cagione parendo al detto messer
Accorrimbono avere male impreso, per sua ricoperta
condannò parte de la casa di messer Pino
a disfare,
perché cominciò il trattato sanza parola de' priori, e
il detto
Feo per
contumacia; la qual cosa fu molto
biasimata da più cittadini, però che messer Pino era
stato il più suficiente e
valoroso cavaliere di
Firenze,
e il più leale
a parte guelfa, popolo e Comune. Ben
fue un grande
imprenditore di gran cose per avanzarsi;
per la qual cosa il detto oficio di capitano di
guardia e conservatore venne sì in orrore de' cittadini
di
Firenze, che per nullo modo o
procaccio di certi
caporali che reggeano la
città, non potero avere
balìa di raffermare il detto messere
Accorrimbono
né altri in suo luogo; e venne meno il detto oficio, il
qual'era
arbitraro e di fatto, sanza ordine, legge o
statuto osservare, per potere per lo detto oficio disfare
e cacciare di
Firenze cui fosse piaciuto
a certi
che reggeano la
città, ch'aveano
criato il detto uficio,
e per tenere in tremore i cittadini. Avemo sì lungo
fatta memoria di questo officio e de' suoi processi
per lasciarne esemplo
a' cittadini che saranno,
a ciò
che per bene de la nostra
città non siano mai vaghi
di fare uficiali
arbitrari, che perché si
criino sotto
colore
e
titolo di bene di Comune, sempre mai fanno
dolorosa uscita per le cittadi, e nascene tirannica segnoria.
L. 12, cap. 40 rubr.Come messer Mastino della Scala ebbe la città di
Lucca.
L. 12, cap. 40Nel detto
anno
MCCCXXXV, in calen di novembre,
dopo molti trattati fatti per Orlando Rosso con messer
Mastino de' fatti di Lucca, sempre con parole e
promesse di farlo
ad
istanza de' Fiorentini, tanto si
menò il trattato, che messer Piero Rosso, il quale n'avea
la possessione, non si potéo più difendere da'
fratelli, e mal volontieri andòe
a Verona, e aconsentì
di dare
a messer Mastino la segnoria di Lucca. E così
ebbe messere Mastino della Scala la posessione e la
segnoria de la
città di Lucca e
del
contado per mano
d'Orlando e di messer Piero de' Rossi di Parma, com'
erano state fatte le
convenenze quando renderono
Parma, come dicemo adietro. E partissi messer Piero
Rosso
a dì
XX di dicembre
del detto
anno de la
città di Lucca, e andossene
a
Pontriemoli, che di
patti rimase
a' Rossi con più altre castella in
parmigiana per
lo modo detto; e in Lucca rimase poi vicario per meser
Mastino meser
Giliberto tedesco con
Vc cavalieri,
e sempre
dando meser Mastino falsa speranza
a' Fiorentini
per sue
lettere, e
dicendolo e
promettendolo
e
giurandolo
a' loro ambasciadori, ch'al continuo il
seguivano per cagione di ciò, di rendere al Comune
di
Firenze la
città e
contado di Lucca com'erano i
patti de la lega, quando avesse riformata la terra in
buono stato; de la quale
promessa
fallì sì come fellone
e traditore, e i Rossi di Parma tradì e
disertò, come
inanzi faremo menzione, sì come falso e disleale
tiranno, che s'avea
conceputo con disordinata e folle
covidigia e malvagio
consiglio che per la
città di Lucca
e per la sua forza avere la signoria di tutta
Toscana,
come inanzi per li suoi
esordi e processi si potrà
trovare; per lo quale
tradimento nacquero diverse e
maravigliose
novità e
mutazioni in Lombardia e in
Toscana ordinate per li Fiorentini.
L. 12, cap. 41 rubr.
Come le terre del viscontado in Valdambra si diedono
al Comune di Firenze.
L. 12, cap. 41Nel detto anno, essendo già la segnoria de' Tarlati
d'Arezzo molto abassata per la perdita del Borgo a
Sansipolcro e per quella de la Città di Castello, come
dicemo adietro, e per la forza de' Perugini ch'era col loro
ordine montata con l'aiuto de' Fiorentini, che
ispesso con le loro masnade correano insino in su le
porte d'Arezzo, e aveano riposto il Monte San Savino,
e di quello i Perugini faceano guerra al continuo,
e più volte vi sconfissono di loro masnade; per la
qual cosa quelli del viscontado, cioè il castello del
Bucino in Valdambra, e quello di Cenina, Galatrone,
Rondine, e la Torricella, i quali teneano i Tarlati, e di
gran parte v'aveano su ragione per certe compere
per loro fatte da certi de' conti Guidi, temendo de la
guerra, e conoscendo che li Aretini non li poteano
difendere né soccorrere, si diedono al Comune di Firenze
a dì II di novembre, faccendoli franchi per V
anni, dando li detti castelli uno cero a la festa di san
Giovanni ciascuno anno. Il quale fu un bello acquisto
a Fiorentini, e un grande allargamento e aconcio
di loro contado per quello che nne seguìo apresso.
L. 12, cap. 42 rubr.
Come ne la città di Pisa ebbe battaglia, e furone
cacciati certa parte.
L. 12, cap. 42Nel detto
anno e tempo, essendo la
città di
Pisa in
grande
setta e divisione, che l'una parte era il
conte
Fazio con la maggiore parte de' popolani che reggeano
li ufici de la
città, l'altra
setta erano i non reggenti,
ond'erano capo messer Benedetto e messer
Ceo
Maccaioni de' Gualandi, e certi de'
Lanfranchi e più
altri grandi, e
Cola di Piero
Bonconti e più altri popolani,
i quali ordinarono
cospirazione in
Pisa per
abattere il
conte e i reggenti suoi seguaci, con trattato
di messer Mastino de la Scala, che lli aveano promessa
la signoria di
Pisa, e elli
dovea loro mandare le
sue forze de' cavalieri da Lucca. La quale
cospirazione
partorì romore e battaglia cittadina, che
a dì
XI di
novembre
del detto
anno i detti de' Gualandi e' loro
seguaci con armata mano assalirono la podestà di
Pisa
e
cacciarlo di
Pisa e rubarlo, e arsono tutti li atti e
scritture di Comune, e ruppono le pregioni e liberaro
i
presi. E poi ne la piazza di San Sisti tutto il dì
combattero li anziani e il
conte e il popolo di
Pisa,
ch'erano raunati armati in su la piazza de li anziani.
E non potendo
resistere al popolo si ridussero la sera
al capo
del ponte
a la Spina
a la porta de le Piagge, e
quivi s'
aforzaro con barre e serragli aspettando il loro
soccorso da Lucca da messer Piero Rosso, il quale
mandava loro
CCCC cavalieri e popolo assai; e già
erano presso
del castello d'
Asciano;
sentendolo il
conte e il popolo
dubitando loro venuta
afrettaro la
battaglia la notte con fuoco mettendo e con molto
saettamento, e promettendo
a' loro soldati tedeschi e
italiani paga
doppia; i quali gran parte scesi de'
cavalli
manescamente combattero, e per forza d'arme
la notte medesima cacciarono i rubelli de la
città;
che s'avessero indugiato il romore, o sostenuto la
notte infino
a la mattina che il loro soccorso da Lucca
fosse giunto
a
Pisa, elli avrebbono vinta la
città, e
messer Mastino n'era segnore. Sentendosi la
novella
in
Firenze, i Fiorentini mandaro incontanente
CCC
cavalieri di loro masnade
a Montetopoli in
servigio
del
conte e delli anziani di
Pisa per
soccorrella: per
lo sùbito riparo non bisognaro,
ringraziandone per
loro ambasciadori molto i Fiorentini; con tutto che
per la loro ingratitudine poco tempo il tennero
a
mente i Pisani, come per inanzi leggendo si troverà.
Poi i Pisani
a dì
XV di dicembre fecero il
conte
Fazio
loro capitano di
guerra, e
crebbono le masnade de'
soldati infino
D e
Vc a piè
a la guardia de la terra, e
isbanditi per ribelli i loro nemici, e disfecero i beni
loro, i quali se n'andaro
a Lucca; e
aforzaro i Pisani
di fossi e di steccati
Quinzica e 'l borgo di San Marco,
e la porta
a le Piagge e il ponte
a la Spina di ponti
e catene, e
tagliarono le vie di Lucca, e
fecionvi
bertesche e ponti e levatoi assai.
L. 12, cap. 43 rubr.
Come il marchese Spinetta ebbe Serezzano.
L. 12, cap. 43Conseguendo messer Mastino de la Scala il suo
proponimento d'avere la segnoria di Pisa a suo podere,
sì ordinò con Ispinetta marchese Malespina e col
vescovo di Luni suo cosorto di fare rubellare a' Pisani
la terra di Serezzano; e così fu fatto, che a dì IIII
di dicembre del detto anno i detti vescovo e Spinetta,
essendo per certi terrazzani di loro parte data una
porta de la terra, v'entrarono con M fanti, e presero
la segnoria sanza nullo contasto, onde i Pisani si tennero
forte gravati da messer Mastino e da Spinetta, e
entrato in grande sospetto e paura di loro usciti e di
loro séguito, faccendo di dì e di notte guardare la
città di Pisa con gente d'arme a cavallo e a piede.
L. 12, cap. 44 rubr.Del tradimento che messer Mastino de la Scala fece
a' Fiorentini de la città di Lucca.
L. 12, cap. 44Nel detto
anno, per calen di dicembre, parendo
a'
Fiorentini che messer Mastino e Alberto de la Scala
li
menassono per lunga di dare loro la signoria de la
città di Lucca, com'era l'ordine e 'l
patto de la lega,
come adietro è fatta menzione; e tenendo in parole e
in vana speranza certi ambasciadori e sindachi
del
Comune di
Firenze, ch'al continuo li seguivano per
la detta cagione, sì ordinaro di mandare
a Verona,
oltre
a quelli, una
solenne e grande ambasceria da
sei
de' maggiori cittadini grandi e popolani di
Firenze
per sapere il fine di loro intendimento. I quali essendo
a Verona co' detti tiranni, e nel paese
a più parlamenti
co· lloro e con li altri caporali lombardi, con
cui i Fiorentini aveano fatta la lega, dimandando la
posessione di Lucca e che fossero
attenuti i
patti, i
detti de la Scala con belle parole e
false promesse
menando per lunga di giornata in giornata i detti nostri
ambasciadori, alla fine faccendo trattare
ad Orlando
Rosso di Parma, dimandando di Lucca grossa
quantità di moneta, dicendo n'aveano speso, e
convenia
spendere al re Giovanni di Buemme per avere
sua pace de la presa di Lucca. I detti ambasciadori
scrivendolo
a
Firenze, i Fiorentini diliberaro che,
dapoi
che per altro modo non si potea avere Lucca,
non
lasciassono per numero di pecunia,
rimettendola
ne' detti ambasciadori. I quali dopo lungo trattato di
parole fuoro con
dissimulata concordia da la parte di
detti messer Mastino e messere Alberto di
darne loro
CCCLXm di fiorini d'oro, parte
contanti e parte
a certi
termini,
sicurandoli nella
città di Vinegia
a lloro
volontà. E nota,
lettore, l'errore e fallo de' Fiorentini,
che nel
MCCCXXVIIII potero avere Lucca da' soldati
del Cerruglio per
LXXX fiorini d'oro, e poi nel
MCCCXXX per
patti de' cittadini e di messer
Gherardino
Spinola per minore quantità, sì come adietro facemo
menzione; e poi vi spesono e vollono spendere
disordinata somma di moneta.
Istimo che Idio
nol
permettesse per purgare i peccati e mali guadagni
de' Fiorentini e di Lucchesi, e eziandio de' Lombardi.
Torniamo
a nostra materia: che quando fu data
l'ordine, e trovati i danari e fatti i sindachi per li Fiorentini,
il disleale Mastino e traditore per malvagio
consiglio
del marchese Spinetta e d'altri Ghibellini,
ed eziandio con
soduzzione
del segnore di Milano e
de li altri segnori lombardi per farli nimici
del Comune
di
Firenze, però che parea loro che messer
Mastino fosse apo loro troppo grande,
mostrandoli
con vana speranza che tenendo per sé Lucca avrebbe
di
leggere la
città di
Pisa per la loro divisione; e avea
la
città d'
Arezzo
a sua volontà, e con le sue forze
leggere
li era d'avere tosto la
Romagna e Bologna per le
divisioni e
mutazioni di quelle, per la partita e cacciata
de· legato; e ciò avuta, i Fiorentini non potrebbono
resistere
a le sue forze, ma li avrebbe come circundati
e assediati;
faccendoli vedere che per le divisioni
di
Firenze tra' grandi e' popolani e il popolo
minuto per le
soverchie gravezze, e i non reggenti de
le signorie de li uffici della
città, agevole gli era d'avere
la
città di
Firenze
a la sua segnoria, e poi tutta
Toscana, e più
a
lunge; il traditore Mastino giovane
d'età, e più di senno e fellonia, e
trascotato e ambizioso
per la felicità dove l'avea messo la
fallace fortuna,
fue
desideroso come tiranno d'acquistare terra e
segnoria, e di farsi re in Lombardia e in
Toscana,
non guardando
a fede promessa e giurata
a' Fiorentini,
né considerando che la
potenzia di Dio è più che
forza umana, mosse
nuova questione
a' detti ambasciadori,
dicendo: «Noi non vogliamo di Lucca danari,
che n'avemo assai; ma volemo che' Fiorentini,
se vogliono Lucca, con le loro forze ci aiutino acquistare
la
città di Bologna, o almeno non li fossero incontro
volendola acquistare, come ci
promisono per
li
patti della lega, quando la segnoreggiava il legato».
Sapendo ciò i Fiorentini, e avveggendosi però
a
tardi de la
fellonesca intenzione
del Mastino e de la
non vera e
sofistica
dimanda di Bologna, che con le
loro forze aveano sconfitta l'oste
de· legato
a
Ferrara,
per la qual cagione i Bolognesi aveano cacciato il legato
e tornati
a la lega de' Fiorentini e Lombardi, come
è detto adietro, deliberaro che innanzi si lasciasse
Lucca, che si fosse contro
a' Bolognesi; e però mandaro
che i detti ambasciadori, protestato e richesto
di loro
ragioni il Mastino, e' si partissono; e così feciono,
i quali tornaro in
Firenze
a dì
XXIII di febraio
del detto
anno. E inanzi che fossero giunti in
Firenze,
o apena partiti da Verona, partorì il Mastino la
sua prava intenzione; ciò fu, che
a dì
XIIII di febraio
del detto
anno le sue masnade ch'erano in Lucca,
sanza richesta o
isfidamento alcuno, corsono Valdinievole
e 'l Valdarno di sotto, che teneano i Fiorentini,
e levando grandi prede. E in quelli giorni simigliantemente
le sue masnade ch'erano in Modana
corsono in sul
contado di Bologna.
L. 12, cap. 45 rubr.
De l'ordine che presono i Fiorentini al riparo del
Mastino.
L. 12, cap. 45I Fiorentini, tornati i loro ambasciadori da Verona,
e avedendosi com'erano stati gabbati e traditi villanamente
dal Mastino, tutti di concordia ordinaro
VI de' maggiori cittadini, uno per
sesto,
due de'
grandi e
quattro popolani sopra la
guerra col Mastino,
e
XIIII popolani
a trovare moneta con grandissima
balìa,
ciascuno officio per
termine d'uno
anno; il
quale ordine fue allora lo scampo di
Firenze per l'
eseguizioni
che fecero i· lloro riparo e in guerreggiare i
tiranni della Scala, sì come inanzi leggendo potrete
trovare. Che il Mastino avea
minacciato che innanzi
il mezzo maggio prossimo verrebbe
a vedere le porte
di
Firenze con
IIIIm armadure
a cavallo, per abattere
l'orgoglio de' Fiorentini; ed erali possibile, ch'elli era
segnore di Verona, di Padova, di Vicenza, di Trevigi,
di Brescia, di
Feltro, di
Civita Belluna, di Parma, di
Modona, e di Lucca; e aveano di
rendita l'
anno di
gabelle de le dette
X cittadi e di loro castella più di
VIIc migliaia di fiorini d'oro, che non ha re de' Cristiani
che lli abbia se none il re di
Francia, sanza l'altro
loro séguito e amistà de' Ghibellini, che mai non
fuoro tiranni in Italia di tanta
potenzia; onde
a' Fiorentini
parea avere forte partito
a le
mani, ma come
franchi e vertudiosi, quasi neuno
discordante, recandosi
ciascuno in sé la 'ngiuria
del
tradimento
del Mastino,
sì diliberaro di seguire
magnificamente la
'mpresa. Onde poi i Fiorentini, come piacque
a Dio,
poco tempo appresso
osteggiaro loro più volte infino
a Verona villanamente, come inanzi leggendo si potrà
trovare, faccendo di magnifiche imprese contra i
detti tiranni. E in quelli medesimi giorni per li loro
danari avrebbono fatto rubellare al Mastino la
città
di
Modona, ed era già fornita per li soldati ch'erano
in Modana, se non che i Bolognesi non vollono in
servigio de' marchesi da
Ferrara loro amici, di cui
per li
patti de la lega
dovea essere Modana. E poi i
Fiorentini per loro ambasciadori si
dolfono
a tutti li
altri
collegati lombardi
del
tradimento de' tiranni de
la Scala, per loro
scusa richeggendoli d'aiuto, e fecero
nuova lega col re Ruberto, co' Perugini, Sanesi e
l'altre terre guelfe di
Toscana, e co' Bolognesi e co'
Guelfi di
Romagna, con grandi ordini e aperti per riparare
la loro
potenzia. Lasceremo alquanto de la
guerra cominciata col Mastino per dire d'altre
novità
state in questi tempi, ritornando poi
a quelle; però
che in ciò molto ne cresce grande matera e maravigliosa
e quasi
incredibile, come leggendo per inanzi
il processo della detta
guerra si potrà trovare.
L. 12, cap. 46 rubr.
Come i Colligiani si diedono da capo a la guardia
de' Fiorentini e fecionvi la rocca.
L. 12, cap. 46Nel detto anno MCCCXXXV, all'uscita del mese di
gennaio, compiuto o per compiere il primo termine
che' Colligiani s'erano dati a la guardia del Comune
di Firenze, sì si diedono da capo per tre anni oltre al
primo termine e ancora con più liberi patti; per la
qual cosa i Fiorentini per volontà de' Colligiani, e
per essere più sicuri della guardia e con meno spesa,
sì ordinaro e feciono fare in Colle alle spese de' Colligiani
una forte rocca al disopra della terra in su la
piazza del Comune presso della pieve, con ali di mura
e intrata per sé, e ordinaronvi uno castellano fiorentino
con XL fanti al continuo a la guardia, de'
quali l'una metade de le spese pagavano i Fiorentini e
l'altra i Colligiani.
L. 12, cap. 47 rubr.Come papa Benedetto determinò l'oppinione di papa
Giovanni suo anticessoro de la visione dell'anime
beate.
L. 12, cap. 47Nel detto
anno, essendo per papa Benedetto tenuti
più
consistori con suoi cardinali apo
Vignone, e
con molti maestri in divinità fatta per più tempo
solenne
esaminazione sopra l'oppinione di papa Giovanni
de la visione dell'anime beate, se dopo il dì
giudicio
crescerebbe loro beatitudine o no, onde in
qua dietro in più
capitoli è fatta per noi memoria sopra
la detta questione; e spezialmente per la
dechiarazione
che
ultimamente avea fatta papa Giovanni
a
la sua fine;
parendo al papa e
agli altri maestri che in
quella parte ove conchiuse che l'anime beate vedeano
la divina
essenzia faccia
a faccia
chiaramente, in
quanto lo stato e la condizione de l'anima partita dal
corpo comporta, non fosse
perfettamente dichiarato,
ma lasciato ancora in nube il detto oppinione, sì 'l
volle dichiarare. E dì
XXVIIII di gennaio per lo detto
papa in piuvico consistoro fu
determinata e dato fine
e silenzio santamente
a la detta questione, cioè che la
gloria de' beati è perfetta, e come i santi sono in vita
etterna e veggono la beata
speme de la Trinità; e che
dopo il giudicio la detta gloria sarebbe
istensiva ne
l'anima e nel corpo, ma però non
crescerebbe
a l'anima
sensivamente più che si fosse prima nell'anime
beate. E sopra ciò fece decreto che chi altro
credesse
fosse
eretico. Lasceremo de la detta materia, che assai
n'è detto, e torneremo
a nostri fatti di
Firenze.
L. 12, cap. 48 rubr.Come il Comune di Firenze ricominciò guerra a' segnori
d'Arezzo.
L. 12, cap. 48Nelli
anni di Cristo
MCCCXXXVI,
a dì
XIIII d'
aprile,
sentendo i Fiorentini che messer Piero
Saccone de'
Tarlati segnore d'
Arezzo tenea trattato con messer
Mastino della Scala di fare con lui lega e compagnia,
e di ricevere in
Arezzo la sua gente e cavalleria per
difendersi, e fare
guerra
a' Fiorentini e
a' Perugini, e
al continuo erano in
Arezzo suoi ambasciadori, sì ssi
diliberò in
Firenze di cominciare aperta
guerra
a la
città d'
Arezzo; e il detto dì si sbandiro le strade. Chi
disse che i Fiorentini ruppono la pace alli Aretini fatta
l'
anno
MCCCXVI per lo re Ruberto indebitamente,
e non si
convenia
a la magnificenza
del Comune di
Firenze rompere pace
a li Aretini, se prima per loro
non fosse mossa
guerra
apertamente; e chi disse che non
era rompimento di pace
a l'offese fatte per loro
a' Fiorentini in dare sempre aiuto
a
Castruccio e
a li
altri nimici
del Comune di
Firenze, e al presente legarsi
con messer Mastino fatto loro nemico, e
datali
la signoria d'
Arezzo. Vedendo li Aretini che 'l Comune
di
Firenze volea cominciare loro
apertamente
guerra, per levarsi il furore d'adosso sì cercaro per
più trattati d'avere concordia co' Fiorentini e co' Perugini;
i quali trattati tornaro tutti in vano, però ch'erano
con inganno; che' signori d'
Arezzo al continuo
atendeano grossa gente da messer Mastino, e vennono
infino
a Forlì in
Romagna più di
VIIIc cavalieri;
per la qual cagione i Fiorentini mandaro in
Romagna
di loro masnade
VIc cavalieri, e con l'aiuto de' Bolognesi
e de li altri Guelfi romagnuoli fuoro più di
XIIc
di cavalieri; e tutta la detta state stettono in
Romagna
a la guardia de' passi, per modo che la gente di
messer Mastino per nullo modo potero passare
ad
Arezzo. E infra questo tempo i Fiorentini feciono cavalcata
sopra la
città d'
Arezzo di
VIIc cavalieri e popolo
assai
a dì
III di luglio
del detto
anno. E i Perugini da
l'altra parte col loro sforzo infino
a le porte
d'
Arezzo,
acozzandosi le dette
due osti, faccendo
grande guasto di
biade, ed arsione di posessioni nel
contado d'
Arezzo e intorno
a la
città, dimorandovi
ad oste sanza alcuno contasto infino
a dì
VIII d'
agosto
con gran
danno de li Aretini. E in questo
anno, il
maggio passato,
a petizione de' Perugini e con la loro
forza, i Guelfi di Spuleto cacciaro i Ghibellini della
città di Spuleto.
L. 12, cap. 49 rubr.Come i Fiorentini feciono compagnia e lega col Comune
di Vinegia, e l'ordine di quella.
L. 12, cap. 49Vedendo i savi uomini di
Firenze che governavano
la
città, com'erano
entrati in grande impresa per
la
guerra
incominciata, e che s'apparecchiava maggiore,
co' tiranni de la Scala di Verona per lo fatto di
Lucca, e considerando che per loro poco si potea fare
guerra, se non da la parte di Lucca, sanza aiuto o
compagnia di segnore o d'altro Comune di Lombardia
per offendere il Mastino, e cessarsi la
guerra da
presso e
recarla da lungi, più trattati cercato col segnore
di Milano e con altri tiranni e grandi lombardi.
E sentendo che 'l Comune di Vinegia avea grande
questione e isdegno preso col Mastino di Verona per
le saline da
Chioggia
a Padova, che per sua forza tenea
occupate, e più altri divieti di
mercatantie e cose
aveano fatte contra loro libertà in
padovana e in
trevigiana,
sì feciono cercare per trattato de' nostri mercatanti
usanti
a Vinegia, di fare col detto Comune di
Vinegia lega e compagnia contro
a' detti tiranni de la
Scala. Il quale trattato con molte
arti e
lusinghe fatte
a' Viniziani per li Fiorentini per
inducerli
a cciò,
a'
detti Viniziani piacque; e poi secretamente mandati
a Vinegia savi e discreti ambasciadori per lo Comune
di
Firenze, vi si
diè compimento in Vinegia per la
forma e
capitoli specificati qui apresso.
L. 12, cap. 50 rubr.La lega tra 'l Comune di Vinegia e di Firenze.
L. 12, cap. 50
MCCCXXXVI,
indizione
IIII,
a dì
XXI di giugno, la
lega tra 'l Comune di Vinegia e di
Firenze fu fatta
a
Vinegia per li sindachi de' detti Comuni con questi
patti.
In prima fecero tra lloro lega, compagnia e unità,
la quale
duri dal detto dì infino
a la festa di san Michele
di settembre che viene, e da la detta festa
ad
uno
anno;
e che per li detti Comuni si
soldino
IIm cavalieri e
IIm pedoni al presente, i quali steano
a far
guerra in
trevigiana e veronese; e quando parrà
a' detti Comuni,
se ne soldino maggiore quantità;
e che tutte le
mende de'
cavalli e ogni spesa che
occorresse si
debbiano pagare
comunemente;
e che per la detta
guerra fare si
debbia tenere uno
capitano di
guerra
a comuni spese;
e che per lo Comune di
Firenze si mandino uno o
due cittadini
a stare
a Vinegia o dove bisognerà, e
abbiano balìa con quelli che ssi
eleggeranno per lo
Comune di Vinegia di crescere e menomare i detti
soldati come
a lloro parrà, e
a potere spendere per
fare rubellare le terre che si tengono sotto la segnoria
di quelli de la Scala;
e che sia licito al Comune di Vinegia e di
Firenze
possano tenere per fare la detta
guerra
due cittadini
e sue
bandiere, come
a' detti Comuni piacerà; e abbia
il capitano de la
guerra pieno arbitrio; e che per
tempo di tre mesi, anzi la fine de la detta lega, si
convengano insieme ambasciadori de' detti Comuni
a prolungare o non prolungare la lega predetta;
e che il Comune di
Firenze faccia
viva
guerra
a la
città di Lucca; e s'ella s'avesse, facciano
guerra
a Parma;
e che i detti Comuni, o alcuno di quelli, non faranno
pace, triegua, o terranno alcuno trattato con
quelli de la Scala, se non fosse di coscienza e di volontà
di
ciascuno di detti Comuni.
Questi
patti traemo de li atti
del nostro Comune.
E ferma la detta lega, fu piuvicata in Vinegia e in
Firenze in uno medesimo dì,
XV di luglio de la detta
indizione, in pieni parlamenti con grande festa e allegrezza
in
ciascuna de le dette cittadi. E nota,
lettore,
che questa fue la più alta impresa che mai avesse fatta
il Comune di
Firenze, come si potrà trovare apresso;
e ancora che ciò fue una grande maraviglia per
più
ragioni,
a legarsi il Comune di Vinegia con quello
di
Firenze: prima, che non si truova che 'l Comune
di Vinegia s'
allegasse mai co· neuno Comune o segnore,
per la loro grande
eccellenza e signoria, se
non
a l'antico conquisto di
Gostantinopoli e di
Romania,
e dall'altra parte i Viniziani
naturalmente sono
stati d'animo imperiale e Ghibellini, e' Fiorentini
d'animo di santa Chiesa e Guelfi; ancora, stati i Fiorentini
contro
a' Viniziani in
servigio de la Chiesa,
quando fuoro sconfitti
a
Ferrara, com'è fatto menzione
adietro, l'
anno
MCCC. Onde
apertamente si
manifesta che ciò fue
permissione divina per abattere
la superbia e tirannia di quelli de la Scala, i quali
erano i più
trascotati
due fratelli, Alberto e Mastino,
felli e
dileggiati con ogni abominevole vizio che fossono
in tutta Italia, montati per la
fallace e ingannevole
felicità
mondana in poco tempo in sì alto soglio,
e in sì alto stato e segnoria, non degna
a lloro né per
senno né per
meriti; onde s'adempié i· lloro le parole
del santo Vangelio dette per lo santo Spirito per la
bocca in persona de la nostra Donna: «
Fecit
potentiam
in
bracchio
suo,
dispersit
superbos
mente
cordis
sui,
deposuit
potentes de
sede,
et
exaltavit
humiles»:
per certo così avenne, come leggendo si potrà
trovare.
E piuvicata la detta lega, i Viniziani fecero loro ordini
sopra la detta
guerra, come parve loro si
convenisse;
e' Fiorentini
elessono
X savi cittadini mercatanti,
e de le maggiori compagnie di
Firenze, con
piena balìa
a trovare moneta e fornire la detta
guerra;
e asegnato loro
CCLm di fiorini d'oro per
anno sopra
certe gabelle,
radoppiandole gran parte. E per
cagione che 'l nostro Comune in questo tempo, per
le guerre e spese fatte per adietro, si trovò
indebitate
le gabelle e l'
entrate
del Comune per lo tempo
a venire
in più di
Cm fiorini d'oro, e danari bisognavano
maneschi per fornire la detta impresa; i detti
X officiali
sopra i fatti di Vinegia, col
consiglio d'altri mercatanti
savi e sottili
a ciò fare, e
intra' quali altri noi
fummo di quelli, si trovò modo che le compagnie e'
mercatanti di
Firenze prendessono sopra loro lo
'ncarico di fornire di moneta per la detta impresa,
infino
a
guerra finita, in questo modo: ch'elli ordinaro
fra loro una taglia di
Cm fiorini d'oro, il terzo prestare
le dette compagnie
a Comune, e le
due parti
stribuiti tra altre ricchezze e cittadini
a prestare sopra
le dette gabelle assegnate
a certi termini inanzi,
quali d'uno
anno, e quali in più, come veniano i pagamenti
de le dette gabelle; e chiunque prestasse sopr'
esse al Comune, avesse di guiderdone libero e
sanza tenimento di
restituzione
a ragione di
XV per
C
l'
anno; e chi non volesse credere al Comune sopra le
dette gabelle, prendesse la
sicurtà e iscritta libera da
le dette compagnie e mercatanti, e avesse di guiderdone
a ragione di
otto per
cento l'
anno; e quelli che
faceano la
sicurtà per lo Comune sopra loro aveano
de la detta scritta e promessa
V per
C; e qual uomo
avea de la detta prestanza e non era
mobolato, sì che
non potea prestare né al Comune né la scritta de le
compagnie, trovava chi prendea il debito sopra sé,
avendo
a ragione di
XX per
C; e così si
civia
ciascuno:
per lo detto modo si fornì la spesa onoratamente per
lo nostro Comune. E quando fuoro spesi i detti
Cm
fiorini d'oro de la prima taglia, si ricominciavano da
capo per simile modo, mandando
a Vinegia
ciascuno
mese, come bisognava per li soldi de' cavalieri e pedoni
che
forniano la
guerra. E
a Vinegia dimoravano
al continuo
due savi e discreti cittadini
a fornire le
dette paghe, e provedere le
condotte de' soldati; e simile
per lo Comune di Vinegia; e
due altri ambasciadori,
uno cavaliere e uno giudice,
a stare continui in
Vinegia col
dogi e col suo
consiglio
a dare ordine
a
la
guerra; e
due altri cavalieri militanti stare per
ciascuno
di detti Comuni ne l'oste, col
consiglio
del capitano
de la
guerra. Questo in somma fue l'ordine
del fornire de la
guerra ordinata per la detta lega, e
altro modo non ci avea. E questo per li savi fu molto
comendato. E di presente, piuvicata la lega, v'andaro
di
Firenze
M pedoni tutti
soprasegnati di soprasberga
bianca col
segno di san Marco e
del giglio
vermiglio;
e di
Romagna v'andòe la nostra cavalleria, che
v'era stata
a la guardia
del passo com'è detto adietro,
che fuoro da
VIc cavalieri, ond'era capitano messer
Pino de la Tosa, e messer
Gerozzo de' Bardi: e in Vinegia
se ne soldaro di presente per li detti Comuni
MD tra Tedeschi e altri oltramontani, e pedoni assai,
e
miserli in su la
trevigiana
a cominciare la
guerra. E
di quelli giorni si rubellò
a quelli de la Scala per
quelli da Camino il castello d'
Ovreggio, non essendovi
ancora la nostra gente, né avendovi ordine d'oste
o di capitano di
guerra. Messer Alberto de la Scala
di sùbito vi cavalcò da Trevigi con
M cavalieri, e
combattendo il
racquistò con gran
danno di
coloro
che ll'aveano rubellato. Lasceremo alquanto de la
guerra cominciata in
Trivigiana, e diremo de' fatti di
Toscana conseguenti per la detta
guerra.
L. 12, cap. 51 rubr.Come le masnade di messer Mastino ch'erano in
Lucca cavalcaro in sul contado di Firenze.
L. 12, cap. 51Nel detto
anno,
a dì
XXV di luglio, le masnade di
messer Mastino ch'erano in Lucca, in quantità di
IIIIc cavalieri e popolo assai, uscirono di notte di
Buggiano e vennero subitamente
a Cerreto
Guidi in
Greti, e quello sproveduto, combattero il borgo ed
ebberlo, e feciono grande
danno di preda e d'arsione
di case e di
biade sanza alcun contasto; però che 'l
capitano e cavalleria de' Fiorentini erano gran parte
in Pistoia per cagione de la festa di santo Iacopo. E
poi
a dì
V d'
agosto seguente la gente di messer Mastino,
in quantità di
VIIIc cavalieri e molti pedoni,
onde fue capitano e conducitore
Ciupo delli
Scolari
rubello di
Firenze, e uscì di Lucca e guadò Arno e
guastò il borgo
a Santa Fiore e altre villate di Sa·
Miniato,
e albergaro
due
notti
a la villa di
Martignano
sotto San
Miniato. La gente de' Fiorentini, ch'erano
in
Empoli e ne le castella
del Valdarno e di Valdinievole,
li seguiro francamente; per la qual cosa i nemici
temendo la stanza d'essere sorpresi, perché non erano
venuti proveduti di vittuaglia, si partiro
a dì
VII
d'
agosto con isconcia levata, e passando per lo borgo
di Santa Gonda per paura de' Saminiatesi, scesi per
comune
a' balzi e
a le tagliate e
isbarre fatte, non ardiro
di
mettervi fuoco; e molti ve ne rimasono, e li
altri fuggendo sanza ordine in più parti si ricolsono,
alquanti passando
Guisciana, ma i più per lo
contado
di
Pisa straccati, e molti per
sete
spasimaro e annegaro
in
Guisciana. E se la nostra cavalleria avesse
più studiato il cavalcare, non ne campava uomo per
la
mala
condotta. E per le dette cavalcate il paese di
Valdarno e di Greti le terre non
murate stavano in
grande tremore; per la qual cosa il Comune di
Firenze
ordinò che subitamente fossero rifatte le
mura
d'
Empoli e di
Pontormo, che alquanto n'erano cadute
per cagione
del grande diluvio, e ordinaro che 'l
borgo di Montelupo si compiesse di
murare in su la
riva d'Arno e
del fiume di Pesa; e che fosse rifatto e
murato il borgo di Cerreto
Guidi; e così fu fatto in
poco di tempo, faccendo loro alcuna franchigia e
munità. E
ordinossi in
Firenze di fare grossa cavalcata
a Lucca per vendetta di quella, e per oservare la
promessa fatta per la lega de' Viniziani, come faremo
menzione nel seguente
capitolo.
L. 12, cap. 52 rubr.Come i Rossi di Parma tornarono amici di Fiorentini,
e come messere Piero Rosso sconfisse il maliscalco
di messer Mastino sotto al Cerruglio.
L. 12, cap. 52Come dinanzi promettemmo di dire di
maravigliosi
avenimenti e casi improvisi che avvengono per le
guerre, intendiamo apresso narrare e seguire, però
che per cagioni di quelle
del nimico spesso si fa amico
e dell'amico nimico. Prima avemo detto di messer
Mastino, che di grande amico
del nostro Comune
fatto
perverso nimico per li suoi vizii e
falli e tradimenti
fatti contro al nostro Comune dell'opera di
Lucca, come adietro avemo detto, e così per
converso
diremo de' Rossi di Parma, i quali in questi presenti
tempi stati grandi aversari e nimici nostri, come
adietro è fatta menzione, in picciolo tempo divenuti
amici e
confidentissimi. E però nelle cose
del secolo,
e spezialmente ne' casi delle guerre, non si
dee avere
niuna stabile
confidanza, però che per
oltraggi ricevuti
si fa spesso dell'amico nimico, e per bisogno o
per
servigi ricevuti, o isperanza di ricevere, si fa
del
nimico amico. Essendo in
Pontriemoli messere Piero
e messer
Marsilio e Orlando de' Rossi di Parma e'
loro
consorti, i quali tanti onori e benifici fatti aveano
a messer Mastino di
darli la
città di Parma e quella
di Lucca, il detto
mesere Mastino
a petizione di
quelli da
Coreggia di Parma suoi
cugini, istati nimici
e aversari de' detti Rossi, ma
maggiormente siccome
fanno sovente i tiranni, che promesse fatte non osservano
se non
a lloro
vantaggio, così
a' detti Rossi
messere Mastino gli tradì e ingannò; che in piccolo
tempo tolse e fece torre loro tutte fortezze e posessioni
ch'aveano in Lombardia, e
feceli assediare nel
detto castello di
Pontriemoli, ov'erano ridotti con
tutte loro donne e famiglie. I quali Rossi veggendosi
così trattati da meser Mastino, e dalle sue forze male
si poteno riparare sanza altro aiuto, trattato feciono
col Comune di
Firenze d'essere di loro parte e lega
contro al traditore Mastino, i quali dal nostro Comune,
siccome
mare ch'ogni fiume riceve, furono ricevuti
e accettati graziosamente,
dimettendo ogni ingiuria
ricevuta da meser Piero Rosso, mentre tenne
la
città di Lucca; ma
maggiormente
ricordandosi i
Fiorentini dell'antica amistà di
mesere Ugolino Rosso
stato nostro podestà,
coll'oste
del nostro Comune
alla battaglia da Certomondo contro
agli Aretini. Per
la qual cosa il detto meser Piero
personalmente venne
in
Firenze
a dì
XXIII d'
agosto
del detto
anno, il
quale da' Fiorentini fu veduto e ricevuto onoratamente,
e di presente fu fatto per li Fiorentini loro capitano
di
guerra. Il quale, come valente cavaliere,
con quantità di
DCCC cavalieri con certi
masnadieri
a
piè de' Fiorentini,
a dì
XXX del detto mese d'
agosto
bene
aventurosamente cavalcò sopra la
città di Lucca
per guastare le vigne e per fare levare l'assedio da
Pontriemoli. E il primo dì si puose
a
Capannole guastando
intorno le
sei miglia, e poi valicò Lucca e
puosesi al ponte
a San Quirico. E in quel luogo stette
per
III dì, correndo sanza alcuno riparo
ciascuno
giorno infino alle porte di Lucca. Le masnade di
Lucca in quantità di
DC cavalieri e pedoni assai, ond'
era capitano il maliscalco di
mesere Mastino, per
savia
maestria di
guerra tutti uscirono di Lucca, e
ridussonsi
in sul Cerruglio per impedire la vittuaglia
e lla
reddita alla nostra gente. Messer Piero per non
esere
sopreso tornò adietro schierato ordinatamente,
e quando furono presso di sotto al Cerruglio al luogo
dov'era il fosso ch'avea fatto meser
Ramondo di
Cardona quando
colla nostra oste fu sconfitto
ad Altopascio,
come adietro facemmo menzione, quello
per li nemici alquanto rimesso, e in su quello alla
guardia posti
VIII bandiere di cavalieri di meser Mastino
con certo popolo per contendere il passo
a
mesere
Piero, li nostri
scorridori e feditori, in quantità
di
CL cavalieri, il detto passo combatterono, e per
forza d'arme vinsono e sconfissono i nimici, cacciandogli
infino al Cerruglio, e
credendosi avere il castello
contro
a volontà di meser Piero, ch'al continuo facea
gridare e sonare la ritratta per tema d'aguato. Ma
nostri volonterosi di vincere, più che accorti di
guerra, intra gli altri
mesere
Gherardo di
Viriborgo
tedesco, ch'aveva il pennone de' feditori
del nostro
Comune, follemente
entrò combattendo dentro alla
porta
del Cerruglio, onde da' nimici, i quali erano
proveduti e in posta d'aguato dentro e di fuori, fu
abattuto e morto, e tutti i nostri, che co· llui erano saliti
al Cerruglio furono morti e sconfitti, e presi
IIII
conestaboli e altri assai. Il maliscalco di meser Mastino,
avuta la detta vittoria, con grande audacia con
tutta sua gente venne discendendo il
poggio, tuttora
cacciando i nostri. Messer Piero come savio e franco
capitano, e niente sbigottito per la
rotta de' suoi, fece
ischiera e capo grosso di sua gente,
confortando i
suoi e attendendo i nimici vigorosamente; i quali per
lo
vantaggio della scesa e per la vittoria avuta con
grande
empito percossono i nostri e assai gli
ripinsono
adietro; ma per buona
capitaneria di meser Piero,
e per la franca gente ch'era co· llui,
sostennero combattendo
vigorosamente, per modo che in poco d'ora
la gente di meser Mastino furono
messi inn isconfitta,
e rimasonne assai morti, e presi
XIII conestaboli
e cavalieri assai; il maliscalco di
mesere Mastino
colla
sua insegna e più altre vennero in
Firenze; la quale
sconfitta fu
a dì
V di settembre
MCCCXXXVI. E cciò
fatto, meser Piero,
raccolta sua gente, infino
a notte
trombando dimorò
colle
torce accese sul campo, e
lla notte albergò
a
Gallena, e poi l'altro dì con grande
onore tornò
a Fucecchio. Avemo sì disteso questo
capitolo, perché in sì poco di tempo d'una giornata
di tanta gente furono tre sì fatti avenimenti di battaglie
e di guerre recate
a onorevole fine di vittoria per
la valentria di meser Piero Rosso. E poi poco appresso
meser Piero partito da Fucecchio, e venne in
Firenze
con
poca gente subitamente, sanza volere alcuno
triunfo da' Fiorentini. E per richesta e mandato
di Viniziani
convenne ch'andasse
a Vinegia per essere
capitano e
duca dell'oste della lega ch'era in trevigiana;
e così n'andò
a Vinegia all'uscita
del mese di
settembre, e di là fece di magnifiche cose in opera
di
guerra contro
a meser Mastino, come inanzi leggendo
si potrà trovare. E Orlando Rosso suo fratello
rimase in
Firenze per capitano di
guerra de' Fiorentini.
L. 12, cap. 53 rubr.Di novità di Firenze, e come i Fiorentini tolsono a'
conti Guidi certe terre di Valdarno e di Chianti, e feciono
Castello Santa Maria.
L. 12, cap. 53Nel detto
anno,
a dì
XV d'
agosto, la notte vegnente
s'aprese il fuoco
a casa Toschi al canto di Mercato
Vecchio incontro alla chiesa di San Piero
Bonconsiglio,
e
arsonvi
IIII case basse con gran
danno di
pizzicagnoli
ch'abitavano in quelle. E in calen di settembre
del detto
anno fu
riposto e aforzato per li Fiorentini
il castello di Laterino per contrario delli Aretini.
E tornarvi incontanente
ad abitare le genti di
quello castello, ch'erano in tre borghi recati al piano
di sotto, il quale aveva fatto disfare il vescovo d'
Arezzo
de'
Tarlati, come adietro fu fatta menzione. All'
entrata
del mese d'ottobre
del detto
anno si rubellò
a
Guido, figliuolo che ffu
del
conte Ugo da Battifolle,
il castello
del Terraio in Valdarno, e tutti i borghi
di
Ganghereto, e lle
Conie, e lle Cave, e
Balbischio, e
Moncione
del
Viscontado in Chianti, per male
reggimento
che 'l giovane facea
a' suoi fedeli d'opera di
femmine, e ancora per
sudducimento e
conforto di
certi grandi popolari di
Firenze reggenti nimici de'
conti. E per simile modo si rubellò
Viesca in Valdarno
a' figliuoli furono
del
conte Ruggieri da
Doadola,
volendosi dare le dette terre al Comune di
Firenze, il
quale le prese poco tempo poi apresso per certe
ragioni
vi
cusava il Comune, come facemmo menzione
in questo adietro, ove trattammo di ciò. Intanto i
detti
conti avendo col loro sforzo andati per
raquistare
le dette terre, non ebbono il podere; perché
tutte le terre
del Valdarno per comune l'andarono
a ssoccorrere per mandato
del nostro Comune, fatto
per rettori tacitamente; onde non potendo
a cciò
contradiare, si
compromisono in
sei popolani di
Firenze,
i quali
elessono i priori, e diedono la rocca di
Ganghereta in guardia
del Comune di
Firenze; i
quali sentenziarono
a dì
XXII di novembre che lle
dette terre fossono
del Comune di
Firenze,
dando al
sopradetto
Guido delle sue
ragioni fiorini
VIIIm d'oro;
e
penogli avere infino
a gran tempo apresso, e
nogli ebbe poi interamente. E cciò fu grande ingratitudine,
con forza
del popolo di
Firenze, e poco si ricordarono
de'
servigi fatti per li loro anticessori al
Comune e popolo di
Firenze e parte guelfa; che secondo
giusto prezzo, alle
ragioni v'avieno i
conti, valeano
più di fiorini
XXm d'oro, con tutto fossono terre
di giuridizione d'imperio, che male si potea
vendere
o
comperare. Ma come si fosse, i detti
conti e lloro
consorti ne rimasono mal
contenti. Ma cciò fece il
popolo di
Firenze,
ricordandosi di quello che 'l
conte
Ugo avea aoperato
a suo torto contro al Comune
di
Firenze, quando fu la sconfitta d'Altopascio,
di riprendere le ville d'Ampinana in Mugello l'
anno
MCCCXXV. E poi apresso, di calen di settembre
MCCCXXXVII, il Comune di
Firenze
ordinò e fece cominciare
una terra in Valdarno infra quelle terre nel
piano di
Giuffrena i· lluogo propio
del Comune di
Firenze, e
puosele nome Castello Santa Maria, faccendovi
tornare dentro uomini di tutte le villate e
terre d'intorno con certa franchigia e imunità, per
torre
a perpetua ogni giuridizione e fedeltà
a' detti
conti. E poi, in calen di novembre
MCCCXXXVIII,
quelli della detta terra di Santa Maria andarono e
presono la rocca di
Ganghereto, ch'era data per gli
conti
a guardia
del Comune di
Firenze, e quella misono
in puntelli e feciolla rovinare.
Credesi fu con
consentimento di certi rettori di
Firenze, ed eravi alla
guardia quelli di Monteguarchi, onde poi fu
accusa
fatta per quelli di Monteguarchi, e fue condannato
il Comune della
nuova terra
a pagare
a'
conti fiorini
VIIIm d'oro per lo forfatto, rimanendo
a lloro la
propietà delle terre de'
conti di quello aquisto, che
valieno
IIIIm fiorini e più. Lasceremo alquanto de'
fatti di
Firenze, e diremo di quelli della nostra lega e
di Viniziani, come operarono contro al Mastino.
L. 12, cap. 54 rubr.Come l'oste de' Viniziani e Fiorentini, ond'era capitano
messere Piero Rosso, si puosono a Bovolento.
L. 12, cap. 54Nel detto
anno
MCCCXXXVI, all'
entrante d'ottobre
i
conti da
Collalto in trevigiana si rubellarono da
quelli della Scala, e dierono la Motta e altre loro castella
al Comune di Vinegia; e alla Motta si fece ragunata
e capo la gente della nostra lega e di Viniziani.
In quelli giorni
a dì
XV d'ottobre,
credendosi i Viniziani
per trattato di moneta avere il castello di
Mestri,
furono ingannati e traditi dal castellano che v'era
per
mesere Mastino, credendo prendere de' maggiori
di Vinegia che v'andavano; ma non vi giunsono
al
termine dato; ma di loro masnade
a piè vi rimasono
presi più di
CCL; onde i Viniziani rimasono molto
aontati. Poi
a dì
XX d'ottobre si partirono dalla Motta
messere Piero e
mesere
Marsilio Rossi capitani
dell'oste nostra e de' Viniziani con
MD cavalieri e
IIIm
pedoni, vegnendo francamente per trevigiana ardendo
e guastando il paese: e sanza alcuno contasto vennero
infino alle porte di Trevigi, e di là vennero poi
a
Mestri e arsono tutti i borghi; e poi si misero
a gran
pericolo vegnendo in
padovana per le molte fiumane
e canali che aveano
a passare, ond'erano tagliati i
ponti; per la qual cagione si missono
a grande affanno
e rischio,
abandonandosi alla fortuna come ardita
e valentre gente. E come piacque
a dDio giunsono
alla Pieve di
Sacco in calen di novembre. La qual cosa
apena si potea credere per meser Alberto e meser
Mastino della Scala, ch'erano in Padova con più di
IIIIm cavalieri, i quali uscirono fuori infino al ponte
a
,
e se fossono cavalcati inanzi, della nostra gente
non
iscampava uomo, che non fosse morto o preso;
in tale luogo erano
condotti, che inanzi non poteano
andare né adietro tornare. Ma il senno e ardimento
di
mesere
Marsilio Rosso
colla grazia di Dio gli
scampò, che incontanente mandò più
lettere e messaggi
nel campo di quelli della Scala
a messere Mastino
e conestaboli e baroni richeggendo di volere
battaglia. Messere Mastino, che di natura era vile di
mettersi
a fortuna di battaglia, ancora
dubitando de'
suoi medesimi per le molte
lettere nel suo campo venute,
e
credendosi sanza mettersi
a battaglia
soprenderli
tutti per
istracca, e assediarli, tagliando loro i
ponti inanzi e adietro per torre loro la vettuaglia; e
ciò fatto, si tornò in Padova con tutta sua cavalleria.
Ma
a ccui Iddio vuole male gli toglie il senno e lla
provedenza, e al suo nimico dà
ardire e argomento.
E così avenne nel nostro bene
aventuroso oste: sanza
indugio ispogliate d'ogni sustanze le villate di Pieve
di
Sacco e d'intorno. E di là si partirono con grande
affanno, faccendo fare più ponti di graticci, e dove
di legname, sopra più riviere e canali salvamente passarono.
E
a dì
V di novembre arrivarono alla terra e
villata di
Bovolento presso di Padova
a
VII miglia, e
in sul gran canale
del fiume dell'
Alice che va
a
Chioggia, per avere da Vinegia e da
Chioggia continovo
vittuaglia e
libero
cammino e andamento.
Quello
Bovolento chiusono e afforzarono di fossi e
di steccati, e feciono molte case di legname per potere
ivi vernare. La qual bastita e terra di
Bovolento fu
cagione dello
abassamento di quelli della Scala, e lla
loro
perdita della
città di Padova, come inanzi leggendo
si potrà trovare. Lasceremo alquanto di questa
nostra
guerra di Lombardia, e diremo d'una
grande
guerra si cominciò tra il re di
Francia e quello
d'Inghilterra.
L. 12, cap. 55 rubr.
Di grande guerra che ssi cominciò tra il re di Francia
e quello d'Inghilterra.
L. 12, cap. 55Nel detto
anno
MCCCXXXVI si cominciò grande
guerra intra
Filippo di
Valois re di
Francia e
Adoardo
il terzo re d'Inghilterra, e lle cagioni, tutte fossono
assai di casi vecchi di loro padri e anticessori e di
novelli, intra gli altri fu che il detto
Adoardo il giovane
re d'Inghilterra
radomandò
a re di
Francia la
contea di Ginese in Aquitania detta
Guascogna, la
quale meser
Carlo di
Valois, padre che ffu
del detto
re
Filippo e fratello
del re
Filippo il Bello, avea tolto
per forza e
a inganno
ad
Adoardo secondo, padre
del detto
Adoardo il giovane, opponendo ch'era caduta
per amenda
a re di
Francia per
fallimenti
d'
omaggi che 'l re d'Inghilterra
dovea fare al re di
Francia per la
Guascogna. Ma
maggiormente per la
covidigia della casa di
Francia per volere occupare e
sottomettersi la
duchea di
Guascogna e
torla alla casa
d'Inghilterra, per la qual
contea di Ginese infino
al tempo di
Carlo il giovane re di
Francia avea
promessa
di rendere
a quello d'Inghilterra. E poi non
potendola riavere, s'acconciava
Adoardo il giovane
di lasciarla e di
darla in
duarda alla
serocchia, maritandosi
al figliuolo
del detto re
Filippo di
Valois, il
quale
a cciò non volle asentire, ma diegli per moglie
la figliuola
del re Giovanni di Buemia, onde
crebbe
lo sdegno. E
maggiormente perché il detto re di
Francia avea ritenuto
Davit in qua adietro re di Scozia
suo rubello, e
datogli aiuto e favore di gente e di
moneta alla
guerra di Scozia contro al detto re
Aduardo, per la qual cosa il detto re
Aduardo, ritenne
poi
mesere Uberto d'Artese della casa di
Francia
rubello e nimico
del detto re
Filippo. Onde al re di
Francia
maggiormente monta lo sdegno diponendo
il suo saramento e impromessa
del santo passaggio
d'oltremare, come adietro facemmo menzione, cominciando
il re di
Francia al detto re d'Inghilterra
grande
guerra in
Guascogna, e
faccendogli ricominciare
guerra inn
Iscozia e in
mare, faccendo venire
galee di Genovesi al suo soldo,
rubando ogni Inghilese
e Guascone, e tutte maniere di gente ch'andassono
o venissono d'Inghilterra. Della qual cosa fu
molto ripreso e biasimato i· rre di
Francia da tutti i
Cristiani e dal papa e dalla Chiesa di
Roma, lasciando
sì grande e alta impresa promessa, come era il
santo passaggio, per cominciare
guerra
a suo torto
co' suoi vicini cristiani. Per la qual cosa il papa rivocò
e lli levò tutto il
sussidio delle
decime di
Cristianità
a llui concedute, salvo quelle
del reame di
Francia,
le quali avea in sua balìa. Il valentre
Aduardo però
non isbigottito ma francamente imprese sua difesa,
allegandosi poi col re d'Alamagna detto Bavero, il
quale in questi tempi avea mandati suoi ambasciadori
al papa per venire
a misericordia e all'amenda della
Chiesa, e per avere sua pace; già era
ottitriata per
la Chiesa, andando al conquisto d'oltremare, e
quitando
le terre della Chiesa, cioè Cicilia e 'l Regno e 'l
Patrimonio, e lla Marca, e lla
Romagna, e di grazia
a
Firenze tutto il suo
distretto. Il re di
Francia per sue
lettere e ambasciadori al papa e
a' cardinali sturbò
l'accordo, perché volea per lo fratello il reame d'Arli
e di Vienna; per la qual cosa il Bavero indegnato s'
allegò
col re d'Inghilterra contro al re di
Francia, col
duca di Brabante suo
cugino, e col
conte d'Analdo, e
co messer Gian signore di
Bielmonte e
zio
del
conte,
e col
duca di
Ghelleri e col marchese di Giulieri, tutti
suoi cognati, il sire di
Falcamonte, e più altri baroni
della Magna, dimandando ancora
Aduardo
a
Filippo
di
Valois il reame di
Francia, il quale diceva
dovea succedere
a llui per ragione
del retaggio per la
madre d'
Aduardo, che ffu figliuola
del re
Filippo il
Bello re di
Francia,
del cui non rimase altra
reda per
linea reale. E così
dovea egli succedere al reame, com'
elli giudicò la terra d'Artese alla
contessa figliuola
del
conte d'Artese, perché succedesse alla corona di
Francia per retaggio delle figliuole della detta
contessa
maritate
a' reali, e
tolsela al sopradetto messere
Ruberto, che ffu figliuolo
del figliuolo
del
conte
d'Artese, ciò fu
mesere
Filippo d'Artese, il qual era
fratello della detta
contessa; perché morì prima che
'l
conte suo padre, ne
disertò il re messer Ruberto
suo figliuolo. Della quale richiesta il re di
Francia
forte
dispettò, e
crebbe lo sdegno e lla
guerra. Ma
i· rre
Aduardo poi apresso cominciò per
mare e per
terra con suoi allegati aspra
guerra al re di
Francia
come inanzi leggendo si potrà trovare. Lasceremo alquanto
de' fatti d'oltremonti, e torneremo
a' processi
della nostra
guerra col Mastino di Verona.
L. 12, cap. 56 rubr.Come messere Mastino tolse 'l castello di Pontriemoli
a' Rossi di Parma.
L. 12, cap. 56Nel detto anno, essendo il castello di Pontriemoli,
che tenieno i Rossi di Parma, molto stretto d'assedio
da quelli di Lucca e marchesi Malespini colla forza
di mesere Mastino, Orlando Rosso colla cavalleria e
masnada di Firenze in quantità di MCCC cavalieri e
IIIm pedoni ond'era capitano si partirono di Firenze
a dì XVII di novembre, e cavalcarono sopra
Lucca per soccorrere Pontriemoli e llevare il detto
assedio; ma ffu tardi, che quelli ch'erano in Pontriemoli
per molti difetti s'arrenderono a patti, salve le
persone e loro cose; così tornò la detta cavalcata a
Fucecchio a dì XXV di novembre, avendo fatto poco
danno a' Lucchesi. E lle famiglie e donne de' detti
Rossi uscirono di Pontriemoli e vennero tutti a Firenze;
i quali furono ricevuti graziosamente.
L. 12, cap. 57 rubr.
Come i Viniziani tolsono le saline di Padova a mesere
Mastino della Scala.
L. 12, cap. 57In questo
anno, essendo la nostra oste e di Viniziani,
ch'era accampata alla bastita e
nuova terra di
Bovolento, cresciuta in quantità di più di
IIIm cavalieri,
quasi i più Todeschi al soldo de' detti
II comuni,
e più di
Vm pedoni, i Viniziani mandarono loro oste
con grande navilio e barche
imborbottate e molti
difici
da battaglia da
Chioggia alle saline di Padova, le
quali teneva meser Mastino, e
avevavi su fatte
due
fortezze, ov'erano bastite, quasi come
due castella di
legname con molto guernimento e gente d'arme alla
difesa. E sentendo ciò meser Mastino e messere Alberto
ch'erano in Padova con più di
IIIm cavalieri e
popolo grandissimo, uscirono di Padova per venire
alla difesa delle dette saline; messere Piero Rosso
con tutta la nostra oste e de' Viniziani gli si fece incontro
schierato per combattere, e
credettesi
a ccerto
che ssi combattesse, e per tre dì se ne fece in
Firenze
e in Vinegia
solenni processioni con grandi
obligazioni e
prieghi
a dDio, che cci
desse la vittoria.
Il Mastino non si volle recare
a
bartaglia; onde i Viniziani,
a cui toccava la detta causa delle saline, ed
era la principale cagione della loro impresa, vigorosamente
combatterono le dette bastite, e per forza
l'ebbono
a dì
XXII di novembre
del detto
anno; onde
abassò molto l'orgoglio
del Mastino e de' suoi. E poi
a dì
XVI di dicembre vegnente
CCCC cavalieri di quelli
di
mesere Mastino ch'andavano
a
Monselici furono
rotti e sconfitti da' nostri, ch'erano usciti di
Bovolento
loro incontro.
L. 12, cap. 58 rubr.Ancora della detta guerra da nnoi a mesere Mastino.
L. 12, cap. 58Nel detto
anno,
a dì
XXVIIII di gennaio, messere
Piero Rosso si partì da
Bovolento con
IIm cavalieri e
gente
a piè assai, e andò
a Padova, e assalì la porta
del borgo d'Ognesanti, ch'era in trattato d'avere il
detto borgo per tenervi l'oste, e affocata la porta per
entrarvi dentro, e parte di sua gente ve n'
entrò. La
gente di
mesere Alberto, ch'era in Padova, furono
accorti, e missono fuoco nel borgo; per la qual cosa
veggendo
mesere Piero che non potea aquistare, si
partì e tornò
a
Bovolento. Ma poco apresso,
a dì
VII
di febraio, il detto meser Piero si partì di notte dal
campo di
Bovolento con
CCC cavalieri eletti e con alquanti
pedoni, e
ordinò che
MCC cavalieri richesti il
seguissono apresso, e giunse di notte meser Piero al
borgo di San Marco di Padova; e quello, come ordinato
era, li fu dato, ed
entrovvi
colla sua gente. Li
MCC cavalieri e pedoni che venieno apresso
fallirono
la notte il
cammino. E per soperchia freddura e fiumi
e canali
a passare non poterono giugnere
a Padova;
ma poi che furono molto ravvolti, si tornarono
a
Bovolento: alcuni dissono che per inganni furono
traviati. Messere Piero essendo nel detto borgo infino
a ora di nona, e non giugnendo la sua gente,
dubitò
della stanza; e bisognava che meser Alberto e
sua gente avessono saputo il vero: meser Piero e sua
compagnia erano tutti morti e presi, però che in Padova
avea più di
IIm cavalieri e popolo grandissimo.
Il valente messer Piero veggendosi
a tal partito, come
savio e aveduto capitano, con tutta sua gente armata
fece sembianti d'assalire la porta della
città e
quella combattere, e faccendo vista d'avere presso il
suo soccorso della sua gente che gli era
fallita. Messere
Alberto temendo della
città fece di quella chiudere
le porti e llevare i ponti. Messere Piero e sua
gente si ritrasse e uscì
del borgo, faccendo al fine di
quello mettere, fuoco, acciò che' nimici per quello
nol potessono seguire, e con tutta sua gente si tornò
la sera sano e salvo al campo di
Bovolento. E nota
che meser Piero andava sì spesso
a Padova, però che
al continuo era in trattato, con meser
Marsilio da
Carrara suo
zio e co' suoi
consorti, i quali, come dicemmo
adietro più tempo passato, per gara di loro
vicini e cittadini aveano data la signoria di Padova
a
meser Cane della Scala; e Messere Alberto e Mastino
gli trattavano male, e
maggiormente per lo 'nganno e
tradimento fatti
a' detti Rossi di Parma loro nipoti
sotto loro
confidanza, quando feceno rendere Parma,
come adietro facemmo menzione. E poi
a dì
XX
di febraio essendo partiti
del campo da
Bovolento da
DL cavalieri, e cavalcato in sul padovano e llevata
grande preda, que' di Padova in quantità di
DCCC cavalieri
si pararono loro dinanzi
ad un passo e
combatterli
e' nostri furon sconfitti, e
rimasonvi tra morti
e presi intorno di
cento e più di mezza la preda.
Per quella cagione
a dì
XXIII di febraio, meser Piero
cavalcò con
MD cavalieri fino alle porte di Padova, e
prese un borgo e misevi fuoco, e
arsonvi più di
CCCC
case. In questa cavalcata di meser Piero meser Mastino
ordinò con ribaldi, e fece mettere fuoco nel campo
da
Bovolento, e arse bene il quarto, e tutta la camera
dell'oste. E se non fosse il buono soccorso di
quelli che v'erano rimasi
a guardia, ardeva tutto; e
così va ne' casi di
guerra per
pulire i peccati de' popoli.
Tornato
mesere Piero al campo, in pochi dì fu
ristorato e rifatto l'arsione
del detto campo, che i Viniziani
di presente vi mandarono ogni guernimento
che bisognava
a·
rraconcio della bastita. E pochi dì
apresso all'
entrata di marzo, si rubellò
a
mesere Mastino
III ville, ciò furono
Coldigrano in trevigiana, e
Cittadella e Campo San Piero in
padovana. Lasceremo
alquanto della
guerra
del Mastino, e torneremo
a' nostri fatti di
Toscana e d'altre parti.
L. 12, cap. 59 rubr.
Come sotto trattato d'accordo cogli Aretini vollono
i Perugini pigliare Arezzo, e poi ebbono Lucignano.
L. 12, cap. 59Nel detto
anno, all'
entrante
del mese di febraio,
non lasciando il nostro Comune per la grande impresa
di Lombardia e di
guerreggiare la
città di Lucca e
quella d'
Arezzo, essendo la
città d'
Arezzo molto
afritta da' Perugini e da' Fiorentini, però che da
mesere
Mastino non potieno avere soccorso perch'era
assediato elli medesimo nella
città di Padova, come
detto è dinanzi; né d'altra parte da niuno Ghibellino
d'Italia non poteano avere soccorso, e per loro male
si poteano difendere da' detti
due Comuni; in più
trattati d'accordo e di pace furono da lloro
a' detti
Comuni, ma più co' Perugini, che lli tenieno più
stretti, ed avieno de' loro prigioni. Alla fine i Perugini
volieno sì larghi
vantaggi e di castella e della signoria
della
città d'
Arezzo, che i
Tarlati che nn'erano
signori in nulla guisa si vollono accordare né fidare
de' Perugini, però che in que' dì, stando nel detto
trattato d'accordo co' detti Perugini, i detti Perugini
di notte con grande forza di gente
a ppiè e
a cavallo
vennero infino alle
mura d'
Arezzo. E per alcuno della
terra fu loro
insegnato d'
entrare per la fogna, overo
cateratta, della gora delle mulina che corre per
Arezzo; e alcuni di loro v'
entrarono. Ma cciò sentito
nella terra, corsono con arme
a·
rriparo, e uccisono
quelli ch'erano passati dentro; onde i Perugini la
mattina si partirono e tornarsi
a
cCortona; e per questa
cagione si ruppe il trattato dell'acordo
dagli Aretini
a' Perugini. Ma de' Fiorentini si volieno ben fidare
i
Tarlati d'
Arezzo, e dar loro la guardia della
terra, però che meser Piero
Saccone e meser
Tarlato
erano nati per madre di casa i
Frescobaldi di
Firenze,
e
aveanvi più singulari amici e
parenti, e da' Fiorentini
si tenieno meno gravati che da' Perugini. E
così per la detta cagione de' Perugini si ruppe il trattato,
e si ricominciò
guerra contro
agli Aretini, con
tutto che nel segreto tuttora rimasono gli Aretini in
trattato d'accordo co' Fiorentini. E rotto il detto
trattato co' Perugini, quelli di Lucignano d'
Arezzo,
ch'erano molto
oppressati da' Perugini per le loro
masnade, che stavano nel Monte San Savino, sì mandarono
a
Firenze loro ambasciadori e sindachi con
pieno mandato per dare Lucignano al Comune di
Firenze.
I Fiorentini no· lli vollono prendere per non
dispiacere
a' Perugini, né rompere i
patti della lega;
che intra gli altri
patti era che ogni conquisto di terra
o castella si facesse sopra il Comune d'
Arezzo fosse
a comune de' detti
II Comuni. Ancora v'era lo 'nfrascritto
patto, che i
collegati della detta lega
durante
la detta lega per sé né per altrui né possa né
debbia
fare pace o triegua overo altra composizione overo
alcuno trattato tenere co' nemici de' detti allegati
sanza
espressa volontà e
consentimento de' detti
collegati,
bene ch'allora era già spirato il
termine della detta
lega; per la qual cosa i detti sindachi e ambasciadori
di Lucignano se n'andarono poi
a Perugia, e
dieronsi liberi
a lloro: e' Perugini li presono sanza
farne nulla richesta al Comune di
Firenze. E per simile
modo il vescovo d'
Arezzo, ch'era de' detti
collegati,
si prese
Montefocappio, un forte castello degli
Aretini. Onde i Fiorentini
sdegnarono molto, e seguirono
apresso il trattato segreto co'
Tarlati d'
Arezzo,
e misero
a
seguizione, come diremo apresso nel
seguente
capitolo.
L. 12, cap. 60 rubr.Come i Fiorentini ebbono per patti la città d'Arezzo
e 'l suo contado.
L. 12, cap. 60Nel detto
anno,
a dì
VII di marzo
MCCCXXXVI, si
compié il trattato e accordo dal Comune di
Firenze
a' signori
Tarlati d'
Arezzo in questo modo, ch'egli
ebbono dal Comune di
Firenze fiorini
XXVm d'oro
per la
dazione della terra e rinunziagione della signoria
di quella; e fiorini
XIIIIm d'oro per la loro ragione
e parte, che' detti messere Piero e meser
Tarlato
aveano nel
viscontado comperato per lo vescovo
d'
Arezzo loro fratello da'
conti
Guidi, il quale, come
dicemmo adietro, s'era renduto prima al Comune di
Firenze, e fiorini
IIImDCCC d'oro n'ebbe per
patti
Guido
Alberti
conte per la sua quarta parte
del
viscontado,
e
venderlo
colla solennità si
convenne al
Comune di
Firenze; che ffu al Comune di
Firenze
uno nobile e bello aquisto, tutto fossero terre d'imperio.
E oltre
a cciò il comune d'
Arezzo ebbe
inpresto
dal Comune di
Firenze fiorini
XVIIIm per pagare
le loro masnade
a cavallo e
a piè, ch'erano
a pagare
di presso
a
sei mesi; e elli diedono con
solenni
sindachi d'accordo quasi di tutti gli Aretini ch'erano
inn
Arezzo la signoria e guardia della
città d'
Arezzo
e
del
contado al Comune e popolo di
Firenze per
tempo e
termine di
X anni
a venire con
mero e
misto
imperio, rimanendo
a'
Tarlati tutte loro posessioni e
castella, e lasciando i
Tarlati ogni signoria, e rimanendo
semprici cittadini d'
Arezzo alla guardia
del
Comune di
Firenze,
faccendoli i Fiorentini cittadini
e popolani di
Firenze, e altri
vantaggi per guardia di
loro. E
a dì
X del detto marzo
a ora di nona i Fiorentini
ebbono la posessione della
città d'
Arezzo per lo
modo diremo apresso. Che v'andarono
a
prenderla
XII de' maggiori cittadini di
Firenze grandi e popolani
con
sindacato e pieno mandato, e i· lloro compagnia
D cavalieri in arme, e
IIIm e più pedoni
del Valdarno
di sopra.
A' quali gli Aretini, uomini e donne,
piccoli e grandi, con
solenne processione e grande
allegrezza e buona voglia con rami d'ulivo in mano,
gridando: «Pace, pace, e
viva il Comune e popolo di
Firenze!», vennono loro incontro presso
a
due miglia.
E giunti alla
città con grande onore e magnificenza
furono ricevuti per meser Piero
Saccone
che nn'era stato signore. Fu dato il gonfalone
del popolo
d'
Arezzo e lle chiavi delle porti al sindaco
del
Comune di
Firenze con nobile
diceria e grandi autorità,
magnificando il popolo e Comune di
Firenze. E
poi i detti
XII nostri cittadini riformarono la
città di
podestà per
patti, i primi
sei mesi meser
Currado de'
Panciatichi di Pistoia
del lato guelfo, e gli altri seguenti
VI mesi meser Giovanni
Panciatichi suo fratello.
Dall'
anno inanzi
dovieno esere podestà fiorentini
alla lezione
del Comune di
Firenze; e per simile modo
rifermarono la
città d'
Arezzo di
nuovi anziani cittadini
d'
Arezzo, quelli che
a lloro piacque, Guelfi e
Ghibellini. E capitano di guardia e conservadore di
pace fu Bonifazio de'
Peruzzi grande popolano, il
primo per
termine di
VI mesi con
XXV cavalieri e fanti;
e poi per conseguente di
sei in
sei mesi il detto
uficio, uno popolano guelfo di
Firenze alla elezione
del detto Comune di
Firenze; e rifeciono popolo in
Arezzo, e diedono i gonfaloni delle compagnie
del
popolo. Ed ebbono gli Aretini per lo Comune di
Firenze
perpetua pace,
dimettendo e perdonando ogni
ingiuria, interessi e
danni ricevuti, l'uno Comune
dall'altro, rimettendo i Guelfi in
Arezzo, e ogni altro
uscito che vi potesse tornare,
cancellando ogni
bando
e levando ogni
rapresaglia e divieto dall'uno Comune
all'altro, e
singulari persone e lloro seguaci. E
poi
a dì
X d'
aprile vegnente
mesere Piero
Saccone
venne in
Firenze con certi de' suoi
consorti e altri
buoni uomini d'
Arezzo, con più di
cento
a cavallo.
Da' Fiorentini fu ricevuto onorevolemente come
gran signore, e dimorò in
Firenze
VI dì; e alla fine ricevuti
più
corredi da' priori, e dati continovo
desinare
e
cene
a' cittadini, alla sua partita fece un corredo
in Santa
Croce molto nobile, ov'ebbe
M o più buoni
cittadini alla prima mensa, con
IIII messe di pesce,
molto onoratamente serviti da
donzelli di
Firenze,
fornita tutta la
corte di capoletti franceschi molto
nobili. E in questa stanza,
a dì
XVI d'
aprile, i marchesi
del Monte Sante Marie co' castellani e col favore e
masnade di Perugini per
tradimento presono il castello
di Monterchi, salvo la rocca, che v'era uno de'
Tarlati. Per la qual cosa meser Piero e sua gente si
partì di
Firenze sùbito; ma il capitano della guardia
d'
Arezzo, sanza attesa, avuta la
novella vi fece cavalcare
CCCL cavalieri delle masnade di
Firenze ch'erano
in
Arezzo, con popolo assai di volontà
colle
'nsegne
del Comune di
Firenze, e venuti
a Monterchi il
dì di venerdì santo, trovarono i nimici accampati di
fuori
del castello e parte dentro; più
prieghi furono
fatti
a' detti marchesi e
a' castellani e
a quelli conestaboli
che v'erano per lo Comune di Perugia, che
per amore
del Comune di
Firenze si
dovessono partire
e llasciare il castello ch'era
a lloro guardia; dopo
molte parole
scusandosi non facieno contro al Comune
di
Firenze, ma contro
a'
Tarlati loro nimici, e
dilaiando per parole, attendendo la cavalleria di Perugia,
che
venia al soccorso, quelli che v'erano per lo
Comune di
Firenze ciò sentendo per loro spie, assalirono
il campo de' castellani e de' marchesi ch'erano
schierati in arme, e forte combattendo in
poca d'ora
gli sconfissono; e poi combattendo
entrarono nella
terra, e per forza d'arme la
raquistaro con gran
danno
di castellani e di loro seguaci; e più sarebbe stato
di morti, se non fosse la
divozione
del dì ch'era. Di
questo
raquisto di Monterchi i
Tarlati e tutti gli Aretini
si tennono molto
contenti di Fiorentini, e presono
di loro maggiore
confidanza. E poco apresso i
Fiorentini ordinarono in
Firenze
XII consiglieri popolani
due per
sesto di tre in tre mesi, con grande
balìa co' priori insieme
a provedere al continuo sopra
lo stato
pacifico e guardia d'
Arezzo. E di presente
per ciò seguire ordinarono e feciono cominciare e
compiere uno grande e forte castello al di sopra della
piazza di
Perci della
città d'
Arezzo, il quale
costò più
di
XIIm fiorini d'oro pagati per li Fiorentini; e ordinarvi
II castellani con
C fanti alla guardia, e fornito
tuttora per
VI mesi di vittuaglia e d'arme e di guernimento
grandissimo; e al continuo si teneva in
Arezzo
per li Fiorentini il meno
CCC cavalieri di loro masnade
alla guardia, e più come bisognava. Di questo castello
parte degli Aretini ne furono
contenti, spezialmente
i
Tarlati e' loro seguaci, per
sicurtà di loro,
che
disposti loro della signoria quasi tutto il popolo
gli odiava, i Guelfi perch'erano loro nimici, e i Ghibellini
perch'erano mal
contenti, perch'aveano data
la terra; ma al vero i più degli Aretini ne furono mal
contenti. Ma poi vi feciono fare i Fiorentini in
Arezzo
un altro piccolo castello sopra la porta
del piano
che va
a
llaterino, per più sicura
entrata, con
corridoio
di fuori grande tra 'l
muro e
parapetto per li cavalieri,
e ssu per le
mura per li pedoni per correre
dall'uno castello all'altro. In somma i Fiorentini misero
inn
Arezzo in uno
anno tra di questo e di
dono
più di
Cm fiorini d'oro, sanza quelli vi si spesono poi,
che ffu un gran fatto, compensando la spesa di Lombardia
e
ll'altre spese che facea il Comune di
Firenze
e
a mantenere la
guerra al continovo contro
a
llucca.
Del detto aquisto della
città d'
Arezzo, tutto costasse
a' Fiorentini danari assai, n'agrandì e montò molto
la magnificenza
del Comune di
Firenze, e da
lungi di gran
fama per tutti i Cristiani, che 'l
sentirono,
e d'apresso più onorati e
dottati dalle comuni vicinanze.
Il detto aquisto, tutto fosse mediante
costo
di moneta, e industria di certi nostri cittadini che 'l
trattarono, che non ne valsono di peggio al modo
usato di corrotti cittadini; ma di certo, se non fosse
stato la nobile e alta impresa di Lombardia, e
risistenza
fatta contro
a meser Mastino per lo Comune
di
Firenze e quello di Vinegia, non venia fatto, che i
signori
Tarlati non vi sarebbono mai
aconsentiti; ma
feciollo per la cagioni dette per non potere altro,
perduta ogni speranza di soccorso. E nota che più di
LX anni era stata retta la
città d'
Arezzo per parte ghibellina
e imperiale, e quasi in
guerra col Comune di
Firenze.
L. 12, cap. 61 rubr.
Ancora delle sequele de' fatti d'Arezzo da nnoi a'
Perugini.
L. 12, cap. 61
Dapoi che' Fiorentini ebbono la
città d'
Arezzo
per lo modo detto nel passato
capitolo, i Perugini
isdegnarono forte contro
a Fiorentini, tegnendosi
da lloro ingannati e traditi per li
patti, ch'avieno avuti
insieme della lega fatta tra lloro e col re Ruberto e
co' Bolognesi, e mandarne in
Firenze loro ambasciadori
a
dolersi di ciò e in piuvico
consiglio, ove fu loro
risposto
saviamente
a tutti i loro
capitoli, come
per ragione e secondo i
patti contro
a lloro non s'era
fallito in niuno articolo, però che lla lega non conteneva
niente, che
dandosi la
città d'
Arezzo
a niuno
de' detti Comuni, l'uno all'altro fosse tenuto, o ssi
rompesse lega; e già era il
termine della lega ispirato;
mostrando ancora
a' Perugini come gli Aretini in
niuna guisa si volieno accordare o fidare di Perugini
per cagione delli loro
collegati ghibellini, vescovo
d'
Arezzo, Pazzi,
Ubertini,
conti da Montefeltro,
Nieri
da Faggiuola,
conti da
Montedoglio, e' figliuoli di
Tano da Castello, e il signore di
Cortona, e tutti i loro
usciti, i quali erano nimici caporali de'
Tarlati. E
se i Fiorentini non avessono preso
Arezzo sanza indugio,
come feciono, di certo potea
riuscire in mal
luogo per parte guelfa e per l'uno Comune e per l'altro.
Ancora allegando come prima avieno
fallito i Perugini
e rotti i
patti
a' Fiorentini, quando presono
Lucignano d'
Arezzo per lo modo detto per noi nel
terzo
capitolo innanzi
a questo. Ma secondo buona e
caritevole compagnia non era però
del tutto licito di
fare per Fiorentini, che come
dice il
Provenzale in
sua
gobola «Uomo saggio non
dee
faglia per l'altrui
faglia». Ben
dice la legge in alcuna parte: «
Qui
frangit
fidem,
fides
frangatur
eidem»; ma cciò non
basta alla magnificenza
del nostro Comune. Ma come
si fosse, o ragione o torto dell'uno Comune o dell'
altro, o d'
ambedue, i Perugini rimasono mal
contenti.
Alla fine dibattuta la quistione per ambasciadori
dell'uno Comune e dell'altro, si trovò un mezzo
d'accordo, che i Perugini avessono in
Arezzo un giudice
d'
appellaggione in
termine di
V anni sotto
titolo
di conservadore di pace con
salaro di
D fiorini d'oro
in
sei mesi con sua famiglia. Questo uficio fu in nome
più che in fatto, però ch'al tutto erano gli ufici e
signoria d'
Arezzo di Fiorentini. E dopo il
termine di
V anni
dovessono rimanere
a' Perugini il castello
d'
Anghiari, e Foiano, e Lucignano, e Monte San Savino,
ch'ellino s'aveano
presi e si tenieno; e pace faccendo
cogli Aretini, lasciando
mesere
Ridolfo
Tarlati
e i figliuoli e più altri prigioni d'
Arezzo, ch'elli aveano
in prigione in Perugia, presi nella
Città di Castello
quando l'ebbono, come
contammo adietro. Lasceremo
alquanto de' fatti di
Firenze e d'
Arezzo e di Perugia,
ch'assai n'è detto, e torneremo
a nostra matera
a seguire il processo della
guerra di Lombardia contro
a meser Mastino.
L. 12, cap. 62 rubr.Come per ordine di mesere Mastino volle esere
morto mesere Piero Rosso a Bovolento per rompere
l'oste nostra.
L. 12, cap. 62All'uscita
del mese di marzo, cominciando l'
anno
MCCCXXXVII, essendo
mesere Piero Rosso capitano
dell'oste nostro e de' Viniziani all'asedio di Padova
a
Bovolento, per trattato di Messer Mastino da certi
conestaboli tedeschi ch'erano nell'oste, con séguito
di mille cavalieri, volle esere tradito e morto; ma come
piacque
a dDio, si scoperse il trattato, e non vegnendo
loro fatto, si partirono e missono fuoco nel
campo, e
arsene gran parte; per la qual
novità fu
grande
scompiglio alla nostra oste. Ma il valentre
meser Piero per l'accidente
occorso, poco ismosso
dagli aguati della fortuna, non
dubitando; ma
a dì
V
d'
aprile apresso con
IIIm cavalieri cavalcò subitamente
infino alle porte di Trevigi, e fece loro gran
danno
di preda e d'arsione, lasciando
a guardia
del campo
a
Bovolento
M cavalieri. E nota che in quelli tempi all'
asedio di Padova avea al soldo de' Fiorentini e Viniziani
Vm uomini
a cavallo con barbute, sanza quelli
da ppiè ch'erano grande quantità, sanza l'oste che in
que' tempi il Comune di
Firenze fece sopra la
città
di Lucca, come faremo menzione nel seguente
capitolo;
che considerato lo stato d'Italia, la
città di
Firenze
mostrò con effetto gran
potenza. In questi
tempi,
a dì
XIIII di maggio, si
rifermò la lega da nnoi
a' Viniziani cogli altri Lombardi contro
a meser Mastino;
e
ll'
avogaro di Trevigi per soperchi ricevuti si
rubellò da meser Mastino col suo forte Castello
Nuovo, e venne in persona
a Vinegia per
allegarsi
coll'altra lega.
L. 12, cap. 63 rubr.Come i Fiorentini feciono oste sopra Lucca.
L. 12, cap. 63
A dì
XVI di maggio
del detto
anno
MCCCXXXVII
mesere
Azzo da Coreggia, sentendosi in Lombardia
che' Fiorentini volieno fare oste
a Lucca, venne per
meser Mastino per suo vicaro in Lucca con
CCC cavalieri
alla guardia della
città. I Fiorentini per la sua
venuta, e per oservare i
patti della lega, avendo ordinata
oste sopra Lucca, e lla lega di Lombardia sopra
Verona,
a dì
XXX di maggio si diedono le
'nsegne, e
mosse l'oste; e furono i Fiorentini co· lloro soldati
DCCC cavalieri e popolo grandissimo, onde fu capitano
Orlando de' Rossi da Parma, uomo grosso e materiale,
ma per amore di meser Piero e di
mesere
Marsilio Rossi, ch'erano in Lombardia al
servigio de'
Fiorentini e Viniziani, li feciono quello onore. E di
Bologna in
servigio de' Fiorentini furono
CL cavalieri,
e da meser
Malatesta da
Rimino
C cavalieri, da
Ravenna
XXX, da Perugia
C cavalieri, d'
Arezzo meser
Piero
Saccone de'
Tarlati con
LX cavalieri e con
C
fanti, e
del Comune d'
Arezzo
CCC fanti, d'Orbivieto
LX cavalieri,
del re Ruberto
CLXXX cavalieri, della
Città di Castello
XXXV cavalieri, da
Cortona
cento
fanti; da Siena
C cavalieri, ma non vollono andare in
su quello di Lucca, istettono alla guardia di Sa·
Miniato,
però che non vollono esere alla lega. E poi,
partita l'oste, soldarono i Fiorentini
CCCXL cavalieri
di quelli della compagnia della Colomba, ch'erano
stati co' Perugini, e
mandarli nella detta oste; sicch'
ella fu di
IIm cavalieri e popolo assai; e guastarono
Pescia e
Buggiano e
ll'altre castella di Valdinievole, e
andarono infino
a Lucca e di là dal Serchio sanza
contasto alcuno, faccendo gran guasto. Tornò la detta
oste in
Firenze
a dì
XXX di luglio male ordinata,
però che fu sanza ordine e male
capitanata.
L. 12, cap. 64 rubr.Come la forza della lega cavalcarono sopra la città
di Verona, e partirsene con poco onore.
L. 12, cap. 64Tornando
a nostra materia della
guerra da nnoi
a
meser Mastino, com'era dato l'ordine della lega,
esendo la nostra propia oste sopra la
città di Lucca,
come detto avemo,
mesere
Marsilio Rosso, uomo di
gran senno e
valore, si partì dall'oste da
Bovolento
a
dì
VIIII di giugno
del detto
anno con
IImCCCC cavalieri
di nostri e de' Viniziani, rimanendo al campo di
Bovolento
mesere Piero Rosso con
MDC cavalieri e
popolo assai; e
andonne
a Mantova meser
Marsilio
per cavalcare sopra Verona, e
a dì
XX del detto giugno
vi giunse in Mantova messer
Luchino Visconti
di
Melano cogli altri allegati di Lombardia, co' marchesi
da Esti, e con quelli da
Gonzago di Mantova,
in somma co' nostri cavalieri e de' Viniziani più di
IIIIm, onde fu fatto capitano generale
mesere
Luchino
detto; e di presente cavalcarono fin presso alla
città di Verona. E meser
Carlo figliuolo
del re Giovanni,
ch'era alla lega nostra de' Lombardi contro
a
meser Mastino, venne di Chiarentana con suo sforzo.
E in quelli giorni ebbe che lli si
arendero la
città di
Belluna e poi quella di
Feltro, che ssi tenieno per
meser Mastino. Il tiranno
mesere Mastino, veggendosi
così
accanato dalla forza della lega da tante parti,
come disperato, ma però francamente, uscì di Verona
con
IIIm cavalieri e popolo grande, e richiese di
battaglia meser
Luchino e gli altri allegati.
Mesere
Luchino o per sua viltà, che così si disse, overo per
tema di
tradimento, overo che
ll'uno tiranno al tutto
non vuole abattere l'altro, ma quale si fosse la cagione,
veggendo che meser Mastino
colle sue forze uscito
a·
ccampo per combattere, la notte
a dì
XXVII di
giugno si
sbarattò la nostra oste e della lega, e villanamente
si dipartirono chi da una parte e chi da
un'altra, onde messere
Luchino fu molto
spregiato.
Messere Mastino avendo vinto quella
punga prese
vigore, e
llasciata fornita Verona, si partì con
IImD cavalieri,
e venne presso
a Mantova
a
VII miglia sanza
alcuno contasto. E poi sentendo che' Padovani tenieno
trattato con
mesere Piero Rosso perché meser
Marsilio Rosso e lla sua cavalleria non potesse tornare
al campo di
Bovolento, subitamente si mosse il
primo dì di luglio, e in
due giorni fu posto in sul canale
tra
Bovolento e
Chioggia, acciò che vettuaglia o
altro fornimento non potesse venire da Vinegia né
da
Chioggia all'oste di
Bovolento, e per impedire
mesere
Marsilio ch'era ivi presso
colla sua gente e cavalleria
a
V miglia, e per la sùbita venuta di meser
Mastino non potea andare più inanzi sanza grande
pericolo di lui e di sua gente. E venia fatto
a meser
Mastino al tutto di rompere quella oste, se non fosse
la provedenza di meser Piero Rosso ch'era all'oste
a
Bovolento, che sapiendo che meser Mastino era in
parte ch'elli non potea aver acqua per la sua oste, se
non di quella
del canale,
ordinò che tutta l'
ordura
dell'oste di
Bovolento al continuo si gittasse nel canale;
e oltre
a cciò in quella contrada ha molta
erba,
che ssi chiama cicuta, donde
del
sugo si fa veleno; faceva
cogliere
a' ribaldi, e tagliare, e
pestare, e gittare
per lo canale; per la qual cosa l'acqua
del canale venea
sì corrotta all'oste di
mesere Mastino, che v'era
presso
a ttre miglia, che uomini né bestie non ne potieno
né ardivano di bere; e quale uomo o bestia ne
beveano erano
a
pericolo di
morte. Per la qual cosa
convenne di nicissità che meser Mastino
colla sua
oste si levasse e partisse, e tornandosi
a Verona
a dì
XIII di luglio. E il dì apresso messere
Marsilio Rosso
colla sua cavalleria passò e venne al campo di
Bovolento.
E nota,
lettore, isvariate vicende e casi che ffa
la fortuna
del secolo, spezialmente nelle guerre, che
in pochi dì la
guerra da nnoi
a meser Mastino fu inn
istretti partiti d'esere vinta e perduta per
ciascuna parte,
come fatto avemo menzione.
L. 12, cap. 65 rubr.Come la città di Padova s'arrende a mesere Piero
Rosso, e fuvi preso mesere Alberto della Scala.
L. 12, cap. 65Partito meser Mastino e perduta la
punga della
sua impresa, e messere
Marsilio Rosso
colla sua cavalleria
tornato al campo di
Bovolento, come detto
è, e
ll'oste nostra molto rinvigorita, incontanente
mesere
Piero con tutta l'oste si partì dal campo di
Bovolento,
ove tanto era dimorata, e puosonsi presso alle
mura di Padova;
a dì
XXII del mese di luglio
del detto
anno i Padovani,
a' quali pareva male stare per la
tirannia di quelli della Scala, spezialmente
a meser
Albertino da
Carrara e
a' suoi ch'avieno data la terra
a meser Mastino, ed elli in ogni cosa gli trattava come
servi o ischiavi, ispezialmente il
matto e scellerato
mesere Alberto della Scala ch'era alla guardia di Padova,
e sentendo partito meser Mastino
colle sue
forze, e
ll'oste nostra e di Viniziani così possente di
costa alla
città, dond'erano capitani i suoi
parenti
messere Piero e
mesere
Marsilio de' Rossi, ordinarono
di tradire e di pigliare meser Alberto della Scala
con tutti i suoi consiglieri e caporali e conestaboli
ch'erano in Padova; e così venne loro fatto, e
llevarono
la
città
a romore. E quelli
del campo con ordine
fatta assalirono la terra da più parti: quelli da
Carrara
col popolo corsono
a furore al palazzo e presono
mesere Alberto e tutti i suoi seguaci, e apersono la
porta verso il campo, e missono nella
città meser
Piero e meser
Marsilio Rosso con tutta la cavalleria; i
quali
entrarono nella
città con più di
IIIIm cavalieri,
sanza i pedoni,
a dì
III d'
agosto
MCCCXXXVII. E corsono
la
città sanza fare nullo male o ruberia, se nonne
a' soldati e gente v'erano con messere Alberto
della Scala. E il detto
mesere Alberto co' caporali
ch'erano co· llui ne furono mandati prigioni
a Vinegia.
E meser Albertino da
Carrara fatto signore di
Padova, e messo alla lega con
CCCC cavalieri di taglia.
Dell'aquisto di Padova si fece grande allegrezza
in Vinegia e in
Firenze e in tutte le terre guelfe di
Toscana.
L. 12, cap. 66 rubr.Come morì il valentre capitano messere Piero Rosso,
e poco apresso messer Marsilio suo fratello.
L. 12, cap. 66
Pella
perdita di Padova e
presura di
mesere Alberto
della Scala e de' suoi seguaci e consiglieri molto
abassò la
potenza e llo stato di meser Mastino e di
suoi, e così ne montò la grandezza de' Fiorentini e
de' Viniziani e delli altri
collegati di Lombardia, e
massimamente de' Rossi di Parma, avendo fatta sì alta
vendetta di meser Mastino e di messere Alberto
della Scala,
colla speranza della loro vittoria e stato
di
raquistare la signoria della loro
città di Parma; e
sarebbe loro venuto fatto assai tosto
coll'aiuto e
potenza
di Fiorentini e Viniziani e degli altri della lega.
Ma lla fortuna
fallace delle cose
mondane le più volte
dopo la grande allegrezza e vana filicità per lei
mostrata è tosto con
uscimenti miseri e
dolorosi; e
così avenne molto poco apresso, che tegnendosi per
meser Mastino il forte e ben guernito castello di
Monselici, di presente avuta Padova, meser Piero vi
cavalcò con grande oste
a ccavallo e
a piè, e
a' borghi
di sotto faccendo dare continovi e solleciti assalti e
battaglie da più parti, e quasi vinti per lui parte de'
fossi e delli steccati di quelli, aversi i borghi per forza
di battaglia, meser Piero per dare più vigore di
combattere alle sue genti smontò da ccavallo, e
a piè
con più altri cavalieri, la quale
capitaneria già non fu
lodata, ma ripresa. Combattendo meser Piero l'
antiporto,
lanciata gli fu una
corta lancia manesca, la
quale il percosse alla giuntura delle corazze e
ficcoglisi
per lo fianco. Il valente capitano però non ismagato
si trasse il
troncone
del fianco, e gittossi nel fosso
di costa all'
antiporto per passare alla terra,
credendola
avere vinta. Per la qual cosa l'acqua gli
entrò
per la piaga, e quella incrudelita per lo molto
sangue perduto, il valentre e vertudioso
duca
spasimò,
e per li suoi tratto
del fosso e portato per lo
canale in
burchio così fedito
a Padova, il quale passò
di questa vita
a dì
VII d'
agosto
del detto
anno
MCCCXXXVII: della cui
morte fu grandissimo
danno
a
tutta quanta la lega, imperò che egli era il più sofficiente
capitano e savio di
guerra e
prode di sua persona,
che nullo altro ch'
a ssuo tempo fosse non che
in Lombardia, ma in tutta Italia. Fu soppellito alla
chiesa di San Francesco in Padova con grande corrotto,
onorato il corpo suo, come
a grande signore si
convenia; in
Firenze e in Vinegia avuta la
novella se
ne fece grande dolore. E poi fatto per sua anima l'
esequio
con grande solennità, messer
Marsilio suo fratello
per soperchio affanno per lui
durato nell'aspre
cavalcate, com'è detto adietro, innanzi che meser
Piero fosse morto, era caduto malato in Padova, e
colla giunta
del dolore della
morte di messer Piero
s'
accorò
duramente l'animo, e come piacque
a Dio,
passò di questa vita
a dì
XIIII del detto mese d'
agosto,
e fu sopellito in Padova di costa al fratello
a
grande onore. Questo meser
Marsilio era de' più savi
e
valorosi cavalieri di Lombardia, e
del migliore
consiglio.
E così in pochi dì quasi fu annullata la casa
de' Rossi di Parma, quand'erano per ricoverare loro
stato. Lasceremo alquanto de' fatti di Lombardia, e
diremo d'altre
novità che furono
a que' tempi.
L. 12, cap. 67 rubr.
Di novità fatte in questi tempi in Firenze, e di grande
dovizia fu di vittuaglia.
L. 12, cap. 67Ritornando alquanto adietro per seguire l'ordine
del tempo nel nostro trattato, all'uscita di giugno
del
detto
anno
MCCCXXXVII nacquero in
Firenze
VI lioncini
della lionessa vecchia e delle
due giovani sue figliuole.
La qual cosa secondo l'agurio delli antichi
pagani fu
segno di grande magnificenzia della nostra
città di
Firenze; e certo in questo tempo e poco
apresso fu in grande colmo e
potenzia, come leggendo
poco apresso si potrà trovare. De' detti piccoli
lioni alquanto
cresciuti il Comune di
Firenze ne fece
presenti
a più Comuni e signori loro amici. E nel
detto
anno,
a dì
XXVIIII di luglio, si cominciò
a
fondare
i pilastri della loggia d'Orto
Sammichele di pietre
conce, grossi e ben formati, ch'erano prima sottili,
e di mattoni, mal fondati. Furonvi
a cciò cominciare
i priori e podestà e capitano con tutto l'ordine
delle signorie di
Firenze con grande solennità; e ordinarono
che di sopra fosse un grande e magnifico
palazzo con
due volte, ove si governasse e guardasse
la provisione
del grano ogn'
anno per lo detto popolo.
E lla detta opera e
fabrica si
diè in guardia all'
arte
di porta Santa Maria, e
diputossi al lavorio la gabella
della piazza e mercato
del grano e altre
gabellette di
piccole
entrate
a tale impresa,
a
volerla tosto compiere.
E
ordinossi che
ciascuna
arte di
Firenze prendesse
il suo pilastro, e in quello facesse fare la figura
di quel santo in cui l'
arte ha riverenza; e ogni
anno
per la festa
del detto santo i consoli della detta
arte
facessono co' suoi artefici offerta, e quella fosse della
compagnia di Santa Maria d'Orto San Michele per
dispensare
a' poveri di dDio; che ffu bello ordine e
divoto e onorevole
a tutta la
città. In quel tempo la
notte
del dì
XXX di luglio, che 'l dì era tornata l'oste
da Lucca, s'aprese il fuoco Oltrarno in via
IIII Leoni,
e
arsonvi
III case con gran
danno. E lla notte medesima
s'aprese nel monistero delle donne della Trinita
in campo
Corbolino, e arse il loro
dormentoro.
In questo
anno in
Firenze e d'intorno in
Toscana fu
grande
dovizia e abondanza di vettuaglia, e in
Firenze
valse lo
staio
del grano al colmo soldi
VIII di soldi
LXII il fiorino dell'oro, che ffu disordinata viltà al
corso usato, e
a interesso di
coloro ch'avieno le posessioni,
ed eziandio di lavoratori di quelle; ma poco
tempo apresso ne fu vendetta di grande
carestia, come
inanzi faremo menzione.
L. 12, cap. 68 rubr.Come in questo anno aparirono in cielo due stelle
comete.
L. 12, cap. 68Nel detto
anno, all'
entrata di giugno, aparve in
cielo la
stella
comata chiamata
Ascone, con grande
chioma, cominciandosi quasi
a vista sotto la tramontana
quasi nella regione
del
segno
del Tauro,
durando
più di
IIII mesi atraversando l'
emisperio insino al
mezzogiorno, e llà ebbe fine. E poi apresso, inanzi
che quella venisse meno, n'aparve un'altra nella regione
del
segno
del
Cancro chiamata Rosa, e
durò da
due mesi. Queste stelle comate non sono stelle
fisse,
benché stelle paiano co' raggi, o chiome, o
nubolose;
ma dicono i filosofi e astrolagi che cciò sono
vapori
secchi, e
talori misti, che ssi
criano
entro l'aria
del
fuoco sorto il
cielo della luna per grandi congiunzioni
de' corpi celesti, ciò sono le pianete; e sonne di
nove maniere, quale per la
potenza di Saturno, e
quale di Giove o di Marte, e così degli altri, e tali miste
di
due pianete o più. Ma quale si sieno,
ciascuna
è
segno di futura
novità al secolo, il più in male, e talora
segno di
morte di grandi re e signori, o
tramutagioni
di
regni e di genti, e
massimamente nel
crimato
del pianeto che ll'ha
criata, dove
stende sua signoria;
ma lle più significano male, cioè
fame e mortalità, e
altri grandi accidenti e
mutazioni di secoli; e queste
pure significarono grandi cose e
novità, come leggendo
poco apresso si potrà vedere per buono intenditore
e discreto.
L. 12, cap. 69 rubr.
Di battaglie in mare tra' Genovesi e Viniziani.
L. 12, cap. 69Nel detto anno e mese di giugno X galee degli
usciti guelfi di Genova armate a Monaco trovandosi
in Romania in corso con altre X galee del Comune di
Vinegia si combatterono insieme, e lle Viniziane furono
sconfitte e prese la maggiore parte con grande
loro dannaggio d'avere e di persone; ma però i Viniziani
non s'ardirono di cominciare guerra scoperta
co' Genovesi d'entro o quelli di fuori.
L. 12, cap. 70 rubr.Come la città di Bologna venne alla signoria di meser
Taddeo di Peppoli loro cittadino.
L. 12, cap. 70Nel detto
anno,
a dì
VII di luglio, essendo i Bolognesi
in male ordine e peggiore
disposizione tra lloro
di
sette e di parti,
dapoi che uscirono dalla signoria
della Chiesa e
del legato, volendo
ciascuna casa di
coloro che 'l cacciarono esere signori, i
Peppoli co· lloro
seguaci di popolo furono
ad arme, e cacciarono
di Bologna meser
Brandalis
Goggiadini, quelli propio
che ffu principale
a cacciarne il legato e' suoi
consorti e seguaci. E poi apresso,
a dì
XXVIII d'
agosto,
messer
Taddeo figliuolo che ffu di Romeo de'
Peppoli
coll'aiuto de' marchesi da
Ferrara suoi
parenti
si fece fare capitano di popolo e signore di Bologna.
E poi conseguente
a dì
II di gennaio il papa
apo
Vignone fece aspri processi contro al detto meser
Taddeo e contro al Comune di Bologna, perché
non volieno ubidire la Chiesa, né amendare il
danno
fatto al legato, quando il cacciarono di Bologna. E
poi apresso all'uscita
del mese di marzo seguente si
scoperse
tradimento e congiura in Bologna, i quali
avieno ordinato d'uccidere il capitano e
torli la signoria;
e di ciò era caporale
Macerello de'
conti da
Panago
stretto
parente
del detto capitano, e di cui
più si fidava, con suo séguito e d'alcuno di
Ghisolieri
e altri Bolognesi. Il quale trattato scoperto, alcuno
ne fu preso e tagliato il capo. Ma quello
Macerello
con molti altri uscirono di Bologna rubelli. E meser
Taddeo al tutto rimase signore, e fortificossi di stato
e di gente d'arme, tenendo
DCCC soldati alle spese
del Comune, e
allegossi co' Fiorentini. E nota,
lettore,
se lla
comata, onde dinanzi facemmo menzione,
ch'aparì nel
segno
del Tauro, il quale troviamo intra
altre
città e paesi essere attribuito alla
città di Bologna,
e mostrò assai tosto le sue
infruenze di tanta
mutazione di signoria alla
città di Bologna. E come
più adietro facemmo menzione, quando il legato cardinale
ne fu cacciato, poco dinanzi
scurò la luna nel
segno
del Tauro, e per alquanti intendenti di quella
scienzia fu
pronosticato dinanzi la
mutazione di Bologna
contro al legato, e noi fummo di quelli che llo
'ntendemmo, con tutto che
ll'operazioni di lui e di
sua gente e uficiali assai
aparecchiarono l'opere e lla
matera alla costellazione, onde si sperava quella uscita.
Assai avemo detto de' fatti di Bologna, ma
ènne
paruto di nicistà, come di
città vicina e amica di
Firenze,
considerando l'antica unione e libertà e stato e
potenza
del buono popolo di Bologna, tornato
a' nostri
tempi per
discordie e signoria tirannica di singulare
cittadino, per dare
asempro alla nostra
città e
popolo di
Firenze
a ssapere i nostri cittadini guardare
la libertà della nostra republica, e non cadere
a tirannia
di signore. Onde mi fa temere della nostra
città
di
Firenze per le
discordie e, male
reggimento: e
questo basti
a' buoni intenditori.
L. 12, cap. 71 rubr.Della morte del re Federigo di Cicilia, e di novità
ne seguì all'isola.
L. 12, cap. 71Nel detto
anno,
a dì
XXIIII di giugno, morì di suo
male
don
Federigo re, che tenea l'isola di Cicilia: lasciò
più figliuoli, ma il suo maggiore
don Piero, cui
egli
a ssua vita avea
coronato re, come in adietro in
alcuna parte si fece menzione, ed era quasi uno mentacatto;
per la qual cosa dopo la
morte
del padre
molte
mutazioni ebbe l'isola, che 'l
conte Francesco
di
Ventimiglia, de' maggiori baroni dell'isola, per soperchi
ricevuti dal detto
Federigo prendendo parte
contro
a llui per lo
conte di
Chiermonte suo cognato,
si rubellò con tutte le sue castella, e
cercò trattato
col re Ruberto di Puglia, di cui di ragione era l'isola,
e mandò
a Napoli un suo figliuolo. Ma per suo poco
senno, overo peccato,
affrettandosi troppo inanzi
ch'avesse soccorso
del Regno, male glie n'avenne,
che
cavalcandogli adosso l'oste
del re Piero, subitamente
per
iscontrazzo presono
due suoi figliuoli, e
per simile modo egli in persona con un altro suo figliuolo
scontrandosi co' nimici, combattendo furono
morti. E così fu quasi distrutto quello lignaggio, e
perderono tutte loro castella, che nn'avea assai e forti;
ma però l'isola rimase in grande tribolazione e sospetto,
come inanzi faremo menzione. Lasceremo di
ciò, e diremo alquanto della
guerra dal re di
Francia
e quello d'Inghilterra.
L. 12, cap. 72 rubr.Come il re di Francia fece prendere l'Italiani, e piggiorò
la sua moneta; e come l'armata del re d'Inghilterra
venne in Fiandra.
L. 12, cap. 72Nel detto
anno
MCCCXXXVII Filippo di
Valos re di
Francia,
lasciato il suo buono proponimento giurato
del santo passaggio d'oltremare, come adietro facemmo
menzione, per seguire la
guerra cominciata col re
d'Inghilterra, per la sua avarizia cominciò
a seguire
male sopra male; che inn una giornata,
a dì
X d'
aprile,
per tutto il suo reame subitamente fece prendere
tutti l'Italiani, così i mercatanti e lle compagnie di
Firenze
e d'altre parti come i prestatori
a usura, e tutti
gli fece rimedire, pognendo
a
ciascuno certa grande
taglia di moneta, e
convennela
a
ciascuno pagare. E
fece fare
nuova moneta d'oro, che ssi chiamavano
scudi, piggiorando la lega della buona moneta
XXV
per
C, e lle monete dell'argento all'avenante. E poi
fece un'altra moneta d'oro, che chiamò leoni, e poi
un'altra che chiamò padiglioni, piggiorando
ciascuna
e di lega e di corso, per modo che dove il nostro fiorino
d'oro, ch'è ferma e leale moneta e di fine oro,
valea alla buona moneta ch'era prima in
Francia soldi
X di parigini inanzi fosse gli
anni
MCCCXXXVIIII,
valse il fiorino d'oro in
Francia soldi
XXIIII e mezzo
di parigini e il quarto più
a tornesi piccioli. E poi
l'
anno
MCCCXL fece un'altra moneta
nuova d'oro
chiamata agnoli, e
peggiorolla tanto, e così quella
dell'argento, e' piccioli, che 'l nostro fiorino d'oro
valse
a quella moneta soldi
XXX di parigini. Lasceremo
alquanto
a dire delle corrotte monete
del re di
Francia, e seguiremo
a nostra matera dell'ordine della
detta
guerra, cioè che poi
del mese di luglio vegnente
alla festa della Maddalena, com'era ordinato
per la lega e giura fatta contro al re di
Francia, il Bavero,
che ssi facea chiamare imperadore, venne
a Colonia,
che vi
dovea esere il re d'Inghilterra, il quale
per molto affare dell'isola e per la
guerra ch'avea di
Guascogna
fallì la giornata. Fuvi il
duca di Brabante,
e quello di
Ghelleri, e quello di Giulieri, e il
conte
d'Analdo, e altri signori allegati, e gli ambasciadori
del re d'Inghilterra; e
a quella asembrea si
rifermò la
lega, e gli ambasciadori d'Inghilterra per lo re
promisono
i
gaggi e' soldi alli Alamanni e
agli altri allegati
e lla venuta
del re in persona alla
settembria. Per
la qual cosa il detto Bavero e gli altri allegati mandarono
disfidando il re di
Francia, dicendo di
venirlo
a
vedere insino alla
città di Cambragio alla
frontiera
del reame di
Francia, e di tenere campo in su· rreame,
e combattere co· llui;
del quale sfidamento il re
di
Francia prese grande sdegno e onta, e
providesi di
presente di
tesoro e d'ordine di cavalieri e di gente
d'arme per fornire la sua impresa
guerra. E poi conseguente
non potendo il re d'Inghilterra passare di
qua da
mare, come
promesso avea alli allegati, per
molti affari di là e perché
venia il verno, volendo fornire
la
promessa di
gaggi, sì mandò
CCC cocche e
CXX batti
a remi armati; in sulla quale armata fu il
vescovo Niccola, e il
conte di Monte Aguto, e quello
di
Sofolco, e meser
Gianni d'Arsi, signori di gran
valore
con molta altra buona gente d'arme, e con danari
assai e con
XIIm sacca di lana de lo re,
istimandosi
tra moneta e lle lane
DCm di fiorini d'oro e più; e arrivaro
alla
Suma in
Fiandra all'
entrante di novembre, e
puosonsi all'isola di
Gaggiante alla bocca
del porto
della
Suma detto le
Schiuse, e in sull'isola scesero
parte di loro gente, e co'
Fiamminghi che v'erano
per lo
conte di
Fiandra, il quale ubidia il re di
Francia,
si combatterono; e al principio furono morti dell'
Inghilesi ch'erano scesi non proveduti, e in sull'isola
del
Gaggiante era il fratello bastardo
del
conte di
Fiandra con gente d'arme alla difesa. Sentendo ciò la
gente dello stuolo,
isceserne in grande abondanza, e
quanti
Fiamminghi vi trovarono misono
a
morte; e
presono il fratello
del
conte, e tutta l'isola misono
a
fuoco e
a fiamma. E poi la detta armata non potendo
porre alle
Schiuse, perché i
Fiaminghi ubidiano il
conte loro e· rre di
Francia, sì n'andarono
a
Dordette
inn
Olanda, e llà scaricaro, e vennero in Brabante, e
tennero
parlamento
colli allegati, e diedono ordine
alla
guerra. Sentendo papa Benedetto e' suoi cardinali
la 'mpresa della sopradetta
guerra, mandò
due
legati cardinali in
Francia al re per mettere accordo
da llui
a quello d'Inghilterra; e
parlamentato co· llui
assai
a Parigi, n'andarono verso Inghilterra, e passarono
il
mare
a dì
XXVII di novembre; ma niente adoperaro.
Lasceremo alquanto
a dire di questa
guerra,
che assai tosto ce ne
converrà dire maggiori cose, e
torneremo
a dire della nostra
guerra col Mastino.
L. 12, cap. 73 rubr.Come la città di Brescia si rubellò a mesere Mastino,
e ssi diede alla nostra lega e altre castella.
L. 12, cap. 73Nel detto
anno, all'
entrante di settembre, s'
arrendé
alla nostra lega il castello di
Mestri e quello delli
Orci e quello di Canneto in bresciana. E poi
a dì
VIII
d'ottobre per trattato della detta lega i Bresciani
ch'erano sotto la tirannia di meser Mastino, e parea
loro male stare, e veggendo che meser Mastino era
molto abassato di suo stato e di podere, e perdute le
dette castella, sì levarono la
città
a romore e rubellarono
la parte detta la
città vecchia di Brescia. In Brescia
era per capitano per meser Mastino uno meser
Bonetto con
D cavalieri tedeschi, il quale si ridusse in
parte della
città
nuova di verso Verona, e mandò per
soccorso
a meser Mastino. E' cittadini con ordine
fatta in quello medesimo dì che' Bresciani levarono
la
città
a romore, certi gentili uomini de' più possenti
di Brescia, i quali erano
cortesemente
istadichi
a Verona,
subitamente se ne partirono per diverse vie, e
vennono
a Brescia. Per la qual cosa i Bresciani veggendosi
a quello punto, e temendo la venuta della
forza di meser Mastino, sì mandarono per la nostra
gente della lega; e di presente vi giunsono da
MD cavalieri,
com'era ordinato, e fu data loro la porta di
San
Gianni, ed
entrarono nella
città. E di presente
misono fuoco nella porta di San Giustino per assalire
nella
città
nuova la gente di
mesere Mastino. Messere
Bonetto e sua gente veggendosi
a
pericolo,
dubitando
di non esere sopresi dalla forza della nostra
cavalleria ch'era nella
città, si partì di Brescia per
porta Torre Alta e andossene
a Verona. E poi quelli
della lega
colla volontà e
procaccio de' Fiorentini
ciechi, che sse ne feciono capo, fu data la signoria di
Brescia
a meser
Azzo Visconti signore di Milano,
che nn'era grande quistione tra' Lombardi, che
ciascuno
di quelli signori la voleva. E certo i Fiorentini
l'aveano
a procacciare
a messere
Azzo, per amore
che con
Castruccio ci fu
a sconfiggere
ad Altopascio,
e poi alle porte di
Firenze. Messer Mastino veggendosi
perduta Padova e
presovi il fratello, e poi Brescia
e più altre terre ch'elli tenea, come per noi è fatta
menzione, e
fallitoli e venuto meno suo
tesoro,
isbigottì molto, e mandò suoi ambasciadori
a Vinegia
per trattato di meser Alberto che v'era prigione,
del mese di dicembre; e cercarono co' Viniziani certo
accordo sanza saputa dell'altra lega. Onde i Fiorentini
e gli altri allegati presono grande sospetto. I
Viniziani si
scusaro che cciò che facieno era
a onore
della lega, e però i Viniziani volieno e dimandavano
tali
patti e sì larghi, che meser Mastino no· lli volle
oservare; e
ricominciossi la
guerra più aspra che prima,
che apresso, all'
entrante di marzo, la nostra gente
cavalcaro sul
veronese sanza trovare alcuno contasto,
e passarono il fiume dell'
Alice, e guastarono
XVI
grosse ville con gran
danno
del paese.
L. 12, cap. 74 rubr.Di certe novità fatte in Firenze.
L. 12, cap. 74Nel detto
anno
MCCCXXXVII, essendosi
pacificati
insieme la casa di
Malatesti da
Rimino, i Fiorentini
elessono per loro capitano di
guerra meser
Malatesta
il giovane, uomo assai
valoroso, e venne in
Firenze
molto onorevolemente
a dì
XIII d'ottobre, tegnendo
molto onorata vita, sanza prendere parte o
setta alcuna
nella
città, o farsi bargello, però che cci amava
per comune; ma al suo tempo non si fece né oste né
cavalcata sopra Lucca, però ch'al continovo i Fiorentini
stavano inn isperanza d'averla per trattati, che'
Viniziani tenieno d'accordo con meser Alberto e con
meser Mastino; la quale riuscì vana speranza per la
dislealtà e
tradimento de' Viniziani, come per lo
inanzi faremo menzione. In questo
anno,
a dì
VIII di
gennaio, meser Benedetto
Maccaioni di
Lanfranchi
ribello di
Pisa avendo segretamente soldati in
Firenze
CCC soldati
a cavallo subitamente cavalcò in Maremma
e di dì e di notte, che lli
dovea esere dato
Castiglione
della Pescaia, e
fulli data una porta; ma lla
gente della terra subitamente furono alle difese, e
cacciarline fuori. Della detta cavalcata si
dolfono
molto i Pisani de' Fiorentini, ed ebbono gran paura
di perdere
Castiglione o Piombino. Il vero fu ch'alcuno
de' reggenti di
Firenze seppono il detto trattato,
e
diedonvi aiuto e favore; ma i priori non ne
sentirono
niente; ma per tema di peggio i Pisani ne furono
più cortesi contro
a' Fiorentini, che prima tutto
dì cercavano gavillazioni in
Pisa contro
a' nostri mercatanti
per abattere la nostra franchigia per indirette
soffisme. In questo tempo,
a l'
entrante di febraio, i
Fiorentini ebbono in guardia dal vescovo d'
Arezzo,
ch'era degli
Ubertini, la forte rocca
del suo castello
di
Civitella e
Castiglione degli
Ubertini in Valdarno,
e pacificaro il vescovo e' suoi co'
Tarlati d'
Arezzo
per fortificamento della signoria presa per li Fiorentini
della
città d'
Arezzo. E fecesi legge e decreto in
Firenze
a dì
XIIII di marzo che nullo cittadino comperasse
castello alcuno alle
frontiere
del
distretto di
Firenze. E cciò si fece perché quelli della casa de'
Bardi per loro grande
potenzia e ricchezza avieno in
que' tempi comperati il castello di
Vernia e quello di
Mangone da meser
Benuccio
Salimbeni da Siena, e
quello
del Pozzo da
Decomano da'
conti,
dubitando
il popolo di
Firenze non montassono ellino e gli altri
grandi in
potenzia e superbia per abassare il popolo,
come feciono apresso non gran tempo, come si farà
menzione. In quelli giorni s'aprese il fuoco nel popolo
di San Brocolo nella casa alta de'
Riccomanni
presso alla
Badia, e arse tutta di mezzogiorno di sopra
la volta, non potendo esere difesa. E dopo l'uficio
di meser
Malatesta, e lui partito, quelli che reggeano
Firenze, feciono venire sotto
titolo di capitano
di
guerra, overo per bargello, meser Iacopo
Gabrielli
d'
Agobbio, il quale
entrò in uficio in calen di febraio
MCCCXXXVIII, e stette
II anni con grande balìa; il
quale per la sua asprezza fece in
Firenze e nel
contado
di sconce cose e albitrare sanza ordine di ragione,
onde nacquero
novitadi sconce di
città, come inanzi
faremo menzione.
L. 12, cap. 75 rubr.
Come nella città d'Orbivieto feciono popolo, e simile
quella di Fabriano.
L. 12, cap. 75Alla fine del detto anno MCCCXXXVII, dì XXIIII di
marzo, la città d'Orbivieto si levò a romore e inn
arme per soperchio di quelli della casa di Monaldeschi,
che tirannescamente la signoreggiavano; e feciono
popolo, e cacciarne i detti Monaldeschi e' loro
seguaci. E per simile modo si fece in que' dì popolo
nella città di Fabriano nella Marca, e cacciarne i loro
tiranni e potenti che signoreggiavano la terra.
L. 12, cap. 76 rubr.Come certa gente di Lucca furono sconfitti da' marchesi
Malespini guelfi.
L. 12, cap. 76L'anno MCCCXXXVIII, a dì XXVI di marzo, essendo
cavalcati CC soldati a cavallo della città di Lucca e
popolo a piè assai nella contrada di Lunigiana adosso
a marchesi Malespini da Villafranca, da' detti
marchesi e loro genti furono sconfitti e ricevettonvi
gran danno di prigioni e di morti la gente di meser
Mastino, secondo la quantità di gente ch'erano, che
pochi ne tornarono in Lucca. Lasceremo alquanto
delle novità di Firenze e di Toscana e d'altre parti, e
torneremo a dire sopra la guerra da nnoi a meser
Mastino, che nne cresce matera.
L. 12, cap. 77 rubr.
Come la nostra oste di Lombardia andarono infino
alle porte di Verona, e corsonvi il palio, ed ebbono Montecchio.
L. 12, cap. 77Nel detto
anno, rotto ogni trattato d'accordo da nnoi
e Viniziani con meser Mastino, la nostra gente
intorno di
IIIm cavalieri cavalcaro sopra la
città di Verona
a dì
XVIII d'
aprile, e per forza combattendo ebbono
la terra di Soave presso
a Verona, ch'era guernita
per meser Mastino, e
morìvi di sua gente più di
CCCC uomini. E poi
a dì
XXI d'
aprile si strinsono
presso alle porte di Verona al gittare d'uno balestro,
e' nostri capitani dell'oste, che tuttora v'avea uno cavaliere
di nobili e uno popolano di maggiori di
Firenze,
e simile di Vinegia, per
dispetto e vergogna di
meser Mastino feciono correre uno palio di sciamito
dinanzi alla porta di Verona, mandando
bando che
ciascuno di Verona che volesse potesse
sicuramente
venire di fuori
a vedere il giuoco e correre il palio;
ma pochi n'uscirono. E partitosi l'oste nostra da Verona,
a dì
III di maggio s'
arrendé
a lloro il grande e
forte castello di Montecchio, il quale è lla chiave tra
Verona e Vincenza; e quello fornito di vettuaglia e di
gente d'arme, la nostra oste si tornò al castello di
Lungara, il quale era
a quelle
frontiere ben
disposto
a ffare
guerra al Mastino. E nota,
lettore, come adopera
la fortuna nel secolo, e
maggiormente ne' processi
delle guerre, che poco tempo dinanzi messere
Mastino ch'era in tanto stato e signoria, che signoreggiava
Verona, Padova, Trevigi, Vincenza, Parma,
Lucca, e lla
città di
Feltro, e
Civita Belluna, e molti
grandi e forti castelli, e avea gran
tesoro ragunato, e
a' suoi soldi al continovo tenea più di
Vm cavalieri tedeschi
alle spese delle dette
otto
città; ed era un
grande e possente tiranno, il maggiore di tutta Italia,
o che fosse stato
intra
C anni; e poco dinanzi
minacciati
avea i Fiorentini di
venirli
a vedere infino alle
porte di
Firenze con
Vm barbute di ferro, e fatta fare
una ricchissima corona d'oro e di pietre preziose per
coronarsi re di
Toscana e di Lombardia; e poi intendea
d'andare nel regno di Puglia e
torlo per forza
d'arme al re Ruberto; e sarebbegli venuto fatto, se
non fosse il giudicio di Dio per
aumiliare la sua superbia,
e lla
potenza
del Comune di
Firenze e di
quello di Vinegia, che
ripugnaro e recaro
a
poca
potenza
e basso stato co· lloro operazione e danari, per
lo modo che leggendo avete inteso; e ancora, come
intenderete, il recarono
a maggiore
stremità, che
convenne che
'ngaggiasse
a usura la sua corona e tutti
i suoi gioelli per avere danari per
resistere alla sua
guerra; però che per guardare le sue terre e tenute
gli
convenia in
ciascuna mettere grossamente, salvo
che di Lucca e di Verona,
tiranneggiandole con
grandi torzioni traeva alcuna cosa. E però nullo signore
o tiranno o Comune si può fidare nella sua
potenza,
imperò ch'ogni
potenza umana è vana e
fallace.
E
ll'onnipotente Iddio
Sabaot dà vinto e perduto
a ccui gli piace secondo i
meriti e i peccati. Lasceremo
alquanto della
guerra da nnoi
a meser Mastino
per dire d'altre
novità
ocorse inn Italia e oltremonti
in questi tempi.
L. 12, cap. 78 rubr.Come il duca di Brabante co' suoi allegati fece grande
oste sopra il vescovo di Legge, e fer pace.
L. 12, cap. 78Nel detto anno MCCCXXXVIII, a dì VIIII d'aprile, il
duca di Brabante cogli altri allegati e giurati contro
al re di Francia, e col figliuolo del Bavero, con VIIIm
cavalieri e più di LXm pedoni brabanzoni e d'intorno
al paese, quali tutti armati a corazze e barbute come
cavalieri, andarono sopra il vescovo di Legge per la
quistione che 'l duca avea co· llui per la terra di Mallina;
e maggiormente perché il detto vescovo era in
collega col re di Francia, per levarsi di mezzo loro
paese, e i· rre di Francia non avesse podere e non potesse
fare risistenza alla impresa loro della guerra incominciata.
Il vescovo veggendosi sì sùbito assalire
da tanta potenza, ed egli male proveduto al riparo
della detta oste, e da· rre di Francia non avuto soccorso,
s'accordò col duca e colli altri allegati, siccome
seppono divisare, giurando loro di non essere più
di collega col re di Francia.
L. 12, cap. 79 rubr.
D'una grande armata che il re Ruberto mandò sopra
l'isola di Cicilia con poco aquisto.
L. 12, cap. 79Nel detto
anno, sentendo il re Ruberto che
ll'isola
di Cicilia era in
mala
disposizione per lo
nuovo re
Pietro, e per la
rubellazione
del
conte Francesco di
Ventimiglia e di suoi seguaci,
ordinò una grande armata
per passare in Cicilia; e partissi la detta armata
di Napoli
a dì
V di maggio con
LXX tra
galee e
uscieri,
con
MCC cavalieri, e di là arrivaro dì
VII di maggio
nella contrada di Tremole, ed ebbono di presente tre
castella d'ivi intorno, e puosonsi
ad assedio
a Tremole.
E poi
a dì
X di giugno si partì di Napoli la seconda
armata con maggior navilio, con gran gente di baroni
del Regno e Provenzali, onde furono capitani
Carlo il
duca di
Durazzo nipote
del re figliuolo di
suo fratello, messer
Gianni, e 'l
conte
Novello di
quelli dal Balzo; e puosonsi al detto asedio di Tremole,
ed ebbollo
a
patti all'uscita d'
agosto, salvo la
rocca, dopo molte battaglie date e fracasso di
difici,
e arsono la terra tutta. E rubellossi al re Piero il
conte
Ruggieri da Lentino con tutte le sue castella, ch'era
uno de' maggiori baroni dell'isola e di discendenti
de' principali baroni che rubellarono l'isola al re
Carlo primo: e così si rivolge il secolo. La detta armata
per infermità si partì e tornaro
a Napoli con
poco aquisto od onore; ch'essendo più di
IImD cavalieri,
potieno cavalcare tutta l'isola sanza contasto, ed
e' non si mossono mai da Tremole, onde
infracidò
l'oste; e corrotta, ingenerò
pestilenza d'infermità e di
mortalità.
L. 12, cap. 80 rubr.
Come molte città del regno di Puglia ebbono discordia
e divisione tra loro cittadini.
L. 12, cap. 80Nel detto
anno si cominciò nel regno di Puglia,
che signoreggiava il re Ruberto, una grande
discordia
e maladizione nella
città di Sermona, e in quella
dell'Aquila, e in
Gaeta, e in Salerno, e in
Barletta,
che in
ciascuna delle dette terre si
criò parte, e combattendosi
insieme; e
ll'una parte cacciò l'altra, e
guastarsi quasi le dette terre, e d'intorno
a quelle; e il
paese per cagione delle dette
discordie tutto s'
empié
di
malandrini e di ladroni,
rubando per tutto; e
a
queste
discordie tenieno mano molti baroni
del Regno,
chi
coll'una parte e chi
coll'altra. E lla maggiore
fu quella di
Barletta, e che più
durò e con maggiori
battaglie. Dell'una parte era capo casa Marra, e co· lloro
il
conte di
Sanseverino e tutti i suoi seguaci; dell'
altra la casa di Gatti, e co· lloro il
conte di
Minerbino,
chiamato il Paladino, e co' suoi seguaci, i quali
feciono molto di male, e guastando la terra di
Barletta
e tutto il paese d'intorno. Delle quali
discordie il
re ne fu molto ripreso, e
dovea esere
a tanto savio signore
come era, e di senno naturale e di scienzie; e
per propia avarizia delle pene e composizioni di misfatti
di suoi sudditi sofferia il guastamento
del suo
regno,
possendolo correggere e salvare con alquanta
giustizia. E niente si ricordava delle parole
del savio
re Salamone: «
Diligite
iustitiam,
qui
iudicatis
terram».
Bene che poi che lle dette terre furono ben
guaste, il re vi mandò le sue forze assediando
Minerbino
e 'l
conte; e' suoi fratelli vennono
a Napoli alla
misericordia
del re, e tutti i loro beni piubicati alla
corona, e venduti e barattati, ed ellino prigioni
a Napoli;
e furono
diserti con male fine e disfatti. Questi
conti di
Minerbino furo
stratti di vile
nascimento,
che furono figliuoli d'uno figliuolo di meser
Gianni
Pipino, il quale fu nato d'uno piccolo e vile
notaiuolo
di
Barletta; ma per sua industria fu molto grande
al tempo
del re
Carlo secondo, e guidava tutto il regno,
guadagnando d'ogni cosa, e
arricchì per modo
che lasciò i suoi figliuoli
conti; i quali poi per loro
superbia e
stracotanza, com'è detto, vennero tosto
a
mal fine. E nota che rade volte i sùbiti avenimenti di
grande stato hanno tosto
dolorosa fine, e 'l male
aquistato non passa le più volte terza
reda; e così
avenne di costoro. Lasceremo de' fatti
del Regno e
di Cicilia, e diremo alquanto de' fatti di
Firenze stati
nel detto
anno.
L. 12, cap. 81 rubr.
Come i Colligiani si diedono al Comune di Firenze,
e di novitadi di Firenze nel detto anno.
L. 12, cap. 81Nel detto anno MCCCXXXVIII, il dì di san Giovanni
di giugno, cavalcando IIII bandiere da cento a ccavallo
di nostri soldati verso Buggiano per levare preda,
messo loro aguato, furo sconfitti, e presi due conestaboli
e lla maggiore parte di loro gente. E nel
detto anno, a dì XII di luglio, essendo i Colligiani in
grande divisione tra lloro, e per guastarsi la terra e
cacciarne parte, di concordia diedono la signoria
della terra e lloro distretto alla guardia del Comune
di Firenze per XV anni, chiamando al continovo podestà
e capitano cittadini di Firenze, e lla guardia
della rocca a lloro spese; e così s'aquetaro le loro discordie
sotto il bastone del Comune e popolo di Firenze,
rimanendo in pace e buono stato. E nel detto
anno, a dì XV di dicembre, s'aprese il fuoco Oltrarno
in via Quattro Paoni, e arsonvi II case. E poi a dì VII
di febraio di mezzodì s'aprese il fuoco da casa i Cerretani
dalla porta del vescovo, e arse il loro palagio
con più di X case dall'una via e dall'altra con grande
dannaggio, sanza potersi difendere. E nota che
apunto in cinquanta anni s'aprese il fuoco e arse il
detto palagio de' Cerretani, come in questa adietro si
troverrà, che ffu grande maladizione a quella schiatta
non sanza cagione.
L. 12, cap. 82 rubr.
Ancora della guerra da nnoi a mesere Mastino.
L. 12, cap. 82Nel detto
anno
MCCCXXXVIII, tornata l'oste nostra
e de' Viniziani al castello di
Lungara, come adietro
facemmo menzione, messere Mastino con suo sforzo
venne
ad oste sopra il castello di Montecchio per
raquistarlo,
non
sentendolo ben fornito per la sùbita
ribellazione, e perché
dubitava, tegnendosi Montecchio
per la nostra gente, di perdere la
città di Vincenza.
La nostra gente, ch'era
a
Lungara, per soccorrere
Montecchio e fornirlo si partiro di
Lungara,
IIm
cavalieri e popolo e fornimento assai,
a dì
XV di giugno,
e vegnendo
colle schiere fatte per combattere
con meser Mastino e
colla sua gente, ch'era con
MCC
cavalieri, non attese la nostra gente e non volle venire
alla battaglia, ma si levò da ccampo con
danno e
con vergogna da quelli
del castello, per la sùbita levata
inanzi che lla nostra gente vi s'apresasse, lasciando
tutto il campo fornito; giugnendovi poi la nostra
gente,
forniro Montecchio
riccamente. Come meser
Mastino si partì
colla sua gente da Montecchio, se ne
venne diritto
a
Lungara
a dì
XVII di giugno,
credendola
avere per battaglia, avisandosi ch'ella fosse
sguernita per la cavalcata fatta
a Montecchio per li
nostri. Ma dentro v'erano rimasi alla guardia
D cavalieri
de' nostri e de' Viniziani, i quali difesono la terra
con
danno d'alquanti di quelli di meser Mastino.
E partito da
Lungara, e llui tornato
a Verona con poco
onore, rimandò parte della cavalleria che gli era
rimasa alla guardia e guernigione delle sue terre, e
con
poca gente
a cavallo si ritenne in Verona. E poi
CCC cavalieri de' nostri da
Lungara cavalcarono infino
a Verona alle porte sanza alcuno contasto, sì era
asottigliata la
potenzia
del Mastino. E in questi tempi,
a dì
XVIIII d'
agosto, s'
arrendé
a' Padovani il castello
di
Monselici, salvo la rocca, la qual poi per difetto
di vittuaglia s'
arrendé
a dì
XXV di novembre
apresso, salve le persone. E
a dì
XXVIIII di settembre
del detto
anno, avendo meser Mastino uno falso trattato
d'
eserli dato il castello di
Montagnana, menato
per Spinetta marchese e per
due suoi famigliari, ch'erano
al soldo nostro
a
Montagnana, i quali lo scopersono
a meser
Ubertino da
Carrara, ed elli
notificandolo
alla nostra oste di
Lungara che stessono aparecchiati
al socorso di
Montagnana, messer Mastino seguendo
il suo trattato vi fece cavalcare Spinetta marchese
con
Vc cavalieri e
MD pedoni. La nostra gente,
ch'avieno ordinato lo 'nganno
del trattato, in quantità
di
D cavalieri si partirono dal nostro campo di
Lungara, e andarono di sùbito
a
Montagnana, e simile
CC di quelli di Padova. Vegnendo la detta gente
di meser Mastino
a
Montagnana, per aguato fatto
per li nostri gli asalirono e missogli inn isconfitta;
ove rimasono annegati e morti ben
CCC tra cavallo e
a piè, e presi
XXII conestaboli tra ccavallo e
a piè, e
de' migliori Italiani da
XII che meser Mastino avesse
a suo soldo, di quelli da Coreggia, e di quelli da Fogliano,
e altri Lombardi e gentili uomini co· lloro e
gente
a cavallo e
a piè presi assai, onde fu gran
rotta
allo stato di meser Mastino, nel suo
dichinamento.
Lasceremo alquanto de' fatti della
guerra da nnoi al
Mastino, che tosto vi torneremo
a
darvi fine, e torneremo
alquanto adietro
a dire della 'mpresa della
guerra dal re di
Francia
a quello d'Inghilterra e suoi
allegati e
Fiamminghi.
L. 12, cap. 83 rubr.Come i Fiamminghi cacciaro il loro conte, e rubellarsi
al re di Francia.
L. 12, cap. 83Essendo la
contea di
Fiandra in grande
bollimento
per la
guerra cominciata dal re di
Francia
a· rre
d'Inghilterra, e il
duca di Brabante e gli altri allegati,
che parte di
Fiaminghi sarebbono stati
contenti di
rubellarsi al
conte di
Fiandra e al re di
Francia, e
parte ne tenieno col
conte; per la qual cosa più
discordie
ebbono col
conte loro signore, perché tenea
col re di
Francia, e
cacciarlo di
Fiandra alcuna volta
alla cortese
a modo di
confini, e poi
rimandavano
per lui, come popolo ch'era in
bacillare e in non fermo
stato. Alla fine si levò in Guanto uno di vile mestiere,
che facea e vendea il
melichino, cioè
cervogia
fatta con
mele, ch'avea nome
Giacopo d'
Artivello, e
fecesi mastro della
Comuna di Guanto. E questo fu
l'
anno
MCCCXXXVII; e per suo bello parlare e franchezza
montò in brieve tempo in tanto stato e signoria
col favore della Comune di Guanto, che cacciò di
Fiandra al tutto il
conte e tutti i suoi seguaci, e così
di Guanto e di
Bruggia e d'Ipro e delle altre ville di
Fiandra ch'amavano il
conte; imperò che chiunque
facea
resistenza si partia di Guanto con
VIm o più
della Comuna, e
venia contro
a que' cotali,
a
combatterli
e
cacciarli; e così in poco tempo fu al tutto
signore di
Fiandra. Ben si disse di vero che 'l vescovo
di Niccola, ch'era in Brabante per lo re d'Inghilterra,
col favore e
consiglio di
Brabanzoni e con molti
danari di quelli
del re d'Inghilterra spesi in
Fiandra
fece fare tutta quella
rivoltura; onde poi apresso
seguì grande favore al re d'Inghilterra, come inanzi
leggendo si troverrà.
L. 12, cap. 84 rubr.Come 'l re d'Inghilterra passò in Brabante.
L. 12, cap. 84Essendo
Fiandra quasi rubellata al re di
Francia e
al
conte, come detto avemo, lo re
Aduardo il giovane
giunse
ad Anguersa in Brabante con più di
CCC
navi e con molta baronia e gente d'arme di suo paese,
e con molta lana e danari, e
colla moglie e
due
sue figliuole; e cciò fu
a dì
XXII di luglio gli
anni
MCCCXXXVIII, e in Anguersa fece sua stanza ferma infino
all'uscita di settembre, bene che in questa stanza
andasse
colli allegati
a più parlamenti
a più ville
del
paese, intra lli altri nella
contea di Los
a'
confini d'Alamagna
colli ambasciadori
del Bavero. E in quello
parlamento si piuvicò con privilegi imperiali il re
d'Inghilterra essere vicaro dello 'mperio, salvo in Italia;
e poi ne venne
a Borsella, e llà fermò parentado
col
duca di Brabante; ciò fu la figliuola
del
duca al
figliuolo maggiore
del re d'Inghilterra. E allora il
duca
da capo
giurò la lega e d'esere contro al re di
Francia, e
mandolli
rinuziando ogni omaggio tenea
da llui nel reame di
Francia, e
mandollo sfidando infino
a Parigi per uno franco e ardito cavaliere
brabanzone,
e bene parlante; e fornì bene la bisogna.
L. 12, cap. 85 rubr.Come il re d'Inghilterra e' suoi allegati vennero ad
oste in su il reame di Francia.
L. 12, cap. 85E cciò fatto, si mosse il re d'Inghilterra e il
duca di
Brabante da Borsella co· lloro oste, e
andarne
a
Valenzina
inn Analdo; e ivi siccome vicario d'imperio
fece richiedere il vescovo di
Cambrai che
dovesse
rendere la
città di
Cambrai, ch'era dello imperio, il
quale non vi comparì. Per la qual cosa,
a dì
XX di
settembre, di
Valenzina si mosse inanzi meser
Gianni
d'Analdo
zio
del
conte con
IIm cavalieri tra d'Analdo
e Alamanni al soldo, e il sire di
Falcamonte
con
D cavalieri, e puosonsi dinanzi alla
città di
Cambrai
alla villa d'Apre. E bene che
Cambrai sia terra
d'imperio e tenela l'arcivescovo, il re di
Francia l'avea
guernita di sua gente, che v'era dentro il conestabole
di
Francia con
IIIm armadure. Il re d'Inghilterra
venne alla detta oste con sua gente con
IImD cavalieri
tra Inghilesi e altri suoi amici. Il
duca di Brabante
con
IIIIm cavalieri, tra di Brabante e di Legge e Alamanni
a soldo, e popolo di Brabante e d'Analdo per
comune, grandissima quantità; e
vennevi il
conte,
overo
duca, di
Ghelleri, per simile modo con
IIm cavalieri,
e quello di Giulieri con
MD cavalieri. Tutta
questa gente e lla maggiore parte furono
a'
gaggi o
provisione
del re d'Inghilterra.
Vennevi il marchese
di Brandiborgo figliuolo
del Bavero con
CC armadure
sanza soldo; e più di
MD cavalieri tedeschi il seguiro
di volontà non richesti; sicché l'oste degli allegati
fu più di
XIIIIm di cavalieri e più di
LXm a piè, armati
a corazze e barbute la maggior parte; e di costa
a
Cambrai stette l'oste da
VIIII giorni, e corsono infino
a
Doai guastando e
rubando. E il sire di
Falcamonte
corse infino
a
Bapalma e
a Ros in
Vermandos, però
che
'· rre di
Francia era ancora
a
Compigno. E poi si
partì di là la detta oste, e puosonsi al monte
Sammartino
presso
a San
Quentino
a
due leghe; poi
a dì
XIIII d'ottobre
mutarono campo e passarono il fiume
dell'Osa, e
mutaro su per la riviera tre campi; e poi
puosono campo
a
tre leghe presso alla
Cina in
Francia.
E poi sentendo la venuta
del re di
Francia, si ritrassono
adietro alla
Capella, e poi vennero alla
Samingheria
in
Tiracia. E di questi campi corsono infino
presso appiè da
llaona e d'
Ares in
Francia, faccendo
infinito
danno di ruberie e d'arsioni, però che
'l detto paese è molto pieno di ricche e buone ville e
d'assai. E dal tempo che' Romani si partirono
del
paese,
anticamente quando il signoreggiarono, non
aveano sentito che
guerra si fosse.
L. 12, cap. 86 rubr.Come il re di Francia con sua oste venne contro al re
d'Inghilterra.
L. 12, cap. 86Il re di
Francia sentendo come il re
Aduardo avea
passato in Brabante, e il grande aparecchio
del detto
re che gli altri allegati ch'avieno fatto
a
Cambrai, incontanente
si provide. E prima avendo richiesti tutti
suoi baroni
del reame, e il re di Navarra, suo
cugino,
e il re Giovanni di Buemia, e 'l
conte di Savoia, e
'l
Dalfino di Vienna, e
ciascuno gli venne in aiuto
con gente d'arme assai
a ccavallo e
a piè. E sentendo
ch'erano
entrati nel reame i nimici, si partì di Parigi
subitamente, però che non avisava che' suoi nimici
fossono arditi d'
entrare in su reame: e in questo prese
fallo. E sanza attendere tutta sua oste, venne di
presente
a
Compigno, e poi di là venne
a
Perona in
Vermandos. E llà si trovò tra della gente di suo reame
e degli altri detti signori e amici con
XXVm di buona
gente d'arme
a cavallo e popolo
a piè infinito, e
partissi da
Perona, e puosesi
a campo di costa al fiume
dell'Osa,
a petto all'oste di quello d'Inghilterra
a
una lega e mezzo, essendo intra lle dette osti la riviera
d'Osa; e così stettono
afrontati più dì.
L. 12, cap. 87 rubr.Come l'oste del re di Francia e di quello d'Inghilterra
s'affrontaro, e poi si partiro da ccampo sanza combattere.
L. 12, cap. 87Essendo i detti
II eserciti così di presso, ch'erano
tanta gente, e
cavalli, e
somieri, e carreggio, che lla
minore oste teneva più d'una e mezza lega, comprendendo
tutto il paese, lo re d'Inghilterra e' suoi allegati
richiesono di battaglia il re di
Francia, però che lla
stanza non facea più per loro, perch'avieno guasto e
rubato tutto il paese, e lla vittuaglia
venia alla loro
oste molto dalla lunge e con
iscorta, e in que' giorni
valse il pane uno grosso tornese d'argento in quella
oste. Lo re di
Francia accettò la battaglia, e prese il
gaggio; e 'l sabato,
a dì
XXIII d'ottobre
MCCCXXXVIII,
era la giornata. E
ciascuna oste s'armò e schierò. E· rre
d'Inghilterra venne con sua gente schierato nel
luogo ordinato, e stette in sul campo infino
a vespro.
Il re di
Francia e sua oste s'armò, ma però non si
mosse con sua gente
del campo, ma con inganno e
maestria di
guerra si
credette vincere i nimici. E
mandando
a uno passo di riviera, onde all'oste
del re
d'Inghilterra
venia la vittuaglia, da
IIIm cavalieri e
sergenti
a piè e
balestrieri assai per impedire il detto
passo. Ma il re d'Inghilterra e' suoi allegati prima s'erano
di ciò proveduti, e guernito il detto passo; ma
veggendosi inn
istremo luogo per la vittuaglia, e cche
il re di
Francia non
venia
a battaglia,
trombato e
ritrombato,
e poi si partirono
del campo schierati, e
andarsene
ad
Avenes in
Tiraccia, e poi
a
Mabrugam
inn Analdo, e di là n'andarono
a Borsella. E là fatto
loro
parlamento, ordinarono d'essere
colle loro forze
tornati in Brabante
a primo tempo. E diedono congio
a tutti gli Alamanni, i quali n'andarono tutti ricchi
tra di
gaggi
del re d'Inghilterra, e lle ruberie fatte
sopra i Franceschi. Lo re di
Francia si tornò sano e
salvo, ma con poco onore,
a Parigi. E per simile modo
diè congio alle sue genti, e che fossono tornati
a
primo tempo. Avemo fatto sì lungo
conto delle dette
osti sanza battaglia, imperò che ggià è lungo tempo
non si asembrò tanta baronia di presso per combattere,
quanto fu quella: che ssi può dire di vero, che
fosse il fiore e lla forza della cavalleria di Cristiani. E
di certo fu grazia e opera di Dio, bene che si puose
in viltà
del re di
Francia e di Franceschi che battaglia
non vi fu tra lloro, né si spargesse tanto sangue cristiano.
E llo re Ruberto suo
zio infino da Napoli al
continovo per
lettere e messaggi
confortava il re di
Francia che per lo migliore non si mettesse alla battaglia
con
Bramanzoni, e Tedeschi, e
Fiamminghi,
gente disperata e crudele, e per alcuno si disse che 'l
re di
Francia
dubitò di
tradimento, e però non si mise
a battaglia; ma quale si fosse, provide il migliore e
il più sicuro per lui. Lasceremo alquanto della
guerra
de' detti
II re, ch'assai tosto apresso ci
converrà raccontare
come feciono altressì grande
assembramento
o maggiore, e torneremo
a nostra matera
a dire degli
avenimenti e fine della nostra
guerra col Mastino, e
dell'altre
novità di
Firenze e d'Italia e d'altri paesi in
questi tempi.
L. 12, cap. 88 rubr.Del male stato ch'ebbono la compagnia de' Bardi e
quella de' Peruzzi per la detta guerra, e tutta la nostra
città di Firenze.
L. 12, cap. 88Nel tempo ch'era la detta
guerra da· rre di
Francia
con quello d'Inghilterra sì erano mercatanti
del re
d'Inghilterra la compagnia di Bardi e quella di
Peruzzi di
Firenze, e
a lloro
mani venia tutte sue
rendite,
e llane e cose; ed ellino
forniano tutte le sue spesarie,
gaggi, e bisogne; e
sopramontarono tanto le
spese e bisogne
del re, oltre alle
rendite e cose ricevute
per lui, che i Bardi si trovarono
a ricevere da· rre,
tornato dell'oste detta, tra di
capitale e provisioni
e riguardi fatti loro per lo re più di
CLXXXm di marchi
di sterlini; e'
Peruzzi più di
CXXXVm di marchi, e ogni
marco valea fiorini
IIII e terzo d'oro, che montarono
più di
MCCCLXVm fiorini d'oro, che valeano un
reame. Ben avea in questa somma assai quantità di
provisioni fatte
a lloro per lo detto re per li tempi
passati; ma come che si fosse, fu la loro gran follia
per
covidigia di guadagno o per
raquistare il loro follemente
prestato mettere così di grosso il loro e l'altrui
inn uno signore. E nota che i detti danari non
erano la maggiore parte delle dette compagnie, anzi
gli aveano inn accomanda e in
diposito di più cittadini
e forestieri. E di ciò fu il grande
pericolo
a lloro
e alla nostra
città, poco apresso come si troverrà leggendo.
E cche n'avenne che per cagione di ciò non
potendo rispondere
a cui
dovieno dare in Inghilterra,
e in
Firenze, e in altre parti dove avieno
a ffare, e
del tutto perderono la
credenza, e
fallirono di pagare,
ispezialmente i
Peruzzi, con tutto che non si cessassono
per le loro grandi posessioni ch'avieno in
Firenze
e nel
contado, e per loro grande
potenzia e stato
ch'avieno in Comune. Ma per questa difalta e per
le spese
del Comune in Lombardia molto mancò la
potenzia e stato di mercatanti di
Firenze; e però di
tutto il Comune e lla
mercatantia e ogni
arte n'abassò,
e vennero in pessimo stato, come inanzi si farà
menzione; però che
fallite le dette
due colonne, che
per la loro
potenzia, quando erano in buono stato,
condivano
colli loro traffichi gran parte
del traffico
della
mercatantia di Cristiani, ed erano quasi uno
alimento,
onde ogn'altro mercatante ne fu sospetto e
male creduto. E per le dette cagioni e per altre, come
si dirà tosto, la nostra
città di
Firenze ricevette
gran
crollo e male stato universale non guari tempo
apresso. E per agiunta
del male stato delle dette
compagnie il re di
Francia faccendo pigliare in Parigi
e per tutto il reame i loro compagni e cose e
mercatantie,
e di più Fiorentini per la detta cagione, e per
li molti danari che 'l Comune avea
presi per forza in
presto da' cittadini e spesi nella 'mpresa di Lombardia
e di Lucca, onde poi de'
rimbalzi e
del mancamento
della
credenza più altre minori compagnie di
Firenze poco tempo apresso ne
fallirono, come inanzi
si farà menzione. Lasceremo di questa matera, e
torneremo
a seguire il trattato della
guerra con messere
Mastino.
L. 12, cap. 89 rubr.
Come la nostra gente e de' Viniziani entrarono ne'
borghi di Vincenza.
L. 12, cap. 89Tornando a nostra matera della guerra da nnoi a
mesere Mastino, le cui forze erano molto afiebolite,
avenne che a dì XVI d'ottobre MCCCXXXVIII, sentendo
meser Mastino che lla città di Vincenza era molto
stretta e stava male, sì mandava per loro soccorso e
conforto CL cavalieri, i quali passando, dalla gente
nostra ch'era in Montecchio furono assaliti e sconfitti,
e presi cinque conestaboli e lla maggiore parte di
quelle masnade. E di presente, come era stato trattato,
la nostra oste e cavalleria entraro ne' tre borghi di
Vincenza a dì XVIII d'ottobre del detto anno, e quasi
tutta la terra aveno, se non la parte ch'era col castello;
e quello poco tempo sarebbe potuto tenere, avendo
perduto ogni speranza di soccorso.
L. 12, cap. 90 rubr.Come i Viniziani tradirono i Fiorentini e feciono
pace con messer Mastino, e convennela fare al nostro
Comune.
L. 12, cap. 90Messer Mastino, veggendosi ch'era per perdere la
città di Vincenza, e sse quella fosse perduta, era assediato
in Verona, fece segretamente trattare sua pace
co' Viniziani sanza saputa de' Fiorentini, e spese per
suoi ambasciadori grossamente in Vinegia
a certi
maggiorenti, ch'avieno stato e podere nel Comune, e
rimissesi liberamente i· lloro,
pregandoli che non volessono
al tutto disfare; che cciò faccendo, guastavano
e abattevano parte d'imperio e ghibellina inn
Italia, i Viniziani sono per antico
naturalmente stati.
E per prendere loro
vantaggio, col
conforto di quelli
cittadini che nne guadagnavano, e ancora per
priego
de' Pisani e di quelli Ghibellini che teneano Lucca,
per loro ambasciadori segreti e
lettere con grande
stanzia pregando i Viniziani per Dio e per amore di
parte non
assentissero che' Fiorentini avessero la
città
di Lucca, essi
acordassono con meser Mastino.
Per la qual cosa i Viniziani ingannarono e tradirono i
Fiorentini e gli altri allegati, che avieno
promesso e
giurato di non far mai niuno acordo sanza la volontà
di tutti gli allegati, e cche i Fiorentini avessono libera
la
città di Lucca e 'l suo
distretto; ma cciò non
oservarono,
ma fecionsi l'accordo
a lloro volontà, e vollono
ed ebbono la
città di Trevigi
a dì
II di dicembre
del detto
anno, e Castello Franco e Basciano, e cciò
ch'era aquistato per la nostra gente e per la loro. E cciò
fatto mandarono loro ambasciadori
a
Firenze
a
dì
XVIIII di dicembre, e diedono il partito
a' Fiorentini
in pieno
consiglio, che sse noi volessimo la pace
ch'ellino avieno fatta con messere Mastino, che ci farebbono
confermare per la detta pace
a meser Mastino
e al Comune di Lucca le terre e castella che nnoi
avavamo di quelle di Lucca; ciò erano Fucecchio,
Castello Franco, Santa
Croce, Santa Maria
a Monte,
Montetopoli in Valdarno, e Montecatini, e
Montesommano,
e
Montevettolino, e lla
Massa e il Cozzile
e
Uzzano in Valle di
Nievole, e
Avillano, e Sovrano,
e Castello Vecchio in Valle di Lima,
arogendo loro
per la detta pace faccendo il castello di
Pescia e
quello di
Buggiano e loro tenitori, e Altopascio. E
se cciò non volessono prendere, e' s'aveano fatta la
loro pace, e quella
oserverebbono, o prendessino i
Fiorentini il partito o non con messer Mastino.
A'
Fiorentini
del detto partito parve troppo male, però
che' Fiorentini si
stimavano d'avere
a ffare co' Viniziani
come co· lloro medesimi, e cche per loro fosse
osservata leale compagnia, però che
fermamente si
credieno i Fiorentini avere Lucca secondo i
patti giurati
per li Viniziani, e gli altri Lombardi della lega
dovieno avere Parma. Per lo detto partito più
consigli
segreti si tennono in
Firenze, o di prendere o di
lasciare la detta pace; e fuvi il
pro e 'l contro: che
molti cittadini per lo sdegno
del
tradimento de' Viniziani
allegando ch'era
pericolo della
città fare pace
col nimico tiranno, rimanendo vicino
colla forza e riparo
di Lucca, per
dotta de' suoi tradimenti non
s'accordavano alla detta pace; e ch'era meglio
a rimanere
co· llui inn iscoperta
guerra, e più sicuro partito.
Altri consigliarono che, considerando i molti danari
ispesi per lo Comune nella detta
guerra, onde il Comune
era indebitato
a' suoi cittadini e altri di bene
di
CCCCLm di fiorini d'oro e più sopra le gabelle ed
entrate
del Comune, che bbene per più di
sei
anni
a
venire erano asegnate, si prese per lo meno reo
che ssi mandassono
solenni ambasciadori
a Vinegia
a
pregare quello Comune che cci oservassono i
patti
della lega giurati, o
migliorassono i
patti offerti
a lloro
podere; o se meglio non potessono (e questo fu
segreto commesso loro), che non si partissono da
mercato per lo migliore
del Comune nostro, acciò
che per lo detto accordo il Comune prendesse lena e
uscisse di debito, e
avanzassonsi le dette castella, che
sono nel cuore di Lucca, da potersi difendere e guerreggiare
il tiranno se bisognasse. E questo partito si
vinse
a dì
XI di gennaio. E andarono
a Vinegia
mesere
Francesco di meser
Pazzino de' Pazzi, e
mesere
Alesso de' Rinucci giudice, e Iacopo degli
Alberti, e
sindaco con pieno mandato. E in Vinegia istettono
alquanti dì per prendere
vantaggio co' Viniziani. Ma
i perfidi,
stratti
del sangue d'
Antenore traditore della
sua
patria di Troia, seguendo il loro pertinace proponimento
non si vollono smuovere, se non ch'
arrosono
Asciano e 'l
Colle, ch'era sopra
Buggiano, i
quali, avendo noi
Buggiano, no poteno tenere. E così
si fermò la sforzata e non volontaria pace in Vinegia
tra 'l Comune di Vinegia e di
Firenze con meser Mastino
a dì
XXIIII di gennaio
MCCCXXXVIII. E uscì di
prigione meser Alberto della Scala e gli altri ch'erano
presi co· llui in Vinegia. E fu la pena di
Cm fiorini d'oro
per osservare la detta pace sanza altra
malleveria,
possendo i Guelfi ribelli di Lucca tornare in Lucca e
riavere i beni loro, salvo
XXX caporali stare
a'
confini.
Per la qual pace pochi Guelfi s'asicurarono di
tornare
a Lucca. E poi tornati i nostri ambasciadori
in
Firenze,
a dì
VII di febraio
del detto
anno furono
date le dette castella
a' Fiorentini. E poi
a dì
XI di febraio
si bandì la pace, ma però che nullo andasse
a
Lucca sanza licenzia. Notate, e sievi
a perpetua memoria
a voi Fiorentini che questo leggerete, il
villano
tradimento fatto al nostro Comune per li Viniziani,
essendo per noi tanto
adoperato e con tanto ispendio,
il quale troviamo che ffu in
XXXI e mezzo mesi
più di
DCm di fiorini d'oro, sempre adoperandosi per
lo nostro Comune con fede e
fervore per farli grandi,
e abattere la superbia
del loro vicino nimico tiranno;
e oltre
a cciò per agiunta al loro
fallire, avendo ellino
ad avere di resto dal nostro Comune alla fine della
guerra intorno di
XXVm di fiorini d'oro, e meno, faccendo
ragione, per
risidui delle paghe di cavalieri
nostri e d'arnesi mandati nell'oste prestati per loro,
perché talora indugiava alquanto d'andare la moneta
a Vinegia per le nostre paghe, e' Viniziani n'adomandavano
fiorini
XXXVIm d'oro, avendo avanzato il
quarto
danaio di tutta la spesa fatta per loro nella
detta
guerra sopra i nostri e loro cavalieri e pedoni
per gabelle gravi e imposte fatte per loro sopra cciò
ch'andava nell'oste; e non volieno
isbattere la parte
nostra
del conquisto di
Mestri e
del ponte di
Praga,
ch'era e sono di grande
entrata di passaggi; e volendo
il nostro Comune
contare co· lloro e
pagarli di ciò,
che
restassono
ad avere, e però vi mandarono ambasciadori
e ragionieri, mai non ne vollono mostrare
ragione, né
commetterla inn amici comuni fuori di
Vinegia, se non «
ego
voleo,
ego
giubeo», cioè così
vuole meser lo
doge e il Comune di Vinegia. E sopra cciò
feciono
rapresaglia sopra i Fiorentini con
forti e aspre
leggi, onde tutti i Fiorentini se ne partirono
all'uscita di gennaio
MCCCXXXVIIII. E simili
leggi
e più forti furono fatte per Fiorentini sopra i Viniziani,
o sopra quale Fiorentino vi stesse o avesse
a ffare.
Cotale fu la partita della disleale compagnia
del
Comune di Vinegia contro al nostro Comune di
Firenze.
L. 12, cap. 91 rubr.
Del podere ed entrata ch'avea il Comune di Firenze
in questi tempi.
L. 12, cap. 91Acciò che' nostri discendenti possano comprendere
lo stato ch'avea il nostro Comune di Firenze in
questi tempi, e come si fornì lo spendio della detta
guerra del Mastino, la quale volea il mese il meno
XXVm di fiorini d'oro ch'andavano a Vinegia, sanza le
spese oportune che bisognavano di qua al nostro Comune,
che lle più volte sanza quelli di Lombardia
avea a soldo M cavalieri, sanza la guardia delle terre e
castella si teneno, in brieve il narreremo apresso del
podere del nostro Comune, l'entrata e così l'uscita,
e messioni del Comune, dall'anno MCCCXXXVI al
MCCCXXXVIII, che durò la guerra da nnoi e meser
Mastino. Il Comune di Firenze in questi tempi signoreggiava
la città d'Arezzo e 'l suo contado, e Pistoia
e 'l suo contado, Colle di Valdelsa e lla sua corte,
e in ciascuna di queste terre avea fatto fare un castello,
e tenea XVIIII castella murate del distretto e
contado di Lucca, e del nostro contado e distretto
XLVI castella forti e murate, sanza quelle de' propii
cittadini, e più terre e villate sanza mura, ch'erano
grandissima quantità.
L. 12, cap. 92 rubr.
Entrata del Comune di Firenze.
L. 12, cap. 92Il Comune di
Firenze di sue
rendite assise ha picciola
entrata, come si potrà vedere, ma
reggevasi in
que' tempi per
entrata di gabelle; e quando bisognava,
come dicemmo adietro al
cominciamento della
guerra
del Mastino, si
civiva per prestanze e imposte
a' mercatanti e ricchezze e altri singulari,
assegnandole
con guidardoni sopra le gabelle. E in questi
tempi queste infrascritte erano le gabelle levate per
noi
diligentemente de'
ligistri
del Comune, che, come
potrete vedere, montarono in questi tempi da
CCCm di fiorini d'oro l'
anno, talora più, talora meno,
secondo i tempi; che sarebbe gran cosa
a uno reame,
e non n'ha più il re Ruberto d'
entrata, né tanti d'assai
quello di Cicilia né quello di Raona. Vendesi l'
anno
la gabella delle porti di
mercatantie e vettuaglia
e cose ch'
entravano e uscieno della
città fiorini
LXXXXmCC; la gabella
del vino si vendea
a minuto,
pagando il terzo, fiorini
LVIIIImCCC. L'
estimo de' contadini,
pagando l'
anno, soldi
X per libra di loro
estimo
si vende fiorini
XXXmC d'oro; la gabella
del
sale,
vendendo
a' cittadini, soldi
XL di piccioli lo
staio, e
a' contadini soldi
XX, vendesi fiorini
XIIIImCCCCL d'oro.
Queste
IIII gabelle erano diputate alla spesa della
guerra di Lombardia. I beni de' ribelli sbanditi e
condannati valeano l'
anno
VIIm d'oro. La gabella sopra
i prestatori
a usura fiorini
IIIm d'oro. I nobili
del
contado pagavano l'
anno fiorini
IIm d'oro. La gabella
de' contratti l'
anno fiorini
XIm d'oro. La gabella
del
macello delle bestie della
città fiorini
XVm d'oro;
quella
del macello
del
contado fiorini
IIIImCCCC d'oro.
La gabella delle pigioni l'
anno fiorini
IIIImCL
d'oro. La gabella della farina e macinatura fiorini
IIIImCCL d'oro. La gabella di cittadini che vanno di
fuori in signoria valea l'
anno fiorini
IIImD d'oro. La
gabella dell'
acuse e
scuse fiorini
MCCCC d'oro. Il guadagno
della moneta dell'oro valea l'
anno, pagate le
fatture,
fiorini
IImCCC d'oro. L'
entrata
del guadagno della
moneta di
quattrini e di piccioli, pagato l'ovraggio,
fiorini
MD d'oro. I beni propi
del Comune e passaggi
fiorini
MDC d'oro. I
mercati di
città delle bestie
vive fiorini
IImCL d'oro. La gabella di segnare pesi e
misure e paci e beni in
pagamento l'
anno fiorini
DC
d'oro. La
spazzatura d'Orto Sa· Michele e prestare
bigonce fiorini
DCCL d'oro. La gabella delle pigioni
di
contado fiorini
DL d'oro. La gabella de'
mercati di
contado fiorini
IIm d'oro. Le
condannagioni che ssi
riscuotono si ragiona l'
anno, e lli più
anni monta
troppo più, fiorini
XXm d'oro. L'
entrata de' difetti de'
soldati
a cavallo e
a ppiè, non
contando quelli ch'erano
in Lombardia, fiorini
VIIm d'oro. La gabella delli
sporti delle case l'
anno fiorini
VmDL d'oro. La gabella
delle trecche e
trecconi fiorini
CCCCL d'oro. La gabella
del sodamento fiorini
MCCC d'oro, cioè di portare
arme di difensione,
a soldi
XX di piccioli per
uno. L'
entrata delle prigioni fiorini
M d'oro. La gabella
de' messi fiorini
C d'oro. La gabella de'
foderi
del legname vien per Arno fiorini
L d'oro. La gabella
degli aprovatori de' sodamenti si fanno al Comune
fiorini
d'oro. La gabella de' richiami
a' consoli
dell'
arti, la parte
del Comune, fiorini
d'oro. La
gabella sopra le posessioni
del
contado fiorini
d'oro. La gabella delle zuffe
a man vote fiorini
d'oro. La gabella da
Firenzuola fiorini
d'oro. La
gabella di
coloro che non hanno casa in
Firenze, e
vale il loro da fiorini
M in su, fiorini
d'oro. La gabella
delle mulina,
entrata e pescaie, fiorini
d'oro.
Somma da fiorini
CCCm, e più. O signori Fiorentini,
come è
mala provedenza acrescere l'
entrata
del
Comune della sustanza e
povertà de' cittadini
colle
sforzate gabelle per fornire le folli imprese! Or non
sapete voi che come è grande il
mare è grande la
tempesta, e come cresce l'
entrata è aparecchiata la
mala spesa? Temperate, carissimi, i disordinati disideri,
e piacerete
a dDio, e non
graverete il popolo innocente.
L. 12, cap. 93 rubr.Ispese del Comune di Firenze in que' tempi.
L. 12, cap. 93Le spese ferme e di nicessità
del Comune di
Firenze
per
anno, e valea libre
III soldi
II il fiorino dell'
oro. Il
salaro
del podestà e di sua famiglia l'
anno libre
XVmCCXL piccioli. Il
salaro
del capitano
del popolo
e sua famiglia l'
anno libre
VmDCCCLXXX piccioli. Il
salaro dell'
eseguitore degli ordini della giustizia contro
a grandi per sé e sua famiglia libre
IIIImDCCC piccioli.
Il
salaro
del conservadore
del popolo e sopra
gli sbanditi, con
L cavalieri e
C fanti, fiorini
VIIImCCCC
d'oro: questo uficio nonn è stanziale, se non come
occorrono i tempi di bisogno. Il giudice dell'appellagione
sopra le
ragioni
del Comune libre
MC di piccioli.
L'uficiale sopra gli ornamenti delle donne e altri
divieti libre
M di piccioli. L'uficiale sopra la piazza
d'Orto Sa· Michele della
biada libre
MCCC di piccioli.
Li uficiali sopra la
condotta de' soldati e notai e
messi libre
M di piccioli. Li uficiali e notai e
messi
sopra i difetti de' soldati libre
CCL di piccioli. I camarlinghi
della camera
del Comune, e lloro uficiali e
massari, e lloro notai e frati, che guardano gli atti
del
Comune, libre
MCCCC di piccioli. Li uficiali sopra le
rendite propie
del Comune libre
CC di piccioli. I soprastanti
e guardie delle prigioni libre
DCCC di piccioli.
Le spese
del mangiare e bere de' signori priori
e di loro famiglia costa l'
anno libre
IIImDC di piccioli.
I
salari de'
donzelli e servidori
del Comune e campanai
delle
due torri, cioè quella de' priori e della podestà,
libre
DL di piccioli. Il capitano con
LX berrovieri
che stanno al
servigio e guardia de' priori libre
VmCC di piccioli. Il notaio forestiere sopra le
riformagioni
e suo compagno libre
CCCCL di piccioli. Il
cancelliere
e dittatore delle
lettere e suo compagno libre
CCCCL piccioli. Per lo pasto de' lioni, e torchi, e candele,
e panelli per li priori libre
IImCCCC di piccioli. Il
notaio che
ligistra nel palagio de' priori i fatti
del
Comune libre
C di piccioli. I
messi che servono tutte
le signorie, per loro
salaro libre
MD di piccioli.
Trombadori e banditori
del Comune, che sono i
banditori
VI e trombadori,
naccheraio e
sveglia, cenamelle
e trombetta,
X, tutti con trombe e trombette
d'argento, per loro
salaro l'
anno libre
M di piccioli.
Per
limosine
a' religiosi e spedali l'
anno libre
IIm piccioli.
Secento guardie che guardano di notte alle poste
per la
città libre
XmDCCC di piccioli. Il palio di
sciamito che ssi corre l'
anno per san Giovanni, e
quelli di panno per santo Bernaba e santa Reparata
costano l'
anno fiorini
C d'oro. Per ispie e
messi che
vanno fuori per lo Comune libre
MCC di piccioli. Per
ambasciadori che vanno per lo Comune stimati l'
anno
più di fiorini
Vm d'oro. Per castellani e guardie di
rocche si tengono per lo Comune fiorini
IIIIm d'oro.
Per fornire la camera dell'armi e balestra e saettamento
e pavesi fiorini
MD d'oro. Somma l'
opportune
ispese sanza i soldati
a ccavallo e
a piè da fiorini
XLm
d'oro o più l'
anno.
A' soldati
a ccavallo e
a piè non
era né regola né numero fermo, ch'erano quando più
e quando meno secondo i bisogni che
occorrono al
Comune. Ma al continovo si può ragionare, sanza
quelli della
guerra di Lombardia, e non faccendo oste,
da
DCC a
M, e simile pedoni continui. E non
facciamo
conto delle spese delle
mura e de' ponti, e
di Santa Reparata, e di più altri lavori di Comune,
che non si può mettere numero ordinato.
L. 12, cap. 94 rubr.Ancora della grandezza e stato della città di Firenze.
L. 12, cap. 94
Dapoi ch'avemo detto dell'
entrata e spesa
del Comune
nostro di
Firenze in questi tempi, ne
pare si
convenga di fare menzione dello stato e condizione
di quella, dell'altre grandi cose della
città; perché i
nostri successori che verranno per li tempi s'
avegghino
del montare o bassare di stato o
potenzia che facesse
la nostra
città, acciò che per li savi e valenti cittadini,
che per li tempi saranno al governo di quella,
per lo nostro
ricordo e
asempro di questa
cronica
procurino d'
avanzarla inn istato e podere. Trovamo
diligentemente che in questi tempi avea in
Firenze
circa
a
XXVm d'uomini da portare arme da
XV in
LXX
anni, cittadini,
intra' quali avea
MD nobili e potenti
che
sodavano per grandi al Comune. Avea allora in
Firenze da
LXV cavalieri di corredo. Ben troviamo
che anzi che fosse fatto il secondo popolo, che
regge
al presente, erano i cavalieri più di
CCL, che poi che
'l popolo fu, i grandi non ebbono lo stato e signoria
sì grande come prima, e però pochi si facieno cavalieri.
Istimavasi avere in
Firenze da
LXXXX di bocche
tra uomini e femmine e fanciulli, per l'aviso
del pane
bisognavano al continuo alla
città, come si potrà
comprendere apresso; ragionandosi avere
comunemente
nella
città da
MD uomini forestieri, e viandanti
e soldati, non
contando nella somma di cittadini riligiosi
e frati e religiose e
rinchiuse, onde faremo menzione
apresso. Ragionasi in questi tempi avere nel
contado e
distretto di
Firenze da
LXXXm uomini. Trovamo
dal piovano che battezzava i fanciulli (imperò
che per ogni maschio che battezzava in San Giovanni,
per avere il novero, mettea una
fava nera, e per
ogni femmina una bianca) trovò ch'erano l'
anno in
questi tempi dalle
VmD in
VIm, avanzando le più volte
il sesso mascolino da
CCC in
D per
anno. Trovamo
che' fanciulli e fanciulle che stavano
a
leggere
del
continuo da
VIIIm in
Xm. I garzoni che stavano
ad
aprendere l'
abbaco e
algorisimo in
VI scuole da
M in
MCC. E quelli che stavano
ad aprendere gramatica e
loica in
IIII grandi scuole da
DL in
DC. Le chiese ch'erano
allora in
Firenze e ne' soborghi,
contando le
badie
e lle chiese de' frati e religiosi, trovamo
CX, delle
quali erano
LVII paroccie con popolo,
V badie con
due priori con da
LXXX monaci,
XXIIII monisteri di
monache con da
D donne,
X regole di frati con più di
DCC frati,
XXX spedali con più di mille
letta per albergare
poveri e infermi, e da
CCL in
CCC cappellani
preti. Le botteghe dell'
arte della lana erano
CC e più,
e faceano da
LXXm in
LXXXm di panni, di
valuta di più
di
MCC migliaia di fiorini d'oro; che bene il terzo e
più rimaneva nella terra per overaggio, sanza il guadagno
de' lanaiuoli;
del detto ovraggio viveano più
di
XXXm persone. Ben trovamo che da
XXX anni adietro
erano
CCC botteghe o circa, e faceano per
anno
più di
Cm panni; ma erano più grossi della metà
valuta,
però ch'allora non ci
venia né sapeano lavorare
lana d'Inghilterra, com'hanno fatto poi. I fondachi
dell'
arte di
Calimala di panni franceschi e oltramontani
erano da
XX, che faceano venire per
anno più di
Xm panni di
valuta di più di
CCCm di fiorini d'oro, che
tutti si vendeano in
Firenze sanza quelli che mandavano
fuori. Banchi di cambiatori
LXXX banchi. La
moneta dell'oro battea per
anno
CCCLm di fiorini d'oro,
talora
CCCCm; e di danari da
quattro più di
XXm libre.
Le botteghe di calzolai e
zoccolai e
pianellai erano
da
CCC. Il
collegio di giudici da
LXXX in
C; e notari
da
DC; medici di
fisica e di
cirogia da
LX; e botteghe
di speziali allora da
C. Mercatanti e
merciai,
grande numero, da non potere bene stimare per
quelli ch'andavano fuori di
Firenze
a
negoziare; e
molti altri artefici di più mestieri, maestri di pietra e
di legname.
Fornora avea allora in
Firenze
CXLVI, e
trovamo per la gabella della macinatura e per fornari
ch'ogni dì bisognava alla
città
dentro
CXL moggia di
grano, onde si può stimare quello bisognava l'
anno;
non
contando che lla maggiore parte degli agiati e
ricchi e nobili cittadini co· lloro famiglie più di
IIII
mesi, e tali più dell'
anno, in villa in
contado. Troviamo
che intorno gli
anni
MCCLXXX ch'era la
città in filice
e buono stato, ne volea la settimana da
DCCC
moggia. Di vino trovamo per la gabella delle porte
n'
entrava l'
anno da
LVm di
cogna, e inn abondanza
talora più
Xm cogna. Bisognava l'
anno
IIIIm tra buoi e
vitelle; castroni, pecore
LXm;
capre e becchi
XXm; porci
XXXm.
Entravano
del mese di luglio per la porta
a
San Friano
CCCC some di poponi per dì, che tutti si
stribuivano nella
cittade. In questi tempi avea in
Firenze
le 'nfrascritte signorie forestieri, che
ciascuno
tenea ragione, e aveano
colla da tormentare, la podestà,
il capitano
del popolo, l'
assecutore degli ordini
della giustizia, il capitano della guardia, overo conservadore
del popolo; tutte queste
IIII signorie avieno
albitro di
pulire reale e
personale: il giudice della
ragione e
apellagione, il giudice sopra le gabelle, l'uficiale
sopra la piazza e vittuaria, l'uficiale sopra gli
ornamenti delle donne, quello della
mercatantia,
quello sopra l'
arte della lana, gli uficiali
ecresiastici,
la
corte
del vescovo di
Firenze e di quello di
Fiesole,
e dello inquisitore della
eretica pravità. Altre degnità
e magnificenza della nostra
città di
Firenze non sono
da lasciare di mettere in memoria per dare aviso
a
quelli verranno dopo noi. Ell'era dentro bene
albergata
di molti belli
palagi e case, e al continovo in
questi tempi s'
edificava, migliorando i lavori di farli
agiati e ricchi, recando di fuori
asempro d'ogni miglioramento
e bellezza. Chiese cattedrali e di frati
d'ogni regola, e monisteri magnifichi e ricchi; oltre
a cciò non era cittadino che non avesse posessione in
contado, popolano o grande, che non avesse
edificato
od
edificasse
riccamente troppo maggiori
edifici
che in
città; e
ciascuno cittadino ci peccava in disordinate
spese, onde erano tenuti matti. Ma ssì magnifica
cosa era
a vedere, ch'uno forestiere non usato
venendo di fuori, i più
credeano per li ricchi
difici
d'intorno
a
tre miglia che tutto fosse della
città al
modo di
Roma, sanza i ricchi
palagi, torri e
cortili,
giardini murati più di lungi alla
città, che inn altre
contrade sarebbono chiamati castella. In somma si
stimava che intorno alla
città
VI miglia avea più d'abituri
ricchi e nobili che recandoli insieme
due
Firenze
non avrebbono tante: e basti assai avere detto
de' fatti di
Firenze.
L. 12, cap. 95 rubr.Di che progenia furono quelli della Scala di Verona.
L. 12, cap. 95Ancora ne
pare che ssi
convenga,
dapoi ch'assai
avemo detto de' fatti di
Firenze, fare menzione
del
cominciamento di quelli della Scala di Verona, che
tanto hanno fatta risonare Lombardia e
Toscana di
loro guerre e tirannie, come adietro è fatta menzione.
Che
pare che Idio
permetta sovente di fare nascere
di picciola progenia tiranni possenti per abattere
l'orgoglio e superbia de' popoli e di nobili per li
loro peccati. Troviamo che al tempo
del grande tiranno
Azzolino di Romano, onde adietro facemmo
menzione, il quale
disertò quasi tutti i noboli della
Marca Trevigiana, di Padova e di Verona, intorno fa
da
LXXXX anni, in Verona avea un vile uomo, chiamato
Giacomo Fico; chi
dice che questo Giacomo
faceva le
scale e
vendeale, e da questo prencipio presono
l'arme e 'l nome, e chi
dice che fu mercatante
di
Montagnana; questi ebbe
due figliuoli Mastino e
Alberto. Quello Mastino era grande e forte della persona
e azuffatore e giucatore, ma
pro', valoroso e savio
nel suo mestiere. E alla prima fu capitano di ribaldi,
seguendo
Azzolino
a piè nelle sue cavalcate.
Poi per suo franco adoperare piacendo al tiranno, il
fece capitano delle sue masnade
a piè; poi gli venne
in tanta grazia, che 'l fece quasi proveditore e
dispensatore
di tutte le sue masnade da ccavallo e
da ppiè. E quando
Azzolino fu morto, trovandosi in
quello uficio col séguito di soldati si fece fare capitano
di Verona, e poi si fece fare cavaliere sé e Alberto
suo fratello, il quale fu savio, e valoroso, e da bene; e
così per la fortuna montati inn istato, che 'l Mastino
era signore di Verona, e
mesere Alberto podestà di
Mantova, e il figliuolo
del signore di Mantova
mesere
Botticella per
mesere Mastino era podestà di Verona.
Avenne che certi gentili uomini rimasi in Verona
avendo inn orrore e invidia della signoria e tirannia
del Mastino, essendo di vile
nascimento, e per
forza e tirannia fatto loro signore, feciono congiura
d'
ucciderlo, e furono
XXV; e
ciascuno
promise e
giurò
di fedirlo. E così
aseguiro, che vegnendo un giorno
al palagio
del Comune sanz'arme
a modo di signore,
che non si prendea guardia, e giugnendo in
sulla piazza, tutti i detti congiurati,
colle coltella in
mano
ciascuno, il fedì e ll'uccisono sanza contrario
niuno, e nullo fu ardito di
levarlo di terra. La podestà,
meser Botticella, di presente il fece asapere
a
meser Alberto
a Mantova, il quale tutta la notte
apresso che l'ebbe saputo cavalcò segretamente, venne
in Verona, ed
entrò nel palagio, lasciando che tutta
la cavalleria di Mantova il seguisse apresso; e così
feciono. La podestà la mattina vegnente fece richiedere
tutti i buoni uomini di Verona
a
consiglio, e
quelli medesimi ch'avieno morto meser Mastino,
propognendo che volea che lla terra si rifermasse
a
reggimento comune e di popolo. E ragunato il
consiglio,
mesere Alberto uscì della camera disarmato e
venne nel
consiglio, e salì nella ringhiera, donde tutti
quelli
del
consiglio s'
amiraro. E meser Alberto con
allegro viso cominciò
disimulatamente
a biasimare le
tirannie e male opere
del suo fratello, e lodava ciò
che di lui era fatto, onde il
consiglio erano tutti
contenti;
ma come seppe ch'erano venute le masnade da
Mantova, com'era ordinato il
tradimento per lui e
per lo podestà, fece serrare il palagio e uscire fuori i
fanti armati, e uccisono tutti
coloro che aveano ucciso
meser Mastino, e gittarli morti per le finestre
del
palazzo, e poi meser Alberto
corse la terra e fecesene
signore; e perseguì tutte le schiatte di
coloro ch'avieno
morto messere Mastino, e
cacciolli di Verona.
Questa fu la
morte e vendetta
del primo Mastino. Il
detto meser Alberto ebbe più figliuoli, i quali fece
tutti cavalieri essendo quasi garzoni. Rimasene dopo
la sua
morte tre in vita; messer
Bartolomeo, questi
regnò signore di Verona apresso al padre, non ebbe
figliuolo. Il secondo fu meser
Checchino, ch'anche
regnò apresso. Il terzo fu messere Cane, che ffu valente
tiranno e signore da bene, di cui adietro facemmo
menzione, e fu amico
del nostro Comune; di costui
non rimase figliuolo niuno madornale. Dopo lui
regnarono i nipoti figliuoli di meser
Checchino, ciò
furono meser Alberto e messer Mastino, di cui lungamente
avemo fatta menzione. E assai sia detto di
quelli della Scala, tornando
a nostra materia.
L. 12, cap. 96 rubr.
Come i Romani feciono pace intra lloro e popolo, e
mandarono a Firenze per avere leggi.
L. 12, cap. 96Nel detto anno, in calen di novembre, i Romani
per certe revelazioni di sante persone, e fu quasi spirazione
divina, si convertirono a pace generale i noboli
insieme e' popolani, dimettendo per l'amore
d'Iddio l'offensioni l'uno all'altro, che ffu una mirabile
cosa. E poi l'agosto vegnente feciono popolo, e
mandarono loro ambasciadori a Fiorenza a pregare il
nostro Comune, che mandassono loro gli ordini della
giustizia, che ssono sopra i grandi e possenti in difensione
de' popolani e meno possenti, e altri buoni
ordini che nnoi avemo. Il Comune di Firenze mandaro
a Roma loro ambasciadori co' detti ordini, i
quali da' Romani furono onoratamente ricevuti e
graditi. E nota come si mutano le condizioni e lli stati
del secolo, che' Romani che anticamente feciono la
città di Fiorenza e diedolle le loro leggi, in questi nostri
tempi mandaro per le leggi a' Fiorentini.
L. 12, cap. 97 rubr.Di più battaglie e sconfitte che furono in uno giorno
in sul contado di Milano.
L. 12, cap. 97Nel detto
anno, essendo rimasi ne' borghi di
Vincenzia
gran parte delle masnade da cavallo state in
Lombardia al nostro
servigio e di Viniziani, com'è
detto adietro,
dapoi che ffu fatta la pace col Mastino
e pagati
cortesemente per li nostri Comuni, sì feciono
una compagna, e furono bene
IImD cavalieri; e non si
vollono partire da Vincenza, se non avessono moneta
da meser Mastino. Messer
Loderigo Visconti,
consorto
di meser
Azzo Visconti signore di Milano e suo
ribello, andò
a Vincenza con sua moneta, e col favore
e moneta di meser Mastino, il quale per levarsi
delle sue terre la detta gente stati suoi aversari, e per
mandarli adosso
a meser
Azzo suo nimico, fece
conducere
al detto meser
Loderigo la detta compagna.
E all'
entrante
del mese di febraio gli
condusse in su
il
milanese passando il fiume dell'Adda; e sopra
quello di
Melano stettono
XII dì faccendo gran
danno
di ruberie, ma non d'arsione. Alla fine s'
accamparo
alla villa di
Lignano presso di Milano
a
XII miglia.
Sappiendosi la
novella in Milano, ebbono grande
turbazione, e uscirono di Milano, popolo e cavalieri,
a dì
XV di febraio, con ordine di loro strolago, promettendo
loro di vincere i nimici, ma male provide
la
dolorosa vittoria che
a lloro ne
seguì, della quale
oste fu capitano meser
Luchino Visconti
zio di messer
Azzo, però che 'l detto meser
Azzo era gravato di
gotte, e furo da
IIIm cavalieri e
Xm pedoni. Ed essendo
una parte della gente di Milano da
M cavalieri e
IIIm pedoni nella villa d'
Aro, e di quella poi andaro
alla villa di
Parobico, la detta schiera, ond'era capitano
Giovannuolo Visconti e messere Giovanni dal
Fiesco, e più di
XX gentili uomini di Brescia; il maliscalco
dell'oste tedesco, messere
Luchino
coll'altra
gente s'
acamparo nella villa da
Nervia. Sentendo ciò
meser
Loderigo, sabato notte,
a dì
XVIIII di febraio,
in sull'ora
del mattutino
colla sua gente cavalcò alla
detta villa di
Parobico, e di notte assalì i nimici, i
quali accampati di fresco, e non proveduti per l'asalto
della notte, ella detta villa
schiusa, furono sconfitti
in
poca d'ora, e
mortine grande quantità, ispezialmente
di pedoni per la notte, e
morivvi meser Giovanni
dal
Fiesco di
Genova capitano di quella gente,
e più altri Lombardi e Tedeschi. La
domenica mattina,
a dì
XX del mese, avendo messere
Loderigo avuta
la vittoria detta mandò di sua gente da
DCC cavalieri
verso Milano
a uno passo di fiume per
torlo
a' Milanesi,
i quali feciono grande
danno al popolo che fuggieno
a Milano per la detta sconfitta; e lasciò
a
Parobico
CCCcavalieri co' prigioni e
colla preda, e poi
col rimanente di sua oste, ch'erano
MD cavalieri, si
tenne schierato
a· ccampo di fuori della villa uno miglio.
Messere
Luchino sentendo la notte l'assalto fatto
alla sua gente
a
Parobico, uscì di
Nerviano e fece
due schiere, elli con
MCCCC cavalieri tedeschi, ed
Ettorre
da
Panago con
DCC italiani, tra' quali avea
CC
cavalieri
del Comune di Bologna al
servigio di que'
di Milano, e
venia per soccorrere la sua gente, e
trovolli
sconfitti.
Ettorre
entrò in
Parobico, ove avea i
detti
CCCC cavalieri di quelli di meser
Loderigo che
guardavano la preda, e quelli assalirono, e dopo lunga
battaglia
Ettorre gli sconfisse. Messer
Luchino
s'affrontò con meser
Loderigo la
domenica in sull'ora
di terza, e ffu tra lloro aspra battaglia che
durò infino
a nona passata. Alla fine fu
scavalcato e fedito
messer
Luchino e preso, e rotta la sua gente e
messi
in caccia. In quest'ora sopravennero alla battaglia
detta
Ettorre da
Panago co' suoi Italiani, ch'avieno
sconfitto i
CCCC cavalieri che meser
Loderigo avea
lasciati in
Parobico, e percossono sopra la gente di
meser
Loderigo, i quali
credendosi avere vinto il
campo erano
sciarrati cacciando li sconfitti; per la
qual cosa furono di presente rotti e sconfitti, e riscosso
mesere
Luchino e gli altri prima presi; e ffu
preso meser
Loderigo e maggior parte di sua gente, e
menati
a Milano. E così fu rotta e morti e presi quasi
tutta la detta
infortunata compagna; che tornando
meser
Luchino verso Milano, per la
via al sopradetto
passo fu sconfitto
Malerba tedesco capitano de' detti
DCC cavalieri che meser
Loderigo avea mandati al
passo verso Milano. Ma lle dette vittorie
del signore
di Milano furono con grande
dannaggio di sua gente,
che vvi morirono più di
D uomini di cavallo, e più
di
IIIm a piede
del popolo di Milano. Avenne fatto sì
lungo
conto per le svariate battaglie e rotte che furono
tra lle dette genti; che in una giornata furono fatte
V sconfitte tra dall'una parte e dall'altra, che non
fu mai inn Italia; e di questo sapemo il vero da più
genti di fede che vi furono presenti. Lasceremo di
questa matera e torneremo
a nostro
conto.
L. 12, cap. 98 rubr.
Come messere Mastino venne a Lucca.
L. 12, cap. 98L'anno MCCCXXXVIIII, fatta la pace da nnoi a meser
Mastino, come adietro facemmo menzione, messer
Mastino venne a Parma, e riformò la terra, e fecesene
signori i suoi cugini figliuoli di meser da
Coreggia, volendo elli tuttora eserne sovrano; ma
poco apresso la tolsono al tutto a llui, come inanzi
faremo assai tosto menzione. Poi a dì XI d'aprile venne
a Lucca, e fece a' Lucchesi una imposta di XXm
fiorini d'oro, che nn'avea gran bisogno. E poco stette
in Lucca, che come l'ebbe riformata, vi lasciò per
suo vicaro Guiglielmo Canaccio delli Scannabecchi
di Bologna, antichi Ghibellini usciti di quella; e tornossi
a Verona. Nella sua stanza a Lucca in Firenze
n'ebbe gran sospetto per li suoi trattati e tradimenti,
e fecesi grande guardia e in Firenze e nelle castella
delle frontiere. Lasceremo alquanto de' nostri fatti
d'Italia, e diremo come il re di Spagna sconfisse
grande oste di Saracini in Granata.
L. 12, cap. 99 rubr.Come i Saracini furono sconfitti dal re di Spagna in
Granata.
L. 12, cap. 99Nel detto
anno
MCCCXXXVIIII,
del mese di giugno,
il figliuolo
del re di Morocco saracino passò in
Granata
con molto navilio e con innumerabile gente di
Mori detti Saracini per andare sopra il re di Spagna.
Sentendo ciò il re di Spagna fece armare
XXX galee e
XII legni di corso e
XX navi, overo cocche, per contastare
il detto passaggio; ma fu
a
tardi, che i
Mori
del
Garbo, che sono vicini al contro di
Granata, presono
tempo fatto, e passarono sanza contasto alcuno anzi
venisse l'armata
del re di Spagna. Poi venuto il re di
Spagna, isceso in terra si puose
ad assedio alla
città
di
Linda. I Saracini vennono per comune alla 'ncontra
de' Cristiani per
guarentire la terra. Il re di Spagna
per
maestria di
guerra e per sottrarre i Saracini
si levò dall'asedio
a dì
XXXI di luglio, faccendo sembiante
di
dubitare e di fuggire; e prima messi in
aguato della migliore gente
a cavallo e
a piè ch'egli
avesse in sua oste, i Saracini veggendo che' Cristiani
quasi si partieno
a modo di
rotta, gli seguiro sanza
alcuno ordine in grandissima
moltitudine; e passati
gli aguati, i Cristiani percossono sopra loro, e in
poca
d'ora gli misono inn isconfitta, nella quale rimasono
de'
Mori tra morti e presi più di
XXm. E nota che
come noi Cristiani solavamo tenere la Terrasanta in
Soria, e chi v'andava o mandava o
dava
sussidio avea
grande perdonanza da santa Chiesa, così i Saracini
dell'universo infino in
Arabia
mantengono il reame
di
Granata in Ispagna, e al continovo vi mandano
gente e moneta, e talora generali e grandi passaggi
ad
obrobbio della Chiesa di
Roma e
del re di
Francia
e degli altri Cristiani, avendo il reame di
Granata
tra lle terre de' Cristiani intorneata, ed essendo sì
presso ov'è oggi la sedia apostolica, sanza avere
a
passare
mare. E intendesi solo
a
tesorizzare sanza
volerlo
spendere al
servigio della
Cristianità e
sostenere,
ma nutricare le guerre dall'uno re de' Cristiani all'
altro; ma tale peccato non passerà guari impunito.
L. 12, cap. 100 rubr.Di certi segni ch'aparvono in Firenze e altrove, onde
poco apresso seguì assai di male.
L. 12, cap. 100Nell'
anno
MCCCXXXVIIII,
a dì
VII di luglio, tra lla nona
e 'l vespro
scurò il sole nel
segno
del
Cancro
più che lle
due parti; ma perché fu dopo il merigge
al
dicrinare
del sole non si mostrò di
scurità come
fosse notte, ma pure si vide assai tenebroso. E nota,
secondo che scrivono gli antichi dottori di strologia,
ogni
scurazione
del sole nel
Cancro, che viene quasi
de'
cento
anni una volta, è di grande significazione
di mali
a venire al secolo; imperò che 'l
Cancro è
ascendente
del
mondo, e più significa dove è in quella
parte dell'
emisperio ove fa tenebre, cioè essendo il
sole al merigge, che nnoi volgarmente diciamo l'ora
di nona; ma pure, come allora avenne, significò in
Firenze e d'attorno
fame e mortalità grande,
come inanzi leggendo si troverrà. E per agiunta avenne in
Firenze il primo dì d'
agosto seguente grandi e disordinati
truoni e baleni, gittando più
folgori in
città e
in
contado di
Firenze; intra
ll'altre una ne cadde in
sulla torre della porta della
città contro
a San
Gallo,
e abatté parte d'uno merlo, e poi percosse e arse
dell'uscio della porta, e uccise
III uomini. E poi,
a dì
IIII di settembre, simile furono diversi
truoni e
folgori,
e una ne percosse in sulla torre
del palagio
del popolo,
e abatté parte d'uno merlo, e tutti furono segni
di futuri mali alla nostra
città, come tosto apresso seguirono;
che il detto
anno in sulla ricolta valse lo
staio
del grano soldi
XX, e poi montò in soldi
L, e
inanzi che fosse l'altra ricolta; se non fosse la provedenza
del Comune di farne venire per
mare, il popolo
moria di
fame, e
costò al Comune lo 'nteresso più
di
Lm fiorini d'oro, tutto che certi uficiali cittadini ne
feciono baratteria assai con meser Iacopo
Gabrielli
insieme, ch'era capitano della guardia
del popolo,
overo tiranno de' popolani
reggenti, condannando
gl'innocenti ingiustamente, perch'avieno grano per
loro
vivere e per loro famiglie, e
llasciando i possenti
colle grandi
endiche, onde
seguì assai di male apresso.
E ffu il detto
anno simile gran
caro di vino, che
di vendemmia valse il
cogno
del comunale vino fiorini
VI d'oro, e
ciascuna
arte di
Firenze fu in male stato
per guadagnare.
L. 12, cap. 101 rubr.
Come morì messer Azzo Visconti e ffu fatto signore
di Melano messer Luchino.
L. 12, cap. 101Nel detto anno, a dì XVI d'agosto, morì mesere
Azzo Visconti signore di Milano, e 'l dì apresso furono
fatti signori il vescovo di Noara meser Giovanni,
che ffu cardinale dell'antipapa, e meser Luchino suo
fratello e figliuoli di meser Maffeo Visconti; ma a
meser Luchino rimase la signoria. E poi a XXI mesi
apresso s'accordò con papa Benedetto e colla Chiesa
per lo misfatto d'esere stati coll'antipapa e favorato il
Bavero per prezzo di Lm fiorini d'oro contanti, e poi
ogn'anno Xm per censo. E per simile modo s'accordò
meser Mastino della Scala colla Chiesa per Vm fiorini
d'oro per anno. O Chiesa pecuniosa e vendereccia,
come i tuoi pastori t'hanno disviata dal tuo buono e
umile e povero e santo cominciamento di Cristo!
L. 12, cap. 102 rubr.Come la città di Genova e quella di Saona feciono
popolo e chiamarono dogio.
L. 12, cap. 102Nel detto
anno
MCCCXXXVIIII,
a dì
XVIIII di settembre,
quelli della
città di Saona feciono popolo, e
tolsono le
due castella ch'erano nella terra
a quelli di
casa
Doria e di
Spinoli di
Genova che lle teneano, e
cacciarline fuori. E poi tre dì apresso i cittadini di
Genova si levaro
a romore e
dispuosono i capitani,
ch'era l'uno delli
Spinoli e
ll'altro
Doria, e cacciarono
della terra loro e' loro
consorti e altri possenti; e feciono
popolo, e chiamarono
dogio al modo di Viniziani
uno Simone di
Boccanegra de'
mediani
del popolo.
Questo
dogio fu franco e valentre. E poi l'
anno
apresso, per
cospirazione di certi grandi fatta contro
a llui, fece prendere e tagliare il capo
a
due delli
Spinoli
e
a più altri loro seguaci. E ffu aspro in giustizia,
e spense i
corsali di
Genova e della riviera, tuttora ritenendo
la sua signoria
a parte ghibellina, e tenendo
in
mare più
galee armate per lo Comune
a guardia
della riviera.
L. 12, cap. 103 rubr.Di novità furono in Romagna, e poi pace tra lloro.
L. 12, cap. 103Nel detto
anno,
del mese di settembre, essendo la
gente
del capitano di
Furlì
a oste sopra Calvoli, il capitano
di
Faenza
colla forza di Bolognesi e d'altri di
loro parte gli levarono d'assedio inn isconfitta. E poi,
l'ottobre apresso, per
procaccio de' Fiorentini fu
trattato di pace tra' signori e Comuni di
Romagna.
L'una parte erano quelli di Forlì e Cesena, e meser
Malatesta da
Rimino e que' da Polenta di Ravenna,
tutto fosson Guelfi co' Ghibellini
a llega; e
ll'altra
parte
Faenza, Imola, i
conti
Guidi, e altri loro seguaci.
E per sindachi e ambasciadori delle parti si rimisono
nel Comune di
Firenze. E in sul palagio de'
priori si
diè sentenzia, e ssi baciaro in bocca faccendo
pace.
L. 12, cap. 104 rubr.Come il marchese di Monferrato tolse la città d'Asti
al re Ruberto.
L. 12, cap. 104Nel detto anno, a dì XXVI di settembre, il marchese
di Monferrato tolse la città d'Asti, e fecela rubellare
al re Ruberto, per cui si tenea, e furonne cacciati
quelli dal Soliere di sua parte e' Guelfi. E furonne signori
i Gottineri e' Ghibellini. E lla cagione fu perché
il re Ruberto per sua avarizia non pagava le sue
masnade che vi tenea, onde al bisogno non feciono
retta né difesa, ch'avieno pegno l'armi e cavalli. La
qual perdita fu gran danno a· rre Ruberto per le sue
terre di Piemonte e a tutta parte guelfa di Lombardia.
L. 12, cap. 105 rubr.D'accordo e lega fatta da' Fiorentini a' Perugini.
L. 12, cap. 105Nel detto
anno,
a dì
VI di novembre, i Fiorentini
feciono lega e compagnia co' Perugini per lo nostro
vescovo e altri ambasciadori di Perugia, e di nostri
a
Licignano di Valdambra, e
quitarono i Perugini
a'
Fiorentini ogni ragione dell'aquisto d'
Arezzo, rimanendo
a' Perugini libero Licignano d'
Arezzo e 'l
Monte San Savino e altre castella d'
Arezzo che si teneano.
L. 12, cap. 106 rubr.Di certi ordini della lezione de' priori di Firenze, i
quali furono corretti per lo migliore.
L. 12, cap. 106A dì XXIII di dicembre del detto anno si fece parlamento
in Firenze, ove si corresse l'ordine della
elezzione di priori e di XII loro consiglieri
e di gonfalonieri delle compagnie, i quali in prima com'erano
eletti, erano i loro nomi iscritti in polizze, e messe in
borse, e per sesti. A' tempi, quando si traieno per
detti ufici, si rimettieno in altre borse, infino che tutti
n'erano tratti; e poi ricominciavano, sicché si può
dire ch'erano a vita, ch'era sconcia cosa e disonesta a
volere gli eletti signoreggiare la replubica sanza dare
parte agli altri così o più degni di loro. E corressesi
che come fossono tratti la prima volta si stracciasse
la polizza del loro nome, e alla riformazione delli ufici
si rimettano da capo allo squittino cogli altri insieme.
E ffu ben fatto per levare la superbia e tirannia
a' cittadini reggenti.
L. 12, cap. 107 rubr.
Come le città della Marca uccisono e cacciarono i loro
tiranni e feciono popolo.
L. 12, cap. 107In questo anno, del mese di febraio, quasi tutte le
terre della Marca d'Ancona feciono popolo, e uccisono
Marcennaio che signoreggiava Fermo e meser
Accorrimbono da Tolentino, e quello da Mattelica e
il marchese; e i tiranni che quelli popoli non poterono
uccidere cacciarono inn esilio.
L. 12, cap. 108 rubr.Come la gente del re Ruberto presono l'isola di Lipari
e sconfissono i Messinesi.
L. 12, cap. 108Nel detto
anno,
a dì
XVII di novembre, avendo la
gente
del re Ruberto presa l'isoletta di Lipari in Cicilia
e assediato il castello di quella e molto stretto, il
conte di
Chiermonte di Cicilia
colla forza de'
Missinesi
armò in Cicilia
VIII galee e
VII uscieri e
XL legni
con gente assai, e venne al soccorso di Lipari. E
ll'amiraglio
del re Ruberto, ch'era messer
Giufredi di
Marzano
conte di
Squillace,
maestrevolmente fece ritrarre
suo oste dal castello e ridurre al suo navilio
dall'una parte
del
golfo, e armò
XVIII galee e
VI
uscieri e una
cocca che v'avea, e diede luogo
a' Ciciliani,
sicché
forniro il castello con grande festa e
gazzara. La mattina apresso volendosi partire il
conte
di
Chiermonte per tornare
a Messina, l'amiraglio
del re Ruberto gli asalì, e lla battaglia fu in
mare
aspra e
dura. Alla fine i Ciciliani furono sconfitti e
morti, e preso il
conte di
Chiermonte con molta buona
gente di Messina, che pochi ne scamparo. E
arrendessi
il castello alle genti
del re Ruberto. E tornando
l'amiraglio
a Napoli, essendo sopra l'isola d'
Ischia,
fortuna forte gli prese e
menolli infino in
Corsica,
e
rupponvi
IIII galee feggendo
a terra cariche di prigioni,
che i più
iscamparo. Lasceremo alquanto di
fatti di
Firenze e dell'altre
novità d'Italia, e diremo
della
guerra dal re di
Francia
a quello d'Inghilterra e
suoi allegati
Fiamminghi e
Bramanzoni e
Anoieri.
L. 12, cap. 109 rubr.Come si ricominciò la guerra dal re di Francia a
quello d'Inghilterra e suoi allegati.
L. 12, cap. 109Nel detto
anno,
a dì
VIIII di dicembre, i
Fiaminghi
e
Brabanzoni
colli
Anoieri rifermaro lega insieme
contro al re di
Francia. E poi,
a dì
XXIII di gennaio,
Aduardo terzo re d'Inghilterra venne d'Analdo
a
Guanto, e
giurò alla detta lega, faccendosi nominare
re di
Francia per la
redità della madre, portando inn
insegne e
suggello l'arme di
Francia e d'Inghilterra
dimezzata. E poi,
a dì
XX di febraio, si partì di
Bruggia,
e
andonne in Inghilterra, promettendo di tornare
assai tosto con tutto suo isforzo. Partito il re d'Inghilterra,
la gente di
Francia ch'erano in Tornai corsono
infino
ad
Odanardo in
Fiandra all'
entrante d'
aprile
MCCCXL, faccendo arsione e gran
danno al paese.
Per la qual cosa quelli di
Bruggia e quelli di
Guanto per comune cogli altri
Fiaminghi vennero
ad
oste sopra Tornai, e stettonvi più dì
guastandolo intorno
V giorni. E in quelli giorni quelli d'Ipro col
conte di
Sofolco e con quello di
Salisbiera e altra
gente
del re d'Inghilterra cavalcaro sopra Lilla, e per
aguato furono sconfitti, e presi i detti
conti. Per la
qual cosa i
Fiaminghi, ch'erano
a oste sopra Tornai,
se ne partirono isconciamente. E poi in quelli giorni,
del mese d'
aprile, il
conte, e meser
Gianni d'Analdo,
e il signore di
Falcamonte cavalcaro in su il reame di
Francia infino
a
Rens, faccendo grande uccisione e
incendi, levando gran preda sanza contasto alcuno.
E poi,
IIII di maggio, il conestabole di
Francia con
gente d'arme assai
a cavallo e
a piè venne sopra
Valerzina
inn Analdo, e stettevi tre settimane faccendo
al paese grandissimo
danno. E così per
guerra guerriata
si consumaro gran parte di quelli paesi
a
danno
di
ciascuna parte.
L. 12, cap. 110 rubr.
Come il re d'Inghilterra sconfisse in mare l'armata
del re di Francia.
L. 12, cap. 110Li
anni di Cristo
MCCCXL, il dì di san Giovanni,
a
dì
XXIIII di giugno, il buono
Aduardo terzo re d'Inghilterra
arrivò in
Fiandra al porto della
Suina con
CXX cocche armate; ivi su
IIm cavalieri gentili uomini
e popolo infinito con molti arcieri inghilesi; e
trovovvi
l'armata
del re di
Francia, ch'erano da
CC cocche
con
XXX tra
galee di Genovesi e barche armate
a remi,
delle quali era amiraglio
Barbavara da
Portoveneri
grande corsale, il quale avea fatto grande
danno
in
mare sopra gl'Inghilesi e' Guasconi e'
Fiaminghi e
alle loro riviere, e presa l'isola
del
Gaggiante, ch'è alla
'ncontra della detta
Suina, e rubata e arsa, e
mortovi
più di
CCC Fiamminghi. Quelli di
Bruggia come
sentirono la venuta
del re d'Inghilterra, sì lli mandaro
loro ambasciadori alle
Schiuse, pregando per Dio
e per loro amore che non si mettesse
a battaglia contro
l'armata
del re di
Francia, ch'erano altrettanti e
più della sua, e più le
galee genovesi; e ch'elli attendesse
due giorni e riposasse sé e sua gente, e che di
presente
armerebbono
C cocche di buona gente in
suo aiuto, e potea avere sicura vittoria. Il valente re
non volle attendere, ma fece armare i suoi cavalieri e
sergenti, e partiti per le
navi, oltre
a' marinai, e cominciò
la battaglia francamente; la qual fu aspra e
dura,
durando tutto il giorno, che non si sapea chi
avesse il migliore, infino alla notte. Il franco re con
L
cocche bene armate di sua baronia, e riposato e fresco,
percosse la sera con piena
marea e
a
piene
vele
sopra i nimici sparti e stanchi
del combattere, e misseli
in
rotta e inn isconfitta; e tutti furo tra presi e
morti, che non ne scamparo se non
due
galee e
XX
barge, e cciò fu perch'elli era di notte, e'
Fiaminghi
v'erano tratti delle marine d'intorno, e co· lloro legni
e barche, e chiusono le
due bocche della
Suina intra
ll'
isola
del
Gaggiante, ch'è alla bocca
del porto,
alla terra ferma, sicché tutti rimasono
rinchiusi siccome
in una gabbia. E
rimasonvi tra morti e annegati
più di
Xm uomini, e più d'altrettanti presi dell'armata
del re di
Francia. E tutto il suo navilio e armi e arnesi
rimasono in preda
agl'Inghilesi e
a'
Fiaminghi.
L. 12, cap. 111 rubr.Come parte di Fiaminghi furono sconfitti a Santo
Mieri.
L. 12, cap. 111Per lo caldo della sopradetta vittoria que' di
Bruggia
e d'Ipro con meser Ruberto d'Artese vennero sopra
Santo
Mieri, che
dovea loro esere dato per trattato;
erano da
Xm a piè. In Santo
Mieri era il
duca di
Borgogna e 'l
conte d'
Armignacca con
MCC cavalieri.
Que' di
Bruggia assalirono una porta, che
dovea loro
essere data, e quella già presa, que' d'Ipro rimasi
adietro male ordinati, il
conte d'
Armignacca uscì
fuori
colla cavalleria per un'altra porta, e assalì que'
d'Ipro, i quali non ressono, ma si misero in fuga; e
poi sanza seguire la caccia asaliro que' di
Bruggia, i
quali feciono alcuna retta, e
morinne più di
D; e veggendo
in fuga que' d'Ipro, e già era notte, si fuggiro
al loro campo sanza séguito di nemici; e lla notte per
paura si fuggiro verso Casella, e
llasciarono tutto il
loro campo, e cciò fu
a dì
XXVIII di luglio.
L. 12, cap. 112 rubr.Come il re d'Inghilterra co' suoi allegati si puosono
ad assedio alla città di Tornai, e fu triegua da lloro al
re di Francia.
L. 12, cap. 112Lo re
Aduardo, avuta la detta vittoria di
mare, come
dicemmo adietro, non istette ozioso; incontanente
scese in terra con sua gente, e venne
a
Bruggia e
poi
a Guanto, e da'
Fiaminghi gli fu fatto onore, come
a lloro signore,
faccendogli omaggio come
a· rre
di
Francia. E llà fece
parlamento, dove fu il
duca di
Brabante e 'l
conte d'Analdo e tutti gli allegati, e
quivi ordinaro generale oste sopra la
città di Tornai;
e sanza indugio vi cavalcaro e
acamparsi intorno il
detto re d'Inghilterra, e il
duca di Brabante, e il
conte
d'Analdo, e il
duca di
Giullieri, e quello di
Ghelleri,
e il
conte di Los, e il sire di
Falcamonte, con più
baroni di
Valdireno d'Alamagna in quantità di più di
VIIIm cavalieri; e lle ville di
Fiandra, e di Brabante e
d'Analdo per comuni con più di
LXXXm d'uomini bene
armati, i più
a corazzine e barbute, e
fecionvi
IIII
campi; né già per quella piccola
rotta avuta
a Santo
Mieri non lasciaro, ma vigorosamente seguiro l'oste
del re d'Inghilterra. I
due campi furono di qua dal
fiume dello Scalto, e
due di là dal fiume, faccendo
grandi e più ponti in sulla riviera da potere andare
dall'una oste all'altra e potere avere spedita la vittuaglia
e guernigione dell'oste. In Tornai era il conestabole
di
Francia con bene
IIIIm cavalieri e
Xm sergenti
a piè, sanza i cittadini, ch'erano più di
XVm; e tra
quelli dentro e quelli di fuori ebbe molti assalti e
pugnazzi e badalucchi
a cavallo e
a piè; ma per la
molta gente ch'era nella
città, e bestie, e non proveduta
di
vettuaglla
a sofficienza, avea assai difetti. Onde
i cittadini si cominciarono
a
dolere al conestabole,
e che levasse loro l'assedio, o elli cercherebbono
loro accordo. Il conestabole mandò per soccorso al
re di
Francia, mostrandogli come la terra era per
perdersi. Il re
Filippo di
Valos vi venne al soccorso
in persona con più di
Xm cavalieri e popolo grandissimo,
e
acampossi presso alla
città
a una lega. Ma però
l'oste
del re d'Inghilterra e degli altri allegati non si
mossono, ch'erano molto aforzati i campi loro, e signori
del combattere e schifare la battaglia. I· rre di
Francia non potendo combattere co' nimici, né impedire
la vittuaglia
a' loro campi, né fornire Tornai
sanza grande
pericolo,
dubitò forte di perdere la terra.
E incontanente
cercò trattati d'accordo per mano
del
duca di Brabante con grosso spendio
a' caporali
delle Comuni di Brabante, che non erano così
costanti alla
guerra come i
Fiamminghi e li
Anoieri. Il
re d'Inghilterra non volea intendere trattato, conoscendo
che lla terra non si potea difendere né tenere
per difetto di vittuaglia; e avendo la
città di Tornai,
ch'è ssì forte e possente e acostata
a
Fiandra e Analdo
e al Brabante e all'altre terre dello 'mperio, e lla
chiave
del reame di
Francia, avea per vinta la
guerra;
che
'· rre di
Francia non avrebbe tenuta terra da
Compigno
i· llà. Ma i
Brabanzoni sentendo il trattato che
menava il loro
duca, e per la corruzione della moneta
del re di
Francia, come dicemmo dinanzi, feciono
punta falsa, e subitamente si levaro da campo e tornarono
i· lloro paese. Il re d'Inghilterra e gli altri allegati
veggendosi ingannato e
fallito da'
Brabanzoni, e
a· rre d'Inghilterra
fallia moneta, che i suoi uficiali di
là il ne tenieno
a
dieta e scarso, compié il trattato al
meglio che potero, faccendo triegua fino alla san
Giovanni all'avenire, rimettendosi della pace nel papa
e lla Chiesa di
Roma. E se infra 'l
termine non
fosse fatto l'accordo, riporre la
città di Tornai nello
stato ch'allora era, che non vi si trovò da
vivere per
VIII giorni. E così si giuraro le triegue e
ll'accordo
per li
due re e gli altri allegati, e llevarsi da oste
a dì
XXVI di settembre
MCCCXL. Ma llo re di
Francia non
tenne fede, ma come riebbe libero Tornai, il fece
fornire per
II anni; e poi andaro di triegue in triegue,
e altre
mutazioni di guerre, come 'nanzi per li tempi
faremo menzione. Lo re d'Inghilterra ristette in
Fiandra infino
a mezzo novembre, che si partì dalle
Schiuse, e
andonne inn Inghilterra. E incontanente
fece prendere i suoi
tesorieri e uficiali, che no· ll'aveano
ben fornito di moneta, e tolse loro molti danari.
L. 12, cap. 113 rubr.Come l'armata del re d'Ispagna quasi perì per fortuna.
L. 12, cap. 113Nel detto anno, del mese d'aprile, mandando il re
d'Ispagna sua armata di LXXX galee sopra i Saracini
di Granata, che teneano monte Giobeltaro, acciò
che no· llo potessono venire a fornire i Saracini di
Setta, grande fortuna di mare li soprese; e lli percossono
a tterra e ruppono XXIIII galee con grande danno
de' Cristiani. Lasceremo alquanto de' fatti degli
oltramontani, e torneremo alquanto adietro a raccontare
delle novità state in questi tempi alla nostra
città di Firenze e per l'altra Italia.
L. 12, cap. 114 rubr.Di grande mortalità e carestia che ffu in Firenze e
d'intorno, e d'una cometa ch'aparve.
L. 12, cap. 114In detto
anno
MCCCXL, all'uscita di marzo, aparve
inn aria una
stella cometa in verso levante nel fine
del
segno
del
Virgo e
cominciamento della Libra, i
quali sono segni
umani, e mostrano i beni sopra i
corpi
umani di grande
ditreazione e
morte,
come diremo apresso; e
durò la detta commeta pochi mali,
ma assai ne seguiro di male significazioni sopra le
genti, e spezialmente alla nostra
città di
Firenze. Che
incontanente cominciò grande mortalità, che quale si
ponea malato, quasi nullo ne scampava; e
morinne
più che il
sesto di cittadini pure de' migliori e più
cari,
maschi e femmine, che non rimase famiglia ch'alcuno
non ne morisse, e dove
due o ttre e più; e
durò
quella
pestilenza infino al verno vegnente. E più di
XVm corpi tra maschi e femmine e fanciulli se ne sepellirono
pure nella
città, onde la
città era tutta piena
di pianto e di dolore, e non si intendea apena
ad
altro, ch'
a sopellire morti. E però si fece ordine che
come il morto fosse
recato alla chiesa la gente si partisse;
che prima stavan tanto che si facea l'
asequio, e
a tali la predica con
solenni ufici
a' maggiorenti; e
ordinossi che non andasse banditore per morti. In
contado non fu sì grande la mortalità, ma pure ne
morirono assai. Con essa
pistolenza
seguì la
fame e il
caro, agiunta
a quello dell'
anno passato; che con tutto
lo scemo di morti valse lo
staio
del grano più di
soldi
XXX, e più sarebbe assai
valuto, se non che 'l
Comune ne fece provedenza di farne venire di pelago.
Ancora aparì un altro
nuovo
segno; che
a dì
XVI
di maggio
del detto
anno, di mezzogiorno, cadde in
Firenze e d'intorno una gragnuola grossa e spessa,
che coperse le tettora, le terre e lle vie, alta come
grande
neve, e guastò quasi tutti i frutti. Per questa
mortalità,
a dì
XVIII di giugno, per
consiglio
del vescovo
e di riligiosi si fece in
Firenze generale processione,
ove furono quasi tutti i cittadini sani maschi e
femmine col corpo di Cristo ch'è
a Santo Ambruogio,
e con esso s'andò per tutta la terra infino
a ora
di nona, con più di
CL torchi accesi. E poi apresso
agiunsono di mali segni, che lla mattina di san Giovanni
essendo uno grande e ricco
cero in su uno carroccio
fatto per li signori della moneta per offerere
a
san Giovanni, si stravolse sprovedutamente con tutto
il
carro, e cadde in su' gradi della porta de' priori, e
tutto si
spezzò; e bene fu
segno
dovea cadere la moneta
de' Fiorentini e rompere quelli che lla guidavano,
come
seguì apresso poco tempo con gran
danno
de' Fiorentini. Quella mattina in San Giovanni cadde
uno palchetto, che v'era fatto di costa dal coro,
dov'erano su tutti i cantori
cherici ch'
uficiavano, e
molti se ne
magagnaro delle persone. E poi s'agiunse
male sopra male, che
a dì
XX di luglio apresso la notte
seguente s'aprese uno gran fuoco in Parione, e valicò
nella gran ruga da San Brancazio, ove si facea
l'
arte della lana, insino presso alla chiesa, ove arsono
XLIIII case con gran
danno di
mercatantie, panni e
lane, e
maserizie, e di case e palazzi. I Fiorentini isbigottiti
e impauriti per li detti segni e
danni e
ll'
arti
e lle
mercatantie non istettono mai peggio per guadagnare;
quelli che reggeano il Comune, per
conforto
di riligiosi per mostrare alcuna piatà, ordinarono
che ssi traessono certi sbanditi di
bando, pagando al
Comune certa gabella, e che' beni de' rubelli ch'erano
in Comune fossono renduti alle vedove e
a'
pupilli,
a ccui
succedeano; ma non fu perfetta la grazia e
misericordia, che
dovesse piacere
a dDio, però che ssi
dovea
ristituire il prezzo che in prima li avieno per
ordini fatti ricomperare dal Comune alle dette vedove
e
popilli, e non si fece; onde non ristettono
a tanto
le nostre
pestilenze, che per le nostre
peccata ne
seguirono assai apresso, come inanzi leggendo si troverranno,
che avenne poi in più casi che i
vivi ebbono
astio de' morti per le soperchie tribolazioni
occorse
alla nostra
città. Lasceremo alquanto de' fatti
di
Firenze, e diremo d'altre
novità d'intorno, tornando
assai tosto
a seguire dell'aversità ch'avennono alla
nostra
città di
Firenze
L. 12, cap. 115 rubr.
Come li Spuletani levaro da oste inn sconfitta quelli
di Rieti.
L. 12, cap. 115Nel detto anno, all'uscita di giugno, il conte di
Triveti del regno di Puglia, essendo per lo re Ruberto
vicaro nella città di Rieti, essendo posto ad oste
sopra il castello di Luco co' cittadini di Rieti insieme,
li Spuletini co· lloro amistà vennero al soccorso di
quello, e sconfissono il detto conte e quelli di Rieti,
con gran dannaggio di presi e di morti.
L. 12, cap. 116 rubr.Come messere Attaviano de' Belforti si fece signore
di Volterra.
L. 12, cap. 116Nel detto
anno,
a dì
VIII di settembre, nella
città
di Volterra si levò romore, e ffu
ad arme e battaglia
cittadina. L'una parte era capo meser
Attaviano di
quelli di
Belforte, che sse ne volea fare signore; e dall'
altra parte il vescovo suo nipote nato per femmina,
con certi popolani che volieno
vivere in libertà; ma lla
tirannia
colla forza di forestieri invitati per meser
Attaviano furono vincitori, e cacciarne il vescovo e'
suoi seguaci, i quali si ridussono in
Berignone suo
castello, e meser
Attaviano si fece signore della
città,
e poi
seguitandoli, onde
seguì assai di male; e fece il
detto meser
Attaviano uccidere
due fratelli
del vescovo
a
tradimento
avendoli
sicurati, costrignendoli
per avere il detto castello di
Berignone ch'elli avea
asediato; e 'l vescovo che v'era dentro soferse innanzi
di
vederli morire che rendere il castello.
L. 12, cap. 117 rubr.Come certe galee di Genovesi sconfissono i Turchi.
L. 12, cap. 117Nel detto anno XII galee di Genovesi ch'erano ite
in Romania per loro mercatantia, ritrovandosi nel
mare Maggiore di là da Gostantinopoli con CL o più
legni tra grossi e piccoli armati di Turchi saracini, i
Genovesi francamente l'assalirono e missogli inn
isconfitta faccendo di loro grande molesta d'ucciderli,
ed annegarli in mare, dove ne rimaseno morti più
di VIm, e guadagnarono i Genovesi molta roba e danari.
In questo anno VI altre galee di Genovesi ch'andavano
in Fiandra furono prese dall'armata dell'Inghilesi
a Samavi in Brettagna, e perdervi il valere di
CCm di fiorini d'oro; e così va della fortuna della
guerra di mare.
L. 12, cap. 118 rubr.
Come in Firenze fu fatta una grande congiurazione,
e lla città fu a romore e ad arme.
L. 12, cap. 118Tornando
a nostra matera in raccontando l'aversità
occorse alla nostra
città di
Firenze in questi tempi
per lo suo male
reggimento, mi fa molto turbare la
mente sperando peggio per l'avenire. Considerando
che per segni
del
cielo, né per
pistolenze di diluvio,
né di mortalità, e di
fame, i cittadini non
pare che temano
Iddio, né si
riconoscano di loro difetti e peccati;
ma al tutto abandonata per loro la santa carità
umana e civile, e solo
a baratterie e tirannia con
grande avarizia reggere la republica. Onde mi fa temere
forte
del giudicio d'Iddio. E acciò che meglio
si possano intendere le
motive delle
disensioni e delle
novità
occorse, e perché sia
assempro
a que' che
sono
a venire, acciò che mettano
consiglio e riparo
a
simili casi, sì il
narreremo brievemente il difetto
del
male
reggimento ch'allora era in
Firenze, e quello ne
seguì di male, bene che non sia però
scusa di mali
adoperanti contra il Comune. Per difetto di mali uficiali
e reggenti la
città di
Firenze si reggea allora e
poi un tempo per
due per
sesto di maggiori e più
possenti popolani grassi. Questi non volieno
a
reggimento
né pari né compagnoni, né all'uficio
del priorato
né
agli altri conseguenti ufici mettere, se non cui
a lloro piacea, che facessono
a lloro volontà,
schiudendo
molti de' più degni di loro per senno e per
virtù, e non
dando parte né
a grandi né mezzani né
minori, come si
convenia
a buono
reggimento di Comune.
E oltre
a questo, non bastando loro la signoria
del podestà, e quella
del capitano
del popolo, e
quella dell'
asecutore degli ordini della giustizia contro
a' grandi, ch'erano ancora di soperchio
a buono
reggimento comune, si
criarono l'uficio
del capitano
della guardia; e
a cciò
elessono e feciono ritornare in
Firenze messer Iacopo
Gabrielli d'
Agobbio, uomo
sùbito e crudele e carnefice, con
C uomini
a cavallo e
CC a piè al soldo
del Comune, ed elli con grosso
salaro,
acciò che facesse
a senno de' detti reggenti. Il
quale
a guisa di tiranno, o come
esecutore di tiranni,
procedea di fatto in civile e
cherminale
a sua volontà,
come gli era posto in mano per li detti reggenti,
sanza seguire
leggi o statuti, onde molti innocenti
condannò
a
ttorto inn avere e in persona, e tenea i
cittadini grandi e piccoli in grande tremore, salvo i
suoi reggenti, che col suo bastone faceano le loro
vendette e talora l'offese e lle baratterie; non
ricordandoci
noi Fiorentini ciechi, overo
infignendoci di
ricordare quello di male ch'avea operato il detto meser
Iacopo al simile uficio l'
anno
MCCCXXXV, e poi
mesere
Accorrimbono: onde per loro difetto era fatto
divieto
X anni, e no· llo oservaro. Di questo
inniquo
uficio e
reggimento erano mal
contenti i più di
cittadini, e
massimamente i grandi e possenti; e però
certi grandi cercaro
cospirazione in
città per abattere
il detto
mesere Iacopo, e suo uficio e suoi seguaci
reggenti. E più tosto li fece muovere, che in que'
tempi fu condannato per lo detto
mesere
Iacopo
mesere Piero de' Bardi in libre
VIm, perch'avea offeso un
suo fedele da
Vernia, non
istrettuale di
Firenze, onde
gli parve ricevere torto. E meser Andrea de' Bardi
era costretto di rendere al Comune il suo castello di
Mangone, ch'elli s'avea comperato. Questi Bardi erano
di più possenti cittadini di
Firenze d'avere e di
persone; e di loro danari aveano comperato dalla figliuola
d'Alberto
conte
Vernia e Mangone, e il castello
dal Pozzo da'
conti da Porciano, onde il popolo
di
Firenze era male
contenti, però che il Comune
vi
cusava suso ragione, come inn adietro inn alcuna parte
facemmo menzione. Per lo detto sdegno e superbia
di Bardi, e simile di
Frescobaldi, per una
condannagione
fatta
a meser
Bardo
Frescobaldi di libre
IIImDCC per la pieve
a San
Vincenzo (dissero
a
ttorto
furono capo della detta congiura e
cospirazione, con
tutto ch'assai dinanzi fosse
conceputo per lo male
reggimento, come detto è adietro). Co' detti Bardi
teneno parte di
Frescobaldi e di Rossi, e di più case
di grandi, e d'alcuna possente di popolani di qua da
Arno; e rispondea loro il
conte
Marcovaldo, e più
suoi
consorti da'
conti
Guidi, i
Tarlati d'
Arezzo, i
Pazzi di Valdarno,
Ubertini,
Ubaldini,
Guazalotri da
Prato, i
Belforti di Volterra e più altri, e
ciascuno
dovea
venire con gente
a cavallo e
a piè in gran quantità,
e mandare la notte di Tutti Santi; e lla mattina vegnente,
come le genti fossero allo
esequio de' morti,
levare il romore e correre la
città, e uccidere
mesere
Iacopo
Gabrielli e' caporali de' reggenti, e abattere
l'uficio di priori e rifare in
Firenze
nuovo stato, e cchi
disse disfare il popolo. E sarebbe loro venuto fatto
certamente per la loro forza e séguito, se non che
'l sopradetto meser Andrea de' Bardi, o che lli paresse
mal fare, o per altra cagione o quistione con suoi
consorti,
manifestò la detta congiura
a Iacopo degli
Alberti suo cognato e di caporali reggenti. Incontanente
il detto Iacopo il rivelò
a' priori e
agli altri suoi
compagni reggenti, essi guerniro d'armi e di gente,
essendo la
città in gran paura e sospetto, e
ciascuna
parte
temea di cominciare. Ma acciò ch'
a' congiurati
non giugnesse il loro sforzo, il dì d'Ognisanti nel
MCCCXL, in sull'ora di vespro, i caporali de' reggenti
salirono in sul palagio de' priori, e quasi per forza feciono
sonare
a
stormo la campana
del popolo, che
alcuno di priori amici de' Bardi la
contesono assai,
ciò fu meser Francesco
Salvesi e
Taldo
Valori, l'uno
priore e
ll'altro gonfaloniere per porta San Piero; onde
molto furon ripresi di
presunzione, e cche sentissono
il trattato. Come la campana cominciò
a sonare,
tutta la
città fu commossa
a romore, e
ad arme
a
cavallo e
a piè, in sulla piazza de' priori co' gonfaloni
delle compagnie, gridando: «
Viva il popolo e
muoiano i traditori!». E incontanente feciono serrare
le porte della
città, acciò che gli amici e soccorso
de' congiurati non potessono
entrare nella
città, i
quali i più erano in
via e presso alla terra per
entrare
la notte con gran forza di gente. I congiurati veggendo
scoperto il loro trattato e
fallito il loro aiuto, che
quasi nullo di loro congiurati di qua dall'Arno rispuose
loro né ssi scopersono per paura
del popolo,
e 'l popolo commosso
a furore contro
a' congiurati,
si tennero morti, e intesono solo al loro scampo e riparo,
guardando i detti casati d'Oltrarno i
capi de'
ponti, saettando e uccidendo chi di là volesse passare;
e misono fuoco
a capo di
due ponti di legname,
ch'allora v'erano, l'uno contra le case de'
Canigiani
e
ll'altro di
Frescobaldi; acciò che 'l popolo
nogli assalisse,
credendosi tenere il
sesto d'Oltrarno tanto
che 'l soccorso venisse. Ma cciò venne loro
fallito,
che i popolani d'Oltrarno francamente gli
ripugnaro,
e tolsono loro i ponti
coll'aiuto di popolani di qua
dall'Arno, ch'andaro i· lloro aiuto per lo ponte alla
Carraia. Messer Iacopo
Gabrielli capitano si stava
armato
a ccavallo in sulla piazza
colla cavalleria, con
gran paura e sospetto, sanza usare alcuno argomento
o riparo di savio e valente capitano; istando fino alla
notte quasi come stupefatto; onde molto fu biasimato.
Ma il valente messer
Maffeo da Ponte
Carradi, allora
nostro podestà, francamente con sua compagnia
armato
a cavallo passò il ponte Rubaconte con
pericolo
grande e
rischiò di sua persona, e parlò
a' congiurati
con savie parole e cortesi minacce, li
condusse
la notte sotto sua
sicurtà e guardia
a partirsi fuori
della
città per la porta da San Giorgio, sanza quasi
romore d'uomini o spargimento di sangue, o incendio
o ruberie, onde molto fu commendato, ch'ogni
altro modo era con grande
pericolo della
cittade. E
come furono partiti, il popolo s'
aquetò, e l'altro di
apresso fatta di loro
condannagione si disarmaro i
popolani, e
ciascuno fece i suoi fatti come prima. Per
sì fatto modo guarentì Idio la nostra
città di grande
pericolo, non guardando
a' nostri peccati e male
reggimento
di Comune; ma per non essere di tanto benificio
grati
a dDio, la detta congiura ebbe apresso
di male
sequele
a
danno della nostra
città, come
inanzi si farà menzione.
L. 12, cap. 119 rubr.Chi furono i congiurati che furono condannati.
L. 12, cap. 119Partiti i detti congiurati, il dì apresso si tenne
consiglio
come si
dovesse procedere contro
a lloro; per
lo migliore
del Comune si prese di non fare grande
fascio, però ch'
a troppi cittadini sarebbe toccato, che
sentiro la detta congiura e ss'
aparecchiarono con arme
e
cavalli, ma non si mostrarono; ma solamente si
procedesse contro
a quelli caporali che si mostraro e
furono in arme, i quali furono citati e richesti; e non
comparendo subitamente furono condannati nell'avere
e nelle persone, siccome ribelli e traditori
del
loro Comune. I quali furono la prima volta l'infrascritti:
messere Piero di meser
Gualterotto de' Bardi
e Bindo e
Aghinolfo suoi fratelli, Andrea e
Gualterotto
di
Filippozzo e Francesco loro nipote, messer
Piero di
Ciapi suo nipote, messer
Gerozzo di meser
Cecchino e meser Iacopo di meser
Guido,
mesere Simone
di
Gerozzo, ma non v'ebbe colpa di certo; Simone
e Cipriano di
Geri, e Bindo di
Benghi, tutti
della casa de' Bardi; messer Iacopo priore di Sa· Iacopo,
messer
Albano, messer Agnolo
Giramonte e
Lapo suoi nipoti, messer
Bardo
Lamberti,
Niccolò e
Frescobaldo di
Guido, Giovanni e Bartolo di
mesere
Fresco, Iacopo di Bindo e
Geri di
Bonaguida,
Mangeri
di meser
Lapo, tutti di
Frescobaldi; e Andrea
Ubertelli, Giovanni di
Nerli, ser
Tomagno degli
Angiolieri,
capellano
del detto priore,
Salvestrino e Ruberto
di Rossi, più de' suoi
consorti che vi tenieno
mano, non si mostrarono; di qua dall'Arno non si
mostrò alcuno. I loro palazzi e beni in
città e in
contado
a ffurore furono disfatti e guasti. E
ordinossi
con tutte le terre vicine guelfe e quelli della lega di
Lombardia che non
ritenessono i detti
nuovi ribelli.
E di ciò feciono il peggiore, per la qual cosa i detti
n'andaro i più
a
Pisa, e il priore
a
corte di papa
a
procurare quanto poterono in detto e in fatto contro
al Comune di
Firenze. Per la detta diliberazione della
nostra
città per lo Comune
a dì
XXVI di novembre
si fece una grande processione e offerta
a San Giovanni
per tutte l'
arti, e s'ordinò ch'ogni
anno per l'Ognisanti
si facesse; e
ordinossi di
trarne di
bando gli
sbanditi per certa gabella per fortificare il popolo;
che ffu gran male
a recare in
città molti rei uomini e
mafattori. Ma altro rimedio ci voleva per
apaciare
Iddio,
a llui la gratitudine e tra' prossimi cittadini la
carità, ma
ad altro s'intese; e
ordinossi che ogni popolano
che potesse fosse armato di corazze e barbute
alla
fiamminga, e
impuosone
VIm, e molte balestra
per fortificare il popolo. E
del mese di gennaio seguente
il Comune comperò Mangone da meser Andrea
de' Bardi
VIImDCC fiorini d'oro,
scontandone
MDCC che 'l Comune v'avea spesi inn acconcime
inanzi si rendesse
a messere
Benuccio
Salimbeni
marito
della detta
contessa da Mangone. E il castello di
Vernia s'
arrendé al Comune di
Firenze
pagandone
a
meser Piero de' Bardi, che v'era dentro asediato, fiorini
IIIImDCCCLX d'oro. E fecesi
dicreto per lo Comune
che nullo cittadino potesse aquistare o tenere castello
di fuori di nostro
contado e
distretto di lungi il
meno per venti miglia. E
del detto mese di gennaio
furono condannati
VIIII di
conti
Guidi ch'avieno tenuta
mano alla sopradetta congiura; e furo quasi tutti
i loro caporali, salvo il
conte Simone e
Guido suo
nipote da Battifolle che non assentiro alla detta congiura.
Di ciò furono ripresi molto da' savi quelli che
governavano la
città, di condannare i nostri possenti
vicini i
conti
Guidi,
a
recarline
a scoperti nimici di
quello peccato che non condannaro i nostri cittadini
ch'erano colpevoli, come co loro alla detta congiura;
bene s'
aparecchiarono in arme co· lloro fedeli per venire
a
Firenze. E poi più d'un
anno apresso fu scoperto
un altro trattato co' detti
nuovi ribelli, onde fu
preso Schiatta de'
Frescobaldi, e tagliatogli il capo, e
condannati
Paniccia di Bernardo, e Iacopo di
Frescobaldi,
e
Biordo di meser Vieri, e Giovanni Ricchi
de' Bardi, e Antonio degli
Adimari, e Bindo di Pazzi,
tutti come ribelli. Lasceremo alquanto de' nostri fatti
di
Firenze, ch'assai ce n'è
convenuto dire
a questa
volta, faccendo
incidenzia per dire alquanto d'altre
novità
istate in questi tempi per l'universo; ma tosto
vi torneremo
a dire, ch'assai ci cresce materia
a' nostri
fatti.
L. 12, cap. 120 rubr.Come il re di Spagna sconfisse i Saracini in Granata.
L. 12, cap. 120Nel detto anno, in calen di novembre, furono
sconfitti i Saracini di Setta e dell'altro paganesimo di
Barberia e di Levante ch'erano passati di qua da mmare,
innumerabile quantità, al soccorso di quelli di
Granata, per lo buono re di Spagna; e rimasene tra
morti e presi più di XXm, con molto tesoro e arnesi di
Saracini.
L. 12, cap. 121 rubr.
Come arse Portoveneri.
L. 12, cap. 121Nel detto anno, il dì di calen di gennaio, s'aprese
fuoco in Portoveneri nella riviera di Genova, e ffu sì
impetuoso, che non vi rimase ad ardere casa piccola
o grande, salvo i due castelli, overo rocche, che
v'hanno i Genovesi, con infinito danno d'avere e di
persone, e non sanza giudicio di Dio, che quelli di
Portoveneri erano tutti corsali, e pirati di mare, e ritenitori
di corsali.
L. 12, cap. 122 rubr.Come in Firenze si feciono due capitani di guardia.
L. 12, cap. 122Nel detto
anno, in calen di febraio, si partì di
Firenze
il tiranno, meser Iacopo de'
Gabrielli d'
Agobbio,
ricco delle sangui de' Fiorentini ciechi, che più
di
XXXm fiorini d'oro si disse ne portò
contanti. Ver'è
che per la sua partita i savi rettori di
Firenze
corressono
il loro errore
del suo tirannico uficio, e
scemaro
le spese
del Comune, overo le
radoppiarono, che là
dove prima avieno uno bargello per loro
esecutore
ne
elessono
due, l'uno
a petizione
del detto meser
Iacopo e suo
parente (ciò fu meser
Currado della
Bruta, capitano della guardia in
città per
arricchire la
povertà di Marchigiani), l'altro
a guardia in
contado
sopra gli sbanditi, meser
Maffeo da Ponti
Carradi di
Brescia stato nostro podestà: questi n'era più degno
per le sue virtù e operazioni; ma
ll'uno e
ll'altro uficio
era d'
oltraggio e
a grande
danno e spesa
del Comune.
Ma i reggenti cittadini per mantenere le loro
tirannie, e tali di loro baratterie, come dicemmo
adietro, gli
sostenieno
a tanto
danno di Comune e
gravezza di cittadini per essere temuti e grandi. Ma
poco apresso Iddio ne mostrò giudicio assai aperto
per le loro prave operazioni,
a gran
danno e vergogna
e
abasamento
del nostro Comune, come inanzi
faremo menzione. Ma
gravami che non fu sopra le
loro persone propie, com'erano degni i mali operanti,
e come toccò
ad alquanti di loro. Ma Iddio si riserba
e non lascia nullo male impunito, bene non sia
a tempi e piacere de'
disideranti; e spesso
pulisce il
popolo per li peccati de' rettori, e non sanza giusto
giudicio, però che il popolo è bene colpevole
a
sostenere
le male operazioni di loro reggenti; e questo basti
a tanto.
L. 12, cap. 123 rubr.
Come i Pugliesi e' loro seguaci furono cacciati di
Prato.
L. 12, cap. 123Nel detto anno, del mese di febraio, i Guazaliotri
di Prato col caldo e favore di certi Fiorentini levarono
a romore la terra di Prato per sospetto de' Pugliesi
e Rinaldeschi loro vicini, overo per rimanerne signori;
e battaglia ebbe nella terra, e morivvi alquanti
dell'una parte e dell'altra; alla fine i detti Pugliesi e
Rinaldeschi co· lloro seguaci furono cacciati della terra,
e molti altri fatti confinati, e' Guazzalotri ne rimasono
signori.
L. 12, cap. 124 rubr.Come la città di Lucca volle essere tolta a messere
Mastino da Verona.
L. 12, cap. 124Nel detto
anno e mese di febraio meser Francesco
Castracani delli
Interminelli
ordinò col favore di Pisani
di torre la
città
a
mesere Mastino con alcuno
trattato d'
entro, vegnendo di fuori con gente assai
a
cavallo e
a piè.
Guiglielmo
Canacci vicario di meser
Mastino scoperto il trattato prese il
Ritrilla delli
Uberti e
XIII cittadini, che vi teneano mano, e
corse
e guarentì la terra, come piacque
a dDio per
riserballa
a' Fiorentini per loro grande
danno e vergogna,
come in poco tempo apresso si potrà trovare. E poi
il detto
Guiglielmo fece oste in
Carfagnana, e tolse
più terre che tenea il detto meser Francesco
Castracani.
L. 12, cap. 125 rubr.Come il castello di San Bavello s'arrendé a' Fiorentini.
L. 12, cap. 125Nell'anno di Cristo MCCCXLI, a dì XV d'aprile, i
Fiorentini avendo fatto porre oste al castello di San
Bavello di Guido Alberti di conti Guidi, infino che
fu condannato cogli altri conti, come dicemmo poco
adietro, per cominciare l'esecuzioni delle loro condannagioni,
essendo molto stretto, e non attendea
soccorso, s'arrendé al Comune di Firenze salve le
persone. Il quale feciono tutto diroccare per ricordo
e vendetta contro al detto Guido: che più tempo dinanzi
avendo il Comune di Firenze per sua lettera
richesto e citato il detto Guido per alcuna cagione,
per dispetto del nostro Comune nel detto San Bavello
dinanzi a più suoi fedeli al messo del Comune fece
mangiare la detta lettera con tutto il sugello, e poi
accomiatandolo villanamente, dicendo per dispetto
del Comune, se più vi tornasse, o egli o altri, gli farebbe
impiccare per la gola; onde sentendosi in Firenze,
grande sdegno ne venne quasi a tutti i cittadini.
L. 12, cap. 126 rubr.
D'uno fuoco s'aprese in Firenze.
L. 12, cap. 126Nel detto anno, la notte seguente di calen di maggio,
s'aprese il fuoco in Terma in una casa ch'abitava
Francesco di meser Rinieri Bondelmonti, e arsonvi
IIII suoi fanciulli maschi con ciò ch'elli v'avea, non
potendoli iscampare; onde fu una grande pietade;
ma non sanza giudicio di Dio, che 'l detto Francesco
aveva occupata la detta casa e tolta a una donna vedova
cui era; ma il peccato fu delli innocenti figliuoli,
che portarono la pena a' loro corpi della colpa del
padre.
L. 12, cap. 127 rubr.Come mesere Azzo da Coreggia rubellò e tolse Parma
a meser Mastino.
L. 12, cap. 127Nel detto
anno, tornando da Napoli dal re Ruberto
mesere
Azzo da Coreggia di Parma, avendo trattato
col re e
colli ambasciadori di meser
Luchino ch'erano
a Napoli lega e compagnia, e di rubellare Parma
a meser Mastino. Valicò per
Firenze chiusamente,
e poi ristette alla
Scarperia in Mugello per
VIII dì,
tenendo trattato e
ragionamento con certi nostri cittadini
reggenti di torre e rubellare la
città di Parma
a
meser Mastino suo nipote e benefattore per esserne
al tutto signore; che meser Mastino l'avea tolta
a'
Rossi e
a Gran Quirico, e rimessi que' da Coreggia
suoi zii in Parma, tutto ne volesse esere signore e sovrano.
I Fiorentini intesono al trattato e
favorallo,
isperando come Parma fosse tolta
a meser Mastino
di potere avere agevolmente la
città di Lucca; il detto
meser
Azzo ci tradì poi, come si vedrà pe' suoi
processi. E com'elli fu in Lombardia
diè compimento
all'opera
coll'aiuto di quelli da
Gonzago signori di
Mantova e di Reggio, e fatti nimici di quelli della
Scala. E
a dì
XXII di maggio
datali l'
entrata di Parma
da quelli di sua parte dentro,
corse la terra, e con
tradimento ne cacciò la gente di meser Mastino che
di lui non si prendieno guardia, e fecesene signore.
Per la qual
mutazione di Parma si può dire fosse assediata
la
città di Lucca e quasi perduta per meser
Mastino, che no· lla potea fornire sanza grande
costo;
onde i Fiorentini si mostrarono molti allegri; ma non
sapeano il futuro che nne
dovea loro avenire. Messere
Mastino veggendosi tolta Parma, la quale
a llui era
la chiave e porta di potere
entrare
a sua posta in
Toscana,
e per quella forma
mantenea la
città di Lucca,
veggendo che no· lla potea tenere sanza suo gran
costo
e
pericolo, incontanente con savia e sagace pratica
cercò di venderla e co' Pisani e co' Fiorentini, che
a gara
ciascuno ne volea esere signore, e con
ciascuno
tenea trattato. I Pisani per paura di non volere i
Fiorentini vicini, e così di presso e
colla forza di
Lucca, temieno di loro stato, e cercarono in prima di
torla
a mezzo co' Fiorentini; ma tutto era con frode e
con vizio
Pisanoro. Ancora sentendo questa
cerca
meser
Luchino Visconti signore di
Melano, che ssi
facea nimico di meser Mastino, proferse
a' Fiorentini,
se lla
città di Lucca volessono asediare e
torla
a
meser Mastino, di
darne aiuto all'asedio
M de' suoi
cavalieri fermi, e volerne da lloro certa somma di
moneta; ed era il meglio
a
ffarlo per vendicarsi
del
tradimento
del Mastino; e venia tosto fatto con poco
affanno e spesa,
a comparazione di quello ne
seguì
poi. Ma i Fiorentini, non fidandosi dell'antico nimico,
non vi si vollono accordare, overo
nol
promisse il
divino
distino overo providenza. Ma i Fiorentini come
grandi e
llarghi e
sicuri mercatanti, e migliori
d'altre
mercatantie che di
guerra, vollono fare
a lloro
senno, e i Pisani il somigliante; onde fu e
seguì molto
male per l'uno Comune e per l'altro, ma più per li
Fiorentini in questo
anno medesimo e apresso, come
assai tosto faremo menzione,
spedite, prima di raccontare
altre
novità state d'intorno in questo tempo.
L. 12, cap. 128 rubr.Come il re Ruberto ebbe Melazzo in Cicilia per assedio.
L. 12, cap. 128Nel detto tempo, avendo il re Ruberto presa l'isola
di Lipari in Cicilia, come adietro facemmo menzione,
e veggendo per lo detto aquisto assai gli era
possibile d'avere
Melazzo che v'è alla 'ncontra, e
quello avuto potere più
strignere Messina, sì fece armare
a Napoli
XLV tra
galee e
uscieri, e più altro navilio
grosso e
minuto da portare foraggio e altro
guernimento d'oste, con
DC cavalieri e
M pedoni oltre
a'
marinieri. Col suo amiraglio partì di Napoli la
detta armata
a dì
XI di giugno
del detto
anno, e per
terra mandò il re in Calavra messer Ruggieri di
Sanseverino
con gente d'arme
a cavallo e
a piè per rinfrescare
l'armata, come avesse presa terra. La quale
armata giunse in Cicilia
a dì
XV di giugno, e bene
aventurosamente si puosono all'asedio della terra di
Melazzo per terra e per
mare, chiudendola dal lato
fra terra ove si ricoglie quasi
a isola per
ispazio d'uno
migliaio, con grande fosso e isteccati con molte bertesche;
e simile verso la terra di
Melazzo con fosso e
steccati, sicché non ne potea uscire né
entrare persona,
se non per furto, sanza gran
pericolo. E il navilio
era d'intorno alla guardia
del porto e della piaggia.
Melazzo era ben fornito e di gente d'arme e di vettuaglia
per più d'uno
anno, e poco curavano l'assedio;
ma lo re Ruberto il fece
continovare con molto
affanno e spendio, e fece cominciare
a far fare un
grosso
muro dentro al fosso e steccato detto dinanzi
sì che il campo era molto forte. E veggendo
don Piero
signore dell'isola che
ll'asedio pure
continovava, e
a quelli di
Melazzo
venia
fallendo la vittuaglia, tre
volte vi venne con tutto lo sforzo di Ciciliani
ad asalire
il campo, e simile feciono que' della terra dal lato
d'
entro; ma invano furono gli asalti, ma con gran
danno de' Ciciliani, per la fortezza
del campo e
rinfrescamento
che facea fare al continuo il re Ruberto
all'oste.
Fallendo la vettuaglia alla terra per lo lungo
assedio e per l'affanno
del detto osteggiare,
don Piero,
che ssi facea re di Cicilia, amalò e morìo. Per la
qual cosa
Melazzo s'
arrendé all'amiraglio
del re Ruberto
a dì
XV di settembre
MCCCXLI, salvo l'avere e le
persone, e di terrazzani e di forestieri. Il quale fu un
bello aquisto al re Ruberto, tutto gli costasse più di
Lm once d'oro; fece lasciare guernita la terra di gente
d'arme e di vittuaglia.
L. 12, cap. 129 rubr.Come messer Alberto della Scala andò sopra Mantova
e tornonne in isconfitta.
L. 12, cap. 129Nel detto
anno,
a dì
XI di giugno, messer Alberto
della Scala venne
ad oste sopra il mantovano con
M
cavalieri e
MD pedoni di masnade sanza i paesani,
per l'aiuto che quelli da
Gonzago signori di Mantova
aveano dato
a messere
Azzo da Coreggia, quando rubellò
Parma
a meser Mastino, mandando loro soccorso.
A' detti signori di Mantova, e
coll'aiuto di
quelli da
Melano, furono loro alla 'ncontra con
DCCC
cavalieri e popolo assai, e
ingaggiarsi di combattere.
Alla fine meser Alberto rifiutò la battaglia, e partissi
quasi inn isconfitta, lasciando ciò ch'avea nel campo
suo con gran
danno e vergogna.
L. 12, cap. 130 rubr.Come i Fiorentini patteggiarono di comperare Lucca
da meser Mastino, e mandaro però loro stadichi a
Ferrara.
L. 12, cap. 130Tornando
a nostra matera, mi
conviene raccontare
della folle impresa fatta per lo nostro Comune di
Firenze della
città di Lucca, come cominciammo
a
narrare nella fine
del terzo
capitolo iscritto adietro.
Avendo i caporali rettori di
Firenze
a mano il trattato
con meser Mastino della Scala di
comperare da llui
la
città di Lucca e 'l suo
distretto, ch'elli tenea libera
e spedita, la quale, come dicemmo adietro, tenea
bargagno co' Pisani e col nostro Comune di
darla
a cchi più glie ne
desse, si
criò in
Firenze,
del mese
di luglio
MCCCXLI, uno uficio di
XX cittadini popolani
a seguire il detto trattato con piena balìa di ciò fare,
e di fare venire danari in Comune per ogni
via e
modo ch'
a lloro paresse, e fare
guerra, e oste, e pace,
e lega, e compagnia, come e con cui
a lloro piacesse,
per
termine di loro uficio d'uno
anno, non possendo
essere
asindacati di cosa che facessono. La qual cosa
fu
confusione e
pericolo
del nostro Comune, come si
mosterrà apresso per loro processi. I nomi de' quali
non
ligisterremo in questo, però che non sono degni
di memoria di loro virtù o buone operazioni per lo
nostro Comune, ma
del contrario, come inanzi per le
loro operazioni si potrà vedere, acciò che' nostri successori
si guardino di dare le
sformate balìe
a' nostri
cittadini per lunghi tempi. Le quali per
isperienza si
manifesta per antico e per
novello essere la
morte e
abassamento
del nostro Comune, però che nulla fe'
o carità era rimasa ne' cittadini, e spezialmente ne'
reggenti,
a conservare la republica; ma
ciascuno alla
sua singularità o di suoi amici per diversi studi o modi.
E però cominciò
ad andare al dichino il nostro
Comune al modo di Romani, quando intesono alle
loro singularità e
llasciarono il bene comune. E non
sanza cagione, quando de' maggiori e de' più possenti
popolani di
Firenze diputati al detto uficio ne
furono capo ed
esecutori. Bene ve n'ebbe alcuni
tra lloro innocenti, secondo si disse.
Confermato il
detto uficio per
consigli, incontanente seguiro il trattato
con meser Mastino, e per ingannare i Pisani overo
noi medesimi, li si promisono e fermaro co' suoi
procuratori di dare
CCLm di fiorini d'oro in certe paghe;
avendo il nostro Comune debito
a dare
a' cittadini
per la
guerra
del Mastino più di
CCCCm di fiorini
d'oro; e potendola avere Lucca da' Tedeschi dal
Cerruglio l'
anno
MCCCXXVIIII, come dicemmo adietro,
per
LXXXm di fiorini d'oro, che ffu savia provedenza,
overo molto folle per lo nostro Comune; e
più ancora, essendo in quistione e in
bargagno co'
Pisani, e quasi come tutta guasta e assediata. E per
osservare i
patti
a
mesere Mastino
a dì
VIIII d'
agosto
del detto
anno mandarono
a
Ferrara sotto la guardia
de' marchesi, siccome amici e
mediatori dal nostro
Comune,
a meser Mastino
L stadichi:
II de' detti
XX
in persona, e
XVIII figliuoli o fratelli o nipoti degli altri
XX, e
XXX altri cittadini; de' quali
L stadichi v'ebbe
VII cavalieri e
X donzelli delle maggiori case di
Firenze,
e gli altri di maggiori e più ricchi popolani e
mercatanti della nostra
città. E noi autore di questa
opera, tutto ch'
a nnoi non si confacesse e fosse contra
nostra volontà, fummo
del detto
collegio e numero
per lo
sesto di porta San Piero, e istemmo in
Ferrara
due mesi e mezzo con più di
CL cavalli al continovo,
e
ciascuno con famigliari vestiti d'
assise, con
grandi e onorate spese, sperando d'avere gran vittoria
della detta impresa, e ricevendo grande onore da'
signori marchesi di
conviti al continuo. E meser Mastino
vi mandò uno suo figliuolo bastardo con
LX
stadichi gentili uomini di Verona e di Vincenza e
del
suo
distretto, o loro figliuoli. Ma non
comparivano
in
Ferrara apo i Fiorentini d'assai di nobiltà e d'orrevolezza.
I detti
XX, fatta la detta impresa, feciono al
continovo molte disordinate spese, gravezze
a'
singulari
cittadini di prestanze e d'imposte per essere forniti
di moneta; veggendosi venire in aspra
guerra co'
Pisani per la detta compera di Lucca, e' soldarono di
nuovo gente da cavallo e da piè d'arme in grande
quantità; e
spendieno ogni mese più di
XXXm fiorini
d'oro. E richiesono d'aiuto i vicini e lli amici. E nota,
lettore, se meser Mastino seppe fare savia e alta vendetta
della
guerra e ingiuria ricevuta da' Fiorentini
per lo suo tenere di Lucca,
vendendola loro per
ingordo
pregio, sì fatta medesima azione di Lucca assediata,
e con aspra
guerra co' Pisani e cogli altri loro
vicini e co' Lombardi suoi nimici, come apresso
faremo menzione, tornando alquanto adietro.
L. 12, cap. 131 rubr.Come i Pisani si puosono ad assedio alla città di
Lucca.
L. 12, cap. 131I Pisani sentendo al continuo il trattato che' Fiorentini
tenieno con messere Mastino d'avere la
città
di Lucca, ed ellino con meser Mastino non potendosi
accordare, riserbando la fortuna
a' Fiorentini la
mala derrata di Lucca
colle sue
sequele, nonn istettono
i Pisani oziosi, ma inanzi che' Fiorentini compiessono
la folle compera di Lucca, di più mesi si
providono, e incontanente soldarono cavalieri, sicché
da lloro ebbono
MCC cavalieri e
CCC cavallate di
cittadini. E cciò potieno bene fare, che il loro Comune
avea di mobile ragunati più di
CLm di fiorini d'oro,
e mandaro loro ambasciadori
a Milano, e feciono lega
e compagnia con meser
Luchino Visconti signore
di Milano e fatto nimico di meser Mastino. E nonn è
da dimenticare di mettere in nota uno crudele
tradimento
commesso per li Pisani per recarsi
ad amico
meser
Luchino. Uno messere Francesco da
Postierla
di nobili di Milano, cui n'avea cacciato, il quale ito
a
ccorte
a lamentarsi al papa, e volendo tornare in
Toscana, essendo amico al suo parere de' Pisani,
mandò
a lloro per navile che 'l levasse da Marsilia, e
per
sicurtà di suo salvocondotto il Comune di
Pisa
gli mandaro una loro
galea armata
passaggera, e
lettera
di salvocondotto, ove si ricolse. Arrivato
a
Pisa,
com'era ordinato il
tradimento con meser
Luchino,
incontanente il detto meser Francesco, uomo di
grande autorità e
valore, con
due suoi figliuoli i Pisani
mandaro legati
a Milano;
a ccui meser
Luchino fece
tagliare la testa. E per tale vittima si fece la lega e
compagnia da meser
Luchino e Pisani, della quale
per lo
innormo peccato commesso per li Pisani poco
apresso fu aperta vendetta fatta contro
a' Pisani, come
si troverrà leggendo. Ma il detto messer
Luchino
oltre
a cciò volle promissione da lloro di
L mila fiorini
d'oro in certi termini, e dierli
XII stadichi i Pisani
di figliuoli di loro
conti e di migliori e di più
cari cittadini
per osservare i
patti; e meser
Luchino mandò
loro
M cavalieri
colle sue
insegne
a soldo di Pisani, e
capitano meser Giovanni Visconti suo nipote. E' signori
di Mantova e di Reggio mandaro loro
CC cavalieri,
e quelli da Coreggia di Parma
CL cavalieri, e
meser Albertino da
Carrara di Padova
CC cavalieri
per contrari di meser Mastino; e feciono lega con
tutti i
conti
Guidi salvo col
conte Simone e 'l nipote,
e cogli
Ubaldini, e col signore di
Furlì, e cogli altri
Ghibellini di
Romagna, e col
dogio di
Genova, che
tutti diedono loro aiuto di cavalieri o di
balestrieri; e
tali
colle loro forze mossono
guerra e ruppono le
strade
a' Fiorentini; e cciò fu per
procaccio e trattato
di nostri
nuovi ribelli. E ciò fatto per li Pisani, come
seppono che i Fiorentini avieno fermo il
patto con
meser Mastino, e mandati gli
stadichi, di presente
a
dì
d'
agosto ebbono il castello
del Cerruglio,
quello di
Montechiaro per
IIIm fiorini d'oro ne spesono
a'
masinadieri che ll'aveano in guardia per meser
Mastino; e
guernirli di loro gente, per impedire gli
andamenti de' Fiorentini al soccorso di Lucca. E cciò
fatto, con tutta la loro cavalleria e popolo per comune
subitamente
a dì
d'
agosto
del detto
anno
vennero alla
città di Lucca, e
puosonvi l'assedio intorno
intorno, e 'n poco tempo apresso l'affossaro e
steccaro con bertesche dalla
Guscianella, che va
a
Pontetetto, infino al fiume
del Serchio, che ffu per
ispazio di più di
VI miglia. E simile teneno il procinto
della
Guscianella insino al Serchio di sopra guernito
di fortezze e di gente, ch'era altressì grande
spazio
o più. E poi apresso alla
città feciono un altro
fosso con isteccati, che ffu una maravigliosa opera
fatta in poco tempo, per modo che nullo potea
entrare
o uscire di Lucca sanza grande
pericolo; e al
continovo v'era per comune i
due quartieri di
Pisa
a
muta, e talora i tre quartieri, e così di loro molti contadini
e
balestrieri, assai genovesi; e bisognava bene,
sì era lungo il procinto. E in mezzo di detti
due procinti
era accampata l'oste de' Pisani e di Lombardi in
tre siti e campi spianati dall'uno campo all'altro. E cciò
poterono fare liberamente e sanza contasto, perciò
che' Fiorentini per la
'mprovisa e sùbita impresa
di Pisani non erano ancora aparecchiati al contasto
e in Lucca non avea da
CL cavalieri di meser Mastino
e
D pedoni di soldo, ond'era capitano
Guiglielmo
Canacci; e co· llui Frignano da Sesso, e
Ciupo delli
Scolari, e meser
Bonetto tedesco, ch'avieno assai
a ffare
pure di guardare la
città. Ma il detto
Guiglielmo
Canacci al continuo
proccurava Lucca per li Pisani.
E partissi di Lucca e andò però
a meser Mastino, e llasciò
la guardia
agli altri detti capitani. Lasceremo
alquanto di Pisani e
del loro assedio di Lucca, e diremo
tornando alquanto adietro quello che i Fiorentini
feciono per la detta
guerra mossa per li Pisani.
L. 12, cap. 132 rubr.Come i Fiorentini si forniro essendo i Pisani all'assedio
di Lucca, e cavalcaro sopra quello di Pisa.
L. 12, cap. 132Sentendo i Fiorentini l'aparecchio d'oste che faceano
i Pisani, inanzi che ponessono l'assedio alla
città di Lucca incontanente
crebbono la loro cavalleria,
sicché egli ebbono
IIm cavalieri
a soldo loro, e
mandaro per l'amistadi, per esser aparecchiati
se' Pisani
movessono loro
guerra. I Sanesi ne mandarono
CC cavalieri il Comune, e
C le case guelfe di Siena, e
CC balestrieri, i Perugini
CL cavalieri, quelli d'
Agobbio
con meser Iacopo
Gabrielli con
L cavalieri, il signore
di Bologna
CCC cavalieri, il marchese da
Ferrara
CC cavalieri, meser Mastino
CCC cavalieri, e dalle
terre guelfe di
Romagna
CL cavalieri, dal signore di
Volterra il figliuolo con
L cavalieri e
CC pedoni, messere
Tarlato d'
Arezzo con
L cavalieri e
CC pedoni.
Prato
XXV cavalieri e
CL pedoni, San
Miniato
CCC pedoni,
San Gimignano e
Colle
ciascuno
CL pedoni.
Come i Fiorentini ebbono ragunata loro gente e amistadi
elessono per capitano di
guerra messer
Maffeo
da Ponte
Carradi di Brescia, ch'era loro capitano di
guardia. E questo fu il secondo gran fallo de' Fiorentini
apresso al primo della folle compera di Lucca
che con tutto che meser
Maffeo fosse un valente e
buono cavaliere, non era sofficiente
duca
a guidare sì
grande
esercito. Che nella nostra cavalleria aveva
L o
più conestaboli di maggiore affare di lui; ma
ll'ambizione
dell'uficio de'
XX e delli altri reggenti ebbono
a
schifo il savio
consiglio
del re Ruberto, ch'al tutto
biasimava la 'mpresa di Lucca. E però non vollono
per capitano niuno de' reali suoi nipoti né altri grandi
baroni, per guidare la 'mpresa più
a lloro senno. E
ciò fatto, feciono cavalcare loro capitano
colla sopradetta
cavalleria e popolo grandissimo
a Fucecchio e
all'altre terre
del Valdarno. E mandaro loro ambasciadori
a
Pisa
a richiedere e protestare
a' Pisani che
non si
travagliassono della 'mpresa di Lucca, com'era
ne'
patti della pace
spressamente tra lloro. I Pisani
diedono loro infinte e
false
scuse, e di presente presono
il Cerruglio e
Montechiaro, e puosono l'assedio
con tutta loro oste alla
città di Lucca. E come dicemmo
nel passato
capitolo, i Fiorentini aveggendosi
della impresa e
tradimento di Pisani di presente feciono
cavalcare la loro oste, ch'era nel Valdarno di
sotto, in sul
contado di
Pisa, e furono
IIImDC cavalieri
e più di
Xm pedoni di soldo. E di presente presono il
Ponte
ad Era e il fosso
Arnonico, e guastarono e arsono
tutto il borgo di Cascina, e lla villa di San Sevino
e di San
Casciano, e infino al borgo delle
Campane
presso
a
Pisa
a
due miglia. E poi si rivolsono per
la
via che va in Valdera, e andaro fino
a Ponte di
Sacco, levando grandi prede e faccendo grandi arsioni
sanza contasto alcuno, istando sopra il
contado di
Pisa per più dì; e più sarebbono stati, se non che
grande fortuna di pioggia li
sopprese; onde avendo
arse e guaste le villate non vi potero dimorare né andare
più inanzi, e tornarsi
a Fucecchio e nell'altre castella
di Valdarno. E nota che questo fu il terzo gran
fallo della impresa di Lucca e
mala
capitaneria, e cciò
non si riprende dopo il fatto. Ch'assai si vide
chiaro, e si disse inanzi per li savi e intendenti, ch'
a
volere levare l'assedio da Lucca e
disertare i Pisani
l'oste di Fiorentini si
dovea porre al fosso
Arnonico
ch'era bene
albergato, e quello aforzare verso
Pisa di
fossi e steccati e aforzare il Ponte
ad Era, e fare un
piccolo battifolle
a piè di Marti o in su Castello
del
Bosco, e in quelli lasciare guardia e guernigione di
gente d'arme per avere ispedito il
cammino e lla vittuaglia.
E poi al continovo fare grosse cavalcate in
Valdera, e
a Vada, e
a Porto Pisano, e Livorno, e infino
alle porte di
Pisa intorno intorno, faccendo ponte
di legname sopra l'Arno; e potieno di continovo
cavalcare i loro Piemonte e 'n Valdiserchio, e
'mpedire
la vettuaglia ch'andava da
Pisa all'oste di Lucca
onde
convenia per nicistà si levasse l'oste da Lucca.
E cciò sentimmo poi da' Pisani, che di questo istavano
continovo in gran paura; e
convenia per forza venissono
a battaglia co' Fiorentini, e lla battaglia era
a
lezione e con
vantaggio dell'oste de' Fiorentini. Ma il
distino ordinato da Dio per punire le
peccata non
può preterire, ch'accieca l'animo de' popoli e di loro
duchi e rettori in non lasciare prendere il migliore
partito. E così avenne al nostro Comune.
L. 12, cap. 133 rubr.Come i Fiorentini compiuto il mercato della città di
Lucca con meser Mastino presono la posessione essendo asediata.
L. 12, cap. 133Infra lla detta stanza il Mastino non dormia, ma
sagacemente prese suo tempo e mandò suoi ambasciadori
a
Firenze, richiesono e protestarono il Comune
che prendesse la posessione della
città di Lucca
e delle castella che tenea; e se cciò non facessono,
s'accorderebbe co' Pisani e
darebbela
a lloro. E per
alzare la sua
mercatantia e fare la sua vendetta di
Fiorentini, come dicemmo adietro, al continovo stava
in
bargagno co' Pisani per trattato di
Guiglielmo
Canacci, ribello di Bologna, stato per suo capitano in
Lucca. Sopra cciò si tennono in
Firenze più
consigli,
e per li più savi si consigliava per lo migliore che lla
'mpresa si lasciasse, e
guerreggiassesi sopra il
contado
di
Pisa, e com'era gran follia
a prendere la posessione
di terra assediata; e che molto
pericolo e spesa
ne potea venire, e potiesi lasciare
ragionevolemente
coll'onore
del Comune; però che 'l primo
patto era
che per lo prezzo detto di
CCLm di fiorini d'oro meser
Mastino
dovea dare la
città e lle castella libere e spedite.
Ma
ll'ambizione dell'uficio de'
XX e de' loro seguaci,
ch'aveano fatta la prima impresa, vinse contra
il savio e buono
consiglio, ma pur
volerla, dicendo
che lasciarla troppo era gran vergogna e
abassamento
del Comune di
Firenze; questo fu il quarto gran
fallo sopra fallo fatto per l'uficio di
XX. E incontanente
mandaro
due altri dell'uficio de'
XX e altri ambasciadori
con quelli di meser Mastino al marchese
da
Ferrara, ch'era mediatore per migliorare i
patti. E
giunti
a
Ferrara tosto s'acordò la bisogna, scemando
della prima somma
LXXm di fiorini d'oro per l'asedio
di Lucca e
perdita
del Cerruglio e di
Montechiaro,
sicché rimase il
patto
a
CLXXXm di fiorini d'oro: i
Cm
pagare infra uno
anno, avendo
XXVII nuovi
stadichi
per
sicurtà di ciò, e lli
LXXXm fiorini in
cinque
anni
apresso, ogni
anno
XVIm fiorini d'oro,
mallevadori di
ciò il marchese e 'l signore di Bologna, e tenere meser
Mastino al suo soldo
D cavalieri infino che fosse
levato l'assedio di Lucca. Che 'nanzi che messere
Mastino si fosse partito da mercato l'avrebbe fatto
per
Cm fiorini d'oro, siccome posessione disperata e
ch'avea perduta, e
a' Pisani in nulla guisa la volea dare,
tutto ne facesse il sembiante, e per
dispetto di
meser
Luchino, che co· lloro insieme l'avea assediata
in sua vergogna; e questo sapemmo di certo, però
ch'eravamo presenti al trattato,
del numero delli
stadichi.
Ma lla
fretta e troppa volontà di chi l'avea
a ffare,
o altra privata cagione, e bene si disse per molti
cittadini che baratteria s'usò per li trattatori
del primo
mercato dall'una parte e dall'altra, e noi ne sentimmo
tanto in
Ferrara, quando si recò il mercato
a
CLXXXm, che quelli che v'erano per messere Mastino
dissono ch'elli non avea mai sentito che lla prima
somma fosse più che
CCm di fiorini d'oro. E così, se
vero fu, i nostri cittadini savi ingannaro l'oste, overo
il nostro Comune cieco; e fermo il secondo
patto, incontanente
tornaro da
Ferrara i nostri ambasciadori
co' sindachi di meser Mastino. E di presente feciono
i nostri rettori muovere l'oste ch'era in Valdarno, e
col capitano agiunsono
II cittadini per
sesto per consiglieri
della
guerra; e andarono in arme con compagnia
nobilemente
a'
gaggi
del Comune, e andarono
in sul
contado di Lucca, parte per la
via d'Altopascio
e parte dell'oste andò per Valdinievole; e
accampossi
tutta la detta nostra oste in sul
colle delle Donne
a dì
di settembre; e poi ebbono la posessione di Pietrasanta
e di Barga da' proccuratori di meser Mastino.
Come l'oste de' Fiorentini fu acampata, l'oste de'
Pisani, ov'era
a
tre campi, si recarono
a uno; e tegnendosi
ancora per que' di Lucca la fortezza di
Pontetetto, che impedia molto la
scorta di Pisani, sì
v'andò gran parte dell'oste de' Pisani e stettonvi più
dì
ad assedio, e per forza combattendo l'ebbono. In
quella dimora la gente di meser Mastino con suoi
sindachi e nostri, e
colla gente che si volea mettere in
Lucca, che furono
CCC cavalieri e
D pedoni, con
Xm
fiorini d'oro per pagare le masnade che nn'uscirono
poi, e co· lloro
Ciupo delli
Scolari e tutti i Ghibellini,
che v'erano per meser Mastino in Lucca, con cenni
di fuoco ordinati que' di Lucca
a un'ora uscendo
fuori co' nostri che v'andavano, si scontraro al luogo
ordinato, ruppono parte delli steccati e
apianaro i
fossi, e sanza contasto
entraro in Lucca sani e salvi.
E di vero, se grossa gente fosse cavalcata co· lloro,
rotta era la gente de' Pisani, che in quello punto non
erano rimasi alla guardia dell'oste che
D cavalieri.
Entrata la detta gente in Lucca v'ebbe grande allegrezza;
e i nostri sindachi, ch'erano Giovanni
Bernardini
di
Medici, e
Naddo di Cenni di
Naddo, e
Rosso di Ricciardo de' Ricci, presono la posessione
del castello dell'Agosta e della
città dal sindaco di
meser Mastino, ch'era
Arriguccio
Pegolotti nostro
antico cittadino ghibellino,
a dì
di settembre. E il
detto Giovanni de'
Medici, ch'era ordinato
ad esservi
capitano, si fece fare cavaliere, e i detti
Naddo e
Rosso rimasono camarlinghi per lo Comune
a ricevere
la moneta che vi si mandava, e pagare le masnade
a ccavallo e
a piè, e fornire l'ordine della vittuaglia. E
feciolla sì bene
ciascuno de' detti, come inanzi si leggerà.
L. 12, cap. 134 rubr.Come l'oste de' Fiorentini fu sconfitta a Lucca da
quella di Pisani.
L. 12, cap. 134Istando la detta nostra oste in sul
colle delle Donne
e in su quello di
Grignano, più
scaramucci ebbono
la nostra gente con quella de' nimici, ch'erano
in San
Gromigno e in San Gennaio, quando
a
danno
dell'una parte e quando dell'altra; e
fornendo Lucca
del continovo di moneta, ch'altro non bisognava loro,
però che per danari i Tedeschi dell'oste de' Pisani
di dì e di notte fornivano Lucca di ciò che bisognava.
Ma lla 'ngannevole fortuna, ma più la
mala
provedenza dell'uficio de'
XX e
del loro
consiglio di
reggenti ch'erano in
Firenze, e che
a
ciascuno per loro
ambizione parea essere il buono,
mesere
Alardo
di
Valleri, o il
conte
Guido da Montefeltro mastri di
guerra, si diliberaro che lla detta nostra oste
iscendesse
al piano verso Lucca, e fossero alla battaglia
co' Pisani. E questo mandaro, aspramente comandando
a' capitani dell'oste. E questo fu il quinto fallo,
e sanza rimedio, che Lucca era fornita ancora per
più di
VIII mesi; e ciò sapieno di certo, e tutto dì si
fornia per lo modo detto; che stando
a
bada co' Pisani
e fermi, gli
straccavano e consumavano di spese
in poco di tempo. E di vero si seppe che,
'ndugiandosi
pure
XV dì, meser Giovanni Visconti si partia
con tutta la cavalleria
del capitano di Milano, perché
i Pisani non gli oservavano i
patti promessi; e cciò
disse poi in
Firenze, quando vi fu prigione,
palesemente.
L'altro gran fallo, ma pazzia, fu andare
a
combattere
a posta e
vantaggio
del nimico, ch'erano
dentro alla fortezza
del fosso e steccati di loro campo,
e poteno prendere e lasciare la battaglia, e
rinfrescarsi
a lloro posta e
vantaggio; e oltre
a cciò e'
nonn erano meno ma più gente di nostri
a ccavallo e
a piè; ma al fallo della
guerra segue incontanente la
disciplina. I capitani dell'oste ubidendo il
comandamento
da
Firenze, overo per le nostre
peccata
pulire,
il
distino di Dio li vi
condusse. Il dì di calen di ottobre
iscesono al piano di Lucca, e
accamparsi la notte
al luogo detto la
Ghiaia e greto di Serchio, presso al
campo di nimici
a meno d'uno miglio, e
ll'una parte
e
ll'altra feciono la spianata; e que'
del campo di
Pisa
abattero verso la spianata una parte dello steccato, e
richiesono la battaglia, e' nostri l'accettarono lietamente
per lo giorno apresso. E così martedì,
a dì
II
d'ottobre
del detto
anno
MCCCXLI, le
due osti s'affrontaro.
I nostri ch'erano rimasi
IImDCCC cavalieri e
popolo grandissimo feciono
due schiere, l'una di
MCC cavalieri per feditori, la qual
conducea il nostro
capitano messer
Maffeo con quelli Fiorentini che v'erano,
con iscelta delle migliori masnade ch'avessono
e co' Sanesi, che più
donzelli delle case di Siena
guelfe si feciono il dì cavalieri, e portarsi francamente.
E in quella schiera fu
mesere
Ghiberto da Fogliano,
e Frignano da Sesso, e uno
conte d'Alamagna, e
meser
Bonetto tedesco
colla gente di meser Mastino,
che in quella giornata cogli altri feditori insieme feciono
maraviglie d'arme, essendo fasciati di costa
con più di
IIIm balestrieri. La schiera grossa con tutta
l'altra cavalleria e popolo e
colla salmeria
caricata
che ffu follia, guidavano gli altri capitani. E messere
Gian della
Vallina borgognone avea la 'nsegna reale,
che per bontà de' nostri cittadini nullo la richiese di
portare. I Pisani, ch'erano da
IIIm cavalieri, feciono
III schiere; l'una di feditori da
DCCC cavalieri, la quale
conducea
fasciata con molti
balestrieri genovesi
e pisani, che nn'avieno più di noi e migliori. L'altra
grossa schiera co' cavalieri
del signore di Milano guidava
meser Giovanni Visconti
colla insegna della vipera.
Un'altra schiera di
CCCC cavalieri riposta adietro
presso alla bocca de' loro steccati e
a quella guardia,
perché li nostri di Lucca ch'erano usciti della
città non assalissono il campo. Quella terza schiera
di Pisani guidava meser
Ciupo delli
Scolari, che 'l dì
si fece cavaliere, e meser Francesco
Castracane. Fatte
le dette schiere delle
due osti, s'affrontaro insieme
in sull'ora della terza; e prima i feditori dall'una parte
e dall'altra. La battaglia fu aspra e forte, però che
da
ciascuna parte di feditori era il fiore della cavalleria
dell'oste; e per la forte percossa di feditori di Pisani,
tutto fossono meno gente di nostri, feciono assai
rinpignere adietro la nostra schiera de' feditori;
ma poco apresso i feditori di Pisani furono rotti e
sconfitti; e fuggendo parte si tornarono dentro alli
steccati e parte alla loro schiera grossa. I nostri feditori
avendo avuta la vittoria de' feditori di Pisani,
francamente asaliro la loro schiera grossa; e quella fu
una ritenuta e aspra battaglia, e
durò infino dopo
nona, e gran mortalità v'ebbe di
cavalli, e abattuta di
cavalieri per li molti
balestrieri dell'una parte e dell'
altra, e fu
abattuta la 'nsegna di meser
Luchino, e
preso messer Giovanni Visconti capitano della sua
gente, e
Arrigo di
Castruccio, e messer
Bardo
Frescobaldi,
e più di migliori Pisani da cavallo e d'altri
nostri usciti, e quasi rotta e sbarattata la detta schiera,
con tutto
rilevassono un'altra insegna della vipera
di
Melano, parte di loro si
rannodaro
colla schiera di
meser
Ciupo delli
Scolari che stava ferma. E con tutto
che' nostri feditori combattessono e cacciassono i
nimici, la nostra ischiera grossa non si mosse né pinse
inanzi
a
favorare i nostri feditori, che ffu gran fallo
e
mala
capitaneria; ma dissesi fu per difetto di meser
Gianni della
Vallina, ch'avea la 'nsegna reale, che
non volle andare contro alla 'nsegna di meser
Luchino
per saramento fatto essendo suo prigione in Lombardia.
Ma maggior fallo fu de' nostri rettori
a
darli
la 'nsegna reale, e che sì grande oste non
capitanaro
di sofficienti
duci, e non vi furono di nobili cittadini
a ccui ne calesse. I nostri della prima schiera
credendosi
avere la vittoria, si partiro di qua e di là seguendo
prigioni. Dissesi che
mesere
Ciupo delli
Scolari,
che stava
colla schiera
disparte
a vedere le contenenze
della battaglia, e
raccogliendo
a ssua schiera que'
che fuggivano, usò una
maestria di
guerra, che mandò
più ribaldi alla nostra schiera grossa e tra lla nostra
salmeria, gridando e
dando
boce che' nostri feditori
erano sconfitti; onde la salmeria si cominciò
tutta
a partire. Quelli della nostra grossa schiera,
ch'erano di lungi, ov'era la battaglia e caccia per uno
terzo di miglio, tra per la detta falsa
voce, e veggendo
i nostri sciolti di schiera alla caccia de' nimici e
mischiati tra lloro, e veggendo fuggire la salmeria,
e lla schiera di meser
Ciupo ferma e cresciuta
colle
'nsegne levate,
credettono
a ccerto che' nostri fossono
rotti, e sanza
rotta o caccia di nimici si ruppono
tra lloro e missonsi in fuga; e simile i pedoni. Messer
Ciupo
colla sua riposata schiera veggendo in fuga la
nostra schiera grossa, percosse
a' nostri feditori stati
prima
a
due battaglie vincitori, ch'erano sparti e ricogliendo
prigioni sanza ordine o ritegno alcuno, fedirono
tra lloro, e
ruppogli e
sconfissolli di presente,
e ricoveraro i loro prigioni, salvo messere Giovanni
Visconti, ch'era menato alla schiera grossa, e più altri
barattati, che ssi
ricomperaro poi da quelli che lli
avieno presi, sanza rassegnarli al Comune. In questa
battaglia non moriro di nostri oltre
a
CCC uomini tra
cavallo e
a piè, e niuno uomo di nome salvo Frignano
da Sesso, e certi conestaboli di meser Mastino e
di marchesi, ch'alla battaglia si portaro valentremente.
Cavalli vi moriro più di
IIm tra dall'una parte e
dall'altra per le molte balestre e per lo modo della
battaglia, che ffu quasi com'uno torniamento con
più riprese. Prigioni non vi rimasono de' nostri che
da
DCCC a
M tra
a cavallo e
a piè, però che lla nostra
schiera grossa si partì salva per lo modo detto, e ricoveraro
in
Pescia, e' nimici non seguiro caccia, e
molti de' nostri si fuggiro in Lucca; e meser
Tarlato
d'
Arezzo fu di quelli. Questi furono i prigioni di rinomea
di nostri che vi rimasono: cittadini, messer
Giovanni della Tosa, messer Francesco
Brunelleschi,
messer
Barna de' Rossi,
Albertaccio da
Ricasoli,
che ssi
ricomperaro per danari; di forestieri, messer
Maffeo nostro capitano, messer
Bonetto tedesco, e
VI altri conestaboli di meser Mastino, e de' marchesi,
e
del signore di Bologna, che poi di
Pisa si fuggiro. E
rimasonvi presi da
VIII tra cavalieri e
donzelli di Siena,
e 'l figliuolo
del signore di Volterra; tutti questi
furono
presi nel mezzo
del campo combattendo tra'
nimici. E meser Iacopo
Gabrielli fu preso fuggendo
in Lucca. E se non che
a' Pisani rimase il campo e
l'onore, per lo giudicio e volere d'Iddio e per lo nostro
male provedimento, più di Pisani vi morirono
assai che di nostre genti; e il
costo
a lloro innumerabile
per le paghe
doppie e
mende de'
cavalli. Ma pure
la nostra mal guidata oste fu sconfitta con nostro
danno e vergogna e disinore,
sventuramente
a dì
II
d'ottobre
MCCCXLI.
L. 12, cap. 135 rubr.Digressione sopra la detta sconfitta.
L. 12, cap. 135Quando fu la detta sconfitta, noi Giovanni
Villani
autore di questa opera eravamo in
Ferrara
stadico di
meser Mastino per lo nostro Comune cogli altri insieme,
come dicemmo adietro; e in
due giorni apresso
avemmo la
novella assai più grave ch'ella non fu,
onde ci
cusammo tutti essere prigioni di meser Mastino,
stimandoci che 'l nostro Comune per la detta
sconfitta fosse rotto e sbarattato, e che cci
convenisse
ricomperare non solamente
Cm fiorini d'oro promessi,
ma lla redenzione de' prigioni e lla
menda de'
cavalli
di meser Mastino. E
compiagnendoci insieme
amaramente sì
del
pericolo incorso al nostro Comune,
e sì
del nostro propio
danno e interesso, uno de'
nostri compagni cavaliere compiagnendosi quasi verso
Iddio, mi fece quistione dicendo: «Tu hai fatto e
fai memoria de' nostri fatti passati e degli altri grandi
avenimenti
del secolo, quale puote esere la cagione,
perché Iddio abbia
permesso questo arduo contro
a nnoi, essendo i Pisani più peccatori di noi, sì di tradimenti
sì d'essere sempre stati nimici e persecutori
di santa Chiesa, e nnoi ubidenti e benefattori?». Noi
rispondemmo alla quistione, come Iddio ne spirò oltre
alla nostra piccola scienza, dicendo che in noi regnava
solo un peccato intra gli altri che più
spiacea
a
Dio che quelli de' Pisani; ciò era non avere in noi né
fede né carità. Rispuose il gentiluomo quasi commosso,
dicendo: «Come la carità, che più se ne fa in
Firenze in uno dì, che in
Pisa in uno mese?».
Dissi
ch'era vero; ma per quello
membro di carità che
llimosina
si chiama, Iddio ci ha guardati e guarda di
maggiori
pericoli; ma lla vera carità è
fallita in noi;
prima verso Iddio, di non esere
a llui
grati e
conoscenti
di tanti benifici fatti e in tanto podere e stato
posta la nostra
città, e per la nostra prosunzione non
istare
contenti
a' nostri termini, ma volere occupare
non solamente Lucca, ma l'altre
città e terre vicine
indebitamente. Come col prossimo eravamo caritevoli,
a
ciascuno è manifesto
a
ditrarre e tradire e volere
disertare l'uno vicino compagno e
consorto l'altro,
ed eziandio tra fratelli carnali, e
colle pessime
usure contro
a' meno possenti e bisognosi. Della fe'
e carità verso il nostro Comune e replubica è anche
manifesto tutta esere
fallita; che venuto è tempo, per
li nostri difetti, che
ciascuno cittadino per una sua
piccola
utilità
ditrae e froda e mette
a non calere
ogni gran cosa di Comune, che che
pericolo ne corra.
Ove i Pisani sono il contrario, cioè che sono uniti
tra lloro, e fedeli e
lleali al loro Comune, benché in
altre cose sieno così, o maggiori peccatori di noi; ma
come disse il nostro signore Gesù Cristo nel Vangelo:
«Io
pulirò il nimico mio col nimico mio etc
.». E
fatto silenzio alla detta quistione, che
ciascuno fu
contento della detta difinizione, e
riconoscemmo i
nostri difetti e
poca carità tra nnoi in comune e in diviso.
Il marchese da
Ferrara sentendo la nostra turbazione
mandò per noi, e tutti ci ebbe in sua presenza
e
del suo privato
consiglio. Prima
dolutosi con noi
del sinistro caso e fortuito avenimento occorso alla
nostra gente e alla sua; ma poi, come il buono padre
fa al suo figliuolo,
confortandone, mostrandone la
piccola
perdita ricevuta, e com'era de' casi della
guerra, e da non curare, potendosi ricoverare, magnificando
il nostro Comune di gran
potenzia, e per
sé e per li amici dicendo che di ciò si farebbe alta e
grande vendetta,
profferendo al nostro Comune tutto
suo podere, e di venire in persona elli o il suo fratello
con tutte sue forze, e così ci pregò
significassimo
al nostro Comune. E immantenente mandò in
Firenze suoi ambasciadori
colla detta proferta, onde
prendemmo gran
conforto. E per simile modo fece
al nostro Comune meser Mastino e 'l signore di Bologna.
Ma meser Albertino da
Carrara signore di Padova
fece della nostra sconfitta
falò e grande allegrezza
per
dispetto di meser Mastino, e avea di sua
gente
C cavalieri
coll'oste de' Pisani contro
a nnoi;
ma male si ricordava o era grato, ma ingratissimo de'
benifici ricevuti elli e' suoi antichi dal nostro Comune.
Ed elli,
colla nostra
potenza e de' Viniziani, di
servo di quelli della Scala fatto signore di Padova,
come adietro facemmo menzione al conquisto di
quella. Avemo per questo
capitolo fatta sì lunga digressione
sopra la detta nostra sconfitta per dare
assempro
di correzione di nostri difetti
a' nostri successori,
e perch'abbino
ricordo e memoria di quelli
che cci sono stati amici e contrari nella nostra aversità,
ritornando apresso
a nostra materia.
L. 12, cap. 136 rubr.Della materia medesima.
L. 12, cap. 136Come in
Firenze giunse la prima e sùbita
novella
della detta sconfitta, tutta la
città fu commossa di
grande dolore e paura, e faccendo grande guardia di
dì e di notte,
istimandosi che lla
rotta e
dannaggio
fosse più grande che nonn era. Ma il giorno apresso
fu saputo il vero della piccola
perdita di morti e di
presi, e cche la
città di Lucca non era perduta, ma si
tenea francamente, né perduto nullo altro castello
che per noi si tenesse, s'apersono le botteghe, e
ciascuno
disarmato intese
a ffare i fatti suoi come prima,
non parendo che battaglia o sconfitta fosse fatta;
e in ciò per li cittadini si mostrò grande magnificenza.
E poi apresso che incontanente s'ordinò di rifare
maggiore oste che lla prima, richeggendo d'aiuto il re
Ruberto e gli altri amici, con soldando gente d'arme
a cavallo e
a piè, quanti se ne potessero avere; ed
elessono per capitano di
guerra, per averlo più tosto,
meser
Malatesta da
Rimino tenuto savio uomo in
guerra, il quale venne in
Firenze
a dì
di febraio
con
CC cavalieri,
intra' quali avea de' migliori uomini
di
Romagna e della Marca e oltramontani, e
CC pedoni
alla guardia di sua persona; e per lo suo uficio
da' Fiorentini fu ricevuto
a grande onore avendo di
lui grande speranza di vittoria. E oltre
a cciò non potendosi
avere dal re Ruberto per capitano uno di nipoti,
ch'assai si prontò per li Fiorentini, come inanzi
si farà menzione, e sentendo che 'l
duca d'Atene
venia
di
Francia
a Napoli, certi reggenti della nostra
città scrissono al detto
duca, e feciono scrivere
a'
suoi amici e mercatanti alla sua venuta
a
Vignone in
Proenza dov'era la
corte, che lli piacesse di fare la
'mpresa d'essere sovrano capitano al
servigio
del nostro
Comune. Il gentile signore e bisognoso pellegrino
per suo avantaggio e
a richiesta de' detti suoi amici
e grandi di
Firenze, che di ciò il
confortaro e
richiesono
ad altro maggiore intendimento, come
inanzi lui venuto in
Firenze si potrà comprendere,
accettò la 'mpresa, e sanza indugio con
C gentili uomini
avea in sua compagnia per
mare venne
a Napoli,
che
a
Pisa, né in quelle marine, non potea porre e
non avea
cavalli. E giunto
a Napoli, sanza fare asapere
di suo intendimento al re Ruberto si venne
fornendo
d'arme e di
cavalli,
dando
voce di volere andare
in sua terra in
Romania. Lasceremo alquanto
della 'mpresa
del
duca d'Attene, ma assai tosto vi ci
converrà tornare,
crescendone di suoi fatti grande e
nuova matera, e diremo alquanto di processi che 'l re
Ruberto tenne col nostro Comune ne' fatti di Lucca.
L. 12, cap. 137 rubr.Come il re Ruberto domandò a' Fiorentini la signoria
di Lucca ed ebbela, promettendogli d'atase.
L. 12, cap. 137Lo re Ruberto essendo molto infestato per
lettere
del nostro Comune, e per quelli delle nostre compagnie
e suoi mercatanti ch'erano intorno di lui, che
mandasse uno di nipoti con gente d'arme all'aiuto
dell'oste che 'l nostro Comune intendea di fare contra
i Pisani per levare l'assedio di Lucca, per la sua
grande avarizia non volendo fare la 'mpresa e disdire
l'aiuto al nostro Comune non potea con suo onore, sì
volle fare e fece una sottile segacità, che mandò
a
Firenze
del mese di novembre una grande ambasciata,
ciò fu il vescovo di
Grufo grande maestro, e meser
Gianni
Barili de' maggiori di Napoli, e Niccola degli
Acciaiuoli con grande compagnia, e fece per quella
dimandare inn un grande e bello
consiglio la posessione
e signoria della
città di Lucca, come sua e di
sua giuridizione, tutta gli fosse tolta da Uguiccione
dalla Faggiuola e Comune di
Pisa, come assai adietro
facemmo menzione. E se cciò si facesse per li Fiorentini
promettea tutte le sue forze per
mare e per terra
contra li Pisani,
a ffare le nostre vendette e levare l'oste
loro da Lucca, stimandosi di certo che' Fiorentini
per loro alterezza così gran
costo e
danno e vergogna,
com'avieno ricevuta per la 'mpresa di Lucca,
negassono la sua
dimanda e richiesta, e cciò faccendo
avea giusta causa di negare l'aiuto
dimandato per
lo nostro Comune. I Fiorentini sopra cciò
saviamente
avisati e con buono
consiglio liberamente rispuosono
agli ambasciadori, e in loro presenza rifermaro
in quello
consiglio di dare al re, o
a lloro per lui, libera
la posessione di Lucca; e feciono sindachi
a cciò
fare, e andaro per
scorta co· lloro in Lucca, e diedono
la posessione e 'l
dominio con
bollate carte. E cciò
fatto, i detti ambasciadori andaro
a
Pisa, e richiesono
i Pisani da parte
del re con
solenni protestagioni
che ssi levassono
dallo assedio della sua
città di Lucca.
I Pisani parendo
a lloro che lla detta richiesta fosse
opera disimulata
a posta de' Fiorentini, la quale
nel vero non era, ma come che fosse,
a lloro ne parea
avere mal partito
a mano
a recarsi il re Ruberto incontro,
e d'altra parte da
llucca l'assedio non volieno
levare;
disimulatamente dissono di rispondere al
re per loro ambasciadori; e così feciono
dilaiando e
menando il re per parole, e non ne vollono in fine far
niente; ma
rafforzando al continovo l'assedio di Lucca
colle forze di meser
Luchino Visconti e degli altri
tiranni di Lombardia di parte imperiale; ed era
a' Pisani
assai agevole, essendo sì presso di Lucca, essere
afforzati.
L. 12, cap. 138 rubr.Come i Fiorentini mandarono al re Ruberto per
aiuto e no· ll'ebbono, e cciò che nne seguì.
L. 12, cap. 138I Fiorentini veggendosi così menare mandaro ambasciadori
a Napoli
a richiedere al re Ruberto il suo
aiuto, e uno de' nipoti per loro capitano, e che oservasse
quello avea fatto
promettere
a' suoi ambasciadori
quando li fu renduta la possessione di Lucca,
come detto avemo adietro; i quali ambasciadori con
grande stanzia e
studio seguiro; ma poco valse che
a
nulla si movesse,
bargagnando di mandare il
duca
d'Attene con
DC cavalieri, pagando il Comune di
Firenze
la metà
del soldo ed elli l'altra metà; e ancora
non potendo meglio, per lo nostro Comune fu accettato,
ma no· llo volle il re oservare. O avarizia, nimica
della reale vertù di
magninimità, come guasti ogni
bene e onorata impresa! Che sse lo re Ruberto ci
avesse oservata la 'mpromessa fatta fare al nostro
Comune per li suoi ambasciadori, e mandato uno de'
nipoti con
M cavalieri
a mezzo nostro soldo all'oste
de' Fiorentini, e
XII galee armate sopra i Pisani
a
tor
loro l'
entrata
del porto, ch'assai gli era
leggere
a fornire,
colla gran forza e ragunata di Fiorentini col loro
oste, di certo i Pisani con tutto l'aiuto di meser
Luchino di Milano e d'altri Lombardi non avieno
podere di tenere campo né assedio
a Lucca. Per lo
quale difetto
del re Ruberto nacquono molte
sconvenenze
e
pericoli e
danni con sua vergogna e
del nostro
Comune, come apresso si potrà comprendere,
che' Fiorentini si
condussono di fare oste per loro,
per soccorrere Lucca di più di
IIIIm cavalieri e popolo
infinito, come nel seguente
capitolo si farà menzione,
con poco onore e grande spendio. Ma quello
che più portò di rischio e di
pericolo, non solamente
al nostro Comune ma
a tutta parte guelfa e di Chiesa,
e
a tutta Italia, ed eziandio al re Ruberto e al suo
regno, si fu che per lo sopradetto isdegno preso col
re Ruberto
a ssuo gran difetto certi reggenti
del nostro
Comune per sodducimento e
consiglio di meser
Mastino della Scala mandaro segretamente
due popolani
di maggiori reggenti ambasciadori con quelli
di meser Mastino
a Trento in Alamagna, ov'era venuto
il Bavero, che ssi facea chiamare imperadore,
per altre sue bisogne, e co· llui trattaro per tal modo,
che mandò
a
Firenze e poi alla nostra oste più di
suoi baroni con da
L cavalieri, la maggiore parte di
corredo; intra gli altri caporali furo il
duca di
Tecchi
col suo grande
sugello e il suo
Luffo
Mastro e il
Porcaro
conte, promettendo se 'l nostro Comune il volesse
ricevere il
duca di
Techi per suo vicario co
llarghi
patti, farebbe partire tutti i Tedeschi
del campo
de' Pisani, incontanente vedessono quello
sugello, e
rompere l'oste di Pisani, e tornare tutti dal nostro. E
di certo venia fatto; ma di ciò avuti i nostri reggenti
segreto
consiglio, e certi savi amatori di parte guelfa
e di Chiesa, e
a ccui toccava lo stato e parte più che
a
coloro ch'avieno menato il detto trattato, s'avidono
che cciò faccendo era
pericolo di tornare il
reggimento
di
Firenze e di tutta
Toscana assai tosto
a parte
ghibellina e d'imperio; consigliarono che non si
seguisse il detto trattato per lo migliore, che che della
'mpresa seguisse da nnoi
a' Pisani; e così rimase, e'
detti baroni si tornaro in Alamagna. Ma per la detta
loro venuta il re Ruberto
entrò in tanta gelosia, che
non sapea che ssi fare, temendo forte
Firenze non
prendesse
rivoltura di parte d'imperio e ghibellina. E
molti suoi baroni e prelati e altri
del Regno ricchi
uomini, ch'aveano dipositati loro danari alle compagnie
e mercatanti di
Firenze, per la detta cagione
entraro
in tanto sospetto, che
ciascuno volle esere pagato,
e
fallì
a' Fiorentini la
credenza in tutte parti dove
avieno affare, per modo che poco tempo apresso
per cagione di ciò, e gravezze di Comune e per la
perdita di Lucca, apresso molte buone compagnie di
Firenze
falliro, le quali furono queste: quella de'
Peruzzi;
gli
Acciaiuoli, tutto non cessassono allora, per
loro grande
potenza in Comune, ma poco apresso; e'
Bardi ebbono gran
crollo, e non pagavano
a cui
dovieno,
e poi pur
falliro;
falliro i
Bonaccorsi, i Cocchi,
li
Antellesi, quelli da
Uzzano, i
Corsini, e Castellani,
e
Perondoli, e più altri
singulari mercatanti e più artefici
e piccole compagnie
a gran
danno e rovina della
mercatantia di
Firenze, e universalmente di tutti i
cittadini; che ffu maggiore
danno al Comune che lla
sconfitta o
perdita di Lucca. E nota che per li detti
fallimenti delle compagnie mancarono i danari
contanti
in
Firenze, ch'apena se ne trovavano. E lle
posessioni in
città calarono
a
volerle
vendere le
due
derrate per uno
danaio, e in
contado il terzo meno
a
valuta, e più calaro. Lasceremo
a dire della detta matera,
e diremo della grande oste, che' Fiorentini feciono
per diliberare Lucca dall'asedio di Pisani, e
non venne loro fatto.
L. 12, cap. 139 rubr.
D'una grande e nobile oste che' Fiorentini feciono
poi per levare i Pisani dallo assedio di Lucca.
L. 12, cap. 139Volendo i Fiorentini seguire la loro folle impresa
di fare oste per levare i Pisani dall'asedio di Lucca, e
sentendo
fallia
a quelli d'
entro assai tosto la vittuaglia,
ebbeno più di
IIm oltramontani cavalieri, buona
gente al loro soldo; cittadini
a cavallo ve n'ebbe
XL
con
VI consiglieri
del capitano, che ffu
mala providenza;
e non si ricordavano i rettori di
Firenze di
quello che scrive Lucano di Cesare quando facea le
sue osti, non dicea alle sue milizie: «Andate!», ma:
«
Venite!»; e cciò faccendo avea sempre vittoria e
onore. E così aviene il contrario
a' signori e rettori
de' Comuni, quando
personalmente non sono
a guidare
i loro
eserciti, lasciando la cura e providenza
a'
soldati e strani: e questo basti, che lla
sperienza fa
pruova
del fatto. Alla nostra oste mandò aiuto
D cavalieri
meser Mastino, e
D il signore di Bologna,
CCCC cavalieri i marchesi da
Ferrara, e
CC dalle terre
guelfe di
Romagna, e
CCC da' Sanesi, e
CL da Perugia,
e
CL dall'altre terre d'intorno; e'
conti
Guidi
guelfi con
Xm tra pedoni e
balestrieri di masnada,
sanza i contadini e
distrettuali: e diedonsi le
'nsegne
domenica d'ulivo,
a dì
XXIIII di marzo. E il dì di nostra
Donna apresso,
MCCCXLII, si mosse l'oste e
andarne
in Valdinievole. E questo fu il
sesto gran fallo
e errore di
XX che guidavano la
guerra e 'l
reggimento
della
città. Che sse ancora fossono iti assediare o
porre oste
a
Pisa, era vinta la
guerra, e levato l'assedio
da Lucca; ma no· llo
permise Iddio per li nostri
difetti e peccati, e per
arogere alle nostre disciprine e
spendio e
abassamento della nostra
città, e con nostra
vergogna avendo ragunata sì grande
potenzia e
nobile oste, che sarebbe stato sofficiente
a uno reame.
Ben fu gran colpa di questo difetto di nostri cittadini
ch'erano caporali in Lucca, ch'al continuo
scriveano
a
Firenze: «Soccorrete, soccorrete, che lla
terra nonn è fornita per uno mese»; ed era fornita
per più di tre. E tutto fu
del fallo della
guerra veduto
dinanzi per li savi. Partissi la detta oste da
Pescia e di
Valdinievole dì
XXVII di marzo, e puosesi ed
acampossi
sul
poggio di
Grignano e in sul
colle delle
Donne, ove fu l'altra volta; e in que' luoghi tenne l'oste
il nostro capitano, meser
Malatesta, uno mese e
mezzo, istando in vani trattati di corrompere i soldati
dell'oste de' Pisani, non faccendo pruova o
valoria
alcuna, come potea e
dovea avendo tanta buona gente
a ccavallo e
a piè; ma meser
Malatesta trovò il
rocco
a petto al cavaliere, che 'l capitano dell'oste de'
Pisani era
Nolfo figliuolo
del
conte
Federigo da
Montefeltro suo
parente, che sapea delle volte
romagnuole
tenendolo in trattato vano altressì bene com'
elli; e molti cittadini ne presono sospetto d'inganno
e
tradimento per la lunga stanza, perdendo tanto
tempo bello e utole con tanto possente oste; onde
molto fu ripreso meser
Malatesta, e mandato gli fu
da
Firenze riprendendolo forte, che movesse l'oste
verso i nimici, che che avenire ne
dovesse. In questa
stanza i Pisani e loro allegati non dormiro, che i
Tarlati
d'
Arezzo si disse trattaro di rubellare la
città
d'
Arezzo al nostro Comune. E
Guiglielmo degli
Altoviti,
ch'era per capitano di guardia inn
Arezzo, fece
per la detta cagione pigliare
mesere Piero
Saccone
e meser
Ridolfo e messere
Luzimborgo e
Guido e
de'
Tarlati, e
mandogliene presi
a
Firenze; e nel palagio
de' priori di sopra fu loro prigione più tempo,
e chi lli facea colpevoli e chi no; ma per quello
seguì
apresso pure mostrò fossono colpevoli; e più volte si
tennero
consigli di giudicarli
a
morte, ma vinsene il
peggio per corrotti cittadini. E fu fatto prendere in
Lucca meser
Tarlato e tenuto sotto cortese guardia,
il quale poco apresso uscendo fuori di Lucca
a
diporto
con meser Giovanni de'
Medici si fuggì nel
campo de' Pisani. E poi e per l'altri
Tarlati si rubellaro
molte castella di loro e
del
contado d'
Arezzo alli
Aretini, faccendo loro
guerra. Gli
Ubaldini si rubellaro
al nostro Comune, e
colla forza de' Ghibellini di
Romagna e con certe
bandiere
a ccavallo di meser
Luchino di Milano assediarono la terra di
Firenzuola;
e
andandovi di nostre genti di Mugello, ond'era
guidatore uno de'
Medici, per
soccorrella male ordinati,
furono per aguato sopresi e rotti
a
Rifredo; e
pochi dì apresso ebbono
Firenzuola per
tradimento
d'alcuno loro fedele che v'abitava dentro, e tutta l'arsono
e disfeciono e ripuosono di sopra
a quella
Montecoloreto, e
afforzallo; e per
tradimento ebbono
il castello di
Tirli che nonn era fornito,
a gran
vergogna
del nostro Comune. E gli
Ubertini e' Pazzi
rubellarono
Castiglione loro castello e
Campogiallo
e lla
Treggiaia, sicché intorno al nostro
contado avea
gran
bollore stando la nostra oste in su quello di
Lucca.
L. 12, cap. 140 rubr.Come l'oste de' Fiorentini si strinse a Lucca per fornilla
e nol potero fare, e Lucca s'arrendé a' Pisani.
L. 12, cap. 140Partissi meser
Malatesta
colla nostra oste
a dì
VIIII
di maggio da
Grignano; e' Tedeschi delle nostre masnade
per essere male ordinati rubarono tutto il nostro
campo; e scesi al piano, s'
accampò l'oste
a San
Piero in Campo di costa al fiume
del Serchio, presso
a' nimici intorno di
due miglia; e quello dì giunse nel
nostro per la
via di Bologna e da Pistoia il
duca da
tTecchi
e
Luffo
Mastro e 'l
Porcaro baroni
del Bavero,
con
L armadure con
XXV cavalieri
a spron d'oro,
ciascuno
a grandi
destrieri, molto nobile gente, col
trattato ordinato
a Trento in Alamagna col Bavero
co' nostri ambasciadori, come adietro facemmo
menzione. E il detto dì giunse alla detta nostra oste
da
Firenze il
duca d'Atene con meser Uguiccione de'
Bondelmonti e meser
Manno de'
Donati con da
C
cavalieri franceschi
a nostri
gaggi in sua bandiera. E
a dì
X di maggio la mattina per tempo si mosse l'oste
da San Piero in Campo cavalcando schierati da uno
e mezzo miglio verso i nimici
richieggendogli di battaglia.
Non vollono uscire di loro steccati, e di ciò feciono
saviamente. La nostra oste, non potendo avere
la battaglia, passarono
due rami
del fiume
del Serchio;
il terzo ramo era sì ingrossato per acqua ritenuta
per li nimici e pioggia cominciata, che lla sera non
potero passare, e quella notte con gran
disagio e
sofratta
di vittuaglia e di tutte cose, e asaliti da' nimici
stettono in su quella isola, faccendo quella notte fare
uno ponte di legname per passare sopra quello ramo
di Serchio. E il dì apresso passò tutta l'oste di là alquanto
sopra il
colle di San Quirico, ov'era un forte
battifolle guernito per li Pisani alla guardia
del
poggio
e
del ponte
a San Quirico. Veggendo i Pisani
passato per li nostri il fiume, temendo di perdere la
fortezza di San Quirico sì vi mandarono più gente alla
difesa, ed ebbe tra lla nostra gente e lla loro più
badalucchi
a
danno di Pisani. E di certo si disse, se 'l
capitano nostro avesse fatto pugnare l'oste verso la
fortezza, i Pisani l'
abandonavano ed era vinto il passo;
che nonn era comparazione la forza di nimici alla
nostra gente, che solo i ribaldi e' ragazzi dell'oste nostra
avrebbono vinto
colle pietre il battifolle e 'l ponte.
E di ciò fu assai ripreso meser
Malatesta, il quale
colla nostra oste valicò oltre, e
accamparsi su 'n un
poggio incontro al prato di Lucca, lasciandosi adietro
la bastita e fortezza di San Quirico. E se 'l capitano
fosse almeno isceso al piano di contra al prato di
Lucca, si fornia allora la terra per forza, e partivasi
l'oste di Pisani in
rotta; però che non era ancora per
li Pisani fatta chiusa né fortezza alcuna al prato di
Lucca da quella parte. E oltre
a cciò i nostri ch'erano
in Lucca, uomini e femmine e fanciulli, veggendo la
potenza della nostra oste armati e disarmati uscirono
nel prato sanza contasto di nimici. Il capitano nostro
pur volle che
ll'oste s'
accampasse al
poggio quel dì,
e lla notte cominciò gran pioggia; ma però i Pisani
non lasciaro di
rafforzare il battifolle di San Quirico,
e affossaro e steccarono il prato presso al Serchio,
sicché i nostri non potessono valicare, e in sul prato
ridussono tutta la loro
potenza d'oste apetto
a' nostri.
E quivi dimorò la nostra oste per
IIII dì sanza fare
alcuna cosa con molta
soffratta di vittuaglia per lo
male
tempo, e fu talora vi valse il pane soldi
III; poi
a
dì
XV di maggio
raconciò il tempo. Uno messer Bruschino
tedesco con sua bandiera e compagni valicò il
Serchio in sull'ora di vespro, e cominciò badalucco
co' nimici, e seguillo il
duca d'Atene con sua gente, e
ingrossò sì il badalucco, che più di
MD cavalieri e più
pedoni di nostri
valicaro il fiume, e per forza ruppono
gli steccati e misero in fuga i nimici; e se fossono
seguitati da' nostri, e fosse stato più di giorno, e rimasi
i nostri in sul prato, i nostri avieno la vittoria;
ma la notte fece fare la ritratta. E in quella medesima
notte i Pisani con molto affanno e sollecitudine rifeciono
i fossi e steccati più forti che prima; e ricominciò
la pioggia e 'l Serchio
a crescere, sì che non si potea
ben guadare in quello luogo, tante furono le
traverse
e difalte della nostra oste per
mala
condotta.
Veggendo il nostro capitano così aforzato il campo
di Pisani e non potendo fornire Lucca con sua grande
vergogna e
del nostro Comune e d'amici, si partì
coll'oste
domenica
a dì
XVIIII di maggio, e per li guadi
de' rami
del Serchio, ond'erano venuti;
ripassaro
il fiume e per la
via d'Altopascio, e puosonsi in sul
Cerruglio
a dì
XXI di maggio, e
a quello dierono battaglia
e no· ll'ebbono; e poi si partiro e tornaro in
Valdarno con onta e vergogna e grande spendio di
Fiorentini. E da Fucecchio si partiro
a dì
VIIII di giugno
IIm cavalieri con molti pedoni, e cavalcaro in sul
contado di
Pisa faccendo
danno assai; e
CL cavalieri
che de' Pisani venieno
a Marti furono
presi da' nostri.
Ma dopo volta fu la buona providenza
a venire
sopra quello di
Pisa. Quelli ch'erano in Lucca, veggendosi
abandonati
del soccorso di tanta
potenza,
cercaro loro accordo co' Pisani, e rendero loro la
città
di Lucca salve le persone con ciò che nne vollono
trarre,
a dì
VI di luglio
MCCCXLII. E nota ch'al principio
che
ll'oste nostra era
a
Grignano i Pisani vollono
di
patti, pace faccendo, dare di Lucca al nostro Comune
CLXXXm di fiorini d'oro in
sei
anni, per quelli
promessi
a meser Mastino; e oltre
a cciò per omaggio
dare
a perpetuo ogn'
anno per san Giovanni
Xm
fiorini d'oro, e uno palio con uno cavallo coverto di
scarlatto di
valuta di più di
CC fiorini d'oro. I più di
Fiorentini vi s'acordavano per fuggire spese e lla
guerra. Ma Cenni di
Naddo, ch'allora era priore e il
figliuolo in Lucca, uomo
presuntuoso, no· ll'asentì
mai, ma il
contrariò con sua
setta, e presesi il piggiore,
come siamo usati. Onde per quello ch'avenne
abassò molto lo stato de' Fiorentini, avendo più di
IIIIm buoni cavalieri e popolo grandissimo, e perdere
sì fatta gara e impresa per male consiglio e
mala
condotta
e
capitaneria; overo più tosto per lo giudicio di
Dio, e per abassare la superbia e avara ingratitudine
di Fiorentini e di loro rettori. Lasceremo alquanto di
nostri fatti, ch'assai n'avemo detto
a questa volta, e
diremo d'altre cose che furono in altre parti in questi
tempi.
Ma non volemo lasciare di fare memoria della
profezia, overo predestinazione, che cci mandò da
Parigi il savio e valente maestro Dionigi dal Borgo
della nostra impresa di Lucca, come facemmo menzione
adietro nell'altro volume nel
capitolo della
morte di
Castruccio, che tutto fu vero; che quelli per
cui mano avemmo la tenuta della signoria di Lucca
fu
Guiglielmo
Canacci delli
Scannabecchi di Bologna,
vicario in Lucca e sindaco di
mesere Mastino,
ch'avea l'arme, come disse, nera e rossa, ciò era il
campo rosso e uno becco nero. E come fu con grande
affanno e spendio e vergogna
del nostro Comune,
assai chiaro si mostra
a cchi ha ben compreso l'aventure
che di ciò
occorsono, siccome per noi è fatta col
vero adietro
etterna memoria.
L. 12, cap. 141 rubr.Come in Mallina in Brabante s'aprese fuoco, e arse
le due parti della terra.
L. 12, cap. 141All'
entrata di maggio
MCCCXLII disaventurosamente
s'aprese fuoco nella terra di
Mallina in Brabante,
e ffu sì impetuoso e sanza avere rimedio di soccorso,
che v'arsono più di
Vm case, e andando l'uno
parente
a soccorrere la casa dell'altro, in
poca d'ora avea
novella
la sua ardeva. E arse la grande chiesa e 'l palagio
dell'
Alla con più di
XIIIIm panni, e
morivvi molte
persone, uomini e femmine e fanciulli, con infinito
danno di case e
maserizie e arnesi e altre
mercatantie,
che ffu uno grande giudicio di Dio.
L. 12, cap. 142 rubr.Come il popolo d'Ancona cacciarono della terra i loro
grandi.
L. 12, cap. 142All'entrante di giugno del detto anno per ingiurie
ricevute da certi grandi si levò in furia il popolo minuto
d'Ancona, e si levò a romore e assaliro i nobili e
grandi di loro città; e molti n'uccisero e fediro, e cacciaro
della terra, e rubarono le loro case; e cciò fu
crudele operazione, che per alquanti accessi fatti per
alcuni, tutti i noboli e lli innocenti come i colpevoli
così aspramente fossono puniti.
L. 12, cap. 143 rubr.Come morì il duca di Brettagna, e lla guerra ne
seguì.
L. 12, cap. 143Nel detto
anno
MCCCXLII morì il
duca di Brettagna
di suo male e sanza
ereda maschio. Questi era
per lo suo signoraggio il maggiore barone di
Francia,
e di
XII peri; rimase di lui una figliuola la qual era
moglie
del siri di
Valghere, e visconte di Limoggia; e
questa donna avea una figliuola la quale
Filippo di
Valos re di
Francia, morto il detto
duca, maritò
a
Carlo di
Bros suo nipote figliuolo della
sirocchia, e
fecelo
duca di Brettagna, onde i Brettoni furono mal
contenti, e quasi la maggior parte si rubellaro, e feciono
duca il
conte di
Monforte, figliuolo che ffu
del
fratello carnale
del sopradetto
duca,
a ccui succedea
il retaggio per linea masculina; onde il re di
Francia
fu molto ripreso d'ingiustizia,
mutando l'ordine e lla
consuetudine di
baronaggi di
Francia per lo nipote,
e fece contro alla sua elezione medesima
del reame,
come è detto per noi inn altra parte, succedendo il
retaggio per femmina.
A· rre
Aduardo d'Inghilterra
succedea il reame di
Francia per la madre; ma i signori
si fanno e disfanno le
leggi
a lloro
vantaggio.
Onde nacque grande
guerra; che 'l detto
conte di
Monforte con parte di Brettoni s'
allegò col re d'Inghilterra,
e
colle loro forze feciono molta
guerra al re
di
Francia, come seguirà per inanzi. E
del detto torto
fatto al
conte di
Monforte per
Filippo re di
Francia
tosto ne fece Iddio vendetta contro al detto re e contra
il detto
Carlo di
Bros, come si troverrà inanzi
l'
anno
MCCCXLVI e
ll'
anno
MCCCXLVII; però che niuna
giusta vendetta rimane impunita, bene ch'ella
s'indugi; e questo basti alla presente materia. Lasceremo
al presente de' fatti d'oltremonti, e torneremo
quando fia tempo e lluogo; e cominceremo il tredecimo
libro, come i Fiorentini per lo loro male stato
elessono per loro signore il
duca d'Atene, e
conte di
Brenna di
Francia, onde
seguì alla nostra
città di
Firenze
grandi
mutamenti e
pericolosi come inanzi leggendo
si potrà trovare.
Qui finisce il
dodecimo
libro.
L. 13, cap. 1 rubr.
Incomincia il tredecimo libro, come il duca d'Atene
occupò la signoria di Firenze, e quello ne seguì.
L. 13, cap. 1
Convienne cominciare il
XIII libro, però che richiede
lo stile
del nostro trattato; perch'è
nuova materia,
e grandi
mutazioni e diverse
rivoluzioni avennero
in questi tempi alla nostra
città di
Firenze per le
nostre
discordie tra' cittadini, e male
reggimento de'
XX uficiali, come adietro fatto avemo menzione; e
fieno sì diverse, ch'io autore, che fui presente, mi fa
dubitare che per li nostri successori apena fieno
credute
di vero; e fu pur così, come diremo apresso.
Tornata la detta nobile e grande oste e male
aventurosa
da Lucca, e
rendutasi Lucca
a' Pisani, i Fiorentini,
parendo loro male stare, veggendo che meser
Malatesta nostro capitano non s'era ben
portato nella
detta
guerra, e per tema
del trattato avuto col Bavero,
come adietro toccammo, per istare più
sicuri,
elessono per capitano e conservadore
del popolo
messere
Gualtieri
duca d'Atene e
conte di Brenna
francesco, all'
entrante di giugno
MCCCXLII, col
salaro,
cavalieri e pedoni ch'avea
mesere
Malatesta, per
termine d'uno
anno. E vollesi
a suo diletto overo segacità,
per quella
seguì apresso, tornare
a Santa
Croce
al luogo di frati minori, e lla gente sua d'intorno.
E poi in calen di
agosto apresso, finito il
termine di
meser
Malatesta, gli fu agiunta la
capitaneria generale
della
guerra, e che potesse fare giustizia
personale
in
città e di fuori. Il gentiluomo veggendo la
città in
divisione, ed essendo
cupido di moneta, che nn'avea
bisogno siccome viandante e pellegrino, e ben ch'avesse
il
titolo
del
ducato d'Atene no· llo possedea, e
per
suduzione di certi grandi di
Firenze, che al continovo
cercavano di rompere gli ordini
del popolo, e
di certi grandi popolani per essere signori e non rendere
i
debiti loro
a ccui
dovieno dare, e lle loro compagnie
sentendosi in male stato, i quali per inanzi al
luogo e tempo ci
converrà per necessità fare memoria,
al continuo
a Santa
Croce l'andavano
a consigliare,
di dì e di notte, che si recasse al tutto la signoria
libera della
città in mano; il quale
duca per le cagioni
dette, e vago di signoria, cominciò
a seguire il malvagio
consiglio, e
ad essere crudele e tiranno, per lo
modo che nel seguente
capitolo faremo memoria,
sotto
titolo di fare giustizia, per essere temuto, e al
tutto farsi signore di
Firenze.
L. 13, cap. 2 rubr.
Di certe giustizie che 'l duca fece in Firenze per essere
signore.
L. 13, cap. 2Avenne che il dì di san Iacopo di luglio
MCCCXLII,
essendo molti Pratesi iti alla festa
a Pistoia,
Ridolfo
di meser
Tegghia de' Pugliesi venne per
entrare in
Prato, che nn'era ribello, con forza degli
Ubaldini e
con
Niccolò
conte da Cerbaia, e con certi suoi fedeli,
nimici de'
Guazalotri, e de' nostri contadini
masnadieri
sbanditi in quantità di
XL a cavallo e
CCC a piè,
che lli
dovea esere data l'
entrata della terra; e per sua
sventura no· lli venne fatto, ma fu preso con da
XX
nostri isbanditi
andandosene per Mugello
agli
Ubaldini,
e
menato
a
Firenze. Il
duca lasciò i nostri isbanditi,
di cui avea la giuridizione, e al detto
Ridolfo,
che non gli era suddito né sbandito di
Firenze,
a torto
gli fece tagliare il capo; e questa fu la prima giustizia
che fece in
Firenze, onde molto fu biasimato da'
savi uomini di
Firenze di
crudeltà, e dissesi n'ebbe
moneta da'
Guazalotri di Prato suoi nimici, overo il
fece come
dice il proverbio di tiranni: «Chi
a uno
offende molti minaccia». Apresso all'
entrante d'
agosto
fece pigliare meser Giovanni di
Medici stato per
lo nostro Comune podestà in Lucca, e fecegli tagliare
il capo,
aponendoli (e fece confessare) che per danari
avea
lasciato fuggire di Lucca nel campo di Pisani
meser
Tarlato d'
Arezzo, cui avea in sua guardia; e
i più dissero che non v'ebbe colpa, se non di
mala
guardia. Apresso
del detto mese d'
agosto fece pigliare
Guiglielmo
Altoviti stato per lo nostro Comune
capitano d'
Arezzo, e
feceli tagliare il capo, trovando
per sua confessione per lui fatte molte baratterie, e
alcuni dissono fu
procaccio e spendio di
Tarlati d'
Arezzo,
i quali avea mandati presi
a
Firenze, come è
detto adietro; e
a cciò
diamo in parte fede; e condannò
uno nipote di quello
Guiglielmo e
Matteo di Borgo
stati inn
Arezzo e
Castiglione
Aretino,
ciascuno
in
D fiorini d'oro, per baratterie. Ancora fece pigliare
Naddo di Cenni di
Naddo grande popolano, il quale
era stato in Lucca camarlingo sopra le masnade, e fecegli
rimettere in camera
del Comune
IIIIm fiorini
d'oro, i quali si disse che con inganno avea avuti da'
Pisani sotto falso trattato tenuto co· lloro, e giurato
sopra
Corpus Domini di far loro compiere l'accordo
d'avere Lucca, quando Cenni di
Naddo suo padre
era priore di
Firenze, come toccammo nel quinto
capitolo
adietro. E oltre
a cciò gli fece rimettere in camera
fiorini
IImD d'oro, i quali confessò avere guadagnati
in Lucca nelle paghe de' soldati e vittuaglia; e
per grazia e
prieghi di molti popolani gli
perdonò la
vita, e prese da llui
mallevadori di fiorini
Xm d'oro, e
diegli i
confini
a Perugia. E per simile modo fece rimettere
in camera
a Rosso di Ricciardo de' Ricci,
compagno e camarlingo
del detto
Naddo in Lucca,
fiorini
IIImDCCC d'oro confessati avuti in sua parte, e
guadagnati in Lucca sopra i soldati e vittuaglia, e per
simile modo per grandi
prieghi perdonatogli la vita,
e messo in prigione per l'avere e per la persona.
L. 13, cap. 3 rubr.
Come il duca ingannò e tradì i priori e prese la signoria
di Firenze.
L. 13, cap. 3Per le sopradette giustizie fatte per lo
duca in persone
e inn avere di
IIII popolani delle maggiori case
di
Firenze di popolo,
Medici,
Altoviti, Ricci, e
Oricellai,
il
duca fu molto temuto e ridottato da tutti i
cittadini, e i grandi ne presono grande baldanza, e il
popolo
minuto grande allegrezza, perch'avea messo
mano ne' reggenti, magnificando il
duca, gridando
quando cavalcava per la
città: «
Viva il signore»; e
quasi in ogni canto o palazzo di
Firenze era dipinta
l'arme sua per li cittadini, per avere sua
benivolenza,
e cchi per paura. E in questi tempi ispirò e si compié
l'uficio di
XX rettori stati in
Firenze e guastatori della
republica per le cagioni dette ne' loro processi adietro,
e lasciando il Comune in debito di più di
CCCCm
di fiorini d'oro
a cittadini, sanza il debito promesso
a meser Mastino. Per le quali cagioni il
duca ne
montò in grande pompa, e
crebbegli la speranza
del
suo proponimento d'essere al tutto signore di
Firenze
col favore di grandi e
del popolo
minuto; e per
consiglio di certi de' detti grandi ne richiese i priori
ch'allora erano all'uficio. I detti priori cogli altri ordini,
dodici e' gonfalonieri, e gli altri consiglieri, in
nulla guisa vollono asentire di sottomettere la libertà
della republica di
Firenze sotto giogo di signore
a vita,
il quale non mai fu aconsentito o soferto per li
nostri padri antichi né
a 'mperadori, né
a· rre
Carlo,
né suoi discendenti, e tanto fossero amici o confidenti
in parte guelfa o ghibellina, né per isconfitte o
male stato ch'avesse il nostro Comune. Il detto
duca
per sudducimento e
conforto quasi di tutti grandi di
Firenze, e spezialmente principali quelli della possente
casa de' Bardi, e
Frescobaldi, Rossi, e Cavalcanti,
Bondelmonti, e
Cavicciuli, e
Donati, e
Gianfigliazzi,
e Tornaquinci, per rompere gli ordini della
giustizia ch'erano sopra i grandi, e così
promise loro
il
duca; e di popolo:
Peruzzi,
Acciaiuoli,
Baroncelli,
Antellesi e loro seguaci, per cagione
del male stato
delle loro compagnie, perché il
duca gli
sostenea
inn istato, non
lasciandoli rompere, né
strignere
a'
loro
creditori; e gli artefici
minuti,
a ccui
spiacea il
reggimento stato de'
XX e di popolari grassi: tutti gli
profersono aiuto in arme. Il
duca, il qual era segace e
nudrito in
Grecia e in Puglia più che in
Francia, veggendosi
tanto favore, la
vilia di nostra Donna di settembre
mandò un
bando per la
città di fare
parlamento
la mattina vegnente in sulla piazza di Santa
Croce per bene
del Comune. I priori e gli altri rettori
sentendo la traccia
del
duca e il suo male consiglio,
e non sentendosi forti né proveduti, e temendo
che faccendosi il detto
parlamento non fosse
discordia,
e romore, e
commovizione di
città, sì andarono
parte de' priori e di loro
consiglio la sera
a Santa
Croce
a trattare acordo col
duca; e dopo molta tirata
e dibattuta la querela, rimase molto di notte in questa
concordia col
duca, che 'l Comune di
Firenze gli
darebbe la signoria della
città e
contado per uno
anno,
oltre al tempo ch'elli l'avea, con quella giuridizione
e
patti e
gaggi ch'ebbe meser
Carlo
duca di Calavra
e figliuolo
del re Ruberto gli
anni
MCCCXXVI; e
questo accordo si fermò per
vallate carte per più notai
dell'una parte e dell'altra, e per suo saramento
che conserverebbe in sua libertà il popolo e
ll'uficio
di priori e gli ordini della giustizia, riducendosi il
detto ordinato
parlamento la mattina in sulla piazza
di priori per
confermare i
patti di su detti. La mattina
di nostra Donna, dì
VIII di settembre, il
duca fece
armare sua gente intorno di
CXX uomini
a cavallo,
ch'avea in
Firenze de' suoi, e da
CCC fanti
a piè. Ma
quasi tutti i grandi, salvo meser Giovanni della Tosa
e' suoi
consorti, furonvi co· llui, ch'aveno
cavalli, e i
detti popolani suoi amici con armi coperte, e l'acompagnaro
da Santa
Croce alla piazza de' priori presso
ad ora di terza. I priori e gli altri ordini scesono
del
palagio, e assettati
a ssedere col
duca sulla ringhiera,
e fatta la proposta per meser Francesco
Rustichelli
giudice allora priore e aringando sopra cciò; ma com'
era ordinato il
tradimento, non fu
lasciato più dire,
ma
a grido di popolo per certi
scardassieri e popolazzo
minuto, e
masnadieri di certi grandi, dicendo:
«Sia la signoria
del
duca
a vita
a vita, e
viva il
duca nostro signore!». E preso per li grandi
pesolone
per
metterlo in sul palagio, e perché il palagio era
serrato gridarono: «Alle scure!»; sicché
convenne
s'aprisse, e tra per forza e inganno il misono in sul
palagio in signoria; e' priori furono
messi di sotto nel
palagio nella camera dell'arme vilmente. E fu per
certi grandi
istracciato il
libro degli ordini e gonfalone
della giustizia, e poste le
bandiere
del
duca in sulla
torre, sonando le
campane
a Dio laudiamo. E fece
la mattina
due cavalieri, messer
Cerritieri de' Visdomini
suo
scudiere e famigliare, e Rinieri di
Giotto da
San Gimignano capitano stato di fanti di priori, il
quale aconsentì al
tradimento
a dare e aprire il palagio,
ch'agevole gli era
a difendere, com'era tenuto e
dovea fare per suo uficio; e assentì al detto
tradimento
messer
Guiglielmo d'Ascesi allora capitano
del popolo, il quale rimase poi co· llui per suo bargello
e carnefice, dilettandosi di fare
crudeli giustizie
d'uomini. Ma meser
Meliaduso d'Ascoli allora podestà
non volle consentire al
tradimento
del popolo di
Firenze, anzi volle
rinuziare l'uficio della podesteria;
ben si disse per alcuno, tutto fece
a frode e ipocresia,
però che poi pure rimase uficiale
del
duca. I grandi
feciono gran festa d'armeggiare, e lla sera grandi luminare
e
falò. Ivi
a
due dì apresso si fece il
duca
confermare
signore
a vita per li opportuni
consigli, e mise
i priori nel palagio fu de' figliuoli Petri dietro
a
San Piero Scheraggio con
XX fanti solamente, ove
n'avieno prima
cento, levando loro ogni uficio e signoria;
e levò l'arme
a tutti i cittadini
brivileggiati, o
di che stato si fosse, e poi all'ottava di nostra Donna
fece il
duca gran festa e solennità
a Santa
Croce per
la sua signoria, e fece offerere più di
CL prigioni; e 'l
nostro vescovo sermonando molto il lodò e magnificò
al popolo. In questo modo e
tradimento usurpò il
duca d'Atene la libertà della nostra
città, e anullò il
popolo di
Firenze ch'era
durato intorno di
L anni, in
grande libertà, e stato, e signoria. E
noti chi questo
leggerà come Iddio per le nostre
peccata in poco di
tempo diede e
promise alla nostra
città tanti fragelli,
come fu diluvio,
carestie,
fame, e mortalità, e sconfitte,
vergogne d'imprese,
perdimenti di sustanza di
moneta, e
fallimenti di mercatanti, e
danni di
credenza,
e
ultimamente di libertà recati
a tirannica signoria
e servaggio. E però, per Dio, carissimi cittadini
presenti e futuri, correggiamo i nostri difetti. Abbiamo
tra noi amore e carità, acciò che piacciamo all'
Altissimo, e non ci rechiamo
a l'ultimo giudicio della
sua
ira, come assai chiaro e aperto ci mostra per le
sue visibili minacce: e questo basti
a' buoni intenditori,
tornando
a nostra matera de' processi
del
duca;
che poi apresso ch'ebbe la signoria di
Firenze,
a dì
XXIIII di settembre la signoria d'
Arezzo, e quella di
Pistoia, ove avea già suoi vicari il
duca per lo Comune
di
Firenze, gli si dierono
a vita, e poco apresso
per simile modo gli si
diè
Colle di
Valdelsa e San Gimignano
e poi la
città di Volterra, onde molto li
crebbe lo stato e signoria, e ricolse
a ssé tutti i Franceschi
e Borgognoni ch'erano al soldo inn Italia, sicché
tosto n'ebbe più di
DCCC, sanza gl'Italiani; e
molti suoi
parenti e baroni vennero
a llui infino di
Francia per la
novella ita di là della sua signoria e
groria. E quando ciò fu
raportato al re
Filippo di
Francia suo sovrano, subitamente disse
a' suoi baroni
che gli erano d'intorno in sua lingua: «
Alberges
est le
pelegrin,
mas
il
i
a
mavoes
ostes», il quale fu
un propio
motto e di vera sentenzia e
profezia, come
poco tempo apresso gli avenne. Ancora nonn è da
dimenticare di mettere in nota una brieve
lettera d'amunizione
di grande sentenzia, che ssi trovò in uno
suo forziere quando fu cacciato di
Firenze, la quale
gli avea mandata il re Ruberto come seppe ch'egli
avea presa la signoria di
Firenze sanza sua saputa o
consiglio, la quale di
latino facemmo recare in
volgare
per seguire il nostro stile, la quale dicea
[].
L. 13, cap. 4 rubr.
La lettera che i· rre Ruberto mandò al duca d'Atene,
quando seppe ch'avea presa la signoria di Firenze.
L. 13, cap. 4«Non senno, non vertù, non lunga amistà, non
servigi
a meritare, non
vendicatogli di loro onte, t'ha
fatto signore de' Fiorentini, ma lla loro grande
discordia
e il loro grave stato, di che
se' loro più tenuto,
considerando l'amore che t'hanno mostrato,
credendosi
riposare nelle tue braccia. Il modo ch'hai
a
tenere
a
volerli bene governare si è questo. Che tti ritenghi
col popolo che prima reggea, e
reggiti per lo loro
consiglio, non loro per lo tuo; fortifica giustizia
e i loro ordini, e come per loro si governavano per
sette, fa' che per te si governino per
diece, cioè numero
comune, che lega in sé tutti i
singulari numeri,
ciò vuol dire no· lli reggere per
sette né
divisi, ma
a
comune. Abbiamo inteso che traesti quelli rettori
della casa della loro abitazione, cioè de' priori, nel
palagio
del popolo fatto per loro contentamento
del
propio;
rimettilivi, e abiterai nel palagio ove abitava
nostro figliuolo, cioè nel palagio della podestà, ove
abitava il
duca di Calavra, quando fu signore in
Firenze.
E se questo non farai, non ci
pare che ttua salute
si possa
stendere inanzi per
ispazio di molto
tempo. Re di Gerusalem e di Cicilia.
Data
a Napoli
a
dì
XVIIII di settembre
MCCCXLII,
indizione».
E nonn è da lasciare di fare memoria d'una sformata
mutazione d'abito che cci recaro di
nuovo i
Franceschi che vennero al
duca in
Firenze; che
colà
dove
anticamente il loro vestire ed abito era il più
bello, nobile e onesto, che null'altra nazione,
a modo
di togati Romani, sì ssi
vestieno i giovani una
cotta
overo gonnella,
corta e
stretta, che non si potea vestire
sanza aiuto d'altri, e una coreggia come cinghia
di cavallo con
isfoggiate
fibbie e
puntale, e con grande
iscarsella alla tedesca sopra il pettignone, e il
capuccio
vestito
a modo di
sconcobrini col
batolo fino
alla
cintola e più, ch'era
capuccio e mantello, con
molti fregi e
intagli; il becchetto
del
capuccio lungo
fino
a terra per avolgere al capo per lo freddo, e
colle
barbe lunghe per mostrarsi più
fieri inn arme. I
cavalieri vestivano uno
sorcotto, overo
guarnacca
stretta, ivi su cinti, e lle punte de' manicottoli lunghi
infino in terra foderati di vaio e
ermellini. Questa
istranianza d'abito, non bello né onesto, fu di presente
preso per li giovani di
Firenze e per le donne
giovani di disordinati manicottoli, come per natura
siamo
disposti noi vani cittadini alle
mutazioni de'
nuovi abiti, e i strani contraffare oltre al modo d'ogni
nazione sempre al
disonesto e vanitade; e non fu
sanza
segno di futura
mutazione di stato. Lasceremo
di ciò, e diremo d'altre
novità di fuori che furono ne'
detti tempi.
L. 13, cap. 5 rubr.Come i Ghibellini d'Arezzo entrarono per furto nella
terra, e furonne cacciati.
L. 13, cap. 5Nel detto
anno,
a dì
VII di giugno, non esendo ancora
il
duca al tutto signore di
Firenze, se non capitano
della guardia della terra e come generale della
guerra, i
Tarlati rimasi fuori d'
Arezzo
coll'aiuto
del
capitano di
Furlì, e di quello di
Cortona, e que' da
Faggiuola, e Pazzi di Valdarno, e
Ubertini, in quantità
di
CCC cavalieri e
IIIm pedoni, la mattina per tempo,
per trattato di certi Ghibellini ch'erano dentro,
furono intorno
ad
Arezzo, e ffu data loro porta
Buia,
e quella tagliata ed aperta, e buona parte
entrati dentro
per correre la terra. Le masnade
del
duca e
del
Comune di
Firenze ch'erano in
Arezzo
a ccavallo e
a
piè cogli altri cittadini guelfi francamente combattendo
difesono la terra, e cacciarne fuori per forza i
nimici con gran
danno di morti e di presi. E poi cacciarono
d'
Arezzo molti Ghibellini chi per ribelli e cchi
a'
confini, i quali poi con molte castella de'
Tarlati,
e che rubellaro, feciono gran
danno
ad
Arezzo.
E poi,
a dì
XXVIIII di luglio, meser
Tarlato con
CCCC
cavalieri e pedoni assai valicò l'Ambra, e venne di
qua da
Montevarchi, guastando quello ch'era di fuori
sanza niuno contasto. E in que' tempi Francesco
di
Guido Molle degli
Ubertini, fratello
del vescovo
d'
Arezzo, rubellò al Comune di
Firenze il loro
Castiglione
per
tradimento di certi terrazzani, salvo la torre
ch'era in sulla porta, che v'era il castellano per lo
duca; il quale Francesco male proveduto, e per lo
soccorso tostano delle nostre masnade
a cavallo e
a
piè ch'erano in
Montevarchi, cogli altri Valdarnesi si
ricoverò il castello, e fu preso il detto Francesco e
menato
a
Firenze, e il
duca gli fece tagliare il capo; e
poi il detto
Castiglione delli
Ubertini prima tutto rubato,
e poi tutto arso e
diroccato e disfatto.
L. 13, cap. 6 rubr.
Quando morì Carlo Uberto re d'Ungheria.
L. 13, cap. 6Nel detto anno, d'agosto, morì Carlo Uberto re
d'Ungheria nipote del re Ruberto e figliuolo fu di
Carlo Martello; del quale fu gran danno, però ch'era
signore di gran valore in prodezza. Rimasene III figliuoli,
Lodovico, e Andreas; il quale Lodovico primogenito
fu coronato d'Ungheria, e secondo
overo terzo figliuolo fu coronato re di Pollonia, e poco
tempo apresso la reina d'Ungheria, moglie che ffu
del detto Carlo Uberto e figliuola del re di Pollonia
valente e savia donna, saputa la morte del re Ruberto,
che morì il gennaio vegnente, come tosto apresso
si farà menzione, sì passò in Puglia e a Napoli all'altro
suo figliuolo Andreas, a ccui succedea il reame di
Cicilia e di Puglia, con molti grandi baroni ungheri,
per dare favore e consiglio al detto Andreas, ch'era
molto giovane; e all'altro figliuolo rimase il reame
da Pollonia per retaggio della madre.
L. 13, cap. 7 rubr.Come il papa fece più cardinali, tra' quali fu un nostro
Fiorentino.
L. 13, cap. 7Nel detto
anno, per le
digiune di settembre, papa
Clemento
sesto apo
Vignone, ov'era la
corte, fece
X
cardinali, i
nove oltramontani, e
ll'altro messere Andrea
Ghini
Malpigli di
Firenze antico cittadino
d'Orto San Michele, il quale era vescovo di Tornai,
e molto amico
del re di
Francia, e
a ssua
preghiera
fu fatto cardinale. Ma, come piacque
a dDio, morì
fra
ll'
anno andando inn Ispagna per legato, onde fu
gran
danno, ch'era savio e valoroso, e sse fosse vivuto
avrebbe fatto onore e
pro alla nostra
città. Abbianne
fatta memoria, perché pochi cardinali o papa
sono stati in tanta
città com'è
Firenze, per lo poco
studio che' Fiorentini fanno fare
a' loro figliuoli in
chericia,
a lloro difetto. Funne il cardinale
Attaviano
degli
Ubaldini; e dicesi, ma no· llo
afermiamo, fu un
papa fiorentino di casa
Papeschi, e uno cardinale di
Bellagi di porta San Piero al tempo d'
Arrigo terzo
imperadore. Lasceremo alquanto delle
novità d'intorno,
e seguiremo i processi
del
duca d'Atene.
L. 13, cap. 8 rubr.Quello che 'l duca d'Atene fece in Firenze mentre
ne fu signore.
L. 13, cap. 8Come il
duca d'Atene fu fatto
a vita signore di
Firenze
per lo modo detto adietro, per avere meno
a
contendere di fuori, e
credendosi fortificare dentro il
suo stato e signoria, sì fece di presente pace e accordo
co' Pisani e con tutti i loro allegati, non guardando
ad onte o
vergogne
del Comune di
Firenze ricevute,
ove i Fiorentini speravano ch'elli facesse ogni
loro vendetta; e
a dì
XIII d'ottobre si piuvicò e bandì
in questo modo, che lla
città di Lucca rimanesse
a'
Pisani per
XV anni, e poi lasciarla inn stato comune,
e rimettendo al presente li usciti guelfi in Lucca che
tornare vi volessono, e rendendo loro i loro beni,
mettendovi il
duca podestà cui elli volesse, il detto
tempo rimanendo
a' Pisani la guardia
del castello
dell'Agosta ch'è in Lucca, e tutta la guardia e
dominazione
della terra, che lla podestà per lo
duca non
avea altro che 'l
salaro e 'l nome, che altra signoria
poco potea fare più che piacesse
a' Pisani, ma pure
era una posessione per lo nostro Comune, e
freno
a'
Pisani mentre che 'l
duca
dominava
Firenze, e
dando
i Pisani al
duca ogn'
anno per censo per lo san Giovanni
VIIIm fiorini d'oro in una coppa
dorata d'argento,
faccendo franchi i Fiorentini in
Pisa per
V anni,
ove prima eravamo franchi per sempre per li
patti
antichi, rimanendo d'accordo
a' Fiorentini tutte le
castella di Valdarno e di Valdinievole, che ssi tenieno,
e Barga e Pietrasanta; e che i Fiorentini
dovessono
rimettere in
Firenze e trarre di
bando tutti i loro
rubelli e usciti, e
nuovi e vecchi, stati al
servigio e lega
di Pisani, e perdonare
agli
Ubaldini e Pazzi e
Ubertini, e lasciare di prigione i
Tarlati d'
Arezzo
e rendendo loro pace, e trarre di prigione meser Giovanni
Visconti di Milano; e così fu fatto di presente;
al quale meser Giovanni Visconti il
duca vestì nobilemente,
e
diè
cavalli e danari, e fatto acompagnare
infino
a
Pisa, e domandando
a' Pisani il
mendo di
suoi
danni e interessi avuti per loro, gli ingrati Pisani
nol vollono udire, ma
apuosogli ch'egli era venuto in
Pisa per trattare
cospirazione nella terra per lo
duca,
e
convenne si partisse villanamente nella terra; della
quale cosa meser
Luchino signore di Milano prese
molto sdegno contro
a' Pisani, come si potrà trovare
leggendo. Per lo detto accordo dal
duca
a' Pisani
tornaro i Bardi e'
Frescobaldi e' loro seguaci in
Firenze,
e' Pisani lasciarono ogni prigione fiorentino
e lloro allegati ch'erano presi in
Pisa e in Lucca.
A dì
XV d'ottobre il
duca fece
nuovi priori, i più
artefici
minuti, e mischiati di quelli che loro antichi
erano stati Ghibellini; e
diè loro un gonfalone di giustizia
così fatto di tre
insegne, ciò fu di costa all'asta
l'arme
del Comune, il campo bianco e 'l giglio rosso;
e apresso in mezzo la sua il campo azurro
biliottato
col leone
ad oro, e al
collo
del leone uno scudetto
dell'arme
del popolo; apresso l'arme
del popolo il
campo bianco e lla croce
vermiglia, e di sopra il rastrello
del re; e mise i priori nel
palagetto ove prima
stava l'
esegutore in sulla piazza con poco uficio e minore
balìa, se non il nome, e sanza sonare le
campane
a martello o congregare il popolo, com'era usanza.
Del detto
nuovo e disimulato gonfalone i grandi
ch'avieno fatto signore il
duca e
crediansi ch'al tutto
il
duca annullasse il popolo in detto e in fatto, come
avea
promesso loro, si turbarono forte, e
massimamente
perché in que' dì fece condannare subitamente
uno de' Bardi in
Vc fiorini d'oro o nella mano, perch'
avea
stretta la
gola
a uno suo vicino popolano
che lli dicea villania. E così
puttaneggiava e disimulava
il
duca co' cittadini, togliendo ogni baldanza
a'
grandi che ll'aveano fatto signore, e togliendo la libertà
e ogni balìa e uficio, altro che 'l nome de' priori,
e al popolo; e cassò l'uficio di gonfalonieri delle
compagnie
del popolo, e tolse loro i gonfaloni, e
ogni altro ordine e uficiali di popolo cassò, se non
a
suo beneplacito
ritegnendosi co' beccari, vinattieri,
scardassieri e artefici
minuti,
dando loro consoli e
rettori al loro volere, dimembrando gli ordini antichi
dell'
arti
a ccui erano sottoposti per volere maggiori
salari di loro lavorii. Per le
sudette cagioni e altre fatte
per lui, come si troverrà leggendo assai poco
apresso, si
criò conspirazione contro al
duca per li
grandi e popolani medesimi che ll'avieno fatto signore,
come tosto si potrà trovare. E fece torre tutte le
balestra grosse
a' cittadini, e fece fare l'antiporte al
palagio
del popolo, e
ferrare le finestre della
sala di
sotto per gelosia e sospetto de' cittadini, e fece comprendere
tutto il circuito dal detto palazzo
a quelli
che furono di figliuoli Petri, e lle torri e case di Manieri
e di
Mancini, e di Bello
Alberti, comprendendo
tutto l'antico gardingo e ritornando in sulla piazza. E
il detto compreso fece cominciare e
fondare di grosse
mura e torri e barbacani per farne col palagio insieme
uno grande e forte castello, lasciando il lavorio
di
deficare il ponte Vecchio, ch'era di tanta necessità
al Comune di
Firenze, togliendo di quello le pietre
conce e legname. Fece disfare le case di Santo
Romolo
per fare piazza al castello infino nel Garbo. E
mandò
a
corte al papa per licenza di disfare San Piero
Scheraggio, e Santa Cicilia, e Santo
Romolo, ma
no· lli fu assentito per la Chiesa. Fece torre
a' cittadini
certi
palagi e fortezze e belle case ch'erano nelle
circustanze
del palagio, e misevi suoi baroni e sua
gente sanza pagare alcuna pigione. Fece fare alle
porti
nuovi
antiporti di costa
a' vecchi per più fortezza,
e rimurare le porte. Di donne e di
donzelle di
cittadini per sé e per sue genti cominciato
a ffare di
forze e villanie e di laide cose; intra
ll'altre per cagione
di donna tolse San
Sebbio
a' poveri, della guardia
dell'
arte di
Calimala, e
diello altrui illicitamente. E
per amore di donna rendé gli ornamenti alle donne
di
Firenze, e fece fare il luogo comune delle femmine
mondane, onde il suo maliscalco traeva molti danari.
Fece fare le paci tra' cittadini e contadini, e questo
fu il meglio che facesse, ma bene ne guadagnò egli e'
suoi uficiali grossamente da
coloro che lle
richiedieno.
Levò gli
assegnamenti
a' cittadini sopra le gabelle,
di danari
convenuti loro prestare per forza al Comune
per fornire la 'mpresa di Lombardia e quella
di Lucca, come adietro è fatta menzione, ch'erano
più di
CCCLm di fiorini d'oro,
asegnati in più
anni con
alcuno guiderdone. E questo fu gran male, e onde i
cittadini più si gravaro, e ffu rompimento di fede al
Comune; e molti cittadini, che
dovieno avere grossamente
dal Comune, ne furono
diserti; e recò
a ssé
tutte le gabelle, che montavano l'
anno più di
CCm di
fiorini d'oro sanza l'altre
entrate e gravezze. Fece fare
e pagare l'
estimo in
città e in
contado, che montò
più di
LXXXm di fiorini d'oro, onde i grandi e' popolani
e' contadini, che vivono di loro
rendite, si tennono
forte gravati. E quando fece fare l'
estimo,
promisse
e
giurò
a' cittadini di non fare loro altre gravezze
d'imposte o di prestanze, o di
nuove gabelle, ma
no· llo oservò, ma al continovo gravava i cittadini di
prestanze, e facea
criare e crescere
nuove e
sforzate
gabelle per uno ser
Arrigo
Fei; e quelli era suo amico,
che sapea trovare modi d'avere danari, onde che
venissono. E in
X mesi e
XVIII dì ch'elli regnò gli vennero
a mano di gabelle e d'
estimo, gravezze, e
condannagioni,
e altre
entrate presso di
CCCCm di fiorini
d'oro pure di
Firenze, sanza quelli che traeva delle
terre vicine ch'elli signoreggiava, de' quali rimandò
tra in
Francia e in Puglia più di
CCm di fiorini d'oro,
però che non tenea tra tutte le terre che signoreggiava
DCCC cavalieri, e quelli mal pagava; ma al bisogno
della sua rovina se n'avide
a suo
danno e vergogna.
Gli ordini de' suoi uficiali e consiglieri erano in questo
modo. I priori, come avemo detto, erano in nome,
ma non in fatto, sanza alcuna balìa. Era la podestà
mesere
Baglione da Perugia, che guadagnava volentieri;
messer
Guiglielmo d'Ascesi chiamato conservadore
overo assessino di lui e bargello, e stava
nel palagio de'
Cerchi bianchi nel Garbo.
Tre giudici
avea ordinati, che ssi chiamavano della Sommaria,
che tenieno
corte nelle nostre case e
cortili e logge
de' figliuoli
Villani da San Brocolo; questi giudici
rendieno ragione di fatto con molte baratterie; e uno
meser Simone da Norcia giudice sopra rivedere le
ragioni
del Comune, ed era più barattiere che
coloro
cui condannava per baratterie, abitava nel palagio fu
de'
Cerchi dietro
a San Brocolo. Di suo
consiglio era
il vescovo della Leccia sua terra di Puglia; e suo
cancelliere
Francesco il vescovo d'Ascesi fratello
del
conservadore; il vescovo d'
Arezzo degli
Ubertini, e
meser
Tarlato, e il vescovo di Pistoia e quello di Volterra,
e messere
Attaviano de'
Belforti: questi tenea
per
sicurtà delle loro terre, e vescovi per una sua coperta
ipocresia. Con cittadini avea di rado
consigli, e
poco gli
prezzava e meno gli oservava,
ristrignendosi
solo al
consiglio di meser
Baglione, e
del conservadore,
e di
mesere
Cerritieri de' Visdomini, uomini
corrotti in ogni vizio
a ssua maniera, faccendo i suoi
dicreti di fatto e sotto suo
sugello, il quale il suo
cancelliere
si facea bene valere. Signore era di
poca fermezza
e di meno fede di cosa che promettesse,
cupido
e avaro e mal grazioso;
piccoletto di persona e
brutto e
barbucino; parea meglio Greco che Francesco,
segace e
malizoso molto. Fece al suo conservadore
impiccare meser Piero di Piagenza uficiale della
mercatantia
opponendoli baratterie, e che mandava
lettere
a meser
Luchino da
Melano, e cchi disse li fé
in parte torto. Fece costrignere i
mallevadori di
Naddo
di Cenni, ch'era
a'
confini
a Perugia, che tornasse
con sua
sicurtà, e llui tornato
a dì
XI di gennaio, non
oservandoli fede, il fece
impiccare e
colla catena in
collo, acciò che non si potesse
ispiccare, e tolse
a'
suoi
mallevadori
VmDXV fiorini d'oro, opponendo gli
avea frodati al Comune in Lucca, oltre
agli altri levatoli
prima, e tutti i suoi beni
confiscò
a ssé,
opponendogli
ch'egli avea trattato col Comune di Siena e con
quello di Perugia contro
a llui, i quali non amavano
la vicinanza e signoria
del
duca; e forse in parte fu
vero. Questo
Naddo fu un sottile e sagace uomo, e
molto grande e
prosuntuoso in popolo e in Comune,
ma bene guadagnava volontieri. Il padre, Cenni di
Naddo, stato molto grande in Comune, per dolore
del figliuolo e tema
del
duca si fece frate di Santa
Maria Novella, e fece bene dell'anima sua, se 'l fece
con buona intenzione, per fare penitenzia delle colpe
commesse in Comune, e spezialmente inn isturbare
l'accordo co' Pisani onorevole assai per lo nostro Comune,
come toccammo adietro. In questi tempi,
del
mese di marzo, fece il
duca lega e compagnia co' Pisani,
e taglia di
IIm cavalieri contro
a ogni loro aversaro,
i Pisani tenere
DCCC cavalieri e 'l
duca
MCC cavalieri;
la qual compagnia molto
spiacque
ai Fiorentini
e
a tutti i Toscani guelfi, e poco s'oservò, perché
non era piacevole
mischiato, né buona compagnia.
Del mese di marzo detto il
duca fece in
contado
VI
podestadi, uno per
sesto, con grande balìa di potere
fare giustizia reale e
personale e con grandi
salari, e i
più furono de' grandi, che di nuovo erano stati rubelli,
rimessi in
Firenze di poco. La qual
nuova signoria
molto
spiacque
a' cittadini, e più
a' contadini,
che portavano la spesa e gravezza. Fece pigliare uno
Matteo di
Motozzo, e in su uno
carro
atanagliare, e
poi
tranare sanz'asse, e
impiccare, perch'avea rivelato
uno trattato de'
Medici e d'altri che
doveano offendere
il
duca, e
nol volle credere,
a suo
pericolo e
danno di quello, gli avenne. L'ultimo dì di marzo
fece
impiccare in su
Monterinaldi
Lamberto degli
Abati, il quale era stato valente uomo all'oste nostra
a Lucca della masnada di meser Mastino, perch'elli
gli avea rivelato uno trattato che certi grandi tenieno
contro al
duca con meser
Guidoriccio da Fogliano
capitano della gente di
mesere Mastino,
opponendoli
il contrario, che tenea trattato con meser Mastino di
torli la signoria. La qual cosa non fu vero, ma ffu vero
quello ch'è detto; ma per le sue opere vivea in
grande sospetto e gelosia, e chiunque gli rivelava
trattato o da beffe o da
dovero, o parlava contro
a llui,
facea morire; onde più altri di piccolo affare fece
a torto morire di
crudeli
tormenti per mano
del suo
carnefice conservadore di male opere. Per la
Pasqua
della Resurresione,
MCCCXLIII, tenne gran festa
a'
cittadini e suoi baroni conostaboli e soldati con
grandi
corredi, ma con
mala voglia di cittadini, e fece
tenere giostre nella piazza di Santa
Croce per più
dì, ma pochi cittadini vi giostrarono, che ggià
a'
grandi e
a' popolani cominciavano
a
spiacere i suoi
processi. All'uscita d'
aprile
MCCCXLIII ordinò e cominciò
ad afforzare e chiudere San Casciano e afforzare
per riducervi dentro le villate d'intorno, e che ssi
chiamasse Castello
Ducale, ma poco andò inanzi.
Fecesi in
Firenze
sei brigate di festa, di gente di popolo
minuto vestiti insieme
ciascuna brigata per sé, e
danzando per la terra. La maggiore fu nella
Città
Rossa, e il loro signore si nomò lo 'mperadore. L'altra
a San Giorgio col
Paglialoco; ed ebbono zuffa tra
queste
due. E una ne fu
a San Friano, e una nel borgo
d'Ognisanti. L'altra in quello di San
Pagolo. L'altra
nella
via larga delli spadai; e ffu motiva e assento
del
duca per recarsi all'amore della Comune e popolo
minuto, per quella sforzata vanità; ma poco gli
valse al bisogno. Per la festa di san Giovanni fece fare
l'oferta all'
arti al modo antico sanza gonfaloni, e lla
mattina della festa oltre
a'
ceri usati delle castella,
ch'erano da
XX, ebbe da
XXV pali di
drappi
ad oro,
bracchetti, sparvieri e astori per omaggio d'
Arezzo,
Pistoia, Volterra, San Gimignano,
Colle, e da tutti i
conti
Guidi, da Mangona, Cerbaia, e da
Montecarelli,
e Puntormo,
Ubaldini, Pazzi, e
Ubertini, e d'ogni
baroncello d'intorno, che ffu
coll'oferta de'
ceri una
nobile festa; e raunarsi i detti
ceri e pali e lli altri tributi
in su la piazza di Santa
Croce, e poi l'uno apresso
l'altro andaro al palagio ov'era il
duca, e poi
a San
Giovanni. Fece aggiugnere al palio dello sciamito
chermisi di
foderallo
a
rovescio di vaio
isgrigiato
quant'era l'asta, ch'era molto ricco
a vedere. La festa
fece ricca e nobile, e ffu la prima e sezzaia che
dovea
fare in
Firenze per le sue opere. All'uscita di giugno
fece fare una sconcia giustizia, che
a uno
Bettone
Cini
da Campi, de'
menatori de' buoi dell'antico carroccio,
il quale di poco l'avea il
duca fatto di priori, e
per la dignità
del carroccio vestitolo di scarlatto, però
che, poi ch'elli uscì dell'uficio, si
dolfe e disse alcuna
parola oziosa per una imposta gli era fatta per
lo
duca, gli fece cavare la lingua infino allo
strozzule
e con essa inanzi in su una lancia per
diligione
mandandolo
per la terra, e poi
pintone fuori
a'
confini
a
Pesero, ove poco apresso per quella
tagliatura della
lingua morì. Di questa
giustiza si turbaro molto i cittadini,
e
ciascuno la riputava in sé di non potere parlare,
né
dolersi de' torti e
oltraggi; ma la persona di
Bettone era degna di quello, e di peggio, ch'egli era
publicano e
villano
gabelliere, e
colla piggiore lingua
ch'uomo di
Firenze, sì che morì nel peccato suo.
A
dì
II di luglio il
duca fermò compagnia e taglia con
messere Mastino della Scala, e co' marchesi da Esti,
e col signore di Bologna, e co· llui contrasse parentado,
ma più gli era utole la compagnia e
benivolenza
de' buoni cittadini di
Firenze, la quale al tutto s'avea
levata e tolta, e quella che fece con quelli signori poco
o niente li valsono al suo bisogno, e poco
durò.
Assai avemo detto sopra i processi e opere
del
duca
d'Atene fatte in
Firenze mentre ne fu signore, e non
si potea fare di meno, acciò che sieno manifeste le
cagioni perché i Fiorentini si rubellaro della sua signoria,
e prendano
assempro per lo innanzi quelli
che sono
a venire di non volere signore perpetuo né
a vita. Lasceremo alquanto di questa matera, faccendo
incidenza, per raccontare altre
novità che furono
altrove in questi tempi, tornando assai tosto
a
contare
la fine ch'ebbe in
Firenze la sua signoria. Ma di
tanto volemo fare prima memoria, e questo sentimmo
e sapemmo di vero. Il dì e
ll'ora che prese la signoria,
per savi astrolaghi fu preso l'ascendente
che ffu gradi
XXII del
segno della Libra,
segno mobile
e opposito
del
segno d'Aries significatore di
Firenze,
e in
termine di Marti, e Marti nostro significatore
era nel detto
segno della Libra contrario alla sua casa,
e il suo signore Venus nel Leone gradi
VIII faccia
di Saturno e contradio alla sua
tripricità. Per la quale
costellazione dissono d'accordo che lla sua signoria
non
dovea compiere l'
anno, e con
mala uscita e vituperevole
e con molti tradimenti e romori con arme,
ma con pochi micidi. Ma più credo che fosse la cagione
il suo male
reggimento e lle sue ree opere per
lo suo pravo
libero albitro, male usandolo.
L. 13, cap. 9 rubr.D'una compagna di gente d'arme che feciono i soldati
de' Pisani.
L. 13, cap. 9Come fu fatta la pace dal
duca d'Atene e Pisani,
come dicemmo adietro, quasi tutti i soldati ch'erano
co' Pisani, intorno di
MD Tedeschi
a cavallo e più di
IIm pedoni di masnade Ghibellini, si partirono di
Pisa
e feciono una compagna con alcuno piccolo soldo
de' Pisani per
levarglisi d'adosso, e fare far
danno
a'
loro vicini. Vennero per quello di San
Miniato, e di
San Gimignano, e
Colle sanza fare
danno alcuno, né
toccaro di nostro
contado, perch'erano alla signoria
del
duca; il borgo di Staggia guastarono, e poi stettono
più dì
a fonte
Beccia, tanto che' Sanesi si ricomperarono
IIIIm fiorini d'oro; e però non lasciarono di
rubare e ardere più loro villate di Valdambra, e simile
feciono in
Valdichiane sopra quello di Perugia; e
dissesi che cciò fu ordine
del
duca d'Atene co' Pisani;
e cche vi misse danari per fare
danno
a' Sanesi e
Perugini, però ch'avieno rifiutata sua signoria e compagnia,
e voleano
vivere liberi e franchi. E poi cresciuta
la detta compagnia,
valicaro in
Romagna e sopra
a
Rimino per fare vergogna
a meser
Malatesta
stato nostro capitano di
guerra, e feciono
danno assai;
poi si distribuì e partì
a soldo di signori e Comuni
tra in
Romagna e in Lombardia, e venne meno la
detta compagna.
L. 13, cap. 10 rubr.Quando morì il re Ruberto.
L. 13, cap. 10Nell'
anno
MCCCXLII,
a dì
XVIIII di gennaio, passò
di questa vita il re Ruberto re di Gerusalem e di Cicilia
e di Puglia di sua malattia nella
città di Napoli.
E inanzi che morisse, come savio signore
dispuose i
suoi fatti per l'anima
cattolicamente, siccome
a tanto
signore e divoto di santa Chiesa si
convenia. Vivette
da
LXXX anni, e regnò in Puglia
anni
XXXIII e mesi. E
perch'egli non avea figliuoli altro che
due nipote, figliuole
che furono
del
duca di Calavra suo figliuolo,
inanzi che morisse, la maggiore fece sposare
ad Andreas
duca di Calavra e figliuolo che fu
del re d'Ungheria
suo nipote, come gli avea
promesso, e
fecelo
cavaliere, e farli fare omaggio
a llui e alla moglie
a
tutti i baroni
del Regno, siccome succedente re e reina.
Lasciolli grande
tesoro, e perch'egli era di piccola
età,
ordinò i suoi principali baroni governatori e
guardiani di lui e
del regno
a beneplacito della Chiesa.
Sopellissi al monistero di Santa Chiara in Napoli,
il quale elli avea fatto fare e
riccamente
dotato
a
grande onore. E in
Firenze se ne fece
cordoglio ed
esequio molto
solenne e di grande luminaria, e di
molta buona gente e signori
cherici e laici al luogo
de' frati minori
a dì
XXXI di gennaio. L'
aprile seguente
il
duca di
Durazzo nipote
del re Ruberto, figliuolo
di meser
Gianni suo fratello, con
dispensagione
del
papa per
procaccio
del cardinale di
Peragorgo
zio
del detto
duca, sposò l'altra figliuola fu
del
duca di
Calavra, per
retare il reame, e
ll'altra
sirocchia morisse
sanza
reda, onde nacque grande isdegno tra lloro
e lla reina sua zia figliuola fu
del re di
Maiolica, e
moglie
del re Ruberto; non avendo figliuolo, compiuto
l'
anno, si commisse nel monistero
a Santo Piero
a Castello, ch'ella fatto fare. Questo re Ruberto fu
il più savio re che fosse tra' Cristiani già ffa cinquecento
anni, sì di senno naturale sì di scienzia, come
grandissimo maestro in
teologia e sommo filosofo.
Dolce signore e amorevole fu, e amicissimo
del nostro
Comune, di tutte le virtù
dotato, se non che poi
che cominciò
a
'nvecchiare l'avarizia il guastava in
più guise;
iscusavasene per la
guerra ch'avea per
raquistare
la Cicilia, ma non bastava
a tanto signore e
così savio com'era in altre cose.
L. 13, cap. 11 rubr.
Come papa Clemento VI ordinò il giubileo e perdono
a rRoma nel L anno.
L. 13, cap. 11Nel detto anno MCCCXLII, del mese di gennaio,
papa Clemento VI apo Vignone in Proenza, dov'era
la corte co' suoi cardinali e molti vescovi e arcivescovi,
ricordandosi che papa Bonifazio VIII avea ritrovato
che 'l giubileo, cioè di C anni in C anni chi andasse
a Roma confesso e pentuto di suoi peccati e vicitasse
per XV dì continui la chiesa di San Piero e di
San Pagolo, gli era perdonato colpa e pena, durando
per uno anno il detto perdono, e quello confermato
l'anno MCCC, come adietro facemmo menzione, parendo
al detto papa e cardinali ch'aspettando l'altro
centesimo molti fedeli cristiani che sono vivi per le
corte vite degli uomini saranno morti, onde molto
perderebbono la grazia e 'l benificio, sì ordinò e confermò
che 'l detto giubileo e perdono fosse di L anni
in L anni, cominciando l'anno MCCCL per la natività
di Cristo, ritraendo per l'autorità della sacra iscrittura
che di L anni in L anni si celebrava il giubileo di figliuoli
d'Isdrael per comandamento di Dio, tutto
fosse in altra forma. Della qual cosa il detto papa e'
suoi cardinali molto furono commendati da tutti i
Cristiani, e maggiormente da' Romani, che nn'aspettavano
la grascia.
L. 13, cap. 12 rubr.
D'uno gran fuoco che ffu in Pietrasanta.
L. 13, cap. 12Nel detto anno, del mese di febraio, per fuoco
apreso, e cchi disse fatto mettere per li Pisani, arse
gran parte di Pietrasanta, salvo la rocca, e lli abitanti
la volieno abandonare, se non che 'l duca d'Atene,
a ccui guardia era per lo nostro Comune, mandò loro
danari e C moggia di grano per sovvenire la loro
necessità, e fu ben fatto.
L. 13, cap. 13 rubr.D'alcuna novità stata in Firenze in questo anno.
L. 13, cap. 13Nel detto
anno e mese di febraio per impetuoso
vento caddono le
mura
del
nuovo
dormentoro di frati
di San Marco, e
morìvi sotto
due frati e uno laico;
ben erano le
mura per
povertà assai sottili e mal fondate.
E nel detto
anno si mise la nuova
via dal Pozzo
Toscanelli su per la costa di sopra Santa Felicita e
sopra la chiesa di San Giorgio infino alla porta che
va inn
Arcetri, acciò che' popolani d'Oltrarno potessono
soccorrere al bisogno la detta porta, e andare
spediti intorno alle
mura d'Oltrarno sanza
convenirli
andare sotto la forza di Rossi e di Bardi, e fu ben fatto
per lo popolo. Ancora si recò la
misura dello
staio, ove si facea al colmo, perché vi s'usava frode si
recò
a raso,
crescendo il colmo nel raso, e più da libra
I e mezza in
II lo
staio
del grano; e questo
anno
valse lo
staio
del grano da soldi
XX, e il seguente
anno
del
MCCCXLIII valse da soldi
XXV. E il vino comune
di vendemmia carissimo da fiorini
V in
VI
cogno, di soldi
LXV e mezzo il fiorino.
L. 13, cap. 14 rubr.Come Messina fu rubellata a que' d'Araona che lla
signoreggiava, e come la raquistò.
L. 13, cap. 14Nel detto
anno, anzi da
due mesi che il re Ruberto
morisse, per suo trattato con certi rubelli di quello
don Piero che tenea Cicilia, ciò erano que' della casa
de'
Palizzi i più possenti di Messina, per loro amici e
di loro
setta corsono la
città di Messina con armata
mano, e uccisono il vicaro, overo capitano, che v'era
per lo loro re, e più di sua gente, e presono il forte
castello di San Salvadore, ch'è sopra il porto di Messina;
e cciò fatto, mandarono
XXX di loro
stadichi
a
Melazzo per dare di loro
fidanza al
conte
Scalore
delli Uberti di
Firenze, che v'era per capitano per lo
re Ruberto, fatto rubello di
don Piero, che mandasse
sua gente per la terra e per lo castello, il quale vi
mandò quelli che
poté, non
isfornendo
Melazzo. Ancora
mandarono
a Napoli al re Ruberto per soccorso,
il quale se di sùbito v'avesse mandato, come potea
e
dovea, sanza fallo avea
raquistata Messina, e
poi tutta l'isola; ma lla
tardezza
del re Ruberto e lla
sua avarizia, la quale guasta ogni nobole impresa, o
forse volle Idio o
promisse per non
darli tanta gloria
mondana inanzi che morisse,
tardò tanto il soccorso,
che in quella stanza
don
Guiglielmo figliuolo fu di
don
Federigo, guardiano e vicario dell'isola per lo figliuolo
del re Piero suo fratello, ch'era di
poca età,
venne
a Messina con
CCCC cavalieri e popolo assai, e
per li cittadini di sua
setta contradi di
Palizzi li fu data
l'
entrata della terra, e
corse la
città di Messina, e
uccisono e cacciaro tutti i loro ribelli e genti che v'erano
per lo re Ruberto; e per forza di
navi e cocche
ch'erano nel porto fece combattere Santo Salvadore,
e
raquistollo, uccidendo quanti dentro ve n'avea. E
nota, che ssi confa alquanto alla presente matera,
ch'è delle maraviglie
del secolo, i figliuoli di meser
Scalore delli Uberti nostri cittadini Ghibellini e rubelli,
e quelli d'Antioccia della casa di Soave, e quelli
da Lentino, e 'l
conte di
XX Miglia, e que' di meser
Palmieri Abati principali, che rubellarono i loro antichi
l'isola di Cicilia al re
Carlo vecchio, e de' detti
Palizzi di Messina, e altri loro seguaci per soperchio
e ingratitudine di Catalani s'erano ribellati da quelli
che tenea la Cicilia, e tornati al re Ruberto, ed elli ricevutoli
e
dotatili nel regno di grande baronie. E ben
disse il propio meser
Farinata, l'antico delli Uberti,
dimandato che cosa era parte, cavallerescamente in
brieve rispuose: «Volere e disvolere per
oltraggi e
grazie ricevute»; e ffu vera sentenzia.
L. 13, cap. 15 rubr.
Come il re di Raona tolse Maiolica al re di quella
suo cugino.
L. 13, cap. 15Nel detto anno il re d'Araona con trattato di grandi
borgesi di Maiolica tolse Maiolica al re di quella,
suo cugino; la qual cosa fu molto biasimata, e messa
per grande tradigione, con tutto che quelli che nn'era
re era uomo di cattiva vita e di poco valore, e tenea
per sua amica la nipote, e cacciava la moglie, e
non amato da sua gente. Lasceremo di più dire de'
fatti delli strani, e torneremo a nostra matera, a racontare
de' fatti di Firenze; e come il duca d'Atene,
che se n'era fatto signore per lo modo detto adietro,
ne fu cacciato; e molte revoluzioni e novità che alla
nostra città ne seguiro apresso, le quali a nnoi autore,
che lle vedemmo e fummo presenti, ci paiono
quasi impossibili a credere, tanto furono diverse e
maravigliose.
L. 13, cap. 16 rubr.Di certe congiurazioni che furono fatte in Firenze
contra il duca d'Atene che nn'era signore.
L. 13, cap. 16E' si dice fra nnoi Fiorentini uno antico e materiale
proverbio, cioè: «
Firenze non si muove, se tutta
non si
duole»; e bene che 'l proverbio sia di grosse
parole e
rima, per
isperienza s'è trovato di vera sentenzia,
e viene
a caso della nostra presente matera;
che
a certo il
duca nonn ebbe regnato
III mesi, che
quasi
a' più di cittadini non dispiacesse nella sua signoria
per li suoi
inniqui e malvagi processi, come
detto avemo adietro, e più ancora che scritto non s'è
per noi; però ch'ogni singulare cosa e sue operazioni
nonn ho potuto sapere né ricogliere, ma per le generali
e aperte assai si può comprendere. Prima che'
grandi che ll'aveano fatto signore, e aspettavano da llui
stato e grandezza, come avea loro
promesso, sì
trovato ingannati e traditi, ed eziandio que' grandi
ch'elli avea rimessi in
Firenze, non parea loro esere
ben trattati; e i grandi e possenti popolani che prima
avieno retta la terra, ch'al tutto gli avea anullati e tolto
loro ogni stato, onde il
nimicavano
a
morte.
A'
mediani e artefici dispiacea la sua signoria per lo non
guadagnare, e per lo male stato della
città, e per le
'ncomportabili gravezze sì d'
estimo, sì di prestanze, e
d'intollerabili gabelle, e per levare che fece
a' cittadini
gli
asegnamenti sopra le gabelle di danari prestati
al Comune. E dove i cittadini avieno speranza che
per lo suo
reggimento scemasse le spese, e
desse loro
buono stato, fece il contrario; e per le male ricolte
montò il grano in più di soldi
XX lo
staio, onde il popolo
minuto male si contentava. E per li
oltraggi delle
donne fatti per lui e per le sue genti, e altre forze,
e
crude giustizie, per le quali cagioni quasi i più di
cittadini commossi
a
mala volontà contro
a llui, onde
più congiurazioni s'ordinaro per
torli la signoria e lla
vita, chi per una forma, e cchi per un'altra, non sappiendo
al
cominciamento l'una
setta dell'altra, né
s'ardieno
a scoprire per le sue
crudeli giustizie; che
eziandio chi lle rivelava gli facea morire, come detto
è adietro. E principali furono
III sette e congiurazioni;
della prima fu capo il nostro vescovo degli
Acciaiuoli
frate predicatore, che al
cominciamento delle
sue prediche tanto il magnificava e gloriava, e co· llui
tenieno i Bardi; ciò furono principali: messere Piero,
messere
Gerozzo, messere Iacopo, e Andrea di
Filippozzo,
Simone di
Geri, tutti della casa de' Bardi, e
rimessi in
Firenze per lo
duca, e di Rossi
Salvestrino
e meser Pino, e più suoi
consorti. E de'
Frescobaldi i
caporali il priore di Sa· Iacopo meser Agnolo
Giramonte
anche di rimessi in
Firenze per lo
duca, e Vieri
delli
Scali, e più altri grandi e popolani,
Altoviti,
Magalotti, Strozzi, e
Mancini. Dell'altra congiura era
capo meser
Manno e
Corso di meser Amerigo de'
Donati, Bindo e
Beltramo e Mari de' Pazzi, e
Niccolò
di
mesere Alamanno, e
Tile
Benzi de'
Cavicciuli e
certi degli
Albizi. Della terza era capo Antonio di
Baldinaccio degli
Adimari, e
Medici, e Bordoni,
Oricellai,
e Luigi di
Lippo Aldobrandini, e più altri popolani
mediani. E più modi si trovò che
cercaron di
torli la signoria e cchi la vita, chi con trattato di Pisani,
chi con Sanesi e Perugini e con
conti
Guidi, alcuni
d'
asalirlo in palagio andando al
consiglio; ma per
sua gelosia, di ciò si provide, che
due volte
mutò i
sergenti e' famigliari che guardavano il palagio, e per
sospetto fece
ferrare le finestre
del palagio; alcuni di
saettarlo quando andava per la terra. L'altra
setta ordinaro
d'
asalirlo in casa gli
Albizi il dì di san Giovanni,
che vi
dovea venire
a vedere correre il palio; anche
per sospetto non v'andò. La terza
setta aveno ordinato,
imperò ch'egli cavalcava sovente per amore di
donna da casa i Bordoni alla
Croce
a Trebbio.
Questi v'
allogaro
due case, una da
ciascuno capo
della
via, e quelle guernirono d'arme e di balestra e
di
sbarre per asserragliare la
via dall'uno capo e dall'
altro e
inchiuderlo nel mezzo, e ordinati da
L masnadieri
arditi e franchi, che 'l
dovieno assalire con
certi caporali giovani e grandi e popolani
a ccui ne
calea, e aveano voglia di farlo, e assalito il
duca, levare
la terra
a romore, e' caporali di fuori
dovieno esere
in arme
a cavallo e
a piè al soccorso e per atterrare
lui e sua compagnia; che al principio cavalcava con
XXV o
XXX di sua gente disarmati, con alquanti cittadini
grandi e popolani, di
coloro medesimi ch'erano
congiurati contro
a llui. Ma tanto gli fu messo sospetto,
che poi menava
a sua guardia
II masnade di
L
di sue genti
a cavallo armati e da
C fanti, e smontato
lui da cavallo restavano armati in sulla piazza
del palazzo
a sua guardia: ma poco gli valieno al suo riparo
per l'ordine preso per le dette
congiure alla sua rovina;
però che quasi tutti i cittadini erano commossi
contro
a llui per le sue ree opere. Ma come piacque
a
Dio, per lo meno male, la terza
setta e congiura, la
qual era più pronta
a cciò fare, fu scoperta per uno
masnadiere
sanese, che
dovea essere
a cciò fare; il rivelò
a meser Francesco
Brunelleschi, non per
tradimento,
ma per
consiglio e come
a suo signore, credendo
il sapesse e tenesse mano alla congiura; il quale
cavaliere per paura di non esere incolpato, overo
per male di suoi nimici, che di tali erano caporali alla
detta congiura, il
manifestò al
duca, e
menogli il detto
fante sotto
fidanza, il quale ritenne segreto e
disaminollo,
e seppe d'alcuno ch'era de' detti congiurati
e caporali di
masnadieri; e di presente fece pigliare
Pagolo di Francesco
del
Manzeca orrevole popolano
di porta San Piero, tutto fosse brigante, e uno Simone
da Monterappoli
a dì
XVIII di luglio, e questi per
tormento confessarono e
manifestaro come Antonio
di
Baldinaccio era loro capo con più altri; il quale
Antonio richesto, per
sicurtà di sua grandezza comparì.
Il
duca il fece
ritenere nel palagio; e llui preso,
tutti gli altri principali d'ogni
setta per tema di loro
chi ssi partì della
città, e cchi si
nascose, onde tutta la
città fu in gelosia e in grande sospetto e tremore. Il
duca trovando la congiura contro
a llui sì grande,
e cche tanti grandi e possenti cittadini vi tenieno mano,
non ardì di fare giustizia de' detti presi; che sse
di sùbito l'avesse fatta, e
corsa la terra
colla sua gente
e popolazzo
minuto che 'l seguiva, rimaneva signore;
ma il suo peccato l'accecò, e lli misse tanta viltà e
paura nell'animo, che non sapea che ssi fare; e mandò
d'intorno alla terre e castella per la sua gente, e al
signore di Bologna per aiuto, il quale gli mandò
CCC
cavalieri. E pensossi di fare una grande vendetta e
crudele di molti cittadini con grande
tradimento, che
perché sabato mattina
a dì
XXVI di luglio era il dì di
santa
Anna, e il dì dinanzi fece richiedere più di
CCC
di maggiori cittadini di
Firenze, grandi e popolani
d'ogni famiglia e casato, che venissono dinanzi
a llui
in palagio per consigliarlo quello ch'avesse
a ffare de'
presi, con intenzione (e questo fu poi fuori di
Firenze
manifesto) che come fossono ragunati nella
sala
del palagio, ch'avea le finestre
ferrate, come detto
avemo, di fare serrare la
sala, e quanti dentro ve n'avesse
fare uccidere e tagliare, e correre la terra al
modo fece l'
empissimo
Totila
Fragellum Dei quando
distrusse
Firenze. Ma Iddio, che sempre ha guarentita
al bisogno la nostra
città per le
limosine e per li
meriti delle sante persone religiose e laici, che vi sono
innocenti, la guardò di tanto male e
pericolo; che
prima misse sospetto in cuore
a tutti i richiesti di
non andare in palagio al detto
consiglio,
intra' quali
ve n'avea molti di congiurati, e poi il dì medesimo
quasi tutti i cittadini di grande accordo insieme, diponendo
tra lloro ogni ingiuria e malavoglienza, scoprendosi
l'una
setta all'altra, di loro ordine e trattati
tutti s'armarono per rubellarsi da llui, come diremo
apresso nel seguente
capitolo.
L. 13, cap. 17 rubr.
Come la città di Firenze si levò a romore, e cacciaronne
il duca d'Atene che nn'era signore.
L. 13, cap. 17Essendo la
città di
Firenze in tanto
bollore, e sospetto
e gelosia, sì per lo
duca avendo scoperte le
congiurazioni fatte per tanti cittadini contra llui, e
fallitoli il suo proponimento di non potere
raccogliere
i nobili e possenti cittadini al falso e disleale
consiglio,
e d'altra parte i cittadini i più possenti sentendosi
in colpa della congiura, e sentendo il mal volere
del
duca, e che già nella terra avea più di
DC cavalieri
di sue masnade, e ogni dì agiugneva; e lla gente
del
signore di Bologna e certi altri Romagnuoli che venieno
in suo aiuto avieno già valicata l'alpe,
dubitarono
che llo indugio non fosse
a lloro
pericolo,
ricordandosi
del verso di Lucano: «
Tolle
mora,
semper
etc
.». Gli
Adimari, e
Medici, e
Donati principali, sabato
sonata nona, usciti i lavoranti delle botteghe dì
XXVI di luglio, il dì di santa
Anna
anni
Domini
MCCCXLIII, ordinarono in Mercato Vecchio e in porta
San Piero che certi ribaldi fanti
fitiziamente s'
azzuffassono
insieme, e
gridassono: «All'arme, all'arme!»;
e così feciono. La terra era
insollita e in paura,
incontanente tutta
corse
a furore e
a sgombrare i
cari luoghi; e di presente, com'era ordinato, tutti i
cittadini furo armati
a cavallo e
a piè,
ciascuno alla
sua contrada e vicinanza, traendo fuori
bandiere dell'
armi
del popolo e
del Comune, com'era ordinato,
gridando: «Muoia il
duca e' suoi seguaci, e
viva il
popolo e 'l Comune di
Firenze e libertà!». E di presente
fu
abarrata e
aserragliata tutta la
città
ad ogni
capo di vie e di contrade. Quelli
del
sesto d'Oltrarno,
grandi e popolani, si
giurarono insieme e baciarono
in bocca, e
abarraro i
capi de' ponti, con intenzione
che se tutta la terra di qua si perdesse, di tenersi
francamente di là. E mandato il dì dinanzi da
parte
del Comune segretamente per soccorso e aiuto
a' Sanesi; e certi di Bardi e
Frescobaldi stati
a
Pisa e
tornati di nuovo in
Firenze mandarono per loro ispezialtà
per aiuto
a' Pisani. La qual cosa quando si seppe
per lo Comune e per li altri cittadini, forte se ne
turbaro. La gente
del
duca sentendo il romore s'
armaro
e montaro
a cavallo, e chi potéo di loro al
cominciamento
corsono alla piazza
del palagio in quantità
di
CCC a cavallo; gli altri, chi ffu preso, e rubato
per li alberghi, e cchi per le vie fediti e morti e scavallati,
e per li serragli impacciati, e rubati i
cavalli
e
ll'arme. Al
cominciamento trassono al soccorso
del
duca in sulla piazza di priori certi cittadini amici
del
duca, cui avea serviti, che non sapieno il segreto delle
congiure; ciò furono de' principali: messer Uguiccione
Bondelmonti con alcuno suo
consorto e cogli
Acciaiuoli, e meser
Giannozzo Cavalcanti e di suoi
consorti, e
Peruzzi, e
Antellesi, e certi
scardassieri e
alcuno
beccaio, gridando: «
Viva lo signore lo
duca!».
Ma come s'avidono che quasi tutti i cittadini
erano sommossi
a furore contro
a llui, si tornarono
a
casa, e seguirono il popolo, salvo messere Uguiccione
Bondelmonti, cui il
duca ritenne seco in palagio,
e i priori dell'
arti per
sicurtà di sua persona, i quali
erano rifuggiti in palagio. Essendo levato il detto romore
e tutta gente
ad arme, quelli de'
cinque
sesti,
ond'erano capo gli
Adimari, per scampare Antonio
di
Baldinaccio loro
consorto e gli altri presi per lo
duca, e
Medici, e
Altoviti, e
Oricellai, e degli altri offesi
da llui, com'è detto adietro, presono le bocche
delle vie che menano in sulla piazza
del palagio de'
priori, ch'erano più di
XII vie, e quelle
abarrarono e
aforzarono sicché nullo non potea
entrare né uscire
del palagio e piazza, e di dì e di notte si combattero
colla gente
del
duca, ch'erano in sul palagio e 'n sulla
piazza, ov'ebbe alquanti morti, ma molti fediti di cittadini
per lo molto saettamento e pietre che
venia
del palagio dalla gente
del
duca. Ma alla fine la gente
del
duca ch'era in sulla piazza, la sera medesima, non
poterono durare e non avendo da
vivere, lasciando i
loro
cavalli, i più di loro si fuggiro nel compreso
del
palagio ov'era il
duca e' suoi baroni, e alquanti si
guerentirono tra' nostri lasciando l'armi e
cavalli, e cchi
preso e cchi fedito. E come si cominciò il detto
romore,
Corso di meser Amerigo
Donati co' suoi
fratelli e altri seguaci ch'avieno loro amici e
parenti
in prigione assaliro e combattero la carcere delle
Stinche, mettendo fuoco nello sportello e bertesca
ch'era di legname, e
collo aiuto de' prigioni dentro
ruppero le dette carcere, e
uscinne tutti i prigioni, e
con quello
empito,
crescendo loro séguito di meser
Manno
Donati, e di
Niccolò di meser Alamanno, e
Tile di
Guido
Benzi de'
Cavicciuli, e
Beltramo de'
Pazzi, e di più altri, ch'avieno loro amici in
bando e
presi in palagio, assalirono combattendo il palagio
della podestà, ov'era
mesere
Baglione da Perugia podestà
per lo
duca, il quale né egli né sua famiglia si
misono
a
risistenza, ma con grande paura e
pericolo
si fuggì
a guarentigia in casa gli
Albizi, che 'l ricolsono;
e cchi di sua famiglia si fuggì in Santa
Croce; e
rubato il palagio d'ogni loro arnesi infino alle finestre
e panche
del Comune; e ogni atto e scritture vi
furono prese e arse, e rotta la carcere della
Volognana,
e scapolati i prigioni; e poi ruppono la camera
del Comune, e di quella tratti tutti i
libri ov'erano
scritti gli sbanditi e rubelli e condannati, e arsi tutti;
e simile rubati gli atti dell'uficiale della
mercatantia
sanza contasto niuno. Altra ruberia od offensione
corporale non fu fatta in tanto
scioglimento di
città,
se non contro alla gente
del
duca; che ffu gran cosa,
e tutto avenne per l'unità in che ssi trovaro i cittadini
a ricoverare la loro libertà e quella della republica
del Comune. E cciò fatto, il detto sabato quelli d'Oltrarno
apersono l'
entrata de' ponti, e
valicaro di qua
a cavallo e
a piè in arme, e cogli altri cittadini de'
V
sesti feciono levare le
sbarre e serragli delle rughe
mastre,
colle
'nsegne
del Comune e
del popolo cavalcarono
per la
città gridando: «
Viva il popolo e
Comune in sua libertà, e muoia il
duca e' suoi!»; e
trovarsi i cittadini più di mille
a cavallo ben montati,
e inn arme tra di loro
cavalli e di quelli tolti alla gente
del
duca, e più di
Xm cittadini armati
a corazze e
barbute come cavalieri, sanza l'altro
minuto popolo
tutto in arme, sanza alcuno forestiere o contadino; il
quale popolo fu molto amirabile
a vedere, e possente,
e unito. Il
duca e sua gente veggendosi così fieramente
assaliti e assediati dal popolo nel palagio con
più di
CCCC uomini (e non avea quasi altro che biscotto
e
aceto e acqua), ma
credendosi guarentire dal
furioso popolo, la
domenica fece cavaliere Antonio
di
Baldinaccio il quale non si volea fare di sua mano;
ma i priori, ch'erano rinchiusi in palagio, vollono si
facesse
a onore
del popolo di
Firenze; poi lasciò lui e
gli altri cui avea
presi, e puose in sul palagio
bandiere
del popolo, ma però non cessò l'asedio e
furia
del
popolo. La
domenica di notte giunse il soccorso di
Sanesi,
CCC cavalieri e
CCCC balestieri molto
bella
gente, e co· lloro
sei grandi e popolani cittadini di
Siena per ambasciadori. I Saminiatesi mandato al
servigio
del nostro Comune
IIm pedoni armati, e'
Pratesi
D. E venne di presente il
conte Simone da
Battifolle, e
Guido suo nipote con
CCCC fanti. E di
nostri contadini armati il seguente dì vennero in
grandissima quantità al Comune e
a'
singulari cittadini,
onde tutta la
città fu piena d'innumerabile gente.
I Pisani mandavano alla richiesta di loro amici,
come toccammo adietro, sanza
assento
del Comune,
D cavalieri, i quali vennero infino al borgo della Lastra
di là da Settimo. Sentendosi in
Firenze, se n'ebbe
grande gelosia e grande mormorio contro
a que'
grandi
a ccui richiesta venivano; e per lo Comune e
per loro fu
contramandato che non venissono, e così
feciono; ma tornandosi adietro, da quelli di Montelupo
e di Capraia e d'
Empoli e di Puntormo furono
assaliti, e tra morti e presi più di
cento pure de' migliori;
e perderono più di
CC cavalli, che furono loro
tra morti e rubati.
Arezzo sentito come il
duca era assediato da' cittadini
di
Firenze, incontanente si rubellarono alla gente
e uficiali
del
duca per li Guelfi. E il castello dentro
fatto per li Fiorentini rendé Guelfo di meser Bindo
Bondelmonti. E
Castiglione
Aretino rendé Andrea e
Iacopo
Laino de'
Pulci, che nn'erano castellani,
a'
Tarlati. Pistoia si rubellò, e
ridussonsi
a lloro libertà
e
a popolo guelfi, e disfeciono il castello fatto per li
Fiorentini e ripresono Serravalle. E rubellossi Santa
Maria
a Monte e Montetopoli tenendosi per loro; rubellossi
Volterra, e tornò alla signoria di meser
Attaviano
de'
Belforti, che prima la signoreggiava; e
Colle,
e San Gimignano dalla signoria
del
duca, e disfeciono
le castella, e rimasono i· lloro libertà. Tale fu la
rovina della signoria
del
duca in
Firenze e d'intorno.
In pochi giorni venuti in
Firenze i Sanesi e
ll'altra
amistà, il vescovo con certi buoni cittadini grandi e
popolani feciono richiedere
a bocca tutta buona gente,
e sonare la campana della podestà, e bandire
parlamento
per riformare lo stato e signoria della
città.
E congregati tutti in Santa Reparata in arme il lunedì
apresso, di grande accordo
elessono l'infrascritti
XIIII cittadini,
VII grandi e
VII popolani con piena
balìa di riformare la terra e fare uficiali e
leggi e statuti,
per tempo fino
a calen di ottobre vegnente; ciò
furono
del
sesto d'Oltrarno messer
Ridolfo di Bardi,
messer Pino de' Rossi, e
Sandro di Cenni
Biliotti; di
San Piero Scheraggio messer
Giannozzo Cavalcanti,
messer Simone
Peruzzi,
Filippo Magalotti; per Borgo
meser Giovanni
Gianfigliazzi, Bindo
Altoviti; per
San Brancazio messer Testa Tornaquinci, Marco degli
Strozzi; per porta
del
Duomo messer Bindo della
Tosa, messer Francesco de'
Medici; di porta San
Piero
mesere
Talano degli
Adimari, messer Bartolo
de' Ricci. I detti
XIIII elessono per podestà il
conte
Simone, e
ragunavansi nel vescovado. Ma il detto
conte, come savio,
rinuziò e non voll'essere giustiziere
de' Fiorentini; e però chiamato meser Giovanni
marchese da Valiano, e infino che penasse
a venire
elessono luogotenente di podestà l'infrascritti
VI cittadini,
uno per
sesto,
III grandi e
III popolani; messer
Berto di meser Stoldo
Frescobaldi,
Nepo delli
Spini, meser Francesco
Brunelleschi,
Taddeo dell'
Antella, Paolo Bordoni, Antonio degli
Albizi; e stavano
nel palagio
del podestà con
CC fanti pratesi, tegnendo
ragione sommaria di ruberie e forze e di simili,
sanz'altro uficio. In questa stanza non cessava
l'assedio
del
duca, di dì e di notte combattendo il palagio,
e di cercare di suoi uficiali. Fu preso uno notaio
del conservadore per li
Altoviti stato crudele e
reo, fu tutto tagliato
a bocconi. E apresso fu trovato
meser Simone da Norcia stato uficiale sopra le
ragioni
del Comune, il quale molti cittadini cui
a diritto e
cui
a torto avea tormentati
crudelmente e condannati,
per simile modo
a pezzi tutto tagliato. E uno notaio
napoletano, ch'era stato capitano di sergenti
a
piè
del
duca, reo e fellone tutto fu
abocconato dal
popolo. E ser
Arrigo
Fei, ch'era sopra le gabelle, fuggendosi
da' Servi vestito come frate,
conosciuto da
San
Gallo fu morto, e poi da' fanciulli
tranato
ignudo
per tutta la
città, e poi in sulla piazza de' priori
impeso per li piedi, e sparato e
sbarrato come porco:
tal fine ebbe della sua isforzata industria di trovare
nuove gabelle, e lli altri di su detti della loro
crudeltà.
I signori
XIIII col vescovo, e 'l
conte Simone e lli
ambasciadori di Siena al continuo erano in trattato
col
duca per
trarlo di palagio, e sovente
a vicenda
a
parte
a parte di loro
entravano e uscivano di palagio,
benché poco piacesse al popolo. Alla fine nulla concordia
asentiva il popolo, se non avessono dal
duca il
conservadore, e 'l figliuolo, e meser
Cerritieri per
farne giustizia. Il
duca in nulla guisa l'asentiva, ma i
Borgognoni ch'erano assediati in palagio s'allegarono
insieme, e dissono al
duca che inanzi che volessono
morire di
fame e
a tormento,
darebbono preso lui al
popolo, non che i detti tre, e ordinato l'avieno, e il
podere avieno di farlo, tanti erano, e sì erano forti. Il
duca veggendosi
a tal partito acconsentì; e venerdì,
a
dì primo d'
agosto, in sull'ora della
cena i Borgognoni
presono meser
Guiglielmo d'Ascesi, detto conservadore
delle tirannie
del
duca, e un suo figliuolo d'età
di
XVIII anni, di poco fatto cavaliere per lo
duca, ma
bene era reo e fellone
a tormentare i cittadini, e
pinsollo
fuori dell'
antiporto
del palagio in mano dell'
arrabbiato
popolo, e di
parenti e amici cui il padre
avea
giustiziati,
Altoviti,
Medici,
Oricellai, e quelli di
Bettone principali, e più altri, i quali, in presenza
del
padre per più suo dolore, il suo figliuolo
pinto fuori
inanzi il
tagliarono e
smembrarono
a
minuti pezzi;
e cciò fatto
pinsono fuori il conservadore e feciono il
somigliante, e chi nne portava un pezzo in sulla lancia
e cchi in sulla spada per tutta la
città; ed
ebbevi
de' sì
crudeli, e con
furia bestiale e tanto animosa,
che mangiaro delle loro carni
cruda e
cotta. Cotale
fu la fine
del traditore e persecutore
del popolo di
Firenze. E nota che cchi è crudele
crudelmente
dee
morire,
disit Domino. E fatta la detta furiosa vendetta
molto s'
aquetò e contentò la rabbia
del popolo;
e ffu però scampo di meser
Cerritieri, che
dovea esere
il terzo; ma saziati i loro aversari no· llo domandaro;
e fuggendosi la sera fu
nascosto e poi
traviato da
certi di Bardi, e altri suoi amici e
parenti. E per la
detta furiosa vendetta fatta sopra il conservadore e 'l
figliuolo, ch'avea giudicati
Naddo di Cenni e
Guiglielmo
Altoviti e gli altri, poco apresso si feciono cavalieri
due delli
Oricellai e poi
due delli
Altoviti; la
qual cosa poco fu loro lodata da' cittadini. Ma torniamo
a nostra matera de' fatti
del
duca, che lla
domenica
apresso, dì
III d'
agosto, il
duca s'
arrendé e
diede il palagio al vescovo e
a'
XIIII e
a' Sanesi e
conte
Simone, salve le persone di lui e di sue genti. La
qual sua gente n'uscirono con gran paura acompagnati
da' Sanesi e da più buoni cittadini. E il
duca
rinuziò
con saramento ogni signoria e giuridizione e
ragione ch'avesse aquistata sopra la
città
contado e
distretto di
Firenze,
dimettendo e perdonando ogni
ingiuria; e
a cautela promettendo di
retificare ciò,
quando fosse fuori
del
contado di
Firenze. E per
paura della
furia
del popolo, con sua privata famiglia
rimase in palagio alla guardia de' detti signori infino
mercoledì notte di VI d'
agosto; e
raquetato il popolo,
in sul mattutino uscì di palagio acompagnato dalla
gente de' Sanesi e
del
conte Simone, e di più nobili e
popolani e possenti cittadini ordinati per lo Comune.
E uscì per la porta di San
Niccolò e passò Arno
al ponte
a
Rignano salendo
a
Valembrosa e
a
Poppi;
e llà fatta la ritificagione promessa, passò per
Romagna
a Bologna, e dal signore di Bologna fu bene ricevuto,
e donatogli danari e
cavalli; e poi se n'andò
a
Ferrara e
a Vinegia. E llà fatte armare
II galee, sanza
prendere congio di più di sua gente che gli erano iti
dietro,
lasciandogli mal
contenti di loro
gaggi,
privatamente
di notte si partì di Vinegia, e nn'andò in Puglia.
Cotale fu la fine della signoria
del
duca d'Atene,
ch'avea con inganno e
tradimento usurpata sopra il
Comune e popolo di
Firenze, e il suo tirannico
reggimento
mentre la signoreggiò, e com'elli tradì il Comune,
così da' cittadini fu tradito. Il quale n'andò
con molta sua onta e vergogna, ma con molti danari
tratti da nnoi Fiorentini, detti orbi e inn antico
volgare
e proverbio per li nostri difetti e
discordie, e lasciandoci
di male
sequele. E partito il
duca di
Firenze,
la
città s'
aquetò e disarmarsi i cittadini, e
disfecionsi
i serragli, e partirsi i forestieri e' contadini, e
apersonsi le botteghe, e
ciascuno attese
a ssuo mestiere
e
arte. E detti
XIIII cassarono ogni ordine e
dicreto
che 'l
duca avea fatto, salvo che
confermarono
le paci tra' cittadini fatte per lui. E nota che come il
detto
duca occupò con frode e tradigione la libertà
della republica di
Firenze il dì di nostra Donna di
settembre, non guardando sua reverenza, quasi per
vendetta divina così
permisse Iddio che i franchi cittadini
con armata mano la
raquistassono il dì di sua
madre madonna santa
Anna, dì
XXVI di luglio
MCCCXLIII; per la qual grazia s'ordinò per lo Comune
che lla festa di santa
Anna si guardasse come
pasqua
sempre in
Firenze, e si celebrasse
solenne uficio
e grande oferta per lo Comune e per tutte l'
arti di
Firenze.
L. 13, cap. 18 rubr.Come la città di Firenze si recò a quartieri e si raccomunarono
gli ufici co' grandi, ma poco durò.
L. 13, cap. 18Riposato alquanto la
città di
Firenze
del furore
della cacciata
del
duca, i signori
XIIII col vescovo
tennero più
consigli co' cittadini di riformare la terra
dell'uficio di priori e
collegio di
XII e gonfalonieri e
degli altri ufici.
A' grandi parea loro ragionevole, siccom'
erano stati principali
a ricoverare la libertà
del
Comune, d'avere parte degli ufici
del priorato e di
tutti gli altri; e certi popolani grassi ch'erano usi di
regnare vi si accordavano per tornare inn istato
collo
apoggio di grandi, co' quali aveano molti parentadi.
Gli altri artefici e popolo
minuto erano
contenti di
dare parte loro d'ogni uficio, salvo
del priorato e di
dodici e gonfalonieri delle compagnie
del popolo, e
a questi s'acordavano per pace
del popolo più al
convenevole. Ma pure si vinse per lo vescovo, per
l'oficio de'
XIIII e col
consiglio di Sanesi che' grandi
avessono parte di tutti gli ufici per più unità di Comune.
E con ciò sia cosa che quelli
del
sesto d'Oltrarno
e di San Piero Scheraggio parea loro, che non
fosse giusto d'avere uno priore per
sesto, ed ellino
più grandi che gli altri
quattro, e portavano delle
gravezze
del Comune più che lla metà, cioè il
sesto
d'Oltrarno della 'mposta di
Cm fiorini d'oro
XXVIIIm e
San Piero Scheraggio
XXIIIm, e Borgo
XIIm, e San
Brancazio
XIIIm; e porta
del
Duomo
XIm, e porta San
Piero
XIIIm; sì ssi acordarono di recare la terra
a
quartieri in questo modo; Oltrarno il primo, e chiamossi
il quartiere di Santo Spirito
colla 'nsegna in arme,
il campo azurro, e una colomba bianca co' razzi
d'oro in becco. Il secondo quartiere fu tutto il
sesto
di San Piero Scheraggio, togliendo più che 'l terzo di
porta San Piero, cominciandosi in
Calimala fiorentina
al
chiasso di
Rimaldelli con tutto Orto San Michele,
e giù per la
via di Sa· Martino, e della
Badia e
di San Brocolo, rimanendo le dette chiese e più che
mezzi i popoli loro nel detto quartiere; e ffu al diritto
per la
via di San Brocolo per la
Città Rossa infino di
costa alla porta Guelfa e
mura
nuove, togliendo
del
popolo di San Piero Maggiore e di Santo Ambruogio
infino
a mezza alla
via Ghibellina, e più quello ch'era
di là dalla
via Ghibellina
del detto popolo; e questo
si chiamò il quartiere di Santa
Croce,
coll'arme il
campo azurro e lla croce
ad oro. Il terzo quartiere fu
tutto il
sesto di Borgo e quello di San Brancazio, e
chiamarlo il quartiere di Santa Maria Novella,
coll'
arme il campo azurro e uno sole con razzi d'oro. Il
quarto quartiere fu tutta porta
del
Duomo col rimanente
di porta San Piero, e
chiamarlo il quartiere di
San Giovanni,
coll'arme il campo azurro e
colla cappella
di San Giovanni
ad oro, con
due chiavi dal lato
al
Duomo per contentare in parte quelli di porte San
Piero, che solo di
cinque
sesti era partito quello per
lo modo ch'è detto; che in prima erano i
confini di
porte San Piero cominciando alla casa dell'
arte della
lana e tutto Orto San Michele, dividendo la
via che
viene da casa i
Cerchi Bianchi, volgendosi nel Garbo
al
chiasso che parte le case de'
Sacchetti alle case
della
Badia e mezzo il palagio
del podestà, e tutta
quasi quella
via dall'uno lato e dall'altro infino alla
via delle Taverne, e poi mezza la
via Ghibellina, e
poi passava quella al
crocicchio di sopra infino al
Tempio, e tutta quasi l'isola dentro alle
mura e
del
popolo di Santo Ambruogio, ed era
del
sesto di porta
San Piero. Partita la terra
a quartieri, sì s'ordinò
per lo vescovo e per li
XIIII lo
squittino per fare i
priori, ed
elessono
XVII popolani e
VIII grandi per
quartiere, e co· lloro i detti
XIIII e 'l vescovo, sicché in
tutto furono
CXV; e per lo
consiglio de' Sanesi e
del
conte Simone, per recare la
città più
a comune, sì ordinaro
d'
eleggere
XII priori per uficio,
III per quartiere,
uno di grandi e
II di popolo, e
VIII consiglieri
a
diliberare le gravi cose co' priori, in luogo di
XII come
solieno esere, cioè
IIII grandi
IIII popolani,
II per
quartiere, e tutti gli altri ufici fossero per metà co'
grandi. Compiuto il detto
squittino di grande acordo,
fu messa una
voce per la terra, che de' priori
dovea
esere meser
Manno
Donati e di simili caporali di
case troppo possenti, onde il popolo si turbò forte,
e ffu quasi in arme per contradiare infino che non
furono tratti e
palesati i
nuovi priori; ciò fu dì
II all'
uscita d'
agosto,
dovendo stare infino
a Ognisanti. I
nomi de' quali furono questi: nel quartiere di Santo
Spirito
Zanobi di meser
Lapo di Mannelli di grandi,
Sandro da Quarata,
Niccolò di
Cione Ridolfi popolani;
nel quartiere di Santa
Croce meser
Razzante di
Foraboschi di grandi,
Borghino
Taddei,
Nastagio
Tolosini popolani; nel quartiere di Santa Maria Novella
Ugo di
Lapo delli Spini di grandi, meser Marco
di Marchi giudice, Antonio d'
Orso popolani; nel
quartiere di San Giovanni meser Francesco
Trita
delli
Adimari di grandi, e
Billincione degli
Albizi e
Neri di
Lippo popolani. E gli
otto consiglieri de'
priori,
II per quartiere, furono questi: Bartolo di meser
Ridolfo de' Bardi,
Adoardo
Belfredelli,
Domenico
di meser
Ciampolo Cavalcanti, meser Francesco
Salvi giudice,
Nepo delli Spini,ser Piero di ser
Feo
da
Signa,
Beltramo de' Pazzi, e Piero
Rigaletti. Veggendo
il popolo ch'erano convenevoli e pacifichi
grandi, e non di tiranni gli eletti, s'
aquetarono, ma
però malcontenti di sì fatto
mischiato, come poco
apresso si mostrò. E
messi i detti priori in palagio, i
XIIII si tornarono
a ccasa loro, riserbandosi la loro
balìa, e ragunandosi alcuno dì della settimana in vescovado
col vescovo
a ordinare l'altre bisogne
del
Comune.
L. 13, cap. 19 rubr.
Come il popolo trassono i grandi dell'uficio del
priorato, e riformaro la terra.
L. 13, cap. 19Ma il nimico dell'umana generazione e d'ogni concordia
seminò la sua superbia e invidia nell'animo di
certi malvagi grandi e popolani. Prima veggendosi
certi rei de' grandi il favore della signoria, e non essendo
rifermi gli ordini della giustizia; e bene avieno
ordinato i
XIIII che ssi facesse uno
libro di
malabbiati,
ove si scrivessono i mafattori de' grandi, e quelli
fossero puniti, ma però non si raffrenavano i malvagi
grandi, ma cominciaro
a ffare delle forze e micidi in
città e in
contado, e di
false
accuse contra i popolani,
onde i popolani si tenieno mal
contenti della loro
consorteria delli ufici, e cominciaro forte
a
dubitare
di maggiore
pericolo, sentendo che
colle borse dello
squittino avea di maggiori caporali grandi di
Firenze.
Onde il popolo si commosse contro
a' grandi, e
collo
aiuto e favore di meser Giovanni della Tosa, e di
mesere
Antonio degli
Adimari, e di meser
Geri de' Pazzi
cavalieri
del popolo,
a' quali dispiacea i modi di tali di
loro
consorti e degli altri grandi contro al popolo,
e non parea loro stato fermo. Bene ci ebbe anche
colpa la 'nvidia di certi popolani, che non volieno
negli ufici volentieri la compagnia di loro maggiori,
e per essere più signori e fare
del Comune
a lloro
guisa; onde segretamente trattato co' detti cavalieri
e con certi caporali di popolo, e col vescovo, e con
certi de' priori medesimi, ch'erano all'uficio e popolani,
di recare il secondo uficio di priori ch'uscisse
pure
agli
otto popolani,
due per quartiere, e uno
gonfaloniere di giustizia, e nullo de' grandi per lo
meglio
del Comune e
del popolo, rimanendo
a comune
co' grandi gli altri ufici; ed era ben fatto per
aquetare il popolo. Il vescovo credendo ben fare, se
ne scoperse
a' compagni suoi
XIIII, ch'erano, come
detto è,
VII grandi pure di maggiori, dicendo ch'era
il meglio di farlo d'amore e d'accordo co' grandi, onde
ne tenne co' detti suoi compagni e con altri grandi
più
consigli in Santa Felicita Oltrarno, ov'erano
capo i Bardi e' Rossi e'
Frescobaldi e di più altre case
di grandi di
Firenze,
pregandoli che cciò
asentissono;
i quali nulla ne vollono udire, parlando di
grosso e con minacce: «Noi vedremo chi cci torrà la
parte nostra della signoria, e cci vorrà cacciare di
Firenze,
che lla francammo dal
duca». E di ciò erano
più principali i Bardi, chiamando il vescovo traditore,
ch'avea tradito prima il Comune e popolo, e data
la signoria al
duca, e poi tradito e cacciato lui, «e
ora vuogli tradire noi»; e cominciarsi
a fornire d'armi
e di gente, e
a mandare per amici di fuori. Sentendosi
questo per la
città, tutta fu in gelosia e sotto
l'arme, col
consiglio e ordine di sopradetti
III cavalieri
del popolo, che nn'erano capo; sì vennero molti
popolani armati sulla piazza de' priori gridando:
«
Viva il popolo, e
muoiano i grandi traditori!»; gridando
a' priori popolani ch'erano in palagio: «
Gittatene
dalle finestre i priori vostri compagni de'
grandi, o nnoi v'arderemo in palagio co· lloro insieme»;
e recarono la
stipa, e misono il fuoco all'
antiporto
del palagio. I priori popolani
scusavano i loro
compagni di grandi, dicendo ch'erano
diritti e
lleali e
bene inn accordo, con tutto che i più di loro il dicevano
alla 'nfinta, ed era stato loro operazione. Alla
fine
crescendo la forza e furore
del popolo,
convenne
che' detti priori de' grandi
rinuziassono all'uficio,
e per grazia uscissono di presente di palagio sotto
sicurtà
del popolo, e con grande paura acompagnati
a
casa loro; e cciò fu lunedì
a dì
XXII di settembre
MCCCXLIII. E nota che in così piccolo tempo la
città
nostra ebbe tante
novità e varie
rivoluzioni, come
avemo fatto menzione, e faremo nel seguente e terzo
capitolo. E bene difinì il grande filosofo maestro Michele
Scotto quando fu domandato
anticamente della
disposizione di
Firenze, che ssi confa alla presente
matera; disse in brieve
motto in
latino: «
Non
diu
stabit
stolida
Florenzia
florum;
decidet in
fetidum,
disimulando
vivet». Ciò è in
volgare: «Non lungo
tempo la
sciocca
Firenze fiorirà; cadrà in luogo brutto,
e
disimulando vive». Ben disse questa
profezia
alquanto dinanzi la sconfitta di Monte Aperti; ma
poi pure
asseguito ciò si vede manifesto per nostri
processi. E 'l nostro poeta
Dante
Allighieri
scramando
contra al vizio della incostanza de' Fiorentini nella
sua Commedia,
capitolo
VI Purgatoro, disse intra
ll'altre parole:
Attena e· llacedemonia, che fenno
L'antiche leggi e furon sì civili,
Feciono al viver bene un piccol cenno
Verso di te, che ffai tanto sottili
Provedimenti, ch'a mezzo novembre
Non giugne quel che ttu d'ottobre fili.
E bene fu
profezia e vera sentenzia in questo nostro
fortuito caso, e in quelli che seguiranno apresso,
per le nostre disimulazioni. Partiti i
quattro priori di
palagio di grandi, e disfatto l'uficio delli
otto loro
consiglieri mischiato co' grandi, col
consiglio delle
capitudini delle
XXI arti, i priori popolari ch'erano rimasi
all'uficio
elessono i
XII consiglieri de' priori,
tutti
popolani, ed
elessono gonfalonieri delle compagnie
del popolo; e de'
XVIIII ch'erano prima che 'l
duca regnasse gli recarono
a
XVI,
quattro per quartiere;
e feciono gonfaloniere di giustizia
Sandro da
Quarata, ch'era de' priori; e feciono il
consiglio
del
popolo
LXXV per quartiere. Così
fortunando e
disimulando
si rifermò la
città alla signoria
del popolo.
L. 13, cap. 20 rubr.
Di quello medesimo, e d'altre novità che nne seguirono.
L. 13, cap. 20Tegnendosi i grandi forte gravati della
villana
disposizione
di loro priori, e volentieri
a lloro podere
n'avrebbono fatta vendetta, e minacciavano al continuo,
e d'altra parte temieno della forza e
furia dell'
arrabbiato e commosso popolo, sì ssi guernirono
d'arme e di
cavalli, e mandarono per gente e lloro
amistà. Il popolo non
raquetato, rifeciono i serragli
per la
città più grandi e più forti che quando fu cacciato
il
duca, faccendo grande guardia di dì e di notte
e stando sotto l'arme, temendo che i grandi non
facessono
novità, e rimandaro pe' Sanesi e per altra
amistà. In questo
bollore di
città si levò uno folle e
matto cavaliere popolano, messere Andrea delli
Strozzi, contro
a volere de' suoi
consorti, montò
a
cavallo coverto armato, ragunando rubaldi e
scardassieri
e simile gente volonterosi di rubare, in grande
numero di parecchie migliaia, promettendo loro di
farli tutti ricchi, e dare loro
dovizia di grano, e farli
signori,
menandoglisi dietro per la terra, il martedì
apresso, dì
XXIII di settembre, gridando: «
Viva il
popolo
minuto, e
muoiano le gabelle e 'l popolo
grasso!»; e così ne vennono sanza contasto in sulla
piazza de' priori per assalire il palagio, dicendo di
volervi mettere e fare signore
del popolo messere
Andrea. E fattigli ammunire da' priori e da'
consorti
di meser Andrea e altri buoni popolani, e comandare
al detto commosso popolo e
a meser Andrea che ssi
si partissono, non ebbe luogo infino che dal palagio
non si cominciò
a gittare e pietre e saettare
verrettoni,
onde alcuno ne fu morto e molto fediti. Allora lo
scomunato e disarmato popolazzo col loro pazzo caporale
si partiro, e vennero al palagio della podestà
per
prenderlo, ma per simile modo
saettandosi
di palagio per la gente
del marchese da Valiano podestà,
e
collo aiuto di buoni popolani vicini, gli mandarono
via, e cominciarsi
a
sciarrare, e cchi andare in
una parte e cchi in un'altra lo
scomunato popolo; e
mesere Andrea bestia, tornato
a casa, fu preso da'
consorti suoi e vicini, e mandato
a suo contrario fuori
della
città, e ffu poi condannato nell'avere e nella
persona siccome ribello, e
somovitore di romore e di
congiura contro alla republica e
pacifico stato di
Firenze.
Di questa
commovizione
del popolo
minuto i
grandi, ch'avieno mal volere contro al popolo, furono
molti allegri, credendo si
dovidessono insieme il
popolo; e presono speranza d'acostarsi insieme col
popolo
minuto, gridando
a' loro ridotti e serragli in
simile
voce: «
Viva il popolo
minuto, e muoia il popolo
grasso e lle gabelle!», afforzandosi al continuo
e aspettando gente i· lloro aiuto. E sentendo i grandi
che' Sanesi venieno
a richiesta e
servigio
del Comune
e popolo, mandarono alcuno di loro per ambasciadore,
meser Giovanni
Gianfigliazzi e altri, infino
a
San Casciano, pregando che non venissono in
Firenze,
e che lla loro venuta poteva generare
scandalo
tra' cittadini. E
credendolo i Sanesi, s'
arestarono più
d'uno dì. Questo si disse che i grandi feciono per
paura di loro, ma i più dissono il facieno acciò che il
loro soccorso giugnesse prima che lla venuta de' Sanesi
per assalire il popolo; ma
a buona opinione noi
crediamo che il guernimento che facieno i grandi era
più per paura di loro che per assalire il popolo; con
tutto ci fosse la loro
mala voglia, non ci era il podere,
se ggià il popolo
minuto non gli avesse
seguiti, onde
pure avieno alcuna vana speranza. Ma i priori, ciò
sentendo di Sanesi, vi mandarono per lo Comune
ambasciadori popolani con
lettere, pure che venissono,
che n'avieno gran bisogno per
sicurtà e aiuto
del
Comune e
del popolo, per la
scomovizione della
città
per li malvagi cittadini che lla voleano guastare. I
quali Sanesi vennero incontanente molto
bella gente
a ccavallo e
a piè, altrettanti e più che quando il
duca
fu cacciato; e i Perugini ci mandarono
CL cavalieri, e
d'ogni parte
venia gente d'arme, chi in
servigio
del
popolo e chi in
servigio di grandi, onde la
città era
tutta inn arme, e con molti forestieri e contadini, e
tutta
iscommossa in gelosia e paura, il popolo di
grandi, e' grandi
del popolo. Ma il Comune e popolo
si trovò più possente, ch'avieno i
palagi e lle
campane
e lla
dominazione delle porte della
città, salvo di
quella di San Giorgio tenieno i Bardi. E avea il Comune
da
CCC soldati
a cavallo sanza l'amistadi, sicché
la forza di grandi nonn era
a comparazione con
quella
del popolo, se
nuovo soccorso non venisse da
Pisa o di Lombardia
a' grandi, onde per lo popolo
s'avea grande gelosia; e chi avea cose care o
mercatantie
le fuggia in chiese e in luoghi di riligiosi
sicuri.
Tal era la
disposizione della nostra
infortunata
città.
L. 13, cap. 21 rubr.Come il popolo di Firenze assaliro e combattero i
grandi e rubarono i Bardi e missono fuoco in casa
loro.
L. 13, cap. 21Stando tutta la
città inn arme e gelosia, i grandi
del popolo e 'l popolo de' grandi, com'è detto, dicendosi
molte e varie
novelle per la terra, e come i
grandi arebbono grande aiuto da'
conti e
Ubaldini e
Pisani e d'altri tiranni di Lombardia e di
Romagna, e
che
dovieno afforzarsi Oltrarno, ch'avieno la signoria
di tutti i ponti, e di qua fare cominciare l'assalto giovedì
a dì
XXV di settembre; i popolani
del quartiere
di San Giovanni, onde si feciono capo i
Medici e'
Rondinelli e meser Ugo della Stufa giudice, e' popolani
di borgo Sa· Lorenzo co' beccari e altri artefici,
sanza ordine di Comune, in quantità di mille uomini
sanz'altra compagnia o forza di gente al
cominciamento,
mercoledì dopo
desinare, dì
XXIIII di settembre,
per non aspettare il giovedì vegnente, che ssi dicea
che' grandi
doveano fare l'assalto e correre la terra,
con tre di loro gonfaloni delle compagnie
del loro
quartiere, tutti armati
a barbute e corazze
a piè, e
molte balestra, asalirono da più parti quelli
del lato
degli
Adimari chiamati i
Cavicciuli, i quali con grandi
serragli e guernimento di torri e di
palagi e loro
case dal
crocicchio
del Corso dalla loggia loro alla
piazza di San Giovanni s'erano aforzati con molta
gente d'arme. E cominciato per lo popolo l'asalto e
battaglia manesca
a' serragli, saettando e gittando
pietre l'una parte all'altra,
crescendo al continovo la
forza
del popolo; i
Cavicciuli veggendo non poteano
resistere, e aiuto di fuori d'altri grandi non avieno né
attendeano,
patteggiati s'
arrenderono al popolo, salve
le persone e lloro cose, e disfeciono i loro serragli,
e puosonsi in su' loro
palagi le
bandiere
del popolo.
E cchi di loro andò inn uno luogo e chi inn altro
a
casa di loro amici e
parenti popolani, sanza
danno
niuno, se non di fediti dall'una parte e dall'altra.
Vintosi
per lo detto popolo la detta prima
punga e asalto
sopra i
Cavicciuli, ch'erano i più virili e arditi e
possenti grandi di
Firenze, presono i popolani molto
ardire e vigore, e al continovo
crescendo loro la
massa
del popolo e aiuto d'alquanti di soldati
del Comune
ch'erano in
Firenze, corsono
a casa i
Donati e poi
a casa i Cavalcanti. Ellino sentendo come i
Cavicciuli
s'erano
arrenduti al popolo, non feciono nulla
risistenza,
ma per simile modo s'
arrenderono al popolo.
In somma, in
poca d'ora tutte le case di grandi di
qua da Arno feciono il somigliante, e disarmarsi e disfeciono
loro guernigioni e serragli. Le case de' grandi
d'Oltrarno, Bardi, e Rossi, e
Frescobaldi, e Mannelli,
e
Nerli s'erano aforzati molto, e prese le bocche
de' ponti. Il detto commosso popolo volendo
passare Oltrarno per lo detto ponte Vecchio, ch'ancora
era di legname, non ebbe luogo, però che lla
forza di Bardi e di Rossi era sì grande e di sì forti serragli,
e armata la torre della parte e 'l palagio de' figliuoli
di meser Vieri de' Bardi e lle case di Mannelli
di capo
del ponte Vecchio, che 'l popolo non vi potea
accedere né passare. Ma combattendo però francamente
il serraglio, molti ve n'ebbe fediti di sassi e
di
verrettoni di balestri. Veggendo il popolo che da
quella parte non poteano passare, e dal ponte Rubaconte
peggio, per la fortezza de'
palagi de' Bardi da
San
Ghirigoro, sì presono partito di lasciare alla
guardia
del ponte Vecchio parte de' gonfaloni
del
quartiere di Santa
Croce e di quelli di borgo di Santo
Apostolo, e parte rimasono alla guardia
del ponte
Rubaconte di qua. L'altro popolo molto
cresciuto co'
soldati
a cavallo si misono
ad andare dal ponte alla
Carraia, il quale guardavano i
Nerli; ma lla forza di
popolani di borgo San Friano e della
Cuculia e
del
Fondaccio fu sì grande, che inanzi che passasse il popolo
di qua da Arno presono il capo
del ponte e lle
case de'
Nerli, e loro ne cacciaro; e preso per li popolani
d'Oltrarno il ponte alla Carraia, il vittorioso
popolo di qua
passaro al detto ponte incontanente, e
acozzatosi co' popolani d'Oltrarno, e
furiosamente
assaliro i
Frescobaldi, i quali prima assaliti e combattuti
a' loro serragli da quelli di via Maggio e circustanti
popolani, ma però non vinti; ma veggendosi
venire adosso la
furia
del detto popolo di qua da Arno,
ebbono gran paura, e
abandonarono la piazza loro,
lasciando ogni fortezza e guernigione, balestra,
pavesi, saettamento, fuggendosi in casa, e faccendo
croce
colle braccia, chieggendo mercé al popolo, il
quale gli ricevette sanza fare loro alcuno male. E cciò
fatto, corsono alla piazza
a ponte sopra i Rossi, i
quali saputo come i
Frescobaldi s'erano
arenduti al
popolo, e tutte le case di grandi di qua da Arno, sanza
alcuna
risistenza s'
arrenderono al popolo. Que' di
casa Bardi veggendosi abandonati da' Rossi e
Frescobaldi
ebbono gran paura, ma pure francamente si
misono alla difesa de' loro serragli combattendo, gittando,
saettando, dov'ebbe di morti alcuno e di fediti
assai, d'una parte e d'altra, però che' Bardi erano
molto forti e guerniti
a cavallo e
a piè, e con molti
masnadieri, sicch'era invano al popolo di vincere il
serraglio per forza; ma ordinaro que'
del popolo che
i tre di gonfaloni d'Oltrarno salissono al
poggio di
San Giorgio per la via nuova dal pozzo
Toscanelli, e
così feciono; e cominciaro loro la battaglia al di dietro.
I Bardi veggendosi sì aspramente asaliti da tante
parti, isbigottirono forte, e cominciaro
abandonare
parte di loro il serraglio della piazza
a ponte, ch'era
sotto la guardia della torre della parte guelfa e
del
palagio di figliuoli di meser Vieri de' Bardi, per difendersi
di dietro dal canneto e San Giorgio. Allora
uno Strozza tedesco conestabole con sua masnada si
misse dentro al serraglio della piazza al ponte
a grande
pericolo, ricevendo di molti sassi e quadrella, e
corse infino
a Santa Maria sopr'Arno, e il popolo
francamente dietro; e quelli
del popolo ch'erano di
qua alla guardia
del ponte Vecchio allora ruppono il
serraglio
del capo
del ponte e valicarono di là, e al
tutto cogli altri popolani, ch'erano di là, ruppono la
resistenzia e forza di Bardi, i quali tutti si fuggirono
nel borgo di San
Niccolò, raccomandandosi alla vicinanza,
onde furono le loro persone guarentiti da
quelli da Quarata e da quelli da
Panzano e
ll'altra vicinanza
del gonfalone della Scala, i quali per lo popolo
avieno in prima alquanto, per non esere
corsi e
rubati, presi i
palagi di Bardi da Santo
Ghirigoro ella
guardia
del capo
del ponte di là incontanente i
popolani, ch'erano alla guardia
del capo
del ponte
Rubaconte di qua
del quartiere di Santa
Croce; e
quello iscampò i Bardi da
morte, i quali per la loro
buona vicinanza da San
Niccolò ritennero il furioso
popolo con quella forza e per guardare la loro contrada.
Ma tutti i
palagi e case di Bardi da Santa Lucia
alla piazza
a ponte furono
rubate dal
minuto popolo
d'ogni sustanzia,
maserizie e arnesi, quello dì
e
ll'altro, ed eziandio di loro vicini non possenti. E
ll'
arabbiato popolo,
rubate le case, misono fuoco in
casa loro, e
arsonvi
XXII tra
palagi e case grandi e ricche,
e
stimossi il loro
danno tra di ruberie e d'arsione
il valere di più di
LXm fiorini d'oro. Tale fu la fine
della
risistenza de' Bardi contro al popolo per la loro
superbia e maggioranza e per lo sfrenato popolo.
Ma ffu grande maraviglia e grazia di Dio, che di tanta
furia di popolo e di tanti assalti e battaglie fatte in
quella giornata, come avemo raccontato, non morì in
Firenze nullo uomo di rinomea, e d'altri pochi, ma
fediti assai. Per la
ghiottornia della ruberia da casa i
Bardi, che infino alle lastre de' tetti e ogni
vili cose,
non che le care, tale fu il giudicio contro
a' Bardi,
che infino alle
femminelle e' fanciulli, non che gli uomini,
non si potieno saziare né raffrenare di rubare.
Il giovedì medesimo si levò una compagna di
malandrini
in quantità di più di mille
a piè, e si ragunarono
per combattere i Visdomini e rubarli sotto
titolo di
difetti di
mesere
Cerritieri loro
consorte fatti intorno
al
duca; ma non ci era
a ciò giusta cagione, che de'
difetti e
falli di meser
Cerritieri i Visdomini erano
stati
crucciosi; ma non movea se non solo per potere
rubare, e non sarebbero rimasi
a tale, ma tutta la
città
corsa e rubata, e grandi e popolani; ma lla vicinanza
con molta altra buona gente armata, e lle signorie
e soldati
del Comune
a cavallo e
a piè corsono
al soccorso e riparo, e cessarono tanta rovina e
pistolenza
alla nostra
città, andando per la terra le signorie
in più parti
coll'aiuto della gente di Sanesi, e
Perugini, e dell'altre amistadi, e degli altri buoni cittadini
a cavallo e
a piè, con ceppi e mannaie, tagliando
di fatto piedi e
mani
a' mafattori; e in questo modo
s'
atutò la
furia dello sfrenato popolo
disposti
a
rubare e
a mal fare, e cominciarsi aprire i fondachi e
botteghe, e
ciascuno fare i fatti suoi.
L. 13, cap. 22 rubr.Come si fece nuovo squittino di lezione di priori e
de' XII e gonfalonieri per più tempo, e tutti popolani.
L. 13, cap. 22Riposata la
città di
Firenze di tanta
furia e
pericolo,
e il popolo fatta sua pruova contro
a' grandi, e
vinte le loro forze e
risistenze in ogni parte, il popolo
montò in grande stato e baldanza e signoria, ispezialmente
i mediani e artefici
minuti, ch'al tutto il
reggimento
della
città rimase alle
XXI capitudini dell'
arti.
E per riformare la terra di
nuovi priori e gonfalonieri
delle compagnie, e de'
XII consiglieri di priori, i priori
e'
dodici col
consiglio delli ambasciadori di Siena
e di Perugia e
del
conte Simone, acciò che lla lezione
andasse più comune, diedono l'ordine nello 'nfrascritto
modo, e di grande concordia s'
aseguì, e celebrarono
in casa i priori nuovo
squittino; ciò furono
VIIII i priori, e
XII consiglieri, e
XVI gonfalonieri, e
V
della
mercatantia, e
LII uomini delle
XXI capitudini, e
XXVIII arroti per quartiere, popolani tutti artefici,
sicché in somma furono
CCVI, mettendo allo
squittino
ogni buono uomo
popolaro degno d'essere all'uficio,
e vincendosi, chi rimanesse priore e gonfaloniere
di giustizia, e di
dodici per
CX fave nere il meno; e
andato allo
squittino
IIImCCCCXLVI uomini, ma non
ve ne rimasono il decimo, ordinaro che fossono
VIII
priori,
II per quartiere, e uno gonfaloniere di giustizia,
acoppiandoli insieme in questo modo, che
dovessono
esere per priorato popolani
II grassi,
III mediani,
III artefici
minuti, e 'l gonfaloniere della giustizia
per simile modo, uno d'ogni sorta detta, traendosi
a vicenda
a quartiere
a quartiere come venisse, cominciando
a Santo Spirito. E il detto
squittino fu
compiuto dì
XX d'ottobre
MCCCXLIII. L'ordine fu assai
comune e buono, quando non fosse poi corrotto.
Ma trovossi poi per li tempi, quando si traevano i
priori, che degli artefici
minuti v'aveva più per la rata,
che non fu l'ordine dato; e cciò adivenne, che
quando si fece lo
squittino furono più forti nelle
boci
gli artefici delle
XXI capitudini e lli arroti popolani
minuti, che lle
boci de' popolani grassi e de' mediani;
e però si corruppe il buono ordine dato per li
ambasciadori di Siena e per lo
conte Simone.
L. 13, cap. 23 rubr.Come si rformaro gli ordini della giustizia sopra i
granai, e ssi ricorressono in alcuna parte; e più casati
di grandi furono recati a essere popolani.
L. 13, cap. 23Riformata la
città di
Firenze
a signoria
del popolo,
come detto avemo, volendo il popolo rifare gli ordini
della giustizia contro
a' grandi, i quali aveva anullati
il
duca e poi l'uficio de'
XIIII, come è detto adietro,
gli ambasciadori di Siena e quelli di Perugia e 'l
conte
Simone, che
a ogni nostra fortuna e
pericolo ci
avieno soccorsi e difesi, e col loro buono
consiglio riformata
la
città
a signoria
del popolo, per amore e
grazia di loro Comuni e di loro e
pacifico stato di Comune e di
popolo, e contentamento in alcuna parte di grandi
che volieno bene
vivere, e dimandarono al popolo
due pitizioni: l'una, che i
capitoli della giustizia dov'
era la rigidezza e
crudeltà, che' buoni uomini grandi
consorti di mafattori portassono la pena di loro
malifici, si correggesse; l'altra, che certe schiatte di
grandi meno possenti e non
malificiosi si recassono
a
popolo. Le quali petizioni furono
asaudite in parte,
come diremo apresso, e fermate per li
consigli dì
XXV
d'ottobre
MCCCXLIII. Prima dove diceva l'ordine della
giustizia che dove il malfattore di grandi facesse
micidio contra la persona d'alcuno popolare, oltre
alla sua pena, tutta la casa e schiatta pagasse al Comune
libre
IIIm, si
corresse che non toccasse, se non
a' suoi propinqui, infino terzo grado per diritta linea;
e dove mancasse il terzo grado, toccasse al quarto,
con
patto dove e quando rendessono preso il
malfattore, o l'uccidessero,
riavessono dal Comune
le libre
IIIm ch'avessono pagate. Tutti gli altri ordini
della giustizia rimasono i· lloro primo stato. Le
schiatte de' nobili di
città e di
contado che furono
recate
a popolo furono questi: i figliuoli di meser
Bernardo de' Rossi,
IIII de' Mannelli, tutti i
Nerli di
borgo Sa· Iacopo, e
due di quelli dal ponte alla Carraia,
tutti i Manieri, tutti gli Spini, tutti gli
Scali, tutti
i
Brunelleschi, e parte degli
Agli, tutti i
Pigli, tutti li
Allotti, tutti i
Compibiesi, tutti gli
Amieri, meser
Giovanni di
Tosinghi e fratelli e nipoti, e
Nepo di
meser
, messere Antonio di
Baldinaccio degli
Adimari e fratelli e nipoti, e alcuno altro loro
consorto,
tutti i
Giandonati e
Guidi, e altre schiatte quasi
spente. Di nobili di
contado, il
conte da Certaldo e'
figliuoli e' nipoti, il
conte da Puntormo e' figliuoli e'
nipoti; e con tutto ch'avessono nome di
conti erano
sì
annullati, ch'erano al pari d'altri meno possenti
gentili uomini; tutti quelli da
Lucardo, quelli da
Cacchiano,
quelli da
Monterinaldi, quelli dalla Torricella,
quelli da
Sezzata, quelli da
Mugnano, i
Benzi da
Feghine, e da
Lucolena, quelli da
Colle di Valdarno,
e quelli da
Monteluco della
Gerardinga, e più altre
schiatte di
contado anullati e divenuti lavoratori di
terra. In somma furon
Vc i tratti di grandi e recati
a
esere popolari, per fortificare il popolo e
afiebolire e
partire la
potenza de' grandi
coll'infrascritti
patti e
ordini. Ma certi altri grandi, onde non faremo menzione,
che s'erano
messi nella detta petizione, che
s'erano
messi
a
morte per francare il popolo, e
francaro,
per invidia non furono accettati per lo
'ngrato
popolo; e tali sono le più volte i
meriti de'
servigi si
fanno
a' popoli, ispezialmente
a quello di
Firenze. I
patti e' salvi furono questi. Che i detti grandi e nobili
recati
a benificio d'essere di popolo non possino esere
di priori,
dodici e gonfalonieri delle compagnie
del popolo, o capitani di lega
del
contado infra
cinque
anni; ogni altro uficio possano avere; e sse alcuno
de' detti infra
X anni pensatamente facesse micidio
o tagliasse
membro, o
desse fedita
innorma in
persona d'alcuno popolano, o facesse fare, o ingiuriasse
posessione di popolano,
dichiaritosi per lo
consiglio
del popolo,
dee
a perpetuo esere rimesso
tra' grandi. Ma nota che parecchie schiatte e case di
popolani erano più degne d'esere
messe tra' grandi,
che lla maggior parte di que' che per grandi rimasono,
se andasse pari la bilancia della giustizia, per le
loro ree opere e tirannie; e tutto è questo per difetti
del nostro male
reggimento. Fermati i detti ordini, e
tratti
del nuovo
squittino i priori, e'
dodici, e' gonfalonieri,
ch'
entrarono in calen di novembre apresso, si
trovarono i più artefici
minuti, onde il popolo fu
contento, e
aquetossi la
città d'ogni sospetto e gelosia.
E nota ancora e ricogli
lettore che quasi in poco
più d'uno
anno la nostra
città avute tante rivolture, e
mutati stati di
reggimento, ciò sono; inanzi che
fosse signore il
duca d'Atene signoreggiavano i popolari
grassi, e
guidarla sì male, come adietro avete
inteso, che per loro difetto venne alla tirannica signoria
del
duca; e cacciato il
duca tessono i grandi e'
popolani insieme, tutto fosse piccolo tempo, e con
uscita di gran fortuna. Ora siamo al
reggimento quasi
delli artefici e
minuto popolo. Piaccia
a dDio che
sia
asaltazione e salute della nostra republica, onde
mi fa temere per li nostri peccati e difetti, e perché i
cittadini sono voti d'ogni amore e carità tra lloro, ma
pieni d'inganni e tradimenti l'uno cittadino contro
all'altro; ed è rimasa questa maladetta
arte in
Firenze
in quelli che nne sono rettori, di
promettere bene e
fare il contrario, se non sono proveduti o di grandi
prieghi o d'onde aspettino utile; onde, e non sanza
cagione,
permette Iddio il suo giudicio
a' popoli; e
questo basti
a chi sente e intende.
L. 13, cap. 24 rubr.
Alquante cose fatte in Firenze di nuovo.
L. 13, cap. 24Ne' detti tempi e mese di settembre, per servigi ricevuti
dal conte Simone da Battifolle e da Guido suo
nipote figliuolo del conte Ugo, il Comune gli ristituì
le terre d'Ampinana, Moncione e Balbischio. E diliberossi
il Comune d'Arezzo della signoria del Comune
di Firenze, dando al servigio del Comune a' suoi
bisogni C cavalieri di qui a IIII anni, rendendo al Comune
fiorini in anni, che v'avea messi CCm di
fiorini d'oro.
Diedesi il castello di Pietrasanta al vescovo di Luni,
acciò che guerreggiasse i Pisani coll'aiuto di meser
Luchino signore di Melano suo cognato, come
assai tosto faremo più stesa menzione. Per la rivoltura
del duca si perdé la signoria d'Arezzo, e di Pistoia,
e Serravalle, e di Volterra, e San Gimignano, e
Colle, Pietrasanta, Santa Maria a Monte, e Montetopoli,
Castiglione Aretino, e più altre castella, per colpa
i più di nostri rei e barattieri cittadini castellani di
quelle. E così riescono i nostri mali aquisti, quando il
Comune è in divisione e male guidato. Ancora del
detto mese s'apresono in Firenze più fuochi da Santo
Apostolo e arsonvi XII case, e una a San Giorgio, e
una a San Piero Gattolino, e una nel Corso di Tintori,
e una a San Piero Celoro con grande danno; e tutto
questo è del giudicio di Dio per li nostri peccati.
L. 13, cap. 25 rubr.
Come i Fiorentini rifeciono di nuovo pace co' Pisani.
L. 13, cap. 25Riformato il nuovo stato
del popolo in
Firenze per
lo modo ch'avemo detto, per nonn avere
guerra di
fuori per lo nostro variato stato, si fece accordo co'
Pisani per lo nostro Comune con poco nostro onore,
e guardando più secondo il tempo, con questi
patti:
che Lucca rimanesse libera alla signoria di Pisani, rimettendo
in Lucca i loro usciti, chi vi volesse tornare,
e i loro beni rendere alle loro famiglie, e di dare
al Comune di
Firenze di censo di Lucca, per lo debito,
obrigati i Fiorentini per quella
a meser Mastino,
fiorini
Cm d'oro in
XIIII anni, ogn'
anno la rata per la
festa di san Giovanni; e rimanendo al Comune di
Firenze
tutte le castella e terre di Lucca che si tenieno,
franchi i Fiorentini in
Pisa di quello venisse per
mare
l'
anno la
valuta di
CCm di fiorini d'oro allo stimo della
legatia, che sono la
valuta
del quarto più, e da indi in
su pagare danari
II per libra; che sempre
ab anticho
erano i Fiorentini al tutto liberi e franchi, e' Pisani in
Firenze. Ma per questi
nuovi
patti sono i Pisani franchi
in
Firenze l'
anno la
valuta di fiorini
XXXm d'oro di
loro
mercatantia che venisse da Vinegia, e 'l soprapiù,
pagare danari
due per libra. Tale fu la 'nfinta
pace co' Pisani rimagnendo la
mala volontà; fu piuvicata
e bandita
a dì
XVI di novembre
MCCCXLIII. E
con tutto che il
duca la facesse co' Pisani al suo
reggimento,
come detto è adietro, fu in più casi più
onorevole per lo nostro Comune che questa.
L. 13, cap. 26 rubr.Come mesere Luchino Visconti di Milano si fece nimico
di Pisani.
L. 13, cap. 26Ma i Fiorentini, come toccammo adietro, lasciarono
a' Pisani una
mala azione, quando diedono Pietrasanta
al vescovo di
Luni di marchesi
Malispini, il
qual era cognato per la
sirocchia moglie di meser
Luchino Visconti signore di Milano, il quale indegnato
contro
a' Pisani, perché tenieno
Serezzano,
Lavenza, e Massa di marchesi, e altre loro castella in
Lunigiana, né per suoi
prieghi no· ll'avieno volute
rendere, né
a llui data la 'mpromessa di molti danari
gli restavano
a date
del gran
servigio fatto della sua
gente contro al nostro Comune, quando ci sconfissono
a Lucca, e poi
a
sostenere l'assedio, ond'ebbono
la
città; per la quale ingratitudine di Pisani, e per la
vergogna feciono
a meser Giovanni Visconti stato loro
capitano, quando uscì della nostra prigione, come
toccammo adietro, e perché avieno cacciati di Lucca
i figliuoli di
Castruccio suoi amici e racomandati; e
con coperto
conforto de' Fiorentini col vescovo di
Luni e
colla
serocchia, messere
Luchino si fece nimico
di Pisani, e mise in prigione
XII stadichi ch'avea
figliuoli di maggiori di
Pisa, e mandò in aiuto al vescovo
di
Luni
MCC di suoi cavalieri, capitano il detto
meser Giovanni Visconti, i quali con altri che mandò
apresso feciono molta
guerra
a' Pisani, faccendo capo
in Pietrasanta, come tosto faremo menzione. Lasceremo
alquanto di fatti di
Firenze e de' Pisani, e
diremo d'altre
novità delli strani state in questi tempi
per seguitare il nostro stile.
L. 13, cap. 27 rubr.Di grandi tempeste che furono in mare.
L. 13, cap. 27Nel detto
anno e mese di novembre, il dì di santa
Caterina, fu in
mare una grandissima
tempesta per lo
vento
a
scilocco in ogni porto, ov'ebbe podere, e
spezialmente in Napoli; che quante
galee e legni
avea in quel porto tutti gli ruppe e gittò
a tterra, e
quasi tutte le case della marina ov'erano i magazzini
del vino greco e delle nocciuole, per lo
crescimento
del
mare tutte allagò, e molte ne rovinò e guastò, e
menò via le
botti
del greco e nocelle, e ogni
mercatantia
e
masserizie, onde si stimò il
danno più di
XLm
once d'oro, di fiorini
V d'oro l'oncia; e questa fu
segno
di grande
novità e
mutazione che
dovea avenire
e avennero assai tosto, in quello paese. E per simile
modo avenne nel porto di Pera in
Romania d'incontro
a
Gostantinopoli con grande
danno di Genovesi,
cui era la terra. E in questo tempo essendo cominciata
una grande zuffa alla
città della
Tana nel
mare
Maggiore in
Romania tra' Viniziani e Saracini della
terra, avendo i Viniziani della detta zuffa
soprastati i
Turchi, e
mortine alcuni, e fediti molti, onde tutti
quelli della terra si
commossono
a
furia, e rubarono
e uccisono quanti Viniziani e Genovesi, e Fiorentini
alquanti, e altri Cristiani che nella terra si trovarono
alla zuffa, chi non
poté fuggire alle loro
galee; e presono
poi da
LX mercatanti
latini, che
a romore non
furono morti, e
tennolli in prigione da
II anni, e poi
per danari e ingegno si fuggiro, e con grande
pericolo
scamparono. E
stimossi il
danno delle
mercatantie
e spezierie rubate per li
Turchi da
CCCm di fiorini
d'oro
a' Viniziani, e da
CCCLm a' Genovesi. E tali sono
li
stimoli e
pericoli di mercatanti per le loro
peccata
e follie; e per questa cagione
rincarò in questo
nostro paese ogni spezieria,
seta, e avere di levante,
cinquanta e più per centinaio subitamente, e tali il
doppio.
L. 13, cap. 28 rubr.D'alcune novità fatte per li Fiorentini che reggeano
la città.
L. 13, cap. 28
Del mese di dicembre
del detto
anno, per alcuna
gelosia messa in
Firenze di grandi non vera, furono
fatti
confinati
V di casa i Bardi, e
IIII di
Frescobaldi,
e
II di Rossi, e
III di
Donati, e
II di Pazzi, e uno di
Cavicciuli, con tutto che lla maggiore parte degli uomini
de' detti casati, per levare sospetto al popolo e
fuggire la
furia, se n'andarono in
contado
a' loro poderi
ad abitare, lasciando la
città.
A dì
II di marzo
del detto
anno fu ferma e piuvicata la lega e compagnia
tra 'l Comune di
Firenze e quello di Perugia e
di Siena e d'
Arezzo per fortificare il loro stato, e per
abattere i
Tarlati d'
Arezzo e ogni tirannello d'intorno.
E in questi tempi i Fiorentini s'accordarono di
nuovo, e feciono ragione con meser Mastino della
Scala, che lli restavano
a dare per la
matta compera
di Lucca fiorini
CVIIIm d'oro, e
asegnarli sopra la gabella
del macello e
a quella di contratti, ogni mese
IIm fiorini d'oro, e tornarono i nostri
XXVII stadichi
cari cittadini stati
a Verona più di
due
anni: bontà
del
duca d'Atena, che non ne curava, ma li lasciava
per abandonati, e per la sua avarizia non gli
dava
danaio,
né lle paghe promesse; che ffu intra gli altri
suoi difetti questo uno di quelli che molto
gravò e
dispiacque
a' cittadini.
Mandòvisi poi
XII stadichi
a
vicenda di
IIII mesi in
IIII mesi
a soldi
XL il dì per
uno per loro spese, e fiorino uno per cavaliere.
L. 13, cap. 29 rubr.Ancora della guerra dalla gente di meser Luchino
Visconti co' Pisani.
L. 13, cap. 29Nell'
anno
MCCCXLIIII,
a dì
V d'
aprile, avendo la
gente di Pisani ch'erano in
Versilia e in
Lunigiana
fatto uno grande fosso con isteccati e bertesche dalla
marina al castello di
Rotaia, e poi infino alla montagna
al castello di
Montegioli ch'ellino tenieno, acciò
che lla gente di meser
Luchino ch'erano in
Lunigiana
no· lli potessono correre e
guerreggiare sopra il
contado
di
Pisa, e quelle fortezze si guardavano di dì e
di notte co· lloro gente assai grossa
a cavallo e
a piè; e
quella notte la gente di meser
Luchino ruppono la
fortezza tra
Rotaia e
Montegioli, e
passaro, e vigorosamente
assaliro la gente di Pisani; e dopo la grande
battaglia la gente de' Pisani furono sconfitti, e molti
presi e morti, onde i Pisani molto isbigottiro.
E poi
a dì
II di maggio menando meser Benedetto
Maccaioni di Gualandi, rubello di
Pisa,
CCC cavalieri
di que' di meser
Luchino, ch'erano
vernati in Maremma,
co· llui
a
guerreggiare i Pisani e lloro terre
per
accozzarli
colla gente grossa di meser
Luchino
che per la vittoria avuta
a
Rotaia volieno passare il
Serchio, e venire di qua in su quello di
Pisa, essendo
albergati
a Santa Gonda, provedutamente e posta
fatta furono sopresi da
D cavalieri di Pisani e molti
balestrieri, ch'erano stati al Ponte
ad Era per
attenderli;
e rimasene tra presi e morti più di
C a cavallo,
e tutti erano tra presi e morti, se non che si fuggiro
sopra le spiagge di San
Miniato, e quivi
coll'aiuto di
Saminiatesi quelli che iscampati erano si ridussono
a
salvamento. Sentendo questa
novella meser Giovanni
Visconti capitano della gente di meser
Luchino si
partì di
Versilia con
LXX bandiere, che furono da
MD
a cavallo, e passarono il Serchio al ponte
a
Moriano,
e vennero per la Cerbaia e passato la
Guisciana
a
Rosaiuolo, e poi
guadarono l'Arno e ricolsono la loro
gente da Santa Gonda, e
acamparsi
a Castello
del
Bosco, e in sulla Cecina guerreggiando il
contado di
Pisa per più tempo, e prendendo più loro terre e castella.
La gente de' Pisani, ch'erano da
M cavalieri,
s'afforzaro al fosso
Arnonico e al Ponte
ad Era
a
guardare la
frontiera, sanza avisarsi co' nimici. E
partiti da Castello
del Bosco, osteggiando per più
campi la Valdera e lla Maremma infino all'
agosto, e
più vi sarebbono dimorati, se non fosse che per lo
soperchio caldo e
disagi vi si cominciò una corruzione,
onde assai ve ne
malarono e morirono. E infra gli
altri caporali ne morì meser Benedetto
Maccaioni
grande nimico di Pisani, e
Arrigo di
Castruccio
che ffu signore di Lucca. E per la mortalità e
pestilenza
si partì la detta oste, que' ch'erano scampati, e
tornarsi in
Versilia con grande loro
dannaggio di
gente. Lasceremo alquanto di questa
guerra, e diremo
d'altre
novità occorse in questi tempi.
L. 13, cap. 30 rubr.Come quelli di Castello Franco presono Campogialli,
e uccisono certi de' Pazzi di Valdarno.
L. 13, cap. 30Nel detto
anno,
a dì
XXVIIII d'
aprile, quelli di Castello
Franco di Valdarno di sopra con altri Valdarnesi
e masnade d'
Arezzo cavalcaro sopra' Pazzi di
Valdarno, e per
tradimento ebbono una porta
del
castello di
Campogiallo, ch'era di Pazzi, e in quello
entrati, corsono il castello uccidendo uomini e femmine
sanza nulla misericordia, e
uccisonvi
X della casa
di Pazzi di migliori di loro, e rubata la terra vi
missono fuoco, onde caro
costò
a' Pazzi la
guerra e
oltraggi fatti
a quelli di Castello Franco e
agli altri
Valdarnesi
del
contado di
Firenze per lo tempo passato.
L. 13, cap. 31 rubr.Come il re di Spagna ebbe per assedio la forte terra
della Zizera in Granata.
L. 13, cap. 31Nel
cominciamento dell'
anno
MCCCXLIIII,
a dì
XXV di marzo, s'
arrendé al re di Spagna la forte e
grande
città della
Zizera in
Granata, ch'era di Saracini,
alla quale era stato
ad assedio per più di
IIII anni
per
mare e per terra con grande spesa e affanno e
mortalità di Cristiani; però che sovente erano asaliti
dal re di
Granata e sua gente, e guerreggiati e per
mare e per terra da' Saracini di Morocco e da quelli
di Barberia, che ogni
anno vi venieno al soccorso più
volte con grande navilio e gente innumerabile di Saracini,
ov'ebbe più battaglie, e per
mare e per terra,
quando
a
danno di Cristiani e quando di Saracini,
che sarebbe lunga matera
a racontare; però che' Saracini
aveano porto in
mare sotto il forte castello di
Giubeltaro, il quale i Saracini aveano
raquistato sopra
i Cristiani per
tradimento, come adietro facemmo
in alcuna parte menzione. Ma tutto era in vano la
'mpresa e assedio
del re di Spagna, però che lla
città
era fortissima di
mura e torri e fossi con buono porto
e forte, e fornita di vittuaglia per buono tempo, e
di molta gente d'arme e arcieri e
balestrieri saracini,
e
ll'aiuto di fuori, come detto avemo, e se non fosse
l'aiuto
del papa e della Chiesa, che con moneta di
decima e d'altri
susidi
atava e fornia il re di Spagna,
onde al soldo della Chiesa
mantenea al continovo in
mare
XX galee armate di Genovesi, sanza quelle di
Catalani e Spagnuoli, e diede indulgenzia e perdono
di colpa e di pena
a chi v'andasse o mandasse aiuto.
Per la qual cosa molti
conti e baroni e cavalieri di
Francia, e d'Alamagna, e d'Inghilterra, e di Linguadoco
v'andarono alle loro spese al
servigio, istando
all'oste chi
IIII e chi
VI mesi; e andòvi il
conte d'Analdo
con
C cavalieri, e così più altri baroni, per la
qual cosa si continuò l'assedio; e fu sì stretta la terra
per
mare e per terra, che nullo vi potea
entrare o
uscire; e dentro v'avea più di
XXXm uomini d'arme saracini,
sanza le femmine e fanciulli; sicché
fallì loro
la vettuaglia per lo lungo assedio, e per
fame s'
arrendero
salve le persone, che se ne andaro tutti in
Granata
fra terra; onde fu uno nobile aquisto al re di
Spagna e
a tutta
Cristianità. E
trovòvisi dentro molto
tesoro, cose e arnesi. Ed ha ora il re di Spagna e' Cristiani
porto buono all'
entrata
del reame di
Granata
da potere
guerreggiare e aquistare il paese. Lasceremo
di fatti di Saracini, e torneremo alle
novità di
Firenze
occorse in questi tempi.
L. 13, cap. 32 rubr.
Di certe novità state in Firenze in questi tempi.
L. 13, cap. 32Nel detto
anno
del mese di giugno e di luglio,
signoreggiandosi
il
reggimento di
Firenze per lo popolo
minuto, come più tempo dinanzi fu detto
dovea
avenire, cioè per le
capitudini di tutte l'
arti, come dicemmo
adietro nella
riformagione della terra, cacciato
il
duca d'Atene, sì ssi
ricercò per certi uficiali, e
fecesi inquisizione di tutti i cittadini, rettori e castellani,
stati per lo
duca nella
città d'
Arezzo e nel castello
fatto per i Fiorentini in quello, e di
Castiglione
Aretino, e della
città di Pistoia e
del castello che v'era
dentro, e di Serravalle, e di più castella di Valdarno
e di Valdinievole, e della
città di Volterra, e di
Colle di
Valdelsa e di più altri, i quali alla
rivoluzione
del
duca e di sua signoria, e certi de' detti, rettori
e castellani, gli
abandonaro, quali per paura e chi per
la forza de' terrazzani, e tali per baratteria, avendone
danari. Molti ne furono condannati per l'
asegutore
delli ordini della giustizia,
commessogli per lo
reggimento
detto
del Comune, e chi
a diritto e chi
a torto;
onde assai danari tornaro di
condannagioni in
Comune; e molto ne furono condannati in persona,
che non
compariro dinanzi, e più toccò
a' grandi
ch'
a' popolani; però che 'l
duca gli avea
messi in
quelle signorie.
Ancora nel detto tempo e mese furono per lo detto
popolo fatti uficiali
a rimettere tra ribelli certi
Ghibellini caporali, e altri possenti stati rubelli prima;
però che per la cacciata
del
duca tutti i
libri di
rubelli e sbanditi ch'erano in camera furono arsi, sì
che di quelli si fece
nuovo
ligistro.
Ancora nel detto tempo fu condannato
Corso di
meser Amerigo di meser
Corso
Donati nell'avere e
nella persona per
contumace, per certe
lettere che
furono trovate, che mandava ed erano mandate
a llui
da certi tiranni di Lombardia, con cui tenea alcuno
trattato contro al popolo di
Firenze, o vero o non vero
che fosse, che no· llo aproviamo, però ch'
a llui era
impossibile fornire sì grande impresa sanza maggiore
séguito; ma non
comparì dinanzi
a
scusarsene, o per
tema
del popolo o de' suoi nimici, o per non
discoprire
chi
a cciò tenea co· llui il trattato. Il quale
Corso
colla moglie, ch'erano in Forlì, moriro in pochi dì di
maggio nel
MCCCXLVII, di cui fu gran
danno, però
ch'era valente
donzello, e per venire in grande affare
se fosse vivuto.
E nel detto tempo,
a dì
III di luglio, fu in
Firenze
disordinata
tempesta di venti, tuoni e baleni molto
spaventevoli, e caddono dentro alla
città
VI folgori,
ma poco feciono
danno, ma maggiore paura alle
genti.
E poi la notte di santo Iacopo s'aprese fuoco nel
popolo di San Brocolo, e arse quasi una gran casa. E
pochi dì apresso arse un'altra casa in
Torcicoda
a'
confini
del detto popolo. E poi pochi dì apresso arse
un'altra gran casa nel detto popolo di San Brocolo,
non però con troppo
danno. E poi
a dì
VIII d'
agosto
la notte s'aprese il fuoco nel popolo di San Martino
presso
ad Orto Sa· Michele in botteghe di lanaiuoli,
accendendosi in alcuno panno riscaldato per l'untume
e soperchio caldo, onde arsono
XVIII tra case e
botteghe e fondachi di lanaiuoli con grandissimo
danno d'arsione di panni e lane e altri arnesi e
maserizie,
sanza il
danno delle case; e cciò ne dimostrò la
'nfruenza
del pianeto di Marti e
del sole e di Mercurio
stati nel
segno
del Leone, atribuiti
significatori in
parte alla nostra
città di
Firenze, o più tosto la
mala
guardia
del fuoco per chi l'avea
a guardare.
L. 13, cap. 33 rubr.Come il conte Simone da Battifolle raquistò il castello
di Fronzole colla forza di Fiorentini.
L. 13, cap. 33Nel detto
anno, essendo il
conte Simone da Battifolle
con suo sforzo istato più mesi all'asedio
del castello
di
Fronzole, ch'è sopra
Poppi, il quale sentia
che non era ben fornito di vittuaglia, il quale
manteneano
i
Tarlati d'
Arezzo e rubellato l'avieno al
conte,
e tenutolo più tempo contro
a' detti
conti, e aforzato
di ricche e forti
mura e tocca per lo vescovo stato
d'
Arezzo di
Tarlati, sicché impossibile era da
poterlo
mai avere, se non per difalta di vettuaglia. Sentendo i
detti
Tarlati come mancava
a quelli d'
entro la vettuaglia,
feciono e ragunarono loro sforzo
a Bibbiena per
soccorrello
coll'aiuto di Pisani e di Ghibellini della
Marca e
del
Ducato e di
Romagna, e furono
più di
DC cavalieri e popolo grande
a piè.
Sentendolo i Fiorentini,
mandarono al soccorso
del
conte
D di loro
cavalieri e lle vicherie di pedoni e
masnadieri di Valdisieve
e di Valdarno in grande numero, e' Sanesi gli
mandarono in aiuto
CC cavalieri, e' Perugini
CL, onde
i
Tarlati e' loro amici non s'ardirono di venire al
soccorso per la
potenza maggiore di loro nimici, e
per lo
disavantaggio
del
poggio; e così s'
arendé
Fronzole al
conte Simone, salve le persone,
a dì
XXIIII d'
agosto
del detto
anno, che ffu un bello aquisto
al
conte, però ch'è de' più forti castelli e rocca di
Toscana, e
cova e
soprasta
a
Poppi, al di sopra poco
più d'uno miglio. Il
conte avutane la vettoria, ne fece
grandi grazie al Comune di
Firenze e Sanesi e Perugini
per suoi ambasciadori; e poi elli in persona vegnendo
in
Firenze, riconoscendo d'averlo
raquistato
per lo aiuto e forza
del nostro Comune, e
mandocci
la campana
del detto castello per
segno e
ricordanza.
L. 13, cap. 34 rubr.Ancora di novità fatte in Firenze per rettori di quella.
L. 13, cap. 34Nel detto
anno,
a dì
XXXI d'ottobre, si fece per lo
popolo
minuto reggente il Comune una
nuova
riformagione
e legge contro
a' grandi, che ssi guardò
adietro, e misesi inn ordine di giustizia, cioè che fosse
tenuto l'uno
consorto per l'altro nonistante che
tra lloro avessono
nimistà, o
disimulassono d'averla,
per levare ogni vizio
a' grandi contro
a' popolani.
Ancora feciono che ogni grande che fosse di fuori in
signoria o al soldo d'alcuno signore,
dovesse ritornare
infra certo tempo, o sarebbe messo per ribello.
Questo feciono per sospetto e gelosia presa di loro,
però che dopo la cacciata
del
duca d'Atene, e state le
novità e asalti dal popolo
a' grandi, come detto avemo
adietro, molti grandi e gentili uomini per fuggire
la
furia
del popolo e per prendere loro
vantaggi, chi
era ito al
servigio di meser Mastino della Scala, e chi
di meser
Luchino Visconti, e chi
del marchese da
Ferrara e
del signore di Bologna, e chi n'er'ito nel regno
di Puglia; e tutti
convennono che tornassono
co· lloro sconcio e
danno. E poi
a dì
XI di dicembre
feciono i
magistrati
del popolo un'aspra
riformagione
e crudele contra il
duca d'Atene, ciò ffu che
chiunque l'uccidesse avesse dal Comune
Xm fiorini
d'oro, cittadino o forestiere, e tratto d'ogni
bando
ch'avesse con asegnamento e ordine. E
feciollo per
suo
dispetto e onta dipignere nella torre
del palagio
della podestà con messer
Cerritieri de' Visdomini, e
meser
Meliadusso, e il suo conservadore, e meser Rinieri
da San Gimignano stati suoi
aguzzetti e consiglieri,
a memoria e
asempro perpetuo de' cittadini e
forestieri che lla dipintura vedesse.
A cui piacque,
ma i più di savi la biasimarono, però ch'è memoria
del difetto e vergogna
del nostro Comune, che 'l facemmo
nostro signore. E lla detta legge feciono perché
il
duca d'Atene adoperava in
Francia col re e
con altri baroni quanto potea di male contro
a' Fiorentini,
ed erano in grande
dubbio d'esere sopresi di
rapresaglia d'infinita moneta che domandava per
amenda al Comune di
Firenze, se non che ssi riparò
allora col re di
Francia con
lettere
del papa e con
solenni
ambasciadori, ch'andarono in
Francia, faccendo
manifesto e chiaro il re di
Francia de' suoi difetti
e male
reggimento. E oltre
a cciò non
finava il
duca
di mettere sospetto e gelosia in
Firenze, e mandando
sovente sue
lettere in
Firenze
a
ccerti suoi
acconti,
dando loro speranza di suo ritorno per male
reggimento,
dicea, di quelli reggeano la terra, onde poco
dinanzi ne fue impiccati
due legnaiuoli ch'erano molto
suoi
credenzieri quand'era signore in
Firenze, e ricevieno
e mandavano le dette
lettere. Lasceremo alquanto
de' fatti
del
duca e di
Firenze, e diremo d'altre
novità d'intorno che furono in que' tempi.
L. 13, cap. 35 rubr.Come il marchese da Ferrara ebbe la città di Parma.
L. 13, cap. 35Nel detto
anno, all'uscita d'ottobre,
mesere
Azzo
di quelli da Coreggia che tenea Parma, come l'avea
rubellata
a
mesere Mastino suo nipote per
tradimento,
come
contammo adietro, non potendola tenere,
però che s'avea fatto nimico meser Mastino, e per la
continua
guerra ch'aveano dal signore di Milano e
da' suoi seguaci, da ccui anche s'era rubellato, ancora
e
traditolne, e da altri non potea avere aiuto né
soccorso; per trattato di meser Mastino della Scala
faccendolo fare
a' marchesi, per danari in quantità di
fiorini venti milia d'oro diedono la signoria della terra
ad
Obizo marchese da
Ferrara, che tenea
Modona:
e andòvi
a prendere la posessione meser
Ghiberto
da Fogliano uscito di Reggio con
CCC cavalieri,
intra'
quali furono
VI bandiere di cavalieri
del Comune
di
Firenze, ch'erano al
servigio
del marchese. Per la
qual cosa quelli da
Gonzago, signori di Mantova,
che tenieno Reggio,
spiacendo loro la detta impresa,
parendo loro rimanere assediati in Reggio, con tutta
la loro forza e aiuto di meser
Luchino si ragunarono
a Reggio. E poi pochi dì apresso il marchese da
Ferrara
in persona, con
sicurtà e licenza de' signori di
Reggio, andò
a Parma con
M cavalieri tra di sua gente
e di quella
del signore di Bologna e di meser Mastino;
e riformata la terra della sua signoria, e lasciatola
fornita di sua gente, se ne partì
a dì
VII di dicembre
seguente per tornare
a
Modona e
a
Ferrara;
e mandò inanzi per
isguarguato meser
Ghiberto da
Fogliano con
CCC cavalieri armati, e 'l marchese
venia
da uno miglio apresso
colla sua gente quasi disarmati,
per la
sicurtà avuta da quelli di Reggio. Quelli
da
Gonzago non
tennor fede, ma fuori di Reggio
missono
due aguati di loro gente, e come meser
Ghiberto
da Fogliano co' detti
CCC cavalieri fu nell'aguato,
furono asaliti dinanzi e di dietro, e inchiusi e presi;
e chi ssi volle difendere fu morto, sicché tutti vi
rimasono. E 'l detto meser
Ghiberto con
due suoi figliuoli
e un suo nipote presi, e più altri caporali conestaboli
e buona gente. E come questo
tradimento
sentì il marchese ch'era adietro, si tornò con sua gente
in Parma molto
crucciato: e ripresi que' signori da
Gonzago
del detto
tradimento, avendo data la
sicurtà
e salvocondotto, e' si
scusavano che ll'aveano dato
all'andare ma non al tornare; ma sempre, chi usa
tradimento,
il vizio dello 'nganno è aparecchiato e conseguente.
I detti da
Gonzago,
coll'aiuto di meser
Luchino
da Milano, il febraio vegnente, sentendo il
marchese da
Ferrara in Parma, cavalcato in sul
ferrarese
insino presso
a
Ferrata
a
III miglia, levando
grande preda, e faccendo gran
dannaggio
a' marchesi.
Per le quali cagioni l'altra lega di Lombardi, meser
Mastino della Scala, e il signore di Bologna, e quello
di Padova, co' marchesi, alla primavera seguente feciono
oste alla
città di Reggio con più di
IIIm cavalieri
e popolo grandissimo, e chiusono sì i passi d'intorno
a Reggio, che non vi potea
entrare gente né vittuaglia;
e per li più si
credette non si potesse tenere.
Né ggià però meser
Luchino e que' da
Gonzago con
tutta la loro
potenza non si vollono afrontare
a battaglia
co' nimici, ma stavano alle
frontiere al borgo
a
San
Donnino e altre loro castella di
reggiana
a ffare
guerra guerriata in su quello di Parma e all'oste ch'era
sopra Reggio. Ma per la state vegnente corruzione
si cominciò nella detta oste da Reggio e infertà e
mortalità, e intra gli altri di
rinomo vi morì meser
Francesco di marchesi da Esti, e meser
Maffeo da
Ponte
Carradi capitano dell'oste e più altri; e simile
dell'altra parte, onde per necessità si levaro e partiro
le dette osti all'
entrante d'ottobre
MCCCXLV.
L. 13, cap. 36 rubr.Di certe novità state in Firenze in questi tempi.
L. 13, cap. 36Nel mese di dicembre
del detto
anno
MCCCXLIIII
la campana
del popolo, che suona per lo
consiglio, la
quale poi che ffu fatta era stata sopra i merli
del palagio
di priori, si tirò e aconciò
ad alti in sulla torre,
acciò che s'udisse meglio Oltrarno, e per tutta la
città,
la qual era d'uno nobile suono della sua grandezza.
E nel luogo ov'era quella fu posta la campana che
venne dal castello di
Vernia, e ordinata sonasse solamente
quando s'aprendesse fuoco di notte nella
città,
acciò ch'al suono di quella traessono i maestri e
quelli che sono ordinati
a spegnere i fuochi.
E
del mese di gennaio seguente si fece per lo Comune
di
Firenze accordo e lega e compagnia col vescovo
d'
Arezzo, ch'era delli
Ubertini, e con suoi
consorti,
e trattoli d'ogni
bando; ed elli diede in guardia
le castella
del vescovado e lle loro al
conte Simone
da Battifolle e
a' suoi fedeli per
X anni per lo Comune
di
Firenze, e per fare
guerra
a'
Tarlati e rubelli
d'
Arezzo, e avere gli amici per amici e' nimici per nimici.
Le castella principali furono:
Civitella, Cennina,
e 'l palagio di
Castiglione degli
Ubertini e più altre
fortezze.
E all'uscita
del detto mese s'aprese fuoco al munistero
delle donne
del Prato, e fece loro
danno assai.
E apresso il primo dì di febraio s'aprese nella
Città
Rossa, e arse una casa e una femmina iv'
entro. E
a dì
XV del mese di febraio furono condannati per processo
ordinato tutti quelli della casa degli
Ubaldini
nell'avere e nelle persone siccome ribelli (salvo il lato
di quelli da Senno, che non si trovaro colpevoli) per
cagione della battaglia e aguato che feciono alla nostra
gente
a
Rifredi, quando andavano al soccorso di
Firenzuola, e per la presa della detta
Firenzuola e
del
castello de'
Tirli alla cacciata
del
duca d'Atene, come
in alcuna parte adietro facemmo menzione; e tutti i
loro beni ch'erano nel
contado di
Firenze messi in
Comune.
E nel detto mese di febraio vennono in
Firenze
ambasciadori
del re di
Francia
a petizione
del
duca
d'Atene; ciò fu uno cavaliere e uno
cherico, e in pieno
consiglio domandaro l'ammenda
del detto
duca.
E nel detto
consiglio e i· lloro presenza furono publicati
i suoi
falli e difetti, e mostrate le sue
quitanze; e
ordinati e mandati al re di
Francia ambasciadori
colla
risposta per lo nostro Comune, come dicemmo
adietro; e
a quelli ambasciadori
del re presentati per
lo Comune, e fatto loro le spese e compagnia e onore
assai, mentre dimorarono in
Firenze e per lo nostro
contado; onde n'andarono molti
contenti; ma però
non lasciò il re di
Francia di
proccedere contro
a'
Fiorentini per lo
duca d'Atene, come inanzi si farà
menzione.
E nel detto mese di febraio per lo Comune si fece
ordine che qualunque cittadino
dovesse avere dal
Comune per le prestanze fatte al tempo di
XX, come
adietro facemmo menzione, che ssi trovaro più di
DLXXm di fiorini d'oro, sanza il debito di meser Mastino
della Scala, ch'erano presso di
Cm fiorini d'oro,
si mettessono in uno
ligistro ordinatamente; e dare il
Comune ogni
anno per provisione e
usufrutto
a ragione
di
V per centinaio l'
anno,
dando ogni mese la
paga per rata di mese; e diputossi
a fornire il detto
guiderdone parte della gabella delle porti e d'altre
gabelle, la qual montava l'
anno da fiorini
XXVm d'oro,
ov'erano asegnate le paghe
a meser Mastino; e pagato
lui, fossero diputate alla detta
sodisfazione; il qual
meser Mastino fu pagato
del mese di dicembre per
lo modo diremo inanzi. E cominciossi la paga della
detta provisione
del mese d'ottobre
MCCCXLV. Nel
detto
anno,
a dì
XII di marzo, passò di questa vita e
santificò uno Iacopo, figliuolo fu di meser
Bono
Giamboni giudice
del popolo di San Brocolo, il qual
era stato di santa vita, e vergine di suo corpo, si disse,
e statosi in casa
rinchiuso più di
XXV anni, che
non usciva se non alcuna volta anzi il giorno
a confessione
o prendere
Corpus Domini; e avea dato per
Dio
a' poveri tutta sua sustanzia e patrimonio, e poveramente
e in
digiuni e orazioni vivea, scrivendo
libri
a prezzo, e
dittando da ssé di sante e buone cose;
e chi lli mandava
limosina no· lla ricevea, se non da
divoti suoi amici; e 'l soperchio di suo guadagno, finito
poveramente suo mangiare
a giornata,
dava per
Dio
a' poveri. Fece Iddio visibili e aperti miracoli
per lui alla sua
morte, e poi e' soppellissi
a Santa
Croce
a guisa di santo. E
a sua vita predisse
a' suoi
amici più cose future, e ch'avvennero nella nostra
città, e della signoria e cacciata
del
duca d'Atene per
vertù dello Spirito Santo. Lasceremo alquanto de'
fatti di
Firenze, che assai n'avemo detto
a questa volta,
e diremo delli strani.
L. 13, cap. 37 rubr.Di novità state nella città di Genova.
L. 13, cap. 37Nel detto
anno, all'uscita di dicembre, il
dogio
del
popolo di
Genova, che avea nome Simone di quelli
di
Boccanegra, ch'avea regnato signore da
II anni,
come adietro è fatta menzione, per sua motiva, e
sentendo che gli Ori e lli
Spinoli, e
Grimaldi e altri
noboli co· lloro sforzo venivano alla terra, sì
rinuziò
la signoria dinanzi al
parlamento
del popolo, e andossene
a
Pisa con tutta sua famiglia e
parenti, e dissesi
con più di
Cm fiorini d'oro
contanti ch'egli avea
guadagnati, overo
tribaldati al suo uficio.
E il popolo di
Genova, acciò che i grandi non
prendessono la signoria, di presente
elessono
dogio
del popolo e missono in signoria uno Giovanni da
Monterena, il quale cominciò
a reggere la signoria
francamente per lo popolo, e contradiare i detti
grandi e potenti, che venieno contro al popolo. E
poi per ordine e trattato
del detto
dogio que' della
città di Saona levato la terra
a romore
a dì
VIII di
gennaio seguente, e feciono popolo, e cacciarono
della terra i loro grandi, e quanti grandi e nobili v'avea
di
Genova, e tolsono loro le castella e ogni fortezza
ch'avieno in Saona.
E poi il dì seguente il popolo di
Genova feciono il
somigliante; e perché gli
Squarciafichi e' Salvatichi,
grandi di
Genova, feciono alcuna
risistenza, furono
assaliti e combattuti dal popolo, e morti di loro, e
cacciati della terra.
E vegnendo in que' dì Ottone
Doria e suoi seguaci
e amici con
DCC cavalieri e popolo assai, e dentro
de' borghi di Prea, il popolo di
Genova uscì della
terra, e con armata mano li assaliro e combattero e
missono inn isconfitta, e rimasene assai di morti e di
presi. E il febraio seguente il
dogio e popolo di
Genova
feciono lega e compagnia con meser
Luchino
Visconti signore di Milano, ed elli
promisse
a lloro
d'avere li amici per amici e nimici per nimici, e servigli
al loro bisogno di
D cavalieri. E poi
del detto mese
gente d'arme di
Genova, ch'erano iti
a cavallo e
a
piede
a porto
Morici, furono rotti e sconfitti da lloro
usciti. Ma poi l'
aprile vegnente que' di
Genova
coll'
aiuto di meser
Luchino v'andarono
a oste per
mare
e per terra, e presono il detto porto
Morici e lla terra.
Ma poi all'
entrante di luglio
MCCCXLV messer
Luchino
Visconti fece fare pace dal popolo di
Genova
a' loro usciti.
L. 13, cap. 38 rubr.
Ancora della guerra della gente di mesere Luchino
co' Pisani.
L. 13, cap. 38Nel detto anno e mese di febraio i Pisani feciono
lega e compagnia con certo ordine con meser Mastino
della Scala, e col signore di Bologna, e co' marchesi
da Ferrara, e Romagnuoli per dispetto e contrario
di meser Luchino Visconti, e richiesonne i
Fiorentini; ma non vi si vollono acordare. Per la qual
cosa la gente di meser Luchino, ch'era in Versilia,
passato il Serchio in quantità di D cavalieri e popolo
assai, e corsono insino presso alla città di Pisa per la
via di Valdiserchio faccendo gran danno d'arsioni, e
levando gran prede d'uomini e di bestie e d'arnesi, e
tornarsi in Versilia sani e salvi, che di Pisa non uscì
uomo a contradiagli. E poi del mese di maggio
MCCCXLV morto il marchese Malaspina cognato di
meser Luchino, a cui petizione mantenea la detta
guerra; e priego del dogio e popolo di Genova meser
Luchino fece pace co' Pisani, ed ebbe d'amenda Cm
fiorini d'oro, rimanendo a' Pisani le terre di Lucca,
ch'allora si tenieno per meser Luchino, e rendé li stadichi
a' Pisani. E questo è il fine de' tiranni di Lombardia,
per trarre loro utole delle guerre e disensione
di noi ciechi Toscani. Lasceremo alquanto di nostri
fatti di Firenze e d'Italia, e diremo di certe novità
d'oltremare.
L. 13, cap. 39 rubr.
Come i Cristiani presono la città delle Smirre sopra
i Turchi.
L. 13, cap. 39Nel detto
anno
MCCCXLIIII, essendo per lo re di
Cipri e per lo mastro dello Spedale e magione, che
tenea l'isola di
Rodi, e per lo patriarca di
Gostantinopoli
e cogli amiragli delle
galee de' Genovesi e Viniziani,
ch'erano al soldo della Chiesa sopra i
Turchi,
ordinarono una grande armata di
navi, cocche e
galee
con molta buona gente d'arme per andare sopra i
Turchi, e ragunarsi all'isola di Negroponte in
Romania
overo
Grecia; e di là si partì la detta armata
del
mese di
e puosonsi alla
città delle
Smirre nel
paese che oggi si chiama
Turchia, assai presso dove
anticamente fu la grande
città di Troia, e in quello
golfo di
mare. La qual
città si tenea pe'
Turchi, ed
era molto forte fornita di molta gente d'arme
Turchi
e Saracini. E lla detta armata di Cristiani
entrarono
nel porto della detta
Smirra, e quello combattendo
con aspre battaglie, e con
difici e torri di legnami fatti
in sulle cocche e
navi, per forza presono le torri
del porto, e
tagliarono e gittarono in
mare i
Turchi
che v'erano alla difesa. E vinto il porto, asalirono la
terra da più parti, e combattendo per forza d'arme
l'ebbono con gran tagliata e uccisione di Saracini e
Turchi, che non vi lasciaro né uomini né femmina né
fanciulli che non mettessono alle spade
a
morte, chi
non si fuggì, i quali furono quasi innumerabile gente;
e
trovarolla fornita di molta ricchezza, cose,
maserizie
e vittuaglia. Sentendo ciò il soldano di
Turchi
ch'avea nome
Marbasciano, ch'era fra terra
a sue castella,
di presente vi venne con
XXXm Turchi
a cavallo
e con gente
a piè innumerabile, e puose di fuori l'assedio
alla detta terra delle
Smirre con più campi. I
Cristiani, ch'aveano presa la terra, la guernirono e
aforzarono di loro gente, e lla terra era fortissima di
mura e torri, e sovente uscivano fuori alli
scaramucci
e badalucchi contro
a'
Turchi, quando
a
danno dell'
una parte e quando dell'altra; e il detto assedio
durò
parecchi mesi, combattendosi al continovo di dì e
di notte. In questa stanza
Marbasciano soldano di
Turchi, veggendo che seguendo l'assedio
perdea al
continuo di sua gente, e poco potea fare alla terra, sì
era forte, sì si provide
maestrevolmente per attrarre i
Cristiani di fuori
a ccampo; sì si ritrasse
colla maggiore
parte di sua gente adietro alquante miglia alle
montagne, e lasciò certa parte di sua oste
a campo
fuori della terra. I Cristiani ch'erano nelle
Smirre
veggendo asottigliato il campo di nimici di genti, stimando
fossono per l'assedio straccati, il dì di santo
Antonio, dì
XVII di gennaio, popolo e cavalieri, uscirono
della
città, e asalirono il campo di
Turchi vigorosamente,
e quello con poco contasto di battaglia
missono inn isconfitta e fuga con grande mortalità di
Turchi; e preso e rubato il campo, e intendendo certi
alla caccia di
Turchi che fuggieno, e certi alle spoglie
del campo, e' capitani dell'oste con buona parte
della migliore gente intendeno
a ffare gran festa, e
celebrare
messa e sagrificio nel campo,
credendosi
avere tutto vinto, e non prendendosi guardia dell'aguato,
Marbasciano con suoi
Turchi, com'avea ordinato
per certi segni, discesono delle montagne, ch'erano
assai presso, e assalì la gente de' Cristiani, ch'erano
sparti, e male in ordine e peggio in guardia e cchi
armato e chi disarmato, e di presente con poco
afanno gli ebbono rotti e sconfitti e
messi in volta. E
chi si fuggì nella terra; e di migliori rimasono nel
campo alla battaglia, la quale
durò poco, però che'
Cristiani erano pochi alla comparazione di
Turchi; e
quelli che ressono al campo rimasono tutti morti. Intra
gli altri vi morì il patriarca di
Gostantinopoli, uomo
di grande
valore e autoritade, e meser Martino
Zaccheria amiraglio di Genovesi, e meser Piero Zeno
amiraglio di Viniziani, e 'l maliscalco
de· rre di Cipri,
e più
frieri della magione dello Spedale, e più di
D
buoni uomini di Cristiani che ressono combattendo
al campo, onde fu grande
dannaggio; tutti gli altri
Cristiani si fuggirono nella terra. E avenne loro bene,
che per la detta
rotta e sconfitta non isbigottirono,
ma vigorosamente salvarono e difesono la terra da'
Turchi, sicché per battaglie che vi dessero no· lla potero
raquistare, ma ne moriro molta di loro gente per
li molti
balestrieri che dentro v'erano alla guardia.
Venuta la detta
novella in ponente e al papa, lieti
ne furono per lo
raquisto delle
Smirre, e
crucciosi
della
rotta e
perdita di quella buona gente che vi rimasono
morti. Per la qual cosa incontanente fece il
papa indulgenza e perdono di colpa e di pena chi
v'andasse o mandasse al soccorso, e andarvi di
Firenze
di loro volontà, e che furono mandati alle spese di
chi volle il perdono, da
CCCC di croce segnati, e con
tutte armi e
soprasberghe bianche con giglio e croce
vermiglia, e per loro medesimi ordinati
a conestaboli
e
bandiere. E di Siena ve n'andarono bene
CCCL, e
così di molte altre terre di
Toscana e di Lombardia,
chi pochi e cchi assai, sanza ordini di Comuni, e feciono
la via da Vinegia, però che llà era ordinato il
passo e navile alle spese della Chiesa. E 'l papa fece
capitano di
crociati il
Dalfino di Vienna con sua
compagna di gente d'arme al soldo della Chiesa; e
passò per
Firenze all'
entrante
del mese d'ottobre
MCCCXLV, e
andonne
a Vinegia per seguire il detto
viaggio e impresa, e più altri cavalieri oltramontani
v'andaro per avere il perdono; e cchi
affiato della
Chiesa. Lasceremo al presente della detta impresa, e
diremo d'altre
novità state ne' detti tempi.
L. 13, cap. 40 rubr.Come fu morto il re d'Erminia.
L. 13, cap. 40Nel detto
anno
MCCCXLIIII il re d'
Erminia, il quale
avea per moglie la figliuola
del
prenze di Taranto e
della Morea, e nipote
del re Ruberto, e per amore
della moglie si dilettava co' baroni e cavalieri
latini,
che più gli piacea i loro
costumi che quelli delli
Ermini,
e quanta buona gente di ponente
capitava in
sua
corte gli ritenea
a suo soldo, chi
a cavallo, e chi
a
piè; per la qual cosa i baroni
ermini per invidia ordinarono
tradimento, e uccisono il detto loro re. E ancora
ci ebbe, e fu grande cagione della sua
morte,
che 'l papa per suoi legati gli avea
promesso
sussidio
e aiuto alla difensione di Saracini, e· rre di
Francia
più tempo dinanzi presa la croce e promesso di passare
oltremare al conquisto della Terrasanta; e
ciascuno
de' detti signori tenea al continuo in vana speranza
il re d'
Erminia, e· rre i suoi baroni; e
ciascuno,
cioè il papa e il re di
Francia, gli
fallirono, e' Saracini
corsono più volte l'
Erminia con gran
danno
del paese;
e però i baroni s'
indegnarono contro al detto re,
e l'uccisono. Lasceremo de' fatti d'oltremare e d'altre
novità d'intorno, faccendo digressione, raccontando
d'una grande congiunzione di certi gravi pianeti, che
fu in questi tempi, che sono di grande significazione
al secolo.
L. 13, cap. 41 rubr.Della congiunzione di Saturno e di Giove e di Marti
nel segno d'Aquario.
L. 13, cap. 41Nell'
anno
MCCCXLV a dì
XXVIII di marzo, poco dopo
l'ora di nona, secondo l'
adequazione di mastro
Pagolo di ser Piero, gran maestro in questa iscienzia,
fue la congiunzione di Saturno e di Giove
a gradi
XX
del
segno dello
Aquario
collo infrascritto
aspetto degli
altri pianeti. Ma secondo l'
almanaco di
Profazio
Giudeo e delle tavole
tolletane
dovea esere la detta
congiunzione
a dì
XX del detto mese di marzo; e 'l
pianeto di Marti era co· lloro nel detto
segno d'
Aquario
gradi
XXVII, e lla luna
scurata tutta
a dì
XVIII del
detto mese di marzo nel
segno della Libra gradi
VII.
E all'
entrare che fece il sole nell'
Ariete,
a dì
XI di
marzo, fu Saturno in sull'ascendente nel
segno d'
Aquario
gradi
XVIII e signore dell'
anno, e Giove nel
detto
Aquario gradi
XVI. E Mars nel detto
Aquario
gradi
XXII; ma seguendo l'
equazione
del detto mastro
Paolo, ch'è de' maestri moderni, e dissene che
co' suoi stormenti visibilmente vide la congiunzione
a dì
XXVIII marzo, essendo la detta congiunzione nell'
angolo di ponente, e 'l sole era quasi
a mezzo il
cielo
un poco
dichinante
a l'angolo,
a gradi
XVI dell'
Ariete,
e in sua
saltazione; e il Leone, sua casa, era in
su l'ascendente gradi
XIII e Mars era già nel Pesce
gradi
VI; Venus nel Tauro gradi
XIIII, sua casa, e in
mezzo il
cielo; Mercurio in Tauro in primo grado,
e lla luna inn
Aquario gradi
IIII. Questa congiunzione
co' suoi aspetti delli altri pianeti e segni, secondo
il detto e scritto de'
libri degli antichi grandi maestri
di
strolomia, significa, Idio consentiente, grandi cose
al
mondo, e battaglie, e micidi, e grandi commutazioni
di
regni e di popoli, e
morte di re, e
tralazione
di signorie e di
sette, e aparimento d'alcuno profeta
e di
nuovi errori
a fede, e
nuova venuta di signori e
di
nuove genti, e
carestia e mortalità apresso in quelli
crimanti,
regni, paesi e cittadi, la cui infruenza de'
detti segni e pianeti è atribuita; e talora fa nascere
inn aria alcuna
stella
comata, o altri segni e diluvi e
di soperchie
piove, però ch'ella è grave congiunzione
per la propinquità di Marte, e sì per l'
ecrissi
proccedente
dalla luna, e sì per la figura
anuale
a cciò concordevole,
e sì ancora perché poco tempo apresso
ritrogando
Saturno e Giove si
rapressaro
a gradi uno,
minuti
XXXV, tanto che ssi possono un'altra volta
congiunti riputare; bene
darà più
tardezza alli effetti
per la
ritrogagione. Questo non diciamo fia di nicissità,
ma fia il più e 'l meno al piacere di Dio, disponitore
de' detti corpi celestiali, mediante la sua giustizia
e misericordia, secondo i
meriti e peccati delle
genti e de'
regni e de' popoli per
pulire e rimunerare;
ed ècci la libertà
del
libero arbitrio dell'uomo,
quando il voglia operare, la qual cosa è in pochi per
lo difetto
del vizio
lascibile e lla
poca costanza delle
virtù, onde per li più si vive al corso di fortuna. E
nota ancora e troverrai che 'l pianeto di Marti
entrò
nel
segno
del
Cancro
a dì
XII del mese di settembre
nel detto
anno
MCCCXLV, e stette nel detto
segno tra
diretto e
ritrogrando infino
a dì
X di gennaio, che
ritrogando
tornò in
Gemini, e stettevi insino
a dì
XVI
di febraio, e ritornò poi in
Cancro, e stette poi in
quello infino
a dì
II di maggio
MCCCXLVI, sicché mostra
sia stato in
Cancro da mesi
VI e mezzo tra
due
volte, che secondo suo usato corso non sta nel
segno
che
L dì. Onde per molti maestri si disse che 'l reame
di
Francia avrebbe molte aversità e
mutazioni, perché
il
segno
del
Cancro è
asaltazione
del pianeto di
Giove
dolce e
pacifico, e dà ricchezze e nobiltà. Il
quale
segno
del
Cancro è atribuito al reame di
Francia.
Ancora il pianeto di Giove fu
soprastato da Saturno
e da Mars, il quale pianeto di Giove s'atribuisce
alla Chiesa e al re di
Francia. Ancora nota che,
partito Giove dalla congiunzione di Saturno e di
Marti, ed
entrato nel
segno
del Pesce sua casa, al
continuo fu congiunto in quello
colla
cauda dragonis,
ch'ancora li fa
ditreazione, e nel paese ov'è atribuito
la sua infruenzia.
Ora potrà dire chi questo
capitolo leggerà, che
utole porta di sapere questa
strolomia al presente
trattato? Rispondiamo che
a chi fia discreto e proveduto,
e vorrà investigare delle
mutazioni che sono
state per li tempi adietro in questo nostro paese e altrove,
leggendo questa
cronica assai potrà comprendere
per comparazione di quelle sono passate
pronosticate
delle future,
aconsentiente Idio, che questa
congiunzione in questa
tripicità de' segni dell'aere fu
e cominciò
a questi nostri presenti tempi gli
anni
MCCCV nel
segno della Libra; e poi gli
anni
MCCCXXV
nel
segno
del
Gemini.
A
ciascuno fu ed è assai manifesto
le
novità state nella nostra
città e altrove, ch'assai
sono fresche dall'una congiunzione e
ll'altra, che
sono state quasi di
XX anni in
XX anni poco meno;
ch'è lla più leggera, e in
LX anni tornò, ch'è più grave
e muta
tripicità. E anche si possono
leggermente ritrovare
le
novità che furono, e lla
discordia e
guerra
dalla Chiesa e llo 'mperio, e l'altre
novitadi e dell'antico
popolo di
Firenze, e della
tralazione della signoria
del re Manfredi al re
Carlo, e in
CCXL overo in
CCXXXVIII l'avrà fatta
XII volte in
XII segni, le
novitadi
che furono in que' tempi adietro, il passaggio d'oltremare
e altre grandi cose, e lla
mutazione della signoria
del regno di Cicilia
a Ruberto
Guiscardo. E in
DCCCCLX overo
DCCCCLIII anni fornite
XLVIII congiunzioni,
e tornando alla prima, ch'è la più ponderosa
di tutte, se
cerchi adietro troverrai il
cominciamento
del
calo della
potenza
del romano imperio alla
venuta de' Gotti e di Vandali inn Italia, e molte
turbazioni
a santa Chiesa etc
. E questo basti alla presente
materia, e diremo d'altro.
L. 13, cap. 42 rubr.Quando morì mesere Albertino da Carrara signore
di Padova, e quello ne seguì.
L. 13, cap. 42Nel detto
anno
MCCCXLV, all'uscita
del mese di
marzo, morì meser Albertino da
Carrara, il quale i
Fiorentini e' Viniziani al conquisto della
città di Padova
da meser Mastino, come dicemmo adietro, ne
feciono signore; e male ne fu
conoscente, come fanno
gli altri tiranni. E llui morto, lasciò in suo luogo
signore meser
Marsilietto suo
consorto ch'era assai
valoroso e da bene; ma lla invidia, che sempre
ditrae
ogni beneficio,
commosse Iacopo da
Carrara nipote
carnale
del sopradetto meser Albertino, e con suo
séguito, poco tempo apresso, per
tradimento di notte
tempore uccise il detto meser
Marsilietto suo
consorto,
e
corse la terra, e come tiranno se ne fece signore.
L. 13, cap. 43 rubr.D'una aspra legge che 'l popolo di Firenze fece contro
a' cherici.
L. 13, cap. 43Nel detto
anno,
a dì
IIII d'
aprile, i reggenti e maestri
del popolo di
Firenze, uomini e
collegi della qualità
che detto avemo adietro, feciono una aspra e
crudele legge sopra i
cherici contra ogni ordine e dicreti
di santa Chiesa, con molti
capitoli contro
a libertà
di santa Chiesa. Intra gli altri, che quale
cherico
offendesse
ad alcuno laico d'alcuno malificio
creminale,
fosse fuori della guardia
del Comune, e potesse
esere punito
personalmente dalla signoria secolare
inn avere e in persona, non riserbando degnità;
e quello
cherico o laico
impetrasse in
corte di papa,
o appo altro legato,
lettera o privilegio di giudice
dilegato
in sua causa e quistione, che da niuna signoria
di Comune fosse udito né amesso; ma che i propinqui
e
parenti di quelli ch'avesse fatta la
'mpetragione
fossero costretti inn avere e in persona, tanto facessono
rinuziare la sua
impetragione. Di queste
leggi, e
altri
membri che ssi contengono nella detta
riformagione,
fu la motiva che certi
cherici rei di grandi e di
possenti popolari pur facieno sotto
titolo della franchigia
di loro
chericato di sconce cose
a' secolari impotenti.
E per cessare l'opposizione di contratti
usurari,
e per cagione di molte compagnie, che 'n quelli
tempi e dinanzi erano
falliti, levarono che non si potessono
impetrare privilegi di giudici dilegati. Tutte
queste fossono le cagioni, e hanno alcuno
colore di
giustizia, da' savi uomini fu molto biasimata la detta
legge e
riformagione, che perché il Comune la si potesse
fare, non era licito di
farla contro alla libertà di
santa Chiesa né mai più fu fatta in
Firenze; e cchi vi
diè aiuto o
consiglio o favore
issofatto fu scomunicato.
E sse in
Firenze fosse in quelli tempi stato un valentre
vescovo non cittadino, pure come fu il vescovo
Francesco da
Cingole anticessoro
del presente,
non sarebbe stato soferto; ma il presente vescovo,
nostro cittadino, della casa delli
Acciaiuoli, invilito
per lo
fallimento e
cessagione de' suoi
consorti, non
ebbe ardimento al riparo della inniqua e ingiusta legge.
La quale saputa in
corte, ne fu fatto grande clamore
al papa e
a' cardinali; e poi tra per ciò e per altri
processi fatti per lo Comune di
Firenze contra i
cherici nacque
scandalo dalla Chiesa
a' Fiorentini,
come inanzi faremo menzione. E nota che fa il
reggimento
delle cittadi, essendone signori artefici e manuali
e idioti, però che i più delle
XXI capitudini dell'
arti, per li quali allora si reggea il Comune, erano
artefici
minuti
veniticci di
contado e forestieri,
a ccui
poco
dee calere della republica, e peggio saperla guidare;
e però che
avolontatamente fanno le
leggi
straboccate
sanza fondamento di ragione, e male si
ricordano
chi dà le signorie delle cittadi
a sì fatte genti
quello che n'ammaestra Aristotile nella sua Politica,
cioè che' rettori delle cittadi sieno i più savi e discreti
che si possano trovare. E 'l savio Salamone disse:
«Beato quello regno ch'è retto per savio signore». E
questo basti aver detto sopra la presente materia,
con tutto che per difetti di
nostri cittadini e per li
nostri peccati male fummo retti per li grassi popolani,
come poco adietro avemo fatta menzione. E da
dubitare è
del
reggimento di questi artefici
minuti
idioti e ignoranti e sanza
discrezione e
avolontati.
Piaccia
a Dio che sia con buona
riuscita la loro signoria,
che me ne fa
dubitare.
L. 13, cap. 44 rubr.Come il popolo di Firenze tolse a certi grandi e gentili
uomini certe posessioni e beni donati loro per lo
Comune.
L. 13, cap. 44E poi
del mese di maggio
del detto
anno per li
detti reggenti e maestrati
del popolo di
Firenze fur
tolti di fatto, e contra ogni
debita ragione,
a più nobili
indotati dal Comune per antico o per loro
meriti
e di loro anticessori, o per ogni fare per lo Comune,
come diremo apresso; intra gli altri
a quelli della casa
de' Pazzi le posessioni e beni che il popolo e Comune
di
Firenze avea
donati e
dotati
a lloro anticessori
con ogni sollennità che fare si potesse infino gli
anni
MCCCXI, quando il popolo di
Firenze fece cavalieri
e difenditori
del popolo
quattro di loro,
II figliuoli
di messere
Pazzino, e
due suoi
cugini, per la
morte
del detto meser
Pazzino, stato morto in
servigio
del popolo, e llui vivendo, capo e difenditore
del
popolo con suoi
consorti contro
ad ogni grande che
contro al popolo erano o aoperassono, come adietro
in quelli tempi facemmo menzione; e il suo padre
mesere Iacopo
del
Nacca morto
a Monte Aperti, caporale
e gonfaloniere
del popolo; e gli altri suoi
consorti
le grandi operazioni fatte per lo Comune e popolo
di
Firenze
a
cColle, come adietro è fatta menzione;
e per tanti benefici fatti per lo Comune e popolo
di
Firenze, antichi e moderni, non volere esere
udite niuna loro ragione, né
commetterla in quale
giudice in
Firenze o in Bologna, ch'al Comune piacesse.
Ma meglio era non dare il
dono che lla cosa
donata villanamente ritorre contra
a ragione. E per
simile modo tolsono i beni
a' figliuoli di meser Pino
e di meser Simone della Tosa,
donati per lo Comune
e popolo, quando gli feciono cavalieri
del popolo,
che tanto per lo popolo
adoperarono, come in questa
è fatta menzione. E per simile modo
a' figliuoli di
mesere Giovanni Pini de' Rossi, il quale morì apo
Vignone in
Proenza, essendo ambasciadore
del Comune
al papa Giovanni per gran cose. E montarono
le dette posessioni più di fiorini
XVm d'oro, e
convertissi
a rifacimento di ponti, ma non ne tornò in Comune
la metà in danari che valeano. Di questo torto
fatto pe' reggenti
del popolo
a' sopradetti gentili uomini,
collo
'nzigamento degli altri grandi per invidia.
avemo fatta menzione per dare
asempro
a quelli che
verranno come
riescono i
servigi fatti allo
'ngrato popolo
di
Firenze; e nonn è avenuto pure
a' detti, ma
se
ricogliamo le
ricordanze antiche pure di questa
nostra
cronica, intra gli altri notabili uomini che feciono
per lo popolo, si fu
mesere
Farinata delli
Uberti, che guarentì
Firenze che non fosse
disfatta; e
mesere
Gianni Soldanieri, che ffu capo alla difensione
del popolo contra al
conte
Guido
Novello e gli altri
Ghibellini; e di Giano della Bella, che ffu cominciatore
e
facitore
del secondo e presente popolo; e
meser Vieri di
Cerchi, e
Dante
Allighieri, e altri
cari
cittadini e guelfi, caporali e
sostenitori di quello popolo.
I
meriti e
guiderdoni ricevuti i detti e' loro discendenti
dal popolo, assai sono manifesti, pieni di
grandissimo vizio d'ingratitudine, e co grande offensione
a lloro e
a' loro discendenti, sì d'
esili e disfazione
de' beni loro, e d'altri
danni fatti per lo
'ngrato
popolo e maligno, che
discese di Romani e di
Fiesolani
ab anticho, ancora, se leggiamo l'antiche storie di
nostri padri romani, non vogliamo tralignare. Intra
ll'
altre notevoli ingratitudini fatte per lo detto popolo,
assai sono manifeste: che
merito ricevette il buono
Camillo che difese
Roma e diliberò da' Gallici?
Certo fu sanza colpa cacciato inn
esilio e sbandito.
Che diremo
del buono
Iscipio Africano che diliberò
la
città di
Roma e 'l suo imperio d'
Anibale, e vinse e
sottomise Cartagine e tutta la provincia d'Africa al
Comune di
Roma, e per simile modo
dallo
'ngrato
popolo fu mandato inn
esilio per la invidia e
a torto?
Che diremo ancora
del valente
Giulio Cesare?
Quanti notabili e grandi cose fece per lo Comune e
popolo di
Roma inn Italia e poi in
Francia, inn
Inghilterra, Alamagna, e sottomisele con tanto affanno
al popolo di
Roma, e per invidia de' rettori e senato
del popolo fu
rifusato
a cittadino, e poi, lui
imperadore, da' rettori
del senato e suoi propinqui,
e lloro benefattore, fu morto? Certo questi antichi
asempri e moderni
danno matera che mai nullo virtuoso
cittadino s'intrametta in benificio della republica
e di popoli; ch'è grande male apo Dio e al
mondo che' vizii della 'nvidia e della superbia ingratitudine
abatta le nobili virtù della
magnanimità e
della grata liberalità, fontana di benifici. Ma non
sanza giusto giudicio d'Iddio sono le
pulizioni de'
popoli e de'
regni soventi per li detti
falli e difetti:
pognamo che Iddio non punisca di presente fatto il
fallo, ma quando il
dispone la sua
potenzia. Se nella
matera avessimo detto di soperchio, il soperchio
del
disordinato vizio della ingratitudine ce ne
scusi, per
l'opere delli
straboccati nostri rettori.
L. 13, cap. 45 rubr.Come volle esere tolto il castello di Fucecchio al Comune
di Firenze.
L. 13, cap. 45Nel detto
anno
MCCCXLV,
a dì
XXVII d'
aprile, quelli
della Volta di Fucecchio nobili e di più possenti di
quelli della terra,
coll'aiuto di loro amici di Sa·
Miniato
e di gente
del
contado di Lucca, corsono la terra
di Fucecchio per
rubellalla e
torla al Comune di
Firenze sotto
titolo di cacciarne que' di meser Simonetto,
un'altra casa di maggiori di Fucecchio, loro nimici.
E sarebbe loro venuto fatto, se non fosse il sùbito
soccorso delle masnade di Fiorentini ch'erano
nelle castella di Valdarno e di Valdinievole, che vvi
trassono di presente; e con forza d'arme combattendo,
furono i detti della Volta e lloro seguaci nella terra
sconfitti e rotti e cacciati, ov'ebbe assai di morti e
fediti, e presi, impiccati per la
gola. E poi la state
apresso da
D fanti di Pisani ch'erano alla guardia
del
Cerruglio e di Vivinaia e
Montechiaro di notte tempo
iscesono in Cerbaia, e parte ne passarono la
Guisciana
con trattato d'aver Fucecchio; per buona
guardia si guarentì; onde i Fiorentini si
dolfono forte
a' Pisani per loro ambasciadori, onde si
scusarono
molto che non era loro
fattura; ma come sempre
hanno usato, il vizio
pisanoro d'inganni e tradimenti
fu questo, però che non ne feciono né
amendo né
punizione; e se l'avessono preso, il s'avrebbono tenuto
a onta e
dispetto di Fiorentini. E per la detta
novità
di Fucecchio, onde i
Malpigli e
Mangiadori di Sa·
Miniato furono operatori e cagione, il luglio apresso
ebbe zuffa e battaglia in Sa·
Miniato tra'
Mangiadori
e
Malpigli e loro seguaci; ma per li Fiorentini vi si
mise accordo, perché non si guastasse quella terra.
Ancora poi all'
entrante di marzo
del detto
anno volle
essere tradito Fucecchio, e più terrazzani colpevoli
di ciò ne furono morti e giustiziati. E nel detto
anno,
all'
entrante di giugno, fu fatta pace e accordo dal
Comune d'
Arezzo
a'
Tarlati e lli altri loro usciti ghibellini
per mano di Perugini e Fiorentini.
L. 13, cap. 46 rubr.Di certi lavorii di ponti e d'altri fatti per lo Comune
in questi tempi.
L. 13, cap. 46Nel detto
anno,
a dì
XVIII di luglio, si compié di
volgere e di serrare il
nuovo ponte rifatto sopra l'Arno
nel luogo ove
anticamente era stato il ponte Vecchio,
con
due
pile e tre
archi, molto bello e ricco.
Costò bene fiorini
d'oro; e ffu bene fondato, e
largo braccia
XXXII, che lla via rimase larga braccia
XVI, che ffu troppo grande al nostro parere, e basse
l'arcora da braccia
II; e lle botteghe dall'uno lato e
dall'altro larghe braccia
, e lunghe braccia
VIII, e
furono fatte in sul sodo dell'arcora fatte
a volte di sopra
e di sotto, e furono
XLIIII, onde il Comune ebbe
di
rendita di pigione l'
anno da
DCCC fiorini d'oro o
più, ch'
anticamente erano di legname
sportate sopra
l'Arno, e 'l ponte stretto braccia
XVI. E nel detto
anno
si cominciò
a
rifondare con
nuove
pile il ponte
a
Santa Trinita, e compiessi l'
anno
MCCCXLVI a dì
IIII
d'ottobre, e ffu molto bello e forte, e
costò da
XXm
fiorini d'oro. E
merlossi con beccatelli
isportati il palagio
antico, dove abita la podestà dietro alla
Badia e
da San
Pulinari, e missesi in volta il tetto di sopra
perché non potesse ardere, come fece altra volta. E
nel detto
anno si cominciò
a rivolgere e
rinovare la
coperta
del marmo
del
Duomo di San Giovanni, e lla
cornice d'intorno troppo più
bella che non era imprima,
però che per lo lungo tempo la coperta prima
di marmi in alcuna parte era rotta e guasta, e facea
acqua e guastava le pinture dentro e storie
del
musaico.
Lasceremo alquanto delle
novità di
Firenze e
d'intorno, e diremo di
novità fatte per lo re d'Inghilterra
e sue genti in
Fiandra e Brettagna e
Guascogna,
ch'assai furono maravigliose.
L. 13, cap. 47 rubr.
Come il re Adoardo d'Inghilterra venne in Fiandra,
e mandò sue osti in Guascogna e 'n Brettagna contro
al re di Francia.
L. 13, cap. 47Nel detto
anno
MCCCXLV Aduardo il terzo re d'Inghilterra
fece un grande aparecchiamento di navile e
di gente d'arme, per passare di qua da
mare nel reame
di
Francia, ch'erano
fallite le triegue. E
del mese
di giugno mandò il
conte d'
Ervi suo
zio,
cugino della
casa reale, in
Guascogna con
CC navi cariche di cavalieri
e d'arcieri. E mandò il
conte di
Monforte in
Brettagna,
a ccui la
duchea di quella
a ragione succedea,
come dicemmo adietro, con altre
CC navi con
gente d'arme assai
a ccavallo e
a piè; e quello che'
detti
due signori
colle dette armate
adoperarono in
Brettagna e in
Guascogna diremo ordinatamente nel
presente
capitolo.
Lo re
Aduardo in persona col figliuolo con altre
CC cocche, overo
navi, con gente d'arme assai, arrivò
alle
Schiuse in
Fiandra
a dì
VI di luglio, con intenzione
e con ordine e trattato
colle Comuni di
Fiandra
di fare
conte di
Fiandra il figliuolo; e il
duca di Brabante
d'altra parte avea trattato con
Luisi
conte di
Fiandra lega e compagnia, e fatto matrimonio e parentado
co· llui, e
dava al suo figliuolo la figliuola
del
duca per moglie, e
dovelo rimettere
colle sue forze
di
Brabanzoni nella signoria della
contea di
Fiandra.
E stando il re
Aduardo alle
Schiuse sopra i detti trattati,
ed esendo andati al re d'Inghilterra Giacomo
Artivello di Guanto, caporale e maestro di tutta la
Comune di
Fiandra, con altri ambasciadori di Guanto
e dell'altre ville di
Fiandra, e dopo molti parlamenti
i detti ambasciadori si partiro inn accordo col
re; Giacomo d'
Artivello vi rimase col re alquanti dì
per trattare, secondo si disse, sue
ispezialtadi, onde
gran sospetto generò nelle Comuni di
Fiandra; e llui
tornato poi
a Guanto, facea come signore sgombrare
certi
palagi e case di borgesi di Guanto, e fare l'aparecchiamento
per lo re d'Inghilterra, che vvi
dovea
venire; o per lo sospetto preso, o per l'
aroganza
del
detto Giacomo, o per operazione
del
duca di Brabante,
certi della Comuna di Guanto levaro la terra
a
romore, e corsono, e combattero e assalirono alle case
il detto Giacomo d'
Artivello,
apellandolo per traditore;
ed elli con suo séguito si difendea, e uccise
due della
Comuna, e molti fediti. Alla fine non potendo
durare all'
esercito
del popolo, fu morto elli e
'l fratello e 'l nipote con bene
LXX suoi amici e famigliari,
e disfatte le sue possessioni. E cciò fu dì
XVIIII di luglio. E fecesi capo della
Comuna di Guanto
uno
E come adietro dicemmo in altro
capitolo di fatti
di
Firenze, tali sono le fini degli uomini troppo
prosuntuosi,
e che ssi fanno caporali de' loro Comuni; e
questo basti
a tanto. Lo re
Aduardo sentendo le dette
novità, e non
vegnendogli fornito in
Fiandra il suo
trattato, si partì con suo navilio dalle
Schiuse, e tornossi
inn Inghilterra; e fece divieto che lane, né vittuaglia,
né suo navilio, né altro che partisse di suo
paese, arrivasse in
Fiandra o in Brabante, onde i
Fiamminghi rimasono molto
confusi. Bene si
raconciarono
poi co· llui, come si dirà in altro
capitolo innanzi.
Il
conte d'
Ervi arrivato in
Guascogna si puose
ad
asedio della
città di
Bergherago, che teneno i Franceschi,
ch'era
del siri delle Brette,
del mese d'
agosto
del detto
anno. Il siniscalco di
Guascogna per lo re
di
Francia, e il
conte di
Peragorga con
D cavalieri e
Xm pedoni vennero di notte per soccorrere la detta
terra, credendo improviso avere
sopreso il
conte
d'
Ervi e sua oste; il quale stando di dì e di notte in
buona guardia, si difese francamente dal detto assalto,
e misero inn isconfitta la gente
del re di
Francia,
ove ne rimasono molti morti e presi. E poi il
conte
d'
Ervi con sua gente combattero la terra, e per forza
l'ebbono, ove fu grande uccisione e ruberia.
E
sogiornando il detto
conte d'
Ervi alla detta
città
di
Bergherago con suoi Inghilesi e Guasconi di sua
parte, l'oste
del re di
Francia, in quantità di
IIIm cavalieri
con gente
a piè innumerabile, la maggiore parte
Guasconi e di Linguadoco, essendo allo assedio dell'
Albaroccia in
Guascogna, che tenieno gl'Inghilesi,
e meser
Gianni figliuolo
del re di
Francia con più di
Vm cavalieri, con gran baronia di Franceschi, era
a
presso
a
X leghe dell'
Albaroccia; e per isdegno
dell'Inghilesi, avendoli per niente, non volea esere al
detto assedio. Gli asediati sentendosi molto
stretti,
mandaro al
conte d'
Ervi per soccorso, o
a lloro
convenia
rendere la terra. Il quale
conte d'
Ervi, come
valente signore, non temendo di tanta cavalleria e
potenzia
del re di
Francia, ch'avea al detto assedio e
nel paese con messer
Gianni di
Francia, si partì da
Belgeraco con quanta gente potéo con seco menare.
E quando s'apressaro
a' nimici, quelli ch'erano
a ccavallo
scesono tutti
a piede, lasciando i
cavalli adietro
a' loro fanti, ch'erano da
MCC cavalieri e arcieri e
gente
a piè innumerabile, e assalirono così
a piede la
detta oste una mattina al punto
del giorno, dì
XXI
d'ottobre
del detto
anno, ove fu aspra e
dura battaglia,
e grande uccisione dell'una parte e dell'altra; e
durò infino al mezzogiorno, che non si sapea chi
avesse il migliore. Alla fine essendo malmenata la
gente
del re di
Francia d'uccisione di gente e di loro
cavalli, l'Inghilesi e Guasconi di loro parte i cavalieri
rimontarono freschi in su i loro
cavalli, e per forza
d'arme missono in volta e inn isconfitta la gente
del
re di
Francia, ov'ebbe molti morti e presi. Intra gli
altri signori presi furono messer Luigi di
Pittieri, il
conte di
Valentinese, il
conte della Illa, il visconte di
Nerbona, il visconte di
Vilatrico, il visconte di
Caramagna,
messer Rinaldo d'
Uosi nipote fu di papa
Clemento
V messer
Ugotto dal Balzo, il siniscalco di
Tolosa, e più altri signori e baroni, quasi tutti di Linguadoco;
i quali si ricomperarono per loro
raenzione
più di libre
Lm di sterlini. Messer Giovanni di
Francia,
che v'era presso
colla sua baronia di
Francia, come
detto avemo, non venne al soccorso, né ttenne
campo, ma ssi tornò adietro; onde gli fu messo in
gran viltade, e preso grande sospetto per quelli di
Linguadoco che tenieno col re di
Francia. E per le
dette
due vittorie al
conte d'
Ervi e sua gente s'
arenderono
tra in
Guascogna e in tolosana più di
C tra
città, terre e castella
murate. E in questi tempi i
Normandi,
ch'erano sotto al re di
Francia, feciono tra lloro
Comuna al modo de'
Fiamminghi, non ubidendo
gli uficiali
del re di
Francia, e' loro caporali trattando
col re d'Inghilterra
cospirazione, la qual poco
tempo apresso partorì gran cose. Sentendo le dette
novelle il papa e' cardinali di tanta
commovizione
del reame di
Francia per la detta
guerra, vi mandò di
presente
due legati cardinali, messer
per mettere
pace o triegua tra' detti signori, ma niente ne poterono
fare; però che 'l papa era troppo parte in
sostenere
le
ragioni
del re di
Francia, più che quelle
del re
d'Inghilterra, onde poi acrebbe molto male, come
inanzi faremo menzione. E volle il papa
proccedere
contro al re d'Inghilterra, ma di ciò non ebbe concordia
con gran parte di suoi cardinali, e però rimase.
Essendo state in
Guascogna le soprascritte battaglie
a
danno de' Franceschi, messer Giovanni di
Francia con tutta sua gente, ch'erano grandissima
a ccavallo e
a ppiè, puose assedio al forte castello
d'
Aguglione, e
giurò di non partirsene mai che l'avrebbe;
dentro v'avea buona gente d'arme Guasconi
e Inghilesi; e spesso meser Giovanni facea combattere
il castello, e que' dentro sovente uscivano fuori
a
scaramucci e assalire il campo. Avenne che
a dì
XVI di
giugno venendo da Tolosa per lo fiume all'oste de'
Franceschi
due grosse
navi cariche di vettuaglia e
d'arnesi da oste, quelli d'
Aguglione uscirono fuori
per terra e per acqua, e per forza combattendo presono
le dette
navi e
miserle nel castello con gran
danno di nimici, andando con grand'audacia infra
ll'
oste di Franceschi prendendo e uccidendo, onde
tutto il campo de' Franceschi fu
ad arme, ch'era innumerabile
gente, e per la loro
moltitudine
sopresono
loro nimici ch'erano usciti d'
Aguglione all'asalto
dell'oste. Inanzi che tutti si potessono ricogliere al
castello, ve ne rimasono assai morti, e presi gl'infrascritti
caporali; messer
Allessandro di
Camonte,
Guiglielmo Pomieri, il siniscalco di Bordello, il signore
di
Landiros, il signore di
Pomiere, Ugo fratello
del signore di
Signaco, il visconte di
Tartas fratello
del signore di
Soveraco, Giovanni Colombo di
Bordello, tutti Guasconi, i quali più si
scambiaro con
parte di presi detti di sopra. Il
conte d'
Ervi con sua
oste venne verso
Aguglione, e rifornì il castello di
gente e di vittuaglia. Lasceremo alquanto di questa
matera per dire d'altre
novità, ma assai tosto ci torneremo;
però che lla detta
guerra dal re di
Francia
a
quello d'Inghilterra
crebbe diversamente, come
inanzi faremo menzione.
L. 13, cap. 48 rubr.
Come il re d'Ungheria venne inn Ischiavonia, e come
fu morto il re di Pollana.
L. 13, cap. 48Nel detto
anno
MCCCXLV,
del mese di luglio, il re
Lodovico d'Ungheria con grandi
eserciti
a ccavallo e
a piè venne inn
Ischiavonia per
raquistarla, ch'era di
risorto
del suo reame, onde si rubellò
a' Viniziani la
città di Giadra, ch'ellino aveano tenuta lungo tempo,
e rendessi al detto re d'Ungheria, la quale i Viniziani
tenieno, per forza e
potenzia ch'avieno per
mare, tirannescamente
e con soperchie gravezze; onde
a'
Giadrini parea loro male stare, ch'era una grossa terra
e buono Comune, usi di stare in loro libertà, salvo
di piccolo
risorto rispondieno per antico al re d'Ungheria;
e questa fu la cagione della loro
rubellazione.
E per simile modo si rubellarono
a' Viniziani più altre
terre; e tutta la Schiavonia era per
raquistare il re
d'Ungheria, se non che per soperchio di sua gente
gli
fallia la vettuaglia, sicché di nicistà il
convenne ritrarre
adietro. Ancora in questa stanza ebbe
novella
che 'l re di Pollonia fratello della madre avea combattuto
in campo con
Carlo figliuolo
del re Giovanni
di Buem, ed era stato sconfitto e morto sanza lasciare
alcuno figliuolo. Per la qual cosa si tornò in Ungheria,
e poi andò in Pollonia, e coronò
del detto
reame Stefano suo secondo fratello,
a ccui succedea
per retaggio della madre. Lasceremo di dire alquanto
de' fatti degli strani, e diremo di nostri di
Firenze.
L. 13, cap. 49 rubr.Come i Fiorentini s'accordarono con meser Mastino
della Scala di danari gli restavano a dare per la compera
di Lucca.
L. 13, cap. 49Nel detto
anno e mese d'
agosto, essendo meser
Mastino della Scala in
discordia co' Fiorentini per li
danari restava
ad avere dal Comune di
Firenze per la
matta e folle impresa di
comperare da llui la
città di
Lucca assediata, come adietro è fatta menzione, domandando
meser Mastino tra di resto e d'amenda
più di
CXXXm di fiorini d'oro, i Fiorentini
saviamente
feciono ordine e
dicreto che più
stadichi non gli si
mandassono, sì che allo scambiare, dove n'avea
XII
non avesse
XXIIII, i vecchi e'
nuovi,
abandonando
quelli che v'erano, e cche nullo Fiorentino stesse in
sue terre, se non
a lloro rischio; onde meser Mastino
crucciato
rinchiuse in cortese prigione li
XII stadichi
ch'avea, e fece prendere quanti Fiorentini avea in
Verona e Vincenza. E nota,
lettore,
a cche fine
riescono
le compagnie e imprese da' Comuni
a' tiranni,
e se
mesere Mastino si seppe vendicare con
danno e
vergogna
del nostro Comune delle ingiurie e
guerra
fatta contra llui co' Viniziani insieme, come lungamente
adietro facemmo menzione. Avenne poi per
bisogno che meser Mastino ebbe di moneta per la
'mpresa fatta fare al marchese da
Ferrara dell'oste da
Reggio contro quelli da
Gonzago signori di Mantova,
e per
procaccio
del marchese da
Ferrara ch'era
stato mediatore
del sopradetto mercato di Lucca da'
Fiorentini
a meser Mastino, mandò al Comune di
Firenze
che volea aconciare la quistione, i quali vi
mandarono discreti ambasciadori. E venne meser
Mastino in persona
a
Ferrara, e llà si
diè fine al detto
accordo per
LXVm di fiorini d'oro,
quitando tutto all'
uscita
del mese di settembre,
promettendolo di pagare
infra
due mesi. La quale civanza
del detto
pagamento
si trovò in
Firenze di presente per uno ordine
ch'allora si fece per lo Comune, che quale cittadino
dovesse avere dal Comune danari per li
presti vecchi,
prestandone altrettanti
contanti, fosse assegnato
sopra le gabelle ordinate
a meser Mastino infra
due
anni di riavere i vecchi e
nuovi prestati; e trovossi la
civanza di presente, che ffu
bella cosa; e meser Mastino
fu pagato, e finì il Comune, e tornarono li
stadichi.
L. 13, cap. 50 rubr.Di più novità fatte e occorse in Firenze in questo
anno.
L. 13, cap. 50Nel detto
anno,
a dì
XXVI d'
agosto, si diede al Comune
di
Firenze il castello delle
Poci in su l'Ambra
di là dal
Bucino, ch'era delle terre
del
viscontado, e
avienvi su ragione i
conti da Porciano. Ma 'l Comune
compensò per quello
dovea dare al Comune di
condannagioni
Guido
Alberti
conte di quelli, e per
offese fatte al Comune, che ffu un bello aquisto
coll'
altre terre
del
viscontado detto ch'avea il Comune,
tutto sieno di giuridizione d'imperio; ma dal fiume
d'Ambra in qua tutto è oggi
del
distretto di
Firenze.
In questi tempi certi da San Gimignano corsono
la villa di Campo
Urbiano con grande ruberia e arsioni
e micidi, opponendo
ritenieno loro sbanditi;
per la qual cosa si turbò forte il Comune e popolo di
Firenze, perch'altra volta, come adietro facemmo
menzione, avieno fatto il simigliante; però fu condannato
il Comune di San Gimignano in
, e' terrazzani
nell'avere e nelle persone. Ma poi
del mese di
novembre per
prieghi de' Sanesi e Volterrani e
Colligiani,
e per cessare
scandalo, per grazia fu fatta
compusizione
co· lloro, e pagaro per amenda fiorini
Vm
d'oro, e rimasene in
bando solamente
IIII de' caporali
della detta cavalcata.
In questo
anno,
a dì
XII di settembre, e poi
a dì
XXII di dicembre, di notte, furono grandi tremuoti,
ma
durarono poco.
In questo
anno furono molte piogge in
Firenze e
in questo paese d'intorno, che dall'uscita
del mese di
luglio fino
a dì
VI di novembre non
finò di
piovere
quasi
del continuo; onde molto sconciò le ricolte, e
guastò molto grano e
biade ne' campi, e uve nelle vigne
molte ne guastò, e non fu il detto
anno il vino né
digesto né naturale, e lle terre si poterono male lavorare
e seminare. Per le quali soperchie piogge
crebbe
l'Arno per
due volte
sformatamente d'ottobre e di
novembre, e coperse tutta la piazza di Santa
Croce, e
allagò gran parte
del detto quartiere, e venne l'acqua
fino al palagio della podestà. E lla Tersolla
crebbe sì
sformatamente, che valicò il ponte
a
Rifredi e quello
Borghetto, rovinò case e
muri con gran
danno e
perdimento
di cose e
guastamento di terre. E simile
diluviò
il Mugnone e 'l
Rimaggio e tutti i fossati d'intorno
con gran
danno delle contrade, ed
ebbesi gran
paura in
Firenze di generale diluvio. E lla congiunzione
passata ci cominciò
a mostrare delle sue influenzie,
e ffu
segno e cagione e avenne il seguente
anno di male ricolte e
carestia di vettuaglia, come
inanzi faremo menzione. Lasceremo alquanto di nostri
fatti di
Firenze, e racconteremo d'uno
screpio e
scellerato peccato e
tradimento commesso per le rede
e congiunti
del re Ruberto tra lloro, come diremo
nel seguente
capitolo.
L. 13, cap. 51 rubr.Come e per che modo fu morto Andreas, che dovea essere re
di Cicilia e di Puglia.
L. 13, cap. 51In questi tempi e
anno, regnando nel regno di Puglia
Andreas figliuolo di
Carlo Umberto re d'Ungheria,
il quale avea per moglie Giovanna figliuola prima
reda di
Carlo
duca di Calavra e figliuolo
del re
Ruberto,
a ccui
dovea succedere il reame per lo modo
e ordine, come adietro in alcuno
capitolo facemmo
menzione; il re Ruberto con
dispensagione
del
papa e della Chiesa avea diliberato che fosse re dopo
la sua
morte. E
aspettavasi di presente d'esere
coronato
del reame di Cicilia e di Puglia, e ordinato era
in
corte per lo papa uno legato cardinale che 'l venisse
a coronare. Invidia e avarizia di suoi
cugini e
consorti
reali, i quali
vizi guastano ogni bene,
collo
iscellerato
vizio della disordinata lussuria della moglie,
che palese si dicea che stava inn
avoltero con meser
Luigi figliuolo
del
prenze di Taranto suo
cugino, e
col figliuolo di
Carlo d'
Artugio, e con meser Iacopo
Capano, e
collo
assento e
consiglio, si disse, della zia
sirocchia della madre, e figliuola fu di meser
Carlo di
Valos di
Francia, che ssi facea chiamare imperadrice
di
Gostantinopoli, che anche di suo corpo non avea
buona
fama, e
del suo figliuolo meser Luigi di Taranto,
cugino carnale della reina per madre, di lui
secondo
cugino, il quale si
dicie ch'avea affare di lei,
ed era in trattato di
torla per moglie con
dispensagione
della Chiesa per succedere d'esere re dopo Andreas;
e dissesi ancora che 'l
duca di
Durazzo suo
frate l'assentì, ch'avea per moglie la
sirocchia della
moglie, acciò che se lla prima morisse sanza
reda
a llui succedesse il reame. Per questi suoi
consorti e
cugini della casa reale, si disse che con ordine della
moglie e séguito delli infrascritti traditori, se vero fu
come
corse la
fama piuvicamente, ordinarono di fare
morire il detto giovane innocente re Andreas. Ed essendo
il detto re Andreas
ad Aversa
colla moglie al
giardino di frati
del
Murrone
a diletto, e nella camera
colla moglie nel letto, di notte tempore,
a dì
XVIII
di settembre, con ordine e
tradimento de' suoi
ciamberlani
e alcuna
cameriera della moglie,
a petizione
dell'infrascritti traditori, il feciono chiamare che ssi
levasse per grandi
novelle venute da Napoli. Il quale
con
conforto della moglie si levò, e uscì fuori della
camera; e di presente per la
cameriera della reina sua
moglie li fu riserrata la camera dietro; ed essendo
nella
sala
Carlo d'
Artugio e il figliuolo, e 'l
conte di
Tralizzo, e certi de'
conti della Leonessa e di quelli
di Stella, e
mesere Iacopo
Capano grande maliscalco
il quale si dicea palese ch'avea affare
colla reina, e
due figliuoli di meser Pace da Turpia, e Niccola da
Mirizzano suoi
ciamberlani, fu preso il detto Andreas
e
messogli uno capresto in
collo, e poi
spenzolato
dallo sporto della detta
sala sopra il giardino, essendo
per parte di detti traditori ch'erano in quello
preso e tirato pe' piedi tanto che llo
strangolaro, credendo
sotterrarlo nel detto giardino, ch'altri
nol sapesse;
se non ch'una sua
cameriera
ungara il sentì, e
vidde, e cominciò
a gridare, onde i traditori si fuggiro,
e lasciaro il corpo morto nel giardino. Tale fu la
repente
morte
del giovane e innocente re, che non
avea se non
XVIIII anni, per li falsi traditori. Fu
recato
il corpo
a Napoli e sopellito co' reali, e lla moglie
ne fece piccolo lamento,
a ciò ch'ella
dovea fare; e
quand'elli fu morto, non ne fece
cramore né pianto
come quella che ssi disse palese e
corse la
fama ch'ella
il fece fare. E uno meser Niccola
ungaro balio
del
detto re Andreas, passando per
Firenze, che n'andava
in Ungheria, il disse
a nostro fratello suo grande
acconto
a Napoli, per la forma per noi iscritta di sopra,
il qual era uomo degno di fede e di grande autorità;
onde
seguì poi molto male come inanzi si farà
menzione. Ma ella, cioè la reina, pure rimase grossa
d'infante di
VI mesi, o llà intorno; di cui si fusse
ingenerato, dicea ella
del re Andreas.
L. 13, cap. 52 rubr.Di quello che seguì della morte del re Andreas.
L. 13, cap. 52Della detta
scellerata e crudele
morte
del giovane
re Andreas fu molto parlato e biasimato per tutti i
Cristiani che ll'udirono. E venuta la
novella in
corte,
molto se ne turbò il papa e 'l
collegio di cardinali,
dogliendosi il papa in piuvico consistoro ch'ellino
erano cagione della sua
morte per avere tanto indugiato
la sua coronazione; e scomunicò e privò d'ogni
benificio ispirituale e temporale chiunque avesse
operato, o dato
consiglio o aiuto o favore alla
morte
del detto re. E commisse nel
conte d'Andri, detto
conte
Novello di quelli
del Balzo, ch'andasse nel Regno,
e facesse giustizia e vendetta di chiunque di ciò
fosse colpevole, in persona e in beni, così
a'
clesiastici
come
a secolari; non risparmiando per nulla dignità.
E llui andato
a Napoli; ma prima per l'Università di
Napoli
a romore di popolo e
a baratta la terra, fu
preso meser
Ramondo di Cattana, ch'andava per Napoli
comandando per parte della reina e
somovendo
come traditore fu preso, e di presente anche fu preso
il figliuolo detto meser Pace stato
ciamberlano
del re
Andreas: e
disaminato chi ebbe colpa
del micidio, e
confessatolo,
messogli l'
amo nella lingua, perché non
potesse parlare, menato in
carro,
levandogli le vive
carni da
dosso fu
impeso e fatto morire; e poi il
conte
Novello fece inquisizione, e più baroni, e altri fece
mettere in prigione, e
due femine, la
maestressa della
reina e
dama
Ciancia Capana, che sentiro il
tradimento;
i quali traditori e lle dette donne la reina difendea
a suo podere, di non lasciarne fare giustizia.
Ma poi,
a dì
II d'
agosto vegnente
MCCCXLVI, il detto
conte
Novello fece morire il
conte di
Tralizzi, che ffu
di quelli
del
Bolardo francesco, e il
conte d'
Eboli
grande siniscalco, quelli si dicea giacea
colla reina; e
mandandoli in su
due
carri, e dalle genti furono lapidati,
e poi arsi. E poi,
a dì
VII d'
agosto per simile
modo fece giustiziare
mesere
Ramondo di Cattana e
notaio Nicola di
Mirazzano,
riserbandone altri
a giustiziare.
Per la
morte
del detto re Andreas si
scompigliò
tutto il regno di Puglia; chi tenea
colla reina, ch'avea
la signoria
del castello di Napoli e 'l
tesoro
del re Ruberto,
ciò era meser Luigi fratello
del
prenze di Taranto,
soldando gente d'arme per la reina, e per forza
volea
entrare in Napoli con
D; ma il fratello e 'l
duca di
Durazzo e gli altri baroni e il popolo di Napoli
il
contradiarono. E così chi tenea
colla reina e
con meser Luigi di Taranto, e chi col
prenze di Taranto,
e cchi col
duca di
Durazzo;
ciascuno soldò
gente d'arme assai
a cavallo per sua guardia, e per
paura
del re d'Ungheria fratello
del re Andreas, ch'era
venuto
a Giadra inn
Ischiavonia, come inanzi faremo
menzione, e
minacciava
colle sue forze di passare
nel Regno per essere re, e fare vendetta di quelli
reali e della reina, che ssi dicea ch'avieno fatto morire
il fratello. Per la qual cosa tutto il regno stava
isciolto e
scomunato e in tremore,
rubandosi i cammini
sanza niuno ordine di giustizia; e' detti reali
male inn accordo insieme, o da
dovero, o per disimulazione
insieme per coprire tra lloro il peccato. E
se il re d'Ungheria fosse passato, non avea ritegno, sì
era scommosso il paese; ma lla briga ch'avea co' Viniziani,
ch'erano
a oste
a Giadra, e 'l
caro della vittuaglia
al grande
esercito, ch'avea di sua gente, e ancora
non aparecchiato navile, gli sturbò la venuta allora;
e lla reina in questo stante avea fatto un fanciullo
maschio dì
XXVI di dicembre
MCCCXLVI, e puosegli
nome
a battesimo
Carlo Martello per l'avolo; ma
per li più si disse ch'era figliuolo d'Andreas, e di certi
segni il simigliava; e cchi dicea di no, per la
mala
fama della reina. Lasceremo alquanto di questa matera,
ch'
a tempo e lluogo vi ci
converrà tornare, e diremo
di nostri fatti di
Firenze e d'altre
novitadi.
L. 13, cap. 53 rubr.
Come in Firenze si fece nuova moneta d'argento.
L. 13, cap. 53Nel detto
anno
MCCCXLV, avendo in
Firenze grande
difetto, e nulla moneta d'argento, se non la moneta
da
quattro, che tutte le monete d'argento si
fondieno
e
portavansi oltremare; e valea la lega d'once
XI e mezzo di fine più di libre
XII a ffiorini la libra,
ond'era grande isconcio
a' lanaiuoli e
a più altri artefici,
temendo non
calasse troppo il fiorino
a moneta;
sì ssi
ordinò il divieto che niuno traesse della
città e
contado ariento sotto certa gran pena; e
ordinossi e
fecesi
nuova moneta d'argento di soldi
IIII di piccioli
l'uno, o
XII quattrini, di lega di buono argento d'once
XI e mezzo di fine per libra; e i soldi
XI e danari
X
de' detti grossi pesavano una libra, e soldi
XI danari
VIII ne
rendea la
zecca, e grossi
due rimanea per l'overaggio
al Comune. E trassesi di
zecca di prima
a dì
XII d'ottobre
del detto
anno, e fu molto
bella moneta
colla
'mpronta
del giglio e di santo Giovanni, e chiamavansi
i
nuovi guelfi; ed ebbe grande corso in
Firenze
e per tutta
Toscana, e per lo
caro dell'argento
tornò il fiorino
a
valuta di libre
III e soldi
II di piccioli,
e meno. Prima ci erano guelfi
XV e mezzo per
fiorino d'oro. Ma in quelli dì certi mali fattori cittadini,
alquanti di casa i Bardi, e
Rubecchio
del Piovano,
fatti venire da Siena certi maestri
falsari di monete,
e nell'alpe di
Castro avieno ordinato di falsare la
detta moneta
nuova e
quattrini. Furonne
presi
due e
arsi, e confessaron per loro che, detti tre de' Bardi la
facieno loro fare, citati e non compariti, furono condannati
al fuoco come
falsari. Lasceremo alquanto
de' fatti di
Firenze, ch'assai ne' detti tempi era in
tranquillo e buono stato e sanza
guerra, con tutto
fosse inn assai
bollore e tribulazioni per le compagnie
e
singulari persone cittadini
falliti, come inanzi
faremo menzione, e torneremo
a dire d'altre
novità
delli strani che furono in questi tempi.
L. 13, cap. 54 rubr.Come furono morti il conte d'Analdo e 'l marchese
di Giullieri da' Fresoni.
L. 13, cap. 54Nel detto
anno,
del mese di settembre all'uscita,
avendo il
conte d'Analdo fatto suo sforzo di gente
d'arme col marchese di
Giullieri, passato in Frigia di
là da
Olanda, onde il detto
conte d'Analdo era signore
per retaggio, per sottomettere
a sua signoria i
Fresoni, che no· llo ubidivano. Il quale della detta impresa
ebbe lieta
entrata, che quasi sanza contasto conquistato
gran parte
del paese, ma poi riuscì con
dolorosa fine. Parendo loro essere più al sicuri, i
Fresoni si ragunaro in boschi e in
maresi, e misero
aguato
a' detti signori e loro genti, non prendendosi
guardia, e in più parti i Fresoni ruppono i
dicchi, ciò
sono gli argini fatti e alzati per forza,
a modo
del
Po,
alla riva
del
mare per riparare il
fiotto. Onde
spandendosi
l'acqua, la maggiore parte delle genti de'
detti signori annegarono, e chi dell'acqua scampò furono
morti da' Fresoni ch'erano inn aguato, che non
ne campò uomo. E
morìvi il detto
conte d'Analdo e
'l marchese di
Giullieri, onde fu gran
dannaggio,
ch'erano signori di gran
potenza e
valore; e rimase la
contea d'Analdo sanza
reda maschio, e succedette la
detta
contea
a
Lodovico di Baviera detto Bavero, ed
Aduardo re d'Inghilterra, ch'avea
ciascuno di loro
per moglie una figliuola
del detto
conte d'Analdo,
a ccui succedea la
contea.
L. 13, cap. 55 rubr.Del fallimento della grande e possente compagnia
de' Bardi.
L. 13, cap. 55Nel detto
anno,
del mese di gennaio,
fallirono
quelli della compagnia de' Bardi, i quali erano stati i
maggiori mercatanti d'Italia. E lla cagione fu ch'ellino
avieno messo, come feciono i
Peruzzi, il loro e
l'altrui nel re
Aduardo d'Inghilterra e in quello di Cicilia;
che ssi trovarono i Bardi dal re d'Inghilterra
dovere avere, tra di
capitale e di riguardi e
doni
impromessi
per lui,
DCCCCm di fiorini d'oro, e per la sua
guerra col re di
Francia no· lli potea pagare; e da
quello di Cicilia da
Cm di fiorini d'oro. E'
Peruzzi da
quello d'Inghilterra da
DCm di fiorini d'oro e da quello
di Cicilia da
Cm fiorini d'oro, e debito da
CCCm di
fiorini d'oro; onde
convenne che
fallissono
a' cittadini
e forestieri,
a cui
dovieno dare più di
DLm di fiorini
d'oro, solo i Bardi. Onde molte altre compagnie minori,
e singulari, ch'avieno il loro ne' Bardi e
nne'
Peruzzi e negli altri
falliti, ne rimasono
diserti, e tali
per questa cagione ne
fallirono. Per lo quale
fallimento
di Bardi, e
Peruzzi,
Acciaiuoli,
Bonaccorsi, di
Cocchi, d'
Antellesi,
Corsini, que' da
Uzzano,
Perondoli,
e più altre piccole compagnie e
singulari artefici
che
falliro in questi tempi e prima, per gl'
incarichi
del Comune e per le disordinate prestanze fatte
a' signori,
onde adietro è fatta menzione, ma però non di
tutti, che troppo sono
a
contare, fu alla nostra
città
di
Firenze maggiore rovina e sconfitta, che nulla che
mai avesse il nostro Comune, se considerrai,
lettore,
il
dannaggio di tanta
perdita di
tesoro e pecunia perduta
per li nostri cittadini, e messa per avarizia ne'
signori. O maladetta e bramosa lupa, piena
del vizio
dell'avarizia regnante ne' nostri ciechi e matti cittadini
fiorentini, che per
cuvidigia di guadagnare da' signori
mettere il loro e
ll'altrui pecunia i· lloro
potenza
e signoria,
a perdere, e
disolare di
potenza la nostra
republica! che non rimase quasi sustanzia di pecunia
ne' nostri cittadini, se non inn alquanti artefici o prestatori,
i quali
colla loro usura
consumano e raunano
a lloro la sparta
povertà di nostri cittadini e
distrettuali.
Ma non sanza cagioni vengono
a' Comuni e
a'
cittadini gli
occulti giudici di Dio per
pulire i peccati
commessi, siccome Cristo di sua bocca
vangelizzando
disse: «In
peccata
vestra
moriemini etc
.». I Bardi
renderono per
patto i· lloro possessioni
a' loro
creditori
soldi
VIIII danari
III per libra, che non tornarono
a giusto mercato soldi
VI per libra. E'
Peruzzi
patteggiarono
a soldi
IIII per libra in posessioni, e
soldi
XVI per libra nelle
dette di sopradetti signori; e
se
riavessono quello
deono avere dal re d'Inghilterra
e da quello di Cicilia, o parte,
rimarrebbono signori
di gran
potenzia di ricchezza; e' miseri
creditori
diserti
e poveri, perché
fallì
credenze e lle malvagie
aguaglianze delli ordini e
riformagioni
del nostro
corrotto
reggimento
del Comune, che chi ha podere
più ha
a suo senno i dicreti
del Comune. E questo
basti, e forse ch'è troppo avere detto sopra questa
vergognosa matera; ma non si
dee tacere il vero per
chi ha
a ffare memoria delle cose notabili ch'
ocorrono,
per dare
asempro
a quelli che sono
a venire di
migliore guardia. Con tutto noi ci
scusiamo, che in
parte per lo detto caso tocchi
a nnoi autore, onde ci
grava e pesa; ma tutto aviene per la
fallabile fortuna
delle cose temporali di questo misero
mondo.
L. 13, cap. 56 rubr.
Ancora di novità state in questi tempi in Firenze.
L. 13, cap. 56Nel detto anno, all'entrante di gennaio, di mezzodì
uno lupo grande e salvatico entrò per la porta a
San Giorgio, e scese giù, e corse, essendo isgridato,
quasi gran parte d'Oltrarno; ma poi fu preso e morto
alla porta a Verzaia. E in que' dì cadde uno scudo
di gesso dipinto col giglio, ch'era commesso sopra la
porta dove abita il podestà, onde molti aguriosi per
li detti segni temettono di future novità alla nostra
città. E in que' dì arse una casa di messer Simone
giudice da Poggibonizzi nel popolo di San Brocolo.
E nel detto anno passato III volte vi s'accese il fuoco,
non trovandovi cagione chi 'l v'avesse acceso o messo;
e molti amirandosi di ciò, dissono fu opera d'alcuno
maligno spirito.
L. 13, cap. 57 rubr.Come il re di Francia diede rapresaglia sopra i Fiorentini
per tutto il suo reame a petizione del duca d'Atene.
L. 13, cap. 57
Del mese di febraio
del detto
anno
Filippo di
Valos
re di
Francia,
a petizione
del
duca d'Atene, gli
diè
rapresaglia sopra i Fiorentini inn avere e in persona
in tutto il suo reame se infino al calen di maggio
prossimo non avessono contento il detto
duca
d'Atene di ciò che domandava di
menda
a' Fiorentini,
ch'era infinita quantità. Poi
del mese di luglio la
confermò, e diede balìa al
duca d'Atene ch'elli li potesse
prendere e incarcerare e tormentare
a sua volontà,
non togliendo loro la vita o
membro, siccome
traditori
del loro signore il
duca d'Atene. Questo fu
iscortese
titolo dato per lo re per la
rapresaglia contra
il Comune e cittadini di
Firenze, sanza volere
udire o accettare le
ragioni
del Comune di
Firenze,
o lle fini e
quitanze fatte per lo detto
duca al Comune,
essendo di là al continovo il sindaco e ambasciadore
del Comune con pieno mandato e
ragioni
del
nostro Comune, richeggendo ragione al re e suo
consiglio
e di
commetterla in giudice non sospetto,
a ccui
al re piacesse fuori
del reame; non ebbe luogo né
intesa ragione per lo re, o suo
consiglio, ch'avesse il
Comune di
Firenze, onde
convenne che tutti i Fiorentini,
che non fossono suoi istanti borgesi, da calen
di maggio inanzi si partissono di tutto il reame, o
stessono
nascosi in franchigie o in chiese co· lloro
grande sconcio, interessi e
dannaggio e
pericolo, onde
il detto re fu molto biasimato da ogni savio e buono
uomo di suo reame e di fuori ch'amassono giustizia
e ragione, la quale elli fuggiva, come era usato di
fare elli e meser
Carlo di
Valos suo padre; onde al
tutto perdé l'amore e lla fede di tutti i cittadini di
Firenze,
così di Guelfi come di Ghibellini, ch'amavano
suo onore e stato e della casa di
Francia. Ma per gli
altri suoi più
innormi peccati in
spergiuri
a santa
Chiesa e dislealtadi per lui fatti Iddio ne mostrò e fece
tosto vendetta, e ggià cominciata, e come tosto
apresso leggendo si potrà trovare.
L. 13, cap. 58 rubr.D'una grande disensione che ffu in Firenze dal Comune
allo inquisitore de' paterini.
L. 13, cap. 58Nel detto
anno e
del mese di marzo, essendo inquisitore
in
Firenze dell'
aretica pravità uno frate Piero
dall'Aquila de' frati minori, uomo superbo e pecunioso,
essendo fatto per guadagneria proccuratore
ed
esecutore di meser Piero
cardinale di Spagna
per
XIIm fiorini d'oro che
dovea avere dalla compagnia
delli
Acciaiuoli
fallita, ed essendo per rettori
del
nostro Comune messo in tenuta e posessione di certi
beni della detta compagnia, e alcuno sofficiente
mallevadore
di loro preso per
sodisfazione, fece pigliare
a
tre
messi
del Comune cittadini e più famiglia
del
podestà messer
Salvestro
Baroncelli compagno della
detta compagnia delli
Acciaiuoli, uscendo
del palagio
de' priori, e co· lloro licenza acompagnato d'alquanti
loro famigliari; onde si levò il romore in sulla
piazza, e per gli altri famigliari di priori e per quelli
del capitano
del popolo, che v'abitava di costa, fu riscosso
il detto meser
Salvestro; e presi i detti
messi e
famigliari della podestà e
a' messi per
comandamento
de' priori, e per l'
ardire e prosunzione di fare contro
la loro
signorevile franchigia e licenzia, di fatto
feciono tagliare loro le
mani, e
confinare fuori di
Firenze
e
contado per
X anni. Alla podestà e sua famiglia
scusandosi per ignoranza, e vegnendo alla mercé
de' priori,
profferendo ogni amenda al loro piacere,
dopo molti
prieghi furono liberati i suoi famigliari.
Per le detta
novità lo 'nquisitore isdegnato, e ancora
più per paura, se n'andò
a Siena, e scomunicò i priori
e il capitano, e lasciò interdetta la terra, se infra
sei
dì no· lli fosse renduto preso, meser
Salvestro
Baroncelli,
alla quale scomunica e interdetto s'apellò al papa,
e
a
corte sì mandaro grande ambasceria. I nomi
de' detti ambasciadori sono questi: messer Francesco
Brunelleschi, messere Antonio delli
Adimari,
messere
Bonaccorso de'
Frescobaldi
cherico, messer
Ugo della Stufa giudice, e
Lippo Spini, e ser Baldo
Fracassini con
sindacato per lo Comune con pieno
mandato, e portarvi le
ragioni
del Comune, e fiorini
Vm d'oro
contanti per dare di quelli delli
Acciaiuoli al
cardinale, e di
VIIm fiorini d'oro obrigare il sindaco
del Comune per li detti
Acciaiuoli in pagare in certe
paghe annualmente. Ancora portarono per carte tutte
quelle baratterie e
rivenderie fatte per lo detto inquisitore,
che più di
VIImD fiorini d'oro in
due
anni si disse si
trovò fatto ricomperare più di nostri cittadini,
gli più ingiustamente, sotto
titolo di peccato di
resia. E non sia intenzione di chi questo processo
leggerà per lo tempo
a venire, che
a' nostri tempi
avesse tanti
eretici in
Firenze per le tante
condannagioni
pecuniali ch'avea fatte lo 'nquisitore, che mai
non ce n'ebbe meno, ma quasi niuno. Ma per atignere
danari, d'ogni piccola parola oziosa ch'alcuno dicesse
per niquità contro
a dDio, o dicesse ch'usura
non fosse peccato mortale, o simili, condannava in
grossa somma di danari, secondo ch'era ricco. Questo
s'oppose per lo Comune, onde
a
corte dinanzi al
papa e cardinali in piuvico
concestoro il detto inquisitore
fu riprovato per li ambasciadori per disleale e
barattiere, e sospese alquanto tempo le sue
scomuniche
e processi d'interdetto. E dal papa e cardinali i
detti ambasciadori furono bene ricevuti e onorati alla
loro venuta dal papa, con tutto che tra lloro male
fossono d'accordo, e i più di loro intesono
a lloro
singularità, che
a bene di Comune, onde ne tornarono
con poco onore e benificio fatto per lo Comune;
e costarono più di
IImCC fiorini d'oro.
E ancora per la detta cagione il Comune e popolo
di
Firenze, per levare le baratterie alli inquisitori, feciono
dicreto e legge al modo de' Perugini e
del re di
Spagna e di più altri signori e Comuni, che niuno inquisitore
si potesse intramettere in altro che nel suo
uficio, e nullo cittadino o
distrettuale condannare in
pecunia, chi ssi trovasse
eretico
mandarlo al fuoco. E
fulli tolta e
disfatta la carcere
datali per lo Comune,
ove tenea i suoi presi, e cui per lo 'nanzi facesse
prendere, gli mettesse nelle carcere
del Comune cogli
altri. E fu fatto ordine, che podestà né capitano
né
secutore né altra signoria non
dovesse dar loro famiglia,
licenza o messo per fare pigliare nullo cittadino
a petizione dello 'nquisitore o
del vescovo di
Firenze
o di
Fiesole, sanza licenza de' signori priori,
per cessare cagioni di
scandali e di
riotta, e per cessare
le baratterie e
rivenderie di dare la licenza di
portare l'arme da offendere
a più cittadini per lo inquisitore
e per li Vescovi, onde la
città parea
iscomunata,
tanti erano quelli che lla portavano. E ordinaro
che llo 'nquisitore non potesse tenere più di
VI famigliari
con arme da offendere, né dare
a più licenza di
portarla; e al vescovo di
Firenze
a
XII famigliari; e
a
quello di
Fiesole
VI; che ssi trovò, secondo si disse,
che 'l detto frate Piero inquisitore avea data la licenza
di portalla
a più di
CCL cittadini, onde guadagnava
l'
anno presso, o forse più, di mille fiorini d'oro; e
me' i vescovi non ne perdieno, e aquistavano amici al
loro
vantaggio e sconcio della republica. Partiti i detti
ambasciadori da
corte, il cardinale di Spagna sopradetto,
come fellone, non istando contento all'accordo
fatto con
infestamento
del sopradetto inquisitore,
ch'era fuggito in
corte,
coll'aiuto d'alcun altro
cardinale, da capo feciono
citare al papa, che venissono
in
corte il vescovo di
Firenze e tutti i prelati
che non aveano oservato lo 'nterdetto, e' priori e signorie
e
collegi ch'erano allora; onde in
Firenze
n'ebbe grande turbazione contra la Chiesa, e da capo
rifeciono
sindacato, e mandarono in
corte
a riparare.
Ma lla maggiore cagione fu perché il papa volea che
per lo nostro Comune si levassono certi
inniqui
capitoli
fatti per lo Comune contra i
cherici, i quali pur
erano sconci e contra ragione, come dicemmo adietro.
E volea il papa trattare co' nostri ambasciadori
concordia
coll'eletto suo imperadore, la qual cosa
non piacque al nostro Comune.
L. 13, cap. 59 rubr.Come il re d'Ungheria seppe la morte del re Andreas,
e venne in Ischiavonia con grande esercito per
soccorrere Giadra e passare in Puglia.
L. 13, cap. 59Come il re d'Ungheria e quello di Pollana seppono
la vergognosa
morte
del re Andreas loro fratello,
come adietro facemmo menzione, furono molto tristi
e adontati contro la reina sua moglie e contro
a' reali
di Puglia loro
consorti, parendo loro che fosse stata
loro opera e tradigione, e vestirsi tutti
a nero con
molti di loro baroni, e giurato di fare vendetta. E per
più
innanimare li
Ungari
a cciò fare, feciono fare una
bandiera, la qual sempre si mandavano inanzi: il
campo nero, e llo re Andreas impiccato, ch'era una
orribile cosa
a vedere.
Per fare la detta vendetta si proferse
a lloro il Bavero
re d'Alamagna, e il figliuolo marchese di Brandiborgo,
e 'l
dogio d'
Osteric, e più altri signori della
Magna con tutto loro podere per lo
innormo
oltraggio
a lloro fatto, i quali per loro s'accettarono, e giurarono
a cciò fare lega e compagnia. E llo re d'Ungheria
mandò
a
corte al papa grande ambasciaria
del
mese di marzo richeggendo di volere esere
coronato
del reame di Cicilia e di Puglia, ch'
a llui succedea; e
che vendetta fosse della
morte
del re Andreas così in
cherici come in laici,
dandone colpa al cardinale di
Peragorga cognato
del
duca di
Durazzo, che ll'avea
sentito e ordinato.
A' quali ambasciadori non fu dato
concestoro piuvico per la detta cagione, e
aponendosi
per lo papa che 'l re d'Ungheria avea fatta lega e
compagnia col
dannato Bavero. Onde il re d'Ungheria
e tutti gli Alamanni si tennono mal
contenti
del
papa e della Chiesa; ma però non lasciarono di fare
sua impresa per passare in Puglia e per soccorrere la
sua
città di Giadra, come diremo apresso.
Essendo la
città di Giadra inn
Ischiavonia ribellata
a' Viniziani, come adietro facemmo menzione, e
partito di Schiavonia il re d'Ungheria con suo
esercito
l'
anno passato
MCCCXLV, i Viniziani v'andarono
incontanente
a oste con gran
potenza, e asediarla per
terra e per
mare,
menandovi soldati
a cavallo e
a piede
di Lombardia e di
Romagna e di
Toscana con
gran soldo; onde di
Firenze v'andarono per
ingordigia
del detto soldo tre di casa i
Bondelmonti con
CCC
masnadieri, i quali Fiorentini al continovo dalle
mura
erano
rimprocciati da'
Giaratini, che ssi partissono
dal loro asedio, ch'erano amici, e andassono
a farsi
sconfiggere
a Lucca, e servissono i Viniziani che
gli avieno traditi alla
guerra di meser Mastino. E così
vi
continovò l'oste dall'
agosto
MCCCXLV al maggio
MCCCXLVI,
dando alla terra
continue battaglie e asalti,
e que' d'
entro al continuo uscendo fuori
a badalucchi
e
scaramucci, e francamente asalendo il campo.
Ma que' di Giadra
dubitando che per lungo assedio
non mancasse loro la vettuaglia, rimandaro per
lo re d'Ungheria; il quale sentendo ciò per messaggi
di quelli di Giadra, e per seguire la sua impresa di
venire in Puglia, ritornò inn
Ischiavonia con più di
XXXm tra
Ungheri e Tedeschi,
a cavallo la maggiore
parte, che bene i
XXm erano arcieri, e gli altri buoni
cavalieri. Sentendo i Viniziani la sua venuta ringrossaro
il loro oste di gente e di navile, e per non aspettare
in campo la sua venuta, vollono provare inanzi
d'avere la
città per forza.
A dì
XVI di maggio
MCCCXLVI ordinaro di dare alla terra una grande battaglia
per
mare con
IIII navi grosse incastellate, e con
ponti da gittare in sulle
mura, e con
XX piatte
imborbottate,
e con
difici, e
XL ghianzeruole e
XXXII galee
armate con molti
balestrieri; e per terra con tutto l'
esercito
dell'oste, i quali furono tra per
mare e per
terra più di
XVIIm d'uomini in arme, tra' quali avea
più di
IIIIm balestrieri. La battaglia fu aspra e
dura, e
continovò dalla mattina alla sera, sanza potere aquistare
niente; però che lla
città era forte di torri e di
mura e fossi, dall'altra parte il porto forte e lla marina;
e perché quelli di Giadra erano buona gente
d'arme si difesono valentemente, e verso la sera,
quando i Viniziani si ricoglieno, apersono una porta
della terra seguendogli vigorosamente combattendo,
e
morivvi della gente di Viniziani più di
D, e fediti
gran quantità. Veggendo i Viniziani che non poteano
avere la
città per battaglia, e sentendo che 'l re d'Ungheria
con suo
esercito era presso
a Giadra
a
XXX
miglia, e ogni dì s'apressava, i Viniziani si levarono
del campo dov'erano di costa, e quasi intorno intorno
alla
città, e
ritrassonsi in su un forte
colletto di
lunge da Giadra da uno mezzo miglio sopra la marina,
e quello come bastita aforzaro con fossi e steccati
e torri di legname. Come il re d'Ungheria s'apressò
alla terra con suo oste, mandò parte di sua gente
d'arme
a richiedere i Viniziani di battaglia; non ebbe
luogo che la volessono, ma si stavano
rinchiusi nella
loro bastita con grande paura e
sofratta di vittuaglia
più dì. Il re d'Ungheria fece fornire Giadra di vettuaglia
e di ciò ch'avea mestiero, e alcuno disse v'
entrò
in persona
isconosciuto, per dare
a'
Giaratini vigore.
I Viniziani co· lloro ambasciadori stavano in
continui trattati col detto re,
promettendogli di dare
loro navile e aiuto
a passare in Puglia, ma voleano
Giadra
a lloro signoria con uno piccolo censo di dare
a llui di
risorto; il quale trattato non piacendo al
re, non ebbe luogo. E però che' Viniziani co· lloro
danari corruppono certi di suoi baroni
ungari, e consigliaro
dislealmente il loro signore che ssi tornasse
in Ungheria, perch'era
caro il paese d'Italia quell'
anno
di vittuaglia
a tanto
esercito; e in parte era il vero,
e non avea ordinato il navilio da potere passare in
Puglia, e però si tornò in Ungheria, lasciando fornita
Giadra. La bastita di Viniziani si rimase la detta state
con grande spendio di Viniziani,
rinovandovi spesso
gente; e bisognava bene, però ch'erano assaliti sovente
da quelli della terra. E per
disagi vi si cominciò
grande infermeria e mortalità, e
morìvi molta gente,
intra gli altri i sopradetti nostri tre cittadini de'
Bondelmonti
con i più di loro masnade, che non ne tornaro
il quarto. Lasceremo di questa matera, e torneremo
a dire della lezione
del
nuovo imperio
Carlo figliuolo
del re Giovanni di Buem.
L. 13, cap. 60 rubr.Come Carlo figliuolo del re di Buem fu eletto re de'
Romani.
L. 13, cap. 60L'
anno
MCCCXLVI,
del mese d'
aprile, venuto in
corte di papa
Carlo figliuolo
del re di Buem,
a sommossa
del papa e per
suducimento
del re di
Francia,
per procacciare d'essere eletto imperadore per contastare
al Bavero, e per avere di lui il re di
Francia
più stato e favore, però ch'era suo
parente, e
venneli
al re di
Francia bene
a bisogno, come si troverrà; e
avrebbono bene
proccurata la detta lezione per lo re
Giovanni di Buem suo padre, se non che per sua malattia
era quasi perduto della vista degli occhi. Ma il
detto
Carlo era
pro e savio signore, e d'età di
anni.
Per cagione della detta lezione grande
disensione
n'ebbe tra 'l
collegio de' cardinali tra e per la
morte
del re Andreas e perché gli ambasciadori
del re
d'Ungheria non erano
esauditi dal papa. Ed erano in
due
sette partiti i cardinali, che dell'una era capo il
cardinale fratello
del
conte di
Peragorgo, e questi volea
la lezione
del detto messer
Carlo, e
contradiavano
il re d'Ungheria, e tenea co' cardinali franceschi,
ed erane capo il favore
del re di
Francia; dell'altra
setta era capo il cardinale fratello
del
conte di
Cominge
co' cardinali guasconi e loro seguaci, che volieno
il contrario; e
ciascuna era di gran
potenza e
séguito; e furono
a tanto, che in piuvico consistoro
dinanzi al papa si dissono onta e villania insieme,
rimprocciando quello di
Cominge
a quello di
Peragorga
ch'egli era stato quelli ch'avea ordinato e fatto
morire il re Andreas chiamando l'uno l'altro traditore
di santa Chiesa, levandosi
ciascuno da sedere per
offendersi insieme; e fatto l'avrebbono, che
ciascuno
era guernito d'arme da offendere
privatamente, se
non fossono quelli ch'
entrarono in mezzo, onde tutta
la
corte ne fu
scompigliata e in arme, e
cortigiani e lle
famiglie de' cardinali. E
ciascuno di detti
due cardinali
abarraro le loro case e
livree, e stettono armati
e in guardia buona pezza, se non che 'l papa e gli altri
cardinali gli
riconciliarono insieme, rimanendo
ciascuno con
mala voglia.
A tale stato venne il
collegio
dell'apostolica nostra santa
Eclesia per le
disensioni
di suoi cardinali. Di ciò è gran cagione e colpa
di
papi ch'hanno eletti
a cardinali i detti
due grandi
e possenti
Galli e simiglianti, e questo è l'esempro ci
danno
a nnoi laici, e seguono bene
a contrario l'umiltà
di santi apostoli di Cristo, il cui ordine rapresentano.
Iddio gli
adirizzi nella sua santa via d'umilità,
a
riposo e stato di santa Chiesa. Per le dette
disensioni
non lasciò il papa di procedere in prima di fare
nuovi
processi contro al Bavero e il figliuolo, e chi loro
desse aiuto o favore, e
privandoli d'ogni
titolo d'imperio,
con molti altri articoli; e lla detta sentenzia fece
piuvicare in
corte, e poi mandare per tutto il
Cristianesimo,
per potere meglio fornire la sua intenzione.
E questo fu ben fatto, ché 'l Bavero era
persegutore
di santa Chiesa, come adietro ne' suoi processi
facemmo menzione: e poi di far fare col suo favore la
lezione dello 'mperio nella persona
del detto meser
Carlo. E perché l'arcivescovo di
Maganza, ch'era l'uno
de'
lettori,
nogli volea dare la sua
boce, sì 'l
dispuose
il papa, ed
elessene un altro
a sua petizione, e
questo fu della
rinforzata. E partito il detto meser
Carlo di
corte
colla benedizione
del papa e con sua
dispensagione, che nonistante che lla lezione si
dovesse
per consueto fare
a
Midelborgo in Alamagna,
e lla prima corona prendere
ad Asia la Cappella
colle
solennità usate, ch'elli le potesse fare ove
a llui piacesse,
perché il Bavero né 'l suo figliuolo
colla
potenza
delli Alamani, che i più o quasi tutti tenieno co· lloro,
nol potesse contastare. E giunto lui in suo paese,
a dì
XI di luglio
MCCCXLVI apo
fu eletto il detto
Carlo
a re de' Romani per l'arcivescovo di
Cologna
e per quello di Trievi suoi congiunti per parentado, e
per lo
nuovo eletto per lo papa arcivescovo di
Maganza,
e per lo
duca di Sansogna, e
confermato per
lo re di Buem suo padre, e figliuolo che ffu dello
'mperadore
Arrigo di
Luzimborgo:
falligli la
boce
del
duca di Baviera e quella
del figliuolo marchese di
Brandiborgo; ma per
dispetto della detta elezione,
per li più si chiamava lo 'mperadore de' preti. Lasceremo
di questa lezione e di quello ne
seguì, e torneremo
a dire della
guerra di
Guascogna e della venuta
del re d'Inghilterra in
Normandia, ch'assai ne cresce
grande e maravigliosa matera.
L. 13, cap. 61 rubr.Di certa rotta che lla gente del re di Francia ricevettono
dalla gente del re d'Inghilterra in Guascogna.
L. 13, cap. 61Tornando
a raccontare della
guerra di
Guascogna,
essendo messere
Gianni figliuolo
del re di
Francia
intorno al castello d'
Aguglione, e per lo paese, per
contastare il
conte d'
Ervi e' suoi Inghilesi, che non
scendessono verso Tolosa (il detto meser
Gianni era
in
Guascogna con
VIm cavalieri e bene
Lm pedoni tra'
Franceschi e di Linguadoco, Genovesi e Lombardi),
del detto campo si partì il siniscalco di
Giene con
DCCC cavalieri e
IIIIm pedoni, per prendere uno castello
del nipote
del cardinale della Motta presso
ad
Aguglione
a
XII leghe. Sentendo ciò l'arcidiacono
d'
Unforte, cui era il detto castello, andò alla
Roela,
dov'era il
conte d'
Ervi
colla sua oste per gente, per
soccorrere il detto castello; onde il
conte li
diè gente
assai
a cavallo e arcieri inghilesi
a piè, e cavalcaro
tutta la notte, e giunsono al detto castello la mattina
per tempo, dì
XXXI di luglio
MCCCXLVI; e trovarono
che lla gente
del re di
Francia v'era giunta il dì dinanzi,
e forte combatteano il castello, la gente
del re
d'Inghilterra sanza più attendere, subitamente asalirono
i Franceschi, dov'ebbe aspra e
dura battaglia.
Alla fine furono sconfitti i Franceschi, e rimasevi
preso il detto siniscalco di
Gienne con molti altri
gentili uomini; e molti v'ebbe di morti e presi di cavalieri
da
CCCC, e pedoni
IIm tra morti e presi. Tornati
al campo quelli di meser
Gianni, quelli che scamparo
della detta battaglia, messer
Gianni ebbe suo
consiglio, e diliberaro di combattere il castello d'
Aguglione,
tra per queste
novelle della detta sconfitta
e perch'avea
novelle che 'l re d'Inghilterra era arrivato
in
Normandia con gran navilio e
esercito di gente
d'arme
a cavallo e
a piè. E il primo dì d'
agosto con
tutta sua gente fece dare battaglia intorno intorno al
castello d'
Aguglione dalla mattina alla sera; quelli
del castello, che v'avea dentro assai buon gente d'arme
gentili uomini da
CCCC, e sergenti
guasconi e inghilesi
da
VIIIc, si difesono francamente. E alla ritratta
la sera di Franceschi, quelli
del castello uscirono
fuori vigorosamente faccendo
danno assai
a' loro nimici,
e uccisonne da
DCC, ma più ne fedirono della
gente di meser
Gianni ch'erano al di fuori, e rimase
la terra fornita per
VI mesi. Sentendo ciò meser
Gianni, e veggendo che per battaglia
nol potea prendere,
fece ritrarre sua oste adietro; e mandò al papa
pregandolo l'
asolvesse
del saramento ch'avea fatto
del non partirsi se non avesse il castello, ed ebbe l'asoluzione
dal papa. E diliberò d'andare
colla maggiore
parte di sua gente in
Francia
a soccorrere il re
suo padre, che nn'avea grande bisogno, come diremo
apresso nel seguente
a questo altro
capitolo, e fece
mettere fuoco nel suo campo, con gran
danno di sua
gente inferma e di loro arnesi; e lasciate fornite le
frontiere, con sua gente ne venne verso Parigi. Partito
meser
Gianni di
Guascogna, il
conte d'
Ervi prese
molte ville e castella. Lasceremo alquanto de' suoi
andamenti, e diremo d'una battaglia che ffu in que'
dì dal vescovo di Legge
a' suoi cittadini, ritornando
poi
a racontare la
guerra e battaglie dal re di
Francia
a quello d'Inghilterra e di loro gente, che furono
grandi cose e maravigliose, onde assai ne cresce
matera.
L. 13, cap. 62 rubr.Come il vescovo di Legge con sua gente furono sconfitti da
quelli della città di Legge.
L. 13, cap. 62Nel detto
anno
MCCCXLVI,
a dì
XXV di luglio, il
giorno di santo Iacopo, avendo grande
discordia dal
vescovo di Legge ch'era
al suo
capitolo di
calonaci
e borgesi di Legge,
ciascuna parte fece sua ragunata
di gente d'arme. E col vescovo fu della gente di
meser
Carlo eletto re de' Romani, e chi disse vi fu in
persona, ch'andava con sua gente
a Parigi in
servigio
del re di
Francia, che n'avea gran bisogno; e fuvi il
sire di
Falcamonte e più altri baroni di
Valdireno. E
con quelli di Legge simigliantemente avea di baroni
del paese, e fuvi inn arme co· lloro la moglie
del Bavero
e il figliuolo ch'andavano inn Analdo, che lle
succedea per la
morte
del
conte suo padre. E fuori
della
città di Legge fu tra lloro gran battaglia, tutta
non fosse campale né ordinata; e ffu in quella sconfitto
il vescovo e sua gente, e
morìvi il sire di
Falcamonte,
e più altri gentili uomini e de'
calonaci, e dell'
una parte e dell'altra. Il Vescovo si fuggì con sua
gente
a
Dinante. Lasceremo
a dire più di questa
guerra, e torneremo
a dire come il re d'Inghilterra
passò in
Normandia sopra il re di
Francia, ch'assai
ne cresce matera di scrivere.
L. 13, cap. 63 rubr.Come il re d'Inghilterra passò con sua oste in Normandia,
e quello vi fece.
L. 13, cap. 63Nel detto
anno
MCCCXLVI, avendo il re
Aduardo
ragunato suo navilio di
DC navi
a l'isoletta d'
Uiche
inn Inghilterra,
colla sua gente in quantità di
IImD cavalieri
e da
XXXm sergenti e arcieri
a piè per passare
nel reame di
Francia, udita la
messa solennemente, e
comunicatosi co' suoi baroni, e
a lloro fatta una
bella
diceria, com'elli con giusta causa andava sopra il re
di
Francia che lli ocupava la
Guascogna
a torto, e lla
contea di Ponti per la
dote della madre, e per frode
gli tenea
Normandia, come lungamente adietro facemmo
menzione al tempo
del bisavolo
del padre re
Ricciardo d'Inghilterra, e
del re
Filippo il Bornio re
di
Francia, quando tornaro d'oltremare gli
anni
Domini
intorno
MCC; e ancora proponendo
a sua gente
com'avea nel reame di
Francia più ragione per la
successione della reina Isabella sua madre figliuola
del re
Filippo il Bello, che non avea il re
Filippo di
Valos figliuolo di meser
Carlo fratello secondo che ffu
del re
Filippo il Bello che lla possedea, che non
era della diritta linea, ma per
collaterale; pregando
sua gente che fossono franchi uomini, però ch'elli
avea intenzione di rimandare adietro il navile, come
fosse arrivato nel reame di
Francia, sicch'
a lloro bisognava
d'esere valorosi e d'aquistare terra
colla spada
in mano o d'essere tutti morti, che 'l fuggire non
avrebbe luogo; pregando chi
dubitasse o temesse di
passare rimanesse inn Inghilterra
colla sua buona
grazia; tutti rispuosono
a grido
a una
boce che 'l seguirebbono
come loro caro signore di buona voglia
fino alla
morte. E llo re veggendo sua gente ben
disposti
alla
guerra,
dando sue
lettere chiuse alli amiragli
delle
navi, se caso avenisse che per forza di vento
si partissono
dallo stuolo, per le qua'
lettere
contava
dove volea arrivare, e comandò non l'aprissono, se
non quando s'
apressassono
a terra. E così si partì
a
dì
X di luglio; e navicando più giorni, quando adietro
e quando inanzi, come gli portava la
marea
del
fiotto, arrivò sano e salvo con tutto suo navile e genti
a
Biafiore in
Normandia
a dì
XX di luglio. E come la
sua gente fu smontata co· lloro armi e
cavalli e arnesi
e vettuaglia recata co· lloro, rimandò la maggiore parte
del navile adietro inn Inghilterra; ed elli con sua
oste cominciò
a correre la
Normandia,
rubando e ardendo
e
dibruciando chi
nol volea ubidire e
darli
mercato di vittuaglia; e in pochi dì gli s'
arendéo la
città di Sallu e
Gostanza e
Gostantino e
Balliuolo
terre di
Normandia, e ricomperarsi da llui, perché
no· lli guastasse. La terra di
Camo gli fece
risistenza
per lo castello che v'era forte
del re di
Francia, ed
eravi venuto il
conte di
Du, cioè il conestabole di
Francia, con gran gente d'arme
a cavallo e
a piè; la
quale terra di
Camo combatté più dì; alla fine per
forza combattendo, sconfisse il detto conistabile e
sua gente alquanto fuori della terra. Avuta la vittoria
del detto conestabile e di sua gente, incontanente ebbe
e prese la terra di
Camo, che non era guari forte
salvo il castello. E prese alla battaglia il detto conestabole,
e
ll'arcivescovo di
Tervana, e 'l camarlingo
di
Mollu, e più altri cavalieri e baroni in quantità di
LXXXVI, e
morìvi assai gente in quantità di
Vm; e rubata
la terra, che bene
XLm panni ebbe tra di
Camo e
dell'altre ville dette, e' fece mettere fuoco in
Camo,
perch'avea fatta
risistenza, e
arsene assai; e' prigioni
ne mandò presi inn Inghilterra
colla preda presa. E
così cominciò la fortuna
del franco
Aduardo d'Inghilterra,
e
adirizzò sua oste verso Rueme,
crescendoli
ogni dì gente d'Inghilterra, che tutto dì vi passavano
di volontà per guadagnare, e
seguendolo molti
Normandi, gentili uomini e altri, che non amavano la
signoria di
Francia, sicché si trovò con
IIIIm cavalieri
buona gente, e più di
Lm sergenti
a piè co'
Normandi,
che i
XXXm erano arcieri inghilesi.
L. 13, cap. 64 rubr.
Come 'l re d'Inghilterra si partì di Normandia e
venne presso di Parigi ardendo, e guastando il paese.
L. 13, cap. 64Sentendo il re di
Francia come il re d'Inghilterra
era arrivato in
Normandia, e prese le sopradette terre
e 'l suo conestabole e di sua gente, incontanente si
partì di Parigi con quanta gente potéo raunare
a ccavallo
e
a piè, per andare
a soccorrere
Ruem in
Normandia
che non si rubellasse, sentendo che certi di
baroni
del paese ribelli
del re di
Francia ne tenieno
trattato col re d'Inghilterra e con quelli della
città di
Ruem; e posesi
a campo il re di
Francia al ponte
ad
Arce sopra il fiume della Senna, e quello fece tagliare,
e tutti gli altri ponti ch'erano sopra Senna, acciò
che 'l re d'Inghilterra e sua gente non potesse di qua
passare; e fornì
Ruem di sua gente
a ccavallo e
a piede;
e lasciò, quando si partì di Parigi, al suo proposto
di Parigi che facesse disfare le case ch'erano di
fuori e dentro di costa le
mura di Parigi, per afforzare
la
città. Per la qual cosa i cittadini di cui erano le
case cominciarono
a llevare romore, onde la terra fu
tutta scompigliata e sotto l'arme, e in
pericolo di rubellarsi
al re, se non fosse che in quelli giorni giunsono
in Parigi il re Giovanni di Buem e
Carlo suo figliuolo
eletto re de' Romani con
D cavalieri rimasi loro
della
rotta
del vescovo di Legge, come dicemmo
adietro. Costoro
rifrancarono Parigi, e feciono
aquetare
il romore, e rimanere la detta disfazione delle
case per contentare i borgesi di Parigi.
Lo re d'Inghilterra ch'era acampato con sua oste
di là da
Ruem tre leghe; e llà venuti
due cardinali legati
del papa, messer
Anibaldo da
Ceccano e messer
Piero di
Chiermonte, i quali cardinali mandava il papa
per fare accordo tra llui e· rre di
Francia, volendo
che ssi rimettesse nel papa ogni quistione; il re
Aduardo d'Inghilterra non fidandosi
del papa, no· lli
volle udire dell'accordo, e per più
riprese si ruppe
da' trattati de' detti legati, perch'
a llui parea che 'l
papa
favoreggiasse troppo la parte
del re di
Francia;
anzi furono d'alquante loro cose rubati dall'Inghilesi;
ma il re
Aduardo gli fece
ristituire, e donò loro
del
suo assai per amenda, e così si tornaro verso Parigi.
Lo re
Aduardo perduta la speranza d'avere la
città di
Ruem, ond'era in alcuno trattato, però che v'era
giunto al soccorso il re di
Francia con grande oste di
cavalieri e popolo, si misse
a venire verso Parigi di là
dal fiume di Senna, ardendo e guastando il paese
con molte prede e prigioni, però che 'l paese era
molto
popolato e ricco. E lla
vilia di nostra Donna
d'
agosto s'
acampò
a
Pusci e San
Germano dell'Aia,
e lla sua gente scorse fino presso
a Parigi
a
due leghe,
e arsono la villa di
Sancro e quella di
Luvieri, e
più altre ville grandi e piccole, prima rubate, e poi
arse, ch'era il più bello paese e il più caro
del
mondo
del tanto, stato più di
cinque centinaia d'
anni in
riposo
e tranquillo sanza
guerra, onde fu gran
dannaggio.
O maladetta
guerra, quanti
malifici fai
a
disertamento
de' reami e de' popoli, per punizione de' peccati
delle genti! Lo re di
Francia sentendo come lo re
d'Inghilterra con sua oste era venuto verso Parigi, si
partì dal ponte
ad
Arce, e
vennene costeggiando la
riviera di Senna, in mezzo dall'una oste all'altra verso
Parigi; e giunto
a Parigi, mandò
a meser
Carlo
Grimaldi
e
Antone
Doria di
Genova, amiragli delle sue
XXXIII galee, ch'erano
a
Rifrore in
Normandia, che
disarmassono, e con tutte le
ciurme con
balestrieri
venissono
a Parigi, e così feciono; e llo re di
Francia
s'
acampò fuori di Parigi mezza lega
a San
Germano
di Prati, e llà fece sua mostra, e trovossi con
VIIIm
buoni cavalieri e più di
LXm di sergenti
a piè, che più
di
VIm v'avea di Genovesi
a balestra, tra delle
galee e
venuti da
Genova per terra al soldo
del re; intra 'l
quale
esercito avea, sanza il re di
Francia,
V re di corona;
ciò era il re di Navarra suo
cugino, il re di
Maiolica, e il re di Buem, e 'l suo figliuolo eletto re
de' Romani, e il re di Scozia; ciò fu
Davit figliuolo di
Ruberto di
Brus rubello
del re d'Inghilterra.
L. 13, cap. 65 rubr.Come il re d'Inghilterra si partì di Pusci per andare
in Piccardia per accozzarsi co' Fiaminghi.
L. 13, cap. 65Come il re d'Inghilterra seppe la venuta
del re di
Francia
a Parigi, e avendo guaste le ville fra 'l fiume
dell'Era e quello di Senna, e
fallendo la
vivanda all'oste,
per non essere sopreso, com'ordinava il re di
Francia, sì
ordinò e fece fare uno ponte di legname e
barche
a
Pusci in sulla Senna; e bene che fosse contastato
dalla gente
del re di
Francia, ch'erano dall'altra
riva, per forza d'arme e di suoi arcieri li sconfisse,
e fece il ponte compiere; e levato il campo da
Pusci e
da San
Germano dell'Aia, in quelli fece mettere fuoco,
e con sua oste passò il fiume di Senna
a dì
XVI
d'
agosto, e venne
a
Pontosa, e llà trovò
risistenza di
gente che v'avea mandata il re di
Francia
a ccavallo e
a piè, e fornito il castello; onde combatté la terra per
due dì; alla fine la vinse per forza, salvo il castello; e
quanta gente vi trovò mise
a
morte, salvo le femmine
e' fanciulli,
a' quali
diè licenzia si partissono con ciò
che nne potessono portare, e guastò la terra, salvo i
monisteri e lle chiese. E poi
seguì suo
cammino per
andare
ad
Albavilla in Ponti per ritrovarsi co'
Fiammighi
ch'erano usciti fuori con più di
XXXm in arme,
ed erano stati
a Bettona, e poi presso
ad
Arazo
a
IIII
leghe guastando il paese, e poi s'erano ridotti
a
Scrusieri
inn Artese per accozzarsi col re d'Inghilterra,
com'era dato l'ordine tra lloro, che meser Ugo d'
Astighe,
parente e barone
del re d'Inghilterra, venne
a dì
XVI di luglio in
Fiandra con
XX navi e
DC arcieri,
per sollicitare i
Fiamminghi
a cciò fare, i quali
erano ritornati all'asedio di Bettona, e
a quella diedono
più battaglie e co· lloro
danno di morti e di fediti.
Lasciamo
a dire alquanto di
Fiaminghi, e torneremo
a dire degli andamenti
del re di
Francia, che
seguì il re d'Inghilterra.
L. 13, cap. 66 rubr.Come il re di Francia con sua oste seguì il re d'Inghilterra.
L. 13, cap. 66Come il re di
Francia seppe la partita
del re d'Inghilterra
da
Pontosa, si partì con sua gente da San
Germano di Prati, e
andonne
a San
Donigi per seguire
il re d'Inghilterra, per combattere co· llui in
campo, acciò che non distruggesse il paese, e inanzi
che s'acostasse co'
Fiaminghi suoi ribelli; e lasciò in
Parigi alla guardia della terra, e della reina sua moglie
e di più figliuoli, i borgesi possenti di Parigi, che
con alcuna altra gente d'arme di suo
ostiere e famiglia
furono
MCC uomini
a cavallo. E mandò di sua
gente inanzi in Piccardia, che togliessono i passi e gli
andamenti al re d'Inghilterra e lla vittuaglia, e tagliassono
i ponti alle riviere, e stare sue genti d'arme
a guardare i detti passi e riviere; e il re di
Francia
con suo
esercito n'andò
ad
Albavilla in Ponti, e così
fu fatto. Per la qual cosa il re d'Inghilterra fu
a gran
pericolo con sua oste, e
a gran
soffratta di vittuaglia,
che
VIII dì stettono, che non ebbono se non poco pane
né punto di vino, e vivettono di carne di loro bestiame,
che nn'avieno assai, e mangiando alcuno frutto
e bevendo acqua, ed ebbono grande difetto di calzamento;
e non potendo andare
ad
Albavilla pe' passi
che gli erano tolti, e fatte le tagliate inanzi. Il re
d'Inghilterra prese partito d'andare verso
Fiandra,
ma i Franceschi e' Piccardi gli furono apetto alla riviera
di Somma, ch'elli avea
a passare. Ma per sollicitudine
cercò un altro passo in un altro luogo, dove la
riviera facea un gran
marese che
fiottava, ma avea sodo
fondo, che lli fu
insegnato, dove mai non era veduto
passare cavallo; e llà, ritratto il
fiotto, passò in
una notte con tutta sua gente salvamente, lasciando
parte delle sue
tende e fuochi accesi ov'era stato
acampato, per mostrare la notte
a' nimici ch'ancora
vi fosse
a campo. E come fu passato, la mattina per
tempo andò asalire parte di suoi nimici che ll'avieno
contastato il passo, che v'erano assai presso accampati,
e non si prendeano guardia, credendo non
avessono potuto passare la riviera di Somma, e missegli
inn isconfitta, onde furono tutti morti e presi;
che furono tra
a ccavallo e
a piè parecchi migliaia.
Apresso seguiro loro
cammino affamati con grandi
disagi, e andarono il venerdì
XXV d'
agosto tra 'l dì
e lla notte bene
XII leghe
piccarde, sanza riposare,
con grande affanno e
fame, e arrivarono presso
Amiensa
a
VI leghe
a uno luogo e borgo di costa
a
uno bosco che ssi chiama
Crescì. E avendo
a passare
una piccola riviera, ma era profonda,
convenne passassono
uno o
a
due insieme, tanto ch'uscissono
del
passo, che non aveano contasto: e sentendo che 'l re
di
Francia gli seguitava, sì s'
acamparono in quello
luogo fuori della villa di
Crescì in su uno
colletto tra
Crescì e
Albavilla in Ponti; e per afforzarsi, sentendosi
troppo men gente che' Franceschi, e per loro
sicurtà,
chiusono l'oste di
carri, che nn'aveano assai di
loro e
del paese, e
llasciarvi una
entrata, con intenzione,
e non potendo schifare la battaglia,
disposti di
combattere e di volere anzi morire in battaglia che
morire di
fame, che lla fuga non avea luogo. E
ordinò
il re d'Inghilterra i suoi arcieri, che nn'avea gran
quantità su per le
carra, e tali di sotto e con bombarde
che saettavano
pallottole di ferro con fuoco, per
impaurire e
disertare i
cavalli di Franceschi. E della
sua cavalleria il dì apresso fece dentro al
carrino
III
schiere; della prima fu capitano il figliuolo
del re
della seconda il
conte di
Rondello, della terza il re
d'Inghilterra; e chi era
a ccavallo isciese
a piè co'
cavalli
a destro per prendere lena e
confortarsi di mangiare
e di bere.
L. 13, cap. 67 rubr.D'una grande e sventurata sconfitta ch'ebbe il re Filippo
di Francia con sua gente dal re Adoardo il terzo
re d'Inghilterra a Crescì in Piccardia.
L. 13, cap. 67Lo re
Filippo di
Valos re di
Francia, il quale con
suo
esercito seguia il re
Aduardo d'Inghilterra e sua
gente, sentendo come s'era
acampato presso di
Crescì
e aspettava la battaglia, si andò in verso lui francamente
credendolo avere
sopreso, come
straccato e
vinto per lo
disagio e
fame soferta in
cammino. E
sentendosi di tre tanti di buona gente d'arme
a cavallo,
però che 'l re di
Francia avea bene da
XIIm cavalieri,
e sergenti
a piè quasi innumerabili, ove il re
d'Inghilterra non avea
IIIIm cavalieri, e da
XXXm arcieri
inghilesi e
gualesi, e alquanti con acce
gualesi e
lance
corte; e venuto presso al campo dell'Inghilesi
quanto un corso di cavallo potesse trarre, uno sabato
dopo nona,
a dì
XXVI d'
agosto,
anni
MCCCXLVI, il re
di
Francia fece fare alla sua gente
III schiere
a lloro
guisa, dette battaglie; nella prima avea bene
VIm balestrieri
genovesi e altri italiani, la quale guidava meser
Carlo
Grimaldi e
Anton
Doria, e co' detti
balestrieri
era il re Giovanni di Buem, e meser
Carlo suo figliuolo
eletto re de' Romani, con più altri baroni e
cavalieri in quantità di
IIIm a ccavallo. L'altra battaglia
guidava
Carlo
conte di
Lanzone fratello
del re di
Francia con più
conti e baroni in quantità di
IIIIm cavalieri
e sergenti
a piè assai. La terza battaglia guidava
il re di
Francia, in sua compagnia gli altri re nomati
e
conti e baroni, con tutto il rimanente
del suo
esercito, ch'erano innumerabile gente
a ccavallo e
a
piè. Inanzi che lla battaglia si cominciasse, aparvono
sopra le dette osti
due grandi corbi gridando e
gracchiando;
e poi
piovve una piccola acqua; e ristata, si
cominciò la battaglia. La prima schiera co'
balestrieri
genovesi si strinsono al
carrino
del re d'Inghilterra e
cominciaro
a saettare co· lloro
verrettoni; ma furono
ben tosto
rimbeccati, che 'n su
carri e sotto i
carri alla
coverta di
sargane e di
drappi che lli
guarentieno
da' quadrelli, e nelle battaglie
del re d'Inghilterra,
ch'erano dentro al
carrino nelle battaglie ordinate e
schiere di cavalieri, avea
XXXm arcieri, come detto è,
tra Inghilesi e Gualesi, che quando i Genovesi saettavano
uno quadrello di balestro, quelli saettavano
III saette co· lloro
archi, che parea inn aria uno nuvolo,
e non cadieno invano sanza fedire genti e
cavalli,
sanza i
colpi delle bombarde, che facieno sì grande
timolto e romore, che parea che Iddio tonasse, con
grande uccisione di gente e
sfondamento di
cavalli.
Ma quello che peggio fece all'oste de' Franceschi sì
fu, che essendo il luogo
stretto da combattere quant'
era l'aperta
del
carrino
del re d'Inghilterra, e percotendo
e
pignendo la seconda battaglia
del
conte di
Lanzone, strinsono sì i
balestrieri genovesi
a'
carri,
che non si potieno reggere né saettare co' loro balestri,
essendo al continuo al di sopra da quelli ch'erano
in sulle carrette fediti di saette degli arcieri e dalle
bombarde, onde molti ne furono fediti e morti. Per
la qual cagione i detti
balestrieri non potendo
sostenere,
essendo affoltati e
ristretti al
carrino da' loro
cavalieri medesimi per modo che si misono in volta,
i cavalieri franceschi e lloro sergenti veggendoli fuggire,
credettono gli avessono traditi; ellino medesimi
gli uccidieno, che pochi ne scamparo. Veggendo
Aduardo quarto figliuolo
del re d'Inghilterra
prenze
di Gales che guidava la prima battaglia de' suoi cavalieri,
ch'erano da
M, e da
VIm arcieri
gualesi, mettere
in volta la prima schiera di
balestrieri
del re di
Francia,
montarono
a ccavallo e uscirono
del
carrino, e
assalirono la cavalleria
del re di
Francia, ov'era il re
di Buem e 'l figliuolo
colla prima schiera, e il
conte
di
Lanzone fratello
del re di
Francia, il
conte di
Fiandra, il
conte di
Brois, il
conte d'
Iricorte, messer
Gianni d'Analdo e più altri
conti e gran signori. Quivi
fu la battaglia aspra e
dura, però che apresso lui il
seguì la seconda battaglia
del re d'Inghilterra, la quale
guidava il
conte di
Rondello, e al tutto misono in
volta la prima e seconda battaglia di Franceschi, e
massimamente per la fuggita de' Genovesi. E in
quello
stormo rimasero morti il re di Buem e 'l
conte
di
Lanzone, con più
conti e baroni e cavalieri e sergenti
molti. E llo re di
Francia veggendo volgere la
sua gente,
colla sua terza battaglia e con tutto il rimanente
di sua gente percosse alle schiere dell'Inghilesi,
e di sua persona fece maraviglie in arme, tanto
fece ritrarre gl'Inghilesi al
carrino; e sarebbono stati
rotti, se non fosse il ritegno
del re
Aduardo
colla sua
terza battaglia, ch'uscì fuori
del
carrino per un'altra
aperta che fece fare al suo carreggio per uscire adosso
a' nimici al di dietro, e per essere al socorso di
suoi, francamente asalendo i nimici, feggendo per
costa, e co' suoi Gualesi e Inghilesi
a piè
coll'arcora e
lance
gualesi, e solo intendeano
a
sventrare i
cavalli.
Ma quello che più
confuse i Franceschi fu che per la
moltitudine della loro gente, ch'era tanta
a ccavallo e
a piè, e non intendieno se non
a
pignere e
a urtare
co· lloro
cavalli, credendo rompere gl'Inghilesi, ch'ellino
medesimi s'
afollarono l'uno sopra l'altro al modo
che divenne loro
a Coltrai co'
Fiaminghi, e spezialmente
gl'impediro i Genovesi morti, che nn'era
coperta la terra della prima rotta battaglia, e'
cavalli
afollati morti e caduti, che tutto il campo n'era coperto,
e fediti delle bombarde e saette, che non v'ebbe
cavallo di Franceschi, che non fosse fedito, e innumerabili
morti. La
dolorosa battaglia
durò da anzi
vespro
a
due ore infra lla notte. Alla fine non potendo
più durare i Franceschi si misero in fugga, e il re
di
Francia si fuggì la notte
ad
Amiensa fedito,
coll'arcivescovo
di
Rens, e col vescovo d'
Amiensa, e col
conte d'Alzurro, e col figliuolo
del
cancelliere di
Francia con da
LX a cavallo sotto il pennone
del
Dalfino
di Vienna; però che tutte le sue
bandiere e
insegne
reali erano rimase al campo abattute. E fuggendo
le brigate la notte
a ccavallo e
a piè, da' paesani di
loro parte medesima erano rubati e morti; e per questo
modo ne perirono assai sanz'altra caccia. La
domenica
mattina seguente, essendo della gente
del re
di
Francia fuggiti la notte, e
ridottisi ivi presso ov'era
stata la battaglia in su uno poggetto presso al bosco
in quantità di
VIIIm a cavallo e
a piè, intra gli altri v'era
meser
Carlo eletto imperadore scampato della prima
rotta, e ivi
afrontatisi, non sapiendo ove fuggire,
il re d'Inghilterra vi mandò il
conte di
Vervich e
quello di
Norentona con gente
a cavallo e
a piè assai,
e assalendo quelli, come gente sconfitta, poco ressono,
e fuggendo, molti ne furono presi e morti, e 'l
detto meser
Carlo con tre fedite si fuggì alla
badia da
Riscampo, ov'erano i cardinali. E lla
domenica mattina
medesima giunse il
duca dello Renno nipote
del
re di
Francia in sul campo, che
venia suo aiuto
con
IIIm cavalieri e
IIIIm pedoni di suo paese, essendo
ignorante della battaglia e sconfitta della notte, chi ss'
avesse vinto; veggendo quella gente
de· rre di
Francia
che detto avemo, che per paura tenieno schierati
al poggetto, si
diè e percosse tra l'Inghilesi; ma tosto
fu rotto, e rimasevi morto con da
C de' suoi cavalieri,
ma lla maggiore parte di quelli da piè rimasero morti,
e lli altri si fuggirono. Nella detta
dolorosa e sventurata
battaglia per lo re di
Francia si disse per li più
che scrissono che vi furono presenti, quasi inn accordo,
che bene
XXm uomini tra piè e
a ccavallo vi rimasono
morti, e
cavalli innumerabile quantità, e più
di
MDC tra
conti e baroni e banderesi e cavalieri di
paraggio, sanza gli
scudieri
a ccavallo, che furono
più di
IIIIm, e presi altrettanti, e tutti i
fuggiti fediti
quasi di saette. Intra gli altri notabili signori vi rimasero
morti il re Giovanni di Buem con
V conti d'Alamagna
ch'erano in sua compagnia, e quello di
Maiolica,
il
conte di
Lanzone fratello
del re di
Francia, il
conte di
Fiandra, il
conte di
Brois, il
duca dello Renno,
il
conte di
Sansurro, il
conte d'
Allicorte, il
conte
d'Albamala e 'l figliuolo, il
conte di
Salemmi d'Alamagna
ch'era col re di Buem, messer
Carlo
Grimaldi
e
Anton
Doria di
Genova, e molti altri signori, che
non si sa per noi i nomi di tutti. Il re
Aduardo rimase
in sul campo
due dì, e
fecevi cantare solennemente
la
messa
del santo Spirito, ringraziando Iddio della
sua vittoria, e quella di morti, e consagrare il luogo,
e dare
sepoltura
a' morti, così
a' nimici come
agli
amici, e' fediti trarre tra' morti e farli medicare, la
minuta gente e fece dar loro danari, e
mandolli via. I
signori morti ritrovati fece più nobilmente sopellire
ivi presso
a una
badia, e tra gli altri molto grande onore
ed
esequio fece al re di Buem, siccome
a corpo di
re, e per suo amore piagnendosi di sua
morte elli con
più suoi baroni si vestì
a
nnero, e rimandò il suo corpo
molto onorevolmente
a
mesere
Carlo suo figliuolo
ch'era alla
badia da
Riscampo, e di là lo ne portò il figliuolo
a
Luzimborgo. E cciò fatto, il detto re
Aduardo
colla sua bene
aventurosa vittoria, che
poca di
sua gente vi morì
a comparazione di Franceschi, si
partì da
Crescì il terzo dì, e
andonne
a
Mosteruolo.
O santus santus santus dominus deus Sabaot, cioè i·
llatino,
santo di santi, nostro signore, Iddio dell'oste;
quant'è la
potenza tua in
cielo e in terra, e spezialmente
nelle battaglie! Che talora e bene sovente fa
che lle meno genti e
potenza vincono gli grandi
eserciti,
per mostrare la sua
potenzia, e abattere le superbie
e orgogli, e
pulire le
peccata de' re e de' signori e
de' popoli. E in questa sconfitta bene si mostrò la
sua
potenzia, che' Franceschi erano tre
cotanti che
ll'
Inghilesi. Ma non fu sanza giusta cagione, e non
avenne questo
pericolo al re di
Francia, che intra gli
altri peccati, lasciamo stare il torto fatto al re d'Inghilterra
e altri suoi baroni d'occupare il loro retaggio
e signorie, ma più di
X anni dinanzi
a papa Giovanni
giurato e presa la croce, promettendo infra
due
anni andare oltremare
a
raquistare la Terrasanta,
e prese le
decime e
susidii di tutto suo reame, faccendone
guerra contro i signori cristiani ingiustamente;
per la cui cagione moriro e furono schiavi di
Saracini d'oltramare
Ermini e altri
Cm Cristiani, che
per la sua speranza avieno cominciata
guerra
a' Saracini
di Soria: e questo basti
a tanto.
L. 13, cap. 68 rubr.Quello che 'l re d'Inghilterra con sua oste fece dopo
la detta vittoria.
L. 13, cap. 68Partito il re
Aduardo
del campo da
Crescì, ove
avea avuta la detta vittoria, se n'andò con sua oste
a
Mosteruolo,
credendolsi avere, ch'era della
contea e
dota della madre. La terra era ben guernita per lo re
di
Francia e di molti Franceschi rifuggiti dalla sconfitta;
sì ssi difese, e no· lla
poté avere: guastolla intorno,
e poi n'andò
a Bologna sor la
mere, e fece il somigliante.
Poi ne venne
a Guizzante, e perché nonn
era murato, il
rubò tutto, e poi vi missero fuoco, e
tutta la villa guastaro. E poi ne vennero
a
Calese, e
quello era murato e aforzato, e
diedonvi più battaglie.
E non
potendolo avere, vi si puose
ad assedio
per terra e per
mare, e
fecevi una bastita di fuori com'
una buona terra aforzata e aconcia da
vernarvi, e
ivi con sua oste istette all'assedio lungamente, come
inanzi faremo menzione; e in ciò misse ogni suo podere
per aquistarlo, per avere porto forte e ridotto di
qua da
mare in su· rreame di
Francia. E in questa
stanza venne al re d'Inghilterra la madre e lla moglie
con
due sue
sirocchie e lla figliuola, e poi il
conte
d'
Ervi con molto navilio e gente d'arme e
rinfrescamento
di vittuaglia ed ogni guernimento da oste.
In questa stanza i
due legati cardinali con altri baroni
di
Francia e d'Inghilterra furo più volte presso
di
Calese
a parlamentare di pace; non vi
poté avere
accordo. Ancora stando il re d'Inghilterra al detto
assedio di
Calese, avendo d'accordo promessa la figliuola
per moglie al giovane
conte di
Fiandra, e
doveasi
allegare co· llui; ma per sodducimento e trattato
del re di
Francia e per onta
rimprocciatali, che 'l padre
era stato morto essendo col re di
Francia alla
battaglia di
Crescì, come adietro facemmo menzione,
sì ssi partì dal re d'Inghilterra di
nascoso, e vennesene
al re di
Francia, e tolse per moglie la figliuola
del
duca di Brabante; e 'l detto
duca si partì dalla lega
del re d'Inghilterra e
allegossi col re di
Francia e
imparentossi
co· llui: e diede il
duca al suo maggiore figliuolo
la figliuola di meser
Gianni figliuolo
del re di
Francia, e all'altro figliuolo la figliuola
del
duca di
Borbona della casa di
Francia; e 'l detto
duca di Brabante
data per moglie la seconda figliuola al
duca di
Ghelleri nipote
del re d'Inghilterra figliuolo della
sirocchia,
avendo prima tolta e sposata la figliuola
del
marchese di
Giullieri. Tutte queste rivolture e leghe
fece fare il re di
Francia contro al re d'Inghilterra
per danari, onde il
duca di Brabante fu molto ripreso;
ma però il re d'Inghilterra non lasciò sua impresa
e asedio di
Calese. E meser
Gianni figliuolo
del re di
Francia, col
duca d'Atene e con altri baroni e grande
cavalleria e sergenti
a piè in grande quantità, stavano
in Bologna sor la
mere e d'intorno
a fare al continuo
guerra guerriata al re d'Inghilterra e
a ssua oste, e
per
mare con
galee e altro navile, per fornire
Calese;
ove ebbe più assalti e badalucchi e scontrazzi, quando
a
danno dell'una parte e quando dell'altra, che
lungamente sarebbe
a racontare. E dall'altra parte il
re di
Francia fece un'altra oste; e fece porre l'assedio
a Casella in
Fiandra, acciò che'
Fiamminghi non potessono
venire in aiuto e accozzarsi
a
Calese col re
d'Inghilterra, onde i
Fiaminghi per comune, fatto
con ordine
del re d'Inghilterra loro capitano e guidatore
il marchese di Giulieri, vennero verso Casella
per combattersi co' Franceschi, i quali
rifusaro la
battaglia, e partirsi dall'asedio di Casella, e
andarsene
a Santo
Mieri. Lasceremo alquanto de' processi
della detta
guerra de'
due re insino ch'
arà altra
riuscita,
e diremo di nostri fatti di
Firenze e d'altre
novità
che furono ne' detti tempi.
L. 13, cap. 69 rubr.
Come Luigi il giovane, che tiene la Cicilia, riebbe
Melazzo, e trattò di fare parentado e lega col re d'Ungheria.
L. 13, cap. 69
A dì
V d'
agosto, l'
anno
MCCCXLVI, Luigi il giovane,
figliuolo che fu di
don Piero figliuolo di
don
Federigo,
che possiede l'isola di Cicilia, sentendosi per lo
suo balio e
zio
don
Guiglielmo, valente uomo d'arme,
e per li Ciciliani, la
discordia ch'era nel regno di
Puglia rede
del re
Carlo e Ruberto, per la
morte
del
giovane re Andreas, onde adietro è fatta menzione, si
puosono assedio alla terra di
Melazzo in Cicilia,
che ssi tenea per li detti reali, per
mare e per terra, e
stettonvi più tempo all'assedio, però che ll'era molto
forte e bene guernita di gente e di vittuaglia. Ma i capitani
che v'erano alla guardia, per le dette
discordie
de' reali
del Regno non poteno avere le loro paghe
per loro e per la gente v'avieno alla guardia, e veggendo
non poteno avere né soccorso né
rinfrescamento
del Regno, cercaro loro concordia co' Ciciliani,
e per danari che n'ebbono rendero la terra detto
dì. E nel detto mese essendo venuti in Cicilia ambasciadori
del re d'Ungheria per contrario de' detti
reali
del Regno per trattare lega e compagnia col detto
Luigi il giovane che tenea la Cicilia, e adomandaro
XXX galee al soldo
del detto re d'Ungheria al suo
passaggio nel Regno.
Guiglielmo
zio
del detto giovane
Luigi, che ssi facea chiamare
duca d'Atene, ed era
balìo
del detto Luigi, e governatore dell'isola di Cicilia,
si trattarono e ragionarono di fare parentado che
il detto Luigi, torrebbe per moglie la
sirocchia
del
detto re d'Ungheria, e
promise di
darli aiuto, quando
volesse passare nel Regno, di
XL galee armate al
soldo
del detto Luigi; e mandò in Ungheria suoi ambasciadori
in su una
galea armata per
confermare la
detta lega e matrimonio. Ma venuti in Ungheria gli
ambasciadori di quello di Cicilia, dimandavano di rimanere
libero re di Cicilia, e dimandavano Reggio in
Calavra e altre terre che vi tenea l'avolo suo
don
Federigo;
la qual
domanda il re d'Ungheria non accettò,
ma sarebbe condisceso
a
lasciarli l'isola,
rispondendogli
certo censo, e rimanendo
a quello d'Ungheria
il
risorto e ll'apello come sovrano, e il
titolo
del reame.
A cciò non s'accordarono quelli di Cicilia,
e rimase il trattato, e poi il tennero co' reali di Puglia.
Il fine
a cche ne vennero si dirà inanzi
a tempo e
luogo, quando saremo sopra la detta matera.
L. 13, cap. 70 rubr.Come certe galee di Genova passaro nel mare Maggiore,
e presono Sinopia e ll'isola del Silo.
L. 13, cap. 70Nel detto
anno e tempo si partirono di
Genova
XL
galee armate e andarono in
Romania per fare vendetta
del
cerabi signore di
Turchi
del
mare Maggiore,
per lo
tradimento e
danno ch'elli avea fatto
a' Genovesi,
come in alcuna parte adietro facemmo menzione;
e presono la terra di
Sinopia, e quella rubaro e
guastaro, e corsono il paese, e recarne molta roba e
mercatantia di
Turchi; e 'l simile feciono all'isola
del
Silo in Arcipelago di
Romania, e quella presono e
sonne signori, e
tolsolla
a' Greci, ove nasce la
mastica,
la quale è di grande frutto e
rendita. Lasceremo
a
dire delle
novità delli strani, e torneremo
a dire di
nostri fatti di
Firenze e d'altre parti d'Italia.
L. 13, cap. 71 rubr.Di certe novità che furono in questi tempi nel
Regno.
L. 13, cap. 71Nel detto
anno,
a dì
VIII d'ottobre, passò per
Firenze
il cardinale d'
Onbruno legato
del papa, ch'andava
nel Regno per recarsi in sua guardia per la
Chiesa il detto Regno, per le
discordie de' reali per
la
morte
del re Andreas; da' Fiorentini gli fu fatto
grande onore. Andato lui nel Regno, male vi fu veduto
da quelli reali e per la reina, e peggio vi fu ubidito,
e 'l paese tutto scommosso quasi in rubellione;
e rubellossi l'Aquila per uno ser
Ralli cittadino di
quella col suo séguito, e
coll'aiuto e favore di meser
Ugolino de'
Trinci signore di Fuligno, e più altre terre
d'
Abruzzi
a petizione
del re d'Ungheria, e 'l paese
tutto corrotto
a rubare i Comuni, e chi più potea. Il
legato
colla reina feciono più signori per giustizieri,
ma poco furono ubiditi e temuti. Il legato veggendo
così corrotto il paese, se n'andò
a dimorare
a
Benevento,
e poco era tenuto
a
capitale.
L. 13, cap. 72 rubr.Di certi ordini si feciono in Firenze, che niuno forestiere
non potesse avere ufici di Comune, e come si
compié il ponte a Santa Trinita.
L. 13, cap. 72Nel detto
anno,
a dì
XVIIII d'ottobre, si fece ordine
e
dicreto in
Firenze che nullo forestiere fatto cittadino,
il quale il padre e
ll'avolo ed elli non fossono
nati in
Firenze o nel
contado, non potesse essere uficiale
o avere alcuno uficio, nonistante che fosse eletto
o insaccato, sotto certa grande pena. E questo si
fece per molti artefici
minuti
veniticci delle terre
d'intorno, sotto
titolo di reggenti delle
XXI capitudini
dell'
arti; erano insaccati priori e altri assai ufici.
Ed era il loro un gran
fastidio, che con maggiore audacia
e prosunzione usavano il loro
maestrato e signoria,
che non facieno gli antichi originali cittadini.
Ben fu questa motiva opera di capitani di parte guelfa
e di loro
consiglio, che parea loro vi si
mischiassono
di Ghibellini, e per
afiebolire il
reggimento delle
XXI capitudini dell'
arti che reggevano la
città; e fu
quasi uno
cominciamento di rivolgimento di stato
per le
sequele che ne seguirono apresso, come inanzi
ne faremo menzione.
Nel detto
anno,
a dì
IIII d'ottobre, si serrò l'arco
di mezzo
del ponte da Santa Trinita con
III pile e
IIII
archi; molto bene fondato e ricco lavorio, e
costò da
XXm fiorini d'oro, e fecevisi in su una
pila una
bella
cappella di San Michele Agnolo.
L. 13, cap. 73 rubr.D'uno grande caro che fu in Firenze e d'intorno e
in più parti.
L. 13, cap. 73Nel detto
anno
MCCCXLVI, cominciandosi la cagione
d'ottobre e di novembre
MCCCXLV, al tempo della
sementa furono soperchie
piove, sicché corruppono
la
sementa, e poi l'
aprile e 'l maggio e giugno vegnente
MCCCXLVI non
finò di
piovere, e talora
tempeste,
onde per simile modo si perdé la
sementa delle
biade, e lle
seminate si guastarono; e cciò avenne
quasi in più parti di
Toscana e d'Italia, e in
Proenza,
e Borgogna, e
Francia (onde nacque grande
fame e
caro ne' detti paesi), ed
a
Genova, e
a
Vignone in
Proenza, ov'era il papa
colla
corte di
Roma. E cciò
avenne, secondo dissono gli astrolagi e maestri in natura,
per la congiunzione passata di Saturno e di
Giove e di Marti nel
segno dell'
Aquario, come adietro
è per noi fatta menzione. Onde avenne che già
sono più di
cento
anni passati non fu sì
pessima ricolta
in questo paese di grano e
biada, di vino e d'olio
e di tutte cose, come fu in questo
anno. E 'l vino
valse di vendemmia il comunale da fiorini
VI in
VIII il
cogno, e quasi non rimasono colombi e polli per difetto
d'
esca, e valea il paio di capponi fiorini uno
d'oro e libre
IIII, e non se ne trovavano; e' pollastri
per
Pasqua soldi
XII il paio, e'
pippioni soldi
X, e
ll'
uovo danari
IIII o
V danari, e non se ne trovavano;
e
ll'olio montò in libre
VIII l'
orcio. Per difetto di ciò
la carne di castrone e di bue grosso e di porco montò
in danari
XX in soldi
II la libra, e quella della vitella
in soldi
II e mezzo in soldi
III la libra, e fu gran
caro
di frutte e di camangiare; e tutto ciò fu per la cagione
sopradetta. Per la qual cosa, avegna che per li
tempi passati alcuni
anni fosse caro, pure si trovava
della vittuaglia in alcuna contrada; ma questo
anno
quasi non se ne trovava, imperciò che lle terre non
rispuosono al quarto, né tali al
sesto
del
dovuto e
usato tempo. E valse di ricolta lo
staio
del grano
presso
a soldi
XXX, montando ogni dì; e inanzi che
fosse l'altra ricolta, o calen di maggio
MCCCXLVII,
montò
a fiorino uno d'oro lo
staio; e llo
staio dell'
orzo
e delle fave in soldi
L lo
staio, e
ll'altre
biade all'avenante;
ella
crusca in soldi
XI lo
staio e più, che
non se ne trovava per
danaio; e sarebbe il popolo
morto di
fame, se non fosse la larga e buona provedenza
fatta per lo Comune, come diremo apresso.
E ffu sì grande la nicissità, che lle più delle famiglie
di contadini
abandonarono i poderi, e rubavano per
la
fame l'uno all'altro ciò che trovavano, e molti ne
vennero mendicando in
Firenze, e così di forestieri
d'intorno, ch'era una piatà
a vedere e udire, e non si
poteno lavorare le terre né seminare; se non che
coloro
cui erano, se n'avieno il podere,
convenia che
pascesse quelli che lle lavoravano, e fornire di seme,
e quello con grande necessità e
costo. E con tutto
che
ll'
anno
MCCCXXVIIII e
del
MCCCXL fosse gran
caro,
come adietro in que' tempi facemmo menzione,
ma pure
del grano e della
biada si trovava in
città e
in
contado; ma in questo
anno non si trovava né grano
né
biada, ispezialmente in
contado
a più di lavoratori
e contadini. Il Comune si provide e
comperòne e fece
mercati,
con caparra di moneta con certi mercatanti genovesi
e fiorentini e altri, di
XLm moggia di grano di Pelago,
di Cicilia, di Sardigna, e da
Tunisi, e di Barberia, e
di Calavra, e di
IIIIm moggia d'
orzo, ma non ci se ne
potéo
conducere per la via di
Pisa in tutto che moggia
XXIIm di grano, e moggia
MDCC d'
orzo, il quale
venne
costato, posto in
Firenze, fiorini
XI d'oro il
moggio
del grano, e fiorini
VII il moggio dell'
orzo.
Ma perché non avemmo tutto quello che per lo nostro
Comune fu comperato, sì fu la cagione però che
i Pisani n'avieno bisogno grande di grano, e simile i
Genovesi, che per forza si prendeno il grano della
nostra compera giunto in Porto Pisano, tanto che si
fornivano inanzi
a nnoi; e questo ci diede grande difetto,
e più volte grande
stretta e paura, e non ce ne
potavamo atare. Di
Romagna e di Maremma ne fece
venire il Comune quello si potéo avere di grazia da
quelli signori e Comuni, al di dietro intorno di moggia
IImCC, e
costò caro, da fiorini
XX d'oro il moggio,
ond'ebbe tra d'interesso
colla spesa il Comune più di
XXXm fiorini d'oro. Bene si trovò che certi ch'erano
camarlinghi de' detti uficiali aveano frodato il Comune
falsare per la
misura e 'l peso
del pane, e
mischiare
il grano col loglio e altre
biade, onde trassono
di guadagno grossa quantità, i quali furono
presi
e condannati in fiorini
Xm d'oro
a
ristituzione
del Comune.
E nota che tutto questo è
infama grande di
mali cittadini e di
coloro che lli chiamano
agli ufici,
se colpa v'ebbono, come si disse, e confessaro per
tormento. Ed era rimaso al Comune della provisione
dell'
anno passato da moggia
MDCC di grano; sicché in
tutto fu il soccorso e fornimento
del Comune da
XXVImD di moggia di grano e da
MDCC moggia d'
orzo.
Al
cominciamento gli uficiali
del Comune faceano
mettere per dì in piazza moggia
LX in
LXXX di grano
a soldi
XL lo
staio; e poi montando il grano
a soldi
L
e
ll'
orzo
a soldi
XL lo
staio; ma tutto questo non fornia
per li molti contadini ch'erano ritratti nella
città
sanza gli altri cittadini bisognosi. Feciono gli uficiali
del Comune fare in su i casolari de'
Tedaldini di porta
San Piero, ch'è uno grande compreso,
X forni con
palchi e
chiuso
a porte per lo Comune, ove per uomini
e femmine di dì e di notte si facea pane della farina
del grano
del Comune sanza
aburattare o
trarne
crusca, ch'era molto grosso e crudele
a vedere e
a
mangiare, di peso d'once
VI l'uno, che se ne facea
per istaio da
VIIII serque, e
cocevasene il dì da
LXXXV
in
C moggia; e poi si
stribuiva la mattina
a cenno della
campana grossa de' priori
a più chiese e canove
per tutta la
città, e di fuori dalle mastre porte per li
contadini d'intorno presso alla
città
del
piviere San
Giovanni, e d'altri
pivieri che venieno alle porti per
esso, e
davanne per bocca
II pani per danari
IIII l'uno.
E
soprabondò tanta gente, e che nne volieno più
che
due pani per bocca, che per la calca gli uficiali
non potieno
cospicere; sì ordinaro di dare il pane alle
famiglie per iscritte e
polizze,
II pani per bocca. E
trovossi in mezzo
aprile nel
MCCCXLVII che da
LXXXXIIIIm bocche erano, che n'avieno
a dispensare
per dì; e di questo sapemmo il vero dal mastro uficiale
della piazza, che ricevea le scritte e
polizze.
Omai potete avisare, chi ssa albitrare come innumerabile
popolo era ritratto per la
carestia in
Firenze
a
pascersi; e nel detto numero non erano i cittadini e
loro famiglie ch'erano forniti per loro
vivere, e non
volieno pane di Comune, o comperavano
del migliore
pane alle piazze o
a'
fornai danari
VIII il pane, e
tale
X in
XII il meglio, ché
ciascuno potea fare e
vendere
pane sanza ordine o di peso o di pregio, e non
contando i religiosi mendicanti né i poveri che viveano
di
limosine, ch'erano sanza numero, che di tutte
le terre circustanti erano per lo
caro ch'aveno
acommiatati
e ridotti in
Firenze, ond'era una
continua
battaglia quella di poveri e di dì e di notte
a' cittadini.
E con tutto il bisogno e lla grande nicissità
del
Comune e di cittadini, non si
acommiatò povero niuno,
né forestiere o contadino che fossero, ma al continuo
pasciuti di
limosine al convenevole, considerando
il disordinato
caro e
fame; e per più ricchi e
buoni e piatosi cittadini si feciono di belle e di larghe
limosine, onde
dovemo sperare in Dio, che non
guarderà alli soperchi peccati de' cittadini, ché, come
avemo detto adietro, la
città nostra n'è bene fornita;
ma per le
limosine e pe' buoni e
cari cittadini
Iddio
compenserà, se fia suo piacere la misericordia,
come fece
a quelli di Ninive, «però che lla
limosina
spegne il peccato»;
dixit Domino. Avenne come
piacque
a dDio, per la festa di san Giovanni Battista
MCCCXLVII,
sforzandosi delle
primaticce ricolte, subitamente
calò il grano
novello di soldi
XL in
XXII, e
'l vecchio
del Comune in soldi
XX lo
staio; e
ll'
orzo
in soldi
XI in
X. Per questo sùbito calare
del grano i
fornai e chi facea pane
a
vendere
innarravano il grano
a gara, e subitamente il feciono rimontare in presso
a soldi
XXX lo
staio, e feciono postura di non far
pane
a
vendere se non con certo loro ordine, per
sostenere
il
caro. Per la qual cosa il popolo si commosse
contro
a lloro, e fu quasi la
città per correre
a romore
e
ad arme, se non che per li savi rettori s'
aquetò
il romore, e uno, che nne fu cominciatore, ne fu
impiccato; e 'l grano tornò al suo stato di soldi
XXII
lo
staio. E poi in piena ricolta
del mese d'
agosto e di
settembre si riposò da soldi
XVII in
XX, bene che poi
rimontò per lo caro stato; che ffu una grande consolazione
al popolo per la
fame passata. Ma bene lasciò,
com'è usato, ancora alquanta
carestia e per
conseguente infermità e mortalità, come per lo 'nanzi
si troverrà leggendo. Lasceremo di questa passione
della
carestia e
fame, e diremo d'altre cose che furono
in questi tempi.
L. 13, cap. 74 rubr.Come messer Luchino Visconti signore di Melano
ebbe la città di Parma.
L. 13, cap. 74Tegnendo la
città di Parma i marchesi da Esti da
Ferrara, che ll'avieno comperata da meser
Ghiberto
da Coreggia, come in alcuno
capitolo adietro facemmo
menzione, messer
Luchino signore di
Melano al
continovo la guerreggiava
colle sue forze e
coll'aiuto
di quelli da
Gonzago signori di Mantova e di Reggio,
e per
dispetto e contradio di meser Mastino ch'era
i· llega co' detti marchesi, e quasi per lui la tenieno;
essendo circundata di qua della
città di Reggio, e di
là da Mantova e da Piagenza e dalle terre di meser
Luchino, e male poteno avere aiuto né soccorso da
meser Mastino e da altri loro amici e da
Ferrara sanza
grande
pericolo; si cercaro loro accordo con meser
Luchino, al quale si diede compimento all'uscita
del mese di settembre
MCCCXLVI, che ssi feciono
compari di meser
Luchino d'un suo figliuolo, e
renderli
Parma, ed ebbono da llui
LXm fiorini d'oro; e
riebbono per
patti il loro castello di San Filice e' loro
prigioni che tenieno quelli da
Gonzago, e con grande
festa n'andarono con meser
Luchino
a Milano
a ffare
il suo figliuolo cristiano, e fermarono lega e
compagnia insieme. E nota s'elli ha tra' Cristiani al
suo tempo nullo re, se non se quello di
Francia e
quello d'Inghilterra e d'Ungheria, di tanto podere
quanto
mesere
Luchino, che tenea
del continuo più
di
IIIm cavalieri al soldo, e talora
IIIIm e
Vm e più, che
non ha re tra' Cristiani che lli tenga. E signoreggiava
le 'nfrascritte
XVII città
colle loro castella e
contadi
Milano, Commo, Bergamo, Brescia, Lodi,
Moncia,
Piagenza, Pavia,
Cremona,
Cremma, Asti, Tortona,
Allessandra,
Noara, Vercelli, Torino, e ora Parma.
Ma guardisi
del proverbio che disse Marco Lombardo
al
conte Ugolino di
Pisa, quand'era nella sua
maggiore felicità e stato; come dicemmo nel suo
capitolo,
ch'egli era meglio
disposto
a ricevere la
mala
miccianza, e così gli avenne. E
a meser Mastino signore
di
XI cittadi le perdé tutte, se non se Verona e
Vincenza, e in quelle fu
osteggiato. E però non si
dee niuno
groriare troppo delle filicità
mondane, e
spezialmente i tiranni; che la
fallace fortuna come dà
a lloro co llarga mano, così ritoglie; e questo basti
a
tanto, e tosto si vedrà il fine.
L. 13, cap. 75 rubr.
Come il conte di Fondi sconfisse la gente della reina
moglie che fu del re Andreas.
L. 13, cap. 75In questi tempi il
conte di
Fondi, nipote che ffu di
papa Bonifazio,
a petizione
del re d'Ungheria prese
Terracina e il castello d'
Itri presso di
Gaeta per cominciare
la
guerra da quella parte alla reina e
a' reali
di Napoli, i quali vi mandarono
DC cavalieri e pedoni
assai
del Regno, per assediare il detto castello d'
Itri.
Il
conte fece suo sforzo di gente di Campagna, e con
CC cavalieri tedeschi ch'avea furono
CCCC a cavallo e
gente
a piè assai, e assalì la detta oste e
miseli inn
isconfitta; ov'ebbe assai di presi e di morti; e lla
città
di
Gaeta quasi si rubellò, tegnendosi per loro medesimi,
sanza rispondere
a' reali o alla reina di Napoli.
In questi tempi, all'
entrante d'ottobre, morì
a Napoli
quella si facea chiamare imperadrice di
Gostantipoli,
figliuola che fu di meser
Carlo di
Valos di
Francia, e moglie che ffu
del
prenze di Taranto. Di
questa si disse ch'
ordinò
colla moglie
del re Andreas
sua nipote la
morte
del detto re, e con più altri signori
e baroni, come
racontammo nel
capitolo adietro
della
morte
del re Andreas, per
darla per moglie
a meser Luigi di Taranto suo figliuolo, come fece
poi, come diremo alquanto inanzi. Ed ella dopo la
morte
del
prenze suo
marito portò mal nome di sua
persona, se vero fu, che palese si dicea, che infra gli
altri suoi amadori tenea meser Niccola
Acciaiuoli nostro
cittadino per suo amico, ed ella il fece cavaliere
e
fecelo molto ricco e grande. Lasceremo alquanto di
fatti
del Regno, e torneremo
a' fatti e
guerra
del re
d'Inghilterra.
L. 13, cap. 76 rubr.Come fu sconfitto il re Davit di Scozia dagl'Inghilesi
a Durem.
L. 13, cap. 76Essendo il re
Aduardo d'Inghilterra rimaso di qua
da
mare all'asedio di
Calese, come lasciammo adietro,
il re di
Francia dopo la sua sconfitta tornò
a Parigi,
e
sommosse tutto il suo reame ed i suoi amici
per ragunare gente maggiore che di prima, per vendicarsi
del re d'Inghilterra, e
levarlo dall'asedio di
Calese. E oltre
a cciò rimandò inn
Iscozia
Davit di
Brustro re di Scozia, che ffu co· llui alla battaglia, e
diègli molti danari e gente d'arme, acciò che di Scozia
venisse con sua oste inn Inghilterra. Il quale
giunto inn
Iscozia, e sapiendo che 'l re d'Inghilterra
era
colla sua oste dell'Inghilesi
a
Calese, ragunò sua
oste di bene
Lm uomini tra piè e
a cavallo di suoi
Scotti, e lla gente gli avea data il re di
Francia, e passò
inn Inghilterra insino alla
città di
Durem, faccendo
gran
danno al paese di ruberia e d'arsione. Certi
baroni ch'erano rimasi inn Inghilterra alla guardia
del reame, onde fu capo
e none isbigottiti perché
non vi fosse il loro re, ragunarono bene
XVIm uomini
buona gente d'arme tra
a cavallo e
a piè, la più gran
parte Inghilesi e
Gualesi, e francamente vennero
contro al re di Scozia e sua oste, ch'erano tre tanti di
loro, e al valico della riviera dell'
Ombro gli asaliro
vigorosamente. Gli Scotti
del sùbito assalto e
dubitandosi
che gl'Inghilesi non fossono in maggior
quantità, si misero in volta e furono sconfitti, e molti
Scotti vi rimasero presi e morti, e fuvi preso il loro re
Davit e 'l figliuolo, e menati presi
a Londra; e cciò fu
a dì
XVI d'ottobre
MCCCXLVI. E nota ch'ancora è, e
fia sempre, che 'l nostro Idio
Sabaot fa vincere e perdere
le battaglie
a cui gli piace, non guardando
a numero
e forza di gente, secondo i suoi giudici per punizione
di peccati di re e de' popoli.
L. 13, cap. 77 rubr.Ancora della guerra di Guascogna.
L. 13, cap. 77Dopo la sconfitta ch'ebbe il re di
Francia dal re
d'Inghilterra
a
Crescì, come adietro facemmo menzione,
il
conte d'
Ervi, ch'era per lo re d'Inghilterra in
Guascogna, non istette ozioso, ma più vigorosamente
e con più audacia e baldanza con sua oste
proccedette
contro alla gente
del re di
Francia, cavalcando
il paese; e lla gente
del re di
Francia impaurita e sbigottita
molto, però che se n'era partito meser Giovanni
figliuolo
del re di
Francia con sua oste, e venuto
verso Parigi per la vittoria ch'ebbe il re d'Inghilterra
sopra il re di
Francia
a
Crescì; sì lli si
arrendéo
la terra di San Giovanni
Angiulini, e lla
città di
Pittieri,
e
lLisignano, e
Minorto, e Santi in
Santogia,
con più altre castella e ville, sanza alcuna
risistenza; e
quelle
rubò d'ogni sustanzia, e ritennesi San Giovanni
e
lLisignano e
Minorto, e quelle fornì di sua gente
per
guerreggiare il paese; onde il paese era in gran
tremore, e tutta tolosana infino
a Tolosa. Fatto il
conte d'
Ervi il detto conquisto, fornì le terre e
frontiere
di gente d'arme, e tornossi inn Inghilterra. Partito
il
conte d'
Ervi
del paese, que' di
Pittieri
colle loro
vicinanze, sanz'altro capitano
del re di
Francia, feciono
una cavalcata,
credendosi riprendere
Lisignano
che facea loro una grande
guerra, e furonvi isventuratamente
sconfitti dal
conte di
Monforte, ed erano
tre
cotanti che lla gente
del re d'Inghilterra; e così
aviene chi è in volta di fortuna. Lasceremo alquanto
della
guerra
del re di
Francia
a quello d'Inghilterra,
e diremo
del
nuovo eletto imperadore.
L. 13, cap. 78 rubr.Come Carlo re di Buem fu confermato per lo papa e
per la Chiesa a esere imperadore, e come prese la prima
corona.
L. 13, cap. 78Nel detto
anno
MCCCXLVI a
Vignone, ov'era il papa
colla
corte, essendovi venuti ambasciadori di
Carlo
re di Buem
colla sua
confermagione della lezione
dello 'mperio fatta di lui, come adietro facemmo
menzione, il papa
a
priego e stanza
del re di
Francia,
e per abattere il
titolo dello 'mperio
del Bavero, sì
confermò
a essere degno imperadore il detto
Carlo
con autorità di santa Chiesa, commendandolo il papa
di molte virtudi in suo sermone in piuvico consistoro,
ove furono tutti i cardinali vescovi e prelati
ch'erano in
corte, e tutti i
cortigiani che vi vollono
essere,
promettendogli ogni aiuto e favore alla sua
dignità che ssi potesse per santa Chiesa, e
dandoli licenza
che ssi potesse coronare della prima corona
inn Alamagna, ov'elli volesse, e per quale vescovo o
arcivescovo ch'
a llui piacesse, nonistante il luogo
consueto d'Asia la Cappella, o coronare per l'arcivescovo
di
Cologna; e ciò fu
a dì
VI di novembre gli
anni
MCCCXLVI. Il detto
Carlo avuta dal papa la sua
confermagione, sanza indugio, non potendosi coronare
ad Asia la Cappella per la forza
del Bavero e de'
suoi amici ch'era in quello paese ragunato con forza
d'arme per contastarlo, sì ssi fece coronare
a una terra
che ssi chiama
Bona presso di
Cologna, in forza di
lui e di suoi amici, non tenendo tre dì campo in arme,
come
dice ed è consueto per
dicreto; e cciò fu il
dì di santa Caterina, dì
XXV di novembre
MCCCXLVI.
E pochi signori e baroni d'Alamagna furono alla sua
coronazione, però che lla maggiore parte tenieno con
Lodovico di Baviera chiamato Bavero. Lasceremo alquanto
delle
novità di là da' monti e
del
nuovo imperio,
infino che luogo e tempo sarà, e torneremo
a
dire di fatti di
Firenze e di nostro paese che furono
in que' tempi.
L. 13, cap. 79 rubr.
Di novità fatte in Firenze per cagione degli ufici del
Comune.
L. 13, cap. 79Nel detto
anno, avendosi in
Firenze
novelle della
confermazione e prima coronazione
del
nuovo imperadore
Carlo di Buem, come detto avemo, considerando
ch'egli era nipote dello 'mperadore
Arrigo di
Luzimborgo, il quale fu all'asedio di
Firenze, e
trattocci
come suoi nimici e ribelli, come ne' suoi processi
al suo tempo facemmo menzione; e con tutto
che 'l papa e lla Chiesa mostri di
favorallo, per quelli
della parte guelfa in
Firenze se n'ebbe gran sospetto.
E sentendo e sapiendo che ne' bossoli, overo borse
della lezione de' priori avea
mischiati più Ghibellini
sotto nome d'artefici delle
XXI capitudini dell'
arti, e
d'esere buoni uomini e popolari, più
consigli se ne
tennero per correggere la detta lezione de' priori.
Ma era tanto il podere delle
capitudini dell'
arti e delli
artefici, e per tema di non comuovere la terra
a romore
e
ad arme, che si rimase di non fare cerna, o
toccare la lezione di priori; ma per contentare in parte
i Guelfi si fece
a dì
XX di gennaio,
dicreto e
riformagione
che d'allora inanzi nullo Ghibellino, il quale,
elli o suo padre, suo congiunto, dal
MCCCI in qua
fosse stato ribello, o in terra ribella stato, o venuto
contro al nostro Comune, potesse avere niuno uficio;
e se fosse eletto, pena
a'
lettori o llui che ricevesse
fiorini
M d'oro o lla testa; e che niuno altro, il quale
non fosse vero Guelfo e amatore di parte di santa
Chiesa, bene ch'elli né suoi non fossono stati ribelli,
non possa avere alcuno uficio,
a pena di libre
D e alle
signorie, ove ne fosse
acusato, pena libre
M se
nol
condannasse; e lla pruova di ciò si
dovesse fare per
VI testimoni di
piuvica
fama, aprovati i detti testimoni
fossero idoni, e
ll'
accusato fosse artefice, per li
consoli di sua
arte, e se fosse l'
accusato iscioperato, i
detti
VI testimoni aprovati per li priori, e
XII loro
consiglieri; e funne condannato
Ubaldino Infangati,
perché accettò l'uficio di
XVI sopra i
sindacati de'
falliti
in libre
D; e alcuni altri per quello uficio e altri
ufici, per non esere condannati né isvergognati, non
accettaro né vollono giurare i detti ufici, e altri Guelfi
furono
messi in quello scambio.
L. 13, cap. 80 rubr.Di novità ch'ebbe in Arezzo simile per cagione degli
ufici.
L. 13, cap. 80All'
entrante
del mese di novembre
del detto
anno
nella
città d'
Arezzo si levò romore, e furono sotto
l'arme per cagione che
a' Guelfi d'
Arezzo, ond'erano
capo i
Bostoli, per potere meglio tiranneggiare i loro
cittadini, dicendo che parea loro che troppi Ghibellini
fossono mischiati co· lloro
agli ufici e
reggimento
della
città; e
convenne si facesse la cerna, e che i
Ghibellini ch'erano ne'
sacchetti, overo bossoli, per
essere rettori e uficiali, ne fossono tratti. E tutto questo
avenne per gelosia
del
nuovo imperadore, onde
seguì poi assai sconcio alla
città d'
Arezzo e
a' detti
della casa de'
Bostoli, come si troverrà per inanzi
leggendo.
L. 13, cap. 81 rubr.Come la città di Giadra inn Ischiavonia s'arrendé a'
Viniziani.
L. 13, cap. 81Nel detto anno, il dì di santo Tommaso di dicembre,
la città di Giadra inn Ischiavonia, ove i Viniziani
erano stati sì lungamente ad asedio, per difalta di vittuaglia
s'arenderono al Comune di Vinegia, salve le
persone e l'avere, rimanendosi sotto la signoria di Vinegia
per lo modo s'erano inanzi si rubellassono. Il
re d'Ungheria, a ccui petizione e baldanza Giadra
s'era rubellata, e di ragione n'era signore e sovrano,
come adietro facemmo menzione, no· lli poté soccorrere
per difalta e fame ch'era inn Ischiavonia; non vi
poté venire né mandare suo oste né poterla far fornire.
Néd eziandio il detto re d'Ungheria non potéo
seguire la sua impresa di passare in Puglia, per la carestia
e fame che ffu quasi in tutta Italia e in più parti,
e maggiormente inn Ischiavonia.
L. 13, cap. 82 rubr.
Di certe novità che furono nel castello di Sa· Miniato
e come si diedono alla signoria e guardia del Comune
di Firenze per V anni.
L. 13, cap. 82Nel detto
anno,
del mese di febraio, essendo podestà
di Sa·
Miniato
mesere
Guiglielmo delli
Oricellai
popolano di
Firenze, volendo fare giustizia di certi
malfattori i quali erano
masnadieri di
Malpigli e
Mangiadori, le dette case co· lloro sforzo d'amici con
armata mano levaro la terra
a romore, e per forza
tolsono i malfattori alla detta podestà, e voleno disfare
gli ordini
del popolo. Se non che' popolani di Sa·
Miniato furono
ad arme, e col sùbito soccorso delle
masnade di Fiorentini ch'erano nel Valdarno di sotto,
a ccavallo e
a piè vi trassono, onde il popolo si difese
e guarentì, e 'l Comune di
Firenze vi mandò loro
ambasciadori per riformare la terra, e così feciono;
per la qual cosa il popolo e Comune di Sa·
Miniato,
di loro buona volontà e per
vivere in pace,
dierono la signoria e guardia della loro terra al Comune
di
Firenze per
V anni. E poi per fortificare
il popolo di Sa·
Miniato si fece, dì
XIII d'ottobre
MCCCXLVII,
riformagione in
Firenze, che' grandi di
Firenze s'intendessono e fossono grandi e trattati per
grandi in Sa·
Miniato, acciò che non potessono fare
forza e violenze
a' popolani, e che i grandi di Sa·
Miniato
s'intendessono per grandi in
Firenze. E
ordinossi
di
raforzare la rocca e fare via chiusa di
mura
larga braccia
XVI dalla rocca alle
mura di fuori, con
una porta, alle spese comuni
del Comune di
Firenze
e di Sa·
Miniato, acciò che 'l Comune di
Firenze
avesse spedita l'
entrata ella guardia della detta rocca.
E
ordinossi di fare un ponte sopra il fiume de
l'
Elsa alle spese de' detti
due Comuni, acciò che
quando bisognasse,
ad ogni tempo, la forza di Fiorentini
potesse essere in Sa·
Miniato alla loro difesa.
L. 13, cap. 83 rubr.Di certe novità e ordini che ssi feciono in Firenze
per lo caro ch'era, e mortalità.
L. 13, cap. 83Essendo in
Firenze e d'intorno il
caro grande di
grano e d'ogni vittuaglia, come poco adietro avemo
fatta menzione, essendone afritti i cittadini e contadini,
spezialmente i poveri e impotenti, e ogni dì
venia
montando il
caro ella difalta; e oltre
a cciò conseguente
cominciata grande infermità e mortalità, il
Comune provide e fece
dicreto
a dì
XIII di marzo che
niuno potesse esere preso per niuno debito di fiorini
C d'oro, o da indi in giù, infino
a calen di
agosto vegnente,
salvo all'uficiale della
mercatantia da libre
XXV in su, acciò che
ll'impotenti non fossono tribolati
di loro
debiti, avendo la passione della
fame e
mortalità. E oltre
a cciò feciono ordine che nessuno
potesse
vendere lo
staio
del grano più di soldi
XL; e
chi nne recasse di fuori
del
contado di
Firenze per
vendere, avesse dal Comune fiorino uno d'oro
del
moggio; ma non si potéo osservare, che tanto montò
la
carestia e difalta, che ssi vendea fiorino uno d'oro
lo
staio, e talora libre
IIII; e se non fosse la provisione
del Comune, come dicemmo adietro, il popolo
moria di
fame. E per la
pasqua di
Risoresso seguente,
che ffu in calen di
aprile
MCCCXLVII, il Comune
fece offerta di tutti i prigioni ch'erano nelle carcere
che riavessero pace da' loro nimici, e stati in prigione
da calen di febraio adietro; e chiunque v'era per debito
da libre
C in giù, rimanendo obrigato al suo
creditore;
e ffu gran bene e
limosina, che per la
'nopia
è ggià cominciata la mortalità, ogni dì morivano nelle
carcere
due o tre prigioni; furono gli oferti in quello
dì
CLXXIII, che ve ne avea più di
D in più in grande
inopia e
povertà. E poi
a l'uscita di maggio per le
sudette
cagioni si fece
riformagione per lo Comune di
Firenze, che chiunque fosse nelle carcere o fosse in
bando di pecunia da fiorini
C d'oro in su, ne potesse
uscire pagando al Comune in danari
contanti soldi
III per libra di quello fosse condannato o sbandito,
e scontando ancora i soldi
XVII per libra
del debito
del Comune che s'avea chi llo volea
comperare per
XXVIII o
XXX per
C da
coloro che
doveano avere dal
Comune, che
venia la detta gabella di pagare da soldi
VII e mezzo per libra. Certi gli pagaro e uscirono
di
bando e di prigione, ma non furo guari; tanto era
povero il comune popolo di cittadini per lo
caro e
ll'
altre aversità occorse.
L. 13, cap. 84 rubr.
Di grande mortalità che ffu in Firenze, ma più grande
altrove, come diremo apresso.
L. 13, cap. 84Nel detto
anno e tempo, come sempre
pare che
segua dopo la
carestia e
fame, si cominciò in
Firenze
e nel
contado infermeria, e apresso mortalità di
genti, e spezialmente in femine e fanciulli, il più in
poveri genti, e
durò fino al novembre vegnente
MCCCXLVII ma però non fu così grande, come fu la
mortalità dell'
anno
MCCCXL come adietro facemmo
menzione; ma
albitrando al grosso, ch'altrimenti non
si può sapere
a punto in tanta
città come
Firenze, ma
in di grosso si stimò che
morissono in questo tempo
più di
IIIIm persone, tra uomini e più femmine e fanciulli;
morirono bene de'
XX l'uno; e fecesi
comandamento
per lo Comune che niuno morto si
dovesse
bandire, né sonare
campane alle chiese, ove i morti
si sotterravano, perché lla gente non
isbigottisse d'udire
di tanti morti. E lla detta mortalità fu predetta
dinanzi per maestri di strologia, dicendo che quando
fu il
sostizio vernale, cioè quando il sole
entrò nel
principio dell'
Ariete
del mese di marzo passato, l'ascendente
che ffu nel detto
sostizio fu il
segno della
Vergine, e 'l suo signore, cioè il pianeto di Mercurio,
si trovò nel
segno dell'
Ariete nella ottava casa, ch'è
casa che significa
morte; e se non che il pianeto di
Giove, ch'è
fortunato e di vita, si ritrovò col detto
Mercurio nella detta casa e
segno, la mortalità sarebbe
stata infinita, se fosse piaciuto
a dDio. Ma nnoi
dovemo credere e avere per certo che Idio
promette
le dette
pestilenze e
ll'altre
a' popoli, cittadi e paesi
per
pulizione de' peccati, e non solamente per
corsi
di stelle, ma talora, siccome signore dell'universo e
del corso
del celesto, come gli piace; e quando vuole,
fa accordare il corso delle stelle al suo giudicio; e
questo basti in questa parte e d'intorno
a
Firenze
del
detto delli astrolagi. La detta mortalità fu maggiore
in Pistoia e Prato e nelle nostre circustanze all'avenante
della gente di
Firenze, e maggiore in Bologna e
in
Romagna, e maggiore
a
Vignone e in
Proenza
ov'era la
corte
del papa, e per tutto il reame di
Francia.
Ma infinita mortalità, e che più
durò, fu in
Turchia,
e in quelli paesi d'oltremare, e tra' Tarteri. E
avenne tra' detti Tarteri grande giudicio di Dio e
maraviglia quasi
incredibile, e ffu pure vera e chiara
e certa, che tra 'l
Turigi e 'l
Cattai nel paese di
Parca,
e oggi di
Casano signore di Tartari in
India, si cominciò
uno fuoco uscito di
sotterra, overo che scendesse
da
cielo, che consumò uomini, e bestie, case,
alberi, e lle pietre e lla terra, e
vennesi
stendendo più
di
XV giornate atorno con tanto
molesto, che chi non
si fuggì fu consumato, ogni
criatura e abituro,
istendendosi
al continuo. E gli uomini e femine che scamparono
del fuoco, di
pistolenza morivano. E alla
Tana,
e
Tribisonda, e per tutti que' paesi non rimase
per la detta
pestilenza de'
cinque l'uno, e molte terre
vi s'
abandonaro tra per
pestilenzia, e tremuoti grandissimi,
e
folgori. E per
lettere di nostri cittadini degni
di fede ch'erano in que' paesi, ci ebbe come
a
Sibastia
piovvono grandissima quantità di vermini
grandi uno sommesso con
VIII gambe, tutti neri e coduti,
e
vivi e morti, che
apuzzarono tutta la contrada,
e spaventevoli
a vedere, e cui
pugnevano,
atosicavano
come veleno. E in Soldania, in una terra chiamata
Alidia, non rimasono se non femmine, e quelle
per rabbia manicaro l'una l'altra. E più maravigliosa
cosa e quasi
incredibile
contaro avenne in
Arcaccia
uomini e femine e ogni animale vivo diventarono
a
modo di statue morte
a modo di
marmorito, e i signori
d'intorno al paese pe' detti segni si
propuosono
di
convertire alla fede
cristiana; ma sentendo il
ponente e paesi di Cristiani tribolati simile di
pistolenze,
si rimasono nella loro
perfidia. E
a porto
Talucco,
inn una terra ch'ha nome
Lucco
inverminò il
mare bene
X miglia fra
mare,
uscendone e andando
fra terra fino alla detta terra, per la quale amirazione
assai se ne
convertirono alla fede di Cristo. E
stesesi
la detta
pistolenza infino in
Turchia e
Grecia, avendo
prima
ricerco tutto Levante i
Misopotania, Siria,
Caldea,
Suria, Cipro, il
Creti, i
Rodi, e tutte l'isole
dell'Arcipelago di
Grecia, e poi si
stese in Cicilia, e
Sardigna,
Corsica, ed
Elba, e per simile modo tutte
le marine e riviere di nostri mari; ed
otto
galee di
Genovesi ch'erano
ite nel
mare Maggiore, morendo
la maggiore parte, non ne tornarono che
quattro
galee
piene d'infermi, morendo al continuo; e quelli
che giunsono
a
Genova, tutti quasi morirono, e corruppono
sì l'aria dove
arivavano, che chiunque si riparava
co· lloro poco apresso morivano. Ed era una
maniera d'infermità, che non
giacia l'uomo
III dì,
aparendo nell'anguinaia o sotto le
ditella certi
enfiati
chiamati gavoccioli, e tali
ghianducce, e tali gli chiamavano
bozze, e
sputando sangue. E al prete che
confessava lo 'nfermo, o guardava, spesso s'
apiccava
la detta
pistilenza per modo ch'ogni infermo era
abandonato di confessione, sagramento, medicine e
guardie. Per la quale sconsolazione il papa fece
dicreto,
perdonando colpa e pena
a' preti che
confessassono
o
dessono sagramento alli infermi, e lli
vicitasse
e guardasse. E
durò questa
pestilenzia fino
a
e rimasono disolate di genti molte province e cittadini.
E per questa
pistilenza, acciò che Iddio la
cessasse e
guardassene la nostra
città di
Firenze e
d'intorno, si fece
solenne processione in mezzo marzo
MCCCXLVII per tre dì. E tali son fatti i giudici di
Dio per
pulire i peccati de' viventi. Lasceremo della
matera, e diremo alquanto de' processi di
Carlo di
Buem nuovo eletto imperadore.
L. 13, cap. 85 rubr.
Come Carlo di Buem eletto imperadore venne in
Chiarentana.
L. 13, cap. 85Nel detto
anno, all'uscita
del mese d'
aprile e all'
entrante di maggio
MCCCXLVII,
Carlo re di
Bueme
nuovamente eletto
a esere imperadore e già
confermato
per la Chiesa, come adietro facemmo menzione,
con aiuto di cavalieri di messer
Luchino Visconti
signore di Milano, e di meser Mastino della Scala signore
di Verona, venne in Chiarentana per
raquistare
il paese, che in parte gli succedea per retaggio della
madre, e per avere spedita l'
entrata d'Italia; e
rendéllisi
la
città di Trento e quella di
Feltro e
Cività
Bellona
colla forza
del patriarca d'Aquilea per
comandamento
del papa, e arse il borgo e terra di
Buzzano,
e puosesi allo assedio
a Tiralli. Sentendo ciò il
marchese di Brandiborgo figliuolo
del Bavero, ch'ancora
cusava ragione in parte della detta
contea per la
madre, e ancora per la
nimistà impresa contra il suo
padre Bavero, avendosi fatto
eleggere imperadore lui
vivendo, si venne della Magna con grande cavalleria
per soccorrere Tiralli e
raquistare il paese. Sentendo
la sua venuta il detto
Carlo eletto imperadore, e ch'egli
era con maggiore
potenza di gente di lui, si partì
con sua oste d'asedio dal detto Tiralli con alcuno
danno di sua gente e con vergogna, perdendo parte
del paese aquistato. Lasceremo alquanto di suoi fatti,
e diremo ancora
del processo della
guerra
del re di
Francia e di quello d'Inghilterra, ch'ancora ne cresce
matera.
L. 13, cap. 86 rubr.Di certo parlamento che fece il re di Francia per andare
contro al re d'Inghilterra.
L. 13, cap. 86Nel detto
anno, il dì di
domenica d'ulivo, il re di
Francia fece grande ragunata di suoi baroni
a Parigi,
e fece suo
parlamento richieggendo tutti i suoi baroni
e prelati e Comuni di suo reame d'aiuto per fare
suo oste contra al re d'Inghilterra, ch'era con suo
oste all'asedio di
Calese, come lasciammo adietro. E
giurò di non fare mai co· llui pace o triegua infino
a
tanto che non avesse fatto vendetta della sconfitta ricevuta
a
Crescì, e dell'onta che 'l re d'Inghilterra
avea fatta alla corona di
Francia, d'essere venuto con
oste in suo reame e d'essere ancora all'asedio di
Calese.
Il quale saramento non
poté oservare, ma procacciò
di farne suo podere in ragunando tutti i suoi
baroni prelati e caporali di grandi Comuni e cittadi
al suo
parlamento. Nel quale
parlamento tutti quelli
del reame gli
promissono aiuto di gente d'arme, i
gentili uomini e gli altri di
sussidio di moneta. E fece
trarre di San
Donigi la 'nsegna d'oro e fiamma, la quale
per usanza non si trae mai, se non
a grandi bisogni
e necessitadi
del re e
del reame, la quale è adogata
d'oro e di
vermiglio; e quella diede al siri di
di Borgogna, nobile e gentile uomo e
prode in arme;
e comandato
a tutti che s'
aparecchiassono di
seguirlo
alla sua richesta; e poi si partì il
parlamento.
L. 13, cap. 87 rubr.Del parlamento che fece il re d'Inghilterra co' Fiaminghi
e col duca di Brabante.
L. 13, cap. 87In questo medesimo tempo lo re d'Inghilterra, lasciata
sua oste ordinata e fornita all'assedio di Calese,
venne in Fiandra, e llà fece suo parlamento co'
rettori delle buone ville, e fuvi il duca di Brabante e
'l giovane conte di Fiandra, rimaso del conte suo padre,
che morì alla battaglia di Crescì in servigio del
re di Francia. E in quello parlamento ordinaro insieme
lega e compagnia contro al re di Francia; e promissono
parentado, il duca di Brabante di dare al figliuolo
una sirocchia del re d'Inghilterra, e al giovane
conte di Fiandra la figliuola; e ordinarono guidatore
di Fiandra e del giovane conte il marchese di
Giulieri. E cciò fatto, il re d'Inghilterra si tornò alla
sua oste allo assedio di Calese. Ma partito di Fiandra
il detto parlamento, i detti parentadi e llega non si
oservarono per lo duca di Brabante, né per lo giovane
conte di Fiandra, come assai tosto per lo innanzi
faremo menzione, per procaccio e spendio del re di
Francia. Lasceremo alquanto dire della detta guerra,
e diremo d'altre novità d'Italia e della nostra città di
Firenze.
L. 13, cap. 88 rubr.
Di novità e discordia che fu nella città di Genova.
L. 13, cap. 88Nel detto
anno,
del mese d'
aprile, essendo i Genovesi
tra lloro in
discordia da' noboli al popolo,
trattaro di dare il
reggimento della terra, quasi come
mediatore tra lloro,
a meser
Luchino Visconti signore
di Milano, e
mandarli ambasciadori il popolo per
sé, di
darli la signoria limitata e
a certo
termine; e'
noboli e' grandi aveano mandato per li loro ambasciadori
ch'elli gliele voleano dare libera, tegnendosi
mal
contenti
del
reggimento
del
dugi e
del popolo;
onde messere
Luchino sdegnato contro al popolo,
non
volendoli dare libera la signoria. Per la qual cosa
tornati
a
Genova i detti ambasciadori, si levò il popolo
a romore e
ad arme, e corsono sopra i grandi, e
presonne da
L pure de' migliori, e impuosono loro di
pena libre
Cm di genovini, e
convenne che li
pagassono
al Comune; e
racchetossi il romore nella
città, rimanendo
il
dogi e 'l popolo signori; e di caporali
delle case di grandi il
dogio mandò
a'
confini in diverse
parti; ma i più ruppono i
confini e fecionsi rubelli,
e poi, come diremo inanzi, vennero sopra
Genova.
E di questo mese d'
aprile essendo arrivate in
Porto Pisano
II cocche cariche di grano, che
venia di
Cicilia comperato per gli uficiali
del Comune di
Firenze,
essendo in
Genova gran
caro di grano, mandaro
loro
galee in Porto Pisano, e combattero le dette
cocche, e per forza le menarono
a
Genova,
pagandone
poi con male
pagamento i mercatanti di cui era
il carico, quello ch'
a lloro piacque. Per la quale ingiuria
e tirannia fatta pe' Genovesi al Comune di
Firenze
subitamente montò il grano in
Firenze
a soldi
XLV lo
staio, poi salì tosto
a fiorini uno d'oro e più.
E per questa cagione e
oltraggio di Genovesi ebbe
in
Firenze grande gelosia e paura che non mancasse
la vittuaglia, e mandarono in
Romagna
a farne venire
con gran
costo e interesso
del nostro Comune, come
adietro facemmo menzione nel
capitolo della
carestia.
L. 13, cap. 89 rubr.Come l'Aquila e altre terre d'Abruzzi si rubellarono
a' reali di Puglia a petizione del re d'Ungheria.
L. 13, cap. 89Nel detto
anno, essendo quasi rubellata l'Aquila
alla reina di Puglia e
agli altri reali rede
del re Ruberto
per uno ser
Ralli dell'Aquila, che se n'era fatto signore,
a pitizione
del re d'Ungheria, giunsono nella
città dell'Aquila
del mese di maggio l'arcivescovo
d'Ungheria e meser Niccola
ungaro, il quale meser
Niccola era stato nel Regno balio
del re Andreas, ed
eravi, quando fu morto, ambasciadore
del re d'Ungheria,
con grande quantità di moneta per mantenere
que' dell'Aquila, e per soldare gente d'arme e cavallo
e
a piè, sì che tosto ebbono più di
M cavalieri.
Del mese di giugno e' corsono il paese; e più terre
d'
Abruzzi si rubellaro alla detta reina e reali, e ssi
tennero per lo re d'Ungheria. Ciò fu
Civita di Tieti, e
Civita di
, e
Popoli, e Lanciano, e lla Guardia, e
altre terre e castella; e puosono oste alla
città di Sermona.
Sentendosi ciò
a Napoli, i detti reali, tra di
baroni
del Regno e soldati, assai tosto feciono più di
IImD cavalieri e gente d'arme
a piè assai, e feciono capitano
dell'oste il
duca di
Durazzo, figliuolo che fu
di meser
Gianni e nipote
del re Ruberto, e vennero
al soccorso di Sermona. Sentendo ciò quelli dell'Aquila,
che v'erano
a oste, se ne partirono con alcuno
danno, e
ridussonsi nell'Aquila
a guardia della terra,
e quella
aforzaro e guerniro di vittuaglia. Il
duca di
Durazzo
colla sua oste, ch'ogni dì gli
crescea gente,
si puose all'asedio della
città dell'Aquila, e quivi stettono
fino all'uscita d'
agosto guastando intorno; ed
ebbevi più scontrazzi e badalucchi, quando
a
danno
dell'una parte, e quando dell'altra. In questa stanza
arrivò in Italia il vescovo di
Cinque Chiese, overo di
V Vescovadi, fratello bastardo
del re d'Ungheria (si
dicea savio signore e valentre in arme) con da
CC
gentili uomini d'Ungheria e d'Alamagna
a cavallo e
in arme, e con danari assai, e
sogiornò alquanto
a
Forlì e in
Romagna, prima ricevuti graziosamente da
meser Mastino al suo valicare, e poi da tutti i signori
di
Romagna, e ivi soldò quanta gente
poté avere
a
cavallo, e arrivò
a Fuligno; sicché con gente ch'era
soldata
a Fuligno, ch'al tutto si tenieno dalla parte
del re d'Ungheria, ond'era capo
mesere Ugolino de'
Trinci, vi si trovò più di
M cavalieri, e nell'Aquila e
d'intorno al paese n'avea bene altri mille al soldo
del
re d'Ungheria. Sentendo ciò quelli ch'erano all'asedio
dell'Aquila, ed essendo già fornito il
servigio di
tre mesi che' baroni
deono servire la corona, e non
avendo soldo dalla
corte, si cominciarono
a partire; e
'l primo si partisse fu il
conte di
Sanseverino, che per
li più si disse ch'amava più la signoria
del re d'Ungheria
che degli altri reali; e partito lui, tutti gli altri
si partirono sconciamente e
sciarrati, ricevendo alcuno
danno dalla gente ch'erano nell'Aquila. E giunti
all'Aquila, la gente ch'era
a
Filigno
de· rre d'Ungheria
corsono il paese, e presono il castello della Leonessa,
e quello arsono. Lasceremo alquanto di questa
impresa
del re d'Ungaria, ch'assai tosto di ciò ci
crescerà
matera, e diremo d'una grande
novità che ffu
nella
città di
Roma di
mutazione di popolo e di
nuova
signoria.
L. 13, cap. 90 rubr.Di grandi novitadi che furono in Roma, e come i
Romani feciono tribuno del popolo.
L. 13, cap. 90Nel detto
anno,
a dì
XX di maggio, il dì di Pentecosta,
essendo tornato
a
Roma uno
Niccolò di
ch'era andato
a
corte
del papa per lo popolo di
Roma
a richiederlo che venisse
a dimorare alla sedia di
san Piero, come
dovea,
colla sua
corte; e
avendoli il
papa di ciò data buona ma vana speranza, si ragunò
parlamento in
Roma, ove si congregò molto popolo,
e in quello
isposta sua ambasciata con savie e ornate
parole, come quelli che di rettorica era maestro, com'
elli avea ordinato con certi caporali
del popolo
minuto,
a grido fu fatto tribuno
del popolo e messo in
Campidoglio in signoria. E di presente che fu fatto
signore tolse ogni signoria e stato
a' noboli di
Roma
e d'intorno, e
fecene prendere de' caporali, che
mantenieno
le ruberie in
Roma e d'intorno, e
fecene fare
aspre giustizie, e mandò
a'
confini certi degli
Orsini
e Colonnesi e altri noboli di
Roma, e tutti gli altri se
n'andarono quasi fuori di
Roma
a lloro terre e castella
per fuggire la
furia
del detto tribuno e
del popolo,
e tolse loro il tribuno ogni fortezza della terra. E
ordinò
oste contra il prefetto e alla
città di Viterbo,
che no· llo ubbidiva; e in brieve per sua rigida giustizia
Roma e intorno fu in tanta
sicurtà, che di dì e di
notte vi si potea andare salvamente. E mandò
lettere
a tutte le caporali
città d'Italia, e una ne mandò al
nostro Comune, con molto
eccellente
dittato; e poi
ci mandò
V solenni ambasciadori, gloriando sé, e poi
il nostro Comune, e come la nostra
città era figliuola
di
Roma e fondata e
dificata dal popolo di
Roma, e
richiesene d'aiuto alla sua oste.
A' quali ambasciadori
fu fatto grande onore, e mandati
a
Roma al tribuno
cento cavalieri, e proferto maggiore aiuto, quando
bisognasse; e' Perugini gline mandaro
CL.
E poi il dì di san Piero in
Vincola, dì primo d'
agosto,
come avea significato inanzi per sue
lettere e ambasciadori,
fecesi il detto tribuno fare cavaliere al
sindaco
del popolo di
Roma all'altare di Santo Pietro;
e prima per grandezza si bagnò
a
lLaterano nella
conca
del
paragone, che v'è, ove si bagnò
Gostantino
imperadore, quando santo
Salvestro papa il guarì
della lebbra. E fatta la grande
corte e festa di sua cavalleria,
ragunato il popolo, fece uno gran sermone,
dicendo come volea riformare tutta Italia all'ubidienzia
di
Roma al modo antico,
mantegnendo le
città i· lloro
libertà e giustizia, e fece trarre fuori certe
nuove
insegne ch'avea fatte fare, e una ne
diè al sindaco
del
Comune di Perugia
coll'arme di
Giulio Cesare, il
campo
vermiglio e
ll'
aguglia d'oro; un'altra ne trasse
di
nuova
fazione, dov'era una donna vecchia
a sedere
in figura di
Roma, e dinanzi le stava ritta una donna
giovane
colla figura
del
mappamondo in mano, rapresentando
alla figura della
città di
Firenze, che 'l
porgesse
a
Roma, e fece chiamare se v'avesse sindaco
del Comune di
Firenze; e non essendovi, la fece porre
ad alti in su una
stacca, e disse: «E' verrà bene
chi lla prenderà
a tempo e luogo». E più altre
insegne
diede
a' sindachi d'altre
città vicine e circustanze
di
Roma; e quello dì fece
impiccare il signore di Corneto,
che facea rubare il paese d'intorno
a
Roma.
E cciò fatto, fece
a grido nel detto
parlamento invocare,
e poi per sue
lettere
citare i
lettori dello 'mperio
della Magna, e
Lodovico di Baviera detto Bavero,
che ss'era fatto imperadore, e
Carlo di Buem, che
novellamente s'era fatto imperadore, che d'allora alla
Pentecosta
a venire fossono
a
Roma
a mostrare la loro
lezione, e con che
titolo si facieno chiamare imperadori,
e'
lettori
dovessono mostrare autoritade li
avessono eletti; e fece trarre fuori e piuvicare certi
privilegi
del papa, come avea commessione di ciò fare.
Lasceremo alquanto della
nuova e grande impresa
del
nuovo tribuno di
Roma, che tutto
a tempo vi
potremo ritornare, se lla sua signoria e stato
arà podere
con
efetto, con tutto che per li savi e discreti si
disse infino allora che lla detta impresa
del tribuno
era un'opera
fantastica e da poco durare; e diremo
alquanto di certe
novità occorse in que' tempi alla
città di
Firenze.
L. 13, cap. 91 rubr.Di certe tempeste e fuochi che furono in Firenze.
L. 13, cap. 91Nel detto
anno,
a dì
XX e dì
XXII del mese d'
aprile,
furono in
Firenze e d'intorno grandi
turbichi di
piove
e tuoni e baleni oltre all'usato modo. E caddono
nella
città e di fuori più
folgori, e alcuna n'abatté
certi merli delle
mura. Poi
a dì
XVIII e dì
XX di giugno
furono per simile modo gran piogge, gragnuole,
tuoni e
folgori, guastando frutti e
biade in più parti
del
contado. Per la qual cosa il vescovo di
Firenze
col
chericato e grande popolo andarono per la terra
a processione per
III dì, pregando Iddio la cessasse;
e come gli piacque, così fece. E lla notte vegnente, il
dì di san Giovanni,
a dì
XXIIII di giugno, s'aprese
fuoco in Porta Rossa contra alla via traversa che va
a
casa gli Strozzi, ove arsono più di
XX case, sanza
quelle si disfeciono d'intorno per
ispegnerlo, con
grande
danno e
disuluzione della contrada, e
morìvi
più maestri di rovina di case, che caddono loro adosso.
E ne' detti dì s'aprese in più parti di
Firenze con
danno di più case e forni. E nota,
lettore, quante
tempeste occorse in questo
anno alla nostra
città, di
fame, mortalità, rovina,
tempeste, e fuochi, e
discordie
tra' cittadini, per li soperchi di nostri peccati.
Piaccia
a dDio che questi segni ci correggano de' nostri
difetti, acciò che Iddio non ci
condanni
a maggiori
giudici, che paura ne fanno, sì è
fallita la fede e
caritade tra' cittadini.
L. 13, cap. 92 rubr.Ancora di novità che furono in Firenze, e di certi
ordini confermati contro a' Ghibellini.
L. 13, cap. 92Nel detto
anno,
a dì
VI di luglio, avendo il popolo
di
Firenze inn odio la memoria
del
duca d'Atene per
la sua malvagia signoria, come adietro facemmo
menzione, si fece
dicreto che niuno priore che fosse
stato fatto per lo detto
duca non avesse privilegio né
potere portare arme come gli altri priori fatti per lo
popolo; e chiunque avesse dipinta l'arme sua in casa
o di fuori, la
dovesse ispignere e acecare; e
a ccui
fosse trovata, pena fiorini mille d'oro. E
llevaro che
non potesse portare arme da offendere niuno
gabelliere
e niuno soprastante e lloro guardie, se non nelle
carcere o d'intorno, che in prima n'era piena tutta la
città di privilegi, per più casi, ch'era sconcia cosa. E
in questo tempo, ciò furono
VI di
nove priori, vollono
correggere il
dicreto ch'era fatto dì
XX di gennaio
passato, che parlava che niuno Ghibellino potesse
avere ufici sotto certe pene, essendo
accusato per lo
modo che dicemmo adietro, volendo riducere che'
testimoni non fossono accettati, se non fossono prima
aprovati pe' priori e loro
collegi; e per cotale modo
si
credettono anullare il detto
dicreto. Ma sentendosi
per li capitani di parte guelfa, e quasi commossa
la terra, per modo che lla prima detta legge fatta dì
XX di gennaio si
confermò, e fortificossi più ferma e
con maggiori pene contro al volere della maggiore
parte
del detto uficio de' priori ch'allora era. E bene
disse il propio il maestro Michele Scotto de' fatti di
Firenze, che «
disimulando vive etc
.». Lasceremo alquanto
delle
novità di
Firenze, tanto che surgano
delle più fresche; e torneremo
a dire de' fatti d'oltremonti,
e della
guerra dal re di
Francia al re d'Inghilterra,
ch'al continovo ne cresce materia.
L. 13, cap. 93 rubr.Come meser Carlo di Brois fu sconfitto in Brettagna.
L. 13, cap. 93Nel detto
anno,
a dì
XXII del mese di giugno, meser
Carlo di
Brois, che ssi facea chiamare
duca di
Brettagna per retaggio della moglie figliuola della figliuola
del
duca di Brettagna, come
contammo adietro
al
capitolo della
morte
del
duca, essendo in Brettagna
con grande oste al castello e rocca d'
Ariaro,
che lli s'era ribellato, il
conte di
Monforte figliuolo
del fratello carnale che ffu
del
duca di Brettagna,
a
cui di ragione succedea il detto
ducato per linea mascolina,
se non che
'· rre di
Francia gliele contradiava,
e tolse, e
avielo dato al detto meser
Carlo di
Brois
suo nipote, come dicemmo in alcuna parte adietro,
sentendo la detta oste male ordinata, sì ragunò suo
sforzo di quelli Brettoni ch'erano di sua parte
coll'
aiuto ch'avea dell'Inghilesi e Gualesi da· rre d'Inghilterra.
E bene
aventurosamente asalirono la detta
oste, e
missongli inn isconfitta, ove rimasono morti e
presi molta buona gente
del reame di
Francia, tra'
quali vi rimasono morti e presi de' caporali di rinomea,
il siri della Valle, e meser
Rosede e meser Giovanni
suoi fratelli, il visconte di
Durem, e 'l fratello,
e 'l figliuolo, e 'l signore de
Rualla, e 'l figliuolo, e 'l
signore di
Roggeo, il signore di
Malostretto, il signore
di
Ciastelbrialto, il signore di Rasa di Rasi, e più
altri cavalieri e
scudieri, che non sapemmo il nome.
E il detto meser
Carlo di
Brois con molti altri baroni
e gentili uomini fu preso, e mandati pregioni
a Londra
inn Inghilterra.
L. 13, cap. 94 rubr.Come quelli della città di Legge furono sconfitti dal
loro vescovo e dal duca di Brabante.
L. 13, cap. 94Nel detto
anno,
a l'uscita di luglio, il vescovo di
Legge,
coll'aiuto
del
duca di Brabante e di sua gente,
fece oste sopra la
città di Legge, che lli s'era rubellata
l'
anno passato, come adietro facemmo menzione,
della quale oste fu capitano e conducitore il detto
duca. Que' di Legge uscirono fuori
a battaglia, popolo
e cavalieri, col loro aiuto e sforzo d'amici e loro
allegati; nella qual battaglia quelli di Legge furono
isconfitti, e in grande quantità morti e presi. E il detto
duca e vescovo, avuta la detta vettoria, ebbono la
città di Legge sanza contasto niuno, e lla terra
Dui e
quella di
Dinante, che sono della
partinenza di Legge,
grosse terre e ricche e bene popolate, e prese le
dette terre e paese, con volontà
del vescovo ne feciono
signore il
duca di Brabante, con tutto che fossono
terre ch'
apartenieno alla Chiesa di
Roma. E nota che
Legge è una
città nobile e di ricchi borgesi, e
anticamente
fu
edificata per li Romani, però che in quello
luogo, ch'è tra
Francia e Alamagna, tenieno le loro
legioni, quando
dominavano quelle province, e da
quello ebbe
dirivo Legge il propio nome, da
legio
legionis.
L. 13, cap. 95 rubr.Come il navilio che llo re di Francia mandava per
fornire Calese fu sconfitto dagl'Inghilesi.
L. 13, cap. 95Nel detto
anno, all'uscita di giugno, avendo il re
di
Francia fatte aparecchiare al porto di
Riflore in
Normandia
LXX navi, overo cocche, armate e fornite
e cariche di molta vittuaglia, e altri arnesi e d'arme
da
guerra, per fornire la terra di
Calese, ch'avea asediata
il re d'Inghilterra, e in compagnia
del detto navile
XII galee armate di Genovesi; e passando il detto
navile contro
a
Dovero inn Inghilterra, ove avea da
CC cocche armate
del re d'Inghilterra, le quali vi stavano
aparecchiate per fornire l'oste di
Calese
del re
d'Inghilterra, con
piene
vele,
fiotto e
marea vennono
adosso al detto navile
del re di
Francia; e cciò veggendo
l'amiraglio delle
galee di Genovesi, il soperchio
navilio de' nimici non ressono, ma per forza di
remi si ritrassono adietro, e
abandonaro le dette
navi,
le quali furono tutte prese, e morti la maggiore
parte degli uomini
del navilio
del re di Inghilterra, e
con tutta la roba e vittuaglia che v'era suso, che valea
danari assai, che ffu gran
conforto al re d'Inghilterra
e alla sua oste, e grande speranza d'avere tosto la terra
di
Calese; e gli assediati di
Calese furono in grande
dolore e affanno e disperazione di loro salute.
L. 13, cap. 96 rubr.Come il re di Francia s'affrontò con sua oste per
combattere col re d'Inghilterra, e come s'arrendé Calese
all'Inghilesi.
L. 13, cap. 96Sentendo il re di
Francia com'era preso il suo navilio
col fornimento che mandava
a
Calese, e sapiendo
che in
Calese
venia meno la vittuaglia, e
perdea la
terra se no· lla soccorresse, fece richiedere i suoi baroni
che s'aparecchiassono in arme per
seguirlo, come
avea ordinato nel suo
parlamento, come dicemmo
adietro, e così fu fatto. E partissi da Parigi
del
mese di luglio con sua oste, la qual era di più di
Xm
uomini
a cavallo, gentili uomini e buona gente d'arme,
con
XXXm pedoni, ove avea buona parte Genovesi
a balestra, e altri Lombardi e Toscani al soldo. E
venuto lui in Artese, s'
acampò presso all'oste
del re
d'Inghilterra
a mezza lega,
a dì
XXVII di luglio. Lo re
d'Inghilterra era con sua oste e campo intorno
a
Calese
con più di
IIIIm gentili uomini
a cavallo, e con
XXXm arcieri, e gualesi e inghilesi, ed erano co· llui il
marchese di Giulieri capitano di
Fiaminghi, con più
di
XXm Fiaminghi armati
a piede. E 'l re d'Inghilterra
avea affossato e steccato
Calese tutto intorno dal lato
di terra, e simile
abarrato per
mare e di fuori con pali
e traverse di legname, il suo navilio alla guardia,
sicché per
mare né per terra non vi potea
entrare né
uscire persona. E di fuori avea
tre campi, quello
del
re, quello de'
Fiaminghi, e quello
del
conte d'
Ervi
con parte della cavalleria e con Gualesi
a piè: e tutti i
detti
III campi affossati e steccati intorno; e dentro
alle licce si potea andare dall'uno campo all'altro, ed
erano signori di prendere e di schifare la battaglia
a lloro posta.
In questa stanza vennero nell'oste messere
Anibaldo
cardinale e 'l cardinale di
Chiermonte legati mandati
per lo papa, andando dall'una oste all'altra per
ragionare e trattare accordo di pace dall'uno re all'altro,
e co· lloro s'
accozzaro, con ordine di
due re, in
mezzo di
due campi
V baroni da
ciascuna parte. E
dopo tre dì stati ne' detti trattati non vi
poté avere
concordia, da ccui che si rimanesse. Dissesi dal re
d'Inghilterra, perché il re di
Francia
nogli accettava
le sue
adimande, e non voleva recare il giuoco vinto
a partito, aspettandosi d'ora inn ora d'avere
Calese,
che più non si potea tenere. Veggendo il re di
Francia
che non potea avere né pace né triegua, fece spianare
tra
due campi e richiedere il re d'Inghilterra di
battaglia; e
a dì
II d'
agosto uscì fuori
del suo campo
così ordinato e schierato, faccendo della sua gente
VI
battaglie
a lloro guisa, ciò sono schiere. La prima era
da mille o più cavalieri, i più Alamanni al soldo e
Anoieri, la quale
conducea meser
Gianni d'Analdo e
'l
conte di
Namurro suo genero. La seconda fu di
più altri mille cavalieri, il fiore di
Francia, la qual
guidava il maliscalco di
Francia. La terza era di presso
a
IIIIm cavalieri con tutti i pedoni
del paese e
bidali
di Navarra e Linguadoco e di nostro paese, e quest'
era la schiera grossa, la qual guidava
mesere
Gianni
duca di
Normandia, figliuolo
del re di
Francia. La
quarta era di
M o più cavalieri di Linguadoco e
Savoini;
la quale
conducieno il
conte d'
Armignacca, e
'l figliuolo
del
conte della Illa.
[] La sesta era di
più di
IIm cavalieri, ov'era il re di
Francia con suoi
ciamberlani, ed era schierato alla
rietroguardia. Lo
re d'Inghilterra fece armare e schierare sua gente
dentro alle licce, ma non volle uscire fuori alla battaglia;
e mandò
a dire al re di
Francia che volea prima
Calese, e poi, se volesse combattere, passasse in
Fiandra, ed elli con sua oste vi sarebbe aparecchiato
di combattere. Lo re di
Francia non volle accettare il
partito d'andare
a combattere in
Fiandra fra lla
moltitudine
de'
Fiaminghi suoi ribelli e nemici. E veggendo
che quivi non potea avere battaglia, né soccorrere
Calese sanza suo gran
pericolo, si partì con
sua oste, e si ritrasse adietro
VI leghe quello primo
dì, e poi seguendo sue giornate verso Parigi, lasciando
di sue gente d'arme alla guardia delle terre delle
frontiere, e con poco suo onore, ma 'l contrario, e
con grande spendio si tornò
a Parigi. Que' di
Calese
veggendo partito il re di
Francia e sua oste,
patteggiaro
col re d'Inghilterra co·
rrenderli la terra, salve le
persone
a' forestieri,
uscendone in camicia iscalzi col
capresto in
collo, e' terrazzani alla sua misericordia;
e cciò fu
a dì
IIII d'
agosto
del detto
anno. Ed
entrò
nella terra
a dì
V d'
agosto il re e sua gente, e trovarono
che non v'era rimaso di che
vivere e che ogni vile
animale aveano
mangiato per
fame, e trovò nella terra
molto
tesoro, sì delle ruberie di quelli di
Calese,
che tutti erano ricchi di danari guadagnati in corso
sopra Inghilesi e
Fiaminghi e altri navicanti per quello
mare; però che
Calese era uno ricetto di
corsali, e
spilonca di ladroni e piratti di
mare; ancora v'erano
dentro tutti i danari delle paghe mandati per lo re di
Francia in più tempo ch'era
durata la
guerra, ch'erano
buona quantità, che tutto vi lasciaro, e
uscirne
ignudi, come detto avemo; e
tormentarolli per farsi
insegnare la pecunia nascosa e sotterrata.
E volendo il re d'Inghilterra far fare giustizia di
terrazzani, siccome di piratti di
mare, e tutti
impenderli
alle forche, i detti
due cardinali furono con
molti
prieghi al re e alla reina, che perdonasse loro la
vita per l'amore di Dio, e per la grazia e vittorie che
Iddio gli avea fatte; e dopo molte
pregherie di cardinali
e della madre e della moglie
perdonò loro la vita,
e tutti gliene mandò col capresto in
collo. E questa
vittoria di
Calese fu grande onore e aquisto al re
d'Inghilterra. I
Fiaminghi, ch'erano co· llui nell'oste,
richiesono il re che 'l disfacesse, che non potesse far
loro più
guerra e ruberia, e' loro porti ne fossono
migliori. Lo re
nol volle disfare, anzi fece crescere la
terra verso la marina, e aforzare di
mura e torri e fossi
e steccati, e
popololla di suoi Inghilesi, e fornilla di
vittuaglia e d'arme. E bene che
Calese fosse al re
d'Inghilterra piccola terra, gli fu grande aquisto, perch'
è terra di porto, e per vincere sì grande
punga
contro al re di
Francia e suo gran podere nel suo
paese medesimo. Ma lle sopradette vittorie avute, il
re d'Inghilterra sopra il re di
Francia sì in
Guascogna
e in Brettagna e in
Francia, e poi nella battaglia e
vittoria avuta
a
Crescì, come adietro ordinatamente è
fatta menzione, non ebbe in
dono; che tornato il detto
re
Aduardo con sua oste in Inghilterra, tra' morti
in battaglie, e poi al suo ritorno morti d'infermitadi e
malattie, si trovaro meno da
Lm Inghilesi; e però non
si
dee nullo
groriare delle pompe e vittorie
mondane,
che lle più sono con male uscita. Lasceremo alquanto
a dire della presente
guerra de'
due re, ch'ha
avuto alcuno fine di triegua; e torneremo
a dire di
Firenze e
del nostro paese d'Italia. Ma inanzi che llo
re
Adoardo si partisse da
Calese e
del paese, assai
guerra e correrie fece la sua gente
a Santo
Mieri e all'
altre terre d'Artese, con gran prede e
dannaggio
del
paese. In questa stanza i legati cardinali trattarono
accordo e triegua dal re di
Francia
a quello d'Inghilterra
infino alla san Giovanni
a venire, mandando
ciascuno di detti re suoi ambasciadori
a
corte di papa
a dare compimento d'acordo. Il re d'Inghilterra vi
s'acordò volentieri, perch'avea il migliore della
guerra,
ed era per la detta
guerra molto afannato e stracco
elli e sua gente, e con grande
dispensa. E cciò ordinato,
si partì il detto re
Aduardo
del reame di
Francia con sua oste lasciando fornito
Calese: passò
il
mare, e tornò in Inghilterra con grande festa e allegrezza,
faccendo giostre e torniamenti.
L. 13, cap. 97 rubr.Come in Firenze si fece nuova moneta, piggiorando la
prima.
L. 13, cap. 97
Del mese d'
agosto
del detto
anno, essendo in
Firenze
montato l'ariento della lega d'once
XI e mezzo
di fine per libra in libre
XII e soldi
XV a ffiorino, però
che' mercatanti per guadagnare il ricoglieno e
portavallo
oltremare, ov'era molto richiesto; per la qual
cosa la moneta da soldi
IIII di
Firenze fatta l'
anno
MCCCXLV dinanzi, e lla moneta di
quattrini, si
sbolzonavano
e portavano via, onde il fiorino d'oro ogni
dì calava, ed era per calare da libre
III in giù; onde i
lanaiuoli,
a cui tornava
a interesso, perché pagavano
i loro
ovraggi
a piccioli, e vendeano i loro panni
a ffiorini,
essendo possenti in Comune, feciono ordinare
al detto Comune
nuova moneta d'argento e
nuovi
quattrini, piggiorando l'una e
ll'altra moneta per lo
modo diremo apresso, acciò che 'l fiorino d'oro
montasse, e non abassasse.
Ordinossi e fecesi una
moneta grossa, alla quale diedono corso per soldi
V
l'uno,
chiamandoli guelfi, di lega d'once
XI e mezzo
per libra, come la lega di grossi di soldi
IIII l'uno,
faccendone soldi
VIIII e danari
VIIII per libra, e rendene
la moneta
del Comune soldi
VIIII, danari
III,
tre
quinti; e costava ogni overaggio e
calo soldi
VI la libra
di piccioli, sicché il Comune ne guadagnava soldi
XXII piccioli d'ogni libra, ch'era
oltraggio
a mantenere
buona moneta, peggiorando
a quella di soldi
IIII il grosso più di
XI per centinaio. E lla moneta di
quattrini si
piggiorò non di lega, ma di peso, che dove
di prima se ne faceva soldi
XXIII per libra, e 'l Comune
ne
rendea soldi
per libra, si feciono di
nuovi soldi
XXVI e danari
VI per libra, e rendene la
moneta soldi
XXIIII e danari
VIIII di
quattrini per libra,
e costava d'ovraggio e
calo soldi
VI di piccioli
per libra; sicché il Comune n'avanzava danari
XII
piccioli per libra; sicché, chi ssa di ragione, la moneta
grossa peggiorò
XI per
C, e quella di
quattrini da
XV per
C a quello ch'era la moneta fatta mesi
dinanzi.
E nota che bene disse il nostro poeta
Dante
il propio nella sua Commedia, ove
scramando contro
a' Fiorentini disse cominciando: «Godi
Firenze
etc
.»; conseguente ancora:
del tempo che rimmembra,
Legge, moneta, e usanze e costume
Ha' tu mutate e rinovate membra etc.
L. 13, cap. 98Come in cielo aparve una commeta.
L. 13, cap. 98Nel detto anno, del mese d'agosto, aparve in cielo
la stella commeta, che ssi chiama Nigra, nel segno
del Tauro, a gradi XVI nel capo della figura e segno
del Gorgone, e durò XV dì. Questa Nigra è della natura
di Saturno, e per sua infruenzia si cria, secondo
che dice Zael filosofo e strolago, e più altri maestri
della detta scienzia, la quale significa pure male e
morte di re e di potenti; e questo dimostrò assai tosto
in più re e reali, come inanzi leggendo si troverrà;
e ingenerò grande mortalità ne' paesi ove il detto
pianeto e segno signoreggiano; e bene il dimostrò
inn Oriente e nelle marine d'intorno, come dicemmo
adietro.
L. 13, cap. 99 rubr.
Come messere Luigi figliuolo del prenze di Taranto
prese per moglie la reina di Puglia sua cugina.
L. 13, cap. 99Nel detto anno, a dì XX d'agosto, meser Luigi, figliuolo
che ffu del prenze di Taranto secondogenito,
sposò la reina, figliuola che ffu del duca di Calavra
sua cugina carnale, e ch'era stata moglie d'Andreas
re figliuolo del re d'Ungheria, ed erano da parte di
madre nati di due sirocchie carnali. E fu dispensato
il detto iscellerato matrimonio per Clemento VI papa,
e fatto duca di Calavra e balio del Regno. E ciò
fu per procaccio e opera del cardinale di Peragorga
suo zio, onde fu ripreso da tutti i Cristiani che 'l sentiro,
e ciascuno che 'l seppe ne scificò e disse che sarebbe
con mala uscita sì abominevole peccato, con
tutto che palese si dicea che 'l detto meser Luigi avea
affare di lei vivendo il re Andreas suo marito, ed egli
ed ella furono trattatori della villana e abominevole
morte del detto re Andreas, come contammo adietro,
con più altri che 'l misono ad esecuzione; onde
seguì molto male, come inanzi si farà per noi menzione.
L. 13, cap. 100 rubr.
Di certe battaglie che feciono i Genovesi co' Catalani
in Sardigna e in Corsica.
L. 13, cap. 100Del mese d'agosto del detto anno il vicaro del re
di Raona, ch'era in Sardigna, si puose con sua oste
alla terra detta Alleghiera, la qual terra per lungo
tempo aveano tenuta quelli della casa Doria di Genova,
volendola recare a signoria del re. I quali di casa
Doria v'andarono co· lloro sforzo, e missono inn
isconfitta la detta oste di Catalani, e morivenne più
di DC. E poi coll'aiuto del Comune di Genova, che
male erano contenti della vicinanza de' Catalani, si
puosono a oste a Sasseri, e a quello vennero al soccorso
i Catalani con CCC cavalieri e popolo assai, e
levarne i Genovesi inn isconfitta: e così va di guerra.
E del detto mese e anno i Genovesi ebbono la signoria
di tutta l'isola di Corsica con volontà di quasi
di tutti i baroni e signori di Corsica; e ffu loro un
bello aquisto colla terra di Bonifazio, ch'ellino teneno;
se non che ffu con mala uscita, che per la mortalità
venuta di levante nell'isole e marine furono sì
maculati d'infermità e di morte le dette isole di Sardigna
e di Corsica, che non vi rimasono il terzo vivi
degli abitanti del paese e Genovesi.
L. 13, cap. 101 rubr.
Come volle essere tradito e tolto il castello di Laterino
a' Fiorentini.
L. 13, cap. 101Nel detto anno, in calen di ottobre, per trattato di
Tarlati usciti d'Arezzo volle essere tradito e tolto a'
Fiorentini il castello di Laterino per danari ne doveano
avere certi terrazzani ghibellini e delle guardie
che v'erano per lo Comune di Firenze. Il quale trattato
si disse menava uno frate minore guardiano dei
frati di Montevarchi; il quale tradimento fu scoperto,
e presi i traditori, e parte di loro impiccati ad Arezzo,
e parte a Firenze. E 'l detto frate fu preso e menato
a Firenze, e inn istretta carcere sotto la scala del
capitano istette più mesi con grande inopia. Alla fine
non trovandolo in colpa, e a priego de' frati, fu dilibero.
Lasceremo alquanto a dire delle novità da Firenze,
tornando alquanto adietro a dire d'una grande
e scellerata opera ch'avenne a' reali di Tunisi in poco
di tempo, dicendolo il più brieve che ssi potrà, come
avemmo da uno nostro amico fiorentino e mercatante
e uomo degno di fede, che a tutto fu a Tunisi presente.
L. 13, cap. 102 rubr.
Come i reali del reame di Tunisi per loro discordie
s'uccisono insieme.
L. 13, cap. 102Regnando in
Tunisi e nel suo reame Mule
Buchieri,
che tanto è
a dire Mule in
saracinesco come Re in
nostro
latino; questi fu quello re di cui facemmo
menzione adietro nel
capitolo delle
trallazioni
del
detto reame di
Tunisi; questi era gran signore e sotto
lui più reami, e avea più figliuoli di più
mogli e amiche,
ch'avea al modo
saracinesco; venne
a
morte
del
mese d'ottobre
MCCCXLVI. E
a lloro modo fece suo
testamento, e lasciò che fosse re apresso lui un suo
figliuolo chiamato Calido, il quale, quando morì il
padre, nonn era in
Tunisi. Un altro suo figliuolo giovane
di
XXVI anni,
pro' e ardito, ch'avea nome Amare,
ch'alla
morte
del padre si trovò in
Tunisi, e acordandosi
col siniscalco
del regno, il quale avea nome
Con
Betteframo, ed era apresso il re il maggiore signore
del reame, col suo aiuto si fece coronare re allora
sanza alcuno contasto. Sentendo ciò Calido l'altro
fratello, cui il padre avea
lasciato che fosse re, s'acostò
co' signori delli
Arabi, i quali signoreggiavano
le terre campestre e lle montagne (e sempre stanno
a
campo co· lloro
tende, e non hanno
città né castella
né ville né case
murate), e con grande sforzo d'
Arabi
venne
a
Buggea con sua oste. Amare, che s'era fatto
re, col suo siniscalco e con sua oste uscirono di
Tunisi,
e di lungi
X miglia verso
Buggea s'
acamparono.
Ma il vizio della ingratitudine che regnava nel re
Amare, non trattava bene il suo siniscalco, che gli
avea data la signoria, ma tutto dì il
minacciava di farlo
morire. Il quale per tema della fellonia
del re
Amare si partì dell'oste da llui, e tornossi
a
Tunisi; e
di là con sua gente n'andò nel Garbo, e Amare re
con tutta sua oste n'andò
a
Buggea. Calido cogli
Arabi
venne
a
Tunisi, e sanza contasto
entrò nella terra,
e di presente si diede
a' diletti carnali, standosi
a'
giardini reali, che sono molto dilettevoli, e soggiornando
in bagni con sue femmine stando in vita disoluta.
E avendo con non buona providenza dato congio
alli
Arabi, che ll'avieno rimesso in signoria, e non
provedendosi della
guerra
del fratello, Amare venne
a
Tunisi con
IIm cavalieri; e giunto di fuori di
Tunisi
fece asapere
a' soldati cristiani ch'erano nella terra di
sua venuta, i quali gli
promisono, per danari fece loro
profferere, di
seguirlo, ed elli con
CCC uomini
a
cavallo
scalò in più parti le
mura della
città, ed
entrò
dentro sanza contasto. Lo re Calido sentendo ciò, salì
a ccavallo disarmato con
due suoi fratelli, l'uno re
di Susa e l'altro di
Sachisi, i quali elli avea tratti di
prigione, ove gli avea
messi il re Amare loro fratello,
quando prese la signoria. E andando i detti per la
città di
Tunisi gridando
a borgesi che 'l
dovessono
atare, rispuosono che di ciò non si
travaglierebbono,
che così avieno per loro signore l'uno fratello come
l'altro. Andando per lo detto modo lo re Calido per
la terra, certi Cristiani
rinegati l'assalirono, e uno gli
lanciò una lancia, e fedillo, onde cadde
a terra
del
cavallo, e incontanente gli fu tagliata la testa, e presentata
a re Amare; la qual fece mettere in su una
lancia, e
mandarla per tutta la terra; e gli altri
due
fratelli presi, fece loro tagliare le
mani, e poi infra tre
dì gli fece morire, e più altri caporali delli
Arabi
ch'avieno seguito il re Calido fece il somigliante. E cciò
fatto, il re Amare sedette nella sedia reale come
re, faccendosi fare l'omaggio e reverenza
a tutte maniere
di genti, e regnò apresso
X mesi in pace, faccendo
grandi feste con disoluta vita e mali reggimenti.
Benteframo e
Betara siniscalchi che s'erano ribellati
da llui, e iti al re
del Garbo, detto
Bulafere, come
adietro facemmo menzione, commossono il detto re
del Garbo contra i re Amare per le sue scellerate
opere, e mossesi con grande oste di
XXXm a cavallo,
tra' quali avea
IIm Cristiani, e venne verso
Tunisi, e
per
mare mandò un suo amiraglio con
VIIII galee e
altri legni; e giunto il detto
Bulafar re
del Garbo con
sua oste
a
Buggea, l'ebbe sanza contasto niuno, e simile
la terra di
Gostantina, e trasse delle dette terre i
reali e possenti, e quelli mandò nel Garbo con buona
guardia, e fornì le dette terre di sue genti.
Lo re Amare di
Tunisi sentendo la venuta
del re
del Garbo, s'aparecchiò di ragunare sua oste per
venirli
incontro infino
a
Buggea, e uscì di
Tunisi
a dì
XI
d'
agosto
MCCCXLVII con
IImD cavalieri, aspettando
a
campo il suo soccorso, che tuttora gli
venia. E in
quella
istanza ebbe
novelle come il navile
del re
del
Garbo era arrivato nel porto di
Tunisi, onde tornò
a
Tunisi per difendere la terra, e al continovo facea badaluccare
con balestra e
archi, acciò che quelli
del
navile non prendessono terra. In questa stanza il re
del Garbo con sua oste
a piccole giornate ne venne
verso
Tunisi. Lo re Amare di
Tunisi veggendosi così
assalire per terra e per
mare, e che lla sua forza e 'l
séguito non era forte alla forza de' suoi nimici, si
partì di
Tunisi con
M Barberi, né' soldati cristiani
nol
vollono seguire per la sua avarizia, e
andonne verso il
Caroano per
andarsene alla
città di Susa. Allora l'amiraglio
ch'era nel porto iscese alla terra con
D balestrieri,
e furono riceuti in
Tunisi come signori. E poi
apresso vi venne
entrando della gente
del re
del Garbo;
e 'l re
del Garbo sentendo che 'l re Amar s'era
partito di
Tunisi per la via
del
Caroano, il fece seguire
a un suo amiraglio con
IIIIm uomini
a cavallo, comandandogli
gli apresentasse il re Amar o morto o
vivo; il quale
seguendolo, il trovaro di lungi
a
Tunisi
C miglia con
poca compagnia
a una fontana, ove
abeveravano
loro e loro
cavalli; il quale asalito dal detto
amiraglio, fu fedito e morto, e tagliatoli il capo; e'
compagni che furono presi menati prigioni al re
del
Garbo, e
presentatali la testa
del re Amar; e certificatosi
il re
del Garbo ch'ell'era di vero la sua testa, la
mandò
a
Tunisi, e
fecela sopellire tra' reali. E llo re
Bufar con sua oste s'apressò alla
città di
Tunisi, e lla
città e 'l regno ebbe al suo
comandamento sanza
contasto niuno, che ggià v'era dentro la sua gente e
per
mare e per terra, come avemo detto dinanzi; e
solo uno dì stette in
Tunisi, e ciò fu
del mese di gennaio
MCCCXLVII. E rifermata la
città e 'l reame d'uficiali
di sua gente, fece prendere tutti i regoli, overo i
reali, discendenti
del re
Bucchieri detto dinanzi, ove
che fossono nel reame, che da
LX erano, o più, e con
buona guardia gli mandò nel Garbo; e dov'egli era
stato
a campo da
IIII miglia di fuori di
Tunisi, fece
ordinare si
dificasse una terra
a modo di bastita, e
quivi
sogiornò con sue femine
a gran festa.
Or nota,
lettore, e ricogli quello ch'avemo detto
nel presente
capitolo, e troverrai che per li peccati
della superbia e avarizia e lussuria
principalmente
venuta tra fratelli e congiunti, volendo l'uno all'altro
torre lo stato e signoria, quanti micidi e altra distruzione
avenne in poco di tempo
a' figliuoli e discendenti
reali
del re
Bucchieri di
Tunisi, onde il loro lignaggio
fu distrutto. E per simile modo in questi
tempi avennero tra nnoi Cristiani tra' reali
del regno
di Puglia, com'era già cominciato per la
morte
del re
Andreas, e
seguinne apresso, come assai tosto ne faremo
menzione. Lasceremo de' fatti de'
Barberi
del
regno d'Africa, ch'assai n'avemo detto, e torneremo
a dire de' fatti di questo nostro paese d'Italia, ch'assai
ci cresce materia.
L. 13, cap. 103 rubr.
Come la città di Sermona e altre terre s'arrendero
alla gente del re d'Ungheria.
L. 13, cap. 103Nel detto
anno,
del mese d'ottobre, essendo la
gente
del re d'Ungheria all'assedio di Sermona, né
per la reina né per li altri reali nonn erano soccorsi,
sì patteggiarono di rendere la terra
a comandamenti
del re d'Ungheria con questi
patti, se da' reali non
fossero soccorsi infra
XV dì: e rimanendo nelle loro
franchigie e
costume ch'erano col re Ruberto, e che
dentro della terra non
dovessono
entrare soldati né
gente d'arme più di
X per volta, se ggià non fosse
colla
persona
del re d'Ungheria, o suo fratello; e di ciò
diedono
XX stadichi de' migliori della terra. E avuta
Sermona, non rimase persona in
Abruzzi che non
fosse all'ubidienza
del re d'Ungheria. E
del mese di
novembre apresso, della detta gente d'arme
del re
d'Ungheria che facieno loro capo all'Aquila, in
quantità di
MD cavalieri e pedoni assai, avuta Sermona,
passaro la montagna di
Cinque Miglia, e scesono
in Terra di Lavoro, e presono
Sarn, e
ll'antica
città di
Venastri, e
Ciano, che tenea il figliuolo
del
conte
Novello; diede alla detta gente il mercato e lla
reddita,
però che, come il padre, amava più la signoria
del
re d'Ungheria che degli altri reali. E il
conte di
Fondi,
nipote che ffu di papa Bonifazio
VIII,
entrò in
San
Germano
colle
'nsegne
del re d'Ungheria e con
gente d'arme per lui.
L. 13, cap. 104 rubr.Come i reali col loro sforzo inn arme si ragunarono
alla città di Capova.
L. 13, cap. 104Sappiendo la reina e gli altri reali, onde si facea
capo meser Luigi, ch'avea sposata la detta reina, come
Sermona e
ll'altre dette terre s'erano rendute all'
ubidienza
del re d'Ungheria, incontanente feciono
capo grosso alla
città di Capova, acciò che lla forza
del re d'Ungheria non potessono passare il fiume
del
Voltorno per andare verso Napoli. Il
prenze di Taranto
e il
duca di
Burazzo vennero
a Capova con più
altri baroni, e co· lloro sforzo di gente d'arme, e ritrovarsi
con meser Luigi con più di
IImD cavalieri, bene
e
riccamente montati e bene in arme, e con popolo
grandissimo, e quivi s'
accamparono
a modo d'oste
nella terra e di fuori, e ogni dì
crescea loro sforzo e
podere per modo che sse i detti reali fossono stati
costanti e uniti insieme, per forza di gente che 'l re
d'Ungheria avesse, néd eziandio venendo in persona,
non avea podere di passare. Ma
a ccui Idio vuole per
le
peccata giudicare, toglie
a' signori e
a' popoli la
forza e lla concordia. E così avenne fra' detti reali;
che tuttora con
poca fermezza
ciancellavano insieme,
e tali di loro e degli altri gran baroni
del Regno s'intendeano
con
lettere al segreto col re d'Ungheria. In
questa stanza ebbe più scontrazzi dalla gente de' reali
a quella
del re d'Ungheria, quando
a
danno dell'una
parte, e quando dell'altra. Lasceremo alquanto di
questa matera infino alla venuta
del re d'Ungheria, e
diremo d'altre
novità che ne' detti tempi furono in
Roma. La reina e gli altri reali mandarono
lettere e
ambasciadori in mezzo novembre al Comune di
Firenze
per soccorso di
Dc cavalieri: fu loro risposto
saviamente come il nostro Comune nonn era aconcio
di travagliarsi tra lloro reali inn opera di
guerra, ma
tramettersi di pace tra lloro, come
cari amici.
L. 13, cap. 105 rubr.Di novità e battaglie che ffu in Roma, ove i Colonnesi
furono sconfitti e poi come il tribuno fu cacciato
della signoria.
L. 13, cap. 105Nel detto
anno, all'
entrante d'ottobre, ambasciadori
del re d'Ungheria vennero
a
Roma profferendosi
al tribuno e popolo di
Roma, il quale
a grido di
popolo il detto re d'Ungheria fu ricevuto
a llega e
compagnia
del popolo di
Roma.
E
a dì
XX di novembre
del detto
anno, essendo
fatta una congiura e
cospirazione per li signori Colonnesi
e parte degli
Orsini dal Monte loro
parenti,
per abattere la signoria
del tribuno, per cagione che
il tribuno con
tradimento, essendo venuti
a' suoi comandamenti
il prefetto e 'l
conte
Guido, e 'l fratello,
e
II figliuoli di
Currado, e altri baroni venuti i· lloro
compagnia, e data loro
desinare, gli fece pigliare e
incarcerare con onta e lloro vergogna. E per avere i
detti presi, que' di Viterbo corsono la terra, e furono
tagliate
a
XII le teste, ch'erano pure de' maggiori, che
a quello
tradimento diedono opera col tribuno. Gli
amici loro di
Roma, Colonnesi e altri, ragunarono
molto di segreto,
coll'aiuto
del legato
del papa ch'era
a
Montefiascone, da
DL cavalieri e pedoni assai, ond'
erano caporali meser Stefano e
Stefanuccio e
Gianni
Colonna e Giordano di
Marino; e di notte giunsono
a
Roma, e ruppono la porta che va
a Santo Lorenzo
fuori le
mura, per
entrare dentro. Sentendosi
in
Roma la detta venuta, sonando la campana di
Campidoglio, il tribuno col popolo furono in arme,
chi
a cavallo e chi
a piè,
coll'aiuto di certi degli
Orsini
di Campo di Fiore e da Ponte, e Giordano da
Monte, asalirono Vigorosamente i feditori di quelli
della Colonna, che ggià per forza d'arme e con
danno
d'alquanti
del popolo di
Roma s'erano
pinti dentro
alla porta, i quali erano
CL a cavallo; ma per lo
soperchio de' Romani d'
entro furono
ripinti di fuori
della porta in isconfitta; e uscendo fuori della terra
la gente
del tribuno e
del popolo, ond'era capitano
Cola
Orsini e Giordano dal Monte, e per
nimistà di
suoi
consorti e di Colonnesi, cacciandogli, sconfitti
quellino ch'erano rimasi di fuori, non ressono, ma si
missono in fuga; ove rimasono morti e presi assai.
Intra gli altri caporali furono morti
VI di casa Colonnesi,
ciò furono
Stefanuccio e
Gianni Colonna suo
figliuolo, e il proposto di Marsilia, e
Gianni figliuolo
d'
Agabito, e
due altri loro bastardi valentri in arme;
onde i Colonnesi ricevettono gran
danno e
abassamento,
e 'l tribuno ne montò in gran pompa e superbia;
e mandonne
lettera co'
messi e con ulivi significando
la sua grande vittoria al nostro Comune, e
quello di Perugia e di Siena, e degli altri suoi vicini
confidenti. Il quale messo, che venne in
Firenze, fu
riccamente vestito. E avuta il tribuno la detta vittoria,
l'altro dì fece grande processione di tutto il
chericato
di
Roma
a Santa Maria Maggiore. E poi
a dì
XXIIII di novembre, fatta la mostra di sua cavalleria,
fece cavaliere il suo figliuolo andando
a Sa· Lorenzo,
e meser Lorenzo della Vittoria il nominò. In quelli
dì, poco apresso, venne in
Roma uno vicario
del papa.
Il tribuno il ricevette per compagno, faccendo un
grande
parlamento in Campidoglio, e ivi aringando
propuose l'autorità: «
Legem
pone
michi,
Domine in
via
giustificazione
tuais»; mostrando al popolo di
volere ubidire al papa, istando in grande festa e
pomposa. Ma poco
durò al tribuno la sua vana gloria
e felicità, come diremo; che per la sua audace e
aspra giustizia avea fatto
citare, e poi non vegnendo
a' suoi comandamenti, il
conte Paladino d'
Altemura
di Puglia, il fece
sbandire, perché nelle parti di Terracina
in Campagna usava, secondo si dicea, ruberie
e forze; venne
a
Roma con
CL cavalieri
coll'aiuto
del
capitano
del
Patrimonio, per opera
del legato. E nota
che lla Chiesa al
cominciamento al tribuno
diè favore,
e poi, cui fosse la colpa, fé il contradio. Il detto
Paladino si ridusse nella contrada di Colonnesi da
Santo Apostolo, e con certi de' Colonnesi rimasi e
co· lloro vicini e amici fece sonare
a martello le
campane
della detta chiesa e dell'altre della forza de' Colonnesi,
e in quelle contrade levò la terra
a romore, e
ragunò gente assai
a ccavallo e
a piè e amici di Colonnesi,
e cciò fu
a dì
XV di dicembre
del detto
anno,
gridando: «
Viva la Colonna, e muoia il tribuno e'
suoi seguaci!».
A questo romore le contrade di
Roma
s'
abarraro,
ciascuno
colle sue forze e fortezze,
guardando loro contrade. Il detto Paladino e popolo
di Colonnesi vennero
a Campidoglio. Il tribuno non
fu seguito, come
dovea, né
dagli
Orsini né dal popolo.
Il tribuno veggendosi così abandonato,
sconosciuto
uscì di Campidoglio, e vennesene in Castello
Sant'Agnolo, e là
nascosamente si dimorò fino alla
venuta
del re d'Ungheria
a Napoli,
a ccui si dice andò
per
mare
sconosciuto in su uno legno. Tale fu la
fine della signoria
del tribuno di
Roma. E nota,
lettore,
che lle più volte, quasi sempre, aviene
a chi si fa
signore o caporale di popoli d'avere sì fatta uscita,
però che di veri segni della fortuna è che' sùbiti avenimenti
di felicità e di vettoria e signoria
mondana
tosto vegnono meno. E bene acade al tribuno il
motto
che disse in sua
rima un savio:
Nessuna signoria mondana dura,
E lla vana speranza t'ha scoperto
Il fine della fallace ventura.
Lasceremo de' fatti di
Roma alquanto, la quale rimase
in più pessimo stato in tutti i casi, che no· lla
trovò il tribuno quando prese di quella la signoria,
credendola per sua audacia
correggerla, essendo in
rovina; e diremo come morì il Bavero che ssi chiamava
imperadore.
L. 13, cap. 106 rubr.
Come morì Lodovico di Baviera chiamato Bavero,
che ssi tenea d'essere imperadore, e fu eletto a nuovo
imperadore Adoardo re d'Inghilterra.
L. 13, cap. 106Nel detto
anno
MCCCXLVII, all'
entrante d'ottobre,
Lodovico di Baviera, che ssi chiamava imperadore,
essendo alla sua
città
e cavalcando
il cavallo
gli cadde sotto, e della detta caduta subitamente morìo
sanza penitenza, scomunicato e
dannato da santa
Chiesa; però che nn'era perseguitore e nimico, come
adietro in più parti avemo fatta menzione. Fu sopellito
dal figliuolo e da' suoi baroni
a grande onore
a
guisa d'imperadore nella sua terra di
Il figliuolo,
ch'avea nome
ed era marchese di Brandiborgo,
uomo
prode e
valoroso, rimase in Alamagna in grande
stato e signoria e ricco. E nota che chi muore in
contumacia di santa Chiesa e scomunicato sempre
pare che faccia
mala fine; e questo si vede palese per
antico e per
novello.
Morto il Bavero, parte delli
elettori dello 'mperio,
ciò furono per contradio
del papa e della Chiesa,
perch'avieno fatto
eleggere e poi
confermato
Carlo
re di Buem quasi per contrario di più signori e popoli
d'Alamagna, vivendo
Lodovico detto Bavero, e
per
dispetto e
dilegione della Chiesa, gli Alamanni il
chiamavano lo 'mperadore di preti, e piccolo séguito
avea in Alamagna,
elessono
a
nuovo imperadore
Aduardo terzo re d'Inghilterra, al quale fu mandata
la lezione con grandi
impromesse di baroni e signori
della Magna, per
agrandillo, e per
dispetto
del re di
Francia, però ch'avea procacciato col papa la lezione
e
confermagione di
Carlo di Buem. Il quale re
Aduardo e 'l suo figliuolo aveano diliberato d'accettare
la detta lezione; ma lla maggior parte de' baroni
d'Inghilterra e'
capi delle
Comuni
nol consigliavano,
e rimase
a tanto sospesa la detta elezione etc
. Lasceremo
alquanto della elezione de' detti
II imperadori,
ch'
a tempo, quando seguissono i loro processi, torneremo
a cciò; e diremo dell'avenimento inn Italia
del re d'Ungheria, che nne segue grandi cose e
novitadi.
L. 13, cap. 107 rubr.Come 'l re d'Ungheria passò inn Italia per andare
in Puglia.
L. 13, cap. 107
Lodovico re d'Ungheria non avendo dimenticato
la crudele e vituperevole
morte fatta in Aversa
del
suo fratello Andreas, al quale succedea d'essere re di
Cicilia e di Puglia, come
stesamente raccontammo in
uno
capitolo adietro, e avendo da' suoi capitani e
genti, i quali avieno per lui rubellata la
città dell'Aquila,
e al continovo
prosperavano
felicemente, come
in quelli processi adietro è fatta menzione, non si
volle più indugiare di venire
a fare vendetta, parendogli
tempo acettevole
a
raquistare il regno di Puglia,
che di ragione per retaggio
del re
Carlo Martello
suo avolo gli succedea. Bene
aventurosamente si
partìo di sua terra d'Ungheria
a dì
III di novembre
MCCCXLVII, sabato mattina un'ora o più anzi il
sole levante, con da cavalieri o più eletti
Ungari,
con molti suoi baroni, e con molto
tesoro e fiorini
contanti da spendere, i quali per abondanza d'oro facea
battere in Ungheria contrafatti
a' nostri fiorini
d'oro, salvo
del nome, che dicieno: «
Lodovico re».
E lasciò in Ungheria
suo fratello re di Pollonia
colla madre e
colla moglie, e
ordinò ch'al continovo
il seguissono gente d'arme, come sofferisse il camino
per lo
caro ch'era stato l'
anno passato, ed era ancora
e di là da' monti e inn Italia. E
a dì
XXVI di novembre
giunse inn Udine; il quale dal patriarca d'Aquilea
fu ricevuto graziosamente. E llà giugnendo gli
ambasciadori
del Comune di Vinegia per
proffereglisi,
i quali isdegnò, e apena gli volle udire tenendosi
gravato dal Comune di Vinegia della presa di Giadra
fatta per loro contro
a suo onore, come
contammo
adietro. E
entrando inn Italia il detto re d'Ungheria,
arrivò
a
Cittadella, e il signore di Padova gli andò incontro
a farli onore, e
profferendoglisi con
D cavalieri,
ma però non volle
entrare in Padova, ma
entrò in
Verona
a dì
II di dicembre; e da meser Mastino della
Scala fu riceuto graziosamente
faccendogli grande
onore; vi soggiornò alcuno dì. E alla sua partita gli
diè
CCC de' suoi cavalieri della migliore gente ch'egli
avesse che gli feciono compagnia fino
a Napoli. Partito
il re di Verona, non volle
entrare in
Ferrara, ma
fece la via da
Modona, e llà giunse dì
X di dicembre;
e da' marchesi gli fu in
Modona fatto grande onore;
e
vennevi meser
Filippino da
Gonzago di signori di
Mantova e di Reggio con
CL cavalieri, e seguillo infino
a Napoli. E partito da
Modona, giunse in Bologna
a dì
XI di dicembre, e dal signore di Bologna fu
ricevuto
a grande onore, non lasciando spendere né
a llui né
a sua gente niuno
danaio in Bologna né in
suo
distretto. Partendosi di Bologna il
conte di
Romagna
che v'era per la Chiesa, no· llo lasciò
entrare
né inn Imola né in
Faenza, ma ne' borghi di fuori albergò.
E il signore di Forlì gli andò incontro fino in
sul
contado di Bologna con
CC cavalieri e mille fanti
a piè in arme, e con grande onore il ricevette in Forlì
a dì
XIII di dicembre,
fornendogli la spesa
a llui e
a
sua gente, e in Forlì
sogiornò
III dì con grande festa
e carole d'uomini e di donne e di
donzelle; e fece cavalieri
il signore di Forlì e li suoi figliuoli e poi altri
Romagnuoli, e meser
Pazzino di
Donati nostro cittadino.
E partito di Forlì, giunse
a
Rimino
a dì
XVI di
dicembre, e da meser
Malatesta fu ricevuto
a grande
onore al modo degli altri signori, e più magnamente,
e là
sogiornò alcuno dì, e di là il
seguì il signore di
Forlì con
CCC cavalieri di sua migliore gente fino
a
Napoli onoratamente. Partito il detto re da
Rimino,
faccendo il
cammino da Orbino giunse in Fuligno
a
dì
XX di dicembre, il quale da meser Ugolino de'
Trinci che nn'era signore, fu ricevuto
a grande onore,
e
soggiornòvi da
III dì. E llà venne
a llui il legato
del papa cardinale, e ragionò co· llui di più cose delle
bisogne
del Regno,
amunendo il re non facesse crudele
vendetta né contra
a' reali divoti di santa Chiesa
e innocenti, e che furono solamente
due quelli che
furono colpevoli, e que' furono giustiziati. Apresso
l'amonìo che contra la signoria di santa Chiesa, di
cui era il Regno, non
dovesse usare signoria né
dominazione
sanza l'asento
del papa e de' suoi cardinali
sotto pena di scomunicazione; bene che di ciò dicesse
che dal papa non avea speziale mandato, ma di
questo il consigliava ed amoniva. Al quale i re rispuose
saviamente e con
alte parole e franche, dicendo
che di sua vendetta non s'avea
a tramettere né elli
né lla Chiesa, e dove dicea che furono
due, sapea di
CC; e che il Regno era suo per giusta successione dell'
avolo, e che riavendo la signoria, come intendea
d'avere
coll'aiuto di Dio, alla Chiesa risponderebbe
di quello che
dovesse
ragionevolemente. La scomunica
a torto, e lli fosse fatta, poco curava, però che
Iddio maggiore che 'l papa sapea la sua giusta impresa;
questo sapemmo da alcuno di nostri ambasciadori,
con cui il legato ne parlò, uomo degno di fede.
Lasceremo alquanto della matera degli andamenti
del detto re, quando e come
entrò nel Regno, e di
suoi processi, che nne faremo assai tosto
nuovo
capitolo,
e diremo inanzi d'una ricca ambasceria che 'l
Comune di
Firenze mandò al detto re e 'l Comune di
Perugia.
L. 13, cap. 108 rubr.
Come il Comune di Firenze mandò una grande ambasceria
a· rre d'Ungheria.
L. 13, cap. 108Sentendo i Fiorentini la venuta
del re d'Ungheria,
e come già era
a Verona, ordinarono di
mandarli una
solenne ambasceria; ciò furono gl'infrascritti
X grandi
popolani, e niuno di grandi, cioè di noboli, per
gelosia che' grandi no· llo
'nformassono in nullo caso
contra lo stato
del popolo. E in questa parte i rettori,
e quelli
del loro
consiglio che ll'ebbono
a provedere,
da' savi ne furono ripresi, imperò che diedono matera
a' grandi e noboli di sdegno essendo
ischiusi degli
onori
del Comune in sì fatto caso, e da
dovere più
tosto
criare
discordia cittadina, e al signore fare amirare.
E più chiaro
consiglio e migliore per lo Comune
era
ad avervi mandati tra' detti ambasciadori almeno
tre di noboli buoni uomini e confidenti al popolo;
ma quello che
pare all'
empito
del popolo non
si può riparare, con tutto che lle più delle volte sia
con
mala uscita. I detti ambasciadori furono questi:
messer Antonio di
Baldinaccio degli
Adimari, tutto
fosse di più grandi e noboli, per grazia era messo tra
'l popolo, messer Oddo
Altoviti giudice, messer
Tommaso de'
Corsini giudice, messer Francesco degli
Strozzi, messer Simone de'
Peruzzi, messer Andrea
delli
Oricellai, cavalieri popolani; Antonio degli
Albizi, Vanni di
Manno di
Medici,
Gherardo di
Chele Bordoni,
Pagolo di
Boccuccio de' Capponi;
questi
III ultimi si feciono fare cavalieri al detto re.
Ciascuno di detti ambasciadori per ordine
del Comune
si vestiro di roba di scarlatto
a
tre guernimenti
federate di vaio. E
ciascuno con
due o tre compagni
vestiti tutti insieme d'un panno divisato molto apparente.
E oltre
a cciò
ciascuno almeno
due
donzelli,
e cchi
tre, vestiti d'una assisa d'una partita, e co· lloro
II cavalieri di
corte; onde furono con da
C cavalli e
bestie,
colle some, che non si
ricorda
a' nostri dì sì
ricca e onorevole ambasciata ch'uscisse di
Firenze. E
partirsi di
Firenze
a dì
XI di dicembre, e giunsono il
re d'Ungheria in Forlì, e llà gli feciono la riverenza; e
da llui furono ricevuti graziosamente, e simile molto
onorati da quelli signori di
Romagna. E re volle
a
cautela e magnificenza di sé il seguissono infino
a
Filigno; ma
a
Rimino gli
sponessono loro ambasciata,
la quale ambasciata e
risposta fu nella forma ch'è
ritratta qui apresso per meser
Tommaso
Corsini,
che nne fu dicitore. E poi giunti
a
Filigno,
pregato il
re da' nostri ambasciadori, di buona voglia fece i sopradetti
III delli ambasciadori cavalieri di sua mano
con gran festa; e poi il dì apresso si partì di
Filigno, e
andonne verso l'Aquila, e lli ambasciadori nostri tornarono
in
Firenze
a dì
XI di gennaio.
L. 13, cap. 109 rubr.
Ambasciata sposta a Rimino per gli ambasciadori di
Firenze al re d'Ungheria mandati, recitata nel cospetto
del re e del suo consiglio per meser Tommaso Corsini
in gramatica con molti alti latini; fatta volgarizzare per
seguire lo stile.
L. 13, cap. 109
Priegoti che gli occhi tuoi stieno aperti alla mia
orazione, la quale oggi dinanzi
a tte farò per tuoi figliuoli
e devoti. Le parole predette sono parole di
Geremia profeta, le quali si discrivono nel proemio
del
libro suo.
Serenissimo principe, il quale
a tutti l'Italiani siccome
splendida e chiara
stella gitti razzi, e 'l quale
per la chiarezza di te ogni altro lume di splendore diminuisci,
siccome aviene alla luna e alle stelle in
comperazione
a dDio, nel cospetto
del quale la luna
non
risprende, le stelle non
tralucono e
immonde sono.
La presente orazione, la quale con istupore e
paura parlerò per tanta presenzia di così grande re,
futura è di grande e alta materia, la quale infino
a'
cieli passerà l'onore e llo stato reale da ogni parte riguardando,
per la quale ancora
dipenderà lo stato
de' devoti della casa reale, la quale se sarà con soavità
d'amore compresa,
dolcissimi frutti partorirà e
graziosi avenimenti aparecchierà. Questa è orazione,
per la quale i Fiorentini
veghievoli con animata
devozione
a'
pregenitori tuoi
igualmente e
a tte la
tua celsitudine
amantissimamente destano, acciò che
quella desta, tutte le nebbie passino via, e al tutto
venghino meno. Sieno adunque intorno alle parole
promesse gli occhi della tua maestà aperti alla mia
orazione, acciò che per quello, sì allo stato reale, come
allo stato de' suoi divoti si possa salutevolmente
provedere. La presente orazione, acciò che quelle
cose che ssi
debbono dire
chiaramente si possano vedere,
si divide in tre parti: la prima è
raccomandatoria
e
offeritoria, la seconda
narratoria e
supplicatoria,
la terza
confutatoria.
Al primo: i priori dell'
arti, e gonfaloniere di giustizia,
il popolo e 'l Comune della
città di
Firenze
imposono
a nnoi che
a' piè della tua maestà loro e lla
loro
città e tutti gli altri divoti d'Italia raccomandare
con riverenza
dovessimo, e que' Fiorentini siccome
devotissimi, e lla loro
fiorentissima
città siccome
muro
e steccato reale, con quella
devozione, con che
a'
tuoi
pregenitori, siccome
a' padri e benefattori suoi,
essere suti fatti la
publica
fama il manifesta,
a tte come
degnissimo capo della tua schiatta pe' nostri raportamenti
ti
dobbiamo offerere quelle cose, che con
allegro animo
raportiamo e
narriamo,
suplicandoti
che lla reale
ecelsitudine la racomandagione e
ll'oferta
di tanti tuoi devoti con graziosi effetti degni d'accettare.
Al secondo: quale Fiorentino, se uomo si può dire,
per virtude puote esere dimentico della
divozione e
della
benevolenzia tra lla casa reale e' tuoi
pregenitori
e 'l Comune di
Firenze da lunghi tempi congiunta,
e con graziosi effetti e diversi avenimenti per successione
di tempo aprovata?
A tte ancora, amantissimo
principe, si
conviene di questa
benivolenza de' tuoi
pregenitori, e della nostra
devozione, almeno per
udita e per notoria
fama, la quale questo nell'universo
mondo grida esere manifesta. Noi ancora della
circuspezione reale, e ancora
del
circulato de' cavalieri
di quella, è convenevole de' lor fatti
rinovare
memoria, acciò che non periscano per lo passamento
del passato tempo quelle cose che hanno
meritato in
perpetuo avere vigore. Se adunque con
attento animo
rivolgerai le cose fatte magnifiche e benifici della
prechiara memoria
del
cristianissimo principe re
Carlo
trisavolo
tuo, or none i Fiorentini guelfi, della
città di
Firenze cacciati,
colla sua
potenzia e con armata
mano in quella
città
groriosamente rimise? Se
del secondo re
Carlo bisavolo
tuo le cose fatte rivolgerai,
partissi elli dall'opere
del padre suo? Certo no.
Ma con quello proveduto e
favorevole seguire lui seguitando,
molti beni
a' Fiorentini fece. Se
del sapientissimo
de' savi re Ruberto
tuo
zio, il quale fu
specchio
non corrotto di tutti i re (avegna che per generazione
Ruberto, e per unzione re Ruberto fosse nomato,
per la smisurata e non udita sapienza, per una
regenerazione
dovrebbe esere apellato
novello Salamone),
i suoi fatti rivolgerai, partissi elli dalle vie de'
suoi
pregenitori? Or none. Quando della degnità
ducale
usava
ad
istanza di Fiorentini
a
strignere e vincere
la
città di Pistoia, con
risprendevole compagnia
di cavalieri
personalmente venne. E poi venuto
a dignità
reale partissi elli dalle cose incominciate? O innumerevoli
benifici
a quelli Fiorentini fece, in tanto
che in caso
del bisogno al suo unigenito figliuolo
non perdonasse? Che se rivolgerai le cose fatte da
meser
Filippo prencipe di Taranto, che se di meser
Piero suo fratello grandi tuoi zii, che se di meser
Carlo figliuolo
del detto meser lo prencipe di Taranto
consubrino
tuo le cose fatte ripensi, none i
due ultimi
moriro nel piano da Montecatini vincendo i nimici,
e il loro sangue
battaglievolmente fu sparto, il
quale sangue ancora della terra
crudelmente grida?
Qua' lingua, quantunque eloquente, tante cose potrà
narrare? Certo, meglio sotto silenzio è passare che
più parlarne, con ciò sia cosa che per silenzio
a
dirittamente
raguardanti più e maggiori cose si
deano
a
'ntendere. Adunque, acciò che' detti benifici non
paiano dimenticati, la nostra intenzione è questa
eziandio, se de' fanciulli
infanti
domandi, i figliuoli,
le ricchezze, la vita e
ll'essere
ricognosciamo essere
proceduta de' detti tuoi
pregenitori. Ma sse adomandi
quello che abbiamo fatto
a questi tuoi
pregenitori,
e
llicito è de' fatti benifici
racordare, che feciono i
Fiorentini contra lo scomunicato re Manfredi? Che
contro
a
Curradino? Che contro allo 'mperadore
Arrigo?
Che contro al Bavero
dannato?
A' quali i detti
Fiorentini
contastanti, per conservare la casa reale,
con gran
potenza si fecero. L'altre cose sotto silenzio
passiamo, sotto il quale silenzio la reale
circuspezione
eziandio più e maggiori cose comprenderà. Le
quali sono ancora più
vere che lle
suddette, in tanto
che nnoi non siamo solamente de' tuoi
pregenitori e
di te figliuoli d'
adozzione, ma più tosto congiunti di
vera natura. Re adunque gloriosissimo, chi potrà sì
fatta congiunzione e
devozione individua spartire?
Chi lla potrà
divellere o
maculare o turbare? Certo,
niuno. Per le dette adunque cose la
preghiera nostra
è questa,
reverendissima corona, che tti preghiamo
che gli occhi della tua celsitudine
a nnoi e
agli altri
devoti d'Italia
benignamente
converti, acciò che
sempre nel cuore reale sia
legame indissolubile di
benivoglienza e d'amore, e quello non
abandoni, ma
in te per uno ordine di successione si palesi quella
divozione ed amore
indissolubole radicata ne'
cuori
de' Fiorentini
a tte siccome
a padre e benifattore nostro
pe' nostri e delle dette comunità
preghieri ci offeriamo,
com'è detto.
A l'ultimo: avegna Idio, amantissimo prencipe,
che lla maestà reale la
circunvenzione degli
emuli e lle
sforzate macchinazioni
a suo podere con somma
provedenza
scacci, neentemeno la faccia di detti invidiatori,
che con tante
arti con tanti
colori adornati
con somma ragione noi proveduti e cauti ci rende, e
ancora ci strigne la maestà reale di queste cose informare,
e ancora più attentamente
pregare, acciò che
nelle vie de' suoi
pregenitori
fermamente perseveranti
li sforzamenti di quelli
emuli, siccome
contagioso
morbo, con sottile ingegno di lungi da ssé cacci
e distrugga. Per la qual cosa l'astuzia de' detti
emuli diverrà vana e non potrà
prevalere, ma come
il fieno subitamente si secchi, e
ll'amore nostro e degli
altri della casa reale devoti
crescerà e sarà immutabile.
Dio altissimo benedicenti e lodanti, e sanza
fine dicenti: «Benedetto che venne nel nome
del
Signore».
L. 13, cap. 110 rubr.Risposta fatta in presenzia della maiestà reale ivi
per lo venerabile uomo messer Giovanni, cherico di Visprimiense,
a ccui il re la risposta commisse.
L. 13, cap. 110«L'ambasciata
del Comune di
Firenze così solennemente
e ordinatamente
esposta messere lo re volentieri
ha udita, e lle cose fatte de' suoi
pregenitori,
ella
benivolenza, la quale al Comune di
Firenze,
a'
Fiorentini e
a quella
città, i
pregenitori suoi sempre
hanno avuto, e lla congiunzione che sempre fu intra
lloro e col Comune predetto, con grazioso animo
ha acettato, offerendosi ancora quella sempre servare,
e lle vie de' suoi
pregenitori sempre sequitare».
E mentre che 'l detto eletto questa
risposta facea,
il re gli s'acostò all'orecchio manco, e in silenzio
a llui
parlò, il quale eletto incontanente disse: «Il nostro
signore dice ch'elli intende i Guelfi d'Italia sempre
avere raccomandati».
Poscia che giunti fummo
a
Filigno, e quivi furono
gli onorevoli ambasciadori
del Comune di Perugia, e
avuta tra nnoi e lloro
collazione e diliberagione, in
prima co· lloro ci
rapresentammo dinanzi al cospetto
reale, e quelle cose in diversi
sermoni spartitamente
e per loro e per noi alla maestà reale furono recitate,
le quali erano inn effetto una medesima cosa, in comune
sermone recate per lo detto meser
Tommaso
di comune concordia dell'uno e dell'altro Comune
furono
sposte. Il quale, oltre alle predette, lo stato
e lla libertà de' detti Comuni e degli altri di
Toscana
e di tutta Italia, divoti della casa reale e de' suoi
pregenitori,
alla
escelsitudine reale raccomandò. Il re
udite le predette cose, tutte graziosamente accettò, e
offersesi di fare tutte quelle cose che nella detta pitizione
erano pienamente
narrate e che il Comune di
Firenze, e quello di Perugia, e di Siena, gli rimandassono
per comune
due o tre di loro ambasciadori savi
e discreti, i quali voleva nel Regno intorno
a llui per
suo
consiglio; e
a' detti ambasciadori diede graziosamente
congio di tornare
a
Firenze. I nostri ambasciadori
partiti di
Filigno, vennero
a Perugia, e quivi
sogiornarono
alquanti dì
a parlamentare col legato cardinale,
e co' rettori di Perugia e cogli altri ambasciadori
de' Comuni ch'erano stati
a· rre d'Ungheria, dello
stato di
Toscana e
del paese intorno in benificio di
parte guelfa e della Chiesa, per la venuta
del detto re
d'Ungheria e dello imperadore
Carlo suo suocero,
che parea loro che 'l detto re avesse presa troppa
famigliarità co' tiranni e signori di Lombardia e di
Romagna e della Marca di parte ghibellina. Il quale
legato consigliò i detti Comuni che mandassono loro
ambasciadori al papa
a
pregarlo s'
intraponesse,
che llo imperadore
Carlo non passasse, acciò che lla
parte imperiale non
crescesse
collo
apoggio e favore
della
potenza
de· rre d'Ungheria suo genero, e che cciò
piacerebbe al papa e
a' cardinali, e ch'elli ne sapea
bene l'oppinione suo segreto, e s'elli l'avea
creato
e fatto, era per contrario
del
dannato Bavero, vivendo;
ma
dapoi ch'era morto, non facea per la Chiesa
che lla signoria
del detto
Carlo,
colla
potenza
del
re d'Ungheria signoreggiando il Regno,
crescesse in
Italia: questo segreto sapemmo da alcuno di nostri
ambasciadori. E nota,
lettore, l'essempri de' rettori
di santa Chiesa, di fare e di volere disfare la signoria
dello 'mperio
a ssuo utile e beneplacito; e questo
basti.
L. 13, cap. 111 rubr.Come il re d'Ungheria entrò nel Regno, ed ebbe la
signoria a queto e sanza contasto.
L. 13, cap. 111
Sogiornando in
Filigno il re d'Ungheria
II dì con
grande festa, e fatti cavalieri i detti di nostri ambasciadori,
come detto avemo, e fatti cavalieri più altri
e di Perugia e di
Filigno e della Marca e
del
Ducato,
e poi si partì di
Filigno
a dì
XXII di dicembre, e giunse
all'Aquila la
vilia di
Natale, e là fece la festa, e
vennevi all'Aquila
a· rre il
conte di
Celano, e 'l
conte
di
Loreto, e 'l
conte di San
Valentino, e Nepoleone
d'
Orso, e più altri
conti e baroni d'
Abruzzi, e feciono
l'omaggio e fedaltà al detto re; poi si partì dall'Aquila,
fatta la festa di
Natale, e
andonne col
conte di
Celano
a Castello Vecchio sua terra. E
a dì
XXVII di
dicembre
entrò il re in Sermona, e da' Sermontini fu
ricevuto onoratamente come loro signore; e partito
di Sermona n'andò
a Castello di
Sanguine e poi
a
Sarno, e di là n'andò
a
Bruzzano; e ivi presso
a
tre
miglia avea
due castelletta, dov'erano meser Niccola
Caraccioli e meser Agnolo di Napoli, i quali feciono
alcuna
risistenza, onde furono combattuti dalla gente
del re, e per forza vinti e tutti rubati, e poi arsi; e'
detti
II cavalieri
napoletani presi con più altri.
E sappiendo il re che
a Capova era messer Luigi e
gli altri reali co· lloro sforzo di gente d'arme, non si
volle mettere al contasto di quella gente né
del passo
del fiume
del
Voltorno, che llà è molto grosso e profondo,
e però fece la via che fece
anticamente il re
Carlo vecchio per la
contea d'
Alifi da
Marcone, e poi
arrivò
a
Benevento
a dì
XI di gennaio; e giugnendovi
la sua gente, que' di
Benevento per tema d'esere rubati,
ch'assai
danno avea sua gente di ratto fatto per
cammino, e però serrarono le porte. Ma quando vidono
la persona
del re, s'asicurarono, e ll'apersono.
E venuto il re in
Benevento, vi
sogiornò da
VI dì, e llà
venne tutta la sua gente dall'Aquila e ch'erano stati
a Tiano; e in quello paese, e con suoi
Ungari e con
Lombardi e Romagnuoli, ch'erano venuti al suo
servigio,
si trovò in
Benevento con più di
VIm cavalieri e
popolo infinito; e llà vennero tutti i baroni
del paese
a farli reverenza e omaggio. E
vennevi una grande
ambasceria da Napoli,
a profferelli la terra, come
a lloro
signore. Sentendo i reali e gli altri baroni ch'erano
a Capova con meser Luigi che il re era
a
Benevento,
e
prosperava
felicemente e sanza contasto, si
partirono co· lloro gente, e andarono
a Napoli,
abandonando
meser Luigi, e lasciandolo con
poca compagnia,
e ordinaro di venire al re
a farli reverenza,
come s'apressasse
a Napoli. Lo re si partì di
Benevento
a dì
XVI di gennaio, e venne
a
Mattalona, e nella
sua partita que' da
Benevento s'
armaro, e azzuffarsi
co'
malandrini che seguivano l'oste
del re e rubavano
dove poteano, ed
ebbevi de' morti assai d'una
parte e d'altra, e fu arso parte d'un borgo di
Benevento.
La reina Giovanna, che ss'era ridotta e aforzata
nel castello di Napoli, sentendo che 'l re
venia con
tanta forza verso Napoli,
nascostamente e di notte,
a
dì
XV di gennaio, si partì
del castello con sua privata
famiglia e con quello
tesoro che potéo trarre
del castello,
che poco ve n'era rimaso, si nn'era fatta
mala
guardia dopo la
morte
del re Ruberto, e per la via di
Piedigrotta si ricolse la reina in su tre
galee armate di
Provenzali, ch'ella avea fatte stare in concio, e fecesi
porre
a
Nizza in
Proenza
a dì
XX di gennaio; come
fece in
Proenza diremo poi assai tosto in altro
capitolo.
Messer Luigi sentendo come la reina s'era partita
di Napoli, e 'l re d'Ungheria
prosperava
felicemente,
di notte con meser Niccola
Acciaiuoli suo fidato
compagno e consigliere, parendo loro male stare,
e veggendosi abandonato
dagli altri reali e baroni,
si partirono di Capova, e vennero
a Napoli. E
non
trovandovi
galea armata, con grande
fretta e
paura si ricolsono co· lloro privata famiglia su un
panfilo, non potendo avere
galea di cui si
fidassono;
e con quello, con grande pena e
misagio, arrivarono
a Porto
Ercole in Maremma, e llà scesono
a dì
XX di
gennaio, e vennero
a Siena
a dì
XXIIII di gennaio
privatamente;
e poi nel
contado di
Firenze vennero, e llà
sogiornarono alquanto, come in altro
capitolo diremo
più
steso, tornando
a dire de' processi
del re
d'Ungheria, e della
morte
del
duca di
Durazzo e della
presa degli altri reali.
L. 13, cap. 112 rubr.Come il re d'Ungheria fece morire il duca di Durazzo,
e fece pigliare gli altri reali, e come entrò in Napoli.
L. 13, cap. 112Partito il re d'Ungheria di
Benevento, fece la via
da
Matalona, e giunse in Aversa
a dì
XVII di gennaio.
Que' d'Aversa ebbono gran paura, perché si dicea
che 'l re la farebbe distruggere, perché v'era morto
il re Andreas suo fratello, e
nascosono e sotterrarono
tutto loro
tesoro e cose care; ma il re
ordinò un
suo vicaro chiamato fra
Moriale con suoi
Ungari in
arme alla guardia della terra, e fare giustizia di rubatori
e
malandrini, ch'assai ne seguivano suo oste. E
inn Aversa soggiornò il re da
VI dì, dimorando nel
castello reale d'Aversa. E llà vi vennero più di mille
gentili uomini di Napoli
a vedere il re, e
vennevi il
conte di
Fondi, nipote che ffu di papa Bonifazio, di
Campagna, con
D cavalieri al suo
servigio; e più altri
baroni
del paese vi vennero
a farli omaggio.
Vennervi
i reali, ciò furono il
prenze di Taranto, nominato
Ruberto, con
Filippo suo minore fratello; che meser
Luigi, come avemo detto, s'era fuggito da Napoli. E
vennevi
Carlo
duca di
Durazzo, e meser Luigi e Ruberto
suoi fratelli, e figliuoli che furono di meser
Gianni
prenza della Morea. E venne co· lloro
Giovannone
di
Cantelmo, e
Giufredi
conte di
Squillaci
amiraglio
del Regno con molti altri baroni e cavalieri
(avendo il re data loro
fidanza, con
patto che non
fossono stati colpevoli della
morte
del fratello), e
giunti al re al castello d'Aversa, gli feciono omaggio;
e tutti gli baciò in bocca e
diè loro
desinare; e cciò fu
dì
XXIII di gennaio. E dopo mangiare il re fece armare
tutta sua gente, ed elli medesimo s'armò, e mossesi
per venire
a Napoli, e' reali disarmati cogli altri
baroni intorno di lui
faccendogli compagnia. E come
furono
a cavallo, il re disse al
duca di
Durazzo:
«
Menatemi ove fu morto Andreas mio fratello». Il
duca disse: «Non ve ne travagliate, ch'io non vi fu'
mai»,
credendolo levare dall'oppenione, e già temendo
per li
crudi sembianti
de· rre. Il re disse vi pure
voleva andare
a vedere; e giunti al monistero di
frati di
Maiella, smontò da cavallo, e saliro in sulla
sala e al
gueffo, cioè sporto sopra il giardino, ove il
re Andreas fu gittato
strangolato e morto. Allora il re
si volse al
duca di
Durazzo, e
dissegli: «Tu fosti traditore
e adoperatore della
morte
del
tuo signore e
mio fratello e adoperasti in
corte col
tuo
zio cardinale
di
Peragorga, che
a tua pitizione s'indugiò e non si
fece, come
dovea, per lo papa la sua coronazione. Lo
quale indugio fu cagione della sua
morte, e con frode
e inganno ti facesti dispensare al papa di torre per
moglie la tua
cugina sua cognata, acciò che llui morto
e lla reina Giovanna sua moglie, tu
succedessi
ad
esere re; e sse' stato in arme contro alla nostra
potenza
col traditore meser Luigi di Taranto
tuo
cugino, e
nostro ribello e nimico, il quale ha fatto come tu,
con frode e sagrilegio sposata quella rea femmina e
adultera e traditrice
del suo signore e
marito, Giovanna
moglie che ffu d'Andreas nostro fratello. E
però e'
conviene che ttu muoia ove facesti morire
lui». Il
duca di
Durazzo si volea
scusare non colpevole,
e domandò al re misericordia. Lo re gli disse:
«Come ti puo' tu
scusare?», mostrandogli
lettere
con suo
suggello ch'elli avea mandate
a
Carlo d'
Artugio
del trattato della
morte d'Andreas. E incontanente,
come avea ordinato, il fedì nel petto, che non
avea arme, uno meser
Filippo
ungaro, e poi lo prese
uno per li capelli; e 'l detto meser
Filippo gli tagliò la
gola, non però
afatto il
collo, ma de' detti
colpi morì
di presente. E da certi
Ungari che gli erano d'intorno
fu preso e gittato da quello
verone nel giardino ove
fu gittato Andreas, e comandò
nogli fosse data
sepoltura
sanza sua licenzia. E cciò fatto, com'era ordinato,
gli altri
IIII nominati reali furono
presi e
messi in
buona guardia di cavalieri
ungari nel castello d'Aversa;
e di certo si disse, e crede, che s'elli avesse preso
co· lloro meser Luigi e lla reina, tutti gli avrebbe fatti
morire co· llui. E loro presi, tutti i loro
cavalli e arnesi
furono rubati, e simile i loro
ostelli di Napoli, salvo
quello
del
prenze di Taranto. E lla moglie
del
duca
di
Durazzo, ch'era in Napoli, di notte, mal
vestita e
peggio in arnese, con
due sue piccole fanciulle in
braccio, si fuggì nel munistero di Santa
Croce, e poi
di là
nascosamente vestita in abito di frate, e con
poca
compagnia, arrivò
a
Montefiascone al legato; e
poi
isconosciuta se n'andò verso
Francia. Tale fu la
fine
del
duca di
Durazzo, e lla
presura degli altri reali,
e
scacciamento di loro donne e di loro famiglie.
Per molti se ne fece quistione, opponendo al re
tradimento
del suo sangue, avendogli fidati e baciati in
bocca, e caritevolemente
mangiato co· lloro, e poi fatto
morire il
duca di
Durazzo, e gli altri reali innocenti
presi. Altri dissono che non era
tradimento
a tradire
il traditore, se colpa v'ebbe, come gli oppose. Ma
per li savi si giudicò che questa
crudeltà e quello ne
seguì di male fu dispensato e premesso da dDio per
li
ladii peccati comessi nello re Andreas, ch'era giovane
e innocente, che per lo peccato della invidia e
covidigia della signoria sua con superbia fu commesso
tradimento con
iscellerato paricida di loro signore,
e ancora ci fu il laido e abominevole peccato per
cagione d'avolterio e sacrilegio tra congiunti, come
avemo adietro fatta menzione, che ffu cagione della
morte di quello innocente. E già la vendetta d'Iddio
non passa sanza penitenzia e
meriti di sì
innormi
peccati. La
presura degli altri reali fece più per sua
sicurtà, che per colpa ch'avessono, se non d'essere in
arme
a Capova contra
a llui.
Lo re d'Ungheria quello medesimo dì, dì
XXIIII di
gennaio, con sua gente armati ed elli medesimo armato
colla barbuta in testa, con una
sopravesta indosso
di sciamito porporino ivi su i gigli di
perle seminati,
entrò in Napoli, e non volle palio sopra capo
né altra pompa, com'era aparecchiato per lui dalli
Napoletani di fare. E smontò
a Castello Nuovo, e intese
a riformare la terra e il reame, faccendo
nuovi
dicreti e
nuove inquisizioni della
morte di suo fratello,
e
rinovando ufici e signoraggi, e togliendogli
a cchi
trovò colpevoli, e
dandoli
a chi l'avea servito, che
sarebbe lunga mena
a dire. I Napoletani i più erano
tristi e in paura, sì per le
grascie degli ufici
del Regno
e
vantaggi ch'avieno da' reali; e allora furono
mutati
e tolti essi per la
morte
del
duca; che, come
dice
Seneca,
chi
a uno offende molti ne minaccia. Ivi
a pochi
dì mandò il re
a Castello dell'Uovo per lo fanciullo
si dicea rimaso dello re Andreas, nominato
Carlo Martello, e
videlo graziosamente, e
fecelo
duca
di Calavra. E con buona compagnia di
cameriere e
di balie che 'l nodrivano e governavano, inn una bara
cavallereccia nobilemente
a dì
II di febraio il mandò
ad Aversa, e di là, cogli altri reali che v'erano presi,
con buona guardia d'
Ungari il mandò
ad Ortona,
e di là per
mare passarono inn
Ischiavonia, e di là in
Ungheria. Avendo assai larga prigione, con buona
guardia si riposano co· lloro vergogna in Ungheria, e
con poco onore, e meno da spendere. E così si muta
la fortuna di questo secolo in poco tempo, altrui par
essere in maggiore stato.
L. 13, cap. 113 rubr.Come di soldati stati al servigio del re d'Ungheria e
di quelli stati con messere Luigi di Taranto si fece una
gran compagnia.
L. 13, cap. 113Riformato il re d'Ungheria la sua signoria in Napoli,
e mandati i reali suoi congiunti in Ungheria,
trovò che uno
duca
Guernieri tedesco stato al suo
soldo, e capitano di sua gente dall'Aquila, il
dovea
tradire per danari
a petizione
del re Luigi e della reina;
della quale tradigione apellò, e vollesi combattere
in campo contra uno signore tedesco che ll'avea
accusato; ma llo re
saviamente procedette di non volere
loro quistioni. Ma 'l detto
duca e gli altri soldati
che ll'aveano servito pagò
cortesemente, e fece giurare
loro di non prendere soldo dalla Chiesa di
Roma
né dalla reina, né da meser Luigi, né da nullo suo nimico
né contrario, né da meser
Luchino Visconti di
Milano, né di non essere contra llui né suoi amici,
spezialmente contro
a' Fiorentini, Perugini, e Sanesi;
e diede loro congio, ch'uscissono
del Regno cogli altri
soldati ch'erano stati al soldo della reina e di meser
Luigi. E feciono una compagna, onde fu capitano
il detto
duca
Guernieri, e furono intorno di
IIIm cavalieri,
e vennersene in Campagna nelle contrade di
Terracina vivendo di
ratto. E partita
del Regno la
detta compagna, se n'andò il re in Puglia in pellegrinaggio
al Monte Santo Agnolo e San Nicolò di
Bari,
e per
sagire i baroni e paese di Puglia alla sua signoria,
e per cessare la
pistolenza della mortalità, che già
era cominciata
a Napoli grandissima; e 'nanzi si partisse
di Napoli mandò al Comune di
Firenze e
a
quello di Perugia e
a quello di Siena per suo messo
a ccavallo la 'nfrascritta
lettera, la quale facemmo
volgarizzare
a verbo, ch'era in
latino; e il messo che
mandò fu vestito nobilemente, e
donatoli cavallo e
danari dal nostro Comune, e
dagli altri.
L. 13, cap. 114 rubr.La lettera che mandò il re d'Ungheria al Comune di
Firenze.
L. 13, cap. 114«
A' nobili e potenti signori priori, e
consiglio e
Comune della
città di
Firenze, amici nostri carissimi
e diletti,
Lodovico per la Dio grazia re d'Ungheria,
di Ierusalemme, e di Cicilia. Imperò che,
favorandoci
la divina
potenza e grazia, noi tegniamo
libero e
intero tutto il regno di Cicilia di qua dal
Faro,
a noi
già lungo tempo per debito di ragione conceduta,
siccome la
evidenza
del fatto
a tutto il
mondo fa manifesto
e dichiara, noi
ad alcuni soldati
a cavallo,
del
servigio de' quali noi al presente non
abisognamo,
con
sodisfazione piena e intera prima
a lloro fatta,
facemmo dare licenza,
intra' quali il
duca
Guernieri
con certi suoi seguaci fu l'uno, dal quale corporal
giuramento alle sante Idio Vangele ricevemmo con
lettere della sua promessione fatte alla nostra
eccellenza,
che contra alla maestà nostra, o contra alcuni
diletti nostri o fedeli, e spezialmente e
nominatamente
contra
a voi, overo la vostra comunità o
città o
distretto
vostro, niuna
cospirazione farà lega, overo
compagnia, pel protesto, da casione, della quale noi
o voi, o qualunque altri nostri diletti o fedeli, potessimo
essere
dannificati,
molestati o
perturbati inn
alcuno modo. Ma imperò che niuna fede e niuna
pietà è in
coloro che seguitano le battaglie, e il detto
duca
Guernieri hae altre volte molte
pericolose cose,
sotto protesto di compagnia, ausate di fare, e però
alla dilezione e carissima amistà vostra con chiara
effezione
vi rechiamo
a memoria, acciò che con diligente
cura e sollecitudine veghiate, acciò che alcuna
malvagia
concezione o rea
effezione di quelli soldati
non potesse
a voi generare alcuno
nocimento. E se
avenisse che per l'aversità di detti soldati o d'altri nostri
invidiatori contra voi o lla vostra
città in alcuna
nocevole cosa volesse mandare fuori suo veleno, infino
ad ora siamo pronti con tutto il nostro podere
a
voi dare il nostro aiuto e
consiglio opportuno, acciò
che lla sincerità dell'amore, il quale tra'
generitori
nostri e voi già lungo tempo fu ed è
indisolubile, insieme
con noi
perseveri e
continuamente s'acresca
e lli rei de' suoi malivoli propositi e
innique operazioni
confusione
patiscano, e pene sempiterne.
Data
in Napoli nel nostro castello, dì
VIIII del mese di febraio,
prima
indizione».
E nota,
lettore, come
felicemente e
prosperamente
il re d'Ungheria passò inn Italia sanza alcuno contasto,
ma
fattoli grande onore e reverenza, e
datoli aiuto
di cavalieri da tutti i signori e Comuni guelfi e ghibellini
che trovò per camino; che ffu tenuta gran cosa,
e quasi maravigliosa, che in
LXXX dì che si partì
di suo paese, fece in gran parte la vendetta
del suo
fratello Andreas, ed ebbe
a
queto il regno di Puglia,
per lo piacere di Dio, sanza contasto o battaglia; che
per li più si stimò che se meser Luigi e gli altri baroni
e reali
del Regno ch'erano ragunati
a Capova fossono
stati d'accordo e messosi al contasto, mai non
avea la signoria. Ma
a ccui Iddio vuole male per le
peccata gli toglie il podere e lla concordia. E 'l
Cresiastico
dice: «Il regno si trasporta di gente in gente
per le ingiustizie e ingiurie e contumelie e diversi inganni
etc
.»; e così
pare
manifestamente che per giudicio
d'Iddio avenisse
a' reali
del regno di Puglia, e
desse
prosperità al re d'Ungheria. Ben si disse per alcuno
astrolago che venne co· llui d'Ungheria ch'elli si
partì di sua terra, come dicemmo adietro,
a dì
III di
novembre la mattina, e prese l'ascendente di sua
mossa onde fece la figura che
disegneremo qui
apresso e come si può vedere.
}figura{
Il suo ascendente
pare che fosse il
segno dello
Scorpione
a gradi
VIIII e llo suo signore pianeta, cioè
Marti, il qual era nella
X casa, che ssi dice casa reale,
e nella faccia di Giovi e
termine di Venus
fortunati, e
nel
segno
del Leone sua
tripicità, e atribuito al paese
d'Italia, e con
capud Dragonis fortunato e forte,
ch'assai chiaro mostrò in parte quello che lli avenne
in suo avenimento. L'altre significazioni e suo fine
giudichi chi è dell'
arte d'
astrologia maestro. Ma
noti
che quando il re
entrò nel Regno, ciò fu
a dì
XXIIII di
dicembre, il suo pianeto Marti cominciò
a retrogradare;
e quando
entrò in Napoli ed ebbe la
dominazione,
dì
XXIII di gennaio, era
retrogradato. Lasceremo
di questa matera, che non era di necessità al nostro
trattato; ma per dare alcuno diletto
a cchi della
scienzia s'intende il ci misi. Ancora lasceremo di
processi
del re d'Ungaria, e diremo come la reina
Giovanna e meser Luigi ella prenzessa di Taranto
arivarono in
Proenza.
L. 13, cap. 115 rubr.Come mesere Luigi di Taranto e lla reina Giovanna
arrivarono in Proenza.
L. 13, cap. 115Come in breve dicemmo adietro, quella che ssi facea
chiamare la reina Giovanna, moglie che ffu
del
re Andreas, arrivò
a
Nizza in
Proenza
a dì
XX di gennaio
con tre
galee, e in sua compagnia meser
Maruccio
Caraccioli di Napoli, cui ella avea fatto
conte camarlingo,
e di sua compagnia
colla reina si parlava
infama di male e di sospetto. Come presono porto
a
Nizza, se n'andaro
ad
Acchisi; e lloro giunti inn
Acchisi, il
conte d'
Avellino de' signori
del Balzo e il
signore di Salto con altri maggiori baroni di Provenza
furono alla detta reina, e di presente feciono pigliare
il detto meser
Maruccio con
VI suoi compagni,
e mettere nella pregione di
Nuva. La reina con cortese
guardia menaro
a Castello
Arnaldo, e nullo le potea
parlare in segreto sanza la presenza de' detti baroni
di Provenza; però ch'erano
entrati in sospetto e
gelosia, ch'ella non facesse scambio della
contea di
Provenza
a un'altra
contea di
Francia con meser
Gianni figliuolo
del re di
Francia e suo
cugino, il
quale in quelli giorni era venuto al papa
a
Vignone
col
conte d'
Armignacca, e
statone in trattato col papa,
onde i Provenzali s'erano molto
iscandalezzati,
non volendo esere sottoposti al re di
Francia, e quasi
voluto fare
rubellazione di
Proenza col
Dalfino di
Vienna per la detta cagione, e
a petizione
del re
d'Ungheria; per la qual cosa il papa temendone ne
rimandò
mesere
Gianni in
Francia, e
contentollo di
molti danari; dissesi di fiorini
CCm contanti e lle
decime
del reame di
Francia per
V anni
a venire
a pagare
in
due, che sono grandissimo
tesoro. E così si
dispensa
il
tesoro della Chiesa per lo conquisto della
Terrasanta, overo etc
.
Messer Luigi di Taranto co·
mmeser Niccola
Acciaiuoli
di
Firenze suo fidato compagno venuti
a Siena,
messer Niccola
volendolo menare in
Firenze (e
già l'avea
condotto nel nostro
contado in
Valdipesa),
sentendosi ciò per li priori e gli altri rettori di
Firenze,
dubitando che lla sua venuta non generasse
scandalo
tra' cittadini e indegnazione
del re d'Ungheria,
ritenendolo in
Firenze, di presente mandarono loro
incontro
due grandi popolari per ambasciadori, difendendo
loro non
entrassono nella
città, ma seguissono
loro
cammino; e stando co· lloro al continovo,
acciò che nullo altro cittadino andasse loro
a parlare;
e così dimorarono in
Valdipesa
a' luoghi degli
Acciaiuoli
per
X dì, che nullo cittadino v'andò, se non il
vescovo di
Firenze, ch'era degli
Acciaiuoli, e volea, e
andò co· lloro
a
corte di papa. Di questa venuta di
meser Luigi ebbe grande mormorio tra' cittadini,
che parte di Guelfi ch'amavano i reali, e ricordavansi
de'
servigi ricevuti dal
prenze di Taranto suo padre,
e come meser
Carlo suo fratello rimase morto in
servigio
del nostro Comune con meser Piero suo
zio insieme
alla sconfitta di Montecatini, l'avessono volentieri
ricevuto in
Firenze e fattogli grandissimo onore.
Ma i rettori, temendo di non dispiacere al re d'Ungheria,
tennero il modo detto, e per li savi fu lodato
per lo migliore
del Comune.
I detti non potendo venire
a
Firenze, avendo mandato
a
Genova
a ffare
conducere e armare
a lloro
amici
due
galee, e per la Via da Volterra n'andarono,
e 'l vescovo co· lloro
a Porto Pisano; e llà si ricolsono
a dì
XI di febraio; e giunti in
Proenza, e sentendo lo
stato della reina Giovanna, non s'ardiro di porre né
a
Nizza né
a Marsilia, anzi arrivaro all'Agua Morta, e
di là
a
Belcaro nelle terre
del re di
Francia, e poi
contro
a
Vignone di là dal Rodano. E 'l vescovo e
messer Niccola vennono in
Vignone al papa e tanto
adoperaro co· llui che la reina Giovanna fu dilibera di
Castello
Arnaldo, e
entrò in
Vignone con palio sopra
capo, e tutti i cardinali le vennono incontro
a cavallo,
ricevendola
a grande onore,
a dì
XV di marzo. E
meser Luigi venne al papa, e in quello dì riconfermò
il papa il
disonesto matrimonio da meser Luigi alla
detta reina Giovanna. E ancora di questo fu il papa
molto
caloniato da più Cristiani che 'l seppono. E
poi
a dì
XXVII di marzo il papa diede la rosa dell'oro
al detto meser Luigi, essendo in
Vignone il re di
Maiolica; e poi cavalcò per
Vignone con pennone
sopra capo
a guisa di re, e lla reina co· llui; si tornarono
poi di là da·
rRodano, e 'l papa
diè loro
III cardinali
a udire la quistione da lloro al re d'Ungheria,
ch'erano in
corte suoi ambasciadori. Lasceremo ora
questa matera, e diremo d'altri signori e donne che
in questi dì passarono per
Firenze.
A dì
XXVII di febraio meser
Filippino da
Gonzago
di signori di Mantova, tornando con sua gente d'arme
dal re d'Ungheria, che ll'avea acompagnato fino
a
Napoli, passò per
Firenze e ffu ricevuto
a grande
onore, e acompagnato da' rettori e da più cittadini.
E di ciò fu ancora grande mormorio per li Guelfi di
Firenze, dicendo: «I nostri rettori ricevono in
Firenze
e fanno onore
a' tiranni ghibellini che cci sono
stati incontro co' nostri nimici, e non voluto ricevere
meser Luigi», come detto è di sopra: ma pur fu preso
il migliore e lodato per li savi, e però n'avemo fatta
memoria per
asempro per l'avenire.
E
a dì
X di marzo passò per
Firenze la moglie
del
prenze di Taranto, che ssi facea
sopranomare imperadrice
di
Gostantinopoli sanza lo 'mperio; era figliuola
del
duca di
Bolbona, figliuolo che ffu di
Chiermonte della casa di
Francia; la quale poi che 'l
marito cogli altri reali era mandato preso inn Ungheria,
se n'andava in
Francia. Fulle in
Firenze fatto
grande onore d'
acompagnarla di cavalieri e di donne,
e
albergalla in casa
Peruzzi, faccendole il Comune
le spese
riccamente;
due dì ci dimorò, e per lo
cammino andando e vegnendo, per lo
contado e
distretto
di
Firenze. E 'l Comune le fece
lettere al papa,
pregandolo, e
racomandandogliele, s'adoperasse
col re d'Ungheria della diliberazione
del suo
marito
e degli altri innocenti reali. Lasceremo alquanto delle
sequele occorse per l'avenimento
del re d'Ungheria,
ch'assai n'avemo detto, e torneremo
a dire d'altre
novità
state in
Firenze e altrove in questi tempi.
L. 13, cap. 116 rubr.Quando si cominciò il muro da San Ghirigoro inn
Arno, che richiude le due pile del ponte Rubaconte.
L. 13, cap. 116In questo
anno
MCCCXLVII si cominciò
a
fondare
inn Arno di costa
a San
Ghirigoro un grosso
muro
con pali
a castello, e presono
due
pile e
due arcora
del ponte Rubaconte di là da l'Arno andando diritto
verso levante infino alla coscia
del ponte Reale,
che ss'ordinò di fare. E di qua dal ponte più tempo
dinanzi s'era cominciato
similemente uno
muro,
prendendo una
pila e arco
del detto ponte, andando
fino al castello
Altrafonte. Questi
muri s'ordinaro
per
conducere l'Arno dentro alla
città per diritto canale
e
acrescerne terreno alla
città, spezialmente verso
San
Niccolò, ed era la
città più forte, più bella
avendo il
riguardo e
parapetto
del
muro
a modo di
pila, sicché l'ordine e 'l lavorio de' detti
muri fu bene
proveduto, faccendosi una agiunta, ch'è di nicistà,
cioè di fare un
muro cominciandolo di qua dal fiume
d'Arno alla coscia
del ponte Reale, e
continuandolo
verso levante infino alle mulina di San Salvi; allargando
la bocca ed
entrata
del fiume d'Arno, acciò
che
crescendo l'Arno, non venisse di sopra
a' fossi e
mura di qua alla porta della
Croce o più oltre, come
avenne l'
anno
MCCCXXXIII al tempo
del diluvio: e
sarebbene
la terra più forte e più
bella, e
raquisterebbesi
terreno, che varrebbe più non costerebbe il
muro,
il quale si farà, quando
a quelli reggono la
città
piacerà loro.
L. 13, cap. 117 rubr.Come i Bostoli furo cacciati d'Arezzo.
L. 13, cap. 117Nel detto
anno, all'uscita d'ottobre, quelli della
casa de'
Bostoli
a romore di popolo furono cacciati
d'
Arezzo per forze e tirannie che facieno
a' cittadini
popolari di quella; e bene che inn
Arezzo fossono
capo di parte guelfa, egli erano
isconoscenti e ingrati,
spezialmente contro al nostro Comune di
Firenze;
che quando erano fuori d'
Arezzo cogli altri Guelfi,
erano sostenuti al soldo
del nostro Comune, e fatta
per loro la
guerra contro
a'
Tarlati; e poi per lo nostro
Comune rimessi in
Arezzo in grande stato e signoria.
Ed ellino per loro superbia peggio trattavano
i nostri rettori e cittadini che v'erano per lo Comune
di
Firenze, e
del continovo
puttaneggiavano col Comune
di Perugia, per diminuire la signoria
del Comune
di
Firenze, per meglio potere tiranneggiare.
Ma
a cciò non guardò il nostro Comune, perch'erano
Guelfi, di fare loro rendere i beni loro, e
ordinalli
a'
confini
a lloro castella e possesioni fuori d'
Arezzo;
ma male stettono
contenti ne' termini e
confini loro
dati, ch'al continuo stavano in trattati co· lloro amici
dentro. E
a dì
XI d'
aprile seguente, la notte, co· lloro
amici
a cavallo e
a piè vennero alla terra con iscale
scalandola per
entrare dentro; furono sentiti e
ripinti
per forza fuori, e di presi di quelli d'
entro, che rispondieno
loro; di certi fu fatta giustizia, ed ellino
e lloro seguaci condannati per traditori e ribelli.
L. 13, cap. 118 rubr.Di certe novità che in questi tempi furono in Firenze.
L. 13, cap. 118All'uscita di novembre e
ll'
entrata di dicembre
del detto
anno subitamente montò il grano in
Firenze, di
soldi
XXII che valea lo
staio, in uno mezzo fiorino
d'oro, e infino soldi
XXXV lo
staio, onde il popolo si
maravigliò, e temette forte,
dubitando non tornasse
la
carestia passata. E cciò avenne perché la
Romagna,
d'onde ci solea venire il grano delle circustanze
del Mugello, n'andava in
Romagna, però che in Vinegia
avea gran
caro di grano; e per la generale mortalità
e infermità delle terre marine, come detto avemo
adietro, e per la venuta
del re d'Ungheria in Puglia,
i Viniziani non potieno avere tratta di grano né
di Cicilia né di Puglia; e' Viniziani male potieno navicare.
Provvidesi sopra cciò per gli uficiali della vittuaglia
di fare guardare i
confini
del nostro
contado
verso
Romagna, e di fare venire grano da
Pisa e di
Maremma e di Siena e d'
Arezzo, onde per la providenza
buona tosto tornò in soldi
XXII e soldi
XX lo
staio.
E
a dì
XI di gennaio si fece
riformagione per lo
Comune, e
ordinossi che lle signorie, come la podestà,
entrasse al suo uficio
a calen di gennaio e in calen
di luglio, e 'l capitano
del popolo in calen di
maggio e in calen di novembre, e
ll'
esecutore degli
ordini della giustizia in calen di
aprile e in calen di
ottobre, com'era usato per li tempi passati; i quali
tempi s'erano rimossi per la tirannia
del
duca d'Atene,
che lli facea
a suo beneplacito quando signoreggiò
Firenze. E
ordinossi che come fossero
entrate le
dette signorie, incontanente infra
XV dì apresso i
priori e gli altri
collegi ch'hanno
ad
eleggere le dette
signorie li
dovessono
eleggere sotto certa pena, per
cessare le
pregherie di rettori, e non avere cagione di
raffermarli; che ffu buono e ottimo
dicreto, quando
s'osservasse. Ma il nostro difetto di mutare spesso
leggi e ordini e
costumi col
non istante che ssi mette
nelle
riformagioni
del Comune guasta ogni buono
ordine e legge, ma è ssi nostro difetto quasi naturato,
[] che in mezzo novembre
Non giugne quel che ttu d'ottobre fili,
come disse il nostro poeta.
L. 13, cap. 119 rubr.
Come la città di Pisa mutò stato e reggimento.
L. 13, cap. 119Nel detto anno, reggendosi la città di Pisa sotto il
governo di messer Dino e di Tinuccio della Rocca di
Maremma loro distrettuale sotto titolo di loro conti,
i quali conti erano giovani di tempo, e morti i loro
maggiori, e' detti della Rocca con altri loro seguaci
popolani l'avieno retta buono tempo a lloro senno, e
chiamavasi la setta de' Raspanti; ma assai bene reggeano
la terra, se non che se n'erano signori liberi;
l'altra setta, che non reggeano né avieno ufici in Comune,
e per dispetto gli chiamavano i Bergoli, i quali
erano Gambacorti e Agliati e altri ricchi mercatanti e
popolani, e' nobili e' grandi v'erano poco richesti e
peggio trattati; e parendo a' detti noboli e popolari
esere mal trattati e schiusi degli ufici, segretamente
s'acordarono insieme, e poi co' conestaboli delle masnade
con grandi impromesse, e lla villa di Natale, dì
XXIIII di dicembre, levaro la città a romore gridando:
«Viva il popolo e libertà!», e corsono la terra, e
cacciarne i conti e' detti della Rocca e' loro seguaci,
sanza altro mal fare in persone, se non di rubare e
mettere fuoco nelle case di quelli della Rocca. E
mandarli a' confini i conti e lloro in diversi luoghi e
paesi. E Andrea Gambacorti con suoi seguaci se ne
feciono signori.
L. 13, cap. 120 rubr.
D'uno grande segno e miracolo ch'aparve in Vignone.
L. 13, cap. 120Nel detto anno, a dì XX di dicembre, la mattina levato
il sole, aparve in Vignone in Proenza, ov'era la
corte del papa, sopra i palazzi e abituri del detto
papa, quasi com'una colonna di fuoco, e dimoròvi
per ispazio d'una ora; la quale da tutti i cortigiani fu
veduta, e faciensene grande maraviglia; e con tutto
che cciò potesse essere naturalmente per li raggi del
sole al modo dell'arco, tuttora fu segno di future e
grandi novitadi che avennero apresso, come leggendo
si potrà trovare.
L. 13, cap. 121 rubr.Come i Guelfi furono cacciati di Spuleto.
L. 13, cap. 121Nel detto
anno,
a dì
X di gennaio,
mesere Piero di
meser
Cello di Spuleto, il quale n'era fuori
a'
confini,
a pitizione degli altri grandi Guelfi di Spuleto, perché
usava contro
a lloro e gli altri soperchia maggioranza
cittadina, il detto meser Piero con suoi seguaci
e amici e aiuto
del capitano
del
Patrimonio e
del
duca
di Spuleto venne alla terra con suo sforzo di genti
a cavallo e
a piè, e
datagli l'
entrata d'una porta,
entrò
combattendo nella terra. I cittadini ciò sentito, levaronsi
a romore, e presono l'armi, onde si feciono caporali
i Guelfi della terra medesimi, e per forza combattendo
ruppono
mesere Piero e' suoi con
danno di
loro, e
cacciarli della terra. E pochi dì apresso i Ghibellini
della terra avendo sospetto de' Guelfi che v'erano,
con tutto che fossono stati co· lloro
a cacciarne
meser Piero e' suoi seguaci, come ingrati e sconoscenti
gli cacciarono di Spuleto; onde, tutto fosse loro
fatta sconcia cosa, fu giusta vendetta e
presta, perché
n'avieno cacciati i loro Guelfi medesimi. E avenne
loro la parola
del Vangelo: «Regno in se medesimo
diviso
disolabitur». Lasceremo di queste
matere
per raccontare un grande giudicio e quasi
incredibile
che
a questi tempi avenne per tremuoti nella
città di
Pisa, di Vinegia e di Padova, ma più in
Frioli e in
Baviera.
L. 13, cap. 122 rubr.Di grandi tremuoti che furono in Vinegia, Padova, e
Bologna, e Pisa.
L. 13, cap. 122Nel detto
anno, venerdì notte dì
XXV di gennaio,
furono diversi e grandissimi tremuoti in Italia nella
città di
Pisa, e di Bologna, e di Padova, maggiori nella
città di Vinegia, nella quale ruvinarono infiniti
fummaiuoli, che ve ne avea assai e belli; e più campanili
di chiese e altre case nelle dette
città s'apersono,
e tali rovinarono. E significarono alle dette terre
danni e
pistolenze, come leggendo inanzi si potrà
trovare.
Ma i
pericolosi furono la detta notte in
Frioli, e
inn Aquilea, e in parte dalla Magna, sì fatti e per tale
modo e con tanto
danno, che
dicendolo o
scrivendolo
parranno
incredibili; ma per
dirne il vero e non
errare nel nostro trattato, sì cci metteremo la copia
della
lettera che di là ne mandaro certi nostri Fiorentini
mercatanti e degni di fede, il tinore delle quali
diremo qui apresso, scritte e date inn Udine
del mese
di febraio
MCCCXLVII.
L. 13, cap. 123 rubr.Di grandi tremuoti che furono in Frioli e in Baviera.
L. 13, cap. 123Avrete udito di diversi e
pericolosi tremuoti che sono
stati in questi paesi, i quali hanno fatto grandissimo
danno. Correndo gli
anni
del nostro Signore, secondo
il corso della chiesa
MCCCXLVIII,
indizione prima, ma
secondo il nostro corso della
Anuziazione, ancora nel
MCCCXLVII,
a dì
XXV di gennaio, il dì di venerdì, il dì
della
conversazione di san Paolo,
ad ore
VIII e quarta
appresso vespro, che viene ore
V infra la notte, fu
grandissimo tremuoto, e
durò per più ore, il quale non
si
ricorda per niuno vivente il simile.
In prima in
Sancille la porta di verso
Friole tutta
cadde. Inn Udine cadde parte
del palazzo di meser
lo patriarca, e più altre case; cadde il castello di Santo
Daniello in
Frioli, e
morìvi più uomini e femmine;
caddono
due torri
del castello di
Ragogna, ed iscorsono
infino al Tagliamento, cioè uno fiume così
nomato, e
morìvi più genti.
In
Gelmona la metà e più delle case sono rovinate
e cadute, e 'l campanile della maggiore chiesa è tutto
fesso e aperto, ella figura di san
Cristofano
intagliato
in pietra
viva si fesse tutta per lungo. Per li quali miracoli
e paura i prestatori
a usura della detta terra,
convertiti
a penitenzia, feciono bandire che ogni persona
ch'avessono loro dato
merito e usura andasse
a lloro per essa; e più d'
otto dì continuarono di
renderla.
A
Vencione il campanile della terra si fesse per
mezzo, e più case rovinarono.
Il castello di
Tornezzo e quello di
Dorestagno e
quello di
Destrafitto caddono e rovinarono quasi tutti,
ove morirono molte genti.
Il castello di
Lemborgo, ch'era in montagna, si
scommosse; rovinando fu trasportato per lo tremuoto
da
X miglia
del luogo dov'era in prima, tutto disfatto.
Uno monte grandissimo, ov'era la via ch'andava al
lago
Dorestagno, si fesse e partissi per mezzo con
grande rovina, rompendo il detto
cammino.
E
Ragni e
Vedrone,
due castella, con più di
L ville,
che sono sotto il
contado da
Gurizia, intorno al fiume
di
Gieglia, sono rovinate e coperte da
due monti,
e quasi tutte le genti di quelle perite.
La
città di
Villaco in
Frioli vi rovinarono tutte le
case, se non fu una d'un buono uomo, e giusto, e caritevole
per Dio. E poi
del suo
contado più di
LX sue
tra castella e ville sopra il fiume d'Atri per simile modo
detto di sopra sono tutte rovinate e somerse da
due montagne, e ripiena la valle onde correa il detto
fiume per più di
X miglia; e 'l monistero d'
Orestano
rovinato e somerso, e
mortavi molta gente. E 'l detto
fiume non avendo sua uscita e corso usato, al di sopra
ha fatto uno
nuovo e grande lago. Nella detta
città di
Villaco molte maraviglie v'
apariro, che lla
grande piazza di quella si fesse
a modo di croce, della
quale
fessura prima uscì sangue e poi acqua in
grande quantità. E nella chiesa di Santo Iacopo di
quella
città vi si trovarono morti
D uomini che v'erano
fuggiti, sanza gli altri morti per la terra, più delle
tre
parti degli abitanti; iscamparono per
divino miracolo
i
Latini e' forestieri e' poveri. Per
Carnia più di
XVm uomini sono trovati morti per lo tremuoto; e
tutte le chiese di
Carnia sono cadute, e lle case e 'l
monistero d'
Osgalche e quello di
Verchir tutti
sobbissati.
In Baviera la
città di
Trasborgo, e
Paluzia, ella
Muda, ella
Croce oltramonti, la maggiore parte delle
case cadute, e morta molta gente.
E nota,
lettore, che lle sopradette rovine e
pericoli
di tremuoti sono grandi segni e giudici di Dio, e non
sanza gran cagione e
premessione divina, e di quelli
miracoli e segni che Gesù Cristo
vangelizzando predisse
a' suoi discepoli che
dovieno apparire alla fine
del secolo.