Trattato della Dilezione di Albertano da Brescia volgarizzato (Il)AnonimoConsiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Opera del Vocabolario ItalianoArrigo Castellani, Il Trattato della Dilezione d'Albertano da Brescia nel codice II IV 111 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, a cura di Pär Larson e Giovanna Frosini, Firenze, Accademia della Crusca, 2012, pp. 35-245.Trattato della Dilezione di Albertano da Brescia volgarizzato (Il)Anonimo1275L-00100tosc.fior.fil.TS1275
colophonIn nomine Domini nostri Iesu Cristi. Anno Domini Millesimo ducentesimo septuagesimo quarto, indictione secunda, .xv. Ienuari. In questa inditione si compieo questo libro. Scripselo lo Maestro Fantino da San Friano.
rubricarioLibro d'Albertano. .. Capitulo primo. Del'amore et dela dilectione di Dio (e) del proximo et dell'altre cose, et dela forma del'onesta vita. .ij°. Capitulo .ij°. Del favellare (e) di costringnere la propia volontade (e) la lingua. .iij°. Capitulo .iij°. Dela doctrina del'amore (e) dela dilectione di Dio. .iiii°. Capitulo .iiij°. Come s'acatta l'amore (e) la dilectione di Dio per fede. .. Capitulo .. Come per la sperança s'accatta l'amor di Dio. .vj°. Capitulo .vj°. Per caritade s'acatta l'amore (e) la dilectione di Dio. .vij°. Capitulo .vij°. Come si ritiene l'amore (e) la dilectione di Dio per fede. .viij°. Capitulo .viij°. Del'amore (e) dela dilectione del proximo in Dio. .viiij°. Capitulo .viiij°. Onde nascha l'amore et come. .. Capitulo .. Dela disuttilitade delo malo amore. .xj°. Capitulo .xi°. Da schifare l'amistade del non savio (e) delo stolto. .xij°. Capitulo .xij°. Da schifare l'amistade del'avaro (e) del cupido. .xiij°. Capitulo .xiij°. Da schifare l'amistade del superbio e del perverso. .xiiij°. Capitulo .xiiiij°. Da schifare l'amistade del favellatore cum molta lingua. .xv°. Capitulo .xv°. Da schifare l'amistade dell'uomo adiroso. .xvj°. Capitulo .xvj°. Da schifare l'amistade deli mali uomini. .xvij°. Capitulo .xvij°. Dela molta utilitade delli amici. .xviij°. Capitulo .xviij°. D'avere consillio (e) essere consilliato. .xviiij°. Capitulo .xviiij°. Dela provagione deli amici. .xx°. Capitulo .xx°. De quelle cose ke si convengnono fare per li amici et come dei cum loro vivere, (e) dela legge del'amistade. .xxj°. Capitulo .xxi°. Del'amore (e) del'onore del padre (e) dela madre, e come ti debbie reggere nela tua vecchieçça. .xxij°. Capitulo .xxij°. Del'amore (e) dela dilectione deli tuoi filliuoli. .xxiij°. Capitulo .xxiij°. Come si debbia amare (e) tenere la mollie. .xxiiij°. Capitulo .xxiiij. Deli servigiali (e) deli mercennari (e) deli servi da costringnere (e) da amare. .xxv°. Capitulo .xxv°. Dela guardia di ritenere li amici. .xxvj°. Capitulo .xxvj°. Deli benifici (e) deli guiderdoni. .xxvij°. Capitulo .xxvij°. Di dovere dimenticare la 'ngiuria. .xxviij°. Capitulo .xxviij°. Di non lodare neuno in sua presentia. .xxix°. Capitulo .xxix°. Deli amici dubitati (e) ke paiono et non sono. .xxx°. Capitulo .xxx°. Del'amore (e) dela dilectione dele cose corporali e non corporali. .xxxj°. Capitulo .xxxi°. D'acattare (e) conservare le riccheççe. .xxxij°. Capitulo .xxxij°. Dela buona cosciençia in accattare le riccheççe e in tutte l'altre cose. .xxxiij°. Capitulo .xxxiij°. Dela buona nominança in tutte le cose. .xxxiiij°. Capitulo .xxxiiij°. D'acattare riccheççe ke piaccino a Dio. .xxxv°. Capitulo .xxxv°. Del riposo (e) del sonno (e) dela luxuria. .xxxvj°. Capitulo .xxxvj°. Dela luxuria et del luxurioso. .xxxvij°. Capitulo .xxxvij°. D'usare le riccheççe (e) dispreççarle. .xxxviij°. Capitulo .xxxviij°. Come sia da schifare la guerra. .xxxix°. Capitulo .xxxviiij°. De fare apparecchiamento (e) guernimento. .xl°. Capitulo .xl°. Dela guerra fare defensione. .xlj°. Capitulo .xlj°. Di non temere la morte ma dispreççarla. .xlij°. Capitulo .xlij°. In quanti (e) quali casi sono da ricevere battagle e da fare cum mano. .xliij°. Capitulo .xliij°. Da fare vendetta et da conmetterla in altrui. .[xliiij°.] Capitulo .xliiij°. Del'amore (e) dela dilectione dele cose non corporali. .xlv°. Capitulo .xlv°. Come si debbono amare l'arti cole quali s'acquistano le riccheççe temporali. .xlvj°. Capitulo .xlvj°. Come si debbono amare le virtudi (e) innodiare li viçi. .xlvij°. Capitulo .xlvij°. Dela soperbia. Come si dee porre incontra l'umilitade. .xlviij°. Capitulo .xlviij°. Come si dee fuggire la 'nvidia al postutto. .xlviiij°. Capitulo .xlviiij°. Dela sapientia (e) del ricordamento. .l. Capitulo .l. Dela paura. .lj°. Capitulo .lj°. Come si debbia avere la pietade. .lij°. Capitulo .lij°. Dela beningnitade (e) dele sue qualitadi. .liij°. Capitulo .liij°. Come si dee porre astinentia (e) temperança contra la golositade (e) lo diluvio. .liiij°. Capitulo .liiij°. Dela temperança (e) dele sue qualitadi. .lv°. Capitulo .lv. Dela sofferença (e) dela non sofferença. .lvj°. Capitulo .lvj. Dela forteçça (e) dele sue qualitadi. .lvij°. Capitulo .lvij°. Dela liberalità (e) dela pace incontra al'avaritia. .lviij°. Capitulo .lviij°. Dela fermeçça contro ala levitade (e) ala debilitade. .lviiij°. Capitulo .lviiij°. Come la prudentia disponga (e) regga tutti li tuoi pensieri (e) fatti. .lx°. Capitulo .lx°. Da cacciare via la trestitia di questo secolo. .lxj°. Capitulo .lxj°. Dela vergongna. .lxij°. Capitulo .lxij°. Come si dee dispregiare l'amore di questo secolo. .lxiij°. Capitulo .lxiij°. Come l'uomo si dee convertire a Dio. .lxiiij°. Capitulo .lxiiij°. D'alleggere la buona via. Deo graçias.
L. I, cap. 1[1] Incominciasi lo libro del'amore (e) dela dilectione di Dio et del proximo et dell'altre cose et dela forma del'onesta vita. LIBRO PRIMO D'ALBERTANO. [2] .j. Lo cominciamento del mio tractato sia nel nome di Dio, dal quale vengnono tutti li beni et dal quale è ogne dato optimo et ongne dono perfetto, ke discende dal padre dei lumi. [3] Di quanto amore e di quanta dilectione la mia caritade di padre ami la tua subiectione di filio, a pena lo ti potrei dire o cola mia lingua in alcuna guisa manifestare. [4] Volendo dunque io Albertano te Vincentio mio filliuolo informare di buoni costumi e del'amore e dela dilectione di Dio e del proximo e d'altre cose e dela forma del'onesta vita amaestrarti, primieramente credo che due cose specialmente ti siano mistiere: ciò èe doctrina et parlamento, perciò che prima dei apprendere et poscia parlare. [5] Che sì come disse (Iesu) filius Syrac: «Innançi ke tu giudichi, apparechia giustitia, et ançi ke favelli imprendi». [6] Et Salamone disse: «Ki prima favella k'elli inprenda, affrettasi di venire in derisione et in dispregio». [7] Prima dunque odi la doctrina, poscia coll'animo la 'mprendi et poi nela mente la ritieni; che coll'anima vivemo, coll'animo apprendemo, cola mente ritenemo. [8] Dunque dei udire la doctrina, acciò c'abbie la scientia; perciò sì come disse Salamone: «Chi ama la doctrina, ama la scientia, ma chi à inn odio li gastigamenti è matto». [9] Et altrove si dice: «Ricevete la mia disciplina et non la pecunia; doctrina più che oro allegete». [10] Et altrove si dice: «Chi alta fa la sua casa, domanda ruina, e chi schifa d'apprendere caderanne in male; lo buono insengnamento darà gratia». [11] Et altrove: «Lo cuor savio possiderà scientia et orechia del savio domanda insengnamento». [12] Et altrove: «Non cessare, filliuole, d'udire insengnamento, acciò ke sappie sermone di scientia». [13] Et altrove: «Entri a doctrina lo cuor tuo, e l'orechie tue a parola di scientia». [14] Et (Iesu) filius Sirac disse: «Filliuole, dala iuventute tua ricevi la doctrina et infino ali capelli canuti troverai la scientia». [15] Et altrove: «Udite, filliuoli, la doctrina dela bocca, et chi quella guarda non perirà cole sue labra e non sarà scandaliçato in opere inique». [16] Et un altro savio disse: «Cum ciò sia cosa ke sança doctrina non faccia pro medicina, non fugga la lievre sança doctrina nela contrada canina, nè l'onda marina porti la nave sança doctrina, nè sança doctrina dea lo pane la trita farina». [17] La tua doctrina abbia cominciamento, ma ala tua vita, acciò ke la mente tua si nutrichi, non dee avere fine; perciò ke la mente dell' uomo apprendendo si nutrica e conducesi per ragione di vedere e d'udire; fine non dee avere. [18] Sì come disse lo savio nela Leggie: «Et s'io tenesse lo piede nel sepolcro, ancora vorrei apprendere». [19] Et altrove dice: «Non verrai meno d'apprendere, perciò c'uno medesimo dee essere lo fine d'inprendere e di vivere». [20] Et Cato disse: Amaestra l'animo per comandamenti, ke tu non ti cessi d'apprendere; inperciò ke sança doctrina la vita è quasi imagine di morte». [21] Et altrove si dice: «Cum ciò sia cosa ke intervengna per istudio apprendere molte cose, fa ke tu inprende molte cose, et ischifa di non sapere essere adoctrinato». [22] Et altrove: «Non cessare d'apprendere; per cura cresca lo savere: rado savere si dà per uso di lungo tenpo». [23] «Imprendi, ma da' savi, et tu medesimo amaestra li non savi; inperciò ke la doctrina dele buone cose si dee propaginare». [24] Inperciò ke chi li altri insengna, sé medesimo amaestra; onde disse Marçiano: «Modo d'apprendere èe infino a tanto ke tu ti vederai non sapere. [25] Inprendi cotidianamente, ma inprendi acciò ke sappie; l'esca e lo cibo ch'è preso poco fa prode se vie via si rigetta: lo bue rogoma quello medesimo donde elli è pasciuto». [26] Sempre dunque è da inprendere, perciò ke sì come disse Seneca: «tu dispare se tu non inpare». [27] Et non dei cessare d'acattare doctrina o scientia per vergongna, perciò ke sì come disse uno filosofo: «Chi breve tenpo per vergongna non soffera la disciplina, permarrà in ogne tenpo in vergongna di matteçça». [28] Et un altro disse: «Chiunque si vergongnerà di domandare la sapiençia da altrui, molto più si vergongnerà di trovarla per sé». [29] Dunque dei domandare la doctrina dali più savi; perciò ke disse Cassiodoro: «Senpre è delectevole dela doctrina di parlare coli savi». [30] Dunque per vergongna non cessare d'inprendere da ciascuno; disse Cato: «Non ti sia vergongna di volere, quello ke tu non sai, ke l'uomo lo t'insengni; sapere alcuna cosa è lode, et colpa è neuna cosa volere apprendere». [31] Perciò disse Platone: «Maggiormente vollio l'altrui cose vergongnosamente apprendere ke le mie non sapere sança vergongna».
L. I, cap. 2[1] .ij. Del favellare (e) di costringnere la propia volontade et la lingua. [2] Dipo la doctrina ti dissi ke t' era mistiere lo favellare, lo quale favellare viene dalo spirito, e per lo spirito si conduce ala bocca e con artificio della lingua si fa. [3] Acciò dunque ke l tuo parlare sia buono et diritto et utile, primieramente dei constringnere lo spiritu tuo ke non vengna a dirotto ala bocca e la lingua conduca a parlamento non utile; perciò ke sì come disse Salamone neli Proverbi: «Sì come cittade aperta et sança torneamento di mura, così l'uomo lo quale non puote nel parlare costringnere lo spiritu suo». [4] Secondariamente dei guardare la bocca tua et porre ale tue labra uscio dintorno et ala tua bocca freno diritto et ale tue parole fare stavera; perciò sì come Salamone disse neli Proverbi: «chi guarda la bocca sua sì guarda l'anima sua, ma chi nonn à pensato quando viene a parlare, sentene male». [5] Et lo profeta pregò Dio et disse: «Poni ala bocca mia guardia et uscia dintorno ale mie labbra». [6] Et (Iesu) filius Syrac disse: «S'elli è a te intendimento, rispondi al proximo; et se non, sia la mano tua sopra la bocca tua, acciò che non sie ripreso in parola stolta e vergongniti». [7] Et altrove si dice: «Fa vasella dell'oro (e) del'argento tuo, gonfia l'oro e l'argento tuo, et ale parole tue fa stavera (e) freni diritti; et guarda ke per la ventura tu non ti diduche nela lingua et cagge nel conspecto di coloro ke t'aguatano et sia la tua caduta non sanabile dala morte». [8] Dunque inponi ala tua bocca freno, cum ciò sia cosa ke dal savio si dica: «La morte e la vita è nela mano dela lingua»; [9] et altrove si dice: «La lingua piena di parole dimostra malitia»; [10] et nel proverbio si dica: «La lingua nonn à osso, ma osso fa ronpere»; [11] et da Seneca si dica: «la nostra lingua è cotidiana fornace». [12] Convienti costringnere et domare la lingua tua quanto elli è possibile, inperciò ke sì come disse Cato: «La prima virtude di tutte penso ke sia costringere la lingua; quelli è prossimo a Dio ke sa tacere e parlare per ragione». [13] Et perciò dissi «quanto elli è possibile», che sì come disse santo Iacopo nela pistola sua: «La natura dele bestie (e) di serpenti e deli uccielli e di tutte l'altre cose si doma dala natura dell'uomo, ma la lingua sua neuno puote domare». [14] Ma avengna ke pienamente la lingua non si possa domare, sì è almeno da costringere ke sia verace et non bugiarda, secondo la parola di Dio ke disse: «Sia la parola vostra sì, sì, no, no; et quello k'è più ke questo da male viene»; inperciò ke la lingua bugiarda et ke semina discordia intra ' fratelli Dio l' à inn odio et la sua anima lo disferma e vitupera. [15] Onde disse Salamone: «.vi. cose sono le quali Dominedio àe inn odio, et lo septimo disferma (e) vitupera l'anima sua: occhi alti (e) superbi, lingua bugiarda, cuore ke ordina et dispone rei pensieri, colui ke proffera periuri, testimonio falso, piedi tostani a correre nel male et mani tostane ad versare sangue, et colui ke semina intra li fratelli discordia». [16] Et altrove si legge, nel'Eclesiastico: «Maggiormente è da amare lo ladro ke quelli ke sta cotidianamente in busgie». [17] Et un altro disse: «Concedi ala veritade, o k'ella sia detta da te, o k'ella ti sia da altrui porta». [18] Perciò ke, sì come disse Cassiodoro: «Pessima usança è dispregiare la veritade». [19] Et intendo veritade pura, nela quale neuna cosa si mescoli di falsitade; perciò ke sì come quel medesimo disse: «Buona cosa è il vero, se non vi si mescola contradio». [20] Perciò ke sopra tutte l'altre cose dipo Dio la veritade è da coltivare (e) da reverire, la quale sola fa li omini prossimi a Dio, con ciò sia cosa ke Dominedio sia veritade. [21] Et altrove disse (Iesu) filius Syrac: «Innançi a tutte l'opere tue ti vadan dinançi le parole veraci, et dinançi ad ongne tuo fatto ti vada dinançi consillio fermo (e) stabile». [22] Et altrove Salamone pregò Dio (e) disse: «Dominedio, di due cose t'ò pregato: ke mi nieghi la vanitade ançi k'io muoia et parole di bugie facce da llunga da me». [23] Così dei dunque favellare, ke lo detto tuo abbia peso di saramento, et non sia differentia infra la tua semplice affermatione e lo saramento; perciò ke Seneca disse ke «lo detto di colui ke nonn à peso di saramento, vile è lo peso del suo saramento». [24] Et così, seguitando la veritade, sempre poterai bene rispondere ad altrui, perciò ke sì come disse un savio: «Lieve è la risponsione dove s'aministra la veritade». [25] Et altrove è detto: «Non molto s'afatica chi per allegare la veritade convincie la falsitade»; secondo quello ke si dice: «Chi vero dice non s'afatica». [26] Da costringere è la lingua ke non parli fellonia, sì come disse lo profeta: «Costringi la lingua tua dal male et le labbra tue ke non parlino fellonia». [27] Et san Piero nela prima sua pistola disse: «Chi vuole amare la vita (e) vedere li dì suoi buoni costringa la lingua sua dal male et le labra sue ke non parlino fellonia, dipartasi dal male (e) facci l bene e domandi la pace et seguitila; perciò ke li occhi di Dominedio sopra li giusti (e) li orechi suoi ali loro prieghi, ma lo volto di Dio sopra coloro ke fanno lo male». [28] Et da rinfrenare è la lingua ke sia dolce (e) soave (e) gratiosa et beate (e) buone cose parli; perciò ke si come disse (Iesu) filius Syrac: «Tybia (e) psalterio fanno soave melodia, ma sopra l'uno (e) l'altro è la lingua soave». [29] Et altrove: «Parola dolce multiplica amici (e) humilia li nemici, (e) la lingua amabile e gratiosa nel buon omo abonda». [30] Et altrove: «Parole conposte sono fiari di mele, dolceçça d'anima (e) sanitade d'ossa». [31] Et un altro savio disse: «Bene parlare è cominciamento d'amistade, lo mal dire è cominciamento di nimistade». [32] Et Panfilio disse: «Dolce parlare isvellia (e) nutrica amore». [33] Lo buono parlare è molto utile (et) è da desiderare dali savi; onde Seneca nele Pistole disse: «Ciò ke da alcuna persona è bene detto, mio è». [34] Da raffrenare è ancora la lingua acciò ke ssia molle (e) faccia molle responsione; perciò sì come disse il savio: «La molle risponsione rompe l'ira et lo sermone duro suscita furore». [35] Et da costringere è ancora la lingua ke non profferi vane parole, perciò ke disse Seneca dela Forma del'onesta vita: «Lo sermone tuo non sia vano, ma tale ke o consoli od insengni o comandi od amonisca». [36] Et da raffrenare è la lingua ke non abbia denti o mordaci amonimenti e reprensioni, ma beningne, perciò ke disse quello medesimo Seneca: «Li tuoi sali overo reprensioni siano sança denti, li occhi sança utilitate, lo riso sança chachinno, la voce sança grido, l'andamento sança fretta (e) fervore, lo riposo sança pigreçça; et quando li altri giuocano, tu pensa qualke cosa santa (e) honesta». [37] Et da rinfrenare è la lingua ke non profferi soççe parole o parole di rinproverio o parole non honeste, perciò ke sì come disse l'Appostolo: «Li soççi parlamenti corronpono li buoni costumi». [38] Et Seneca disse: «Dale soççe parole ti guarderai, perciò ke la loro licentia nutrica matteçça». [39] Et (Iesu) filius Syrac disse: «L'uomo ke userà parole di villania (e) di vituperio in tutti li dì suoi non serà amaestrato». [40] Et Socrate disse: «Quelle cose che sono soççe a fare, non penso ke sieno oneste a dire». [41] Et un altro disse: «Non solamente si conviene avere li occhi casti, ma la lingua». [42] Ancora dei rifrenare (e) costringere la lingua tua ke ssia tarda a parlare et ad giudicare et ad rispondere (e) non tosta; onde disse santo Iacopo: «Sie tosto ad udire, ma tardo a parlare et tardo ad ira». [43] Et Salamone disse: «Chi prima risponde k'elli oda, dimostra sé essere matto et dengno di vergongna». [44] Et altrove: «Vedesti l'uomo tostano a parlare? Magiormente è da sperare la sua matteçça ke la sua correctione». [45] Et un altro fisolofo disse: «In questo solamente soprastà, ke tu più voluntieri ode ke tu non favelli; usa più del'urechie ke della lingua». [46] Et un altro disse: «Non t'affrettare di rispondere tanto ke sia la fine del domandamento». [47] Onde uno fisolofo disse: «Observa silentio tanto k'elli ti sia mestiere di favellare». [48] Perciò ke sì come disse Seneca: «Grande cosa è lo temperamento del silentio (e) dela voce». [49] Et Cassiodoro disse: «Questa è sança dubbio regale virtude, tardi derompersi in parole (e) tosto avedersi di quello ke mistiere è». [50] Et Salamone disse: «Tempo è da tacere (e) tenpo è da parlare». [51] Et santo Paulo disse nela pistola a' Colosensi: «Lo sermone vostro sempre in gratia sia condito di sale, et sappiate come vi si convengna rispondere a ciascuno». [52] Et altrove si dice: «Optimo iudice estimo ke sia chi tosto intende (e) tardi iudica»; [53] perciò ke «sicura è la dimorança a deliberare cose utili, et la fretta nel giudicare è piena di colpa». [54] Onde si suole dire: «A pentere s'afretta ki tosto giudica». [55] Et ancor si dice: «La dimorança s'à inn odio, ma savio uomo fa». [56] Et da costringere è la lingua ke non tencioni di quella cosa che nol molesta; onde (Iesu) filius Syrac disse: «Di quella cosa ke non te molesta non ne tencionare». [57] Similemente di quello detto ke non ti molesta non ne combattere nè altrui non ischernire, perciò ke disse Cato: «L'altrui detto et l'altrui fatto non riprenderai, acciò ke a quello assenplo un altro non faccia ischernie di te». [58] Perciò ke per troppa contenptione l'animo di colui ke ode si turba (e) talora si conduce in malivolença, (e) perdendo la veritade spesso ne cade in errore; onde uno filosofo disse: «Troppo contendendo si perde la veritade». [59] Et da rinfrenare è la lingua ke non versi molte parole, perciò ke sì come disse santo Geronimo: «Chi non sa tacere non sa parlare». [60] Dunque non sa parlare lo matto, ke tacere non puote; onde uno savio, addomandato per cotanto tacesse, s'elli lo facesse perké fosse matto, rispuose: «Lo matto tacere non puote». [61] Ma Salamone disse: «Et lo matto, s'elli tacerà, sarà creduto savio». [62] Et Seneca disse: «Quelli ke tace spesse volte èe avuto in dispetto, et se la sua lingua lo fa gentile sempre permane in honore». [63] Ogne bene acresce la lingua parlante; ma «al savio homo più fa mistiere di tacere per sé che parlare contra sé, ke neun omo tacendo (e) molti parlando avemo veduti inbrigati». [64] Onde Cato disse: «A neun omo nuoce avere taciuto, ma nuoce avere parlato». [65] Nel dubio più si conviene tacere ke parlare; onde uno filosofo disse: «Se dicere temi onde pentere ti debbie, mellio è "non" ke "sì"». [66] Perciò ke troppo parlare si pertiene a matteçça ma tacere si pertiene a savere, perciò che tacendo talora ne guadangnamo gloria, fuggiamo ingiuria et molti mali cacciamo; onde nelo libro del Sovrano Bene è scritto: «Più glorioso è tacendo ingiuria fuggire ke rispondendo vincere». [67] Lo parlare (e) la responsione senpre dee essere buona (e) certa; onde uno filosofo, ad uno savio ke l domandò come potesse optimamente dire, rispuose (e) disse «Se tu non dirai altro che quello ke ben sai». [68] Certo molte parole versare è matteçça; onde si dice: «In molto favellare non viene meno peccato». [69] Et Salamone nel'Eclesiastico disse: «A molte rangole seguitano songni et in molti parlari si truova matteçça». [70] Et altrove: «In ogne opera sarà abbondança, ma dove sono molte parole spesso v'à difetto o povertade». [71] Dunque «neuna cosa fa prode tanto come posarsi (e) poco con altrui favellare (e) molto con seco», sì come Seneca nele Pistole disse. [72] Temperatamente parlare et tacere dovemo; onde Panfilio disse: «Troppo non tacere nè parole di soperchio non dire». [73] Odi molto ma poco rispondi, sì come uno savio disse. [74] Da costringere è la lingua ke non gridi (e) non mandi fuori voce ardita; [75] perciò ke disse Seneca nele Pistole: «Sì come alo saviomo si conviene andatura tenperato, così parlare quieto (e) non ardito». [76] Et altrove quello medesimo disse: «L'usança deli non savi è di mormorare da lunga». [77] Costringere si dee la lingua ke non parli ad inganno, perciò sì come disse (Iesu) filius Syrac: «Chi parla ad inganno è da innodiare et d'ongne cosa farà frode, perciò ke non li è data da Dominedio gratia». [78] Et ancora è da costringere ke non parli oscuro et dubioso ma chiaro (e) aperto, perciò ke sì come disse uno savio: «Più santa cosa è essere mutulo che tale ke neun uomo intenda lo suo dire». [79] Et la Legge dice: «Neuna differentia è se l'uomo quando è domandato nieghi o taccia od oscuro risponda acciò ke l domandatore si lasci in dubio». [80] «Questa sia dunque la sonma del nostro proponimento, ke noi parliamo quello ke sentimo e quello ke parliamo sentiamo: accordisi lo sermone cola vita», sì come Seneca nele Pistole disse. [81] Et ancora è da costringere la lingua ke non mormori, perciò ke sì come disse sam Paolo nela prima pistola a coloro di Corinto: «Et non mormorate sì come aliquanti di loro mormoraro e periro da lui ke li sterminò e cacciò». [82] Et Salamone disse: «Guardatevi dal mormorare, ke è di nullo prode, perciò ke lo risponso obscuro in vano nonn irà». [83] Et questo dala perfine cognosca la tua discretione: che sì come la tua lingua dei infrenare (e) lo spiritu tuo costrignere neli tuoi sermoni, così non dei prestare lo tuo cuore nè li tuoi urecchi a tutti li altri sermoni. [84] Perciò ke disse Salamone: «A tutte le parole ke si dicono non inchinare lo tuo cuore, acciò ke per aventura non ode lo servo tuo ke tti maladica, perciò ke sa la tua coscientia ke spesse volte ài maladetto altrui». [85] Et Seneca nele Pistole disse: «Da chiudere sono li orecchi dale male voci». [86] Et Cato disse: «Cum ciò sia cosa ke tu dirittamente vive, non curare le parole deli rei, ke nonn è in nostro arbitrio quello ke ciascuno debbia parlare». [87] Dominedio dunque chiama et cum tutto lo desiderio da lui domanda ke ala bocca tua lo freno inponga, la lingua tua (e) lo spiritu tuo costringa (e) domi, ke tu posse adoperare lo tuo parlamento al suo servigio santo.
L. I, cap. 3[1] .iij. Dela doctrina del'amore (e) dela dilectione di Dio. [2] Dunque la doctrina tua del'amore et dela dilectione di Dio prenda cominciamento; perciò sì come disse Cassiodoro: «Ad ongne cosa si rende humile quelli cui riempie la doctrina celestiale; et anche: «Sempre si fa bene se ali costumi humani s'appone celestiale paura». [3] Dunque cognosca la tua intelligibile discretione ke l'amore tale è divino et tale humano et tale s'inchina ad altre cose humane (e) temporali. [4] Onde inprima è da vedere ke sia l'amore, et come elli entri nele menti delli uomini, et onde sia detto l'amico, et chi sia verace amico, (e) come s'acatti l'amore (e) la dilectione di Dio et come si ritenga. [5] L'amore di Dio èe «caritade di cuor puro (e) di cosciença buona (e) di fede non fictitia», ciò è ke paia et non sia; la quale ancora è detta «fine del comandamento», dela quale fa mentione santo Paulo nela pistola prima a Timotheo, nel cominciamento di quella. [6] O sia ke tu diche l'amore di Dio è forte applicatione di cuore, d'anima (e) di mente a Dio amare. [7] Onde Dio disse nel vangelio: «Amerai lo tuo sengnore Dio cum tutto lo cuore tuo (e) cum tutta l'anima tua et cum tutta la mente tua, (e) lo prossimo tuo sì come te medesimo». [8] Et nasce l'amore di Dio dala gratia di Dio padre; onde disse lo nostro sengnore (Iesu) Cristo: «Neun uomo puote venire a me se l padre mio nol trae»; et desi intendere: «al mio amore per la sua gratia». [9] Entra l'amore di Dio nele menti delli uomini per li orecchi cola spiratione di Dio, perciò ke sì come la beata madre di Dio sempre vergine Maria l'angielo per li orecchi ingravidò, et concepette lo filius di Dio nostro sengnore (Iesu) (Cristo), così l'amore di Dio (e) la sua dilectione entra per li orecchi ali cuori (e) ale menti delli uomini cola spiratione di Dio quando da Dio a noi alcuna cosa è annuntiata. [10] L'amico si dice quasi dell'animo custodia; uno è dunque lo verace amico che soprastà a tutti, perciò ke quelli solo puote l'animo tuo guardare (e) l'anima salvare: inperciò ke quello è tale amico (e) in tal guisa tutti noi ama ke vuole ke tutti siamo salvati et non vuole che veruno ne perischa. [11] Et sì ssi rallegra sopra li peccatori ke fanno penitençia ke magiore allegreçça li fia sopra uno peccatore ke faccia penitentia ke sopra novanta nove giusti, sì come nel vangelio si dice. [12] Et è tale amico ke etiandio li servi chiamò amici, dicendo ali apostoli: «Voi li miei amici siete». [13] Et ancora, quando Giuda venia a tradirlo, sì lo chiamò amicho, dicendo a llui: «Amico, a che sè venuto?». [14] Et non solamente noi ama, ma etiandio tutti li beni ne dà, et per noi creò tutte le cose (e) per noi ispira; sì come disse l'Apostolo: «Dio ke fece il mondo et tutte le cose ke inn esso sono, questi è sengnore del cielo (e) dela terra, (e) non abisongnando d'alcuna cosa, creò tutte le cose et ongne cosa spira, (e) d'uno fece ogn'omo habitare sopra la faccia dela terra». [15] Dunque abbraccia lo colui amore cum tutto lo desiderio tuo, acciò ke ti faccie suo amico, perciò ke se tu l'amerai elli amerà te, sì com'elli medesimo disse: «Io amo coloro ke amano me». [16] Et l'Apostolo nela pistola ali Romani disse: «Noi sapemo ke a coloro c'amano Dio tutte le cose adoperano in bene». [17] Et ancora in Ysaia è scripto ke occhio non vide nè urechia non udio nè in chuore d'uomo non salio quelle cose ke Dominedio apparecchioe a coloro ch'amano lui.
L. I, cap. 4[1] .iiij. Come s'accatta l'amore et la dilectione di Dio per fede. [2] L'amore et la dilectione di Dio s'acatta per fede, per isperança et per caritade. [3] Per fede s'acatta l'amore et la dilectione di Dio, la qual fede è «sustantia di cose da sperare, (e) argomento (e) pruova di cose non appariscenti». [4] Onde l'Apostolo disse: «Li santi per la fede vinsero li rengni, adoperaro giustitia et acattaro repromessione, turaro le bocche deli leoni et ispengnaro l'impeto del fuocho et rituççaro lo tallio del coltello et gueriro dela 'nfermitade, fatti sono forti in battallia et rovinaro le castella deli strani, ricevettero dela resurrectione li suoi morti». [5] Dela quale fede santo Giovanni vescovo disse: «La fede è fondamento di religione santissima, legame di caritade, aiutorio d'amore. [6] Questa fede conferma la santitade, conforta la castitade, adorna la dengnitade; neli fanciulli risprende, neli giovani fiorisce, neli più maturi appare; governa maschio (e) femina, li gradi deli homini avança, tutti li offici guarda, nel povero è gratiosa, nel meççolano lieta, nel ricco honesta. [7] La fede conserva l'amistade, congiungne le conpangnie, loda l'arti, neuno dispregia, a neuno viene meno se non a colui ke viene meno lei. [8] La fede tiene et conserva li comandamenti et termina le promessioni; la fede fa li uomini familliari a Dio (e) ordina li amici a (Cristo)». [9] La quale fede Seneca nele Pistole la loda dicendo: «La fede è santissimo bene del pecto dell'uomo, la quale per neuna necessitade è costrecta d'ingannare, per neuno priego si corronpe». [10] Et Tulio nel libro del'Amistade lodò la fede (e) disse: «Fermamento dela stabilitade et dela costantia è la fede, la quale noi portiamo nell'animo; ingengno doppio (e) bistorto non puote essere fidato». [11] Et la fede sì piacque a Dio ke l nostro sengnore (Iesu) (Cristo) neun uomo sanava se in lui ferma fede non trovasse, (e) coloro k'avéno ferma fede sì li sanava et ancora li salvava dicendo: «La fede tua t'à fatto salvo», sì come disse al cieco a cui reddeo lo vedere (e) al lebroso lo quale mondoe (e) a molti altri. [12] Nela fede si dee aministrare virtude (e) bonitade, sì come santo Piero nela seconda sua epistola disse: «Voi ke le cure prendete, ministrate nela vostra fede virtude (e) nela virtude scientia (e) nela scientia abstinentia (e) nel'astinentia patientia (e) nela patientia pietade e nela pietade amore di fraternitade et nel'amore di fraternitade caritade». [13] Per fede certo piace l'uomo a Dio, sì come piacque lo ladro nela croce, et sança fede li dispiace l'uomo; onde l'Appostolo disse: «Inpossevole cosa è piacere a Dio sança fede». [14] Et per fede etiandio vinciamo lo mondo; onde santo Giovanni nela pistola sua disse: «La fede nostra è la victoria ke lo mondo vincie». [15] Per la fede etiandio vivono li giusti; onde l'Apostolo nela pistola ali Romani disse: «Lo giusto vive nela fede». [16] Et intendo la fede catholica universale, la quale la romana chiesa insengna (e) coltiva et venera, secondo ke si dice nel capitolo ke si comincia «Chiunque vuole salvo essere» (e) nel «Credo in Deo». [17] Et intendi fede viva (e) non morta, ciò è vestita di buone opere, perciò sì come disse l'Apostolo: «La fede sança l'opera è morta». [18] Et avegna ke nell'opere talvolta non sia ventura ke piaccia perciò ke non ànno lo loro effetto, pertanto la fede non è da lasciare, perciò ke disse uno savio: «Magiormente vollio ke m'abandoni la ventura ke la fede». [19] Perciò ke sì come disse uno savio: «Chi perde la fede non li è lasciato con qual cosa si conservi». [20] (Et) intendi fede ferma (e) non dubitata, perciò ke del fatto di Dio in neuno modo si dee dubitare. [21] Perciò ke san Piero apostolo quando lo nostro sengnore Gieso Cristo andava sopra l'onda del mare disse a llui: «Se tu sè lo Sengnore, comanda ch'io vengna a te»; [22] et quando secondo lo comandamento di Dio andava sopra l'acqua del mare dubitoe, (e) incontanente comincioe a cadere giuso per la dubitança, onde Dominedio lo prese per la mano et levollo alto (e) disse: «Omo di poca fede, perché dubitasti?». [23] Et altrove santo Iacopo nela prima sua epistola disse: «S'alcuno di voi abisongna di senno, domandilo a Dio, lo quale ne dà a tutti abondevolemente, et no· lo rinproverà: et seralli dato. [24] Ma domandilo in pura fede, (e) non dubiti, inperciò ke chi dubita è similiante ala tenpesta del mare, la quale si conmuove dal vento, Dunque non extimi quello cotale huomo k'è dubbio (e) non è costante (e) fermo k'elli riceva alcuna cosa da Dio». [26] Et ancora Dio nel vangielio disse: «In veritade dico a voi ke se voi averete fede (e) non dubiterete, sì a questo monte dicerete "Tolli et gettati nel mare", sì serà fatto, et qualunque cosa domanderete in oratione cum ferma credença sì la riceverete». [27] Et nel'Eclesiastico si dice: «Cuore k'entra in due vie non averà requia (e) quelli k'è di cuore pessimo in esse serà scandaliçato». [28] Et Seneca nele Pistole disse: «Quelli ke vuole giungnere dove elli à proposto, sequiti una via et non vada vagando per molte». [29] Et altrove: «Vita sança proponimento per molte». [29] Et altrove: «Vita sança proponimento è vaga, e nulla cosa è più soçça del dubbio o di fatto non certo».
L. I, cap. 5[1] .v. Come per la sperança s'accatta l'amore di Dio. [2] Per la sperança s'acatta l'amore (e) la dilectione di Dio: la sperança è certo aspectamento dela beatitudine et del paradiso ke sarae. [3] Dela quale sperança si dice: «Spera in Dio (e) fa bonitade, domanda la pace e seguitala». [4] Et altrove: «Getta lo pensiero tuo in Dio et elli ti nutricherà». [5] Et altrove: «Revela a Dio la tua via (e) spera in lui, et elli la farà». [6] Perciò ke Dio salva tutti coloro ke sperano in lui; sì come disse lo profeta: «Fa maravilliose le tue misericordie, tu ke salvi fai quelli ke sperano in te». [7] Inperciò ke quelli ke fermamente sperano in Dio sono difesi et liberati et riconperati per lui, et sono pasciuti nele sue riccheççe, et non sono confusi nè infirmati. [8] Sì come disse lo propheta: «Et sperino in te quelli ke congnoscono lo nome tuo, perciò che tu unque non abbandonasti quelli ke domandano te, Sengnore». [9] Et altrove: «Dio sengnore mio, nela via sua li parlamenti del Sengnore examinati per fuoco, elli è difenditore di tutti quelli ke sperano in lui. [10] Et altrove: «In te speraro li nostri padri, et tu li liberasti; a te clamaro, et fatti sono salvi; in te speraro, et non sono confusi». [11] Et altrove: «Giudica, Dominedio, perciò ke sono intrato cola mia innocentia; sperando nel Sengnore non infermerò». [12] Et altrove: «In te, Sengnore, sperai: non serò confuso in eterno; nella tua giustitia mi delibera». [13] Et altrove: «Riconperà Dominedio l'anime deli servi suoi, et non abbandonerà tutti quelli ke sperano in lui». [14] Et altrove: «Spera nel Sengnore et fa bonitade; et habita in terra, (e) sarai pasciuto nele sue riccheççe». [15] Et altrove: «Aterà quelli Dominedio et liberalli et conperralli dali peccatori et salveralli, perciò ke sperano in lui». [16] Et altrove disse l'Apostolo nela pistola ali Romani: «Per sperança salvi fatti siamo; ma la sperança ke pare non è sperança». [17] Et sappie ke «la sperança è lo seççaio solatio deli mali», sì come disse Seneca deli Ordinamenti legali.
L. I, cap. 6[1] .vj. Per caritade s'acatta l'amore (e) la dilectione di Dio. [2] Per caritade s'acatta l'amore e la dilectione di Dio, perciò ke per quella tutte le virtudi et tutti li beni si fanno. [3] Perciò, sì come disse santo Piero nella pistola sua prima: «La caritade ricuopre la moltitudine deli peccati». [4] In tale guisa che si dice: «Abbie caritade (e) fa ciò ke vuoli», perciò ke «Dio è caritade, et ki permane in caritade permane in Dio (e) Dio in lui», sì come disse santo Giovanni nela pistola sua. [5] La caritade secondo santo Agustino è uno movimento d'animo a servire Dio per sé, et a sé (e) al proximo per Dominedio. [6] Et abbie caritade, secondo ke nela pistola di santo Paulo si dice, (e) serai reputato amico di Dio. [7] Et intendo etiandio secondo ke si dice dal populo: «Fa a colui caritade, ciò è limosina»; onde si dice: «Date la limosina, et ogne cosa serae a voi monda». [8] Et altrove si dice per lo savio: «Chi tura l'urecchie sue al chiamare del povero, elli kiamerà et non serà udito». [9] Et altrove: «Chi dà al povero non serà povero; ma chi à in dispetto colui ke lo priega, sosterrà povertà». [10] Et Seneca disse: «Consillio truova nela sua aversitade ki soviene nela sua prosperitade». [11] Et altrove lo filius Syrac disse: «La limosina dell'uomo è quasi uno sacco co· llui». [12] Et altrove disse Ysaia: «Rompi lo pane tuo a colui k'à fame, e li bisongnosi e li vaghi mena nela tua casa; se vederai lo 'ngnudo rivestilo, (e) la carne tua non averai a dispetto; perciò ke lo lume tuo verrà subito sì come da mattina (e) la tua sanitade tosto nascerae». [13] Perciò ke Dio non si puote mellio cognoscere ke per rompere di pane a cagione di fare limosina. [14] La quale cosa si puote manifestamente cognoscere per lo vangelio di Dio: perciò ke li apostoli k'erano cotidianamente stati cum Dominedio nol cognosceano dipo la sua resurrectione, avengna k'elli lo vedessero disporre a lloro la scriptura et cominciarsi da Moysè et dali profeti; [15] ma sì lo congnobbero nel rompere del pane, sì come quasi Dominedio desse loro ad intendere manifestamente ke Dio unque non si congnosce mellio nè lli occhi de' peccatori non s'aprono mellio a conoscere Dio ke per ronpimento di pane a fare limosina. [16] Per la limosina si fa l'uomo beato (e) nel die pessimo per lo Sengnore serà liberato, et fassi giocondo, et ordinerà bene li suoi sermoni nel giudicio. [17] come disse lo profeta: «Beato quelli ke intende sopra lo povero, ke nel die pessimo lo liberrae lo Sengnore». [18] Et altrove: «Iocundo è l'uomo k'àe misericordia e ke presta; ordinerà li suoi sermoni nel giudicio; perciò ke in eterno non serà conmosso». [19] Per molte ragioni dovemo allegramente fare limosina: perciò ke «Dio ama colui ke dà allegramente», sì come disse l'Apostolo nela pistola sua a coloro di Corinto; et perciò ke li predicti beni n'avemo; [20] et perciò ke quando diamo la limosina noi non la perdemo, ma serbiallane, et per ella nela casa di Dio siamo ricevuti, onde disse Dominedio: «Fate a voi amici dela riccheçça dela niquitade, li quali ricevano voi nele magioni eternali»; [21] et perciò ke dando la limosina, non solamente la diamo al povero, ma a Dominedio, sì com'elli medesimo dice: «Quando voi faceste ad uno dei miei minimi, a me lo faceste». [22] Et etiandio uno savio disse: «Chiunque tu sè ke sè ala mensa, primieramente del povero pensa, perciò ke quando tu pasci lui, tu pasci Dio», perciò ke nela forma del povero si nasconde Dominedio. [23] Buono è dunque lo dono dela limosina, ke quando si dona a noi si conserba et neli tesori di Dio per noi si ripone; onde disse Dominedio: «Tesauriçate a voi tesori in cielo, ove nè rugine nè tingnuole non li rode». [24] Et etiandio Martiale Coco disse: «Chi ali giusti et ali santi homini fa servigio, dove dona prende, dove sparge rauna; et ki a coloro ke non ne sono degni dà guiderdoni, due volte li perde, ciò è perké dona e dona ali non dengni». [25] Et etiandio: «Quando tu vivi coli ghiottoni et cole puttane ciò ke tu ài perdi, (e) dunque tu misero sè perduto». [26] Ma uno filosofo disse: «Se Dominedio vuoli seguitare, dà a coloro ke non ne son degni. perciò ke l sole nasce ali felloni et ali pessimi, e ali corsari (e) ali ladroni di mare li mari sono aperti (e) quieti». [27] Dunque a tutti li poveri die fare bene, non volgendo la faccia tua a veruno povero; secondo Tobia ke disse: «Dela substantia tua fa limosina, et non volgere la faccia tua a neuno povero, acciò ke la faccia di Dio non si volga a te. [28] Come potrai, sie misericordioso; se tu averai molto, abondevolemente ne dà; se tu averai poco, di quello poco dà allegramente. [29] Perciò ke uno buono guiderdono ti serbe per tesoro nel die dela necessitade; perciò ke la limosina libera dal peccato (e) dela morte et non soffera ke l'anima vada in tenebre; grande fidança darae la limosina dinançi al sonmo Dio a coloro ke la faranno». [30] Et l'angielo Raphaele disse a Tobia: «Buona è l'oratione col digiunio, (e) altressì la limosina, magiormente ke riporre tesori d'oro; perciò ke la limosina libera dela morte (e) purga li peccati (e) fa trovare vita eterna; ma ki fanno li peccati e le nequitadi sono nemici dell'anima loro». [31] Et perciò forse Daniel profeta disse a Nabuccodonosor re, lo quale avea proveduto la distructione del regno suo per lo sogno dell'arbore: «Piaccia a te, re, lo mio consillio: le peccata tua riconpera per limosina, (e) le tue niquitadi per misericordia deli poveri; (e) forse ke Dio ti perdonerà le peccata tue». [32] Et non credere ke per moltitudine di limosine, la quale si significa per Tobia, li tuoi beni si diminuiscano, ançi credi k'elli crescano, perciò ke sì come quando la candela luce et arde (e) lume da essa si prende lo lume dela prima candela non menoma ma adoppiasi, così per la limosina data la sustanzia tua crescie. [33] La qual cosa puoi cognoscere manifestamente per exempli divini: perciò ke Dio nostro sengnore (Iesu) (Cristo) quando vide la turba la quale l'avea seguitato nel diserto, ebbe misericordia sopra essa (e) disse: «S'io li lascerò stare digiuni, elli verranno meno nela vita per deboleçça»; [34] (e) volliendo fare la limosina dela sustantia da sé creata, pascette cinque milia uomini exceptatine li piccoli et le femine di cinque pani (e) due pesci. [35] La limosina di Dio così fatta, la sustanzia di Dio da lui criata in tanto abbondoe et crebbe ke dele relique del pane (e) de' pesci k'erano soperchiati dodici cuofani si ne riempiero. [36] Similemente la sustantia del Sengnore abondoe et crebbe quando elli pasceo quattro milia huomini sança li piccoli (e) le femine di sette pani (e) pochi pesciattoli, (e) dele reliquie ke soperchiaro .vij. sporte piene di peççi rotti si ne ricolsero. [37] Et puoi cognoscere per molti exempli humani ke le richeççe delli uomini non menomano per le limosine, perciò ke molte buone case ò vedute le cui riccheççe abbondaro (e) crebbero quando le limosine in loro abondavano (e) abondevolemente si faccìano, ma poscia, sutratte per avaritia le limosine, li beni di quelle case al postutto si destrussero (e) reddiro a neente. [38] Così come l'uomo per le limosine è fatto beato (e) ricevuto nelli eternali tabernaculi, così per la sottractione dele limosine per avaritia si fa l'uomo micidiale (e) per diritta via si ne va al ninferno. [39] Onde si dice: «Se tu vederai lo tuo fratello morire di fame (e) no· lo pascerai, tu l'uccidesti». [40] Et Cassiodoro disse: «A ragione quando l'uomo puote sovenire a quelli k'àn fame, se no· li pasci, sì lli ài morti». [41] La limosina certo spengna lo peccato; onde (Iesu) filius Syrac disse: «Come l'acqua spegna lo fuocho ardente, così la limosina spengna lo peccato e contrasta ad esso. [42] Filliuole, la limosina del povero no· la frodare, e li occhi tuoi no· li volgere dal povero; l'anima affamata no· la dispregiare e no· le fare parere aspra la sua povertà; dal povero non volgere li occhi per ira, (e) non lasciare a coloro ke ti domandaro ke di dietro a te ti possano maladicere». [43] Et altrove: «Richiudi la limosina nel cuore del povero, (e) questa pregherae per te da ogne male». [44] Et santo Giovanni nela pistola sua disse: «Chi ebbe la sustantia del mondo (e) vide lo fratello suo patire necessitade (e) chiuse le membra sue da lui, come la caritade di Dio permane in colui?». [45] Acciò dunque ke tu schifi la morte (e) sie ricevuto nel paradiso, secondo ke l'Apostolo disse nela pistola a' Galathi, «Adopera bene a tutti, (e) specialmente ali domestichi dela fede». [46] A tutti, dico, ali quali tu agevolemente bene fare lo puoi: perciò ke neun uomo dela sustantia di questo mondo puote a tutti fare bene, se non solo Dio. [47] A tutti dunque fa bene, e specialmente ali bisongnosi, perciò ke disse Cassiodoro k'«ali bisongnosi pare k'ali ricchi non si dee sovenire, perciò ke versa che mette in pieno». [48] «Honora dunque Dominedio dela tua sustantia (e) dele primitie di tutte le tue biade; (e) li tuoi granai s'empieranno di saturitade e le tue canali soprabonderanno di vino», sì come disse Salamone. [49] Dunque honorare dei Dominedio dela tua sustantia, (e) con usure la riaverai melliorata, sì come quello medesimo disse: L'uomo k'à misericordia del povero fa usura per sé, et la sua vicenda renderae a lui». [50] Perciò ke disse Ysaia: «Quando tu averai versata l'anima tua al'affamato et l'anima afflicta del povero averai ripiena, nascerà la luce tua nele tenebre et le tenebre tue seranno sì come sole da meççodie. [51] Et lo sengnore Dio sempre ti darae requie, et salvarae neli splendori l'anima tua, et diliberrae l'ossa tue; et serai sì come un orto innaffiato (e) sì come fonte viva le cui acque non vengnono meno». [52] Et honorare dei lo Sengnore dela tua sustantia et cum colui k'à fame dividere lo pane tuo, (e) avera'ne lode; sì come disse Seneca nele Pistole: «Grande lode a colui k'è rotto in mare porgere la mano (e) a colui k'erra mostrarli la via (e) col'affamato lo pane tuo dividere». [53] Ma non dei fare questo per amore di lode, ma dei dare dela tua sustantia a buona intentione (e) non per vana gloria; perciò ke sì come disse lo Sengnore: «Quando fai la limosina non la cantare cum tronba, ma di secreto la fa; ke non sappia la mano tua manca quello che faccia la mano tua diritta». [54] Fa dunque allegramente la limosina (e) non tristamente, perciò ke sì come Martiale Coco disse: «Se cum tristitia done, li doni ti perdi» [55] Et abondevolemente fa le limosine secondo le tue forçe (e) le tue facultadi (e) dela tua abondantia, acciò ke le tue limosine non siano alli altri consolatione (e) a te tribulatione. [56] Et non aspectare ke li tuoi filliuoli od altri per te facciano limosine o rendano lo maltolletto, perciò ke disse lo filius Syrac: «Ançi ke vengna la morte, fa bene al'amico tuo, (e) secondo le tue forçe porgendo dà al povero; ke non lascerai tu altrui le tue fatiche?»; quasi dica "sì lascerai". [57] Perciò ke sì come disse santo Paulo nela pistola a quelli di Corintho: «Se la volontade è pronta, da lodare (è) secondo quello ke l'uomo àe et non secondo quello ke l'uomo non àe, (e) non sì k'alli altri sia remissione e a voi tribulatione; ma per igualliança la vostr'abondança riconpia la loro povertà, sì come la loro abondança dee essere riconpimento dela vostra povertade». [58] Et Seneca deli Benefici disse: «Darò a colui ke bisongna, ma non sì ch'io abisongni; io socorrerò a colui ke perisce, ma non sì ke perisca io». [59] Et Martiale Coco disse: «Così ti ricorderai di fare prode altrui ke a te non nocce, ke volere fare li altri beati (e) parte te innodiare (è) misera cosa». [60] Et Cato disse: «Così sie buono ali buoni ke li rei danni non ti ne seguitino». [61] Et non solamente a te non dei nuocere per la tua largheçça, ma etiandio non dei nuocere altrui; perciò ke disse Cassiodoro: «Noi non volemo ke la nostra largheçça per fare doni porti altrui danno, acciò ke quello ke si dà non s'apicchi col'altrui danno». [62] Onde etiandio disse Tulio: «Da vedere è ke di tale largheçça usiamo ke faccia prode ali amici et a neun uomo noccia. [63] (Et) di tale largheçça usare dovemo ke del nostro e non del'altrui doniamo, perciò ke dare dell'altrui non è giustitia, dunque nè largheçça». Onde quel medesimo Tulio disse: «Neuna cosa ke non è giustitia è largheçça». [64] Et «da guardare è ke maggiore non sia la beningnitade del dare ke non sono le facultadi», sì come quello medesimo disse. [65] Dunque secondo le facultadi tue (e) lo podere tuo conserva lo detto di Cassiodoro ke disse: «La persona tua sia refugio del misero, defensione delo 'nfermo, aiutorio di colui k'èe d'alcuna adversitade premuto».
L. I, cap. 7[1] .vij. Come si ritiene l'amore (e) la dilectione di Dio. [2] Ritienesi l'amore di Dio et la sua dilectione per perseverare etiandio; onde si dice: «Non ki comincerà ma ki perseverrà è aconcio ad avere lo rengno di Dio»; et Dominedio cola propia bocca disse: «Chi perseverrà infino ala fine, quelli salvo sarae». [3] Et altrove si dice: «Neun uomo ke mette mano al'aratro (e) ponesi mente dietro è aconcio alo rengno del cielo». [4] Et santo Iohanni nela pistola sua disse: «Ongne homo ke comincia (e) non permane nela doctrina di (Cristo) non à con seco Dominedio, ma ki permane nela sua doctrina, quelli àe lo Filliuolo (e) lo Padre». [5] Del'amore di Dio et dela sua dilectione per la grandeçça dell'opera e per lo difetto del mio ingengno per la grandeçça dell'opera e per lo difetto del mio ingengno non ti ne posso pienamente amaestrare, ma basti averti scripto questo brevemente (e) sonmatamente. [6] Ma tu per lo tuo ingengno sempre ci agiungni (e) ci cresci, a ciò ke per la gratia di Dio al suo amore (e) sua dilectione posse venire.
L. II, cap. 8[1] .viij. Del'amore et dela dilectione del proximo in Dio. [2] Avuto lo tractato del'amore di Dio et dela sua dilectione, ora è da tractare del'amore (e) dela dilectione del proximo, la qual è congiunta cum quella, (e) sança la quale l'amore di Dio avere non si puote. [3] come santo Iohanni nela pistola sua disse: «Ongn'uomo k'ama lo suo fratello è nato di Dio et congnosce Dio, et ki non l'ama non lo congnosce, perciò ke Dio è caritade». [4] Et altrove etiandio disse: «S'alcuno huomo dicerae: "io amo Dio", (e) lo fratello suo innodia, busgiardo è; chi non ama lo fratello suo lo quale vede, Dominedio lo quale non vede come puote amare? [5] Et questo comandamento avemo da Dio, ke chi ama Dio ami lo suo fratello». [6] Et santo Paulo disse: «Chi ama lo proximo suo la leggie adempie». [7] Et dal savio etiandio è detto: «Tre cose piacciono alo spiritu mio, le quali sono approvate dinançi a Dio et dinançi alli uomini: concordia deli fratelli, l'amore deli proximi, marito et mollie ke insieme si consentono; tre generationi d'uomini àe innodiato l'anima mia: povero superbo, ricco bugiardo, vecchio matto e insensato». [8] Et quando lo sengnore Dominedio disse: «Amerai lo Sengnore, Dio tuo, di tutto lo cuore tuo et di tutta l'anima tua (e) di tutta la mente tua», vie via v'agiunse: «Et lo proximo tuo sì come te medesimo»; dicendo: «In questi due comandamenti pende tutta la leggie, (e) li profeti». [9] Ama dunque lo proximo tuo sì come te medesimo, sappiendo che questo «come» singnifica similitudine ma non quantitade, perciò ke neun omo puote tanto altrui amare quanto sé medesimo ama; ma basta se tu ame lo proximo tuo a quello ke tu ame te medesimo, ciò è a vita eterna. [10] Dunque tutti li uomini generalmente sono da amare in (Cristo): perciò ke la voluntà dei avere, (e) etiandio per opera quanto puoi conpiere, ke li uomini siamo buoni (e) servano a Dio (e) per le buone opere vadano in paradiso. [11] Dunque di diritto amore (e) non di rio ongne homo ama, perciò ke l'amore tale è diritto, lo quale si dice caritade, del quale ti dissi sopra nel titulo del'amore (e) dela dilectione di Dio, et tale è pessimo, lo quale si puote chiamare cupiditade o perverso desiderio. [12] Delo quale tractoe Gualtieri (e) diffinìlo così dicendo: «L'amore è una passione nata dentro dall'anima che proviene per la visione et per troppa pensagione di forma feminile o maschile, per la quale la mente sì desidera (e) allegge sopra tutte cose d'abracciare quello ke ama, (e) di volontade dell'uno (e) dell'altro ogne cosa essere conpresa neli comandamenti di quello stesso amore». [13] Ama dunque li uomini in bene (e) non in male, perciò ke l'Apostolo dice: «Non ti lasciare vincere al male, ma vinci nel bene lo male». [14] Et altrove nela pistola ali Romani: «Ciascuno di voi piaccia al proximo suo in bene». [15] Perciò ke chi ama altrui consentendoli nel male non l'ama, ançi lo innodia (e) sé medesimo ne condanna; due volte pecca ki al peccato servigio presta, et kiunque pecca prima in sé ke in altrui pecca. [16] Et santo Prospero disse: «Li uomini così sono da amare ke li loro errori non siano amati». [17] Del'amore dunque dell' uomo nell'uomo dei dire sì come pienamente scrisse santo Agostino nelo suo sermone ke si legge nela prima domenica dipo la Pentecoste, lo quale sì comincia: «Non solamente nel Nuovo» et cetera.
L. II, cap. 9[1] .viiij. Onde nascha l'amore et come. [2] Sappie ke l'amore a modo di cristallo nasce; coagolasi (e) prendesi cum gelosia, in amistade si converte, e per buona conversatione e lunga usança si conduce quasi in natura sì ke come pietra clara si fa. [3] L'amore dell'uomo come lagrima dalli occhi nasce (e) nel petto cade; et nasce talvolta dalli urecchi, perciò ke se tu udirai uno filliuolo essere nato a te lo quale ancora non abbie veduto, solo per l'udire dell' urecchi si prende l'amore nel cuore tuo sì ke lo comincie ad amare. [4] Et etiandio similliante quando d'alcuno buono huomo tu odi molti beni (e) molti servigi ne ricevi, incontanente t'apprendi d'amore in lui amare pur per udire. [5] Coagolasi (e) congielasi (e) prendesi sì ke in amistade si ke in amistade si converte per fede, per conviti, per favellare, per buoni servigi insieme dati (e) ricevuti. [6] Per fede si coagola (e) prendesi, secondo Seneca lo quale disse: «La fede è al'amico presame d'amistade (e) la sapiença è fermamento d'essa». [7] Per convito si prende l'amore intra li uomini buoni, sì come disse uno savio: «Lo convito è presame d'amistade intra li buoni, ma intra li rei è discordia (e) lite». [8] Onde disse Seneca nele Pistole: «Innançi è da porre mente al convito cum kenti huomini tu manuche o bei ke quello ke tu manuche o bei; manicare sança amico è vita di leone e di lupo». [9] Et lo profeta disse: «Cum quello k'è superbio d'occhi (e) insatiabile di cuore, cum lui non manicava». [10] Et avengna che lo convito sia presame d'amistade, nonn è da farlo spesso per molte ragioni: perciò ke nel convito talora molti mali huomini si raunano et perciò ke grandi liti ne nascono talvolta et perché molte cose vi si fanno a soperchio (e) perché per li molti spessi conviti la sustantia delli uomini molto ne menoma. [11] Onde Salamone disse: «Mellio è ire a casa di pianto ke a chasa di convito». [12] Et etiandio Cato disse: «rade volte fa convito». [13] Per buono favellare si prende l'amore et in amistade cade; onde uno savio disse: «Cominciamento d'amistade è bene favellare, et male dire è coninciamento di nimistade». [14] Et etiandio Panfilio disse: «lo dolce parlare isvellia (e) nutrica amore». [15] Per buoni servigi insieme dati (e) ricevuti si congiela l'amore e cade in amistade, (e) fassi l'uomo geloso; onde si dice: «La gelosia dela tua casa m'à manicato». [16] Et altrove: «Non seguitare (e) non amare quelli ke fanno la niquitade». Onde la Regola del'Amore dice: «Ki non à gelosia amare non puote», (e) «Per vera gelosia senpre cresce lo desiderio del'amore». [18] Et per servigi etiandio a vicenda dati (e) ricevuti s'acatta l'amistade e conservasi (e) ritienesi; onde si suole così dicere: «Odo così dicere, ke dando si ritengono li amici». [19] Et Cato disse: «Perciò ke per servigio si ritengono li dolci amici. [20] Non dubitare, cum ciò sia cosa ke tu domandi grandi cose, dare quelle cose ke sono piccole, perciò ke così faccendo la gratia sì conduce (e) congiungne a te cari». [21] Et «talora sie largo di dare mangiare ali tuoi conti (e) cari amici». [22] Et «quello ke tu puoi dare in dono, (e) di gratia lo concedi a colui ke te ne priega, perciò ke avere fatto ali buoni è in parte di guadangni». [23] Et Terenço disse: «Lo servigio parturisce amici, la veritade parturisce hodio». [24] Se tu pur prendi dal'amico (e) di neuno tempo li dai, la sua amistade a ragione la perderai, cum ciò sia cosa ke da te pur danno prenda et non guadangno. [25] L'amico per cagione d'utilitade si prende, et elli sempre n'à danno, la tua amistade a lui non piacerà; perciò ke sì come disse lo filosofo: «Ki per cagione d'utilitade èe fatto amico, tanto piacerà quanto utile serà». [26] Et certo se l'amico spesse volte t'à dato, elli t'à insengnato di renderli; onde disse uno filosofo: «Spesso beneficio dare (è) insengnare di rendere». [27] [***] «L'uso deli benifici pensano li uomini essere gratioso», «[***] crescono per dimorança, (e) tanto più n'è da rendere quanto più tardi si rende: perciò ke sança grado lo fa quelli ke beneficio rende sança usura». [28] Et avengna ke li benifici per dimorança crescano, non è la convenevole dimorança in essi da riprendere, perciò ke disse uno fisolofo: «Tieni diritta giustitia intra li uomini, (e) ameranti; et non t'affrettare di rendere a veruno la prestança del male o del bene, perciò ke più lungamente t'aspetteranno li amici et più lungamente ti ne temerà lo nemico». [29] Dunque dei rendere lo benificio al'amico con usura se puoi, (e) se no abbie spesso lo benificio a te dato in memoria (e) lo benefactore ne loda, perciò ke disse Seneca: «Assai è grande usura per lo benificio averne memoria». [30] Et etiandio lo benefactore reverisci e temi, perciò ke sì come quello medesimo disse: «Optimamente è posto lo benificio ove temono quelli ke lo ricevono». [31] Et cum grande diligentia ti guarda ke tu non rende male per bene, perché sarebbe iniqua cosa (e) da non sofferire da Dio, perciò ke sì come disse Salamone neli Proverbi: «Ki rende male per bene, non si partirà lo male dala sua casa». [32] Et se al'amico non dai, giustamente a lui non chiedi. [33] Et altrove si dice: «Chi non sa benificio dare, non giustamente domanda». [34] Ançi cade inn odio, sì come Seneca disse: «Neuno odio è più mortale ke vergongnarsi del benificio corrotto». [35] Più volentieri lo benificio dei rendere ke di nuovo prendere; onde etiandio Seneca disse: «Erra ki lo benificio più volentieri prende ke no· lo rende. Quanto elli è più allegro ki paga ke chi prestança tolle, tanto dee essere più allegro quelli ke di grande avere altrui di ricevuto beneficio si scarica ke quelli k'al grandissimo s'obliga». [37] Perciò ke chi torre pensa, dimenticato è quello k'à tolto. [38] nonn è amistade ma mercatantia quando l'uomo prestando aspetta quello ke lli ne seguiti. [39] Per la qual cosa è detto: «Degno è d'essere ingannato ki del ricevere pensa quando dà». [40] Et si tu non puoi rendere lo beneficio per fatti, almeno lo ritribuisci per confessione del benificio, perciò ke sì come disse Seneca: «Talvolta è pagamento del benificio pur la confessione d'esso». [41] Ma negare lo benificio singnifica malitia (e) non averlo a grado; onde uno filosofo disse: «Chi niega lo benificio, dinançi ali occhi di colui ke vede tutto s'accusa». [42] Deli quali benifici (e) servigi dare e ricevere più pienamente ne dissi nel titulo del ritenere li amici. [43] Piacciati l'altrui amistade conservare con utilitade del'amico (e) non cum disutilitade d'altrui, o sia amico o sia nemico, che sì come disse Tulio deli Offici: «Nè dolore nè morte nè alcuna cosa la quale di fuori all'uomo possa venire così è contra natura ke coll'altrui disagio crescere lo suo agio et coll'altrui danno crescere lo suo prode». [44] Onde Seneca disse: «Meno male è lo suo male ke l'altrui tractare». [45] Et altrove: «Più misera cosa è nuocere ad altrui ke essere d'altrui ledito». [46] Per buona conversatione (e) lunga usança l'amore si converte in natura sì ke quasi pietra chiara si fa, perciò ke l'usança è un'altra natura. [47] Sì come l'acqua dela fonte (e) del poçço per lunga (e) cotidiana usança d'attingnere sempre si fa melliore, così l'amore invecchiato sempre melliore ke l nuovo si truova. [48] Onde (Iesu) filius Syrac disse: «Lo vino nuovo (e) l'amico nuovo invecchiano; (e) cum soavitade lo berai». [49] Et altrove: «L'amico tuo (e) del padre tuo non lasciare, perciò ke lo nuovo non sarae similliante ad esso». [50] Et sappie ke sì come l'antica amistade per lunga usança appresa nela mente sì ssi congiela ke quasi pietra chiara si fa, così l'ira invecchiata si chiama hodio, (e) hodio invecchiato si converte in natura ke nell'antico nemico di neuno tenpo ti poterai fidare. [51] Onde disse uno filosofo: «Non t'aconpangnare ali tuoi nemici, cum ciò sia cosa ke tu posse trovare altri conpangni, ke quello ke tu farai di male tutto lo scriveranno, e quello ke farai di bene lo disvieranno. [52] Ma più dispiù disse un altro filosofo ke disse ke li non conti sono da schifare come nemici (e) nonn è da fidare in loro ançi ke l'uomo li congnosca. [53] (Et) disse: «Non intrare in via con alcuno se prima nol congnosci; et s'alcuno homo non conto a te in via s'acconpangnerà (e) domanderatti ove tu anderai, rispondi ke tu vade più a llunga ke tu non ài in cuore d'andare; (e) si elli averà lancia, valli dala mano manca». [54] Et Salamone del'antico nemico disse: «Al'antico nemico non creder in eterno, (e) si elli va humile mente non li credere; perciò k'elli pres'è per utilitade, non per amistade, ritorna cum volontade di prendere fuggendo colui k'elli non puote prendere seguitando». [55] Et altrove: «Nelli occhi tuoi lacrimerà lo nemico, ma si elli vederà tempo non si satierà del sangue tuo». [56] Onde disse Seneca: «Maggiormente dee l'uomo per l'amico lasciarsi uccidere ke col nemico vivere». [57] Et etiandio Ysopo disse: «Non vi confidate deli vostri secreti revelare a quelle persone cole quali avete avuto discordia (e) battallia». [58] Et altrove quello medesimo disse: «Neuna fede abbie nel nemico, (e) vile ti sia lo suo conforto, acciò ke non perische per frode di crudele morte». [59] Et un altro filosofo disse: «Col nemico neun uomo sicuramente riede in gratia». [60] Che sì come disse Seneca: «Dove fue lo fuoco, non viene tosto meno lo fummo». [61] Lo fummo dell'odio sempre si nasconde nel petto del nemico; et l'odio, secondo Tulio, è veleno del'amistade, e perciò l'amistade sua o la sua gratia agevolmente non puote durare. [62] Et un altro disse: «All'animo del nemico neuno priego si conviene»
L. II, cap. 10[1] .x. Dela disuttilitade del malo amore. [2] Sappie ke molte sono le disutilitadi del'amore s'ello s'inchina in mala parte. [3] Che sì come disse Seneca: «Sempre nel'amore si domanda la cagione del danno». [4] Et altrove disse quello medesimo: «Se tu ame non saperai, se saperai non amerai». [5] Et le Regole del'amore dicono: «Meno dorme (e) manuca cui pensiero d'amore molesta». [6] (Et) «Ongne acto et opera del'amante si termina (e) si riduce nel pensiero di quella cosa ke cum lui s'innama». [7] Et «Lo verace amante neuna cosa crede ke sia beata se non pensare di piacere a quella cosa ke cum seco s'innama». [8] Et «L'amore neuna cosa poterebbe al'amore negare». [9] Et «Non suole amare quelli cui troppa voluntade di luxuria tormenta». [10] Et «L'amante deli sollaçi dela sua amata satiare non si puote». [11] Et «L'amoroso sempre è temoroso». [12] Et «Ongne amante inpalidisce nel guardare la cosa ke cum lui s'ama, et in subitana veduta di quella ne triema». [13] Et «Lo verace amatore è distenuto di continua imaginatione dela cosa c'ama». [14] Et lo poeta disse: «L'amore è cosa piena di sollicita paura». [15] Onde pensando queste cose (e) molte altre ke appena si poterebbero dire o pensare, et Ovidio nele Pistole appella l'amore ciecho, dicendo ke una reina disse ad uno ke l'amava: «Io vinta ti priego distendendo le mie braccia regali ale tue ginocchia, perciò ke quello ke si convengna neuno amante lo vede». [16] Et la Leggie chiama l'amore furioso (e) matto, dicendo: «Del furore del'amore neuna cosa è più forte e più repente, lo quale non si puote tenere se non da perfetta filosofia». [17] Dunque dei ritenere (e) ristringere lo tuo amore acciò ke debbiendo essere diritto non si faccia pessimo, sì come lo fanciullo, s'elli non fosse gastigato per verga o per bastone, si farebbe matto. [18] Come disse lo savio: «La matteçça è congiunta al cuore del fanciullo, (e) la verga (e) lo bastone la caccieranno». [19] Et lo propheta disse: «La verga tua (e) lo bastone tuo sono quelle ke m'ànno consolato». [20] Così l'amore, s'elli non si ristregnesse, sì sarebbe vago et in cupiditade et in luxuria caderebbe, li quali vitii non sono da seguitare ma da fuggire al postutto. [21] Per ke disse lo savio: «Dipo li tuoi carnali disideri non andare, acciò ke non ne cagge in dirisione deli tuoi nemici». [22] Et un altro disse: «Nela guerra (e) nela battallia sono fedite le corpora delli uomini di coltelli, (e) nele paci sono fedite di carnali disideri». [23] Et Ovidio disse: «Utile proponimento è spengnare le crudeli fiamme del'amore et non tenere lo tuo cuore servo di cotale vitio». [24] Ma lo tuo amore tu non lo puoi bene ristringnere k'elli non nasca, perciò ke l primo movimento del'amore ke per li occhi (e) per li orecchi entra in noi nonn è da poterlo schifare, perciò ke li primi movimenti li quali nascono dali .v. senni, ciò è dal viso, dal'odito, dal'odorato, dal gusto, dal toccamento, in noi non sono, ma da Dominedio, lo quale n'apparecchia quelli senni; per ke solo per vedere od udire cosa piacevole ti muovi ad amarla. [25] Onde Seneca disse: «Nè morte puote alcun uomo fuggire nè amore». [26] Ma ristringnere puoi quello movimento, ke l'amore non si muti a mala amistade. [27] Et avengna ke abbia detto ke l nascimento del'amore non si possa ristringnere bene, ma sì si puote ristringnere volgiendo li occhi ke non veggano la vanitade; sì come disse lo propheta: «Volgi in altrove li occhi tuoi, ke non veggano la vanitade. [28] Perciò ke sì come disse Tulio: «Non solamente dele mani, ma delli occhi è mistiere ke l'uomo s'astenga»; [29] astinendo etiandio li orecchi ke le ree cose d'amore non odano, ad similliança del serpente ke si fa sordo turando li urecchi suoi per non udire le voci deli 'ncantatori; et astinendo etiandio la lingua, ke del'amore ree cose non favelli. [30] Sì come disse l'Apostolo: «Li soççi parlari corrompono li buoni costumi». [31] Et un altro savio disse: «Sermone di luxuria è argomento (e) pruova di luxuria». [32] Et Seneca disse: «Dale soççe parole ti guarda, perciò ke la licentia d'esse nutrica isvergongnamento». [33] Et Socrate disse: «Quelle cose ke sono soççe a fare non penso ke siano honeste a dire». [34] Et non pensare ke tu posse fare cose soççe et non honeste, che sì come disse la Legge: «Quelle cose ke fatte ledono la nostra pietade od estimatione o vergongna (e) generalmente dicendo ke contra li costumi si fanno, nonn è da credere ke noi fare le possiamo cum kentunque animo si facciano». [35] Ke sì come disse uno filosofo: «Nulla differentia è cum kente animo lo faccie quello k'èe vitiosa cosa a fare, ke l fatto si vede, l'animo non si vede». [36] Dunque al'amore tuo inponi lo freno, (e) le sue redene così ritieni ke se l'amore tuo nato dalli occhi ti scandaliça, observa la parola di Dio ke disse: «Se l'occhio tuo ti scandaleçça, tra'loti (e) gettalo via». [37] Comanda dunque ali occhi tuoi ke non pecchino, perché sì come disse lo savio: «Neuna cosa peccano li occhi se l'animo alli occhi comanda (e) sengnoreggia». [38] Et inn altra guisa li occhi non si satierebbero; perciò disse lo savio: «Lo inferno (e) la perditione non s'empieranno, (e) similemente li occhi delli uomini non si possono satiare». [39] Dunque lo tuo amore, alli occhi (e) alli orecchi (e) ala lingua e all'animo comandando, sì lo ristringn'e lo doma k'elli non si faccia reo (e) non si converta in amistade di matto nè in amistade d'avaro o di cupido o di perverso o di superbo o di paçço o di linguadro o di tencionatore o d'adiroso. [40] Et acciò ke generalmente dica, di tutti li rei huomini la loro amistade è da rifiutare».
L. II, cap. 11[1] .xj. Da schifare l'amistà del non savio (e) delo stolto. [2] L'amistade delo stolto (e) del non savio perciò nonn è da abbracciare, perciò ke li matti li altrui vitii guatano e li loro dimenticano, onde disse uno filosofo: «La proprietade dela matteçça è li altrui viçi avere a mente (e) li suoi dimenticare». [3] Et perciò ke li pensieri di Dio non l'intende, sì come disse lo propheta: «L'uomo non savio non congnosce, (e) lo stolto non intende queste cose». [4] Et non ricevono li stolti gastigamento, ma ala loro via s'adergono, onde lo savio disse: «Neli orecchi deli non savi non favellare, perciò ke averanno a dispecto la doctrina del tuo parlare». [5] Et altrove: «La via del matto è diritta nelli occhi suoi, ma lo savio ode li consilli». [6] Et altrove: «Non riprendere colui ke sta in beffe (e) in ischernie, acciò ke non ti innodi, ma riprendi lo savio (e) ameratti». [7] Et altrove: «Se tu triterai lo matto nel mortaio sì come si trita l'orço (e) la tisana col pestello, non si parte da llui la matteçça». [8] Et altrove: «Lo cuore del savio è nela sua parte diritta, (e) lo cuore del matto è nela sua parte manca; ma lo matto, andando per via, cum ciò sia cosa k'elli sia matto, tutti li altri pensa essere matti». [9] Et altrove: «Ki coli savi va savio serae, ma l'amico deli matti si farà somiliante». [10] Et altrove: «non si conviene ali matti parole conposte, nè al principe labbro ke menta». [11] Et altrove: «L'uomo savio, se colo stolto contenderà, o sia k'elli s'adiri o k'elli rida, non troverà riposo». [12] Et un altro disse: «Colo schernitore conpangnia non avere (e) lo suo cotidiano parlare fuggi come veleno; la sua conpangnia sia tuo lacciuolo e lo parlare co· llui ti sia tua schernia (e) dispregio». [13] Nè etiandio puoi col matto convenevolemente parlare, perciò ke neuna ragione attende (e) non ti dà l'orecchie, perciò ke se co· llui parle, le parole ti perdi. [14] Perciò ke sì come disse (Iesu) filius Syrac, «Chi dice parole a colui ke non attende, fa quasi come quelli ke isvellia kolui ke dorme da grave sonno. Con colui ke dorme favella quelli ke al matto dice sapientia; et nela fine del detto suo dicerà: Ki è questi?». [15] Onde altrove quello medesimo disse: «Ove nonn è audientia non versare sermone, (e) troppo pronto non insuperbire nelo tuo savere». [16] Perciò ke pronta e sanç'uopo (è) la tua narratione quando non t'è data audientia, perciò k'è sì come musica, ciò è suono di canto, nel luogo dov'è pianto; onde quello medesimo disse: «Parlamento pronto (e) sanç'uopo è musica in pianto». [17] Nè non puoi utilemente (e) convenevolemente vivere col matto, perciò ke tutta la sua vita si reputa per pianto; onde (Iesu) filius Syrac disse: «Lo lutto del morto è .vij. dì, ma del paçço (e) dell'empio è tutti li dì dela loro vita». [18] Et non solamente dei fuggire lo parlare col matto, ma dei inporre silentio al matto si agevolemente fare lo puoi, secondo la parola di Salamone ke disse: «La sententia termina li piati, et ki inpone al matto silentio ritempera l'ira». [19] Et ancora per lo dono del matto perdi la sua amistade et non la puoi ritenere, onde disse (Iesu) filius Syrac: «Lo dono del matto non ti serà utile, poco ti darà (e) molto ti rinproverrà, ke li occhi suoi sono di septe pieghe». [20] Onde Seneca deli Benifici disse: «Unque quello ke si dà ala malvagia sperança nonn è assai, ke magiori kose desidera come maggiori li sono avenute». [21] Et etiandio per altre molte ragioni l'amistade del matto è da rifiutare, che sì come si dice volganamente: «Mellio è in collo portare lo matto ke mostrarli la via», avengna ke l matto malagevolemente si porti. [22] Che sì come disse uno savio: «Rena (e) sale et massa di metallo più agevole è a portare ke l matto e l'empio». [23] Et un altro savio disse: «Più tosto è da venire incontr'a l'orsa a cui sono rapiti li filliuoli k'al matto ke si confida nela sua matteçça»; perké tu nol poterai gastigare, ançi più tosto ti farebbe discorrere nela sua matteçça k'elli del tuo savere alcuna cosa prendesse. [24] Tutti li matti sono malivoli, (e) ogne malivolo animo à denti nascosi, (e) nela malivola anima non entra sapientia; onde disse uno filosofo: «Più dolce è al saviomo intra li savi aspra vita ke intra li matti dolce vita». [25] Et non avere per grande cosa l'amistade del matto, perciò ke non basta; et etiandio più ti dico: non avere l'amistade del saviomo k'è nutricato coli matti e coli lecconi, che sì come disse uno filosofo: «Mellio è la conpangnia del sempice k'è nutricato intra li savi ke del savio nutricato cum ghiottoni». [26] Et avengna ke l matto sia ricco (e) aventurato, non procurare distrettamente d'avere la sua amistade, perciò ke disse Tulio del'Amistade: «Neuna cosa è più da non potere sofferire ke l matto aventurato».
L. II, cap. 12[1] .xij. Da schifare l'amistà del'avaro (e) del cupido. [2] In amistade di cupido o d'avaro lo tuo amore non si dee convertire, ke cum ciò sia cosa ke secondo l'Apostolo l'avaritia sia radice di tutti i mali, dal'avaro neuno bene puote nascere, perké l'avaro nulla fa a diritto se non quand'elli si muore; onde Martiale Cuoco disse: «Nè a sé nè altrui fa prode quando vive l'avaro, (e) fa prode a sé (e) alli altri quando muore». [3] Et un altro filosofo disse: «In neuno è l'avaro buono, e in sé è pessimo»; e un altro disse: «La pecunia non satia l'avaro, ma fallo agongnare. [4] Et certo al'avaro Dio non li basta; onde santo Agostino disse: «Qual cosa è più avara di cului a cui Dio non basta?». [5] Et sappie ke l'avaro sempre àe le mani distese per torre (e) àlle chiuse per dare (e) per rendere (e) per retribuire, contra lo detto del filius Syrac, lo qual disse: «Non sia distesa la mano tua a torre, (e) a dare raccolta». [6] Et perciò nonn è dengno d'amore o d'amistade, ke la Regola del'amore lo dice: «L'amore è sempre usato d'essere isbandito dele case del'avaritia». [7] Et l'altra regola dice: «La bontà sola è quella ke fa amare ogn'uomo», la quale bontade l'avaro non puote avere. [8] Nè ancora l'avaro non puote avere honore, perké lli contrasta l'avaritia; onde disse uno: «Nè l sole darà splendore nè lo 'ncenso odore quando per avaritia l'uomo averà honore», che l'avaro nonn è dengno d'avere honore o dingnitade, et appo llui sarebbe in luogo di vituperio. [9] Perciò disse Seneca: «In luogo di vituperio (è) appo lo non dengno la dingnitade». [10] Et ancora: «L'onore l'onesto innora, lo non honesto fa congnoscere». [11] Et a rragione è da rifiutare l'amistade del'avaro, perciò ke sì come disse (Iesu) filius Syrac: «Neuna cosa è più vituperevole ke l'avaro. Perké insuperbisce terra (e) cenere? Nulla cosa è più iniqua ke amare pecunia». [12] L'avaro a sé è reo (e) neun uomo ama; et sì come disse lo savio: «Chi a sé è reo, a neun altro sarae buono». [13] Che sì come disse Seneca: «L'avaro elli è a sé cagione dela sua miseria», perciò ke a sé (e) altrui ogne cosa niega. [14] Et perciò quello medesimo disse: «Cagione di negare non viene meno al'avaro». [15] Nè ancora l'avaro non àe sicura vita, cum ciò sia cosa ke troppo pensi d'allungare lo suo avere; dicendo quello medesimo ke «null'uomo puote secura vita avere ke d'allungare la riccheçça troppo pensa». [16] Et etiandio l'avaro sempr'è misero, cum ciò sia cosa ke le sue cose sempre li paiano piccole (e) non ampie; et sì come quello medesimo disse: «Se ad alcun uomo le sue cose non paiono ampissime, avengna k'elli sia sengnore di tutto lo mondo, sì è misero». [17] Et l'avaro a neun uomo è gratioso, dunque nè a sé, che sì come disse Seneca nele Pistole: «Null'uomo è gratioso a sé ke altrui non fue». [18] O sia ricco o sia povero l'avaritia (e) ongne male sempre lo seguita: «Sì come nonn è differentia se lo 'nfermo tu l'alluoghe in letto di lengno od in letto d'oro, perciò ke dovunque tu lo tramuterai sì trasporterà la sua malatia seco, così nonn è differentia se l'animo avaro l'uomo lo ponga in riccheçça od im povertade, perciò ke l male suo sempre lo seguita». [19] In tale guisa k'«ala povertade vengnono meno molte cose, ma al'avaritia viene meno ogne cosa»; [20] che sì come disse Seneca nele Pistole: «L'avaritia fece povertade, e molte cose disiderando ongne cosa perdeo»; [21] ke «quelli abisongna di poco ke poco disidera»; [22] et «questo è comandato, ke l'uomo pensi le riccheççe essere nell'animo et non nel patrimonio». [23] Et cum ciò sia cosa ke l'avaro non possa costringnere l'animo suo, conturba coloro che stanno seco e la sua casa, onde Salamone disse: «Conturba la casa sua ki seguita l'avaritia, (e) ki à inn odio li guiderdoni viverà». [24] Onde l'amistade del'avaro per ragione è da schifare; et sappie ke l'avaro propiamente si dice da ritenere quello ke non si conviene, lo cupido si dice da accattare quello che non si conviene. [25] Molti sono ke per troppa cupiditade molte cose acatteranno soççamente (e) disregolatamente, et poscia k'elli averanno acattato non sono avari per ritenere, ma quello k'ànno acattato per cupiditade, largamente lo spendono e diguastano. [26] La disiderança è molto rea cosa, ke quelli molto abisongna ke molto desidera; onde Dominedio disse: «Non disiderrai la cosa del proximo tuo». [27] Et santo Iacopo disse: «Ciascuno è tentato dal suo carnale disiderio sì come tratto (e) indocto; poscia, da ke serà confermato, lo disiderio parturisce peccato, et quando lo peccato serà consumato genera morte». [28] Et etiandio l'apostolo Paulo nela pistola a Timotheo disse: «La radice di tutti i mali è la cupiditade». [29] (Et) tanto è rea la cupiditade ke all'animo cupido di nulla cosa ti puoi assai affrettare; onde si suole dicere: «Ala cupiditade ongne avaccio è tardi». [30] «Tutte le ree cupiditadi sono porte del ninferno per le quali si va ala morte; et sì altrementi non si potessero diradicare dal'uomo, lo cuore medesimo dove sono sarebbe da divellere. [31] Perciò ke neuna cosa ama la cupidità se non quello ke nonn è lecito; et perciò Seneca disse: «La crudelissima cupiditade è pistilentia la quale suole fare povero kiunque prende, da ke fine non truova di cercare». [32] Sì come quello medesimo disse: «Altra cupiditade dela fine dell'altra nasce». [33] Onde disse: «Più forte è quelli ke vincie la cupiditade ke quelli ke sottopone lo nemico». [34] Et ciò disse Tulio nelo Libro dela Vecchieçça: «Neuna più capitale pestilentia alli uomini non fue data dala natura corporale ke carnali desideri, le cui desiderose luxurie matte (e) disfrenate si conmuovono ad uso. [35] Quindi nascono li tradimenti del paese, quindi nasce l'abattimento del comune et li celati parlamenti coli nemici». [36] (Et) ancora dicea ke «neuna pessima fellonia, neuno pessimo peccato è al quale fare lo piacere del disiderio carnale non ismovesse l'uomo: bordello (e) avolterio (e) ongn'altro ardente peccato non si conmuove da altri dilecti ke dali carnali. [37] Et cum ciò sia cosa ke Dio o la natura neuna cosa melliore dell'anima (e) dela mente (e) dela ragione abbia data all'uomo, a questo dono divino neuna cosa è più nemica ke lo desiderio carnale, perciò ke sengnoreggiando lo desiderio, castitade (e) tenperança nonn à luogo, nelo rengno del disiderio non puote dimorare virtudi. [38] (Et) perciò neuna cosa è così vituperevole (e) pestilentiale come lo desiderio carnale, ke quando elli è grande (e) lungo ongne lume dell'anima spengna».
L. II, cap. 13[1] .xiij. Da schifare l'amistà del superbio (e) del perverso. [2] L'amore tuo in tal guisa costringni ke inn amistade di superbio o di perverso non ti conduche, ke «ali superbi contrasta Dominedio (et) ali humili dà la gratia», sì come santo Piero nela sua prima pistola disse. [3] La superbia fa li uomini servi (e) tolle loro la libertade dela mente; onde disse lo savio: «Nonn è libero cui infiamma l'animo superbo». [4] Et etiandio tolle pace, sì come Martiale Cuoco disse: «La superbia piena di vento turboe la pace del cielo, e l'enfiare dela mente tolle pace a te, Maximiano». [5] Et (Iesu) filius Syrac disse: «Ove sarà superbia, ivi sarà contentione e rimproverio, (e) dove serà humilitade ivi serà sapientia». [6] Et Salamone neli Proverbi disse: «Intra li superbi sempre sono ranpongne; ma quelli ke fanno tutte le cose cum consillio si reggono per senno». [7] Sì come Dio li angeli ke insuperbiro li gittò di cielo, così li superbi e li perversi da lunga da te li caccia, acciò ke tu non sie soççato dela loro superbia (e) dela loro malitia; perciò ke come disse lo filius Syrac: «Chi toccherà la pece soççerassi da essa; (e) ki userà col superbio vestirassi dela sua superbia». [8] Et etiandio quello medesimo savio disse, dela conpangnia deli superbi ricchi, k'«A più riccho di te non serai conpangno. [9] Chi aconpangna la pentola col paiuolo, quando s'incapperanno, ronperassi la pentola. [10] Lo riccho non averà fatto iustitia, (e) mormoranne; ma lo povero ledito si tacerà. [11] Se tu li darai, riceveratti; et se tu non averai ke dare, abbandoneratti. [12] Se tu averai, manecherà cum teco, (e) voteratti; (e) non si condorrà sopra te. [13] Se tu li serai mistiere, soppianteratti, (e) sorridendo ti darà sperança, e narrandoti li suoi beni ti dicerà: "Ke t'è mistiere"? [14] Et confondeti neli suoi cibi tanto k'elli ti voti due volte (e) tre; e di dietro farà beffe di te, (e) poscia, si tti vederà, sì tti lascerà, (e) volgieratti il capo. [15] Humiliati a Dominedio, (e) aspetta le sue mani. [16] Et guardati ke ingannato in matteçça non t'ahumili. [17] Non essere humile nela tua sapientia, acciò ke umiliato non ti diduche in matteçça. [18] Quando sè da più potente chiamato, dipartiti, ke per questo ti chiamerà più. [19] Nonn essere pronto, acciò ke non vi sie sospinto; (e) non t'allungare, perké non ti dimentichi. [20] Non ti ritenere d'igualliança con lui parlare; e non credere ale molte sue parole; per lo molto suo parlare ti tenterà, (e) sorridendo ti domanderà. [21] Guardati, (e) atendi diligente mente al'odito tuo, perciò ke ttu vai cola suversione tua. [22] Ama (e) chiama lo Sengnore nela salute tua. [23] Ongne animale ama similliante a ssé, et così ongn'uomo cholui k'è prosimo a ssé. [24] Sì come lo lupo comunicherà col'angnello, così li peccatori col giusto. [25] Kente comunicatione (e) conpangnia è dell'uomo santo al cane? [26] (Et) kente cacciascione è dal leone all'asino nell'ermo, cota' pasture sono de' ricchi i poveri. [27] Et sì come l'umiltade (è) fastidio al superbo, chosì lo povero è ischumunicatione a' ricchi. [28] Quando lo riccho si crolla, gli amici lo rifermano; ma se ll'umile cade, è cacciato dali suoi conti. [29] A· rriccho ingannato, molti sono quelli che lo ricoverano; favelloe superbia mente, (e) iustificarlo. [30] L'umile ingannato, ancora sopra quello è ripreso; favelloe con senno, (e) nonn ebbe luogo. [31] Lo riccho favelloe, (e) ongn'uomo tacette, (e) la sua parola porteranno insino ali nuvoli. [32] Lo povero favelloe, (e) dicie l'uomo: "Chi è questi?"; et s'elli incapperae, abatterannolo. [33] Et Salamone neli Proverbi disse: «Etiandio al proximo suo lo povero èe inn odio; li amici deli ricchi sono molti». [34] Le recheççe fanno molti amici, ma dal povero quelli ch'elli à si ne sceverano. [35] Molti sono quelli ke riveriscoro la persona del potente, et a colui ke fa doni molti sono amici; li fratelli dell'uomo povero lo innodiano, (e) ancora li amici s'allungano da llui». [36] Et ancora: «Lo ricco comanda al povero, e chi tollie in prestança si fa servo del'usuraio». [37] Et etiandio altrove dela conpangnia e del'usança (e) dela servitudine deli ricchi superbi rifiutare da molti savi ne siamo amaiestrati. [38] Perciò ke disse uno filosofo: «Lo re è similiante al fuoco, al quale se troppo li serai presso arderatti, (e) se al postutto ne serai rimosso, infredderai». [39] E l filius Syrac disse: «Dall'uomo ch'à podestade d'uccidere t'allungherai, ke sappie ke nel meçço deli suoi lacciuoli interrai». [40] Et un altro filosofo disse: «Se ttu diverrai in essere servigiale d'uomo potentissimo, od elli ti conviene perdere la veritade, o tu perderai l'amistade. [41] Questi cotali dosci e potenti od elli comandano od elli costringnono od elli priegano, ch'altretanto vale. [42] Onde uno savio disse: «Lo pregare deli potenti è una specie crudele di comandare, perché quasi lo potente ti priega a spada ingnuda». [43] Ed un altro savio disse: «Dove lo povero seguita lo riccho perisce». [44] Ke sì come disse Tullio: «Questi ricchi, pensandosi essere beati e onorati, non si volliono obligare a benificio, ançi, ke maggior cosa è, quando elli averanno ricievuto da tte qualche grande dono, elli arbitrano e credono averlo dato, (e) sospecciano ke ssia loro domandato o da lloro aspettato qualche cosa». [45] Et così per le predette rascioni nonn è molto da usare (e) da dimorare con questi potenti, (e) specialmente choli re. [46] Per che uno filosofo disse: «Neuna cosa peggiore interviene all'uomo che lungamente a re servire e nulla di bene achattare»; (e) perciò choman che null'omo troppo dimori nel servigio di re. [47] Et un altro filosofo disse: «Chi serve a re sança grande ventura, et questo secolo perde (e) l'altro». [48] Allegi dunque li umili e li buoni coli quali tu usi, e serai buono; onde lo profeta disse: «Col santo serai santo (e) col'inocente serai innocente (e) col'eletto serai eletto (e) col perverso ti perverserai».
L. II, cap. 14[1] .xiiij. Da schifar l'amistà del favellatore con molta lingua. [2] L'amore tuo non t'inganni sì che inn amistade di linguadro e di contenditore o di paçço ti tragga. [3] (Et) perciò l'amistade loro è da schifare, perciò ke «in molto parlare non viene meno peccato». [4] E del tencionare sì dice lo profeta: «L'uomo litigatore non serà amato in sula terra». [5] Et Giesu filius Syrac disse: «Terribile è nela sua cittade l'uomo litigioso; (e) quelli k'è matto nela sua parola serà avuto inn odio». [6] Et altrove: «Al paçço null'uomo serà amico, (e) non serà gratia neli suoi beni». [7] Et altrove: «Chi 'nnodia lo troppo parlare spengna malitia. [8] (Et) altrove quel medesimo disse: «Con uomo linguadro non parlare, (e) nelo suo fuoco non mettere lengne»; se co· lloro favellare non dei, la loro amistade ritenere non puoi. [9] Et altrove etiandio dice: «Nè coli paççi non abbie consillio, perciò k'elli non possono amare se non quelle cose c'a lloro piacciano». [10] E sappie ke ' paççi si dicono da molto parlare, perciò ke molto parlano di soperchio. [11] Et etiandio Tullio disse: «Tutta la rascione del'iniqui è da gittare via». [12] Cinos in lingua greca tanto è a dire quanto cane in lingua latina, onde cinici si chiamano li uomini che latrano come cane. [13] Et perciò con cotali contendere non dovemo, perciò ke non intendono ala ragione. [14] Perciò ke sì come lo fuoco quante più lengne riceve senpre magior flamma mette, cosie lo reo huomo quanto maggio· rascione udirae, senpre maggiore malitia si ne isvellia. [15] Perciò disse Cato: «Contra coloro ke sono pieni di parole non contendere con parole, perciò ke la favella è data a tutti et lo savere dell'animo a pochi». [16] Ma le parole deli parladori tacito e cheto le dei udire (e) considerarle e da lloro inprendere; onde quello medesimo Cato disse: «Considera tacitamente quello ke ciascheduno parli; lo sermone delli uomini li costumi loro ciela (e) manifesta».
L. II, cap. 15[1] .xv. Da schifare l'amistade dell'uomo adiroso. [2] L'amistade dell'adiroso huomo non desiderare, perciò che quella in neuno modo puoi avere, sì come disse lo savio: «All'uomo adiroso nullo amico serà, (e) neli suoi beni non serà gratia. [3] (Et) altrove: «Non sie tostano ad adirarti, perciò ke l'ira nel seno del matto si riposa». [4] Ed altrove Salamone disse: «Non volere essere amico all'uomo adiroso et nonn andare coll'uomo furioso, acciò ke forse non inprende la sua via et ricieve iscandalo all'anima tua». [5] Et altrove: «Sì come li carboni a brascia (e) lengna a fuoco, così l'uomo adiroso all'ira», perciò ke l'uomo è fuori dal corpo suo quand'elli s'adira. [6] (E) pertanto si dicie: «A neuno adirato pare la sua ira non giusta». [7] Et santo Prospero disse: «Neuno uomo estima che li movimenti dela sua mente non siano dritti, et quello che lli uomini volliono, pensano a diritto volere». [8] L'ira si dice da ur, che in greca lingua è dicere chalore; et così si diffiniscie: «L'ira è uno bollore dell'animo che a dirotto viene d'entro in fuori per iniuria ricievuta domandando vendetta». [9] Et perciò l'adirato rifiutoe consillio, e quindi si suole dicere: «L'adirato pensa ke l consillio sia follia». [10] Onde etiandio lo filosofo disse: «L'adirato brieve tenpo fuggi, ma lungo tenpo lo nemico». [11] Ed Ovidio nele Pistole disse: «Ongne dolore e ingiuria dà arme al'adirato». [12] E dei rifiutare (e) fuggire l'ira sì in te come inn altrui; «ki vincie l'ira vincie grande nemico». [13] Onde Ovidio nele Pistole disse: «Vinci l'animo e l'ira tua, tu che tutte l'altre cose vinci». [14] Et un altro disse: «La legge vede l'adirato, ma l'adirato non vede la legge». [15] L'ir'a neuna cosa pone mente», sì come disse Socrate. [16] Et disse Dio nel vangelio: «Chi s'adira al suo fratello serà nelo giudicio lo reo», ciò è quelli k'à corte è convenuto. [17] Et l'Apostolo disse: «L'ira dell'uomo non adopera la iustitia di Dio». [18] Et Cato disse: «Dela cosa non certa non contendere quando serai adirato, che l'ira inpedimentiscie l'animo ke non possa vedere la veritade». [19] Et Seneca disse: «L'adirato null'altra cosa parla che peccata». [20] Et perciò disse: «Dare fine all'ira è conminciamento dela sapientia». [21] Et altrove quello medesimo disse: «L'ira suole dimenticare la leggie». [22] (Et) sappie ke l'adirato sempre pensa sé più potere fare k'elli non puote. [23] Et un altro disse: «Chi pensa di più potere che la natura sua non porta, soperchiando lo suo podere puote essere meno di sé». [24] Onde disse Tullio: «L'ira ti sia da llunga, cola quale neuna cosa dirittamente fare nè considerare si puote; quelle cose ke ssi fanno con alcuna turbatione non si possono fare con fermeçça nè essere aprovate da coloro ke vi sono presenti». [25] Et Pitagora disse: «Quanto tu meno premerai in altrui per l'ira, tanto l'ira premerà più sopra te; ch'alora ne cominciamo ad adirare a nnoi quando restiamo d'adirarne ad altrui; la fine dell'ira è cominciamento di pentersi». [26] E Socrate disse: «L'adirato, quando restarà, allora s'adira inverso di sé». [27] Certo dei ischifare ciascuno adirato, (e) specialmente podestade, ke sì come disse Seneca: «Saetta folgore èe dove con sengnoria habita ira». [28] Nè non ti dei adirare al potente, ke si come quello medesimo disse: «Adirarti al potente è domandare periculo». [29] Perciò, se l potente te iniuria, ançi lo sostieni ke tu tt'adiri co· llui; et fa quello che Cato disse: «Dà lluogo quando tu ssè iniuriato, (e) dà lluogo ala ventura potente; ke ki ti puote ledere talora ti potrà valere». [30] Ali più potenti pari non potemo essere; e similiante dei ischifare lo matto adirato, che sì come disse Salamone: «Grave è lo sasso e grave è la rena, ma ll'ira del matto è più grave dell'uno e dell'altro. [31] Certo l'ira nonn à misericordia, nè l furore ch'a dirotto si conmuove; e ki serae quelli ke l'impeto di di colui ke s'è conmosso per ira potrà sostenere?». [32] E così è l'ira del bontadoso huomo pericolosa; onde Seneca disse: «Gravissima è l'ira del bontadoso huomo»; la qual cosa perciò interviene che l bontadoso huomo si puose in cuore di non adirarsi. [33] Et sì come disse Cassiodoro: «Più grave mente s'adira quelli che contra suo proponimento si conmuove». [34] (Et) se forse l'adirato inn alcuna cosa ti lederà, non sie agevole ad isdengnare contra lui, ke sì come disse Salamone: «L'uomo adiroso conmuove lite; (e) quelli k'è agievole ad isdengnare serà più inchinato ali peccati». [35] Et tanto nuoce l'ira ke etiandio menima li dì dell'uomo; onde (Iesu) filius Syrac disse: «Amore (e) ira menoma li dì, e lo pensiero innançi tenpo conducie a vechieçça». [36] Ed avengna che ll'ira così sia vietata, talvolta si conciede bene. [37] Et sì come disse lo profeta: «Adiratevi, ma guardatevi di peccare». [38] Et altrove si dice: «Non caggia lo sole sopra l'ira vostra». [39] Et etiandio Seneca disse: «Al buon uomo tosto muore l'ira». [40] (Et) in tanto si conciede l'ira ke talvolta si iudica ke ssia mellio del riso; onde lo savio disse: «Meglo è l'ira del riso, ke per tristitia del volto si gastiga l'animo di colui ke falla». [41] Ma lo riso per maggiore parte si giudica ke ssia rio, onde lo savio disse: «Lo riso si mescolerà a dolore, (e) la fine dela letitia si sopraprende da pianto». [42] Appena dunque l'uomo possa ridere per altro ke per matteçça; onde lo consiglo deli riditori non t'è mistiere di temere, ke via via ke tu vedi ridere choloro ke si consiglaro, puoi sapere che di matteçça parlano. [43] Onde (Iesu) filius Syrac disse: «Lo matto nel riso leverà alta la sua vocie, ma ll'uomo savio apena tacitamente ride».
L. II, cap. 16[1] .xvj. Da schifar l'amistà deli mali uomini. [2] Dissi gieneralmente ke da fuggire è al postutto l'amistade distretta deli rei huomini, perciò ke per l'amistade di cotali huomini et continua conversatione si corronpono li boni costumi (e) fassi l'omo matto (e) luxurioso (e) pieno di discordia, e tali vitii accatta ke ssono al postutto da fuggire. [3] Che l savio disse: «Da fuggire sono (e) in tutti li modi con ferro (e) con fuoco da talliare (e) con ongne arte dipartilli da ssé, ciò è infermitade da core, matteçça d'animo, luxuria da ventre, discordia da cittadi et lite di casa». [4] Dela luxuria disse uno filosofo: «Nulla cosa è così mortifera nell'umana natura come la luxuria». [5] Perciò ke la luxuria distruggie lo corpo, le richeççe conduce a nneiente, l'anima uccide, la força tollie, lo viso acciecha, la vocie innacerbisce. [6] Et Tullio nel libro dela Vecchieçça disse: «La luxuriosa iovaneçça (e) non tenperata mena voto corpo a vechieçça». [7] E dela discordia disse un altro: «Neuna cosa è così mortale nela cittade come discordia, che discordia deli cittadini cascione è di nemici». [8] Et certo, sì come cotali viti sono da fuggire, così li rei sono da fuggire per li quali cotali viçi s'acattano, ke sì come per l'usança del lebroso l'uomo talvolta diventa lebroso et per una pecora malatta talvolta tutta la greggia si ne corrompe et per poco di mal formento tutta la massa si ne guasta, così per cotidiana conversatione e amistade deli rei huomini si fa l'uomo crudele (e) golioso (e) ghiotto (e) cupido (e) luxurioso, ladro, busciardo, superbo, avaro, et così tutti li rei viti accatta, acciò ke insieme co· lloro caggia in ruina. [9] Onde uno filosofo disse: «se ttu vedi alcuno uomo di male opere gravato, non te ne tramettere, perké colui ke inpiccato disciollie, sopra lui sarae ruina». [10] E un altro filosofo disse: «Chiunque usa la conpangnia di giente iniqua, sança dubbio elli guadangna pene di morte non meritata e non servita». [11] E certo non solamente la mala conpangnia, ma etiandio la mala vicinanza è da schifare, ke sì come si dice volganamente: «Ki à mal vicino, à mal mattutino». [12] Onde disse un altro: «Non conperare la casa innançi ke tu congnosche li vicini; e se innançi averai la casa ch'uno mal vicino ti vengna ad albergare appresso, prima vendi la casa che tu li stei presso». [13] Dele predette cose santo Paolo nela pistola a Corintios disse: «Non vi mescolate coli fornicatori nè coli avari nè coli rapinatori nè con coloro ke servono ad idoli, ke inn altra guisa già dovereste essere usciti di questo mondo. [14] Ma ora v'ò scritto ke se quelli k'è nominato fratello intra voi (è) fornicatore od avaro o serve ad idoli od è maldicitore o sta ebbro od è rapace, che con questo cotale non vi mescoliate nè co· llui non manichiate». [15] Et nela fine di quello capitolo agiunse: «Partite lo male da voi». [16] Et altrove quello medesimo Apostolo disse nela seconda epistola a Thimoteo: «Questo sapiate, che neli temporali da sseçço soprasteranno a nnoi tempi pericolosi, e seranno li omini amatori di sé medesimi, cupidi, superbi, altaççosi, biastemmiatori e nonn obidienti ali loro padri (e) madri, disgratiosi, iniqui (e) peccatori e felloni, sança amore (e) sança pacie (e) sança veruna astinentia (e) sança pietade (e) benignitade; [17] seranno traditori, crudeli, enfiati, amatori deli disideri carnali più ke di Dio, (e) averanno imagine di pietate, e la sua virtude negheranno: tutti costoro e li loro simillianti sono da fuggire». [18] Et etiandio Ysopo disse: «Apprenda l'umile di fugire colui k'è disideroso di liti; e kiunque è diritto e giusto, guardisi k'elli non sia oste del'iniqui (e) non giusti, acciò ke insieme co· lloro non perischa». [19] Et non disiderare d'essere lodato dali rei uomini, che sì come disse Seneca «così è soçça cosa essere dali rei lodato come per ree e soççe per opere essere lodato». [20] Più lieto sie quando tu dispiaci alli rei, e li rei pensieri che di te ànno li rei, reputali in tua gloria. [21] «Grande matteçça è temere d'essere malinfamato da' malinfamati». [22] E «neuna cosa è più stolta dell'omo ke teme parole». [23] Et altrove quello medesimo disse: «Perké t'allegre d'essere lodato dalli uomini li quali tu non puoi lodare?». [24] Lo quale etiandio disse: «Tu saprai kente l'uomo è ponendo mente se cotale è lodato kente altrui loda». [25] Onde Martiale Coco disse: «Neuno onore è essere lodato dali rei, nè credo essere onore per soççe cose essere lodato». [26] Et altrove disse quello medesimo: «Lode è avere a dispetto lo dispetto deli matti». [27] Ed un altro savio disse: «Lodinti li buoni et pensino male di te li malvasci; lode è dispiacere ali rei». [28] Ed un altro disse: «Non ti gloriare nele lode del peccatore, la cui loda è a te vituperio e lo vituperio è lode». [29] Et perciò disse: «Non t'aconpangnare a ghiottone, la cui conpangnia t'è disinore». [30] E Seneca disse: «L'amore deli soççi non si puote pascere se non di soççura». [31] Ke acciò ke parliamo veritade, per l'usança e per l'amistade di cotali omini etiandio lo bono omo è creduto reo e avuto sì come reo. [32] Onde disse uno filosofo: «Vicenda di vero contiene quello ke falsamente si crede, sì come nel contrario la veritade ke non si crede per buscia si reputa». [33] Dunque con coloro usa ke tti mellioranno, (e) coloro ricevi in tua usança li quali tu puoi melliorare, sappiendo ke «neuna cosa veste più li animi d'onestade e rivoca coloro ke ssono inclinati ala malitia ad ongne dirittura che l'usança deli boni omini», sì come disse Seneca nele Pistole. [34] Lo quale etiandio disse che «lo gientile animo è in sé di potere essere conmosso ad oneste cose fare». [35] Acciò dunque che ll'animo tuo si conmuova ad oneste cose, fuggi la conpangnia deli rei uomini e li luoghi suspetti, sempre domandando omini e luoghi dali quali e neli quali tu posse essere amaestrato e lo tuo savere poss'essere congnosciuto ed a rascione lodato. [36] Perciò ke disse Cassidoro: «Domandi lo savio omo cosa (e) luogo dov'elli possa stare glorioso». [37] Ed ancora lo savio non rifiuta multitudine di gente nela quale congnosca ch'elli serà lodato o sé essere da llodare; ma inn altra guisa la fama si tolle ale virtudi, se li meriti di quelle nelli omini non si sanno.
L. II, cap. 17[1] .xvij. Della molta utilitade deli amici. [2] Sappie ke inn avere (e) accattare (e) in ritenere li amici molta e grande utilitade si truova. [3] Perciò ke l corpo delli omini sança amistade si reputa per morto; onde si dice: «Kente è sança l'anima lo corpo, cotale è sança li amici l'omo», ke per l'aitorio delli amici lo corpo morto si fa vivo. [4] Et per li amici la vita delli omini si fa iocunda (e) sança li amici non pote essere iocunda; onde Tullio disse: «E perké li doni dela ventura permangano con l'uomo, tuttavia la vita sua non coltivata ma abandonata d'amici non puote essere allegra». [5] E tanta è l'uttilitade delli amici che la bontade dela fede del'amico non si puote conperare per oro o per argento; onde disse lo savio: «Al'amico fedele nonn è similliança, nè dengno peso d'oro o d'argento contra ala bontade dela sua fede». [6] Et altrove disse: «Se l'amico ti starà fisso, serà quasi iguali a tte, (e) nela tua magione fedelemente v'adoperà. [7] Dali tuoi nemici ti parti, ed ali amici tuoi attendi. [8] L'amico fedele è difensione forte; e ki truova quello troverà tesoro. [9] L'amico fedele è medicamento dela vita da non lasciare morire; chi teme Dio troverà quello». [10] Onde Cato disse: «Se per ventura tu ài male, domanda aiutorio dali tuoi conti, che neuno è milliore medico che lo tuo amico fidato». [11] (E) tant'è l'uttilità delli amici ke etiandio lo rengno non si puote agualliare alli amici; sì come Cato disse: «Più è utile di rengno per merito accattare amici». [12] Per li amici si procura la vita deli amici, sì come Pilade kuroe Oreste; onde si dice: «Sempre abbie Pillade, lo quale churi Oreste! Et questo non serae lieve uso d'amistade». [13] Disse lo savio: «Neuna cosa è più dolce k'avere amico col quale sì come con teco medesimo possi parlare». [14] Onde Tullio del'Amistade disse: «Io vi posso cotanto confortare ke voi l'amistade pongnate innançi a tutte l'altre cose umane, perciò ke nulla cosa è tanto aconcia ala natura dell'uomo e cosie convenevole ala prosperitade e al'aversitade. [15] Ma prima sento questo, ke l'amistade non puot'essere se non in bene». [16] Et perciò quel medesimo Tullio aggiunse poscia che l «sole tolgono del mondo quelli ke tolgono l'amistade dela vita, ke neuna cosa avemo melliore nè più iocunda da Dio ke l'amistade intra noi». [17] Ed ancora quel medesimo disse ke «perciò ke le cose humane sono fragili e mutabili, senpre sono d'acattare quali k'amici li quali noi amiamo veraciemente e dali quali siamo amati con ongne caritade (e) benivolença; ke tolta via la benvolença dala vita dell'omo, sì si tolle via ongne letitia». [18] Per la multitudine deli amici e per amore deli cittadini in tal manera si guernisce e difende l'omo ke non pote essere vinto d'alcuno; onde Seneca disse: «Uno solo guernimento è che non si puote vincere, ciò è l'amore deli cittadini». [19] Per molta usança e dilectione delli amici si conservano le riccheççe, sì come nulle richeçe possono contrastare ali odii di molte persone; onde Tullio delli Offici disse: «Di tutte le cose neuna n'è più aconcia a difendere (e) ritenere le riccheççe ke essere amato, e nulla cosa è più istrana che essere temuto; che veramente colui cui li omini temono innodiano, e cciò ke ll'omo innodia disidera ke fosse già perito». [20] Dunque non credere c'amico fedele per paura si possa acattare, perciò sì come disse lo filosofo: «Neun omo è assai fedele a colui che teme». [21] Onde Tullio disse: «Mala guardia di lungo tenpo è la paura, e per contra la benvolença è perpetuale fedele; chiunque in cittade libera ordina sì ch'elli sia temuto, nulla cosa è più for di mente e di senno di colui, perciò ke quelli ke volliono essere temuti è mistiere ch'elli medesimi temano coloro da cui sono temuti». [22] Per lusinga (e) non per comandamento cresce la força del'amore; onde Martiale Coco disse: «Nè corbo nè chi con bocca minaccia pote dirittamente amare; null'omo sança sua volontade ama; per lusinga, non per inperio crescie la força del'amore. [23] La vaccha lo toro, e la leonessa lo leone fuggono quando sono adirati, e quando sono piacenti (e) umili sì li disiderano. [24] Ama noi tutti, sì che sie amato da tutti noi uno, che l'amore domanda simili (e) iguali, ma ll'odio dissimili et disiguali». [25] Et non solamente l'amistade per paura non s'acatta e non si ritiene, ma etiandio lo imperio per mettere paura si perde; onde Tullio disse: «Neuna força d'inperio è tanta che mettendo paura possa bastare lungamente». [26] Ed un altro disse: «Molti omini de temere quelli cui molti temono». [27] E male inperando lo fermo inperio si perde. [28] Et Seneca nele Pistole disse: «Null'omo terribile che temere si faccia pote stare sicuro». [29] Ed anche: «Grande parte di sicurtade èe neuna cosa fare iniqua, perciò che lo nociente è talvolta ventura di nascondersi et non àe unque sicurtade nè baldança». [30] Dunque ti studia d'acattare molti amici non per paura ma per merito, e solamente quelli ke ssono pacifici.
L. II, cap. 18[1] .xviij. D'avere consiglo (e) essere consiglato. [2] Nonn avere consillio con ongne uomo, ma deli mille t'alleggi uno consilliero, perciò sì come disse lo savio: «Molti amici pacifici siano a te, ma consilliero ti sia uno de' mille». [3] Perciò k'elli è pericolo a ciascuno amico manifestare li suoi secreti consilli; onde uno savio disse: «Quello k'è secreto, a neuno omo lo dire». [4] Ma un altro disse: «Apena pensa ke da uno si possa celare lo secreto». [5] Ed un altro disse: «lo consillio nascoso è quasi nela tua carcere rinchiuso, ma revelato tiene te legato nel carcere suo». [6] Et perciò disse: «Non revelare lo tuo consillio ad ongne omo, perciò ke quelli ke lo consillio suo ritiene nel core suo, in suo arbitrio è alleggere lo melliore». [7] Ke più bella cosa è tacere ke pregare altrui che taccia lo secreto a sé conmesso, perciò ke disse Seneca: «S'a tte medesimo non comandasti ke tacessi, come comande altrui silenço?» [8] Ma perciò ke disse Cassiodoro ke «lo matto ritratta di seguitare lo consillio», tu saviamente li tuoi secreti presenti e ke debbono venire tracta con amici provati (e) fideli, acciò ke tu abbie consillio da lloro. [9] Et Cato disse: «Lo tuo secreto consillio conmetti a tacito (e) fedele conpangno; e l'atorio del tuo corpo conmetti a fedele medico». [10] Et etiandio uno filosofo disse: «Guardati dal consillio di colui a chui tu domande consillio, ke tti sia fedele (e) provato». [11] Et Salamone disse: «D'unguento pretioso e di vari diversi odori si diletta lo core, e di boni consilli del'amico indolciscie l'anima». [12] Et altrove etiandio disse: «Ongne cosa fa con consillio, (e) non ti ne penterai». [13] E dico con consillio di savi (e) fideli provati, e specialmente di vecchi, et non con consillio di matti (e) di iovani, perciò ke li matti amano le matteççe e li loro consilli traggono a paççia. [14] Onde lo savio disse: «Non ricieve lo matto parole di savere, se ttu non dicerai quello ke sta nel core suo». [15] Ed in proverbio si dice: «Kiunque per suo senno pare savio a ssé k'è avuto matto». [16] Li giovani non ànno maturo senno e amano kose iovanali, perciò ke non àe lungamente sugo in quelli ke troppo tosto sono maturati. [17] Disse Panfilio: «La ioventudine sempre ama letitia (e) parole di iovaneçça». [18] E Salamone disse: «Guai a tte, terra lo cui re (è) fanciullo e li cui prencipi la mattina manucano». [19] Onde disse Martiale Coco ad uno suo amico c'avea nome Melibeo: «Al consiglo deli giovani ti confide tu, Melibeo? Aspettare puoi ruina, infino a tanto ke sè sança consillio». [20] Ed altrove: «Agievolemente s'à a dispetto l'uso deli vestimenti vecchi, ma non così è d'avere a dispetto lo consillio deli vecchi». [21] Che sì come disse Iob: «Neli antichi èe la sapiença, e in lungo tenpo s'acatta lo senno». [22] Et Cassiodoro disse: «Quelli sono più savi sempre tenuti ke per usança di molti omini sono provati, ammaiestrati e diroççati». [23] Et perciò quello medesimo disse che «li vecchi medesimi per li consilli apprendono la sapiença». [24] Ed anche: «Quando neli tuoi detti molte cose trai dali antichi, meritasti di piacere deli tuoi proprii». [25] E Tullio dela Vecchieçça disse: «Non per força nè per leggiereçça di corpo grande cose si fanno, ma per consillio e per auctoritade (e) per isciença, dele quali cose la vecchieçça non solamente non è privata, ançi maggiormente sono inn essa». [26] E non solamente uno consillio, ma più consilli co· lloro dei fare, e non subiti (et) affrettati; che sì come lo savio disse: «Ove nonn è governatore lo popolo ruina, ma salute è ove sono molti consilli». [27] Et Salamone neli Proverbi disse: «Guastansi li pensieri dove non è consillio, e dove sono molti consillieri si confermano». [28] Ed intendono li consilli boni, inperciò ke «ki farà lo iniquo consiglo, sopra lui si rivolgierà, e non conoscerà donde li vengna»; ciò disse (Iesu) filius Syrac. [29] Consilli non affrettati, dissi, perciò ke «due cose sono contrarie ali consilli, fretta (e) ira». [30] Et altrove lo savio disse: «Deli consilli quello ke tu averai lungamente trattato, quello abbie per diritto; a tostano consillio seguita pentere». [31] Ed altrove: «A di liberare cose utili la dimora è sichura». [32] Ed altrove: «Mellio vincerai per consillio ke per ira». [33] Et Seneca disse: «La matteçça non consilliata non sa aspettare consillio». [34] E lo filosofo disse: «Non credere lo matto consillio cola cosa mutare». [35] Et perciò Seneca disse: «Se lo tuo consillio udirà lo nemico, muta la forma del consillio». [36] Non credere ad ongne consiglo che tu udirai infino a tanto ke inprima non serae provato utile in alcuno. [37] Sì come disse uno filosofo: «consiglare (e) mostrare di volere altro». [39] Non credere al consiglo del reo uomo, perciò ke scritto è ke «lo reo uomo unque non reca bono consiglo da ssé». Non credere al consillio di colui ke secretamente alchuna cosa ti consiglerà et palesemente sé volere altro dimostra». [38] Perciò disse Cassiodoro: «Specie è di fare danno, nascosamente [40] E sappie ke lo consiglo non è da prendere ke mutare non si possa, perciò ke disse uno savio: «Rio è il consiglo ke mutare non si puote». [41] E sapie ke «sempre lo consiglo viene meno colà dove è grande uopo»: ciò disse uno savio. [42] E perciò neli consigli non si dee prociedere nè con fretta nè con ira. [43] Ed avengna k'io abbia detto che due cose sono contrarie al consiglo, ciò è fretta (e) ira, Tullio nel libro dela Vechieçça v'agiunse lo terço, ciò è luxurioso disiderio, e disse: «Luxurioso disiderio inpedimentiscie consiglo, è nemicho dela ragione (e) dela mente delli occhi, e non à con veruna vertude conpangnia». [44] Et neli consigli de' schifare li lusinghieri, et specialmente nele cose di prosperitade (e) di letitia; onde Tullio disse: «Nele cose di prosperitade e di bona ventura è da usare del consiglo delli amici, et a costoro etiandio è da dare maggiore autoritade che dinançi; et in quelli tenpi è da guardare ke non si manofesti ali losinghieri la tua orecchia. [45] Et non ti lasciare lusingare, nela quale cosa è agievole essere ingannato, ke noi pensiamo essere tali kente noi siamo laudati. [46] Dela qual cosa nascono peccati sança novero, quando li uomini enfiati per falso pensiero di sé medesimo soçça mente sono scerniti (et) in grandi errori si ne rivolgono». [47] Onde da ssapere è «ke neuna pestilença è maggiore nel'amistade che lusinghe». [48] Ma «avengna ke mortale cosa sia la lusingha, non puote nociere se nonn a colui ke la ricieve e chi d'essa si diletta: quelli dà lli orecchi suoi ali lusinghieri che sé medesimo lusinga (e) di sé medesimo si diletta». [49] E cciò disse Cato: «Quando altri ti loda, ricorditi d'essere tu medesimo tuo iudice; più altrui di te ch'a te non credere». [50] Et Seneca nele Pistole disse: «Molto più s'apertiene al fatto di sapere chente tu paie a tte ke chente tu paie ad altrui». [51] Ed altrove: «Dentro te medesimo considera, non chente tu ssie credi ad altrui». [52] Ch'«al savio s'apertiene di maggiormente volere piacere a ssé ch'al popolo»; ciò disse Seneca. [53] Et Seneca disse ke neli consigli «non ti dei movere ale parole ornate e conposte, ma al fatto che dele parole si dimostra», inperciò ke lo parlare di colui ke dà opera ala veritade dee essere senpice e non conposto nè ornato. [54] Dissi secondo Tullio ke nela prosperitade dee l'omo usare di consillio; et Seneca dela Forma dela onesta vita disse: «Allora ti siano li consigli utili a tuo desiderio quando prosperitade e bona ventura ti iocha; che perciò ti terrai nelo sdruciolo, e starai fermo, et non ti derai troppa libertade, et saprai per quale parte debbie andare (e) infin dove». [55] Ed avengna ke molto savio sie, non sterai al tuo senno, ma con consiglo la sapiença da altrui domanderai; perciò ke disse Cassiodoro: «Sapiença domanda da altrui quelli apo l quale è grandeçça di senno». [56] Dubitare di tutte le cose nonn è inutile, nè da' savi consiglo domandare nonn è vergongna. [57] Ed Inocentio papa scrisse inn un suo libro: «Chi maggiormente intende, più dubita; e quelli pare a ssé sapere più, che più fori è del senno. [58] Parte è dela sciençia sapere ke non sai, k'appena k'è veruna cosa sì vile o sì agievole ke pienamente si sappia; se non questo si sa perfettamente: ke nulla cosa si sa perfettamente». [59] Deli fatti presenti e ke debono venire prendi consiglo; deli fatti passati, donde non si puote prendere consiglo, non fare mentione. [60] (Iesu) filius Syrac disse: «Al'amico (e) al nemico non dicere lo senno tuo; e s'elli è tua cosa amata no· li l'aprire, perciò k'elli t'udirà et porratti menti, e quasi difendendo lo peccato tuo farà beffe di te». [61] Dicie la Leggie che «le cose fatte per nulla cascione possono essere non fatte»; onde se consiglo quindi avere non si puote nè utilità traresene, a nneuno uomo no· le dire. [62] Disse Seneca: «Dipo la miseria averne memoria è un'altra miseria»; e specialmente dove la memoria dela miseria o del peccato fatto puote suscitare malitia. [63] Onde Cato disse: «Dela lite passata non ricordare li mali detti! dela natura deli rei omini è dipo le nemistadi passate avere memoria dell'ira». [64] E perciò tacere la dei e a neuno recarla a memoria, e specialmente a femina od a ebbro; perciò ke disse uno filosofo: «Lo garrire dele femine solo quello sa cielare k'elle non sanno». [65] E Salamone disse: «Neuno secreto è dove rengna l'ebbreçça». [66] Ma al prete ongne secreto per cascione di penitençia dei manifestare, sì come disse santo Iacopo nela prima sua pistola: «Confessate l'uno al'altro le peccata vostre». [67] E non possendo avere lo prete, etiandio ad altrui li dei confessare.
L. II, cap. 19[1] .xviiij. Dela provagione deli amici. [2] Avengna ke in avere amici sia grande utilitade, non vi sie troppo tostano in accattarli, perciò ke non ti dei constringnere in amistade d'alcuno innançi ke ttu la provi. [3] Disse Martiale Coco ad uno suo amico k'avea nome Crisippo: «Ançi ke tu ami, Crisippo, prova; ma da cch'ài provato, prochura d'amare con tutto lo cuore tuo». [4] Ed Ovidio disse: «Poni mente chente sia la cosa che tu ame; e s'ella è ria, trai lo collo di sotto quello iogo». [5] E lo savio disse: «Se ttu possiedi l'amico, in tentatione lo possiedi; perciò ke talora è amico nelo suo tenpo, ma nel tenpo dela tribulatione non starae fermo». [6] E lo profeta, volliendo farsi amico di Dio, e sapiendo ke li amici provati sono melliori delli altri, disse: «Domine, provami e tentami; ardi le mie reni e lo mio chore». [7] E beato Iovanni nela pistola sua disse: «Charissimi, non credete ad ongne spirito, ma provate li spiriti s'elli sono da Dio». [8] Et etiandio l'Apostolo nela pistola ali Tesoloniciensi disse: «Ongne cosa provate, e quello ch'è bono tenete; e astenetevi da ongne rea specie». [9] E l savio disse: Ki tosto crede è lieve di core e serae menomato; «leggiereçça d'animo s'inchina a parte di matteçça». [10] E un altro filosofo disse: «Non lodare l'amico infino ke tu nol prove». [11] Ed altrove, per li amici non provati: «Provedi una volta a tte deli nemici, et mille volte deli amici; perciò ke forse l'amico si farà nemico, et così più lieve mente potrà cercare del tuo danno». [12] Et Seneca disse: «Tu ongne cosa dilibera col'amico, ma prima dilibera di lui». [13] Alleggie dunque amici provati provati ke tti siano fedeli, (e) abbieli per iguale desiderio in amare, ma non per iguale merito. [14] Et tali amici alleggi ke non sia vergongna averli alletti; perciò ke disse Seneca: «Così chominça ad amare sì come non sia licito di rimanertine».
L. II, cap. 20[1] .xx. Di quelle cose ke si convengnono far per li amici, (e) come dei co· loro vivere, (e) dela lege del'amistade. [2] Provato l'amico (e) tentato, se molto fidele lo troverai, così lo ricevi nel petto tuo ke per lui faccie ongne cosa ke per amico utilemente (e) onestamente fare si pote, sì che no· n'offende Dio (e) ke non ne lede la tua coscientia. [3] Ke lo peccato per l'amico fare non dei; perciò ke disse Tullio nelo libro del'Amistade: «Neuna scusa è del peccato, per chagione del'amico avere peccato». [4] E specialmente nela soçça cosa, dove è doppio peccato; perciò ke disse Seneca: «In soçça cosa peccare è due volte peccare». [5] Ed etiandio non dei l'amico difendere nel peccato, acciò ke non aparecchie a tte peccato; disse Seneca: «Chi difende lo nocente aparecchia a ssé colpa»; [6] «Conpangno si fa dela colpa ki difende lo incolpato»; s'elli forse per la sua salute no· lo facesse, sì come quelli medesimo disse: «Neuna cosa soçça dire per rimedio dela salute». [7] Sança nocimento dei difendere l'amico; che disse Cassiodoro: «Quelli è propiamente difenditore che sança nocimento difende». [8] Che se con soççura o con buscie lo difendessi, l'amistade non durerebe; che disse Tullio del'Amistade: «Malascievole è l'amistade a durare se da virtude ti parti (e) da bontade»; perciò ke se tu sostieni li vitii del'amico, tu faili tuoi. [9] Per l'amico si dee fare quello ke ssi pote fare ascievolemente et sança grande briga (e) fatica; ke la Leggie dice: «Quelle cose s'intende che ssi possano fare ch'ascievolemente si fanno». [10] Et altrove si sole dicere: «Chosì fa l'altrui fatto che l tuo non dimentichi; che ali amici chosì dovemo fare prode che a nnoi non nociamo». [11] Con onestade si dee servire ali amici; perciò ke disse Tullio: «Se cose non oneste si fanno per li amici, non sono da pensare ke quelle cotali si facciano per amistade, ma per coniuratione». [12] Onde fare dei per l'amico cosa ke ssia onesta e negarli quella ke nonn è dritta. [13] «Questa leggie dunqua intra li amici e nel'amistade sia confermata, che lli amici non preghiamo di soççe cose e no· le facciamo preghati da lloro, che alli amici domandiamo oneste cose e che per loro facciamo iuste cose; istudio senpre vi sia, dubio non vi sia; vero consiglo allegramente diamo (e) liberamente. [14] Questa è le conpangnia nela quale sono tutte le cose che lli uomini pensano ke ssiano da disiderare: honestade, gloria, pace e tranquillitade (e) letitia; quando queste cose sono presenti, beata è la vita, e sança esse non pote essere beata. [15] La quale vita, con ciò sia cosa ke ssia optima e maxima, se nnoi la volemo acattare, da dare è opera ala virtude (e) ala bontade, sança la quale nè amistade nè veruna cosa da disiderare si pote avere. [16] Abiendola in negligençia, quelli che si credono avere amici allora si sentono avere errato quando alcuno grave caso li chostringie di provarli». [17] (Et) vergongnare si debono gli amici di domandarsi insieme cose soççe (e) non oneste; «grande ornamento tolle al'amistade chi le tolle la vergongna»: ciò disse Tullio. [18] Et ancora disse: «Molto si turbano gli offici intra lli amici, ali quali non dare quello ke dirittamente puoi, e dare quello ke giusto non sia, (è) contra diritto officio». [19] Da che tu ài aletti gli amici, in tale guisa li ama ch'elli la tua amistade non bramino, k'i' ò veduti molti che nonn ànno bramato d'amici ma d'amistade. [20] Et pensa li amici iguali a tte, sì c'a lloro come a tte medesimo crede et te e le tue cose sicuramente et sança sospeccione conmette; perciò ke disse Kassiodoro: «La coloro sustança è sicura ke si conmette a coloro ke ssono provati»; ke da ke li ài provati non ne dei sospecciare male. [21] Et Cato disse: «Guarda d'essere avuto sospetto, non sie misero in ongne tenpo, perciò ke ali temorosi (e) ali sospetti è aconcia la morte». [22] Se lli amici insieme non si credono, amici veri non sono; perciò ke se tu estime ke alcun omo ti sia amico al quale tu non crede altrettanto quanto a te medesimo, tu erre e non sai la força e la natura del'amistade. [23] Onde Tullio disse: «Nel'amistade nulla cosa ke paia e non sia, neuna infinta dee essere»; inperciò ke cose infinte chaggiono piò tosto ke li fiori: neuna cosa infinta puote lungamente bastare. [24] «Nulla cosa è più dolcie ke aver persona cola quale tu ardische di dire ongne cosa come con techo», nulla cosa è più amabile nè più bella ke similliança tra due di boni costumi. [25] Onde Tullio disse: «Di tutte le conpangnie neuna n'è meglore nè più ferma ke quando li bon omini simillianti di costumi sono congiunti di domesticheçça». [26] Et Salustio disse che «volere (e) disvolere una cosa con altrui è ferma amistade». [27] Ma «sì dei parlare colli amici come Dominedio senpre vi fosse ad udire, et così vivere colli omini come Dominedio senpre vi sia a vedere», per ke disse Seneca nele Pistole. [28] «Nulla cosa è sì coperta che non si discuopra, (e) neuna cosa sì secreta che non si sapia»: ciò disse Mattheo nel vangielo di Dio. [29] Onde volganamente si dice: «Ciò ke neve kiude, sole apre». [30] Et Tullio disse: «Ali boni omini cose oneste e non nascose si richegiono»; ke l bon omo nulla cosa ardirae a ffare ch'elli no· l'ardischa palesemente a predicare. [31] E certo «da procurare è ke quelle persone cole quali noi parliamo, k'elli paia ke nnoi l'amiamo (e) temiamo»: ciò disse Tullio. [32] Et sapere dei ke quella è la verace amistade la quale nè sperança nè paura nè uttilitade la divelle, quella cola quale (e) per la quale li omini moiono; nulla cosa è sì aspra ke no· la sostengna quelli ke perfetta mente ama. [33] Le vere amistadi malascievolemente si trovano in coloro ke intendono ad onori et ke nel governamento del comune si rivolgono. [34] «Molto potere nel comune è cosa ke poco basta e piena d'invidia»: ciò disse Seneca nele Pistole. [35] «Malascievole è nela prosperitade provare li amici (e) nel'aversitade è ascievole»: ciò disse Seneca. [36] L'aversitade altrui manifesta se tu ài nome d'amico o no». [37] «Quando s'annoverano, molti sono li amici, ma nel tenpo dela necessitade sono pochi». [38] Quelli è vero amico ke t'aiuta quando lo secolo ti viene meno. [39] L'amico tuo in tale guisa ama ke iusta cascione sia perké da llui sie amato, ke «dengni sono d'amistade quelli ke in loro ànno cosa d'essere amati»: ciò disse Tullio del'Amistade. [40] Perciò che sse tu non amerai, nullo amerà te; onde Marçiale Coco disse: «Non ti maravilliare, Ciciliano, se neuno omo t'ama, con ciò sia cosa ke tu non ami alchuno: ama, (e) serai avuto caro». [41] Tu dunque prima ti fa bono, e poscia domanda per amico un altro tuo simile; «la maggiore parte delli uomini perversamente e isvergongnatamente tale amico volliono avere kente elli essere non possono, e quello k'elli ali amici non danno da lloro cheggiono»: ciò disse Tullio. [42] Et sappie che intra lli amici l'amistadi debbono essere inmortali; per che disse lo savio: «Colli amici è mistiere d'essere rascioni corte e amistadi lunghe». [43] Onde Tullio disse: «Vero è quello che ssi dice, ke molti moggi di sale si conviene manicare ançi ke l dono del'amistade conpiuto sia». [44] Et sappie ke quelli ke perfettamente ama al'amico suo non si pote ascievolemente adirare; onde si sole dire: «L'ira delli amanti è ricrescimento d'amore»; «l'amante adirato di molte cose a ssé mente». [45] Ed etiandio uno savio disse: «Lo saramento del'amico non à ppena». [46] Ed un altro disse: «L'amante adirato maggiormente arde, sì come faccellina conmossa». [47] Ed Ovidio adirato con una sua amica disse: «Innodierotti s'io potrò, e sse no contra vollia t'amerò, ke l toro nonn ama lo iogo et sì pur à quello ch'è inn odio: et così io sança te nè con teco vivere non posso, et così pare ch'io non possa dimenticare lo mio disiderio». [48] Et sappie k'alo perfetto amore lo tenpo fa fine, ma no· l'animo, ke non è in podestade dell'animo porre giù l'amore; onde disse Seneca: «L'amore per arbitrio dell'animo si prende, non per arbitrio dell' animo si lassa». [49] Nè non credere male del'amico tuo se per prova manifestamente no· l'averai conosciuto. [50] Ma s'altri del'amico tuo favella male, rispondi secondo che disse uno filosofo a cciò rispondendo: «Sì come tu sè sengnore dela tua lingua, così io sono sengnore deli miei orecchi». [51] Ed un altro, ad uno ke li dicea male, rispuose: «Tu ài appreso di mal dire, (e) io a testimonio dela cosciença òe appreso di dispregiare li mali detti». [52] Intra due amici non iudicherai, se non forse quando averai aprossimate le loro voluntadi, facciendo con volontade dell'uno e dell'altro; però disse lo savio: «Più molesta cosa è intra due amici che intra due nemici iudicare». [53] In tale guisa ama l'amico ke tu li sie amico: aliquanti omini amano ma non sono amici; onde Martiale Coco disse: «Ongne amico ama, ma non ongn'omo c'ama è amico; e se ttu, Petro, ame veruno omo, sieli amico». [54] Onde Seneca nele Pistole disse: «Se tu vuoli amato essere, ama»; che «neuno omo pote beatamente vivere ke pur sé medesimo aguarda (e) che ongne cosa pur a sua utilitade converte: se tu vuoli a tte vivere, è mistiere ke tu vive ad altrui»; [56] «perciò ke l'amistade fa intra noi conpangnia di tutte le cose». [57] Onde si dice nel proverbio: «Chi tutto vuole, tutto perde». [58] Errano dunque quelli ke pensano sé avere amici quelli ali quali elli non sono amici; secondo Seneca ke disse ke «nullo maggior male àe l'omo inbrighato (e) asseduto dali beni ke pensare ke li siano amici quelli ali quali elli non è amicho». [59] E dunque non porre mente pur a tte, ma talvolta conpi li altrui disiderii; perciò ke disse Cassiodoro: «Li altrui disiderii fedelmente fare è li suoi propri avere fatto». [60] Et Seneca deli Benifici disse: «Chi solamente a ssé bene disidera, mal prega». [61] Et un altro disse: «Rio è da essere detto quelli ke solamente è a ssé bono». [62] Ma secondo la quantitade dela fede del'amico è d'amare l'amico, sì cché chi più t'ama, più ami lui; e s'elli t'ama poco, che ttu non t'accende nela sua amistade. [63] Male è partita l'amistade intra li amici quando l'uno per l'amico porrebbe l'anima e l corpo e la sustantia, et l'altro poco o quasi neente cura di lui; lo maggiore amore al minore senpre sopraporre e antiporre dei.
L. II, cap. 21[1] .xxj. Del'amor (e) del'onore del padre (e) dela madre, (e) come ti debie regere nela tua vekieçça. [2] Perciò ke l'amore del padre trapassa tutti li altri amori, acciò ke ttu lo mi meriti e lo mi ritribuische, me tuo padre sopra tutti gli altri omini dei amare e riverire; che ssì come disse la Leggie: «Sempre al figliuolo dee parere santa (e) onesta la persona del padre». [3] E l savio Ecclesiastico disse: «Chi onora il padre serà iocondo in figluoli, e nel die dela sua oratione serae udito». [4] Et altrove disse: «Chi onora il padre viverae di vita più lunga, e chi obedisce lo padre refrigierà la madre. [5] Chi teme Dio onorerae padre (e) madre, e sì come a ssengnori servirà a coloro che lo 'ngeneraro. [6] In parole (e) in opera e in ongne sofferença honora lo padre tuo, acciò ke sopravengna a tte beneditione da Dio, e la sua benedictione in eterno permangna. [7] La beneditione del padre ferma la casa deli filliuoli, e la maladitione dela madre la diradica dal fondamento. [8] Non ti gloriare nel disinore del tuo padre; perciò ke non t'è gloria ma vergongna. [9] La gloria dell'omo viene dal'onore del padre suo, e disinore del filliuolo è padre sança onore. [10] Filliuole, ricevi la vecchieçça del tuo padre, e no· lo contristare nela sua vita. [11] E s'elli verrà meno di senno, perdonali, e no· l'avere a dispetto nela tua virtude. [12] Ed altrove si dice: «Onora lo padre tuo, e li pianti dela tua madre non dimenticare; (e) ricorditi ke s'elli non fosse per loro, tu non seresti, e ritribuisci a lloro sì come elli a tte». [13] Et etiandio l'Apostolo nela pistola ad Efesios disse: «Filliuoli, obbidite a padre (e) a madre in Dominedio, perciò ke questo è giusto. [14] Honora lo padre tuo e la madre tua, perciò k'elli è lo primo comandamento nela promessione, acciò ke bene abbie (e) lungamente vive sopra la terra». [15] Et Cato disse: «Ama li cari padre (e) madre di non inferma pietade, (e) nonn offendere ala madre se voli essere bono al padre». [16] Et (Iesu) filius Syrac disse: «Quanto è malinfamato chi abandona lo padre, (e) maladetto è da Dio chi adira la madre!». [17] Martiale Coco disse: «Se tu ssè bono, ama di giusta pietade lo padre e la madre, e se tu sè rio, soffera, e fatti bono filliuolo»; [18] secondo quello che ssi dice: «Bono non è ki non sa sofferire li rei». [19] Et ancora Cato disse: «Con ciò sia cosa ke tu per apprendere abie sostenuto talvolta le battiture del maestro, sostieni lo comandamento del padre, quando di parole viene ad ira». [20] E nela tua iovaneçça in tal guisa ti porta ke ssia lodata la tua vecchieçça et da' tuoi filliuoli (e) dagli altri sia riverita e ricevuta, secondo Cato ke disse: «Quando tu vecchio ricieterai antiki detti (e) fatti, fa ke tti soccorrano cose ke tu abbie fatte dela ioventudine tua». [21] Et se ttu verrai a vecchieçça, affatica l'animo tuo più ke non serai usato, pigreçça (e) morbideçça (e) luxuria (e) l'altre cose usate da fanciullo fuggiendo e atando lo paese e lli amici e la iovaneçça delli altri con savere et con bono consiglo che da tte vengna. [22] Ke ssì come disse Seneca nele Pistole: «Soçça cosa è avere actoritade deli vecchi e li vitii deli fanciulli». [23] Ke li vecchi non fanno l'opere deli fanti per l'etade ma per vitio; onde Martiale Coco disse: «Alphessibeo dipo cient' anni è fanciullo, non per etade ma per vitio. [24] E tu Maximiano, comande me di fanciullo venire vecchio, (e) tu di vecchio voli venire fanciullo. [25] Essere una volta fanciullo l'ordine dela natura no· lo vieta, ma volere essere fanciullo più volte, questo viene da vitio». [26] Più peccano li vecchi iocando (e) cose di fanciulli facciendo ke se in iovaneçça peccassero; ke disse Seneca: «Quanto più tardi si pecca, più soççamente si comincia». [27] Et ancora: «La vecchia quando ioca ala morte fa diletto». [28] La iovaneçça non degnamente passata fa la vecchieçça essere avuta inn odio, e onestamente passata, l'etade di sopra prende li frutti seççai del'auturitade. [29] Dunque li predetti costumi dei osservare nela tua vecchieçça, secondo Tullio ke disse: «La luxuria in ongne etade è soçça, ma nela vecchieçça è soççissima; ke se troppa luxuria sovraviene ala vechieçça, è doppio male: l'uno sì è ke la vecchieçça ne riceve vergongna, l'altro ke la luxuria deli iovani fa più isvergongnata». [30] Uno essenplo di luxuria o d'avaritia molto male fa; ciò disse Seneca: «Dove pecca l'etade maggiore, male inprende la minore». [31] Et Tullio disse: «Ali vecchi le fatiche del corpo sono da menovare, e le fatiche dell'anima sono da crescere; et pertienesi a lloro di dare opera ke lli amici e la iovaneçça e l comune col consillio loro (e) col loro savere siano bene aitati. [32] Neuna cosa è più da guardare nela vecchieçça ke l vecchio non s'arenda a troppo riposo e a pigreçça». [33] Et se questi costumi bene observerai, la tua vecchieçça dai filliuoli e dalli altri serà bene ricevuta (e) serà honesta (e) molto honorata; che Tullio disse: «La vecchieçça è honesta si ella sé medesima difende (e) la sua ragione ritiene, si a neuna servitudine è data (e) se infino ala fine dela vita sua sengnoreggia neli suoi». [34] Defendere si dee la vecchieçça da languideçça (e) pigreçça, (e) non si dee arrendere a neuno reo senno d'altrui, et non dee dare sengnoria sopra sé ad alcuno uomo in tutta la vita sua, (e) ad ongn'uomo dee valere col senno (e) col consillio: et così serae la vecchieçça honesta e lieta. [35] Et Tulio disse ke «se l vecchio avesse alcuna cosa ke fosse a llui comessagione di studio o di doctrina, neuna cosa sarebbe più allegra dell' otiosa vecchieçça». [36] Et avengna ke così com'i' ò detto di sopra debbie amare lo padre e la madre, tuttavia l'amore di Dio dei mettere innançi al'amore del padre. [37] Onde Matteo nel vangielo di Dio disse: «Chi ama lo padre o la madre più ke me non è dengno di me; et ki ama lo filliuolo o la filliuola più ke me nonn è dengno di me». [38] Et altrove nel vangielio disse: «Li nemici dell'uomo sono li suoi dimestichi». [39] Et sappie k'io non vidi anke filliuoli ke trattassero male lo loro padre (e) madre, ke Dio in questo mondo non ne facesse visibile vendetta. [40] (Et) questo adiviene a ragione, che disse Cassiodoro: «Chi ebbe inn odio la conpangnia del padre non merita d'avere la conpangnia deli cittadini, acciò ke la serenitade del puro cuore non sia soçça di nuvolose macchie».
L. II, cap. 22[1] .xxij. Del'amore et dela dilectione di tuoi filliuoli. [2] Del'amore deli tuoi filliuoli io non ti n'amonisco, perciò ke se Dio te ne darae la natura vi ti sospingnerà tanto ke ttu distrettamente li amerai; ma non porre loro sopra te sì ke al loro amore t'aneghiettische. [3] Ma una cosa ti dico, ke tu non adoperi tanta pietade verso loro, perdonando ala verga (e) al bastone, ke la tua pietade si rivolga inn odio; che Salamone disse: «Chi perdona ala verga à inn odio lo suo filliuolo, ma ki l'ama, in fretta lo diroçça (e) lo gastiga. [4] La verga e la correctione ritribuiscono sapientia; lo fanciullo k'è lasciato stare nela sua volontade confonderà la sua madre. [5] La matteçça è legata da natura col cuore del fanciullo, ma la verga (e) lo bastone la ne caccieranno». [6] (E) cacciata via la matteçça per gastigagione, farannosi li filliuoli savi, onde tu serai letificato; che Salamone disse: «Lo filliuolo savio fa lieto lo suo padre, et lo filliuolo matto è trestitia dela sua madre». [7] Et altrove: «Gastiga lo figluolo tuo, (e) refrigerrae te, (e) darae letitia al'anima tua». [8] Et (Iesu) filius Syrac disse: «Ài filliuoli? Amaestrali nela fantilitade loro. [9] Ài filliuole? Conserva lo corpo loro, et non mostrare la faccia tua allegra verso loro. [10] Marita la tua filliuola, (e) farai grande opera; (e) dalla ad huomo savio». [11] Et altrove: «Udite voi, populi (e) genti et rectori dele chiese: ai filliuoli e a femine (e) a fratello e amico tu non darai podestade sopra te nela tua vita; ke mellio t'è ke li tuoi filliuoli guardino ale tue mani ke tu ale loro». [12] (Et) se fosse ke li tuoi filliuoli od altri tuoi amici le tue correctioni (e) li tuoi anmonimenti non volessono ricevere, non te ne rimanere per ciò ke tu non li gastighi; che Cato disse: «Quando tu anmonisci altrui (e) elli non vuole essere anmonito, si elli t'è caro, non restare perk'elli non vollia». [13] Et Cassiodoro disse: «Malagievole mente si fa vitioso quelli a cui soprasta cotidiano anmonitore, e malagievole mente si soçça di viçio d'errore quelli ke per cotidiana doctrina è purgato». [14] Et non adirare li tuoi filliuoli, che l'Apostolo nela pistola ad Ephesios disse: «Voi, padri, non chiamate ad ira, ciò è non adirate li vostri filliuoli, ma nutricateli in disciplina (e) in correctione di Dio». [15] Ad exemplo dunque di Dio li tuoi filliuoli gastigare dei, ke «cui Dio ama sì lo gastiga, (e) fragella ongn'uomo cui riceve per filliuolo»: ciò disse santo Paulo. [16] Et (Iesu) filius Syrac disse: «Chi ama lo suo filliuolo sì lo batte spesso, acciò k'elli sia lieto di lui dala fine, (e) non palpi li usci deli suoi vicini. [17] Dà latte al tuo filliuolo, elli ti spaventerà; gioca cum lui, elli ti contristerà. [18] Non li credere, acciò ke non ti dogle (e) di dietro te n'alleghino li tuoi denti. [19] Piega lo suo collo nela sua giovaneçça, et tondi li suoi lati infino k'èe fanciullo, acciò ke non induri, (e) poscia non ti creda, (e) siati dolore s'anima». [20] Perciò ke Salamone neli Proverbi disse: «Lo fanciullo lunghesso la via sua; etiandio quando serae invecchiato, non si partirae da essa». [21] Onde disse uno savio: «Chi non s'ausa ale bontadi quando è giovane, non si sa partire dali viçi quando è vecchio». [22] Et avengna ke li filliuoli così siano da gastigare, «sì è talvolta da lasciare ali fanti seguitare l'impeto delo loro animo», ma Seneca nele Pistole disse. [23] «Non ti rallegrare sopra li filliuoli rei (et) empi si elli moltiplicano, (e) non ti delectare sopra essi, se lo timore di Dio nonn è cum loro. Non credere ala vita loro (e) non guardare ala loro faticha; che mellio è uno filliuolo ke tema Dio ke mille altri filliuoli empi, et più utile è morire sança filliuoli ke dipo te lasciarli rei (e) empi. [25] Da uno assennato serae habitato lo paese, et da tre empi serae abbandonato e diserto». Ciò disse lo savio. [26] Et acciò ke buona hereditate lasci loro, di gloria di vertudi (e) di bontadi li dei amaestrare; onde Tulio disse: «La melliore hereditade ke dali padri si lasci ali filiuoli è gloria di vertudi (e) gloria di cose già fatte». [27] Et guardati ke l'amore deli filliuoli non ti stringa sì ke dimentichi te medesimo, negando a te quello ke tt'è mistiere; che Seneca disse: «Grande matteçça è procurare le cose dele rede sue et a sé ongne cosa negare, acciò ke la grande hereditade d'amico ti faccia nemico, ke quanto più li verrai a llasciare, tanto più serà lieto dela tua morte». [28] Onde disse Salamone nel'Eclesiaste: «Io òe vituperato ongne mio ingengno (e) studio lo quale sotto lo sole òe lavorato, perciò ke dipo di me averò herede lo quale io non so s'elli serae o savio o matto, e sengnoreggerae nele mie fatiche nele quali i' òe sudato (e) nele quali fui solicito: (è) neuna cosa così vana? [29] Onde lo mio cuore à rinuntiato di più lavorare sotto lo sole; perciò ke quando altri lavora in apprendere doctrina (e) savere cum solicitudine, lasciò all'uomo otioso tutto altro k'elli àe acattato, (e) questo è vanitade e grande male». [30] Et altrove: «Chi rauna non giustamente, ad altrui rauna, lo quale neli suoi beni userà luxuria (e) ongne soperchio». [31] (Et) colui k'èe suo nemico le più volte interviene ke lo lascia hereda. [32] Così dunque servi ali filliuoli e ali amici nela vita tua, k'elli non aspettino la morte tua, ke in altra guisa li strani averebbero in odio la tua vita; che Seneca disse: «La cui morte li amici aspettano, tutti li altri la sua vita inodiano».
L. II, cap. 23[1] .xxiij. Come si debia amare e tener la mogle. [2] La tua mollie perfettamente dei amare, perciò ke ella è parte del tuo corpo, (e) uno corpo cum teco, sì come disse Dio, lo quale la chiamoe aiutorio dell'uomo. [3] Che quando elli ebbe fatto l'uomo, disse: «Faccialli aiutorio»; (e) tratta una costola del corpo d'Adamo, (e) fece Eva, e disse: «Per questo lascerae l'uomo lo padre (e) la madre, e agiungnerassi ala sua mollie; (e) saranno due in una carne». [4] Et altrove disse l'Apostolo nela pistola ad Efesios: «Amate le mollieri vostre sì come (Cristo) amò la chiesa». [5] Et ancora disse ke «sì debbono li uomini amare le loro mollieri come li loro corpi medesimi; che ki la sua mollie ama, sé medesimo ama; neun uomo unque la sua carne ebbe inn odio, ançi la nutrica». [6] (E) poscia aggiunse: «Ciascuno la sua mollie come sé medesimo ami; et la mollie tema lo suo marito». [7] Et a rragione è la mollie da amare, perciò k'ella è dono da Dio; ke disse (Iesu) filius Syrac: «La casa (e) le riccheççe si danno dali parenti, ma propiamente si dà da Dio la buona mollie (e) la savia». [8] Perciò ke sì come io dissi ella è aiutorio dell'uomo, et specialmente del povero o delo 'nfermo; onde quello medesimo disse: «Dove non èe siepe, la possessione è rapita (e) inbolata, (e) ove non èe femina, piangne lo povero (e) lo 'nfermo». [9] Et sì sè tenuto d'amare la mollie ke si dica k'ella abbia la podestade del tuo corpo; onde disse l'Apostolo nela prima sua pistola ali Corinthi: «L'uomo non àe la podestade del suo corpo ma la femina, e la mollie non àe la podestade del suo corpo ma lo marito. [10] Non vi frodate insieme se non fosse per consentimento a tempo, per intendere ad oratione; ritornate insieme, ke non vi tenti Satanasso per non potere mantenere castitade». [11] Et altrove: «Lo marito renda ala sua mogle lo debito suo, (e) altressì la mogle al marito». [12] Et tanto sè tenuto d'amare la mogle ke per neuno tenpo ti sia licito di partirti da essa, se non per cagione di fornicatione; onde detto è: «Cui Dio congiunse, huomo non li sceveri». [13] Et non credere ke ssia peccato marito (e) mollie mescolarsi carnalmente, cum ciò sia cosa ke l'Apostolo dica: «Ciascuno abbia la sua per la fornicatione»; [14] et altrove per lui medesimo si dica: «Mellio è maritarsi ke ardere di vogla»; [15] et altrove per lui medesimo si dica: «Chi congiunge a matrimonio la sua vergine, bene fa; (e) ki no· la vi congiungne, fa meglo». [16] Et altrove dice: «Sè legato a mogle? Non domandare di sciollierti. Sè sciolto da mogle? Non domandare di legarti. Ma se tu la torrai, non peccherai; (e) se la vergine si marita, non pecca». [17] Et etiandio dele vedove dice: «La femina è legata a legge quanto tenpo lo suo marito vive; (e) se lo marito suo dormirae, ciò è serà morto, liberata è dala legge. [18] A cui vuole si mariti in Dominedio, ma più beata sarà se così si permarrà, secondo lo mio consillio». [19] Et se l'Apostolo dice ke fa bene ki si marita, molto è ingannato lo heretico ke contra lo detto suo vieta lo matrimonio (e) comanda ke ci astengnamo dali cibi ke Dio creò. [20] Ciò disse l'Appostolo nela pistola a Timoteo, profetando di loro: «Lo spirito manifestamente dice ke neli tenpi da seçço, ciò è presso ala fine del mondo, si partiranno aliquanti dala fede, attendendo a spirito d'errore e a doctrine di domonii, (e) in ypocrisia parleranno bugia, (e) averanno la coscientia loro cauteriata, ciò è non pura, perké dubiteranno sempre di non essere in sul vero, (e) vieteranno lo matrimonio, (e) asterrannosi dali cibi ke Dio creò, li quali si debboro prendere cum reddimento di gratie». [21] (E) non puote lo heretico dicere ke lo detto del'Apostolo s'intenda del matrimonio divino, ke se così s'intendesse, secondo quella auctoritade mellio sarebbe astenersi da matrimonio divino ke maritarsi in (Cristo), la qual cosa nonn è vero. [22] Et non ti agiungnere ali eretici (e) non credere loro, li quali dicono ke le mollieri sono da lasciare (e) ke cum loro nonn è carnalmente da usare; non intendendo bene lo vangelio ove si dice: «Chi lascerà lo padre o la madre o li filliuoli o li canpi o la mollie, averanno a cento doppi, (e) sopra questo ancora vita eterna». [23] Perciò ke quello s'intende quando ciò si fa dela volontade dell'uno (e) dell'altro: sì come quando intranbi fanno voto d'osservare castitade, o vanno a religione di pare volontade, o l'uno va a religione cum volontade dell'altro, quando l'altro invecchia e rimane al secolo (e) fa voto di castitade, od etiandio contra volontade dell'altro, se l matrimonio non fosse conpiuto per carnale congiungnimento, perciò k'è chiamato dale noççe, sì come li decreti (e) le decretali (e) le ragioni gridano tutte. [24] Et perciò dico ke non ti dei cessare da matrimonio carnale, s'elli ti pur piace d'avere mollie. [25] (E) più tosto prendi mogle ornata di buoni costumi (e) in buona conpangnia notricata ke mollie ke abbondi di riccheççe (e) in altro sia ria, (e) più tosto pulcella ke vedova, che uno savio disse: «Prendi pulcella per mollie, avengna k'ella sia vechia, ançi ke vedova». [26] Et Cato disse: «Fuggi la mollie (e) no· la menare sotto nome di dote; et no· la volere retenere, s'ella ti comincia a essere molesta». [27] (E) non fare grandi spese nele noççe di tua molliere, che Seneca disse: «Schifa di fare nele noççe di grandi spensarie». [28] Et si forse nela tua mogle troverai alcuna cosa ke tti dispiaccia, con iguale animo lo dei sofferire, s'elli agevolemente fare si puote, che uno filosofo disse: «Neuna sì buona mogle è, nela quale tu non truovi cose onde tu ti lamenti»; [29] (e) «neuna è sì buona ventura ke di lei non si possa alcuna cosa lamentare». [30] Et Tulio nelo libro del'Amistade disse: «Nonn è neuna cosa più malagevole ke trovare cosa ke nela sua generatione sia da ongne parte perfetta». [31] Onde Salamone nel'Ecclesiaste disse: «Delli uomini trovai buono uno de' mille; ma dele femine di tutte non ne trovai veruna». [32] Ma avengna ke Salamone neuna ne trovasse, Seneca le mollieri benigne sopra tutte l'altre cose lodoe, dicendo: «Sì come nulla cosa è di sopra ala ala mollie beningna, così neuna cosa è più crudele di mollie noiosa; perciò ke quanto la savia donna la vita sua pone per la salute del marito, tanto la malingna femina dispone la sua vita ala morte del marito». [33] Et perciò è da amare la buona mollie, «che nela buona mollie (è) buona conpangnia»: ciò disse uno filosofo; et anche disse ke «la buona femina è fedele guardia di casa». [34] Et un altro savio disse: «La casta donna, obedendo al marito, a lui comanda». [35] Et se la tua mogle è ria, sostiella lo mellio ke puoi, che disse uno savio: «Sostieni (e) non incolpare quello ke mutare non si puote». [36] Et avengna ke tu debbie amare la tua mollie, non le dei dare podestade sopra te in vita tua, acciò ke non ti contradi; che (Iesu) filius Syrac disse: «Femina, se àe sengnoria, è contraria al suo marito». [37] La tua mogle sì ama ke vivendo ella ad altra non ti mescoli, ma servando la fede mantieni la castitade, che sì come disse la Legge: «Molto è iniqua cosa domandare castitade dala mollie, la quale tu a llei non dessi». [38] Et Seneca nele Pistole disse: «Colui molto malvagio è da avere ke dala mogle domanda castitade, cum ciò sia cosa k'elli sia corrompitore dele mollieri altrui». [39] Et Salamone disse: «Chi è adoltero per povertade di cuore, perderà l'anima sua; (e) disinore et brobbio rauna a sé ke mai non si disfae». [40] La tua mollie no· la lusingare, nè troppo non la lodare nè vituperare, nè cum pugnenti parole non la gastigare; che disse Seneca della Forma del'onesta vita: «Non accattare l'amistade d'alcuno per lusinghe; loda temperatamente, ma più temperatamente biasima: ke così è da riprendere la troppa lode come lo troppo biasimo, ke l'uno mette sospectione di lusinga, l'altro di malingnitade». [41] Non trare ad ira la tua mollie, se tu altro fare puoi, che sì come disse Salamone: «Nonn è capo niquitoso sopra lo capo del serpente; et nonn è ira sopra ira l'ira dela femina». [42] Ma se forse sança colpa caderà in ira, non temerai le sue parole, che disse Cato: «Di tua molliere adirata parole non temere, ke cum lagrime mette guato quando la femina piangne». [43] Et Seneca disse ke le femine ànno in loro due generationi di lagrime: l'una generatione è per certa dollia, (e) l'altra è per aguato, ke «le lagrime dele femine sono condimento dela malitia, e le lagrime preste (e) apparechiate demostrano guato (e) non pianto». [44] Et perciò disse Cato: «Neuna cosa mattamente credere ala tua mogle ke deli tuoi suoi servigiali si lamenta, ke spesse volte la femina innodia cui lo marito ama». [45] Et non credere troppo al consillio di tua molliere, che uno savio disse: «Nelo mal consillio le femine vincono li uomini». [46] Et nel proverbio si dice: «Lo consillio feminile, od elli è troppo caro od elli è troppo vile».
L. II, cap. 24[1] .xxiiij. Deli servitiali e deli mercennari e deli servi da costringnere e da amare. [2] Li servitiali (e) li mercennari (e) li servi tuoi ke fedelmente (e) saviamente ti servono, molto specialmente li dei amare, (e) bene reggerli e governarli, (e) cum loro pietosamente portarti. [3] Che disse (Iesu) filius Syrac: «Non essere sì come leone nela tua casa, uccidendo e confondendo (e) spaventando li tuoi domestichi et li tuoi subgetti». [4] Et un altro disse: «Lo stato (e) la conditione deli tuoi subgetti non a sengnoria, ma a giudicio li reggi, acciò ke si dica dela tua magione non ke la possegge, ma ke l'aministri». [5] Et uno filosofo disse: «Maggiormente vollie ke li servi tuoi ti reveriscano k'elli ti temano». [6] Quelli ke tu dei reggere, non li tractare cum fiereçça di leone, che inn altra guisa li subgetti tuoi a rragione s'averebbero a guardare di te; che uno savio disse: «Guardati di quello re k'èe fiero come leone (e) lo cui animo è lieve come di fanciullo». [7] Sie dunque buono (e) bene (e) buone cose comanda, acciò ke li tuoi familliari con iguale animo t'obediscano; perciò ke disse Seneca: «Tutti con iguale animo obbediscono, dove li buoni comandano». [8] Et ki neli suoi servi è adiroso (e) crudele, assai dimostra ke contra altrui li sia venuto meno possança. [9] Et perciò disse Salamone: «Ànnoti posto reggitore, non ne insuperbire; sie intra loro sì come uno di loro». [10] Et se li tuoi suggetti fedelmente ti servono, tale t'arrendi a lloro ke per parte dele tue cose paiano sengnori; che uno filosofo disse: «Chi savia mente serve, parte tiene dela sengnoria». [11] Et (Iesu) filius Syrac disse: «Al servo assennato li liberi servono; (e) l'uomo savio e amaestrato non mormora per essere gastigato, (e) quelli ke non sa non sarà onorato». [12] Et Salamone disse: «Lo servo savio sengnoreggia ali filliuoli matti, (e) intra li fratelli dividerà la reditade». [13] Et un altro disse: «Chi sança sua vollia serve, servo è; ma ki volliendo serve, ministro è». [14] Et Seneca disse: «Lo savio liberto, ciò è ke fue servo (e) è francato, èe sança natura filliuolo». [15] Et sappie ke se tu serai benivolo ali predetti, benivolo animo verso te (e) verso le tue cose averanno, et li loro servigi non averranno fine verso te; ke disse uno savio: «Lo servigio del benivolo animo fine non àe». [16] E Seneca disse «Coniuntione di benivolo animo è grande parentado». [17] Et non li reggere (e) non li nutricare in viçii; che uno savio disse: «Non li gastiga, ma sì li lede, ki in vitio li regge». [18] Et non li nutricare dala fantilitade delicatamente, perciò ke disse Salamone: «Chi delicatamente dala fantilitade nutrica lo servo suo, poscia sentirà lui contumace»; et non solamente contumace, ma vile, sì ke neuna fatika poterà durare. [19] Et s'elli da fanciullo sarae nutricato in fatica, neuna fatica poscia ricuserae; onde Seneca nele Pistole disse: «Neuna fatica recusano le mani che al'arme si trasportano dal'aratolo; l'unto (e) lo lisciato viene meno nela prima polvere». [20] Et Martiale Cuoco disse: «Quelli k'è usato a morbideçça ricusa di portare pançiera, (e) elmo d'acciaio nuoce a tenero capo. [21] La mano spesso unta non prende lo tenere della spada; la lavata (e) forbita cotenna si duole per vento (e) per acqua (e) per freddo. [22] (E) quelli k'èe cotidiano gonfaloniere dela dea d'Amore non serae unque gonfaloniere di vertude». [23] Ke gloria di vertude non s'acatta agevolemente sança faticha; onde Cassiodoro disse: «Non ricusa fatica ki desidera gloria di vertude (e) di bontade». [24] Ma questi huomini delicati non possono sofferire fatica; et perciò quello medesimo disse: «Tutte le cose delectevoli sono delicate ale fatiche, (e) agevolemente sentono l'afflictione delo incarico quelli ke ssono usati a soavi delitie». [25] Non temere li servi tuoi se non cum dilectione, che disse uno filosofo: «Minore è ke lo servo ki lo servo teme». [26] Ma li servi altrui ben dei temere; onde uno savio disse: «Non accusare lo servo al suo sengnore, acciò ke non s'adiri verso te (e) poi t'uccida». [27] Non ledere lo servo tuo ke adopera in veritade, nè l mercennaro tuo ke tti dà l'anima sua». [28] Et ancora disse lo savio: «Lo servo anmaestrato (e) savio sia a te dilecto come l'anima tua; nol frodare di libertade (e) no· lo lasciare povero». [29] Et Seneca nele Pistole disse: «Fatta la cena, lo soperchio si divide intra coloro ke stanno d'intorno; et così, compiuta la tua vita, alcuna cosa porgi a coloro ke fuoro ministri in tutta la vita passata». [30] (Et) se li servi tuoi seranno ricchi, usa dele loro riccheççe temperatamente (e) non li spolliare, perciò ke la tua conditione ne sarebbe peggiore. [31] Che Martiale Cuoco disse: «Quando tu spollie lo servo (e) tollili tutti li suoi beni, tu lo proscolli da· legame del servigio. [32] La povertade aguagla lo servo al sengnore de libertade, et se l tuo servo è riccho, tu li sengnoregge». [33] Et se li tuoi servi non sono amaestrati, amaestrali (e) gastigali, a modo del savio ke disse: «Cibo (e) verga (e) incarico all'asino, (e) pane e disciplina (e) opera al servo. [34] Adopera disciplina, (e) domanda riposo; tollili via la mano, (e) elli domanda libertade. [35] Lo giogo (e) la redana piegano lo collo duro, (e) lo servo inchinano le cotidiane opere. [36] Al servo malitioso battiture (e) feri, e mettilo in opera, ke no· stea otioso, ke lo riposo insengna molta malitia». [37] Et certo ben dei dare ali tuoi servi (e) alli altri tuoi servigiali le cose ke lli abbisongnano, acciò ke per necessitade non siano costretti di peccare; che disse Cassiodoro ke «quelli a cui non sono date le cose necessarie costretto è di peccare». [38] Et sappie ke poco meno tutti li servi sono malitiosi (e) ladroni (e) nemici ali loro sengnori; onde Seneca nele Pistole disse: «Tanti avemo nemici quanti servi». [39] Ma non perciò dei incrudelire contra loro, ma temperatamente gastigarli; che disse Cato: «Quando la colpa deli tuoi servi ti fa cadere in ira, temperati sì a lloro ke tu posse loro perdonare». [40] Et altrove: «Se tu ài conperati servi a fare li tuoi mistieri, kiamali servi, ma ricorditi k'elli sono huomini». [41] La mercede del mercennario non rimanga apo te pur infino ala mattina, ke dengno è lo mercennario dela sua mercede: ciò disse Dio nel vangelio. [42] Dunque secondo la qualitade dele persone sono da gastigare li servigiali (e) li mercennari (e) li servi, perciò ke disse Cassiodoro ke «li fieri distrettamente sono da priemere, li humili cittadinamente sono da anmonire, li felloni guardingamente, li sempici lievemente sono da tractare». [43] Etiandio disse Seneca: «Li rei gastiga paura, non pietade». [44] Ma sì come disse Salamone nel'Ecclesiaste: «Li perversi malagevolemente si gastigano, (e) deli matti non à fine lo novero».
L. II, cap. 25[1] .xxv. Dela guardia di ritenere li amici. [2] In ritenere li amici grande guardia è da avere, ke l'amico agevolemente s'acatta, ma malagevolemente si ritiene. [3] Primieramente in tal guisa abbie l'amico ke tu non temi k'elli si faccia nemico. [4] Et li fatti deli amici sì lli tracta ke inn alcuna cosa non li lede; ke lo buono amico, quando li è fatto danno, più gravemente s'adira, ke la dollia s'adoppia quando da colui da cui tu non l'ài servita ti viene. [5] Et di ciò disse Seneca: «Tanto è maggiore la 'ngiuria quanto più proximo è quelli ke la fa».[6] Et Cassiodoro disse: «Lo peggiore di tutti li mali è provato quindi avere danno onde si sperava aiutorio». [7] Et un altro disse: «Quanto nel proximo ciascun uomo più si confida, tanto più li 'nnacerbisce l'animo se la sperança li è frodata». [8] Neuna cosa torre dal'amico ke non ti dà cum volontade; che la Regola del'amore dice: «Nonn è saporoso ke l'amante tolla dal'amante sança sua vogla». [9] Et Seneca nele Pistole disse: «Neuna cosa è honesta ke si fa dal'omo for sua vogla, ke ongne cosa honesta è voluntaria». [10] Et bene puoi sapere ke for vollia dae l'amico dove pregato tace; che Seneca dice: «Lo savio, dove tace, quello ke l'uomo li chiede niega». [11] Perciò ke «la benignitade (e) la largheçça s'afretta, (e) propria cosa è di colui ke volentieri fa tosto fare»; (e) volere tardi è proprietade di colui ke non vuole. [12] Et perciò non li è da fare troppo priego, (e) se lo facessi, dibasse (e) avilisci la tua gentileçça. [13] Perciò ke Seneca disse: «La gientileçça sua lede ki colui ke nonn è dengno priega». [14] Et avengna k'io abbia detto ke pericolo è a ciascuno amico manifestare lo tuo secreto, tuttavia le secrete cose ke tti sono conmesse dali amici non le dei manifestare, ançi sie loro fedele. [15] Che Salamone disse: «Ki vae frodolente mente, revela li secreti; ma ki è fedele li cela». [16] Et anche: «Ki cela l'altrui colpa procaccia d'avere amistade; (e) ki è ridicitore di parole è dispartitore d'amistade». [17] Et (Iesu) filius Syrac disse: «Ki lo secreto del'amico fa ingnudo perde la fede, (e) non troverà amico a suo animo. [18] Aprire li fatti del'amico è disperatione d'anima male 'nventurata». [19] Et etiandio uno filosofo disse: «Sotterra sia apo te la parola ke tu solo averai udita». [20] Et non dispregiare l'amico tuo nè altra persona; che Salamone disse: «Ki dispregia l'amico suo abisongna di cuore; ma l'uomo savio tacerà». [21] Et un altro disse: «Ki ongn'uomo dispregia ad ongn'uomo dispiace». [22] (Et) non dicere al'amico tuo: «Va (e) riedi, ke domane lo ti deroe», cum ciò sia cosa ke tu le posse dare vie via. [23] Perciò k'uno filosofo disse: «Termine a termine agiungnere a colui ke priega è scaltrimento di negare». [24] Et altrove si dice: «Più honestade è la cosa negare ke lunghi termini dare». [25] Ma guarda ke s'elli non ti piacerà promettere al'amico quello ke tti domanda, non tu per vergongna caggie in bugia. [26] Che disse uno savio: «Vergongna di negare guarda non ti dea necessitade di mentire». [27] Ke sappie ke «meno è ingannato quelli a cui tosto è negato»: ciò disse uno savio. [28] «Cum consideratione prometti, (e) dà più pienamente ke ttu non prometti». [29] (Et) le promessioni attendi, se la promessione nonn è soçça o per soçça cagione, sì come le leggi gridano, o se la promessione agevolemente observare si puote. [30] Che aliquante promessioni si fanno le quali non sono da observare, che Tullio disse: «Le promessioni non sono da observare, le quali non sono utili a coloro cui sono promesse, e ke più a te non nocciano ke a coloro non giovano». [31] Et perciò disse uno savio: «L'uomo savio non mente quando lo suo proponimento in mellio rimuta». [32] Et non presterai al'amico tuo grande avere, acciò ke per questo forse non divengna tuo nemico: che sì come nele Pistole disse Seneca: «Lo lieve avere strania da te lo debitore, lo grave lo ti fa nemico». [33] Dunque di grave avere ad altrui per l'amico tuo non sie mallevadore, acciò ke non ti facce suo nemico; ma se per aventura sè fatto mallevadore, observa lo consillio di Salamone neli Proverbi, ke disse: «Filliuole, se ài promesso per l'amico tuo, tu ài confitta apo lo stranio l'anima tua. [34] Allacciato sè per le parole dela tua bocca, (e) sè legato per li tuoi propii sermoni. [35] Fa dunque quello k'io ti dico, filliuolo mio, te medesimo dilibera, ke tu sè caduto nele mani del proximo tuo; discorri, affrettati, suscita l'amico tuo. [36] Non dare sonno ali tuoi occhi, non dormano li tuoi nipitelli. [37] Fuggi sì come donnula di mano, (e) sì come uccello di guanto d'uccellatore». [38] Dì meno ke tu non facce; pensa molto, (e) fa tosto. [39] Lo dare tosto fa lo benificio essere a grado: propietade è di colui ke dà volentieri di dare avaccio; quello dono di neente è a grado ke lungamente s'aderse intra le mani di colui ke diede. [40] Che Seneca deli Benifici disse: «Molto sono in grado li benifici apparecchiati ke agevolemente vengnono fatti, dove nulla dimorança interviene se non quanto è per la vergongna di colui ke tolle». [41] Onde Seneca nele Pistole disse: «Lo benificio troppo dimandato invilisce ricevuto». [42] Et Cassiodoro disse: «Specie è da fare danno le cose ke debbono fare prode tardare, ke noi non potemo pensare ke gioconda sia la cosa k'èe per villana dimora indugiata». [43] Et Cato disse: «Fa le spensarie cum fretta quando lo tempo o · luogo o la cosa lo domanda». [44] Et un altro disse: «La cosa per molto chiedere data, kara è conperata». [45] Et perciò disse Seneca: «Optima cosa èe antivedere al disiderio di colui a cui dai, ma mellio è antivedere al priego, ke lo buon uomo nel pregare arrossa per vergongna, et ki questo tormento menoma adoppia lo suo dono». [46] Che sì come quello medesimo disse: «Molesta parola (e) gravosa è quando, kinato giù lo volto, alcun uomo dice: io ti priego». [47] Et anche: «Neuna cosa costa più cara ke quella ke di prieghi (è) conperata». [48] Et non solamente dipo aver diliberato dei esser tostano (e) presto a dar lo dono, ma in ongne tua opera, che disse Salamone: «Vedesti omo tostano in ongne sua opera; dinançi ali re sterà, et non starà intra li villani». [49] Et (Iesu) filius Syrac disse: «In ongne tua opera sie tostano, (e) neuna infirmità ti verrà». [50] Ma non adoperare tanta avacceçça ke turbi la perfectione dell'opera, ma in tal guisa ke conpiuta l'opera ne possa esser lodato a rragione, (e) maggior cosa quindi ti possa seguitare. [51] Che Cassiodoro disse: «Giustamente a maggior cose sale ki dela perfectione del fatto a sé conmesso è lodato». [52] Et non dicere al'amico tuo alcuna cosa ke li suoi orecchi offenda; che sì come «quelli ke getta pietra ad uccello ke vola l'abbatterà in terra, così ki dice disinore al'amico suo disciollie l'amistade». [53] Onde (Iesu) filius Syrac disse ke avengna ke non sia da dicere disinore o villania al'amico, «sì è da sofferire (e) da udire con iguale animo la villania del matto (e) del'amico»; ciò disse etiandio Seneca nele Pistole. [54] Et non solamente ti dei cessare di dicere disinore al'amico, ma tu dei celare lo peccato (e) la colpa del'amico od altra cosa dond'elli possa ricevere disinore. [55] Onde Cato disse: «Quello ke ssia vergongna deli tuoi conpangni, saviamente ti ricordi di celarlo, acciò ke non incolpino molti quello ke dispiace a te uno». [56] Et altrove: «Quanto tu puoi, celerai lo peccato del'amico», specialmente quando lo peccato nonn è palese ma è ancor nascoso. [57] Che disse Cassiodoro: «Molto è mellio nascondere in tenebre la cosa vitiosa ke isfacciatamente divolgare quello ch'è da incolpare». [58] Ma ben puoi gastigare l'amico; che disse Tulio nelo libro del'Amistade: «Amonire (e) esser amonito è di natura di verace amistade, (e) l'uno fare liberamente et non aspramente, (e) l'altro ricevere cum sofferença e non con battagla». [59] Et etiandio Salamone disse: «Chi gastiga l'uomo troverà più gratia in lui ke chi per losinghe lo 'nganna». [60] (Et) quello dei fare secretamente (e) beningnamente, e non mordacemente. [61] Onde Cato disse: «Guardati di fare lite cum colui in cui tu ài gratia: ira genera odio, (e) concordia nutrica amore». [62] Et altrove: «Cum colui k'è tuo conto non contendere di parole, che talvolta di piccola cosa crescie grande lite». [63] Et etiandio Seneca nelo libro dela Forma del'onesta vita disse: «Lascera'ti ammonire volentieri, lascera'ti ripilliare cum sofferença; sì cum ragione ti ripiglerà alcuno, sappie ke fece prode, se sança ragione, volle fare prode; non temere parole acerbe, ma parole di lusinghe». [64] Volere essere amonito (e) potere è seconda virtute, ma non volere essere anmonito è matteçça. [65] Onde Ovidio disse: «L'animo non sofferente nè ancora tractabile per arte rifiuta e à inn odio le parole dell'anmonitore». [66] Dissi ke non dei temere parole acerbe, ma parole di lusinghe; che uno savio disse: «Lo reo uomo ke cum lusinghe favella è lacciuolo del'innocenti». [67] Et Cato disse: «Parole di lusinghe (e) biece ti ricordi di schifare». [68] Et un altro disse: «Fuggi quello dolce ke si puote fare amaro». [69] Et Salamone disse: «L'uomo ke cum parole coperte (e) lusinghiere favella al'amico suo spande la rete ali suoi piedi». [70] Et un altro disse: «Sempre àe suo veleno lo sermone lusinghiere». [71] Et un altro disse: «Neuno è più nascoso guato ke quello ke si nasconde in infingnimento d'officio od in alcuno nome di necessitade»; ke colui ke palesemente è adversario, puotelo l'uomo agevolemente schifare guardandosene. [72] Onde disse Seneca: «La dogla muta peggior cose pensa». [73] Et un altro disse: «Peggiori sono li odi coperti ke li aperti»; ke quelli ke tace più t'ofende ke lo linguadro. [74] Et un altro disse: «Chi bene s'infingne, più tosto al nemico nuoce». [75] Et un altro disse: «Vero è ke lo cane pauroso più latra ke elli non morde»; et li fiumi altissimi corrono cum picciolo mormorio. [76] Dunque, secondo Tullio: «Mellio è d'aliquanti essere acerbi nemici ke quelli amici ke paiono dolci; ke quelli spesso dicono vero, questi non unque». [77] Li amonimenti (e) le reprensioni del'amico beningnamente e volontieri le ricevi; che Salamone disse: «Melliori sono le fedite di colui ke tt'ama che li frodolenti basci di colui ke tt'innodia». [78] Et altrove: «Mellio è manifesto gastigamento ke l'amore nascoso». [79] Et ben ti dissi che in secreto è l'uomo da ammonire; che Dominedio disse: «Se l tuo fratello peccherà in te, gastigalo intra te solo (e) lui». [80] Et un altro filosofo disse: «In secreto li amici anmonisci, in palese li loda»; la caritade (e) l'amore muto representa specie d'uomo ke nonn ami. [81] Et se mattamente o mordagiamente ammonissi o riprendessi, adiverrebbeti quello ke Salamone disse: «Ki li altrui vitii mattamente manifesta, udirà li suoi ançi tempo». [82] Et gastigare dei sança vituperatione, andando innançi la domandagione: sì come quello medesimo disse: «Dinançi ke tu lo domandi neun uomo vituperare, et dipo la domandagione giustamente lo gastiga». [83] (E) nela gastigagione d'altrui sempre dei mescolare alcuna cosa di lusinghe, secondo Seneca ke disse: «Al gastigamento mescola lusinga», ke le parole ke vanno molli trapassano più a dentro ke quelle ke vanno aspre. [84] Et quando tu vedi l'uomo essere in miseria et in adversitade, cessare ti dei dalo gastigamento (e) dala riprensione. [85] Che disse uno filosofo: «Più grave èe essere ripreso nela miseria ke la miseria medesima». [86] Onde Seneca disse: «Nell'uomo ch'è pieno di miseria et etiandio lo riso li è ingiuria». [87] Ma non gastigare lo scherniano nè l'empio; che sì come disse quello medesimo: «Ki gastiga lo scherniano, elli fa ingiuria a sé; chi riprende l'empio, elli domanda macola a sé».
L. II, cap. 26[1] .xxvj. Deli benifici et deli guiderdoni. [2] Sappie ke avengna che per li savi si dica ke «la memoria deli benifici sia labille, ciò è ke tosto si fugge (e) si perde, et dele 'ngiurie sia tenace (e) ferma», onde Salamone, domandato quale cosa intra lli uomini più tosto invecchiasse, rispuose: «Lo benificio»; [3] tuttavia la tua humanitade (e) beningnitade sempre isforçandosi nel contradio, deli ricievuti benifici cotidianamente si ricordi (e) dele ingiurie si dimentichi, sì come disse Cato: «Ricorditi del ricievuto benificio». [4] Et altrove: «Lo piccolo dono, quando lo ti dà un povero amico, piacevolemente lo ricevi, (e) pienamente ti ricordi di lodarlone». [5] Lo ricievuto benificio è da mandare ad eternale memoria; (e) pienamente lo dei lodare, (e) palesemente et non in secreto nè ad orecchie altrui; che sì come Seneca disse: «A disgrado è quelli ke rimossi via li arbitri, in uno cantone disse ad orecchie molte gratie». [6] Et altrove nele Pistole disse: «Neun uomo, tractone lo savio, sae referire gratie; solo lo savio sae amare, solo lo savio è amico, solo lo savio è in fede. [7] Et sappie ke neli benifici dare buona cosa è agiungnere buone parole e cum predicatione humana (e) beningna lodare quello ke preste. [8] Acciò ke quelli si gastighi ke fue tardo a pregare, agiungnivi familliare parlamento o sia familliare laimento dicendo: «Adirato ne sono verso te, che disiderando te alcuna mia cosa non lo mi facesti assapere et ke cum cotale diligença m'à' pregato; ma quello ke tu disidere del mio, arditamente lo domanda». [9] Ke la maggior parte sono li quali li benifici ke fanno per aspreçça di parole (e) di cillio li aducono in odio, et di tal superbia et di tali parole usano ke fanno pentere d'avere domandato. [10] Matteçça è gastigare colui a cui tu dai (e) mescolare villania coli doni; (e) s'elli serae veruna cosa di ke tu lo vollie ammonire, altro tempo t'alleggi, che non sono da inasprire li benifici neuna cosa trista è da mescolare a lloro. [11] Nè non sono da ristringnere li benifici, ma da isciampiare per parole per isperança di quello k'ancora fie; che sì come disse Cassiodoro: «Stretti sono li benifici li quali non promettono di quello k'ancora sarae per innançi». [12] Nè non sono da troppo dilatare li benifici, nè per piccole cose sono da ricevere le grandi; che disse Seneca: «Nè l piccolo dono dilatare, nè per piccole cose sofferire di ricevere le grandi». [13] Et sappie ke Salamone neli Proverbi disse, lo dono nascoso talvolta è più utile ke quello k'èe palesemente dato; onde disse: «Dono nascoso spengna l'ire, (e) dono apparente fa grande indignatione». [14] Et sappie ke lo dono nonn è sempre da torre sempre da rifiutare. [15] Quello ke onestamente non si può torre, nonn è da ricevere al postutto; onde disse uno filosofo: «Più volontieri vorrei avere perduto ke soççamente avere tolto». [16] Et Seneca disse: «Lo benificio prendere è libertade vendere»; non vendere dunque la libertade tua, da cosa non honesta (e) non dengnamente ricevendo benificio, perciò ke tti conviene a llui ritribuire (e) suo debitore essere, la qual cosa è gravissima. [17] Onde Seneca disse: «Grave tormento è d'avere a dare a cui tu non vuoli, (e) per contradio giocondissima cosa è avere ricievuto benificio da colui lo quale tu posse amare etiandio dipo la 'ngiuria». [18] Da rifiutare nonn è lo dono ke onestamente e da honesto si tolle; et preso lo dono, non èe vie via da mandarne lui un altro; che disse Seneca: «Sengno è da rifiutare lo dono, un altro vie via mandarne (e) dono per dono vincere». [19] Et sappie ke avengna ke tu debbie lodare l'amico del ricievuto benificio, tuttavia tu non dei ricordarli veruno beneficio da te fatto ad altrui; che disse Tulio del'Amistade: «Quello ke dee ricordare (e) dire quelli a cui è dato lo benificio, non lo dee ricordare quelli ke diede». [20] Ke tosto ke tu dì ke tu abbie dato lo benificio, pare ke tu lo ridomandi; che Seneca disse: «Chi dice ke abbia dato benificio, già lo ridomanda». [21] Et un altro disse: «Ki diede lo benificio taccia, ma dicalo quelli ke lo tolse». [22] Che neuna cosa è più da schifare nel dare lo benificio ke vano vantamento; ma la cosa lo favelli, tacendo noi. [23] Et Cato disse: «L'altrui officio ricorditi di dicerlo a molti, ma quando tu averai fatto bene altrui, tu medesimo lo taci». [24] (Et) abbiendo dato beneficio od abiendolo ricevuto da altrui, sempre ti mostra allegro; che disse (Iesu) filius Syrac: «In ongne dato fa allegro lo tuo volto, (et) in exultatione santifica le tue decime». [25] Et Martiale Cuoco disse: «Li vilissimi doni fanno levare su lieti volti, (e) li grandissimi li fanno kinare giuso».
L. II, cap. 27[1] .xxvij. Di dovere dimenticare la 'ngiuria. [2] Dela 'ngiuria dovere dimenticare dice Dominedio: «A me vendetta, e io ne renderò cambio». [3] Et Seneca nele Pistole disse: «La 'ngiuria dovemo dimenticare, (e) del benificio ricordare», che «lo rimedio dele 'ngiurie è dimenticarle». [4] Et (Iesu) filius Syrac disse: «D'ongne ingiuria del proximo non ti ricorderai, et neuna cosa fare nell'opere dele 'ngiurie. [5] Et al postutto dela 'ngiuria del'amico così ti tempera ke lo suo amore non menomi; et non solamente dela 'ngiuria del'amico ti dei temperare, ma di ciascuno altro, perciò ke a molti altri minaccia chi a uno fa ingiuria. [6] Et Cassiodoro disse: «Per ingiuria d'uno tutta la congiuntione et la conpangnia si disfae». [7] Et etiandio l'Apostolo nela pistola a' Colosenses disse: «Chi ingiuria fa, a sapere à ke iniqua mente fece». [8] Et Seneca nele Pistole disse: «D'altrui aspetta quello ke altrui ài fatto». [9] Certo guardare ti dei ke l'amore non si menomi, ke l'amore unque non permane in uno medesimo stato: ke o cresce o menoma, ke pur del durare od invecchia o crescie. [10] Onde dice la Regola del'Amore: «Se l'amore menoma, tosto cade giuso, et rade volte ritorna». [11] Et Martiale Cuoco disse: «Al savio consiglo è da servare l'amico, lo quale tardi l'acatte (e) tosto lo perdi».
L. II, cap. 28[1] .xxviij. Di non lodare neuno in sua presentia. [2] Nè amico nè altra persona in sua presentia non lodare; che disse uno savio: «Non si conviene colui k'èe presente lodareledere». [3] Ma nè te medesimo dei lodare, perké non truovi schernitore; che disse Seneca: «Ki sé medesimo loda, tosto sì ne fa altri beffe». [4] Et Cato disse: «Non ti lodare (e) non t'incolpare, ke ciò fanno li stolti per vana gloria». [5] Secondo quello ke disse lo savio: «La bocca altrui ti lodi, (e) non la tua propia»; ke ongne loda nela propia bocca diventa soçça. [6] Nè non vituperare l'amico, nè di lui non giocare; che uno filosofo disse: «L'amico non si conviene per giuoco ischernire». [7] Et Martiale Cuoco disse: «Subito vitupera ki subito loda; (e) questo è tuo doppio vitio». [8] L'amico nonn è da lodare di subito nè di soperchio; onde Cato disse: «Temperatamente loda, ke quelli cui tu spesso averai lodato uno solo die ti mosterrà kente amico ti sia». [9] Nè non andare caendo cagioni al'amico; che disse uno savio: «Cagioni va caendo ki partire si vuole dall'amico, et colo tempo sarae da vituperare».
L. II, cap. 29[1] [.xxviiij.] Deli amici dubitati (e) ke paiono (e) non sono. [2] Queste cose ke dette sono, intendile deli veri (e) deli provati amici; ma se del'amico dubbie (e) non sai si elli è o buono o reo, non lo ricevere a maggiore amistade; che disse uno filosofo: «Se d'alcuna cosa dubite, no· la fare»; et fuggi quello ke llo giudicio dell'animo ti niega. [3] Et Tulio nelo libro delli Offici disse: «Bene comandano quelli ke vietano di fare veruna cosa dela quale si dubiti s'ella è giusta o s'ella è iniqua, ke la dirittura (e) la giustitia per sé medesima luce, ma la dubitatione contiene singnificatione in sé di non giustitia». [4] Et forse perciò disse Seneca: «Nelo dubbio sole essere per consiglo matteçça». [5] L'amistade del'amico dubitato tiella in pendente infino ke tu ne congnoske la veritade; che disse Seneca nel trattato dela Forma del'onesta vita: «Neli dubbi non diffinire, ma tieni la sententia tua in pendente». [6] Acciò ke non vie via sança ragionevole cagione (e) ben saputa ti parte da essa; ke secondo la Regola del'Amore «neun uomo sança ragione dee essere privato e abandonato d'amore». [7] Dunque non dei privare alcuno del tuo amore perké abbia soçça persona o piccola o debole se in altre cose è buono; che sì come Seneca disse nele Pistole: «Sapere dovemo ke la soççura del corpo non soçça l'animo, ma ke dela belleçça dell'animo lo corpo s'adorna»; ke la guaina non fa nè buono nè reo lo coltello, (e) così è da credere (e) da dicere del corpo. [8] Et Cato disse: «Non avere a dispetto la força del piccolo corpo: di consillio risprende quelli a cui la natura negò la força». [9] Et se forse l'amico tuo ti giuoki, (e) non t'è fedele di cuore, fa come disse Cato: «Chi s'infingne in parole (e) di cuore nonn è fidato amico, fa tu lui lo similliante; et così l'arte s'inganna per arte». [10] Et se parole fittitie (e) di lusinghe favella, tuttavia se tu serai savio lo suo cuore ti si farà palese (e) manifesto; perciò ke disse Salamone: «Come nell'acque risplendono li volti di coloro ke vi guatano, così li cuori delli uomini sono manifesti ali savi». [11] Et un altro disse: «Specchio è dela mente la faccia», (e) li occhi tacenti confessano li segreti dela mente». [12] Et fa come disse Oratio: «Non t'ingannino unque li animi ke si nascondono sotto volpe». [13] Ke sì come disse Ovidio: «Empii veleni si nascondono sotto dolce mele». [14] Et perciò è da fare secondo lo detto di Ysopo: «A promissioni di bocca, avengna ke paiano promessioni d'amore, non sempre ti confidare, acciò ke perciò non perische»; ke parole di mele spesse volte sono piene di fiele, nele quali nonn è certa sperança di fede. [15] Et altrove disse Ysopo: «Li 'nfingnitori mutano a tempo li costumi, ma ala chiara mente non possono unque nuocere, ke in uno momento non sia tolta via la loro opera e k'elli periscano a rragione per quella medesima arte di frode k'elli inpaççando altrui minacciano». [16] Et se queste cose farai, la sua ingannigia a llui nocerà (e) non a te; sì come disse santo Prospero: «Li 'ngannatori sempre sono tormentati da amare rangole, et la mala mente unque non àe allegreççe di pace». [17] Ma se amico al postutto reo troverai, perciò ke errando per li deletti suoi pensando ke fosse buono lo cominciasti ad amare, la sua amistade non ritenere, ke in cotale errore nonn è da perseverare lungamente. [18] Gravissimi sono li nemici li quali per similliança d'amistade falsamente altrui tradiscono. [19] Cotali dunque sono da schifare, onde uno savio disse: «Li perfidi amici schifa, nulla cosa loro credendo (e) ongne cosa da loro guardando». [20] Ma la loro amistade nè subito nè malamente la divellere, ma a poco a poco per disusança l'abandona (e) la distrugge, non dicendo le cagioni perché da llui partire ti vollie; sì come si legge nel'Ovidio, delo Rimedio del'amore, ke disse: «Non dire le cagioni per le quali tu ti vuoli partire, et non dicere ke ti dogle; ma nascosamente tuttavia ti duoli». [21] Et santo Paulo disse nela pistola a quelli di Tesalia: «Denuntiamo a voi frati, nel nome del nostro sengnore (Iesu) (Cristo), ke voi vi partiate da ongne fratello ke va disordinata mente». [22] Cotali dunque amistadi per minore uso sono da torre via: ciò disse Cato. [23] Et maggiormente è da disusare ke da esso discordare, se alcuna ingiuria da non sostenere non fosse mossa, ke non fosse honesta cosa nè fare non si potesse ke vie via non si facesse lo dipartimento. [24] Ke «neuna cosa è più soçça ke cum colui fare battallia col quale familliarmente si vive», sì come disse Tullio nelo libro del'Amistade. [25] Per disusança si disfae l'amistade, per continua conversatione e usança sempre cresce (e) avança; (e) perciò l'amico tuo, se agevolemente essere puote, sempre lo dei avere apresso di te (e) non da lunga. [26] Onde Salamone disse: «Mellio è vicino da presso ke fratello da lunga»; [27] et volganamente si dice: «Ki da llunga è dalli occhi, da llunga è dal cuore». [28] Del'amore (e) dela dilectione del proximo (e) del'accattare et del conservare li amici pienamente non te ne poterei scrivere; ma per lo tuo ingengno senpre acatta fedeli amici (e) studiati di mantenerli, acciò ke dela dolcieçça loro et delo loro aiutorio ti posse rallegrare (e) confortare.
L. II, cap. 30[1] .xxx. Del'amore (e) dela dilectione dell'altre cose corporali. [2] Conpiuto lo tractato del'amore (e) dela dilectione del proximo, ora è da vedere del'amore (e) dela dilectione dell'altre cose. [3] Da sapere èe ke dele cose tali sono corporali (e) tali non sono corporali. [4] Le corporali sono quelle ke ssi possono toccare et vedere, sì come terra et oro et argento et vestimenta (e) pecunia (e) altre cose sança novero. [5] Le non corporali sono quelle ke vedere (e) toccare non si possono, sì come è giustitia (e) ragione et legge et servigi et vitii (e) vertudi. [6] Del'amore dele quali cose è mistiere di tractare; ma prima del'amore et dela dilectione dele cose corporali (e) temporali tracteremo, poscia del'amore e dela dilectione dele cose non corporali. [7] Dunque congnosca la tua discretione corporali (e) temporali cose essere da amare; ke sì come corpo sança anima vivere non puote, così lungamente durare non puote sança sustançia temporale; perciò ke pascimento (e) vestimento sono sì mistiere al corpo ke sança le temporali cose la vita dell'uomo non si puote mantenere. [8] Per le temporali cose l'uomo fa grandi parentadi; onde Panfilio disse: «Perké la femina sia filliuola d'uno bifolco, se rrica è, di mille s'allegge quello marito k'ella vuole». [9] [***] «Le riccheççe fanno gloriosi coloro ke sono sança gentileçça, e la povertade prieme et abbassa le case alte et gentili». [10] Et Oratio disse: «Et gentileçça et belleçça dae la reina pecunia». [11] Per le temporali cose acatta l'uomo grande potentia, sì ke li re e li principi (e) poco meno ke tutti li uomini la seguitano (e) la temono. [12] Et tanto fanno prode le cose temporali alli uomini ke vengnendo elle meno si fa l'uomo povero et mendico (e) ladro, (e) poco meno tutti li rei viçi n'accatta. [13] (Et) acciò ke generalmente ongne cosa si conprenda, uno filosofo disse: «La pecunia è reggimento di tutte le cose». [14] Acciò dunque ke lli uomini di cotanti beni siano consolati e non siano premuti di cotanti mali, le richeççe temporali a rragione si possono amare. [15] L'amore (e) lo disiderio d'avere è molto buono, pur ke modo non trapassi; onde uno savio disse: «In tutte le cose è modo (e) certo fine, al quale stare infra o passare oltra non puote essere diritto». [16] Lo desiderio d'avere le cose temporali ti conviene distringnere acciò ke non sia fuori di modo, ke l'amore non moderato trae a sé ongne reo vitio: ke lo troppo amore d'avere riccheççe si puote kiamare avaritia; amore distemperato d'avere (e) non di ritenere si puote dicere cupideçça; et disiderare d'avere podestade sopra li uomini si puote dicere superbia. [17] Et per troppo desiderio d'avere si fa l'uomo ladro, ghiotto, luxurioso, cupido, avaro, superbio, biscaççiere (e) pieno di tutti li mali vitii. [18] Acciò dunque ke li rei vitii parte da te, lo troppo amore d'avere dei cacciare via et cum fuoco (e) cum ferro talliare e con ogne arte dal tuo cuore cessare. [19] Temperatamente (e) sança fretta sono da accattare le temporali riccheççe; perciò ke disse Salamone: «Chi s'afretta d'arrichire non serà non nocente». [20] Et altrove: «Riccheççe affrettate si distruggeranno». [21] Et altrove si dice: «Sustantia affrettata tosto discorre (e) va via; ma quella ke a poco a poco cum mano si raccollie si multiplicherà». [22] Certe le sustantie deli non giusti si seccheranno come fiumi perciò ke chi male rauna tosto disperge: ke giusto giudicio è ke quelle cose ke di male pervengnono a male si spandano, (e) non vada a bene quello ke non viene di bene.
L. III, cap. 31[1] .xxxj. D'acattare (e) conservare le riccheççe. [2] In accattare et in conservare le riccheççe fortemente vi studia, tre conpangni abbiendo dinançi alli occhi sempre, ciò è Dio (e) la buona conscientia (e) la buona nominança, o almeno due, ciò è Dio (e) la coscientia. [3] Che cum ciò sia cosa ke da Dio tutti li beni provengnano, a rragione Dominedio è da dinançi porre a tutte le cose. [4] Onde lo savio disse: «Mellio è poco cum timore di Dio ke non sono li tesauri donde l'uomo non si satia». [5] Le riccheççe secondo Dio et le comandamenta deli suoi santi dirittamente le puoi avere e possidere; sì come disse l'Apostolo: «Siate sì come guardie sempre gaudenti (e) ongne cosa possidenti sì come neuna cosa abienti». [6] Ke noi leggiamo molti santi avere avuto molte riccheççe, sì come fue beato Iob; et nel vangelio si legge di Iosep ab Arimatia, lo quale iera gentile omo, riccho et giusto, (e) discepolo di Dio, ma nascoso per paura deli giudei. [7] Accatta (e) possiedi le riccheççe, ma non apporre lo cuor tuo ad esse; onde disse lo profeta: «Non sperate nela niquitade, (e) le rapine non disiderate; se riccheççe v'abondano, non vi ponete lo cuore». [8] Dunque non dei apporre lo cuore (e) l'animo ale riccheççe (e) ale delectationi ke nascono d'ese, dale quali li peccati prendono cominciamento; che sì come disse Seneca nele Pistole: «Arrendere l'animo ale delectationi è cominciamento di tutti li mali». [9] Soçça cosa è la vita beata porre in oro (e) in argento; perciò ke sì come disse Innocentio: «Le riccheççe non fanno l'uomo riccho ma bisongnoso». [10] Abbie dunque le riccheççe sotto li piedi (e) non sopra capo; sì come disse lo profeta: «Ongne cosa sottoponesti ali piedi dell'uomo, pecore e buoi et altri armenti di campi». [11] Non avere le riccheççe sopra capo, ciò è non ti lasciare vincere ale riccheççe: li avari sono detti avere le riccheççe sopra capo et non sotto li piedi perciò ke si lasciano soperchiare ale riccheççe. [12] Et acciò k'io più veramente dica, l'avaro non si dice ke propiamente abbia riccheççe: elli non à riccheççe, ma le riccheççe ànno lui. [13] Le riccheççe lo tengnono sì legato k'elli non puote godere nè d'esse prendere frutto; onde Salamone disse: «Chi rauna riccheççe non prenderà frutto d'esse». [14] Et Cato disse: «Lo 'nfermo ricco àe danari, ma nonn à sé medesimo». [15] Così àe l'avaro le riccheççe come l'uomo si dice k'abbia la febbre, ke propiamente non àe l'uomo la febbre, ma la febbre àe lui (e) tienelo legato. [16] Accatta riccheççe (e) tielle sotto i piedi, ma giuste (e) buone; che disse lo profeta: «Melli'è un poco al giusto ke molte riccheççe al peccatore». [17] Le riccheççe temporali accatta cum tua (e) con altrui utilitade, e non con altrui danno; che sì come dice la Legge: «Per natura è diritto (e) giusto neun uomo essere fatto più ricco con altrui danno». [18] Et Tullio deli Offici disse: «Nè dolore nè paura nè morte nè alcuna cosa ke di fuori all'uomo possa intervenire così è contra natura come col'altrui danno crescere lo suo prode». [19] (Et) specialmente dela sottillieçça (e) povertade del mendico; che Cassiodoro disse: «Oltre tutto quello ke si puote credere è volere arrichire dela povertade del mendico». [20] Disse Cassiodoro ke «lo conmodo, ciò è l'uttilitade (e) lo prode ke ll'uomo vuole, s'elli passerà misura (e) igualliança non averà la força del suo nome, ke conmodo tanto è a dicere quanto cum modo». [21] Tutte le cose si convengono essere moderate sotto certa ragione, (e) non possono essere dette giuste quelle ke sono troppe. [22] Et sappie ke l prode (e) l'utilitade dee essere bella; che Seneca disse: «Lo soçço guadangno fuggi come danno». [23] Ke noi volemo quella pecunia ala quale statera di giustitia dae aiutorio [***]. [24] Et ancora disse: «Domandare l'oro per guerre è fellonia, et per mare è pericolo, (e) per falsitade è vitoperio; in sua natura è giustitia. [25] Onesti sono li guadangni per li quali neun uomo si lede, et bene s'accatta quello ke da neuno sengnore è tenuto. [26] Quelli giudichiamo essere veri guadangni ke noi prendemo interamente atandone ragione. [27] Dunque guadangna con onore, (e) con utilitade del conpangno; che disse un altro savio: «Buona è la conpangnia dela quale seguita utilitade». [28] Guardati dunque d'accattare cum rapina o con altrui danno, se vuoli ke la tua sustantia duri; che sì come disse Seneca nele Pistole: «A neun uomo a cui intervenne di fare rapina aventuratamente, bastoe lungamente l'allegreçça dela cosa rapita». [29] Et la Legge dice: «Li soççi guadangni dali eredi sono da cessare». [30] In tal guisa dunque accatta le riccheççe ke Dio in neuna guisa non ofende.
L. III, cap. 32[1] .xxxij. Dela buona coscientia in accattare le riccheççe e in tutte le cose. [2] Coscientia buona in accattare riccheççe (e) in tutte l'altre cose dei avere, sì ke neuna cosa accatti ke leda la tua coscientia od offenda la tua mente. [3] Che sì come disse l'Apostolo a quelli di Corinto: «La gloria nostra è lo testimonio dela nostra coscientia». [4] Et uno filosofo disse: «Più tosto crescie coscientia ke fama, ke dela fama puoi essere ingannato, ma dela coscientia non unque». [5] Et un altro disse: «Margine dela coscientia si reputa per fedita». [6] Et Seneca nele Pistole disse: «Buona coscientia chiama la gente, la rea fa l'uomo sollecito e angoscioso etiandio quando è solo. [7] Se oneste cose sono quelle ke fai, ongn'uomo le sappia; se soççe cose fai, nonn è força k'altri le sappia, da ke tu le sai: giudico te essere misero se ale tue opere lasci questo testimonio». [8] «Chi à potentia di molte cose, prima dee purgare la coscientia, acciò ke li peccati k'elli gastiga non li conmetta: schifi quello ke giudica; matta cosa è volere altrui comandare quello che a sé comandare non puote». [9] Disse Seneca: «Agevolemente serai buono se tu tti guarderai di quello ke tu vituperrai». [10] Et Cato disse: «Quelle cose ke tu suoli incolpare non le fare, che soçça cosa è al maestro quando la colpa riprende lui medesimo». [11] Et etiandio santo Bernardo disse: «Onestade dela mente trapassa ongne riccheçça raunata». [12] Et lo filius Sirac disse: «Buona è la sustantia a cui nonn è peccato nela coscientia, et niquitosa cosa è la povertade nela bocca dell'empio». [13] Onde sì come dissi di sopra: «Mellio è poco cum timore di Dio ke non sono tesauri onde l'uomo non si satia». [14] La conscientia ladita per cose male accattate o per altre soççe e pessime opere fa l'uomo temoroso; onde Seneca nela Forma del'onesta vita disse: «Neuna cosa fa l'uomo temoroso se non coscientia di riprensibile vita». [15] Et un altro savio disse: «Chi lo innocente condanna per sententia sempre è reo, ciò è debitore, cum ciò sia cosa ke sempre si punisca nela conscientia». [16] Onde disse uno savio: «Securissima cosa è neuna cosa temere se non Dominedio». [17] Onde l'Apostolo disse: «La perfetta caritade caccia fuori la paura». [18] (Et) certo grande pena àe la coscientia ledita; onde disse uno filosofo: «Grave è la pena quando per lo forfatto l'uomo si pente». [19] Et un altro disse: «Neuna è maggior pena dela malitia che dispiacere a sé (e) a' suoi». [20] Et un altro disse: «Neuna cosa è più misera ke avere vergongna di ciò k'abbie fatto». [21] «Le peccata nocciono all'uomo etiandio s'elle non sono trovate e palesate», ciò disse Seneca; [22] lo quale etiandio disse: «O coscientia, tacito et queto tormento dela fellonia et del peccato». [23] Et Cassiodoro disse: «Che pensa l'uomo d'accattare, ove la buona coscientia si perde?». [24] Et certo la mala coscientia sempre tormenta li uomini, la buona nonn è unque sança sperança di guiderdono; onde elli disse: «Non credete essere sança guiderdone quelle cose ke ssi pertengnono a buona coscientia».
L. III, cap. 33[1] .xxxiij. Dela buona nominança. [2] Buona nominança in amare li buoni et in tutte l'altre cose dei servare, se puoi, (e) sopraporre essa a tutte le riccheççe. [3] La fama (e) la nominança è stato di dengnitade non ledita, approvato per legge et per costumi (e) in neuna cosa menomato. [4] Non dei dunque menomare la fama per veruno guadangno o per altra cosa; che scritto è: «Guadangno cum mala fama è da chiamare danno». [5] Perciò disse Cassiodoro: «Chi desidera l'uttilitade dela fama àe in negligentia crescimento di pecunia». [6] Et Salamone disse: «Mellio è buono nome ke molte riccheççe». [7] Et Seneca disse: «La buona oppenione delli uomini è più sicura ke la pecunia». [8] Et anche: «La buona fama nele tenebre fa buono splendore». [9] [***] «A cui ongn'uomo dice bene, quelli possiede li beni del popolo». [10] Et Cassiodoro disse: «Gentile sengno è amare l'uttilitade dela fama». [11] Et anche: «Abondevolemente si cognosce chiunque èe lodato et testimoniato da fama». [12] Et Salamone disse: «Mellio è buono nome ke unguento pretioso». [13] Et l'Apostolo a Filipenses disse: «La vostra tenperança sia conta a tutti li uomini». [14] Et poscia v'agiunse: «Pensate tutte quelle cose ke sono di buona nominança». [15] Et etiandio disse del vescovo nela pistola a Timotheo: «Et sì è mistiere k'ello abbia buono testimonio da coloro ke fuori sono». [16] Et (Iesu) filius Syrac disse: «La luce delli occhi fa lieta l'anima, e la buona nominança ingrassa l'ossa». [17] Et altrove: «Abbie cura del buono nome, ke questo basterà più ke mille tesauri grandi (e) pretiosi». [18] Et Salamone disse: «Sopra argento et sopra oro la gratia buona». [19] Et se vuoli servare la buona fama, fuggi le delectationi corporali; onde Cato disse: «Se tu vuoli servare la tua fama honesta infino ke tu vivi, fa ke tu fugghe le ree delectationi dela vita». [20] Et un altro filosofo disse: «Fuggire la cupiditate è vincere rengno». [21] Et tanto è da llodare la buona fama che da uno filosofo si dice: «Tace ongne virtude se per fama non si dilata». [22] Et etiandio un altro filosofo disse: «Al bontadoso la buona fama è grande hereditade». [23] Et sappie ke sempre dee nuova lode (e) fama nascere, acciò ke la vecchia basti; onde uno savio disse: «Se nuova lode non nasce, la vecchia si perde». [24] Et se vuoli avere lode (e) buona fama, fuggi d'essere lascivo, ciò è isfrenato; che disse uno savio: «Lascivia et lode neuna concordia congiungne». [25] (Et) intendi fama buona (e) spessa, la quale fa gloria; ke la gloria sì è fama spessa d'alcuna cosa cum lode, dela quale si suole dicere: «Vita sança gloria è conpangnia di morte». [26] La quale gloria accattano quelli ke tali cose si sforçano di fare kent'elli volliono parere. [27] «Ma s'alcuna persona per infingnimento (e) per vana dimostrança non solamente in parole fitte (e) coperte ma in volto infinto credono sé potere accattare gloria stabile, molto errano. Perciò ke la veracie gloria mette radice (e) propagini», sì come disse Tullio. [28] Et così per contrario la falsa fama (e) la falsa novella tosto viene meno; onde disse uno savio: «La falsa novella tosto s'abatte, et la vita di poscia giudica di quella di prima». [29] Li 'nvidiosi portano invidia ali buoni, et di loro tali cose sospecciano kenti elli fare solliono; perciò ke sì come disse Cassiodoro: «La mente dell'uomo agevolemente suspica (e) crede di ciascuno quelle cose ke sostenne». [30] Et perciò per la invidia sopra li buoni talvolta falsa fama allievano. [31] Onde uno savio disse: «Non puote essere ke sança morso deli 'nvidiosi l'uomo passi lo corso di questa vita». [32] Ke sollaçço deli rei è riprendere li buoni, pensando ke per moltitudine di quelli ke pecchino si menomi lo peccato deli peccatori. [33] Onde uno quando fue domandato come l'uomo potesse fare ke non avesse invidiosi, rispuose: «Se nulla dele grandi cose averai o se neuna cosa benaventuratamente farai»; perciò ke sola la miseria abbrama d'invidia. [34] Et intendi la gloria o fama vera, non vana ke intorno a vanitade trapassa modo; dela quale si suole dicere: «La fama vola (e) trapassa modo dovunque è portata, ke tosto prieme (e) allieva su li uomini». [35] Onde disse uno filosofo: «Cui la fama una volta perde, appena unque lo ristituisce». [36] Et santo Agustino disse: «Chi àe in neghiença la fama è crudele». [37] Et Cato disse: «Fuggi luxuria et avaritia, perciò ke sono contrarie alla fama». [38] Et un altro autore disse: «Cui una volta annera la mala fama, a bene forbirlo molta acqua s'afatica». [39] Che se la fama basta, malagevolemente poi si abatte; che uno filosofo disse: «Lo peccato è simile ala saetta, ke agevolemente si ficca (e) malagevolemente si ne trae». [40] Et se la fama non puoi servare ke tu non offende Dio o la tua coscientia ne lede, al postutto abbandonare la dei, et Dio et la coscientia sopraporre ala fama.
L. III, cap. 34[1] .xxxiiij. D'acattare riccheççe ke piacciano a Dio. [2] Dunque buone riccheççe (e) ke piacciano a Dio acatta operando cum mano et fuggiendo riposo, abbracciando la ragione in tutte le cose. [3] Cum mano adoperare dei; che disse l'Apostolo nela pistola ad Efesios: «Chi inbolava, già non inboli; maggiormente adoperi cole mani sue quello ke buono sia, acciò k'abbia onde dea a coloro ke patiscono necessitade». [4] Et nela pistola prima a Timotheo disse: «L'adoperamento corporale (è) molto utile». [5] Et nela pistola a Tesalonicenses disse: «Questo denuntiamo a voi, ke se alcuno di voi non vuole adoperare non manuchi. [6] Ke noi avemo udito ke aliquanti intra voi vanno in riposo neuna cosa adoperando. [7] Et noi questi denuntiamo (e) preghiamo nelo sengnore nostro (Iesu) (Cristo) ke cum silentio adoperando manukino lo loro pane». [8] Et certo in ongne opera buona è da observare la regola ke dice: quello ke bene puoi fare non lo 'ndugiare, ke la provisione di Dio aiuta li uomini ke sança indugio (e) sança pigreçça lavorano. [9] Et perciò si dice nel proverbio: «Dio dà ongne bene, ma non per le corna lo toro». [10] Onde etiandio Panfilio disse: «Dominedio (e) la fatica ne dà (e) ne provede in ongne cosa; et sança Dio neuna fatica fa prode nel mondo». [11] Et lo profeta disse: «Le fatiche dele tue mani perciò ke manekerai, beato sè, (e) bene averai». [12] Lavorare dunque dei cum grande rangola (e) cum diligente opera, fuggiendo pigreçça, cacciando via lo sonno, (e) lo riposo, acciò ke li tuoi lavorii (e) li tuoi fatti conduche a conpimento; che sì come disse Seneca nele Pistole: «Neuna cosa è ke non vinca l'opera continua (e) pertinace, (e) intenta (e) diligente rangola». [13] Buone riccheççe per coltivare li canpi puoi accattare; che sì come disse Tulio: «Di tutte le cose onde alcuna cosa s'acatta, neuna cosa è mellio ke coltura di campi». [14] Et puoi accattare buone riccheççe per buone (e) licite mercatantie, trasportandole da' luoghi ne' quali abbondano a' luoghi neli quali vengnono meno, et specialmente a grandi cittadi; che disse uno filosofo: «Porta le tue biade ale grandi cittadi, avengna ke tu le vi pensi vendere più vili». [15] Che mellio è neli grandi luoghi (e) ricchi usare e mercatare ke neli piccoli (e) poveri; onde uno filosofo disse: «Non dimorare in cittade di re la cui spesa sia maggiore ke la rendita». [16] Et puoi accattare buone riccheççe per possedere pecore (e) bestie, e spetialmente giovani (e) crescenti (e) in luoghi di pace. [17] In cose ke decrescano e menomino nonn è così grande guadangno; onde uno filosofo disse: «Non ti acconpangnare a cosa ke vengna meno, (e) non ti indugiare ad aconpangnare a cosa crescente».
L. III, cap. 35[1] .xxxv. De' riposi (e) del sonno (e) dela luxuria. [2] Li riposi al postutto dei fuggire, «perciò ke molta malitia insengna lo riposo»: ciò disse lo savio. [3] Lo quale etiandio disse: «Chi adopera la terra sua si satollerà di pane, et ki seguita riposo serà ripieno di povertade». [4] Per li riposi si fanno li uomini pieni di povertade, sì come ò detto, (e) fannosi pigri (e) luxuriosi, (e) poco meno si disciolgono a tutti li rei viçi fare (e) dire. [5] Ke quelli ke sono fatti pigri per molto riposo non truovano tempo convenevole a lavorare, che per freddo si fanno pigri (e) lenti, et per caldo sono deboli (e) dissoluti e liquati. [6] Perciò si suole dicere: «Per freddo inpigriamo, per caldo indeboliamo; et così ali pigri ongne tempo nuoce». [7] Li molti riposi fanno sì pigri li uomini ke poco meno tutte le loro cose ànno in neghiença (e) lasciale non coltivate. [8] Onde lo filius Syrac disse: «Trapassai per lo campo dell'uomo pigro (e) per la vingna dell'uomo matto, (e) trovai ke l'ortiche l'aveano tutto coperto, (e) la sua faccia era coperta di spine, (e) la materia dele pietre, ciò è la casa, era distrutta. [9] La qual cosa quando io l'ebbi veduta, appuosi nell'animo, e per exemplo appresi questa doctrina. [10] Poco - disse - dormirai, e via più meno spesso dormirai, un poco riposasti le mani tue: (e) venne quasi anticorriere la tua povertade, (e) la tua mendicitade sì come omo armato». [11] Et altrove etiandio disse: «Infino a quando dormi tu, pigro? (Et) quando ti leverai del tuo sonno?». [12] Et perciò consillioe Cato (e) disse: «Più veghia sempre ke tu non dormie, et non esser dato al sonno, ke lo lungo riposo notrica li viçi». [13] Et Seneca disse: «Matta cosa è delectarsi nel sonno (e) domandare la morte, cum ciò sia cosa ke lo sonno sia cotidiana ymagine di morte». [14] Et ancora quello medesimo disse: «Nullo die trapasso in otio; ma parto la nocte per istudio di nocte; et partomi dal sonno, ma perdo; (e) li occhi affaticati per vegghiare (e) caggienti, nell'opera gastigati li distengo». [15] Et Salamone disse: «Non amare lo sonno, acciò ke la povertade non ti priema; apri li occhi tuoi, (e) satollati di pane». [16] Et cacciato via lo sonno, «affatica lo corpo (e) sì lo tormenta ke possa obedire a consillio (e) a rragione in fare li fatti (e) in sofferire la fatica», sì come disse Tulio. [17] Più duramente (e) aspramente è da tractare lo corpo, acciò ke non obedisca malamente ad l'animo. [18] Sì come disse Seneca, «Dispregiamento del suo corpo medesimo è certa libertade»; (et) «grande parte di libertade è lo ventre bene stante»; perciò ke «neun uomo è libero lo quale serve al corpo». [19] Ciò disse elli medesimo: «L'onestà li è vile a cui lo corpo è troppo caro»; «questo corpo è pondo (e) pena dell'anima».
L. III, cap. 36[1] .xxxvj. Dela luxuria (e) del luxurioso. [2] Del luxurioso fatto per riposo Ovidio ne disse: «Se tu tolli via lo riposo, tosto periscono le saette del'amore, (e) le sue facelle sono sança luce». [3] Et non solamente fuggiendo lo riposo puoi fuggire luxuria, ma etiandio fuggendo l'atto dela luxuria; onde si suole dicere: «Come fuggiendo vincono li Turchi, così partendoti da luxuria (e) fuggiendola vinci la dea del'amore, ke va cercando luxuria». [4] Ke luxuria è apetito di carnale delectatione; dela quale etiandio Cato disse: «Cum ciò sia cosa ke tti distenga lo dannoso disiderio di luxuria, non perdonare ala gola, k'èe amica del ventre». [5] Et altrimenti ancora si dice d'essa k'ella è una cosa acconcia a desiderarla, la quale fuggendo la cacciamo, e seguitando la perseguitiamo (e) siamo vinti da lei. [6] Et sappie ke «la luxuria non solamente pecca, ma piuvica», sì come Seneca disse nele Pistole. [7] Lo quale etiandio disse: «Neuna cosa la tua luxuria t'à riservato non toccata neli anni ke verranno». [8] Et Ovidio disse: «L'amore entra nele menti, (e) l'uso si dimentica per uso». [9] Et dela luxuria dì quello k'io notai (e) scrissi di sopra nel titulo del fuggire l'amistade deli rei uomini. [10] Per li riposi lo vitio d'essere sança arte consuma lo corpo; onde Cato disse: «Fuggi la pigreçça, k'èe contraria ala vita; ke quando l'animo sta languido, la pigreçça k'èe sança arte consuma lo corpo». [11] Et uno filosofo disse ad uno pigro otioso (e) sança arte: «Cruccerestiti tu s'altri disiderasse di te ke tu avessi le tue mani (e) li tuoi piedi non utili ad aoperare? Dunque ora, cum ciò sia cosa ke li abbie sani e interi, perké non li vuoli usare all'opera?». [12] Perciò dunque sempre è da fuggire l'otio (e) lo riposo, se tu non kiamassi riposo quando l'uomo legge, ke in altra guisa l'otio è assomilliato ala morte. [13] Ciò disse Seneca nele Pistole: «L'otio sança lectere è morte (et) è sepultura dell'uomo vivo». [14] Così dunque fuggi l'otio ke non ti facce pigro, che Salamone disse: «Li pensieri dell'uomo affaccendato (e) bontadoso sempre sono in abondança, ma ongne pigro sempre è in povertade». [15] Et altrove: «Lo pigro per lo freddo non volle arare; anderà dunque mendicando di state, (e) no· li ne sarà dato». [16] Et altrove: «Vuole (e) non vuole lo pigro, ma l'anima di coloro ke operano serà ingrassata». [17] Et altrove dice: «Pigra leonessa in via, leone in viaggi. [18] Sì come l'uscio si volgie nel suo cardinale, così lo pigro si volge nel suo letto. [19] Nasconde lo pigro le mani sue sotto le sue tetelle, e pareli fatica di porrelesi a bocca. [20] Et lo pigro pare a sé k'elli sia più savio di septe savi uomini ke favellino sententie». [21] Et altrove: «La pigreçça mette sonno, e l'anima inpigrita sentirae fame». [22] Et avengna ke l pigro abbia menata lunga vita con essere sança arte, non si dice k'elli sia vivuto; onde Seneca nele Pistole disse: «Che lli giovano ottanta anni sanç'arte passati? K'elli non visse ma stette nela vita, (e) nonn è morto tardi ma lungo tempo nonn à fatto altro ke morire, se tu non dicessi k'elli fosse vivuto come vivono li albori». [23] Et altrove quello medesimo disse: «Li arditi aiuta la ventura, lo pigro contrasta a sé medesimo». [24] Et avengna k'io abbia detto ke l'otio e li riposi sono al postutto da fuggire, non perciò dei sempre stare in lavorio; che disse Seneca dela Forma del'onesta vita: «Non essere sempre in atto, ciò è in lavorio, ma talvolta all'animo tuo dà riposo; ma lo riposo sia pieno di studio, di sapientia (e) di buoni pensieri. [25] Ke lo saviomo non inmarcisce unque in otio, ma talora è l'animo suo più tepido, ma non l'à unque dissoluto (e) freddo. [26] Affretta le cose tarde, le perplesse sbriga, le dure inmolla, l'alte raguallia, perciò k'elli sae quale cosa per quale via debbia prendere a fare, (e) tosto (e) distintamente tutte le cose vede (e) pesa». [27] Et nel'Ovidio dele Pistole si dice: «Quella cosa ke brama di requia non puote durare, ke la requia raparecchia força (e) rinnuova le menbra affaticate». [28] Et nel Cato si dice: «Mescola letitia per istagione ale tue cure, acciò ke posse durare la fatica». [29] Et Seneca nele Pistole disse: «Li onesti sollaççi vegnono in remedio, (e) ciò ke l'animo diriçça (e) rilieva, (e) al corpo fa prode». [30] Et perciò quello medesimo disse: «L'uno (e) l'altro è da riprendere, ki sempre sta in riposo et ki non vi sta neente». [31] Tante rickeççe buone (e) giuste honestamente accatta, ke largamente vivendo d'esse sie detto (e) creduto riccho; che disse Tulio: «Quelli è riccho ke à tanta possessione quanta a vivere largamente li basta». [32] Et perciò dissi honestamente k'elli non sarebbe utile accattare non honeste riccheççe; che disse Tulio: «Ciò k'èe honesto è utile, (e) neuna cosa è utile s'ella nonn è honesta»; (e): «Nulla cosa k'èe crudele è utile».
L. III, cap. 37[1] .xxxvij. D'usare le riccheççe (e) dispreççarle. [2] Poscia ke tu ài acattate le riccheççe, saviamente l'usa, fuggendo avaritia et facciendone bene a te (e) altrui. [3] Onde Cato disse: «Usa dele riccheççe acattate, et fuggi lo nome del'avaro; che, ke ti fanno prode le riccheççe, se in abbondança stai povero?»; [4] «Usa dele cose accattate, ma non malamente; ke quelli ke consumano le loro cose, l'altrui vanno kiedendo quando le loro vengnono meno»; et [5] «Quando le spese t'abondano, usa temperatamente dele cose acattate, perciò ke in piccolo tempo corre quello ke in lungo tempo è guadangnato». [6] Et Seneca disse: «Quelle cose k'ài, non l'avere appo te sì come stranie (e) d'altrui, ma per te sì come tue le dispensa et l'usa. [7] (Et) se in queste cose serai bene savio, in tutte l'altre cose serai similliante. [8] Et sì come domanda la veritade del tempo (e) dele cose, così t'apresta al tempo, (e) non ti mutare in alcuna cosa, ma aconciati, sì come la mano, k'è una medesima quando in palma si stende (e) in pugno si ristringne». [9] Et certo, sì come lo nome del'avaro è da fuggire, così è da ffuggire lo nome del guastatore. [10] Onde disse Tullio: «Da risparmiare è, ma temperatamente, perciò ke molti ànno versato lo loro patrimonio non consilliatamente distribuendo. [11] K'èe più matta cosa ke fare volentieri quello ke llungamente fare non possa? [12] Che a troppa largheçça seguitano rapine: perké quando per troppo dare cominciano ad abisongnare, sono costretti per povertade di mettere le mani nel'altrui cose. [13] Per la qual cosa non accattano tanta benivolliença da coloro a cui elli danno quanto elli acattano odio da coloro da cui tolgono. [14] Onde nonn è sì da chiudere la cosa familliare ke beningnitade et largheçça non la possa aprire, nè sì da aprire che a ongn'uomo sia manofesta, ma siavi posto modo secondo la facultade, ke venuto è in usança di proverbio ke la largheçça non àe campo». [15] Questo è per lo troppo dare, ma s'elli è mistiere od utile di dare, la regola optima è da tenere dala via di meçço. [16] Ma «li avari non sanno lo modo d'usare dela pecunia», sì come disse Seneca nele Pistole. [17] «Lo modo dele riccheççe è in due guise: lo primo sì è avere ciò k'èe mistiere, lo secondo sì è avere tanto ke basti»; ciò disse quelli medesimo. [18] Et certo li avari richiudono sì le loro pecunie, negandole a sé (e) altrui, ke si puote dire k'elle siano sotterrate più tosto ke dicere k'elle siano da lor possedute. [19] Et perciò uno savio li riprende dicendo: «Perké, omo, ke cenere sè, per avaritia sotterre l'avere? Perké t'agiungni al'avere, ke non sarai reda del'avere?». [20] Dunque non dei sopellire la pecunia, ma de'la usare non a soperchiamento (e) a deletto, ma ad utilitade, acciò ke non ti conducano a deboleçça di corpo; che sì come Seneca disse: «Li delecti ne condussero a deboleçça». [21] Volere dei quello ke basta, et così averai quello ke vuoli; perciò ke quelli medesimo disse: «Àe quello ke vuole quelli ke puote volere quello ke basta; qualunque cosa passa lo buono uso (è) peso di soperchio (e) grave a colui ke lo porta». [22] Ma se tu non poterai acattare tante possessioni k'elle ti bastino a vivere largamente, studia di vivere secondo natura; ke se tu viverai a natura non serai unque povero, et se vorrai vivere ad oppinione non serai unque riccho. [23] Che disse uno filosofo: «Se tu vuoli in questo mondo tant'avere quanto basti ala natura, non ti si converrae raunare molte cose; (et) se tu vuoli satisfare all'animo cupido, avengna ke tu rauni tutte le riccheççe ke sono nel mondo, tuttavia sempre la sete d'avere arderà». [24] Ke lo vitio non è nele cose ma nell'anima, ke l'animo solo suole l'uomo chiamare ricco, non l'arca, avengna ke sia piena: infino k'io ti vedrò vano, non ti crederò ricco. [25] Se tu ti vuoli fare ricco, non fare crescere la pecunia, ma fa menovare la cupiditade; onde Martiale Cuoco disse ad uno suo amico ke avea nome Rupillo: «Io odo ke tu, Rupillo, ti lamente dela povertade, non perké tu abbie nulla, ma perké tu abbie poco; ma dice lo savio ke neun uomo è povero perk'elli posseggia poche cose, ma perké molte ne vollia. [26] Se tu studierai di dare consentimento alla povertade, se per natura vuoli vivere, ricco serai. [27] Io pongo mente ke la natura ti creò ingnudo et ke tu intrando nel mondo neuna cosa vi recasti». [28] Et Cato disse: «L'utilitadi dela natura in veruno tempo ti verranno meno, se tu serai contento a quello ke l'uso tuo richiede». [29] Et altrove disse Seneca: «Nè in cose nè in pecunie tu non ài quanto avesti dinançi: fa ke tu vive contento di quello ke richiede lo tempo». [30] Cum lieto animo sostieni la povertade, che sì come disse Seneca nele Pistole: «Honesta cosa è la lieta povertade. [31] (Et) certo nonn è povertade s'ella è lieta; non ki poco àe, ma ki più desidera povero è». [32] Nela povertade sì èe da dispensare la cosa familliare ke la povertade non ti sia come uno incarico nè tu ad altrui. [33] «Ma poki sono quelli ke sé e le sue cose sappiano cum consilio dirittamente ordinare», sì com'elli disse. [34] Dunque non tanto le riccheççe quanto l'amore dele riccheççe n'è in colpa. [35] Dunque l'animo (e) lo cuore tuo in tal guisa constringni verso l'amore dele riccheççe ke tu sie contento di te medesimo; perciò ke quelli k'èe assai a sé medesimo è nato nele riccheççe. [35] Onde Seneca disse: «Ki 'm povertade ben si conviene, ricco è». Et altrove dice «colui esser ricco ke ala sua povertade è aconcio e di poco si fece ricco». [38] Et altrove: «Sapere usare la povertade è beatitudine». [39] Così dunque l'animo tuo costringni (e) rinfrena ke del tuo stato e deli beni ke Dio t'à dati ti stee contento; che in altra guisa, se l tuo stato ti dispiacerà, sempre desiderando maggior cose, serai sempre in malo stato, ke lo stato dell'uomo secondo l'animo si giudica. [40] Onde Seneca nele Pistole disse: «Che força o ke differentia elli è kente lo stato tuo sia, s'elli ti pare rio?». [41] Che misero è quello ke misero si pensa, et «nonn è beato ki non si pensa beato». [42] Ciò disse Socrate: «Dunque se la tua cosa non ti basta, tu risparmiando fai ke ala tua cosa basti»; lo risparmio è rimedio dela necessitade e medicina deli danni. [43] Chi temperatamente dispende lo suo, più lungamente durano le sue processioni. [44] Ciò disse uno savio: «La patientia dell'animo àe nascose riccheççe»; ke grandi riccheççe sono non disiderare riccheççe. [45] Onde etiamdio Cato disse: «Acciò ke non ti vengna meno, usa di quello k'ài temperatamente; et acciò ke tu conservi quello ke tu ài, pensa sempre ke tti vengna meno». [46] [***] «Fuggi lo troppo (e) rallegrati del poco: la navicella ke va per uno piccolo fiume va più sicura». [47] Et altrove: «Dispregia le riccheççe, se vuoli essere avuto beato per animo; le quali riccheççe quelli ke le prendoro sempre mendicaro per avaritia». [48] Et altrove: «Lo incarico dela povertade humilemente ti ricordi sofferire». [49] Et altrove: «Ama lo danaio, ma temperatamente ama la forma, la quale neun uomo santo nè onesto de desiderare d'avere». [50] Che disse Seneca nele Pistole: «Cum maggiore tormento si possiede la pecunia k'ella non s'acatta». [51] Perciò non dei disiderare le riccheççe, ma dispregiarle, sì k'elle non ti deano cagione di mal fare; che Seneca disse: «Le riccheççe sono cagione di malitia, non k'elle vi facciano altro se non ke conmuovono coloro ke ll'ànno». [52] Dunque se ttu vuoli avere riccheççe, dispregiale; che sì come disse Seneca: «Brevissima via è ire ale riccheççe per dispregiamento d'esse, ke l'uomo puote ongne cosa dispregiare, ma ongne cosa avere non puote». [53] Lo desiderio dunque dele riccheççe al postutto si vieta per li savi; onde Tulio disse: «Nonn è ragionevole ke quelli ke non si rompe per paura sia rotto da cupiditade, o ke quelli ke non si lascia vincere ala fatica si lasci vincere ala volontade. [54] Perciò sono da vedere queste cose (e) da fuggire la cupiditade dela pecunia, ke neuna cosa (è) di così stretto animo come amare riccheççe (e) neuna cosa è più honesta (e) più mangnifica ke dispregiare la pecunia (e) dare l'animo suo a largheçça». [55] Et quelli è da giudicare grande ke l cuore suo costringne ke nele riccheççe non per avaritia povero sia. [56] Et etiandio secondo Seneca nele Pistole: «Di grande animo è le grandi cose dispregiare (e) volere ançi meççolane cose ke troppe, perciò ke lo soperchio nuoce; sì come la troppa abbondantia abbatte la biada, così li rami delli arbori si rompono per troppo carico del frutto, e così non perviene a maturitade la troppa generatione del frutto». [57] Perciò la mediocritade nele riccheççe (e) nela povertade è più da desiderare ke l soperchio; onde Salamone disse neli Proverbi: «Nè mendicitade nè riccheççe non mi dare, Domine!». [58] Dunque se tu ài povertade, humilemente la sostieni, se tu ài riccheççe, sottopolle ali tuoi piedi; onde uno savio disse: «Le cose a me, non me ale cose sottoporre mi sforço». [59] Dunque l'animo (e) lo cuore tuo vinci sì ke se talvolta abbisongni di pecunia, non abbisongni veruna volta di te la tua pecunia; che disse Tulio nelo libro deli Offici: «Maggiormente vollio io huomo c'abisongni di pecunia ke pecunia c'abbisongni d'uomo». [60] Che sì come disse uno filosofo: «La pecunia, se tu la sai usare è ancella, se non, è donna». [61] Onde disse Oratio: «La pecunia raunata, od ella comanda, od ella serve»; dunque è mistiere di comandare ala pecunia, non servire. [62] Certo la pecunia (e) tutte le cose, quanto in sé è, buone sono, perciò ke sono fatte per cagione delli uomini, onde disse l'Apostolo nela pistola a Timotheo: «Ongne criatura di Dio è buona»; ma inverso coloro ke le possegono talvolta sono dette rie, ke se da buon uomo si posseggono, buone sono, si da rio, rie. [63] Ke l vino, bevutone poco è buono, ma all'ebbro (e) ki di soperkio ne bee è rio; onde Cato disse: «Quello ke per bere pecche non ti perdonare, k'elli nonn è colpa del vino ma di colui ke l bee». [64] Et perciò dei observare lo detto di Cassiodoro, lo quale disse: «Più agevole è ke tt'acusi la sete ke l'ebbreçça ti ricusi». [65] Ebro tanto è a dire quanto fuor di bria, ciò è fuori di misura, (et) è avuto per absente; et perciò Seneca disse: «L'absente lede chi col'ebro litiga». [66] Dunque lo vino non è rio, ma ll'ebbreçça; e la pecunia non è ria, ma lo tropo amore e disiderio dela pecunia. [67] Et certo sì come sole la cera liqua (e) ala terra indura, così la pecunia l'avaro tormenta, lo largo innora, lo traditore conmuove ad uccidere li parenti (e) ad tradire lo paese (e) a fare tutti li mali. [68] Onde uno filosofo disse: «La pecunia al'avaro è tormento, alo largo è onore e al traditore è occisione di parenti». [69] Et così l'Apostolo a Timotheo disse: «La parola dela croce a quelli ke periscono è matteçça, ma a coloro ke sono fatti salvi, ciò è a noi, è virtude di Dio». [70] Et così etiandio lo bello parlare nel saviomo è molto buono, (e) nel non savio è pessimo; onde lo savio disse: «Lo bello parlare sança senno è coltello in mano del furioso et del matto». [71] Et la vertude nel saviomo è buona, nel non savio è pessima; onde lo savio disse «La vertude sança la sapientia è da credere pericolosa matteçça». [72] Perciò disse Martiale Cuoco: «Tu Crisippo, t'affatiche troppo di studio di virtude, ma sappie ke virtude sança modo à nome di vitio». [73] (Et) così tutti li dì sono buoni, sì come nel Genesì si legge quando Dominedio divise la luce dala tenebra (e) lo die dala nocte; ma detti sono rei per la malitia (e) la miseria delli uomini: ciò dicono li sponitori. [74] Perciò disse Dio nel vangelio: «Basti al die la sua malitia». [75] Et l'Apostolo disse: «Riconperiamo lo tempo, perciò ke li dì sono rei». [76] Dunque ti fa buono, (e) ongne cosa ti serà buona; che disse uno savio: «Neuna cosa è buona all'uomo sança sé buono». [77] Dunque se tu serai buono, licitamente di tutte le creature poterai usare, ma non in mala guisa usare, ke l malo uso o soperchio o troppo uso è riprovato non solamente nele ree cose ma nele buone. [78] Ciò disse Seneca, ke l «troppo uso dele buone cose è rio», perciò ke lo troppo uso dele cose conduce a luxuria, ke al postutto è intradetta: la libidine è una rea volontade d'usare dela creatura. [79] L'uso dele cose è conceduto alli uomini, ma lo reo uso è contradetto, sì come disse santo Agostino nel sermone suo ke si legge nela sexta feria dipo la Pentecoste, ke così si comincia: «Non solamente nel nuovo, etc.». [80] Dunque poterai usare dela pecunia, ma se tu l'ài, non sia vile, ma abbiela a vile; che disse uno filosofo: «Se tu averai pecunia, elli è mistiere o te medesimo o la pecunia abbie a vile». [81] Comanda a te, ke scritto èe ke «comandare a sé medesimo è grandissimo imperio». [82] (Et) in tale guisa possiedi l'anima tua (e) lo cuore tuo ke avengna ke sia malagevole vincere sé, comandando a te sì vinche te ke tu sie contento di te (e) ke vive secondo natura; [83] (e) facceti riccho prestando ala povertade ascensione, e naturalmente vivendo, (e) la pecunia dispregiando, (e) li soççi guadangni, ke non solamente sono da dispregiare ma secondo la Legge da tore ali eredi; [84] restituendo quello ke iniquamente ài accattato; ma cum discretione, ke molte cose sono iniquamente acattate (e) non iniquamente ritenute, sì come lo guadangno dela puttana, ma aliquante cose sono iniquamente ritenute (e) non iniquamente accattate, [***] ciò è usura (e) rapina, (e) perciò non sono da tenere ma da ristituire, sì come gridano le ragioni. [85] Et così ciascuno certo observando le predette cose si puote fare ricco.
L. III, cap. 38[1] .xxxviij. Come sia da schifare la guerra. [2] Se forse in guerra non fosse posto; ke allora, quantunque sia ricco, è mistiere, se in guerra lungamente persevera, o perdere le riccheççe o perdere la guerra, o forse l'uno et l'altro. [3] Et perciò disse uno filosofo: «Neun uomo k'èe in guerra puote essere assai ricco». [4] Ke si elli è povero, la guerra in neuno modo puote sostenere, ma se molto abbonda in riccheççe, molto più abonderà in ispesa; ke neune riccheççe sono, ciò mi pare, ke ale spensarie dela guerra siano sufficienti (e) bastanti. [5] Ke sì come tutti coloro ke peccano, quanto maggiori sono tanto lo loro peccato è più famoso, secondo Martiale ke disse: «Ongn'uomo tanto più famosamente à in sé lo peccato quanto ella è avuto maggiore», così l'uomo k'èe nella guerra, quanto maggiore è tanto maggiori spese fare li conviene. [6] (Et) si elli forse perderae la guerra, elli sottosterae a maggior caduta; onde si dice: «Ali grandi sì nuoce più la caduta, k'elli fanno maggiore stoscio». [7] Et Lucano dice ke «le sovrane cose è negato di stare lungamente in istato». [8] Et Martial disse: «Quanta più alta è la salita, più grave è la ruina». [9] Et non solamente le riccheççe si perdono per guerra, ma etiandio lo paradiso (e) l'amor di Dio et la vita presente et li amici et li conti tuoi, in tale guisa ke in luogo di queste cose sopravengnono tutti li mali et alo 'nferno l'anima dell'uomo per diritta via si sforça d'andare. [10] Per l'amore dunque di Dio, (e) di cotanti mali abbiendo paura, la guerra dei fuggire quanto puoi, a te riservando le tue cose (e) altrui lasciando le sue. [11] Perciò ke Seneca disse: «Principio di discordia è quello k'èe comune fare suo». [12] Et ancora: «Quanta vita averebbero li uomini in terra, se queste due parole dinançi a tutte l'altre cose coltivassero, ciò è 'mio' (e) 'tuo'». [13] La qual cosa tu puoi fare se li comandamenti di Dio in tal guisa observerai ke tu non facce altrui quello ke tu non vuoli ke sia fatto a te, et ongne cosa facce altrui ke vuoli ke ssia fatto a te. [14] Et perciò disse Dominedio nel vangelio: «Tutte quelle cose ke voi volete ke lli uomini facciano a voi, e voi fate a lloro lo somilliante». [15] (Et) questa è legge naturale, la quale ki no· l'oserva, (et) elli si pone in cuore di fare contra tutte; che Cassiodoro disse: «Ki sança legge vuole fare, elli si pone in cuore di rovinare li rengni di tutti li re». [16] Et se forse per alcuna cagione ad alcuno fuor vollia offenderai, abbie scusatione; secondo Tulio ke disse: «Usa di scusatione kentunque puoi a coloro ke fuor vollia averai offeso, dicendo ke quello k'ài fatto non puote essere altro, (e) ricompensa in altro servigio quello ke inverso lui mancasti». [17] Et se vuoli fuggire la guerra, isforçati a tutti li uomini di piacere, la qual cosa potrai fare secondo Socrate ke disse: «A tutti potrai piacere se tu farai cose optime (e) se tu favellerai poco». [18] Et non abbie tanta volontade di piacere a tutti ke tu acatti la gratia del populo per male arti; che disse Seneca ke «ben talvolta s'acatta la gratia del populo per ree arti». [18] Onde uno savio disse: «Io non volli unque piacere al populaçço, k'io non so quello ke sa elli, et quello k'io so, lo populo non lo sa». [20] Et sappie ke «se tu ti sforçerai a molti di piacere, la tua vita non piacerà a te»: ciò disse uno savio. [21] Fuggi la guerra, k'ella è pericolo: perirai in essa. [22] Et se vuoli schifare la guerra, fuggi liti (e) contentioni sì come lo mellio ke puoi; ke contendere cum più potente di te è pericolosa cosa, cum pare di te è dubiosa, cum minore di te è vergongna. [23] Et fuggi tutti li uomini ke amano battallia (e) tutti li altri k'io ti dissi di sopra nel titulo «Da schifare l'amistade deli rei uomini», sì come ti dissi per la pistola seconda del'Apostolo a Timotheo. [24] Et se tu vuoli schifare li rei uomini, prima costringni (e) gastiga te medesimo e la tua lingua, (e) li soççi tuoi pensieri (e) soççi detti (e) fatti [***] et fuggi. [25] Secondo Martiale ke disse ad uno suo amico ke avea nome Probo: «Elli si dice ke tu non ài menata buona vita, et dice ke la terra va caendo uomo sança peccato: ma sança peccato null'uomo poterai trovare, se tu non vuoli trovare lo peccato sanç'uomo. [26] Anderai per li nascosi sentieri (e) per luoghi sança via di questo mondo: sempre la tua colpa è tua conpangnia. [27] Acciò ke tu posse fuggire li altri, fuggi prima te medesimo, et sie giudice d'altrui, ma prima sie giudice di te. [28] Stando intra li uomini fuggi li loro soççi fatti, (et) abitando teco fuggi li tuoi rei fatti». [29] Et «a tuo gastigamento abbie o molto amico o molto nemico»: ciò disse uno savio. [30] Et «li occhi (e) li orecchi del popolo abbie per rei testimoni»: ciò disse uno savio. [31] Lo cominciamento dela discordia unque da te non vengna; che disse uno filosofo: «La discordia sempre vengna da altrui (e) da te vengna la reconciliatione et la pace»: ke sempre colà è victoria dove è la concordia. [32] Et Salamone neli Proverbi disse: «Quelli che cominciano consilli di pace, a lloro seguita allegreçça». [33] Et Seneca nele Pistole disse: «Per concordia le piccole cose crescono, per discordia le grande ménomaro». [34] Et nel cominciamento dei contrastare ala guerra et a ciascuno male, sì come si legge nel'Ovidio del Remedio del'amore, ke disse: «Ali cominciamenti contrastae, ke tardi s'aparecchia medicina quando lo male è cresciuto per lunga dimora». [35] Et altrove disse: «Quando lo furore è in correre, dàlli luogo, ke ongne impeto (e) romore àe la via a venire contra esso malagevole. Lo matto notatore, possendosi partire, conbatte di notare contra lo corso dell'acqua». [36] Et anmoniendo del'amore dice: «Infino ke tt'è licito (et) ancora piccioli movimenti d'amore ti toccano lo cuore, se tt'incresce, nela 'ntrata dell'uscio ferma il piede (e) non andare più innançi. [37] Et non solamente la guerra dei fuggire, ma etiandio la battagla ke per cagione di guerra si fa molto maggior mente è da schifare. [38] Dela quale lo profeta disse: «Diguasta la gente ke battallia vuole». [39] Ke le battallie solliono domare li populi col danno (e) colo male loro; perciò disse Salamone: «Cinque cose sono ke domano lo populo: licentia, lucto, fame, battallia, (e) a fine la sua matteçça». [40] A tutte le cose solo l'uopo ti costringne. [41] Battagla (e) guerra conducono li uomini a necessitade (e) così a busgie (e) a tutti li mali. [42] Et perciò le ragioni (e) lo proverbio gridano ke la necessitade nonn à legge. [43] Et Seneca disse: «La necessitade fa colui k'abisongna busgiardo». [44] Et anke: «La necessitade chiede (e) fassi dare quello ke vuole». [45] Et ancora: «La necessitade fa provare ongne cosa». [46] Et Cassiodoro disse: «La necessitade temperança non ama». [47] [***] «Per la grande necessitade è costretto l'onest'uomo d'andare in un cesso». [48] Et perciò disse ke «una dele più gravi adversitadi all'uomo libero è k'elli sia costretto di domandare al suo nemico ke li sovengna». [49] Et questo è inperciò ke disse Cassiodoro ke «allora sottentriamo a più gravi aguati del'antico adversario quando li suoi beni ricevemo». [50] Fuggi dunque la guerra (e) tutte quelle cose ke conducono a necessitade; che disse Cassiodoro: «Giustamente fuggiamo la necessitade, la quale ne conforta di mal fare». [51] Et anke: «Infino ke la necessitade, madre deli peccati, sì tolle via, sì si tolle via lo desiderio del peccare». [52] Ke per necessitade si perviene a mendicitade: «De miserabile conditione di colui ke mendica, ke se chiede di vergongna si confonde, se non chiede di povertade si consuma!». [53] Ma per necessitade è pur costretto di mendicare: indengna, mormora, priega. [54] Et perciò Salamone disse ke «mellio è morire ke abisongnare». [55] Et perciò ke non tanto lo novero di molti fa grande pungna quanto la virtude di pochi, «mistiere fa di porre mente nela pace, ke battallia si schifi (e) fugga». [56] Che un altro disse: «Beata la cittade ke battallia in pace teme». [57] Et un altro disse: «Se tu ame la pace, non farai la mentione di battagla». [58] Molto è isvariata la ventura dela battagla; et perciò Giuda Macchabeo disse: «Non in moltitudine d'oste è la victoria dela battallia, ma da cielo è la virtude; ke agevole cosa è a Dio deliberare pochi da molti e sopra molti dare victoria a pochi». [59] Et Davit disse al Filisteo lo quale uccise cola pietra: «Et sappia tutta questa chiesa ke non in coltello nè in asta salva Dominedio, perciò ke sua è la battagla». [60] Et perciò nela battagla è grande pericolo; et sì come disse lo savio: «Unque non si vince pericolo sança pericolo». [61] Et perciò lo pericolo dela battagla (e) tutti li altri pericoli sono da ffuggire; che disse Tulio: «Molto è da curare ke noi non ne mettiamo ali pericoli sança cagione; dela qual cosa nulla ne sarebbe più matta. [62] Et perciò nel'andare ali pericoli è servare l'usança deli medici, ke coloro ke ànno lieve malitia lievemente li curano, e a coloro ke ll'ànno grave pericolose (e) dubbiose curationi sono costretti di fare. [63] Per la qual cosa nela tranquilitade (e) nela bonaccia desiderare tenpestade non s'apertiene se non a matto, ma sovenire ale tempestadi, ciò è ala necessitade, per qualunque modo o per qualunque ragione è del savio». [64] Nela battallia certo si puote aspectare la morte da tutti, ke «non è certa cosa dove la morte t'aspecti, ma tu lei in ongne luogo t'aspetta, et spetialmente in battallia»: ciò disse lo savio. [65] Et disse Tulio: «la battallia così è da schifare ke per neuna cagione si prenda se non per cagione di necessitade o di pace avere o per alcune deli casi infrascritti. [66] Disse Tulio: «Da prendere sono a ffare le battallie per cagione ke sança ingiuria in pace viviamo». [67] Et altrove disse: «In tal guisa si prenda a fare battallia ke null'altra cosa paia ke se ne intenda se non pace». [68] Ke la pace è sempre da disiderare, quella ke non abbia veruno aguato; onde Tulio disse: «Per la mia sentençia sempre è da consilliare a pace la quale non averae alcuna cosa d'aguato». [69] Et altrove: «Intendere si puote neuna battallia essere giusta se non quella ke per cose domandate si fa o ke dinuntiato sia innançi o comandato». [70] Et altrove disse: «Quando lo tempo (e) la necessitade lo domanda, da combattere è cum mano e da porre innançi la morte k'essere servo». [71] Et Seneca disse: «Più bella cosa è essere morto ke soççamente stare servo».
L. III, cap. 39[1] .xxxviiij. Di fare apparechiamento (e) guernimento. [2] Sappie ke «lungo apparecchiamento di battallia fa tostana victoria»: ciò disse Tulio. [3] Et Cassiodoro disse: «Allora si fa forte guernimento quando cum lungo pensiero si conforta; tutte le cose subite sono disavedute, et male si domanda forte tenuta di luogo quando li pericoli si temono. La cosa dela battallia bene si ordina quando in pace si tratta». [4] Et perciò disse: «Sempre è da tractare lo guernimento in riposo, perciò ke male si va kiedendo quando ello è mistiere». [5] «Tutte le cose pensate sono forti». [6] (Et) non solamente nela battallia ma in tutte l'altre cose lo buono apparecchiamento è da fare. [7] Onde disse Tulio: «Ki attende a fare alcuna cosa, guardisi ke vie via non la consideri ke non sia honesta, ma etiandio ke abbia potentia di fare; nela qual cosa è da vedere ke mattamente non si disperi per poco senno o ke troppo la consideri per cupiditade». [8] In tutti li fatti prima ke tu li cominci fa apparechiamento. [9] Perciò dissi di sopra ke dei fuggire quanto puoi la guerra, ke per malitia di molti (e) per rapina et força e ingiuria talvolta in nullo modo si puote schifare. [10] «In due modi», secondo Tulio, «si fa la 'ngiuria, ciò è o per força o per frode. La frode è sì come di volpe, la força sì come di leone: ma l'una (e) l'altra è strania dela natura dell'uomo, la frode essendo dengna di maggiore odio. [11] Di tutta la 'ngiuria, neuna n'è più capitale ke quella di coloro ke, quando più ingannano, allora volliono parere melliori». [12] Onde se la guerra per le predette cose non potrai fuggire, francamente la prendi a ffare, sappiendo ke secondo le ragioni (e) le leggi ti poterai difendere; ke l dice la Legge.
L. III, cap. 40[1] .xl. Dela guerra fare e defensione. [2] «Contra lo pericolo naturale ragione permette ke l'uomo si defenda». [3] (Et) in tanto si permette ke innançi tenpo si lascia venire incontra. [4] Et altrove dice la Legge: «Mellio è in tenpo contra venire ke dipo ll'uscita vendicare». [5] Et altrove la Legge (e) le decretali dicono: «Força cum força rincacciare tutte le leggi (e) le ragioni permettono». [6] Et in tanto t'è licito a ccacciare força cum força ke se altri mente non potee fuggire lo pericolo, e uccidesti l'uomo, per leggi (e) per ragioni in nullo modo sie punito. [7] Che «se li montoni (e) ' buoi intra sé avessero conbattuto, et fosse morto quelli ke assalio difendendosi l'altro, sança conpositione o veruno mendo dee rimanere». [8] Et altrove dice la Legge: «Quello k'altri fae per defensione del suo corpo, giustamente pare ke abbia fatto». [9] Dunque nel fare defensione saviamente ti guarda, ke non conbatte bene quelli ke per volontade di soperkiare (e) di vincere altrui sé fa ingnudo; perciò k'èe scritto: «Così altrui fiedi ke tu non ti schuopre ad esser fedito». [10] (Et) se tu distendi lo braccio, poni mente ke l tuo lato non rimanga ingnudo; perciò ke tutti insieme periscono ki non savia mente conbattono. [11] Et sappie ke ki nela battallia si sforça di stare in contradioso luogo, in due battallie entra, ciò è col nemico (e) col luogo. [12] Onde uno savio disse: «Contrastae ala força (e) ala 'ngiuria, si t'è permesso»; che si dice: «Vitio (e) colpa è non contrastare ala 'ngiuria ke t'è fatta, si contrastare si puote». [13] Onde Tulio disse: «Così è in colpa ki non contrastae ala 'ngiuria, si fare si puote, come s'elli ad uno bisongno abbandonasse li parenti (e) li amici o lo paese suo». [14] Ma la guardia del tuo corpo dei fare incontanente (e) cum temperança di guardia incolpata, ke s'alcuno ti vuole fedire di lancia, tu lo puoi lui fedire innançi la sua percossa a tua guardia et non ad vendetta. [15] Similliante mente sono da prendere le battagle (e) cum mano è da conbattere per la fede catholica. [16] Perciò ke sì come la fede è nostro schudo sotto lo quale si richiudono tutte le virtudi (e) per l'aiutorio del quale scudo dovemo conbattere. [17] Dela quale etiandio disse l'Apostolo nela pistola ad Efesios, presso ala fine: «Prendendo lo scudo dela fede, nela quale possiate tutte le lance pessime spengnare». [18] Dela quale etiandio è detto: «La fede prima venne in campo» et cetera, dela battallia ke fue tra la fede (e) la resia. [19] Così per la fede sono da prendere le battallie (e) cum mano è da conbattere. [20] Et più tosto è da sofferire la morte ke abbandonare la fede, sì come Karlo (et) altri pungnatori et molti santi per la fede morte sostengnendo conbattero. [21] Così etiandio per la giustitia infino ala morte è da conbattere, testimoniando (Iesu) filius Syrac ke disse: «Per la giustitia conbatti per l'anima tua, et Dominedio vincerà per te li tuoi nemici».
L. III, cap. 41[1] .xlj. Di non temere la morte ma dispreççarla. [2] Nè in cotali cose non èe da temere la morte; che quelli medesimo disse: «Mellio è la morte ke amara vita, et requia eternale ke dolore perseverante»; ke vivere nonn è bene, ma ben vivere. [3] Onde di tutta la vita è rimedio dispregiare la morte: neuna cosa è trista quando noi fuggiamo la paura dela morte. [4] Onde Cato disse: «Non temere quella k'èe fine dela vita, perciò ke chi teme la morte perde quello k'elli vive». [5] Et altrove: «Lascia la paura dela morte, ke matteçça è in ongne tempo temendo la morte perdere l'allegreçça dela vita». [6] Et anche: «Non temere li tempi del fatto ke dee venire; non teme la morte ki sa dispregiare la vita». [7] Et uno savio disse: «Dove tu disprege la morte, tutte le paure vinci». [8] Et un altro disse: «Fugge la morte ki lei dispregia, et ella seguita colui ke la teme». [9] Et Martiale disse: «A te, Paulo, la paura dela morte ti tolle l'uttilitade dela vita, perciò ke vivendo muori quando temendo perisci; se tu poni la morte intra li doni dela natura, la paura dela morte non ti puote stimulare». [10] Et un altro disse: «Quello ke non puoi schifare, sostieni nela mente»; (e) così quello ke tti parea duro ti serae humile. [11] Dunque non dei troppo temere la morte, nè cercare del tempo dela morte; che disse Seneca: «Sapere lo tempo dela morte è cotidianamente morire»; [12] et «Ove d'ongne vita è paura, la morte è optima». [13] Et Cassiodoro disse: «Nonn è picciolo tormento temere verso veruna cosa ke debbia venire, perké sempre estima k'esca fuori quello ke teme». [14] Et perciò Seneca disse: «Più crudele cosa è sempre temere la morte ke morire». [15] Così dunque ben vive, (e) la morte dispregia, ke tu posse dicere col'Apostolo: «A me vivere Christo è, morire guadangno».
L. III, cap. 42[1] .xlij. In quanti (e) quali casi sono da ricevere battagle (e) da far sono con mano. [2] Dele predette cose dunque si conprendono otto cose per le quali èe da fare le battallie (e) da conbattere cum mano: ciò è per conservare la fede, per giustitia mantenere, per cagione di necessitade, per avere pace, per conservare libertade (e) francheçça, per ischifare soççura (e) disinore, per fuggire força, per defensione del suo corpo. [3] In altra guisa nonn è da conbattere cum mano, et specialmente ad uomo letterato; che disse Seneca nele Pistole ke «nonn è convenevole a letterat'omo provarsi a braccia od a gittare pietra od a ccanto». [4] Ke la letteratura dee melliorare ongn'uomo; che disse Cassiodoro: «Non puote essere neuna ventura nel mondo la quale non accresca per la scientia dela lettera». [5] Ma la vita dell'uomo letterato più tosto dee stare in pensiero utile ke in operare la força del corpo suo, testimoniandolo Seneca ke disse: «All'uomo amaestrato vivere è pensare». [6] Et sappie ke «la lectera al non saviomo è sì come lo bastone al corpo infermo»: ciò disse uno savio. [7] Tutte le predette cose sono da fare cum modo, che disse Cassiodoro: «La misura in ongne parte è da lodare». [8] Et non sono da fare con ismisurança, ke «non si discordia da colui ke falla (e) pecca quelli ke for modo si sforça di vendicare»: ciò disse Cassiodoro. [9] (Et) non sono da fare cum fellonia; ke disse Seneca: «Nonn è da vendicare fellonia cum fellonia». [10] Et non sono da fare per vendetta.
L. III, cap. 43[1] .xliij. Da ffare vendetta et da cometterla in altrui. [2] Perciò ke la vendetta si pertiene a solo Dio et a giudice k'àe giurisdictione. [3] Onde Dominedio nel vangelio disse: «A me si lasci la vendetta, e io renderoe guiderdone». [4] Del giudice k'àe giurisdictione per l'Apostolo si dice: «Lo giudice non sança cagione coltello porta, k'elli dee essere vendicatore dele cose mal fatte in ira». [5] Et etiandio si dice: «Siate subditi (e) ubidenti ad ongne generatione humana per Dominedio: o sia re, sì come a soprastante, od ali baroni da lui mandati a vendetta dele cose mal fatte (et) a lode deli buoni». [6] Nè non dee lo giudice k'àe giurisdictione dubitare di fare vendetta, ke non facciendo vendetta fortemente pecca; che disse uno filosofo: «Giudice ke dubita di fare vendetta molti ne fa rei». [7] Et altrove: «Giudice ke non gastiga lo peccatore comanda di peccare». [8] Et un altro disse: «Di peccato perdonato sicuro ardimento ne cresce». [9] Et percioe lo giudice èe da temere dali malifattori, testimoniandolo l'Apostolo nela pistola ali Romani, ove disse: «Se tu averai male fatto, temi». [10] Ma dali buoni omini èe più da amare ke da temere; onde quivi santo Paulo disse: «Li principi non mettono paura ali buoni, ma ali rei. [11] Vuoli non temere la podestade? Fa bene, et averaine lode; perciò k'elli èe ministro di Dio in bene». [12] (Et) questo intendo o sia buono giudice o sia reo; perciò ke Pilato era mal giudice (et) avea podestade da Dio, sì come li disse Dio nela sua passione: «Non averesti podestade sopra me s'elli non ti fosse dato di sopra». [13] Dunque troppo non ti turbare se spirito di colui c'àe podestade sopraviene in te, nè · luogo tuo non lasciare; che Salamone disse: «Se spirito di colui k'àe podestade sopraviene in te, lo tuo luogo non lascerai, ma la cura farae cessare li grandi peccati». [14] Et sappie ke Cassiodoro disse: «Tanto èe l'uomo giudice quanto elli èe giusto, perciò che l nome ke ssi prende da equitade per soperbia nonn èe tenuto». [15] Et sappie ke giustamente (e) dengnamente puote (e) dee fare vendetta (et) uccidere li malfactori (e) li ladroni piuvichi (e) li micidiali e coloro ke fanno simillianti cose, sì come si puote provare per molte auctoritadi del nuovo (e) del vecchio Testamento. [16] Perciò ke si dice nela legge di Moysì: «Non sofferire lo malfactore k'elli viva in sula terra». [17] Et altrove: «Ki maladisse il padre (e) la madre di morte muoia». [18] Ma li eretici dicono ke la legge di Moysì èe data dal diavolo (e) ke vendetta corporale non èe da fare (e) ke giudice k'àe giurisdictione e inperio non puote per ragione condannare l'uomo a morte. [19] Et dicono ke vendetta corporale s'apertiene a solo Dio, allegando per sé le parole di Dio, ke disse: «A me si lasci la vendetta, et io renderò guiderdone». [20] Et «S'alcuno ti darà nell'una guancia, parali l'altra; et s'alcuno ti torrà la gonnella, dalli lo palio». [21] Et ancora quell'altra autoritade: «Non volliate giudicare, et non sarete giudicati; et non condannate, et non sarete condannati». [22] Ma certo male intendoro le predette autoritadi, ke «sì come in uno corpo molte menbra sono, perciò ke non fanno una medesima opera», sì come dice santo Paolo, così tra lli uomini sono distinti li offici, ke altra cosa èe detta ali religiosi, (e) altra a coloro ke stanno al seculo, e altra alli giudici. [23] Ali riligiosi èe detto: «Se alcuno ti torrà la gonnella, dalli etiandio lo palio; et s'alcuno ti derae nell'una guancia, parali l'altra». [24] A coloro ke stanno al secolo (e) ali buoni: «Força per força cacciate, tutte le leggi lo gridano». [25] Et «Quello ke ll'uomo fae per difendimento del suo corpo, a rragione pare ke lo faccia». [26] Et mellio èe ançivenire ke dipo fatto vendicare, ma in tal guisa ke per vendetta non si faccia, sì come detto è di sopra. [27] Et ali giudici èe detto: «Lo giudice non sança cagione coltello porta» (et) cetera ke dette sono di sopra. [28] Et etiandio è detto: «Non giudicate secondo la faccia, ma giudicate giusto giudicio». [29] Ke s'elli fosse peccato al giudice dirittamente giudicare, non averebbe detto lo profeta: «Severamente parlate la giustitia, dirittamente giudicate, voi filliuoli delli uomini». [30] Nè l'Apostolo non averebbe detto: «Lo giudice non sança cagione coltello porta, ma dee vendicare le cose mal fatte in ira». [31] Et non averebbe detto santo Piero: «Siate subgetti ad ogne humana creatura per Dio, o sia a re, sì come maggiore, o sia a baroni, sì come da lui mandati a vendetta dele cose mal fatte». [32] Intendendo la predetta autoritade, non volliate giudicare sança .vij. aiutorii li quali sono mistiere nel giudicare, ciò èe scientia, giurisdictione, ragionamento, consillio, giustitia, timore di Dio et necessitade. [33] La scientia è mistiere nel giudicio, dicendolo Salamone: «Dinançi al giudicio apparechia giustitia, (et) ançi ke tu favelli inprendi». [34] Et perciò lo giudice ke per poco savere àe male giudicato n'è tenuto, sì come lo medico ke per poco senno àe mal talliato n'è tenuto, sì come le leggi nostre dicono. [35] Giurisdictione èe etiandio mistiere a giudicare; che li Giudei diceano a Pilato: «A noi non èe licito d'uccidere alcuno, perké noi non avemo giurisdictione». [36] (Et) altrimenti la sententia non sarebbe alcuna, sì come data da non sufficiente giudice, sì come le leggi dicono. [37] Lo ragionamento etiandio èe mistiere nela sententia, ciò èe inquisitione dela ragione. [38] (E) la ragione bene dinançi veduta discerne lo melliore, ma avuta in neghiença èe inbrigata di molti errori: ciò disse uno filosofo. [39] Perciò ke quello k'èe sança ragione non puote bastare lungamente, et ki ragione cum seco porta tutto lo mondo vincie; onde disse uno savio: «Se tu vuoli vincere tutto lo mondo, sottoponti ala ragione». [40] La deliberatione, ciò è consillio, èe etiandio mistiere nel giudicio; et sança fretta, perciò ke «nel diliberare et nel consilliare di cose utili la dimora (e) lo 'ndugio èe sicurissimo». [41] Ke quelli penso ke sia optimo giudice ke tosto intende (e) tardi giudica, ke «nel giudicare la fretta èe piena di peccato». [42] Onde si suole dicere: «Ongne dimora èe avuta inn odio, ma fa l'uomo savio». [43] Et altrove si dice: «Due cose sono contrarie al giudicio: fretta (et) ira». [44] Onde Tulio disse: «Unque non mai quelli ke adirato viene ala pena terrae quella via di meçço k'èe intra troppo (e) poco». [45] Onde etiandio la Legge dice ke lo giudice dee dare sententie pesate (e) spesso le parti adomandare s'elli volliono alcuna cosa aggiungnere di nuovo. [46] Et Gesù (Cristo) quando la femina trovata in adulterio fue menata dinançi da lui, col dito scrivea in terra, (e) dipo avere pensato levoe lo capo (e) sententioe dicendo: «Chiunque di voi èe sança peccato getti la prima pietra contra lei». [47] Et ancora deliberando scrivea in terra, (e) poscia levando li occhi disse: «Femina, dove sono quelli ke tt'acusano?»; (e) quella disse: «Neuno m'acusa, Sengnore»; (e) quelli rispuose: «Se neuno t'accusa, nè io non ti condanneroe; vae, (e) non peccare da quinci innançi». [48] La giustitia èe mistiere nel giudicio, sì come dissi sopra: «Innançi al giudicio apparecchia giustitia», (et) cetera. [49] Lo timore di Dio èe mistiere nel giudicio, ke «lo timore di Dio èe cominciamento dela sapientia», sì come disse lo profeta. [50] Ke tanta èe la confusione dele leggi et deli decreti et dele decretali ke a ben giudicare appena basta la memoria dell'uomo. [51] Et perciò dice la Legge: «D'ogne cosa avere memoria e al postutto in neuna cosa peccare magiormente s'apertiene a divinitade ke ad umanitade». [52] (Et) se così èe, molto èe da temere acciò ke la divinitade forse in noi non sia. [53] La necessitade dee soprastare nel giudicio maggiormente ke la volontade, perciò ke Dominedio per quelle parole ke dicono «Non volliate giudicare» non ne partio la necessitade ma la volontade, quasi dica: «Non giudicate per volontade, ma quando necessitade vi soprastae giudicare potete». [54] Sì come detto èe di sopra, «non giudicate secondo la faccia, ma giudicate giusto giudicio». [55] Et similliante comandamento èe: «Non volliate giurare al postutto»; ke non ne partio fuori la necessitade del giurare ma la volontade, quasi dica: «Non abbiate volontade di giurare, ma per necessitade giurare potete». [56] Dirittamente si fa lo saramento se tre conpangni àe cum seco, ciò èe veritade, utilitade (e) necessitade. [57] Onde l'Apostolo nela pistola ali Ebrei disse: «Dominedio promettendo ad Abraam ke non avesse persona maggiore per la quale giurasse, giuroe per sé medesimo, (e) disse: Se non benedicendo, (et) cetera». [58] Et agiunse ancora: «Li uomini giurano per maggiore di sé, (e) la fine d'ongne loro controversia (e) lite, (et) a confermatione, èe lo saramento». [59] Et l'angielo di Dio giuroe per colui ke vive ne' secoli. Et lo profeta disse: «Giuroe Dominedio, (e) non se ne penterae». [60] Simile comandamento èe quando dice: «Non volliate agiungnere campo a campo nè casa a casa»; ke non ne caccioe quie fuori la necessitade Dominedio o l'utilitade, ma la volontade (e) troppa appositione di cuore. [61] K'elli nonn è veruno sì religioso k'elli non aggiunga talora casa a casa: ke li frati minori o predicatori, se non avessono kiesa convenevole ala congregatione deli fedeli, agiungnerebero ala loro kiesa, et s'elli non avessero refectorio o cucina, agiungnerebboro le dette cose ale loro magioni. [62] Partìne dunque fuori Dominedio per quella parola «Non volliate» solamente la troppa volontade e la soperchiança. [63] Et simile comandamento èe quando dice: «Non volliate pensare di domane», ke nessuno èe in questo mondo ke talvolta non pensi di domane. [64] Et simile comandamento èe quando dice: «Non volliate amare lo mondo nè quelle cose ke nel mondo sono»; che certo null'uomo vive ke non ami le cose ke sono nel mondo. [65] Dunque non ne dimise la necessitade, ma la troppa volontade (e) troppa appositione di cuore. [66] Sì come l'Apostolo quando disse: «Se le riccheççe v'abondano, non vi apponete lo cuore»; che non vietoe le riccheççe, ma apponimento di cuore nele riccheççe. [67] La qual cosa si puote sapere per quello ke disse: «Ongne cosa possedete sì come neuna cosa abbiate». [68] Così dunque s'intendono le parole di Dio «Non volliate giudicare», se voi non avete savere di giudicare, perciò ke non dovete giudicare dele cose nascose o dubiose. [69] Ancora non giudicate se voi non avete giurisdictione, et non giudicate contra ragione o sança ragione o sança ragionamento. [70] Ancora non giudicate sança consillio o sança deliberatione o cum fretta o con ira. [71] Ancora non giudicate contra giustitia; ancora non giudicate sança timore di Dio. [72] Et non giudicate, ciò èe non abbiate volontade di giudicare, se non quando necessitade od utilitade vi trae. [73] Et se così farete, non sarete giudicati nè condannati per lo vostro giudicio; ançi n'averete merito (e) saretene beati, dicendolo lo propheta ke disse: «Beati sono quelli ke guardano lo giudicio (e) fanno la giustitia d'ongne tempo». [74] Et non possono dire li detti heretici la legge di Moysì essere data dal diavolo et Moysè essere stato rio, ke se Moysè fosse stato reo uomo non sarebbe appellato nel'Apocalipsi servo di Dio. [75] (E) se la legge di Moysè fosse ria (e) data dal diavolo, non averebbe detto santo Paulo nela pistola ali Ebrei: «Moysè certamente era fedele nela casa sua sì come servo, in testimonio di quelle cose k'erano da dire; et sì come filliuolo di (Cristo) nela sua casa: la qual casa siamo noi». [76] Nè non comanderebbe Dio ke la legge di Moysè si dovesse observare, nè non dicerebbe ke Moysè dovesse essere audito, nè non sarebbe appellata nel vangelio la legge di Dio, ke dice Dio ke noi la dovemo observare quando dice: «Sopra la cathedra di Moysè sedettero li scribe (e) li Farisei ipocrite; ogne cosa ke a voi diceranno fate (e) observate». [77] Coman etiandio ke Moysè sia udito nel vangelio del ricco: «Ànno Moysè (e) li profeti: odano loro». [78] Et kiamasi per lo vangelio la legge di Dio quando dice de Elisabet (e) di Çaccheria ke ambi due erano giusti apo Dio, facciendo in opere (e) in parole secondo la legge di Dio. [79] Et etiandio Dominedio dipo la resurresione, quando s'aprossimoe ali discepoli suoi ke andavano ad uno castello ke si chiama Emaus, cominciando da Moysè (e) dali profeti espone a loro la Scriptura; che se la legge di Moysè fosse data dal diavolo, non averebbe incominciata Dominedio la expositione dele Scripture da Moysè. [80] Queste cose così dette dela vendetta temporale (e) corporale per lo vecchio Testamento (e) per le pistole deli appostoli, proviallo etiandio per lo vangelio (e) per la parola di Dio, ke l giudice secolare ke àe giurisdictione (e) imperio puote fare vendetta corporale (e) li sopradetti malfattori uccidere legittimamente (e) giustamente. [81] Disse Luca nel vangelio: «Ma quelli miei nemici ke non vollero k'io rengnasse menatelimi quae (e) uccideteli innançi me». [82] Et ancora si pruova per la passione di Dio, ke quando Dio pendea nela croce due ladroni posti lungo lui da ambendue le latora, l'uno dal lato ritto et l'altro dal manco, pendendo simile mente cum lui in croce, cum ciò fosse cosa ke l'uno lo riprendesse dicendo: «Li altri fece salvi, ma sé medesimo fare salvo non puote; si elli èe filliuol di Dio descenda ora dela croce (e) salvi sé medesimo et noi». [83] Ma l'altro ladrone riprese colui, (e) disse: «Tu non temi Dio, ke noi patiamo questo tormento degnamente a quello ke avemo fatto, ma questi nonn à fatto veruno male. O Sengnore, ricorditi di me quando tu serai nel rengno tuo». [84] A cui Dominedio rispuose: «In veritade ti dico ke oggi meco serai in Paradiso». [85] O questo ladro disse vero, od elli disse falso: s'elli disse vero, dunque èe vero ke li ladroni (e) li altri simillianti dengnamente per cotali fatti possono essere morti dal giudice, sì come quello ladrone dengnamente s'uccidea. [86] Et s'elli disse falso, matto serebbe stato Dio se per bugia (e) per falsitade, la quale èe peccato mortale, avesse promesso Paradiso alo ladrone. [87] Male dicono dunque li heretici quando dicono ke neun uomo èe da uccidere; ke se per vendetta neun uomo s'uccidesse, neuno buon uomo poterebbe vivere: tanti serebbero li malfattori ke li vestimenti (e) li cibi torrebbero loro, (e) tutti li buon uomini perirebbero. [88] Dunque lo giudice k'àe giurisdictione (e) imperio gastigare (e) punire puote (e) dee. [89] Ancora dico più ke sì come ciascun omo singularmente faccendo vendette peccherebbe, così peccherebbe lo giudice perdonando la vendetta, (e) non serebbe fuori di colpa. [90] Non dee dunque lo giudice perdonare ali rei ma deli punire, ke disse Seneca: «Ali buoni nuoce ki ali rei perdona». [91] Et così cesseranno li malifici et li rei temeranno, che sì come disse Cassiodoro, «Allora si fanno li forfatti in paura quando sono creduti di dispiacere ali giudici». [92] Et in tal guisa lo giudice adoperi vendetta, nè elli non patischa d'essere avuto a dispetto in alcuna cosa, che sì come quelli medesimo disse, «Lo imperio, se nel piccolo èe avuto a dispetto, da ongne parte si corrompe». [93] Non dee dunque lo giudice essere troppo familliare, che sì come disse la Legge, «La troppa familiaritade e dimesticheçça parturisce dispetto». [94] Et perciò disse Cassiodoro: «Lo cavaliere ale secrete cose del giudice approssimato, la sua fama od elli l'adorna od elli la soçça». [95] Dunque cum crudeleççe dee lo giudice gastigare e punire li folli e non cum dimesticheçça (e) cum farli vergongna (e) disinore di parole, che disse Tullio: «Ongne gastigamento dee avere guardia di parole villane, ke non punisce (e) gastiga lo giudice ad utilitade di sé, ma ad utilitade di Comune». [96] Et guardare dee etiandio lo giudice secondo le leggi ke non sia maggiore la pena ke non si truovi la colpa, (e) ke lo peccato non trapassi la pena, che disse la Legge: «Li peccati tengnono li suoi attori, (e) più oltre non passi [***]. Li prossimani e li conti e ' familliari d'ongne calunnia li partiamo». [97] Et guardare si dee lo giudice ke non adivengna ke per una medesima cagione tale sia punito (e) tale non sia appellato, perciò ke «chi a parte deli cittadini consillia, parte n'àe in negligença, (e) ' conduce nele cittadi mortali cose, ciò è discordia (e) guerra», sì come Tulio disse. [98] Et non solamente dee avere ragione deli suoi cittadini, ma etiandio deli strani, che Tulio disse: «Quelli ke deli suoi cittadini dicono solamente dovere avere ragione, deli strani la niegano, et questi dividono la conpangnia del'umana generatione, la quale tolta via, beneficio, largheçça, bontade, giustitia dal fondo si divellono». [99] Et sappie ke sì come lo giudice puote li malfattori uccidere, così li puote di tutti li altri beni spolliare, testimoniandolo Tulio, ke disse: «Nonn èe contra natura colui spolliare, se puoi, lo quale èe onore uccidere». [100] Ma guardia del tuo corpo fare dei con ingengno (e) cu(m) savere, se fare si puote, ma no(n) cu(m) sup(er)bia.
li omini ] Ed.: lo omini p. 137.9 § 32 altressì ] Ed.: alterssi p. 152.4 § 11
INCIPIT LIBER DE AMORE ET DILECTIONE DEI ET PROXIMI ET ALIARUM RERUM ET DE FORMA VITAE LIBER PRIMUS.
Initium mei tractatus "sit in nomine Domine, a quo cuncta bona procedunt, et a quo est omne datum optimum, et omne donum perfectum descendens a patre luminum."
Quanto amore quantaque dilectione mea paterna caritas tuam diligat filialem subiectionem, vix tibi possem narrare, vel lingua mea posset aliquatenus explicari.
Volens igitur ego Albertanus te filium meum Vincentium bonis moribus conformare, ac de amore et dilectione Dei et proximi et aliarum rerum et de forma vitae instruere, in primis duo credo tibi fore precipue necessaria: doctrinam videlicet ac loquelam. Primo enim debes discere, postea vero loqui.
Nam ut ait Ihesus filius Sirac, "Ante iuditium para iustitiam, et antequam loquaris disce."
Et Salomon dixit, "Qui prius loquitur quam discat, ad contemptum et irrisionem properat."
Doctrinam ergo primo audias, deinde animo discas, postea vero mente retineas; animo enim vivimus, animo adiscimus, mente vero retinemus.
[CAPUT I.] De doctrina.
Doctrinam igitur audire debes, ut habeas scienciam. Nam ut ait Salomon, "Qui diligit doctrinam, diligit scientiam; qui autem odit increpationes insipiens est."
Et alibi, "Accipite disciplinam meam, et non pecuniam; doctrinam magis quam aurum eligite."
Et alibi, "Qui altam facit domum suam querit ruinam, et qui evitat discere incidet in mala." "Doctrina enim bona dabit gratiam."
Et alibi, "Cor prudens possidebit scientiam, et auris sapientum querit doctrinam."
Et alibi, "Non cesses, fili, audire doctrinam, nec ignores sermones scientie."
Et alibi, "Ingrediatur ad doctrinam cor tuum, et aures tue ad verba scientie."
Et Ihesus filius Sirac dixit, "Fili, a iuventute tua excipe doctrinam, et usque ad canos invenies sapientiam."
Et alibi, "Doctrinam oris audite, fili; et qui custodierit illam non peribit labiis suis, nec scandalizabitur in operibus nequissimis."
Et alius sapiens dixit, Cum sine doctrina nil proficiat medicina, Nec sine doctrina fugiat lepus ora canina, Nec sine doctrina pupem ferat unda marina, Nec sine doctrina panem det trita farina. Audi doctrinam, si vis vitare ruinam.
Doctrina vero tua initium habeat, sed te vivente ut mens tua alatur non debet habere finem; "mens enim hominis discendo alitur et vivendo at audiendi ratione ducitur," finem non debet habere.
Ut ait sapiens in lege, "Et si pedem in sepulcro haberem, adhuc discere vellem."
Et alibi dicitur, "Discendo non defeceris;" idem "enim debet esse finis discendi quem et vivendi."
Idem et Cato ait, Instrue preceptis animum, ne discere cessas; Nam sine doctrina vita est quasi mortis ymago.
Et alibi, Cum tibi contingerit studio cognoscere multa, Fac discas multa, vita nescire doceri.
Et alibi, Discere ne cessas, cura sapientia crescit: Rara datur longo prudentia temporis usu.
Et iterum, Disce sed a doctis, indoctos ipse doceto: Propaganda etenim est rerum doctrina bonarum.
Nam qui alios docet se ipsum instruit. Inde Martialis dixit, Discendi modus enim, dum te nescire videbis;
Disce, sed assidue; disce, sed ut sapias. Sumpta parum, prodest, que mox emittitur esca; Bos, quibus est pastus, ruminat hec eadem.
Semper ergo discendum est, quia ut ait Seneca, "Dediscis, si nichil discis."
Nec debes cessare acqiurere doctrinam vel scientiam propter pudorem. Ut ait quidam philosophus, "Qui brevi tempore pro pudore disciplinam non patitur, omni tempore in pudore insipientie permanebit."
Et alius dixit, "Quicumque erubuerit sapientiam investigare ab aliis, magis erubescet eandem a se ipso requiri."
Investigare igitur doctrinam debes a peritioribus. Ait enim Cassiodorus, "Semper gratum est de doctrina loqui cum peritioribus."
Propter verecundiam ergo non debes cessare a quolibet discere. Ait enim Cato, Ne pudiat que nescieris te velle doceri: Scire aliquid laus est; culpa est nil discere velle.
Inde Plato dixit, "Malo enim aliena pudenter adiscere, quam mea impudenter ignorare."
[CAPUT II.] De locutione et cohibendo spiritu et lingua cohercenda.
Post doctrinam dixi tibi loquela fore necessaria, que loquela sive loquela sive locutio a spiritu procedit. Et per spiritum ad os producitur, atque lingue artificio exercetur.
Ad hoc ergo ut locutio tua bona et recta sit utilisque permaneat, in primis debes cohibere spiritum tuum, ne prorumpat ad os tuum, et linguam inducat ad locutionem inutilem. Nam ut ait Salomon in Proverbiis, "Sicut urbs patens et sine murorum ambitu, ita vir qui non potest cohibere spiritum suum."
Secundo debes custodire os tuum, et hostium circumstancie labiis tuis apponere, et ori tuo frenos rectos, et verbis tuis facere stateram. Nam ut Salomon sit in Proverbiis, "Qui custodit os suum custodit animam suam; qui autem inconsideratus est ad loquendum, sentiet mala."
Et propheta rogavit Dominum dicens: "Appone ori meo custodiam, et hostium circumstantie labiis meis."
Et Ihesus filius Syrac dixit, "Si tibi est intellectus, responde proximo; sin autem, sit manus tua super os tuum, ne capiaris in verbo indisciplinato, et confundaris."
Et alibi, Aurum tuum et argentum confla, et verbis tuis facito stateram, et frenos ori tuo rectos; et attende ne forte labaris in lingua, et cadas in conspectu insidiantium tibi, et sit casus tuus insanabilis in morte.
Freno itaque ori tuo inposito, cum a sapiente dicatur, "Mors et vita in manu lingue,"
et alibi, "Verbosa lingua malitis indicium est,"
et in proverbio dicatur, "Osse caret lingua, sed frangit dorsa maligna,"
et a Seneca dicatur, "Cotidiana fornax nostra est lingua,"
oportet te linguam tuam coartare, cohercere, conpescere, atque prout possibile est, dogmare. Nam ut ait Cato, Virtutem primam puto compescere linguam; Proximus est ille Deo, qui sit ratione tacere.
Ideo autem dixi "prout possibile est," quia ut ait beatus Iacobus in epistola sua, "Natura bestiarum, et serpentium, ac volucrum, et ceterorum domatur et domita sunt a natura humana. Linguam autem suam nemo domare potest."
Sed licet lingua ad plenum dogmari non possit, cohercenda est tamen et coartanda ut sit verax et non mendax. Secundum verbum Domini qui ait, "Sit sermo vester, est, est: non, non: quod amplius est, a malo." Linguam enim mendacem et seminantem inter fratres discordiam odit Dominus, et detestatur anima eius.
Unde Salomon ait, "Sex sunt que odit Dominus, et septimum detestatur anima eius: oculos sublimes, linguam mendacem, cor machinans cogitationes pravas, proferentem mendatium, testem fallacem, pedes veloces ad currendum in malum, et manus veloces ad effundendum sanguinem, et seminantem inter fratres discordias."
Et alibi in Ecclesiastico legitur, "Pocior diligendus est fur quam assiduus in mendacio."
Et alius dixit, "Acquiesce veritati sive a te prolate sive tibi oblate."
Nam ut ait Cassiodorus, "Pessima consuetudo est despicere veritatem."
Et veritatem intelligo puram, in qua nichil inmisceatur falsitatis. Nam ut idem ait, "Bonum est verum, si non aliquid illi immisceatur adversi."
Super omnia post Deum veritas est collenda, que sola Deo homines proximos facit cum et ipse Deus veritas sit.
Et alibi Ihesus Syrac dixit, "Ante omnia opera tua verbum verax precedat te, et ante omnem actum consilium stabile."
Et alibi Salomon rogavit Dominum, dicens: "Duo rogavi te, Domine, ne deneges mihi antequam moriar: vanitatem et verba mendacij longe fac a me."
Ita ergo veritatem loqui debes, ut dictum tuum habeat pondus iuris iurandi, et nil intersit tuam sinplicem assertionem, et iusiurandum. Nam Seneca dixit, "Dictum, cuius non habet iurisiurandi pondus, eius quoque iurisiurandi pondus vile est."
Et sic veritatem sequendo aliis semper bene poteris respondere. Nam ut ait quidam sapiens, "Levis responsio veri [ubi?] veritatis est administratio."
Et alibi dictum est, "Non multum laborat qui falsitatem veritatis allegatione concludit;" iuxta illud, "Qui verum dicit non laborat."
Cohercenda eciam lingua est ut non loquatur dolum. Ut ait propheta, "Prohibe linguam tuam a malo, et labia tua ne loquantur dolum."
Et eciam beatus Petrus in epistola sua prima dixit, Qui enim vult vitam diligere, et videre dies bonos, coherceat linguam suam a malo, et labia sua ne loquantur dolum. Declinet a malo, et faciat bonum: inquerat pacem, et sequatur eam: quia oculi Domini super iustos, et aures eius ad preces eorum: vultus autem Domini super facientes mala.
Refrenanda est eciam lingua ut sit dulcis et suavis et graciosa et bene et bona loquatur. Nam ut ait Ihesus filius Sirac, "Tibie et psalterium suavem faciunt melodiam; et super utraque lingua suavis."
Et alibi, "Verbum dulce multiplicat amicos et mitigat inimicos, et lingua cum charis graciosa in bono homine habundat."
Et alibi, "Favus mellis verba composita; dulcedo anime et sanitas ossium."
Et quidam alius dixit, "Principium amicitie est bene loqui, maledicere vero exordium inimicitiarum."
Et Pamfilius dixit, "Excitat et nutrit facundia dulcis amorem."
Bona enim locutio valde utilis est atque a sapientibus affaectanda. Unde Seneca in libris epistolarum dixit, "Quicquid bene dictum est ab ullo, meum est."
Refrenanda est eciam lingua ut sit mollis, et molles faciat responsiones. Nam ut dixit sapiens, "Mollis responsio frangit iram; sermo quoque durus suscitat furorem."
Cohercenda est eciam lingua ut non proferat inania verba. Ut ait Seneca De Formula Honeste Vite, "Sermo quoque tuus non sit inanis, sed aut consoletur, aut doceat, aut precipiat, aut moneat."
Refrenanda est eciam lingua ut non habeat dentes, vel mordaces amonitiones vel reprehensiones, sed benignas. Nam idem Seneca, "Sales tui sine dente sint, ioci sine vilitate, risus sine cachino, vox sine clamore, incessus sine tumultu, quies sine desidia, et cum ab aliis luditur, tu aliquid facti excogitabis honesti."
Refrenanda est eciam lingua ut non proferat turpia verba, vel verba improperii, vel inhonesta. Nam ut ait Apostolus, "Turpia colloquia bonos mores corrumpunt."
Et Seneca dixit, "A verbis quoque turpibus abstineto, quia licentia eorum imprudentiam nutrit."
Et Ihesus filius Syrac dixit, "Homo assuetus in verbis improperii in omnibus diebus suis non erudietur."
Et Socrates dixit, "Que facere turpe est, ea nec dicere honestum puto."
Et alius dixit, "Non solum oculos castos convenit habere, sed linguam."
Refrenare et compescere debes insuper linguam tuam ut sit tarda ad loquendum, et ad iudicandum, et ad respondendum et non velox. Unde dixit sanctus Iacobus, "Esto velox ad audiendum: et tardus ad iram."
Et Salomon ait, "Qui prius respondet quam audiat, stultum se esse demonstrat et confusione dignum."
Et alibi, "Vidisti hominem velocem ad loquendum? Stultitia magis speranda est quam illius correptio."
Et quidam philosophus dixit: "in hoc tamen incumbe ut libentius audias quam loquaris." "Auribus frequentium utere quam lingua."
Et alius dixit, "Ne properes respondere, donec fuerit finis interrogationis."
Unde quidam philosophus dixit, "Serva silentium, donec loqui fuerit tibi necessarium."
Nam ut ait Seneca, "Magna res est vocis et silentii temperamentum."
Et Cassiodorus dixit, "Hec est regalis proculdubio virtus, tardius in verba prorumpere, et celerius necessaria sentire."
Et Salomon dixit, "Tempus tacendi, et tempus loquendi."
Et Paulus dixit in epistola ad Collocenses, "Sermo vester semper in gratia sale sit conditus, ut sciatis quomodo oporteat vos unicuique respondere."
Et alibi dicitur, "Optimum iudicem existimo qui cito intelligit et tarde iudicat."
"Deliberare enim utilia, mora est tutissima." "In iudicando enim criminosa est celeritas."
Unde consuevit dici, "Ad penitendum properat qui cito iudicat."
Et eciam dicitur, "Mora omnis odiosa est, sed sapientem facit."
Cohercenda est eciam lingua ut non certet de ea re que non molestat. Unde Ihesus filius Sirac dixit, "De ea re que te non molestat ne certaveris."
Similiter, de dicto quod te non molestat, certare non debes, vel alium deridere. Ait enim Cato, Alterius dictum aut factum ne carpseris unquam, Exemplo simili ne te derideat alter.
Nam per nimiam altercationem animus audientis turbatur, et in malivolentiam quandoque inducitur, et eciam in errorem ammissa veritate frequenter labitur. Unde quidam philosophus dixit, "Nimium altercando veritas ammittitur."
Refrenanda eciam est lingua ut taceat ne multa verba effundat. Nam ut ait Ieronimus, "Tacere qui nescit loqui;"
nescit ergo stultus loqui, tacere non potest. Unde quidam sapiens interrogatus, cur tantum taceret, an quia stultus esset, respondit: "Stultus tacere non potest."
Salomon tamen dixit, "Stultus quoque, si tacuerit, sapiens reputatur."
Et Cassiodorus dixit, "Tacens plerumque despicabilis videtur, et si cum lingua nobilitat: semper remanet in honore."
"Omnia siquidem bona accumulat lingua disserta." "Sapienti enim magis expedit tacere pro se, quam loqui contra se, quia neminem tacendo, multos loquendo circumventes vidimus."
Unde Cato ait, Nam nulli tacuisse nocet, sed nocet esse locutum.
In dubio enim magis expedit tacere quam loqui. Unde quidam philosophus dixit, "Si dicere metuas, unde poeniteas, melius est 'non', quam 'sic'."
Nimis enim loqui ad stultitiam, tacere vero ad prudenciam spectat. Tacendo enim quandoque gloriam consequinur, iniuriam fugimus, multaque mala fugamus. Quare in libro De Summo Bono scriptum est, "Gloriosius est tacendo iniuriam fugire, quam respondendo superare."
Locutio enim et responsio semper bona et certa esse debet. Quare quidam philosophus inquirenti cuidam sapienti quomodo posset optime dicire, respondit: "Si non dixeris nisi quod bene scieris;
multa certe verba effundere stultitia est." Unde dicitur, "In multiloquio non deest peccatum."
Et Salomon in Ecclesiastico dixit, "Multas curas secuntur sompnia, et in multis sermonibus invenitur stultitia."
Et alibi, "In omni opere erit habundancia; ubi autem sunt verba plurima, ibi frequenter egestas."
"Nichil ergo eque proderit quam quiescere, et nimium cum aliis loqui, secum multa," ut Seneca in epistolis dixit.
Moderate tamen loqui et tacere debemus. Unde Panfilus dixit, "Nec nimium taceas, nec superflua verba dicas."
"Audias ergo plurima; pauca vero respondeas," ut quidam sapiens ait.
Conpescenda est insuper lingua ut non sit clamosa, nec vocem emittat audacem.
Ait enim Seneca in epistolis, "Quemadmodum sapienti viro incessus modestior convenit, ita oratio pressa, non audax."
Et alibi idem ait, "Imperitorum consuetudo est vociferare de longe."
Coartari eciam debet lingua ut non sophistice loquatur. Nam ut ait Ihesus filius Syrac, "Qui sophystice loquitur odibilis est; omni re defraudabitur. Non enim data est illi a Domino gracia."
Item ut non loquatur obscura vel ambigua, sed clara et aperta. Nam ut ait sapiens, "Sanctius est mutum esse, quam quod nemo intelligat dicere."
Et lex dicit, "Nichil interest, neget quis an taceat interrogatus an obiscure respondeat, ut incertum dimittat interrogantem."
"Hec ergo sit propositi nostri summa: quod sentimus loquamur, quod loquimur senciamus: concordet sermo cum vita," ut Seneca in epistolis ait.
Cohercenda est insuper lingua ne murmuret. Ait enim Paulus in epistola prima ad Corrinthios, "Neque murmuraveritis, sicut quidam eorum murmuraverunt, et perierunt ab exterminatore."
Et Salomon dixit, "Custodite vos a murmuratione que nichil prodest, quoniam responsum obscurum in vacuum non ibit."
Istud denique tua cognoscat discretio, quod sicut linguam tuam debes refrenare et spiritum cohibere circa tuos sermones, ita non debes accommodare cor tuum vel aures tuas cunctis sermonibus aliorum.
Dixit enim Salomon, "Cunctis sermonibus qui dicuntur ne accommodes cor tuum, ne forte audias servum tuum maledicentem tibi: scit enim tua conscientia quia et tu crebro maledixisti aliis."
Et Seneca in epistolis dixit, "Claudende sunt aures malis vocibus."
Et Cato dixit, Cum recte vivas, ne cures verba malorum, Arbitrij non est nostri, quod quisque loquatur.
Deum igitur invoca, toto affectu ab eo postula, ut ori tuo frenum inponat, linguamque tuam et spiritum tuum taliter compescat et domet, quod tuam loquelam ad eius servitium sanctum valeas exercere.
[CAPUT III.] De doctrina amoris et dilectione Dei.
Doctrina igitur tua ab amore et dilectione Dei initium capiat. Quia ut ait Cassiodorus, "Ad omnia redditur habilis, quem inbuit doctrina celestis." Et iterum, "Semper bene geritur, si celestis metus humanis moribus apponatur."
Tua itaque intelligibilis discretio cognoscat quia amor alius est divinus, alius humanus, alius vero ad res alias humanas et temporales se inclinat.
Unde in primis videndum est quid sit amor, qualiter intret mentes hominum, et inde dicatur amicus, et quis sit verus amicus, et quomodo acquiratur amor et dilectio Dei, et quomodo retineatur.
Amor Dei "est caritas de corde puro, conscientia bona, et fide non ficta." Que eciam dicitur "finis precepti," de qua mentionem facit beatus Paulus in epistola prima ad Thimotheum in principio.
Vel dicas Dei amor est vehemens cordis et anime ac mentis applicatio ad Deum diligendum.
Unde Dominus dixit in evangelio, "Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, et ex tota mente tua, et ex tota anima tua, et proximum tuum sicut teipsum."
Oritur autem amor Dei a gracia Dei patris. Unde dixit Dominus Ihesus Christus, "Nemo potest venire ad me, nisi Pater meus traxerit eum." Subaudi: per gratiam ad nostri amorem.
Intrat vero mentes hominum amor Dei per aures Dei inspiratione. Nam sicut beata Dei genitrix virgo semper Maria angelo annunciante per aures concepit filium Dei Dominum nostrum Ihesum Christum, ita amor Dei et illius dilectio intrat per aures corda et mentes hominum Dei inspiratione, cum de Deo nobis aliquid annunciatur.
Dicitur autem amicus omni custos unus. Est ergo verus amicus per excellentiam, hoc est Deus. Ille enim solus potest animum tuum custodire et animam tuam salvare. Ille namque talis est amicus, et taliter nos omnes diligit quod omnes vult salvari et neminem perire,
et gaudet adeo super peccatoribus penitentiam agentibus: ut "maius gaudium sit ei super uno pecatore penitentiam agente, quam super nonaginta novem iustis," ut in evangelio dicitur.
Et talis est amicus quod eciam servos vocavit amicos, dicendo apostolis, "Vos amici mei estis."
Et eciam cum veniret Iudas ad tradendum eum, vocavit eum amicum, dicendo ei, "Amice, ad quid venisti?"
Et non tantum nos diligit, sed eciam omnia nobis bona tribuit, et pro nobis creavit omnia, et omnia inspirat. Ut ait Apostolus, "Deus, qui fecit mundum, et omnia que in eo sunt, hic Dominus est celi et terre, et nullo indigens creavit omnia, et omnia inspirat: fecitque de uno omnem hominem habitare super universam faciem terre."
Illius ergo amorem toto affectu conplectere ut eius amicitiis effitiaris. Nam si eum dilexeris ipse te diliget, ut ipsemet dixit: "Ego diligentes me diligo."
Et Apostolus in epistola ad Romanos dixit, "Scimus autem quoniam diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum."
Et eciam in Ysaia scriptum est, "Quid oculus non vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit, que preparavit Deus diligentibus his qui diligunt eum."
[CAPUT IV.] Quomodo acquiritur amor Dei et dilectio Dei per fidem.
Amor autem et dilectio Dei acquiritur per fidem, spem, et karitatem.
Per fidem vero que secundum Apostolum dicitur, "Sperandarum rerum substantia, argumentum non apparentum," acquiritur amor et dilectio Dei.
Unde Apostolus dixit, Sancti per fidem vicerunt regna, operati sunt iustitiam, adepti repromissiones, obturaverunt ora leonum, et extinxerunt impetum ignis, effugaverunt acciem gladii, convolaverunt de infirmitate, fortes facti sunt in bello, castra everterunt exterorum: acceperunt de resurrectione mortuos suos.
De qua sanctus Iohannes episcopus dixit, Fides est religionis sanctissime fundamentum, karitas vinculum, amoris subsidui;
hoc sanctitatem firmat, castitatem roborat, dignitatem exhoruat; in pueris splendet, in iuvenibus floret, in provectis apparet; gubernat sexus, gradus provehit, offitia cuncta custodit; in paupere grata est, in mediocri lecta, in locuple honesta.
Fides amicitias servat, copulat, artes commendat, nullum despicit, nullum contempnit, nulli deest, nisi qui ei forte defuerit.
Fides mandata tenet, precepta servat, promissa consumat. Fides familiares efficit Deo; amicos constituit ergo.
Quam fidem eciam Seneca epistolarum commendat, dicens: "Fides sanctissimum humani pectoris bonum est, que nulla necessitate ad fallendum cogitur, nullo corrumpitur premio."
Et Tullius De Amicitia commendavit fidem, dicens: "Firmamentum autem stabilitatis constancieque est, quam in animo gerimus, fides. Neque enim fidum potest esse multiplex ingenium et tortuosum."
Et fides ita placuit Deo, quid Dominus noster Ihesus Christus neminem sanabat, nisi firmam fidem in eo haberet. Habentes autem firmam fidem sanabat. Insuper et salvabat, dicendo, "Fides tua te salvum fecit," ut dixit ceco cui visum restituit, et leproso quem mundavit, et multis aliis.
In fide enim ministrare debes virtutem, ut beatus Petrus in epistola sua secunda ait, dicens: Vos autem curam omnen subinferentes, ministrare in fide vestra virtutem, in virtute autem scientiam, in scientia autem abstinenciam, in abstinencia autem pacientiam, in pacientia pietatem, in pietate autem amorem fraternitatis caritatem.
Per fidem certe homo Deo ut placuit ut latro in cruce, et sine fide displicet homo. Unde Apostolus ait, "Impossibile sine fide aliquem placere Deo."
Et per fidem eciam vincimus mundum. Unde beatus Iohannes in epistola sua dixit, "Hec est victoria que vicit mundum, fides nostra."
Et eciam ex fide iusti vivunt. Unde Apostolus in epistola ad Romanos dixit, "Iustus autem ex fide vivit."
Et intelligo fidem catholicam, hoc est universalem, quam Romana ecclesia docet, colit et veneratur, secundum quod in "Quicumque vult," et in "Credo in Deum" continetur.
Et intelligas fidem vivam et non mortuam; hoc est bonis operibus vestitam. Nam ut ait Apostolus, "Fides sine operibus mortua est."
Et licet in operibus quandoque successit desit, quia opera non sortiuntur effectum, fides tamen propter hoc non est derelinquenda.
Nam dixit quidam sapiens, "Malo mihi successum deesse quam fidem." Nam ut quidam sapiens dixit, "Fidem qui perdit, quo se servet non est relictum."
Et intelligas fidem firmam et indubitatam. Nam de facto Dei nullo modo debes dubitare.
Beatus Petrus apostolus, cum Dominus Ihesus Christus ambularet super aquas maris, dixit ei: "Si tu es Dominus, iube venire ad te."
Et cum iuxta preceptum Dei ambularet super aquas maris, dubitavit. Unde statim cepit submergi propter dubitationem. Quare Dominus apprehendens eum per manum sublevavit eum, dicens: "Modice fidei, quare dubitasti?"
Et alibi beatus Iacobus in epistola sua prima dixit, Si quis autem vestrum indiget sapientia, postulet a Deo, qui dat omnibus habundanter, et non improperat: et dabitur ei.
Postulet autem in fide nichil hesitans: qui enim hesitat, similis est fluctui maris, qui a vento movetur et circumfertur: non ergo extimet homo ille quod vir duplex animo inconstans est in omnibus viis suis.
Et eciam Dominus in evangelio dixit, Amen dico vobis, si habueritis fidem, et non hesitaveritis, si monti et huic dixeritis: tolle, et iacta te in mare, fiet. Et omnia quecumque pecieritis in oratione credentes, accipietis.
Et in Ecclesiastico dicitur, "Cor ingrediens duas vias non habebit tequiem, et pravi cordis nullis scandalizabitur."
Et Seneca in epistolis dixit, "Qui, quo destinavit, pervenire vult, unam sequatur viam, et non per multas vagetur."
Et alibi, "Vita sine proposito vaga est: nichilque turpius dubio et incerto actu."
[CAPUT V.] Per spem.
Per spem autem acquiritur amor et dilectio Dei. Spes est expectatio certa future beatitudinis.
De qua spe namque dicitur, "Spera in Deo, et fac bonitatem." "Inquire pacem, et persequere eam."
Et alibi, "Iacta cogitatum tuum in Domino, et ipse te enutriet."
Et alibi, "Revela Domino viam tuam, et spera in eo, et ipse faciet."
Salvat enim Dominus omnes sperantes in se, ut ait propheta: "Mirifica misericordias tuas, qui salvos facis sperantes in te."
Nam sperantes firmiter in Domino ab eo proteguntur et liberantur ab eo, nec confunduntur, nec infirmantur, et ab eo redimuntur et pascuntur eciam in divitiis eius.
Ut ait propheta, "Et sperent in te qui noverunt nomen tuum, quoniam non dereliquisti querentes te, Domine."
Et alibi, "Deus meus, inpolluta via eius, eloquia Domini igne examinata, protector est omnium sperantium in se."
Et alibi, "In te speraverunt patres nostri; speraverunt, et liberasti eos. Ad te clamaverunt, et salvi sunt; in te speraverunt, et non sunt confusi."
Et alibi, "Iudica me, quoniam ego in innocencia mea ingressus sum, in Domino sperans non infirmabor."
Et alibi, "In te, Domine, speravi; non confundar in aeternum; in iustitia tua libera me."
Et alibi, "Redimet Dominus animas servorum suorum, et non dereliquid omnes qui sperant in eo."
Et alibi, "Spera in Domino, et fac bonitatem: et inhabita terram, et pasceris in divitiis eiius."
Et alibi, "Adiuvabit eos Dominus, et liberabit eos; et eruet eos a peccatoribus, et salvabit eos, quia speraverunt in eo."
Et alibi dixit Apostolus in epistola ad Romanos, "Spe enim salvi facti sumus. Spes autem que videtur, non est spes."
Et nota quod "spes est ultimum malorum solatium," ut dixit Seneca De Legalibus Institutis.
[CAPUT VI.] Per karitatem.
Per caritatem autem acquiritur amor et dilectio Dei, quia per illam omnes virtutes et omnia bona condiuntur.
Nam ut ait beatus Petrus in epistola sua prima, "Caritas operit multitudinem peccatorum."
Adeo ut dicatur, "Habeas caritatem et fac quicquid vis." Nam "Deus caritas est: et qui manet in caritate, in Deo manet, et Deus in eo," ut beatus Iohannes in epistola sua dixit.
Est autem karitas, secundum Augustinum, animi motus ad serviendum Deo propter se, et sibi et proximo propter Deum.
Et caritatem habeas secundum quod in epistola sancti Pauli diffinitur, et amicus Dei reputaberis.
Intelligo eciam caritatem, id est, helimosinam. Unde dicitur, "Date helimosinam: et omnia munda erunt vobis."
Et alibi dicitur per sapientem, "Qui obturat aurem suam ad clamorem pauperis, ipse clamabit, et non exaudietur."
Et alibi, "Qui dat pauperi non indigebit: qui autem despicit deprecantem sustinebit penuriam."
Et Seneca dixit, "Habet in adversis consilia, qui in prosperis commodat."
Et alibi filius Sirac dixit, "Elemosina viri quasi saculum cum ipso."
Et alibi Ysaias dixit, Frange panem tuum esurienti, et egenos vagosque unduc in domum tuam; si videris nudum, operi eum, et carnem tuam ne despexeris. Tunc erumpet quasi mane lumen tuum; et sanitas tua orietur.
Nunquam enim Deus melius cognoscitur quam per fractionem panis causa helimosine faciende,
quod manifeste potes per evangelium Dei cognoscere. Nam apostoli qui cum Domino cotidie conversati fuerant, post illius resurrectionem eum non cognoscebant, licet eum viderent exponentem eis scripturas et incipientem a Moysem et prophetis.
"Cognoverunt tamen eum in fractione panis," quasi Dominus daret illis manifeste intelligere quod Deus nunquam melius cognoscitur nec occuli peccatorum ad cognitionem Dei melius aperiuntur quam per fractionem panis ad helimosinam faciendam.
Per helimosinam enim efficitur homo beatus, et in die mala a Domino liberabitur. Fit eciam ioctundus et sermones suos in iuditio bene disponet.
Ut ait propheta, "Beatus qui intelligit super egenum et pauperem: in die mala liberabit eum Dominus."
Et alibi, "Iocundus homo qui miseretur et commodat, disponet sermones suos in iuditio; quia in eternum non commovebitur."
Multis enim rationibus debemus ylariter helimosinas facere, quia "Ilarem datorem diligit Deus," ut dixit Apostolus in epistola sua ad Corinthios, et quia predicta bona inde consequimur,
et quia cum damus helimosinas non eas ammittimus, sed nobis eas conservamus. Et per eas in domo Domini recipimur. Unde dicit Dominus, "Facite vobis amicos de mammona iniquitatis: qui recipiant vos in eterna tabernacula."
Et quia dando helymosinam, non tantum pauperi damus, sed ipsi Deo, ut ipsemet testatur dicens, "Que uni ex minimis meis fecistis, mihi fecistis."
Et eciam quidam sapiens dixit, Quisquis es, in mensa primum de paupere pensa; Nam dum pascis amice Deum pauperis in specie, nam latet ipse Deus.
Bonum est ergo helimosina donum, quod cum donatur nobis conservatur, et in thesauris Dei nobis reconditur, unde dicit Dominus, "Thesaurizate vobis thesaurum in celo, ubi nec erugo neque tinea demolitur."
Et eciam Marcialis Cocus dixit, Qui iustis sanctisque viris, Tigille, ministrat, Sumit ubi donat, spargit et accumulat. Qui vero indignis bis munera prestita perdit, Et quoniam donat, donat et inmeritis.
Tu quoque communis meretricibus et parasitis Quicquid habes perdis, perderis ergo miser.
Quidam tamen philosophus dixit, "Si imitaris, da ingratis." Nam et sceleratis et piratis maria patent.
Omnibus ergo pauperibus benefacere debes, non advertendo faciem tuam ab ullo paupere, secundum Tobiam qui ait, De substantia tua fac helemosinam, et noli avertere faciem tuam ab ullo paupere: ita fiet ut nec a te avertatur facies Domini.
Quantomodo potueris, misericors esto. Si multum tibi fuerit, habundanter tribue: si exiguum fuerit, eciam exiguum libenter impertiri stude.
Premium enim bonum thesaurizas tibi in die necessitatis; quoniam helimosina ab omni peccato et a morte liberat, et non patitur animam ire in tenebris. Fiducia magna erit coram summo Deo helemosina omnibus qui faciunt eam.
Et angelus Raphael dixit ad Tobiam, Bona est oratio cum ieiunio et helimosina magis quam thesauros auri recondere: quoniam helimosina a morte liberat, et purgat peccata, et facit invenire vitam eternam. Qui autem faciunt peccatum et iniquitatem, hostes sunt anime sue.
Et ideo forte Daniel propheta dixit Nabuchodonosor regi qui previderat destructionem regni sui per sompnium arboris, Placeat tibi, rex, consilium meum; peccata tua helimosinis redime, et iniquitates tuas miserationibus pauperum: et forsitan ignoscet tibi Deus peccata tua.
Nec credas quod propter copiam helemosinarum bona tua decrescant vel minuantur; immo credas que augentur et crescunt, nam sicut quando lucet candela et ardet, et lumen ab ea sumitur, lumen prime candele non minuitur, sed duplicatur, ita per datum helimosinarum substantia tua crescit et augetur.
Quod potes manifeste cognoscere per exempla divina. Deus enim noster Ihesus Christus cum vidisset turbam que secuta fuerat eum in deserto, misertus fuit super eam dicens, "Si dimisero eos ieiunos, in via deficient."
Et volens facere helimosinam de substantia sua ab eo creata, pavit .v. milia hominum exceptis parvulis et mulieribus de .v. panibus et duobus piscibus.
Elimosina Dei ita facta, substantia Dei ab eo creata in tantum crevit et habundavit ut ex reliquiis panum et piscium que superfuerant et habundaverant duodecim cophini replerentur.
Similiter substantia Domini habundavit et crevit quando pavit Dominus .iiiior. milia hominum extra parvulos et mulieres de vii. panibus et pisciculis paucis et ex reliquiis que superfuerant .vii. sporte collecte sunt fragmentorum plene.
Potes eciam cognoscere quod divitie hominum non minuuntur, sed crescunt per elimosinas per multa exempla humana. Nam multas bonas domos vidi quarum divitie habundaverunt et creverunt quando helimosine in eis habundabant et habundanter fiebant. Elimosinis autem per avaritiam annichilata sunt penitus et destructa.
Sicut enim homo per elimosinas efficitur beatus et in eterna tabernacula recipitir, ita per subtractionem helimosinarum per avariciam efficiter homicida et recta via vadit ad tartara.
Unde dicitur, "Si videris fratrem tuum fame morientem nec paveris, occidisti."
Et Cassiodorus dixit, "Merito quando quis potest esurientibus subvenire si non pascit extingunt."
Elimosina certe exstingit peccatum. Unde Ihesus filius Syrac dixit, Ignem ardentem exstinguit aqua, sic elimosina extinguit peccata et resistit peccatis.
Fili, helimosinam pauperis ne defraudes, et oculos tuos ne a paupere. Animam esurientem ne despexeris, et si exasperes inopiam suam. Ab inope ne avertas oculos propter iram; et non relinquas querentibus te retro maledicere.
Et alibi, "Conclude ehlimosinam in cor pauperis, et hec pro te exorabit ab omni malo."
Et beatus Iohannes in epistola sua dixit, "Qui habuerit substantiam mundi, et viderit fratrem suum necessitatem pacientem, et clauserit viscera sua ab eo: quomodo caritas Dei manet in eo?"
Ut ergo mortem evites et recipiaris in paradisum, secundum quod Apostolus dixit in epistola ad Galathas, "Opereris bonum ad omnes, et maxime ad domesticos fidei."
"Ad omnes" dico quibus commode benefacere potes. Nemo enim de substantia huius mundi benefacere potest omnibus nisi solus Deus.
Omnibus ergo benefac et maxime egenis. Ait enim Cassiodorus, "Egentibus iussum est non divitibus subveniri; fundit potius qui mittit in plenum."
"Honora ergo Dominum de substantia tua omnium frugum tuarum et inplebuntur horrea tua saturitate, et vino torcularia redundabunt," ut Salomon dixit.
Honorare ergo debes Dominum de tua substantia, et cum usuris melioratam accipies. Nam ut ait idem, "Feneratur Domino qui miseretur pauperis, et vicissitudinem suam reddet ei."
Ait enim Ysaias, Cum funderis animam tuam esurienti; et animam efflictam repleveris, orietur in tenebris lux tua, et tenebre tue erunt sicut meridies.
Et requiem tibi dabit Dominus Deus semper, salvabit in splendoribus animam tuam, et ossa tua liberabit, et eris quasi ortus irriguus, et sicut fons vivus cuius non deficiunt aque.
Et honorare debes Dominum de tua substantia, et cum esurienti panem tuum dividere, et habebis laudem in Deo. Ut ait Seneca in epistolis suis, "Magna quidem laus est, naufrago manum porrigere, erranti viam monstrare, et esurienti panem suum dividere."
Non tamen facere debes amore laudis sed tribuere debes de tua substantia bona intentione et non ex vana gloria. Nam ut ait Dominus, "Cum, facis elimosinam, noli tuba canere, sed secreto ut nesciat sinistra tua quod faciat dextra tua."
Facias ergo helimosinas ylariter et non triste. Nam ut Marcialis Cocus dixit, Si donas tristis, et dona et premia perdis.
Et habunde facias helimosinam secundum vires et facultates tuas et ex tua habundantia, ut helemosine tue non sint aliis consolatio, tibi autem tribulatio,
nec expectes quod filii tui pro te vel alii faciant helemosinas, vel ablata restituant. Dixit enim filius Syrac, "Ante mortem benefac amico tuo, et secundum vires tuas exporigens da pauperi. Nonne alii relinques labores tuos."
Nam ut ait Apostolus Paulus in epistola ad Corrinthios, Si enim voluntas prompta est, secundum id quod habet, accepta est, et non secundum id quod non habet. Non enim ut aliis sit remissio, vobis autem tribulatio, sed ex equalitate. In presenti tempore vestra habundantia aliorum inopiam suppleat: sicut illorum habundantia vestre debet esse inopie supplementum.
Et eciam Seneca in Beneficiis dixit, "Dabo egenti sed ut ipse non egeam; succuram perituro sed ut ipse non peream."
Et Martialis Cocus dixit, Ne noceas tibi, aliis prodesse memento; Velle beare alios, prope odire te, miserum est.
Et Cato dixit, Sic bonus esto bonis, ne te mala damna sequantur.
Et non solum tibi nocere non debes propter munificentiam vel liberalitatem tuam, sed nec aliis. Ait enim Cassiodorus, "Munificentiam nostram nulli volumus extare dampnosam, neque alteri tribuitur, alterius dispendio applicetur."
Inde eciam Tullius dixit, Videndum est ut ea libertate utamur que prosit amicis, neminem noceat.
Et tali liberalitate uti debemus ut de nostro, non de alieno tribuamus. Tribuere enim de alieno non est iustum; ergo nec liberare. Unde idem Tullius dixit, "Nichil est liberale quod non sit iustum."
Et cavere debemus ne maior sit tribuendi benignitas quam facultates. Ut idem dixit,
"Secundum ergo facultates et posse tuum serva." Cassiodori dictum eorum ait, "Persona tua refugium sit oppresso, infirmi defensio, et presidium aliqua calamitate concluso."
[CAPUT VII.] Qualiter retineatur amor Dei.
Retinetur amor et illius dilectio perseverantia. Unde dicitur, non qui inceperit, sed qui perseveravit aptus regno Dei. "Qui autem perseveraverit usque in finem, hic salvus erit."
Et alibi eciam dicitur, "Nemo mittens manum ad aratrum, respiciens retro, aptus est regno celorum."
Et sanctus Iohannes in epistola sua dixit, "Omnis qui precedit, et non permanet in doctrina Christi, Deum non habet: qui permanet in doctrina eius, hic Filium et Patrem habet."
De amore Dei et dilectione illius, per magnitudinem negotii et mei paucitatem ingenii ad plenum te non possum docere. Sed hoc me breviter et succincte quasi sumatim tibi scripsisse sufficiat;
tu autem ex tuo ingenio ad non tibi prestito semper augeas et suparaddas ut per Dei gratiam ad illius amorem et dilectionem valeas pervenire.
LIBER SECUNDUS. DE AMORE PROXIMI ET DILECTIONE LIBER.
Habito tractatu de amore Dei et dilectione ipsius, tractandtum est de amore et dilectione proximi, que illi coheret et sine qua Dei amor haberi non potest.
Ut sanctus Iohannes in epistola sua dixit, "Et omnis qui diligit fratrem, ex Deo natus est, et cognoscit Deum. Qui non diligit, non novit Deum: quoniam Deus caritas est."
Et alibi eciam dixit, Si quis dixerit quoniam diligo Deum, et fratrem suum odit, mendax est. Qui non diligit fratrem suum quem videt, Deum, quem non videt, quomodo potest diligere?
Et hoc mandatum habemus a Deo: qui diligit Deum diligat et fratrem suum.
Et beatus Paulus dixit, "Qui diligit proximum, legem implevit."
Et a sapiente eciam dictum est, In tribus placitum est spiritui meo, que sunt probata coram Deo et hominibus: concordia fratrum, et amor proximorum, et vir et uxor sibi consencientes. Tres autem species odivit anima mea: pauperem superbum, divitem mendacem, et senem fatuum et insensatum.
Et eciam cum Dominus dixisset, "Diligens Deum tuum ex toto corde tuo, et ex tota anima tua, et ex tota mente tua," statim subiunxit, "Et proximum tuum, sicut teipsum," dicens, "In hiis duobus mandatis tota lex pendet, et prophete."
Diligas ergo proximum sicut te ipsum, ut istud "sicut" notet simillitudinem et non quantitatem. Nemo enim potest tantum alium diligere quantum ad ipsum diligit; sufficit enim si diligis proximum ad id ad quod te ipsum diligis, id est, ad vitam eternam.
Omnes ergo homines generaliter et universaliter in proximo sunt diligendi. Nam voluntatem debes habere et eciam in actu prout potes complere ut homines boni sint et Deo serviant, et bona opera in paradisum vadant.
Recto igitur amore omnes diligas, non pravo. Amor enim alius est rectus qui dicitur caritas, de quo supra dixi in titulo De Amore et Dilectione Dei; alius vero pravus, qui cupiditas potest nuncupari.
De quo Valterius tractavit illumque difinivit dicens: Amor est passio quedam innata procedens ex visione et inmoderata cogitatione forme alterius sexus, ob quam quidem aliquis super omnia cupit alterius potiri amplexibus, et omnia de utriusque voluntate in ipsius amplexu amoris precepta conpecti.
Diligas ergo homines in bonum et non in malum. Nam Apostolus dicit, "Noli vinci a malo, sed vince in bono malum."
Et alibi in epistola ad Romanos, "Unusquisque vestrum proximo suo placet in bonum."
Qui enim diligit alium consentiendo malo non illum diligit, sed pocius odit, se ipsum dampnat. "Bis enim peccat qui peccato obsequium accommodat," qui enim peccat,
ut sanctus Prosper dixit, "Homines sic sunt diligendi, ut erores non diligantur."
De amore igitur hominis in hominem dic ut plenius notavit Augustinus in sermone suo qui legitur in Dominica post Pentecostem, qui sic incipit "Non solum in novo," et cetera.
[Caput I.] Unde oriatur amor et qualiter.
Et nota quod amor ad modum cristali oritur, coagulatur, vel gelatur, zelatur, in amicitiam convertitur, et per bonam conversationem et longam consuetudinem quasi in naturam deducitur, adeo ut quasi lapis clarus efficiatur.
"Amor hominis velud lacrima ab oculis oritur et in pectus cadit." Oritur et quandoque ab auribus. Nam si audieris tibi filium esse natum quem nunquam vidisti, per solum auditum aurium concipitur amor in corde tuo, ut eum incipias diligere.
Idem eciam est cum de aliquo bono homine multa bona audis, vel servitia ab eo percipis. Concipis enim amorem per aures ad illum diligendum.
Coagulatur autem et celatur itaque in amicitiam convertitur per fidem, per convivium, per locutionem sive loquelam, et per bona servitia invicem data et accepta.
Per fidem coagulatur, secundum Senecam qui ait, "Amici fides coagulatum est amicitie, sapientia firmamentum."
Per convivium autem inter bonos homines coagulatur amor, ut dixit quidam sapiens: "Convivium est coagulum amicitie inter bonos; inter malos autem discensio."
Unde dixit Seneca in epistolis, "Ante circumspiciendum est cum quibus edas et bibas, quam quid edas et bibas. Epulatio sine amico leonis ac lupi vita est."
"Superbo oculo et insaciabili corde cum hoc non edebam,"
licet autem sit "convivium coagulum amicitie." Non tamen frequentandum est multis rationibus, et quia in convivio multi mali homines quandoque congregantur, et quia discensiones maxime inde quandoque oriuntur, et quia superfluitates multe illic fiunt, et quia per convivia frequentia substantia hominum valde minoratur.
Unde Salomon dixit, "Melius est ire ad domum luctus quam ad domum convivi."
Et Cato dixit, "Raro convivare."
Per locutionem autem bonam coagulatur amor et in amicitiam cadit. Unde quidam sapiens dixit, "Principium amicitie est bene loqui; maledicere vero exordium inimicitiarum."
Et eciam Pamfilius dixit, "Excitat et nutrit facundia dulcis amorem."
Per bona autem obsequia invicem data atque recepta, zelatur amor et cadit in amicitiam. Et efficitur homo zelosus, unde dicitur: "Zelosus domus tue comodit me."
Et alibi, "Noli emulari in malignantibus, neque zela eris facientes iniquitatem." Quare Regula Amoris dicit, "Qui non zelat, amare non potest," et: "Ex vera zelotypia affectus semper cressit amandi mutua."
Per mutua eciam servitia invicem data atque recepta, acquiritur amicitia et conservatur et retinetur. Unde dici consuevit, "Audio sic dici: dando retinentur amici."
Et Cato dixit, Obsequio quoniam dulces retinentur amici.
Ne dubitas cum magna petas impendere parva: His etenim rebus coniungit gratia caros.
Et alibi, "Dapsilis interdum notis caris amicis."
Quod donare potes, gratis concede roganti! Nam recte fecisse bonis, in parte lucrorum est.
Et Terentius dixit, "Obsequium amicos, veritas odium parit."
Si enim ab amico tamen modo sumpseris, nunquam illi tribuendo, illius amicitiam merito perdes. Cum autem semper dampna suscipiat, nunquam autem lucra
amicus enim utilitatis causa assumitur, et si parte semper dampna patitur. Tua amici ipsi non placebit. Nam ut dixit philosophus, "Qui utilitatis causa assumptus est, tamdiu placebit quamdiu utilis fuerit."
Et certe si amicus tibi sepe dederit, decuit te illi reddere. Unde quidam philosophus dixit, "Beneficium sepe dare, docere est reddere."
Licet enim Seneca epistolarum dixit, "Beneficiorum usum gratum homines esse putant: illa crescunt mora et tanto plus solvendum est, quanto tardius. Ingratus est, qui beneficium reddit sine usura."
Sed licet beneficia per moram crescant; non tamen congrua mora in hiis est reprehendenda. Nam dixit quidam philosophus, "Tene rectam iustitiam inter homines, et diligunt te; et non properes ulli reddere mutuum boni vel mali, quia diutius expectabit te amicus et diutius timebit te inimicus."
Reddere debes ergo beneficium amico cum usuris si potes. Alioquin in memoria frequenter habeas beneficium tibi collatum, et benefactorem inde collaudes. Ait enim Seneca, "Satis magna est usura pro beneficio memoria."
Et eciam benefactorem reverearis et timeas. Nam ut idem ait, "Optime positum est beneficium, ubi meminit, qui accipiunt."
Et diligenter caveas, ne reddeas malum pro bono, sive beneficio, quod esset iniquum nec tollerandum a Deo. Nam ut Salomon in Proverbiis, "Qui reddit mala pro bonis, non recedet malum de domo eius."
Et si nunquam amico tribuis, iniuste postea ab eo petis.
Et alibi dicitur, "Beneficium qui dare nescit, iniuste petit."
Immo eciam in odium cadit. Ut Seneca dixit, "Nullum est odium perniciosius quam beneficii violati pudere."
Libentius enim debes beneficium reddere, quam de novo recipere. Inde eciam idem Seneca dixit, Errat, qui beneficium accipit libentius quam reddeat: quanto ilarior est qui solvit quam qui mutuat, tanto debet esse ylarior, qui se maximo here alieno accepti beneficii exhonorat, quam qui maximo obligatur.
Qui enim de accipiendo cogitat, oblitus est accepti.
Nec est amicitia, sed negotiatio, que ad commodum accidit, que quod consuecutura sit, spectat.
Quare dictum est, "Dignus decipi qui de recipiendo cogitat dum dat."
Quod si reddere beneficium factis non potes, saltem per confessionem beneficii retribue. Nam ut ait idem Seneca, "Interdum autem solutio est beneficii ipsa confessio."
Que negatio autem beneficii ad malignitatem et ingratitudinem spectat. Unde quidam philosophus dixit, "Benefactum qui denegat, coram oculis omnia cernentis se accusat."
De quibus beneficiis et servitiis dandis et recipiendis plenius nota ibidem in titulo De Retinendis Amicis.
Placeat autem tibi alterius amicitiam et amici commodo conservare et non cum alterius incommodo sive sit amicus sive inimicus. Nam ut ait Tullius De Officiis, "Neque dolor, neque mors, neque aliud, quod extrinsecus homini accidere possit, tam est contra naturam, quam ex alieno incommodo suum augere commodum."
Unde Seneca dixit, "Satius est sua mala quam aliena tractare."
Et alibi, "Miserius est nocere quam ledi."
Per bonam autem conversationem et longam consuetudinem in naturam convertitur a Deo, ut quasi lapis efficiatur, quia consuetudo est altera natura.
Sicut enim aqua funtis et putei assidua et longa consuetudine semper melior efficitur, ita amor inveteratus semper novo melior invenitur.
Unde Ihesus filius Sirac dixit, "Vinum novum et amicus novus; invetrescant, et cum suavitate bibes illud."
Et alibi, "Amicum tuum et amicum natris tui non derelinquas; novus enim non erit similis illi."
Et nota quod sicut antiqua amicitia per longam consuetudinem in habitum mentis sumpta ita congelatur quod quasi lapis clarus efficiatur, ita ira inveterata odium dicitur, et odium inveteratum a Deo in naturam convertitur. In inimico antiquo numquam confidere possis.
Unde quidam philosophus dixit, "Ne associes te inimicis tuis, cum alios possis reperire socios; que enim mala egeris notabunt, que vero bona fuerint, deviabunt."
Plus vero dixit alius philosophus, videlicet: Ignotos quasi inimicos esse vitandos et in eis non esse confidendum ante cognitionem.
Ait enim: Non aggrediaris viam cum aliquo, nisi eum prius agnoveris! Si quisquam tibi in via ignotus se associaverit iterque tuum investigaverit, dic te velle longius ire quam disposueris; et si detulerit lanceam, vade ad dextram; si ensem, ad sinistram.
Salomon vero de inimio antiqua dixit, "Inimico antiquo ne credas in eternum; et si humiliatus vadat curvus." "Ne credas ei; captus enim utilitate, non amicitia, revertitur voluntate, ut capiat fugiendo, quod non potuit persequendo."
Et alibi, "In oculis tuis lacrimabitur inimicus, et si viderit tempus, non satiabitur sanguine tuo."
Quare Seneca dixit, "Pro amico potius occidi expedit, quam cum inimico vivare."
Et eciam Ysoppus dixit, Ne confidatis secreta nec his retegatis, Cum quibus egistis pugne discrimina tristis.
Et alibi idem dixit, Nulla fides hosti tibi sit, qui talia nosti, Prorsus et hostilia tibi sit persuasio vilis. Fraude necis dire, nec sic videare perire.
Nam et quidam philosophus dixit, "Cum inimico nemo tute in gratiam redit."
Quia ut ait Seneca, "Numquam ubi fumat diu ignis deficit vapor,"
enim odii semper "latet in pectore inimici." Et "odium" secundum Tullium "est venenum amicitie," quare amicitia eius vel gratia quesita, de facili non bene potest durare.
Et alius dixit, "Inimici ad animum nulle preces conveniunt."
[Caput II.] De incommodis amoris pravi.
Et nota quod amoris multa sunt incomoda, si in pravam partem inclinet.
Nam ut ait Seneca, "Semper in amorem causa dampni quere."
Et alius dixit, "Cum amas, non sapies; cum sapies, non amabis."
Et Regule Amoris dicunt, "Minus dormit et edit, quem amoris cogitatio vexat."
Et: "Quilibet amantis actus in coamantis cogitatione finitur."
"Verus amans nil beatum credit nisi quod cogitet coamanti placere."
Et: "Amor nil posset amanti denegare."
Et: "Non solvet amare, quem nimia voluptatis habundantia vexat."
Et: "Amans coamantis solatiis satiari non potest."
Et: "Amorosus et omnis consuevit amans in coamantis aspectu pallescere."
Et: "In repentina coamantis visione contremescit amans."
Et: "Verus amor assidua sine intermissione coamantis ymaginatione detinetur."
Et poeta dixit, "Res est solliciti plena timoris amor."
Hiis itaque pensatis et multis aliis que vix possent enarrare vel cogitari, Ovidius epistolarum appellat amorem orbum et non videntem dicens, Victa precor genibusque tuis regalia tendo Brachia quid deceat, non videt ullus amans.
Et lex vocat amorem furiosum dicens, "Amoris furore nichil est vehementius; quem retinere perfecte est philosophie."
Retinere ergo amorem tuum et restringere debes, ne amor qui rectus esse debet pravus efficiatur. Sicut enim puer nisi per virgam et baculum castigaretur, stultus fieret,
ut ait sapiens: "Stultitia colligata est in corde pueri, virgula et baculus fugabunt eam."
Et propheta eciam dixit, "Virga tua, et baculus tuus, ipsa me consolata sunt.
Ita amor nisi restringeretur efficeret vagus, et in cupiditatem et in libidinem caderet, que vitia non sunt immitanda, sed penitus fugienda."
Nam dixit sapiens, "Post concupiscentias tuas non eas," in derisum inimicorum tuorum.
Et alius dixit, "In bello corpora hominum gladiis, in pace voluptatibus vulnerantur."
Ovidius dixit, Utile propositum est sevas extinguere flammas Nec servum vitii pectus habere tuum.
Amorem autem tuum non bene restringere potes quando oriatur. Primus enim motus amoris qui per oculos et aures oritur in nobis non est. Primi nota quod motus, id est, motus qui oriuntur a quinque sensibus - hoc est a visu, auditu, gustu, odoratu, et tactu -, in nobis non sunt, sed in Domino qui prestitit nobis illos sensus. Nam eo ipso quod vides vel audis rem placabilem, moveris ad illam diligendam.
Quare Seneca dixit, "Nec mortem effugere, nec amorem quisquam potest."
Restituere tamen potes motum illium, ne amor in amicitiam malam convertatur.
Et licet dixerim ortum amoris non bene posse restringi, restringitur tamen quandoque avertendo oculos ne videant vanitatem, ut ait propheta, "Averte oculos tuos, ne videant vanitatem."
Nam ut ait Tullius, "Non solum manus, sed eciam oculos abstinentes oportet habere."
Abstinendo aures ne de amore prava audiant ad "similitudinem aspidis surdi obturantis aures suas, que que non exaudiet vocem incantantium et venefici incantamentis sapienter." Et abstinendo linguam ne de amore prava loquatur.
Nam ut Apostolus, "Turpia coloquia bonos mores corrumpunt."
Et quidam sapiens dixit, "Sermo luxurie argumentum est luxurie."
Et Seneca dixit, "A verbis quoque turpibus abstineto, quia licentia eorum impudentiam nutrit."
Et Socrates dixit, "Que facere turpe est, et nec dicere honestum puto."
Nec eciam putes te turpia et inhonesta facere posse. Nam ut ait lex, Que facta pietatem vel extimationem vel verecundiam nostram ledunt, et ut generaliter dicam, que contra mores fiunt, nec nos facere posse credendum est quoque animo fiant.
Nam ut dixit quidam philosophus, Nichil interest, quo animo facias, quod facere vitiosum est; Nam facta cernuntur, animus non videtur.
Amori ergo tuo frenum imponas, eiusque habenas taliter retineas ut si amor tuus ab oculis ortus te scandalizat, verbum Domini observes, qui dixit, "Si occulus tuus scandalizat te, abscide eum, et prohice abs te."
Impera ergo occulis tuis ne pecceant. Nam ut dixit sapiens, "Nichil peccant occuli, si oculis animus imperat."
Alioquin insaciabiles essent oculi; nam dixit sapiens: "Infernus et perditio non implebuntur: similiter et oculi hominum insatiabiles."
Amorem itaque tuum occulis et auribus et lingue et animo imperando taliter restringas ac domes ut non efficiatur pravus, nec convertatur in amicitiam stulti, vel insipientis, nec in amicitiam avari, vel cupidi, vel perversi, vel superbi, vel fatui, sive loquacis et linguosi, vel iracundi.
Et ut generaliter dicam, omnium malorum hominum amicitia districta est penitus evitanda.
[Caput III.] De amicitia stulti vel insipientis vitanda.
Amicitia stulti vel insipientis ideo non est amplectenda, quia "stulti aliena vitia cernunt et suorum obliviscuntur." Unde quidam philosophus dixit, "Proprium est stultitie aliena vitia cernere, suorum oblivisci."
Et quia cogitationes Dei non intelligit, ut ait propheta: "Vir insipiens non cognoscit, et stultus non intelliget hec."
Nec recipiunt stulti correctionem, sed vie sue inherent. Unde sapiens ait, "In auribus inscipientium ne loquaris, quia despicient doctrinam eloquii tui."
Et alibi, "Via stulti recta est in occulis eius, sapiens autem audit consilia."
Et alibi, "Noli arguere irrisorem, ne te oderit: argue sapientem, et diliget te."
Et alibi, "Si contuderis stultum in pila quasi ptisanas feriente desuper pilo, non auferetur ab eo stultitia."
Et alibi, "Cor sapientis in dextera eius, et cor stulti in sinistra eius. Sed in via stultitie ambulans, cum ipse insipiens sit, omnes stultos extimat."
"Qui cum sapientibus graditur sapiens erit. Amicus autem stultorum similis efficietur."
Et alibi, "Non decet stultum verba conposito, nec principem labium mentiens."
Et alibi, "Vir sapiens si cum stulto contenderit, sive irascatur, sive rideat, non inveniet requiem."
Et alius dixit, "Cum irrisore consortium non habeas: loquele eius assiduitatem quasi toxica fugias. Societas enim eius, tui laqueus fit alternaque affabilitas despectio."
Nec eciam potes cum stulto congrue loqui: non enim rationi alicuius attendit, nec auditum alicui prebet; quare si cum eo loqueris perdis verba.
Nam ut ait Ihesus filius Sirac, "Qui narrat verbum non attendenti quasi qui excitat dormientem a gravi sompno. Cum dormiente loquitur, qui narrat stulto sapientiam, et in fine narrationis dicet: Quis est hic?"
Unde alibi idem dixit, "Ubi non est auditus, non effundas sermonem, et importune noli extolli in sapientia tua."
Importuna est narratio tua quando non prebetur tibi auditus, que est quasi musica in luctu. Unde idem ait, "Musica in luctu importuna narratio."
Nec eciam potes commode vivere cum stulto, quia tota vita eius pro luctu reputatur. Unde Ihesus filius Sirac dixit, "Luctus mortui septem diebus; fatui et impii, omnes dies vite illorum."
Et non solum vitare debes colloquium stulti, sed eciam ipsi stulto silentium imponere si commode hoc facere potes, secundum verbum Salomonis qui ait, "Iudicium determinat causas, et qui imponit stulto silentium iras mitigat."
Insuper eciam per datum insipientis amicitiam eius perdis, nec retinere illam potes. Unde ait Ihesus filius Sirac, "Datus insipientis non erit utilis tibi; pauca dabit, et multa improperabit. Oculi enim illius septemplices sunt."
Inde eciam Seneca De Beneficiis dixit, "Numquam improbe spei quod datur satis est et maiora cupet quo maiora venerunt."
Et eciam multis rationibus amicitia stulti respuenda est. Nam ut vulgo dicitur, "Melius est collo portare stultum quam ei ostendere viam: licet stultus difficile portetur."
Nam ut idem ait, "Arenam, et salem, et massam ferri facilius est portare quam hominem inprudentem, fatuum, et impium."
Et alius sapiens dixit, "Expedit magis urse occurrere raptis fetibus, quam fatuo confidenti in stultitia sua." Non enim poteris stultum corrigere. Citius enim te in suam stultitiam seducent, quam de tua sapientia aliquid capet.
Omnes stulti et insipientes mali sunt, et "malivolus animus abditos dentes habet." Et "in malivolam animam non intrat sapientia," quare dixit quidam philosophus: "Dulcior est sapienti aspera vita inter sapientes quam dulcis vita inter insipientes."
Et non habeas pro magno amicitiam stulti, quia non est permanens. Plus eciam dico tibi: Non habeas amicitiam sapientis viri cum stultis et leccatoribus educati. Nam ut ait quidam philosophus, "Melior est societas simplicis inter sapientes nutriti, quam prudentis cum leccatoribus educati."
Et licet stultus sit dives et fortunati, non tamen eius districtam amicitiam habere procures. Ait enim Tullius De Amicitia, "Nec quicquam insipiente fortunato intollerabilius potest fieri."
[Caput IV.] De amicitia avari vel cupidi vitanda. Rubrica.
In te amicitiam autem avari vel cupidi amor tuus converti non debet, quia cum avaricia, secundum Apostolum, sit "radix omnium malorum," et ab avaro nulla bona possunt oriri. "Avarus enim nisi cum moritur nil recte facit." Unde eciam Martialis Cochus dixit, Non sibi non aliis prodest dum vivit avarus, Et prodest aliis et sibi dum moritur.
Et alius philosophus dixit, "In nullo avarus bonus est, in se pessimus." Et alius dixit, "Pecunia non satiat avarum, sed irritat."
Et certe avaro Deus ipse non sufficit, unde Augustinus dixit: "Quid avarius est illo quem ei Deus ipse non sufficit?"
Et nota quod avarus semper habet manus porrectas in accipiendo, clausas vero in dotes dando, et tribuendo vel retribuendo, contra dictum filii Sirac qui ait, "Non sit porrecta manus tua ad accipiendum, et ad dandum collecta."
Quare non est dignus amore vel amicitia, unde Regula Amoris dixit, "Amor semper consuevit ab avaritie domiciliis exulare."
Et alia Regula dixit, "Probitas sola quemque facit amare." Quam probitatem certe avarus nullus potest habere,
nec eciam potest avarus nancisci honorem avaritia obstante. Unde quidam dixit, Nec sol splendorem nec thus prestabit odorem, Cum per avaritiam fuerit quis nactus honorem. Indignus est enim avarus habere honorem vel dignitatem, et apud eum esset loco ignominie.
Nam ut ait Seneca, "Loco ignominie est apud indignum dignitas."
Et iterum, "Honos honestum decorat, inhonestum notat."
Et merito respuenda est amicitia avari, quia ut ait Ihesus filius Sirac: "Avaro nichil scelestius. Quid superbit terra et cinis? Nichil est iniquius quam amare pecuniam."
Avarus sibi namque malus et nullum diligit. Et ut ait sapiens, "Qui sibi ipsi malus est, nulli alii bonus erit."
Nam ut ait Seneca, "Avarus ipse causa est sue miserie." Nam et sibi et aliis omnia denegat,
quare idem ait: "Negandi causa nunquam avaro deficit."
Nec eciam potest avarus securam vitam ducere, cum de re producenda nimis cogitet, eodem testante qui ait, "Nulli potest secura vita contingere qui de re producenda nimis cogitat."
Et eciam miser est semper avarus, cum sua ei semper videantur parva et non ampla. Nam ut ait idem, "Si alicui sua non videntur amplissima; licet totius mundi sit dominus, miser est."
Et: "Avarus nulli gratus est; ergo nec sibi." Nam ut ait Seneca epistolarum, "Nemo sibi gratus est qui alteri non fuit."
Et sive dives sit sive pauper, avaritia et omne malum semper illum comitatur "quemadmodum enim nichil refert utrum egrum in ligneo lectulo, aut in aureo colloces. Quocumque autem illum transtuleris morbum suum secum transfert. Sic nichil refert utrum eger et avarus animus in delitiis aut in paupertate ponatur, malum suum illum sequitur,"
ita quod "desunt inopie multa, avaritie omnia."
Nam ut ait Seneca in epistolis, "Avaritia paupertatem intulit, et multa concupiscendo omnia amisit."
Nam "is in ymo eget qui nimium cupit."
Hoc enim percipitur ut homines in animo et non in patrimonio putent esse divitias.
Et cum avarus non possit conprimere animum suum propter avaritiam, conturbat secum morantes et domum suam. Unde Salomon ait, "Conturbat domum suam qui sectatur avaritiam; qui autem odit munera vivet."
Quare avari amicitia merito est vitanda. Et nota quod avarus proprie dicitur in retinendo, cupidus in acquirendo.
Multi enim sunt qui per nimiam cupiditatem multa enormiter acquirunt. Postquam autem acquisierint non sunt in retinendo avari, sed acquisita per cupiditatem largiter expendunt atque consumunt.
Concupiscentia enim mala est. Nam "is nimio eget qui nimium cupit." Unde Dominus dixit, "Non concupisces rem proximi tui."
Et beatus Iacobus dixit, "Unusquisque enim temptatur a concupiscentia sua abstractus et illectus; deinde cum concupiscentiam conceperit, parit peccatum: cum consummatum fuerit, generat mortem."
Et eciam Apostolus in epistola ad Timotheum dixit, "Radix omnium malorum est cupiditas."
Et in tantum cupiditas mala est, ut "cupienti animo nihil satis festinetur." Unde dici consuevit, "Cupiditati tarda est celeritas."
"Omnes enim prave cupiditates porte sunt inferni, per quas itur ad mortem." "Que si aliter auferri non possent, ipsum cor evellendum esset."
Quia "nichil amat cupiditas nisi quod non licet." Quare Seneca, "Ferocissima cupiditas pestis est, que solet egenos facere quos capit, dum finem querendi non invenit."
Nam ut idem ait, "Altera cupiditas ex fine alterius nascitur."
Unde ait, "Fortior est qui cupiditatem vincit, quam qui hostem subicit."
Inde eciam Tullius De Senectute dixit, Nullam capitaliorem pestem quam voluptatem corporis hominibus a natura datam, cuius voluptatis avide libidines et temere et effrenate ad pociendum incitatur.
Hinc patrie proditiones, hinc rerum publicarum eversiones, hinc cum hostibus clandestina colloquia nasci.
Dicebat, Nullum denique scelus, nullum facinus malum esse, ad quod suscipiendum non libido voluptatis impelleret; stupra vero et adulteria et omne tale flagitium nullis aliis illecebris excitari nisi voluptatis;
cumque natura homini sive natura sive quis deus nichil mente prestabilius dedisset, huic divino muneri ac dono nichil tam esse inimicum quam voluptatem. Nec enim libidine dominante locum temperantie esse, nec omnino in voluptatis regno virtutem posse consistere.
Quocirca nichil esse tam detestabile tam pestiferum quam voluptatem, si quid ea, cum maior esset atque longior, omne animi lumen extinguit.
[Caput V.] De amicitia superbi vel perversi vitanda.
Amorem quoque tuum taliter compescas atque distringas, ut in amicitiam superbi vel perversi hominis nullatenus te constringat. "Superbis enim resistit, humilibus autem dat gratiam," ut sanctus Petrus in epistola sua prima dixit.
Superbia enim homines servos facit et libertatem mentis tollit. Unde dixit sapiens, "Liber non est, quem superbus inflammat animus."
Et eciam pacem tollit, ut Martialis Cocus ait: Et heream pacem ventosa superbia tollit, Atque tumor mentis, Maximiane, tibi.
Et Ihesus filius Sirac dixit, "Ubi fuerit superbia, ibi contumelia; ubi autem humilitas, ibi et sapientia."
Et Salomon in Proverbiis ait, "Inter superbos semper iurgia sunt; qui autem agunt cuncta cum consilio, reguntur sapientia."
Sicut autem Dominus angelos superbientes de celo proiecit, sic quoque superbos atque perversos procul a te repellas, ut ab eorum superbia vel pravitate non contamineris. Nam ut ait filius Syrac, "Qui tetigerit picem coinquinabitur ab ea, et qui comminicaverit superbo induet superbiam."
Et eciam idem sapiens dixit de superborum divitum societate: Ditiori ne fueris socius.
Quid communicaverit cacabum ad ollam? Quando enim se colliserint, confringetur.
Dives iniuste egit, et fremebit; pauper autem lesus tacebit.
Si largitus fueris, absumet te; et si non habueris, relinquet te.
Si habueris, convivet tecum, et evacuabit te; et ipse non dolebit super te.
Si necessarius illi fueris, supplantabit te, et subridens spem dabit, narrans tibi bona, et dicens: Quid est opus tibi?
Et confundet te in cibis suis, donec te exinaniat bis et ter; et in novissimo deridet te, et postea videris delinquet te, et capud suum movebit a te.
Humiliare Deo, et expecta manus eius.
Attende ne seductus in stultitiam humilieris.
Noli esse humilis in sapientia tua, ne humiliatus in stultitiam seducatus.
A potentiore, discede; ex hoc enim magis te advocabit.
Ne improbus sis, ne impinguaris; et ne longe sis ab eo, ne eas in oblivionem.
Ne retineas ex equo loqui cum illo, et ne credas multis verbis illius; ex multa enim loquela temptabit te, et subridens interogabit te.
Cave tibi, et attende diligenter auditui tuo, quoniam cum subversione tua ambulas;
dilige Deum, et invoca illum in salute tua.
Omne animal diligit simile sibi, sic et omnis homo proximum sibi.
Sicut communicabit lupus agno aliquando, sic comunicatio peccatorum iusto.
Que communicatio est sancto homini ad canem?
Venationis leonis honager in heremo; sic pascua sunt divitum pauperes.
Et sicut abhominatio est superbo humilitas, sic execratio divitum pauper.
Dives commotus confirmatur ab amicis; humilis autem cum ceciderit, expellitur et a notis.
Diviti decepto multi recuperatores, locutus est superbe, et iustificaverunt illum.
Humilis deceptus est, insuper et arguitur; locutus est sensate, et non est datum ei locus.
Dives locutus est, et omnes tacuerunt, et verbum illius usque ad nubes perducent.
Pauper locutus est, et dicunt: Quis est? Et si offenderit, subvertent illum.
Et Salomon in Proverbiis dixit, Eciam proximo suo pauper odiosus erit, amici vero divitum multi.
Divitie enim addunt amicos plurimos; a paupere autem et hii quos habuit separantur.
Et multi colunt personam potentis, et amici sunt dona tribuenti. Fratres hominis pauperis oderunt eum; insuper et amici recesserunt ab eo procul.
Et iterum, "Dives imperat pauperibus, et qui accipit mutuum servus est fenerantis."
Et eciam alibi de societate et clientela et consuetudine potentum et divitum superborum et ducum vitanda, a multis sapientibus instruimur.
Nam dixit quidam philosophus, "Rex est similis igni: cui si nimis admotus fueris, cremaberis; si ex toto remotus, frigebis."
Et filius Syrac dixit, "A viro habente potestatem occidendi, longe esto. Scito enim quoniam in medio laqueorum eius ingredieris."
Et alius philosophus dixit, "Si in clientelam potentissimi hominis deveneris, aut veritas aut amicitia perdenda est."
Nam huiusmodi magnates et potentes sive duces aut imperant aut vi compellunt aut rogando faciunt quod tantumdem valet.
Unde quidam sapiens dixit, Est orare ducum species violenta iubendi, Et quasi mandato supplicat esse potens.
Et eciam quidam sapiens dixit, "Ubi pauper divitem imitari ceperit, unde dici consuevit, miseri."
Nam ut ait Tullius, Huiusmodi divites se honoratos et beatos putant. Hii nec obligari quidem benefitio volunt quando eciam benefitium se arbitrantur dedisse. Cum ipsi magnum quamvis aliquid acceperunt atque et a se aut postulari aut expectari, aliquid suscipientur.
Et ita predictis rationibus non est multum utendum nec morandum cum huiusmodi potentibus, et maxime cum regibus.
Nam et quidam philosophus dixit, "Nichil peius contingit homini quam diu regi servire et nichil boni acquirere." Et ideo precepit ne quisquam nimis moretur in servitio regis.
Et alius philosophus dixit, "Qui servit regi ut ita dicam sine fortunio, et hoc seculum perdit et aliud."
Eligas ergo bonos et humilos cum quibus utaris et bonus eris. Unde propheta dixit, "Cum sancto sanctus eris, et cum viro innocente innocens eris, et cum electo electus eris, et cum perverso perverteris."
[Caput VI.] De amicitia loquacis vel lingosi.
Amor eciam tuus non te ita decipiat, ut in amicitiam loquacis vel lingosi vel fatui te trahat.
Ideo autem amicitia illorum est vitanda, quia "in multiloquio non dest peccatum."
De lingoso per prophetam dicitur, "Vir lingosus non dirigetur in terra."
Et Ihesus filius Sirac dixit, "Terribilis est in civitate sua homo lingosus, et temerarius in verbo suo odibilis est."
Et alibi, "Fatuo non erit amicus, et non erit gratia in bonis illius."
Et alibi, "Qui odit loquacitatem, extinguit malitiam."
Et alibi idem dixit, "Cum viro lingoso ne loquaris, nec in igne illius struas ligna." Si enim cum illis loqui non debes; illorum amicitiam retinere non potes.
Et alibi idem dicit, "Ne cum fatuis consilium habeas, non enim poterunt diligere, nisi que ipsis placent."
Et scito quod fatui dicuntur qui multa fantur, et superflua dicunt, sic dicti a for, faris vel fare, fatur.
Et eciam Tullius dixit, "Ciniquorum tota ratio abicienda est."
Cinos graece, latine dicitur canis. Inde cinici dicuntur latrantes ut canes.
Et ideo cum talibus contendere non debemus, quia non intendunt rationi.
"Nam sicut ignis, quanto magis ligna susceperit," semper in maiorem flammam erigitur, ita malus homo, quanto magis rationem audierit, semper in maiorem malitiam excitatur.
Quare Cato dixit, Contra verbosos noli contendere verbis: Sermo datur cunctis, animi sapientia paucis.
Sed verba loquacium audire tacitus et prospicere debes, et ab illis eciam discere. Ait enim Seneca, "Equo animo audienda sunt inproborum convitia." Unde Cato dixit, Prospito cuncta tacitus, quod quisque loquatur: Sermo hominum mores celat, simul indicat idem.
[Caput VII.] De amicitia iracundi hominis.
Amicitiam autem iracundi hominis non desideres, quia illam nullo modo habere potes. Ut ait sapiens, "Homini iracundo nullus erit amicus, nec in bonis illius erit gratia."
Et alibi, "Ne sis velox ad irascendum, quia ira in sinu stulti requiescit."
Et alibi Salomon ait, "Noli esse amicus homini iracundo, neque ambules cum viro furioso; ne forte discas semitas eius, et sumas scandalum anime tue."
Et alibi, "Sicut carbones ad prunas, et ligna ad ignem, sic homo iracundus suscitat rixas." "Homo enim extra corpus suum est cum irascitur"
in tantum ut dicatur: "Nulli irascenti ira sua videtur iniusta."
Et beatus Prosper dixit, Nemo sue mentis motus non extimat equos, Quodcumque voluint homines, se bene velle putant.
Ira dicitur ab ur quod est calor, et diffinitur ita: Ira est fervor animi ab interioribus ad exteriora prorumpens, ob illatam sibi iniuriam vindictam querens.
Quare iratus consilium spernit; inde eciam dici consuevit: "Iratus eciam facinus consilium putat."
Unde eciam philosophus dixit, "Iratum breviter vites, et inimicum diu."
Et Ovidius epistolarum dixit, Quelibet iratis ipse dat arma dolor.
Et debes vitare iracundiam tam in te quam in alio. Nam, "Iracundiam qui vincit, maximum superat hostem."
Unde idem Ovidius dixit, Vince animos iramque tuam, qui cetera vincis.
Et alius dixit, "Lex videt iratum, iratus non videt illam."
"Respicere enim nil assuevit iracundia," ut Socrates.
Et Dominus in evangelio dixit, "Qui irascitur fratri suo, reus erit iuditio."
Et Apostolus ait, "Ira enim viri iustitiam Dei non operatur."
Et Cato dixit, Iratus de re incerta contendere noli: Ira impedit animum, ne possit cernere verum.
Et Seneca dixit, "Iratus nil nisi criminis loquitur."
Quare ait, "Finem dare ire initium est sapientie."
Et alibi idem dixit, "Legem solet oblivisci iracundia."
Et nota quod iratus semper putat se plus posse facere quam possit, et ideo superat posse suum, et inmoratur. Quare Seneca dixit, "Iratus semper putat posse quam possit."
Et alibi dixit, Qui plus posse putat, sua quam natura ministrat, Posse suum superans, se minus ipse potest.
Quare Tullius dixit, "Ira procul absit, cum qua nil recte fieri, nil considerari potest." "Que enim aliqua perturbatione fiunt, ea nec constanter fieri possunt nec hiis, qui adsunt, approbari."
Et Pitagoras dixit, "Quominus presseris iram, ob hoc ab ira magis premeris; tunc enim nobis incipimus irasci, cum aliis desivimus; finis namque ire initium est penitentie."
Unde Socrates dixit, "Iracundus cum irasci desierit, tunc irascitur sibi."
Et certe vitare debes quemlibet iratum et maxime potentem. Nam ut ait Seneca, "Fulmen est ubi cum potestate habitat iracundia."
Nec eciam irasci debes potenti. Nam ut idem ait, "Potenti irasci periculum est."
Quare si potens te leserit, potius sustineas quam cum eo irascaris; et fac quod Cato dixit: Cede locum lese fortune, cede potenti: Ledere qui potuit, aliquando prodesse valebit.
"Potentioribus enim pares esse non possumus." Similiter vitare debes stultum iratum. Nam ut ait Salomon, "Grave est saxum et honerosa arena, sed ira stulti utroque gravior.
Ira certe non habet misericordiam nec erumpens furor; et impetum concititi ferre quis poterit?"
Sic et ira probi hominis periculosa est. Unde Seneca dixit, "Gravissima est hominis probi iracundia." Quid idea accidit quia probus homo proposuit non irasci.
Et ut ait Cassiodorus, "Gravius irascitur qui contra propositum commovetur."
Et si forte iracundus vel iratus in aliquo te leserit, non sis facilis ad indignacionem contra illum. Nam ut ait Salomon, "Vir iracundus provocat rixas, et qui ad indignationem facilis est erit ad peccata proclivior."
Et in tantum nocet iracundia, quia eciam dies hominis minuit. Unde Ihesus filius Sirac dixit, "Zelus et iracundia minuent dies, et ante tempus adducet senectam cogitatus."
Sed licet ira taliter prohibeatur, quandoque tamen bene conceditur,
ut ait propheta: "Irascimini, et nolite peccare."
Et alibi dicitur, "Non occidat sol super iracundiam vestram."
Et eciam Seneca dixit, "Bonum ad virum cito moritur iracundia."
Et in tantum conceditur ira, ut quandoque melior risu censeatur. Unde sapiens dixit, "Melior est ira risu, quia per tristitiam vultus corrigitur animus delinquentis."
Risus tamen pro maiori parte malus censetur. Unde sapiens dixit, "Risus dolore miscebitur, et extrema gaudii luctus occupat."
Vix enim aut numquam nisi pro stultitia ridere potest homo. Unde consilium ridentium te timere non oportet, statim enim cum rides plures consiliantes ridere scire poteris quod de stultia loquuntur.
Unde Ihesus filius Sirac dixit, "Fatuus in rixu exaltabit vocem suam, vir autem sapiens vix tacite ridebit."
[Caput VIII.] De amicitia malorum hominum vitanda.
Dixi generaliter omnium malorum hominum amicitiam districtam esse penitus evitandam. Nam per talium amicitiam et continuam conversationem boni mores corrumpuntur. Et efficitur homo imperitus, luxuriosus, et seditiosus; et talia vitia acquirit que sunt penitus fugiendas,
ut ait sapiens: "Fugienda autem sunt et modis omnibus igne ac ferro succidenda, langor a corde, imperitia ab animo, luxuria a ventre, seditio a civite, a domo discordia."
De luxuria quidam philosophus dixit, "Nichil tam mortiferrum est in humanum genus quam luxuria."
Nam luxus sive luxuria corpus destruit, opes annichilat, animam necat, vim eripit, lumina orbat, vocem acerbat. Unde versus, Luxus, corpus, opes, animam, vim, lumina, vocem Destruit, anichilat, necat, eripit, orbat, acerbat.
Et eciam Tullius De Senectute dixit, "Libidinosa intemperans adolescentia effetum corpus tradit senectuti."
Et de seditione dixit quidam nichil mortiferum in civitate quam seditio, nam: "seditio civium occasio est hostium."
Et certe sicut talia vitia sunt fugienda, ita et mali sunt fugiendi per quos talia vitia acquiruntur. Nam sicut per consuetudinem leprosi homo quandoque leprosus efficitur et per pecus morbosum totus grex inficitur et per modicum fermenti tota massa corrumpitur, ita per assiduam conversationem atque amicitiam malorum hominum efficitur homo protervus, gulosus, cupidus, libidinosus, latro, fur, mendax, superbus, avarus, et ita omnia mala vitia acquirit ut simul cum illis cadat in ruinam.
Unde quidam philosophus dixit, "Si videris quemlibet malis operibus pergravatum, ne intromittas, quia qui pendulum solverit, super ipsum ruina erit."
Et alius philosophus dixit, "Quisquis inique gentis consortio fruitur, proculdubio mortis in mente penus lucratur."
Et certe non solum mala societas, sed eciam mala vicinitas est vitanda. Nam vulgo dicitur, "Qui habet malum vicinum habet malum matutinum."
Quare quidam philosophus dixit, "Non emas domum antequam cognoscas vicinum. Et si ante habueris domum quam iuxta te hospitaretur malus vicinus, prius vendas domum quam maceras iuxta malum vicinum."
De predictis eciam beatus Paulus in epistola ad Corrithos dixit, Ne commisceamini fornicariis: et non utique fornicariis huius mundi, aut avaris, aut rapacibus, aut ydolis servientibus: alioquin debueratis iam de hoc mundo exisse.
Nunc autem scripsi vobis non conmisceri: si is qui frater inter vos nominatur, est fornicator, aut avarus, aut ydolis serviens, aut maledicus, aut ebriosus, aut rapax, cum huiusmodi nec cibum sumere.
Et in fine illius capituli subiunxit, "Auferte malum ex vobis ipsis."
Et alibi idem Apostolus in epistola secunda ad Timotheum dixit, Hoc autem scito, quod in novissimis temporibus instabunt tempora periculosa: et erunt homines seipsos amantes, cupidi, elati, superbi, blasfemi, et parentibus non obedientes, ingrati, scelerati, sine affectione, sine pace, criminatores, incontinentes, et immites, sine benignitate,
proditores, protervi, tumidi, voluptatum amatores magis quam Dei: habentes quidem speciem pietatis, virtutem autem eius abnegantes. Et hos devita.
Et eciam Ysoppus dixit, Discat ad hoc mitis cupidi dum contempnere litis. Equus et est siquis caveat sit ut hospes iniquis. Ne simul ut cumque perimi contingat utrumque; Suppliciis dignis profectis forte malignis.
Nec desideres laudari a malis hominibus. Quia ut dixit Seneca, "Tam turpe est laudari a turpibus quam ob turpia laudari."
Letior esto quotiens displices malis, et malorum de te extimationes malas tuam imputa gloriam.
"Magna enim dementia est vereri ne infameris ab infamibus."
Et nihil est "stultius homine verba metuente."
Et alibi dixit idem, "Quid letaris, quod ab hominibus laudaris, quos non potes ipse laudare?"
Quare eciam ait, "Qualis quisque scit scies, si quemadmodum laudes quemadmodum laudetur aspexeris."
Unde Martialis Cocus dixit, Nullum credo decus laudari a turpibus, Herme, Sed nec laudari ob turpia credo decus.
Et alibi idem dixit, Contemptum stulti contempnere, Didime, laus est, Et contempni a stulto dedecus esse nego.
Et alius sapiens dixit, "Laudent te boni, oppinentur de te mala sed mali; onmibus enim displicere malis laudabile est."
Et alius dixit, "Ne igitur glorieris in laude leccatoris, cuius laus est tibi vituperium et vituperium laus."
Quare dixit, "Ne te associes leccatori, cuius societas est tibi dedecus."
Et Seneca dixit, "Conciliari nisi turpitudine amor turpium non potest."
Nam ut vera loquamur per consuetudinem et amicitiam talium, eciam bonus homo creditur malus, et perinde habetur ac si in veritate malus esset.
Nam ut dixit quidam philosophus, "Vicem veri optinet quod falso creditur." Sic et e contrario, "Veritas que non creditur pro mendacio reputatur."
"Cum hiis ergo conversare qui te meliorem facturi sunt. Illos admitte quos tu potes facere meliores." "Sciens quod nulla res magis animos honesta induit, dubiosque et in pravum inclinabiles revocat ad rectum, quam bonorum virorum conversatio," ut Seneca epistolarum dixit.
Qui eciam ait, "Habet eciam in se generosus animus, quod incitatur ad honesta."
Ut ergo animus tuus incitetur ad honesta, semper fugias malorum hominum societatem et conversationem, atque suspiciosi loci existentiam, semper querendo homines et loca cum quibus et in quibus valeas erudiri, tua prudentia valeat cognosci atque merito collaudari.
Ait enim Cassiodorus, "Querat eruditus ubi possit existere gloriosus."
Et iterum, "Prudens frequentiam non respuit hominum in qua se noverit esse laudandum. Alioquin in virtutibus fama tollitur, si earum in hominibus merita nesciantur."
[Caput IX.] De multiplici utilitate amicorum.
Et nota quod in habendis et acquirendis et retinendis amicis magna et multiplex est utilitas.
Corpus enim hominis sine amicitia pro mortuo reputatur, unde dicitur: "Qualis est sine anima corpus, talis est sine amicis homo." Amicorum ergo suffragio corpus mortuum vivificare dicitur.
Per amicos eciam vita hominis iocundatur, et sine amicis non potest esse iocunda. Unde Tullius dixit, "Et si ea permaneant, que dicuntur dona fortune, vita tamen inculta et deserta ab amicis non potest esse iocunda."
Et amicorum utilitas tanta est, ut auro vel argento bonitas fidelis amici nullatenus comparetur. Unde sapiens dixit, "Amico fideli nulla est comparatio, nec est digna ponderatio auri et argenti contra bonitatem fidei eius."
Et alibi eciam dixit, Amicus si permanserit fixus, erit tibi quasi coequalis, et in domesticis tuis fiducialiter aget attende.
Amicus fidelis protectio fortis; qui autem invenit illum invenit thesaurum.
Amicus fidelis medicamentum vite et inmortalitatis; et qui metuit Dominum inveniet illum.
Unde Cato ait, Auxilium a notis petito si forte laboras; Nec quisquam melior medicus quam fidus amicus.
Et est tanta utilitas in acquirendis amicis ut eciam regnum amicis non valeat comparari. Ut Cato ait, Utilius est regno meritis acquirere amicos.
Per amicos eciam vita amicorum procuratur, sicut Palades curavit Horestem. Hic quoque amicitie non levis usus erit.
Nam ut ait sapiens, "Nichil est dulcius quam habere amicum, cum quo tamquam cum te ipso loquaris."
Unde Tullius De Amicitia dixit, Ego tantum vos hortari possum, ut amicitiam anteponatis omnibus humanis rebus; nichil est enim tam nature aptum, tam conveniens ad res secundas vel adversas.
Sed hoc primum sentio, nisi in bonis amicitiam esse non posse.
Quare idem Tullius postea subiunxit, "Solem e mundo tollere videntur, qui amicitiam e vita tollunt, quia nichil a diis immortalibus melius habemus, et nichil iocundius."
Et iterum idem ait, "Que tamen res humanae fragiles caduceque sunt, semper aliqui acquirendi sunt quos vere diligamus cum caritate et benivolentia; qua sublata, omnis est e vita sublata iocunditas."
Per amicorum eciam multitudinem et civium dilectionem ita munitur et defenditur, ut ab aliquo nequeat expugnari. Unde Seneca dixit, "Unum est inexpugnabile munimentum: amor civium."
Per multam eciam amicorum consuetudinem et dilectionem opes conservantur et retinentur, sicut nulle opes odiis multorum obsistere possunt. Unde Tullius De Officiis dixit, Omnium autem rerum nec quicquam est aptius ad opes tuendas et retinendas quam diligi, et nichil est alienius quam timeri. Preclare enim homines, que metuunt, oderunt; quod quisque autem odit, perisse expetit. Multorum autem odiis nullas opes obsistere posse, etsi antea ignotum fuerat, modo autem cognitum.
Non ergo credas amicum fidelem per metum posse acquiri. Nam ut dixit philosophus, "Nemo ei satis fidus est, quem metuit."
Unde idem Tullius dixit, Malus custos diuturnitas est metus, contraque benivolentia fidelis vel ad perpetuitatem. Qui vero in libera civitate ita se instituunt, ut metuantur, hiis nihil potest esse dementius. Etenim qui se metui volunt: a quibus metuuntur, eosdem ut metuant ipsi necesse est.
"Blanditia autem et non imperio vis crescit amoris." Unde Marcialis Cocus dixit, Torvus et hore minax nos, Tite, posstis amare: Invitus nemo coactus amat. Blanditia, non imperio, vis crescit amoris.
Vacca quidem taurum, sed et ipsa leena leonem Iratos fugiunt, sed cupiunt placidos;
Dilige nos omnes, ut ameris ab omnibus unus. Querit amor pariles, dissimiles odium.
Et non solum amicitia per metum et timorem non acquiritur vel retinetur, sed eciam imperium premente metu perditur. Unde Tullius dixit, "Nulla vis imperii tanta est, que premente metu possit esse diuturna."
Et alius dixit, "Multos timere debet, quem multi timent."
Et male imperando firmum imperium ammittitur.
Et Seneca epistolarum dixit, "Nemo terribilis potest esse secure."
Et iterum, "Magna securitatis portio est nichil inique facere: quia nocens habuit aliquando latendi fortunam, nunquam autem fidutiam."
Multos ergo studeas acquirere amicos non metu, sed merito, et pacificos tantum.
[Caput X.] De consiliis et consiliariis.
Non tantum cum omnibus consilium habeas, sed unum de mille eligas consiliarium. Nam ut dixit sapiens, "Multi pacifici sint tibi, et consiliarius unus de mille."
Periculum est enim cuilibet amico sua secreta consilia pandere. Unde quidam sapiens dixit, "Quod secretum est, nemini dicas."
Alius vero dixit, "Vix extimes ab uno posse celari secretum."
Et alius dixit, "Consilium absconditum quasi in carcere tuo est retrusum; revelatum te in carcere suo tenet ligatum."
Quare dixit, "Noli consilium tuum omni revelare homini. Qui enim consilium suum in corde retinet, sui iuris est melius eligere."
Nam pulcrius est tacere quam ut taceat secretum sibi commissum alium rogare. Ait enim Seneca, "Sic imperasti, ut taceres, quomodo ab alio silentium queris?"
Verum quia ut ait Cassiodorus, "Consilium quippe immitari detractat inprovidus." Tu provide secreta tua presentia et futura cum amicis probatis atque fidelibus tracta, ut ab eis consilium habeas.
Nam ut Cato ait, Consilium archanum tacito committe sodali. Corporis auxilium medico committe fideli.
Et eciam quidam philosophus dixit, "Cave tibi a consilio illius, a quo petis consilium, ut sit tibi fidelis et probatus."
Et Salomon sapiens ait, "Unguento et variis odoribus delectatur cor, et bonis amici consiliis anima dulcoratur."
Et alibi eciam dixit, "Omnia cum consilio fac, et non penitebis."
Cum consilio dico sapientium, re fidelium, et probatorum, et maxime senum, et non cum consilio stultorum neque iuvenum. Stulti enim stulta diligunt, et suam stultitiam trahunt.
Unde sapiens dixit, "Non recipit stultus verba prudentie, nisi ea dixeris que versantur in corde suo."
Et in proverbio dicitur, Quisquis suo sensu sapiens sibi stultus habetur.
Iuvenes autem maturum sensum non habent, et iuvenilia diligunt, et eis inherent. Non enim potest in eis sucus diuturnus haberi, qui minus celeriter sunt maturitatem adepti.
Inde eciam Panfilus dixit, Gaudia semper amat et iuvenilia verba iuventus.
"Ve tibi, terra, cuius rex puer est, et cuius principes mane comedunt."
Quare Marcialis Cocus dixit cuidam suo amico qui vocabatur Melibeus, Consilio iuvenum fidis, Melibee, ruinam Expectare potes, dum sine consilio es.
Pannorum veterum facile contempnitur usus: Non sic consilium, Postume, sperne senum.
Nam ut ait Iob, "In antiquis est sapientia, et in longo tempore prudentia."
Nam ut ait Cassiodorus, "Illi prudentiores semper sunt habiti, qui multorum hominum conversationibus probantur eruditi."
Quare idem ait, "Senes ipsi consiliis sapientiam discunt."
Et iterum, "Cum multa trahis ab antiquis, meruisti placere de propriis."
Et Tullius De Senectute ait, "Non viribus, non velocitatibus aut celeritate corporum res magne geruntur, sed consilio, auctoritate et scientia, quibus non modo orbari, sed eciam augeri senectus solet."
Et non solum unum consilium, sed eciam multa cum eis facere debes, non subita, nec festinata. Nam ut sapiens dixit, "Ubi non est gubernator, populus corruet: salus autem, ubi multa consilia."
Et Salomon in Proverbiis dixit, "Dissipantur cogitationes ubi non erit consilium: ubi vero plures consiliarii sunt, confirmantur."
Consilia intelligo bona, nam "facienti iniquissimum consilium super ipsum devoluetur, et non cognoscet unde veniat illi," ut Ihesus filius Sirac dixit.
"Consilia non festinata dixi, quia duo sunt contraria consilio, festinantia et ira."
Et alibi eciam sapiens dixit de consiliis: "Quod diu tractaveris, id puta rectissimum." "Velox enim consilium sequitur penitentia."
Et alibi, "Deliberare utilia, mora est tutissima."
Et alibi, "Consilio melius vinces quam iracundia."
Seneca eciam dixit, "Inconsulta temeritas nescit expectare consilium."
Philosophus eciam dixit, "Non credas stultum cum re mutare consilium."
Quare Seneca, "Consilium tuum si audierit hostis, consilii dispositionem permutes."
Nec credas omni quod audieris consilio, donec prius an sit utile probatum fuerit in aliquo,
ut quidam philosophus dixit: consulere, et alium velle monstrare."
Nec credas mali hominis consilio. Scriptum est enim, "Malus a se nunquam bonum consilium refert." "Nec credas consilio illius qui secreto aliud consulit et palam aliud se velle ostendit."
Ait enim Cassiodorus, "Lesionis genus est occulte.
Et nota consilium non esse capiendum quod mutari non possit. Nam ut ait quidam sapiens, "Malum est consilium, quod mutari non potest."
Et nota quod "semper consilium tunc deest, quando maxime opus est," ut quidam philosophus dixit.
Quare in consiliis non est cum festinantia neque cum ira procedendum.
Et licet dixerim duo esse contraria consilio, videlicet, festinantiam et iram, Tullius autem De Senectute addit eciam tertium, scilicet, voluptatem, dicens: "Impedit enim consilium voluptas, rationi inimica, ac menti ut ita dicam prestringit occulos, nec habet ullum cum virtute commertium."
Et in consiliis vitare debes assentatores maxime in secundissimis rebus. Unde Tullius dixit eciam: In secundissimis rebus maxime utendum est consiliis amicorum, que maior eciam quam ante tribuenda est auctoritas. Hiisdem temporibus cavendum est, ne absentatoribus patefaciamus aures,
ne adulari nos sinamus: in quo falli facile est. Tales enim nos esse putamus, ut iure laudemur:
ex quo nascuntur innumerabilia peccata, cum homines inflati oppinionibus turpiter irridentur et in maximis versantur erroribus.
Unde sciendum est, "Nullam inimicitiam pestem maiorem esse quam adulantium blanditiam, assentationem."
Sed "licet pernitiosa sit assentatio, tamen nocere nemini potest, nisi ei, qui eam recipit atque ea delectatur. Ita sit, ut hiis assentatoribus patefaciat aures suas maxime qui ipse sibi assentetur et se maxime ipse delectet."
Inde eciam Cato dixit, Cum te aliquis laudat, iudex tuus esse memento: Plus aliis de te, quam tu tibi, credere noli.
Et Seneca in epistolis dixit, "Multo magis ad rem pertinet, qualis tibi videaris, quam qualis aliis."
Et alibi, "Intus te considera: non qualis sis, aliis credas."
Sapientis enim est "malle sibi placere quam populo," ut Seneca dixit.
Et in consiliis non movearis ad verba composita. Dixit Seneca in epistolis, "Ad rem movearis, non ad verba conposita." Nam "oratio eius qui veritati operam dat incomposita debet esse et simplex."
Dixi secundum Tullium, "In secundissimis rebus maxime utendum est consilio." Inde eciam Seneca De Formula Honeste Vite dixit, "Tunc consilia tibi salutaria advoca, cum tibi alludit vite prosperitas: tunc te velud in lubrico retinebis ac sistes, nec tibi dabis impetus liberos, qua eundum sit et quousque."
Et licet multum sapiens fueris, tue scientie non inherebis, sed cum consilio sapientiam ab alio investigabis. Ait enim Cassiodorus, "Sapientiam querit in altero penes quem est scientie magnitudo."
Dubitare enim et a sapientibus consilium petere non est verecundum nec inutile. Scriptum est enim, "Dubitare de singulis non est inutile."
Et eciam in Contemptu Mundi scripsit Innocencius papa, Qui magis intelligit, magis dubitat; et ille videtur plus sibi sapere, qui plus desipit.
Pars ergo scientie est scire, quod nescias. Vix est enim quicquam tam vile, vix tam facile, quod ad plenum sciatur, conprehendatur ad liquidum, nisi forsan illud perfecte sciatur, quod nichil scitur perfecte.
Ideo autem dixi supra dixi de consiliis et factis presentibus et futuris consilium capiendum, quia de preteritis factis atque secretis de quibus consilium capi non potest, non debes facere mentionem.
Unde filius Sirac dixit, "Amico et inimico noli enarrare sensum tuum, et, si est tibi delictum, noli denudare. Audiet te et respiciet te, et quasi defendens peccatum tuum subridet te."
Nam dicit lex, "Facte autem res nulla constituticae infacte fieri possunt." Unde si consilium inde haberi non potest, nec utilitas trahi nemini dicere procures.
Nam ut ait Seneca, "Post calamitatem memoria alia est calamitas." Et maxime ubi memoria calamitatis vel preteriti facti potest suscitare malitiam.
Unde Cato dixit, Litis preterite noli maledicta referre: Post inimicitias iram meminisse malorum est.
Et ideo silendo penitus ea conmemorare nulli debes, et maxime mulieri vel hebrioso. Nam ut dixit philosophus, "Garulitas mulierum id solum novit celare, quod nescit."
Et Salomon dixit, "Nullum secretum ubi regnat ebrietas."
Sacerdoti tua archana atque secreta penitencie causa pandere et manifestare debes. Ut sanctus Iacobus in epistola prima dixit, "Confitemni alterutrum peccata vestra."
Deficiente autem sacerdote eciam alij confiteri debes.
[Caput XI.] De probatione amicorum.
Licet autem in habendis amicis ut dixi magna utilitas sit, prestitam velox sis sic in acquirendis amicis nullius est amicitie ante probationem te constringere debes.
Ut ait Martialis Cocus cuidam amico suo qui vocabatur Crisippus: Antequam ames, Crisippe, proba; sed amare probatum Cura, rotulum illum pectore suscipias. Sepe diuque suo dignum censet amore Pertractat sapiens sic amat exibitum.
Et Ovidius dixit, Quale sit id, quod amas, celeri circumspice mente Et tua lesuro subtrahe colla iugo.
Et sapiens dixit, "Si possides amicum, in temptatione posside. Est enim amicus secundum sua tempora; in tempora autem tribulationis non permanebit."
Et propheta, volens amicus Dei fieri, et sciens amicos probatos meliores aliis fore, dixit, "Proba me et tempta me; ure renes meos et cor meum."
Et eciam beatus Iohannes in epistola sua dixit, "Karissimi, nolite omni credere spiritui, sed probate spiritus si ex Deo sint."
Et eciam Apostolus in epistola sua ad Tesalonicenses dixit, "Omnia probate: quod bonum est tenete. Ab omni specie mali abstinete vos."
Et sapiens dixit, "Qui credit cito, levis est in corde et minorabitur;" "Facilitas nimia partem stultitie vergit."
Et alius philosophus dixit, "Ne laudes amicum, donec probaveris eum."
Et iterum alibi dixit propter amicos non probatos: "Provide tibi semel de inimicis, et milies de amicus, quia forsitan quandoque amicus fiet inimicus, et sic levius poterit perquire dampnum tuum."
Et Seneca dixit, "Tu omnia cum amico delibera, sed de ipso prius."
Eligas ergo amicos probatos qui tibi fideles esse possint. Et eos uno affectu non uno habeas merito,
et tales amicos elige quos non pudeat elegisse. Ait enim Seneca, "Amare sic incipe, tamquam non liceat desinere."
[Caput XII.] Que facere debes pro amicis et que errogare et quomodo debes cum aliis vivere et de lege amicitie.
Probato autem amico atque temptato si illum fidelem valde inveneris, ita pectore suscipias eum ut pro eo facias quecumque pro amico commode fieri possunt, videlicet honeste ita quod Deum non offendas, nec tuam conscientiam ledas.
Peccatum enim pro amico facere non debes. Nam dixit Tullius De Amicitia, "Nulla est excusatio peccati, si amici causa peccaveris;"
et maxime in re turpi ubi duplex peccatum est. Ait enim Seneca, "In turpi re peccare bis est delinquere."
Nec eciam debes amicum defendere in peccato, ne tibi crimen pares. Ait enim Seneca, "Nocentes qui defendit, sibi crimen parat."
Et iterum, "Socius fit culpe, qui nocentem iuvat." Nisi forte pro illius salute hoc faceret. Ait enim idem, "Nichil turpe dicas pro salutis remedio."
Innoxie igitur amicum defendere debes ut proprie defensor dicaris. Nam ut ait Cassiodorus, "Ille proprie defensor est dicendus, qui defendit innoxie."
Alioquin si cum turpitudine et mendacio cum defenderes, amicitia non duraret. Nam ut dixit Tullius De Amicitia, "Difficile est amicitiam durare sive manere, si a virtute defeceris." "Amici enim vitia si feras, facis tua."
Ideo autem dixi commode quia ut lex dicit, "Ea demum fieri posse intelliguntur que commode fieri possunt."
Et eciam alibi dici consuevit, "Age sic alienum ut tuum non obliviscaris negotium." "Amicis enim ita prodesse debemus, ut nobis non noceamus,"
et ideo dixi honeste. Quia ut ait Tullius, "Si omnia facienda sunt, eciam in honesta que amici velint, non amicitie tales, sed et coniurationes putande sunt."
Unde facere debes pro amico quod honestum sit, et denegare quod non rectum sit.
"Hec igitur lex in amicitiam senciatur ut nec rogemus res turpes, neque faciamus rogatu," et "ab amicis honesta petamus. Amicorum causa honesta faciamus, studium semper adsit, cunctacio toto absit. Consilium verum dare gaudeamus libere."
"Hec est, inquam, societas, in qua omnia sunt que putant homines expetenda: honestas, gloria, tranquillitas, atque iocunditas; ut cum hec adsint, beata vita sit, cum sine hiis esse non possint,
quod cum optimum maximumque sit. Si id volumus adipisci, virtuti opera danda est, sine qua nec amicitiam, nec ullam rem expetendam consequi possumus.
Ea vero neglecta, qui se amicos habere arbitrantur tunc denique rasse sentiunt cum eos aliquis gravis casus experiri contingit;"
et eciam verecundari debent amici ad invicem inhonesta vel turpia petere. Nam, "Maximum ornamentum amicitie tollit, qui ex ea tollit verecundiam," ut Tullius dixit.
Quare eciam ait, "Maxime autem perturbantur officia in amicis; quibus et non tribuere, non recte possis, et tribuere, quod non sit equum, contra officium est."
Electis autem amicis, ita eos diligas ut illi tua amicitia non careant. "Multos enim vidi qui non amicis, sed amicitia caruerunt."
Et illos tibi coequales extimes ita quod illis tamquam tibi ipsi credas, et te et tua illis securiter et sine suspicione committas. Ait enim Cassiodorus, "Eorum secura substantia est, que committitur approbatis." Ex quo enim illos approbaveris, de illis mala suspicari non debes.
Ait enim Cato, Suspectus caveas, ne sis miser omnibus horis, Nam timidis et suspectis aptissima mors est.
Si enim amici invicem sibi non crederent, veri amici non essent. Nam "si aliquem amicum extimas, cui non tantumdem credas ut tibi, valde erras et non satis nosti vim amicitie."
Unde Tullius dixit, "Nichil in amicitia fictum, nichilque simulatum esse debet." Nam "ficta omnia citius quam flosculi occidunt, nec quicquam simulatum potest esse diuturnum,"
et "nichil est dulcius quam habere cum quo audeas omnia loqui ut tecum," et "nichil est amabilius, nichilque pulcrius quam morum similitudo bonorum."
Unde Tullius subiunxit, "Omnium societatum nulla prestantior est, nulla firmior, quam cum viri boni moribus similes sunt familiaritate coniuncti."
Inde Salustius eciam dixit, "Idem velle et idem nolle, ea demum firma amicitia est."
"Sic tamen loqui cum amicis debes, tanquam Deus audiat; sic vero vivere cum hominibus, tamquam Deus videat," ut Seneca epistolarum dixit.
"Nichil est tam opertum, ut non reveletur: aut secretum, quod non sciatur," ut Matheus in evangelio Domini dixit.
Unde vulgo dici consuevit, "Sub nive quanta latent in longo tempore parent."
Et eciam Tullius dixit, "Honesta enim bonis viris, non occulta queruntur." Nec "cuicquam audebit vir bonus velle quod non audeat predicare" palam
et certe "curandum est maxime ut eos cum quibus sermonem conferrimus, et vereri et diligere videamur." Ut idem Tullius dixit,
"Et illam veram amicitiam extimes quam non spes, non timor, non utilitas sine causa divellit, illam cum qua homines moriuntur, et pro qua moriuntur." "Nichil enim est quod non tolerat qui perfecte diligit."
Vere tamen amicitie difficile reperiuntur in hiis qui honoribus reque publica versantur.
"In foro enim plurimum posse invidiosa res est et brevis." Ut Seneca in epistolis dixit,
"Et difficile est in re prospera amicos probare, in adversa facile." Nam ut ait Seneca,
"Amici an nomen habeas, calamitas aperit." Quare alibi idem dixit, "Amico fortunato vocatus, et infortunato invocatus esto."
Et alius dixit, "Multi sunt dum munerantur amici, sed in necessitatibus pauci."
Nam hic est vere amicus, qui te adiuvat, cum tibi seculum deficit.
Amicum quoque tuum taliter diligas, ut iusta causa in te sit quare ab illo diligaris. Nam "digni sunt amicitia quibus inest causa cur diligantur," ut Tullius De Amicitia dixit.
"Si enim non amaveris, nullus te amabit." Unde Marcialus Cocus dixit, Miraris quod nullus amat te, Ceciliane, Tu quoque amas nullum; dilige, carus eris.
"Tu ergo primum exibe te bonum et sic quere alterum tui similem." "Plerique enim perverse, ne dicam impudenter, habere talem amicum volunt, quales ipsi non possunt. Queque ipsi non tribuunt amicis, hec ab eis desiderant," ut Tullius dixit.
Et nota quod inter amicos "amicitias immortales esse oportet." Nam dixit sapiens, "Cum amicis rationes breves, amicitias longas oportet."
Unde Tullius dixit, "Verum esse, illud quod dicitur, 'Multos modios salis simul edendos esse, ut amicie munus expletum sit.'"
Et nota quod qui perfecte diligit cum affectu, amico facile irasci non potest. Unde dici consuevit, "Amancium ira redintegratio est amoris;" "amans enim multa sibi mentitur iratus."
Et eciam quidam sapiens dixit, "Amici ius iurandum penam non habet."
Et alius dixit, "Amans sicut fax exigitando magis exardescit."
Et eciam Ovidius iratus cum quadam dixit, Odero, si potero; invitus amabo: Nec iuga taurus amat; que tamen odit, habet. Sic ergo nec sine te nec tecum vivere possum Et videor voti nescius esse mei.
Et nota quod a maiori perfecto sentencie "tempus non animus facit," non enim in potestate animi deponere amorem. Quare Seneca dixit, "Amor animi arbitrio sumitur, non imponitur."
Nec credas malum de amico tuo, nisi experimento id manifeste cognoveris.
Sed si aliquis de amico tuo male loquitur, responde ut philosophus dixit: "Ut tute lingue, sic ego mearum dominus sum aurium."
Alius autem maledicenti cuidam respondet: "Tu inquid maledicere didicisti; ego scientia teste didici maledicta contempnere."
Nec inter duos amicos tuos iudicaveris, nisi forte discussis et aproximatis eorum voluntatibus de utrisque voluntate hoc feceris; quia ut dixit sapiens, "Molestius est inter duos amicos iudicare."
Sic ergo ames amicum ut ei sis amicus; quidam enim amant, non tamen amici sunt. Unde Martialis Cocus dixit, Omnis amicus amat, sed non qui amat omnis amicus; Si quem pete tu amas, esto amicus ei.
Quare eciam Seneca in epistolis dixit, "Si vis amari, ama." "Non enim potest quisquam beate vivere qui se tantum intuetur, qui omnia ad utilitates suas convertit. Alteri enim ut vivas enim oportes si vis tibi vivere.
Nam consortium omnium rerum inter nos facit amicitia."
Quare in proverbio dictum est, "Qui totum vult, totum perdit."
Errant ergo qui putant se habere amicos quibus ipsi non sunt, secundum Senecam qui ait, "Nullum habet maius malum occupatus homo et bonis obsessus, quam quod amicos sibi putat, quibus ipse non est."
Non ergo te tantum inspicias, sed et aliorum desideria quandoque compleas. Ait enim Cassiodorus, "Siquidem aliena desideria fideliter gerere, hoc est bona propria perfecisse."
Et Seneca De Beneficiis dixit, "Qui sibi tantum bene optat, male precatur."
Et alius dixit, "Malus est dicendus, qui tantem causa sui est bonus."
Secundum tamen quantitatem fidei amici est amicus diligendus, ut qui te plus diligit a te magis diligatur. Si vero te parum diligit, in eius amorem et amicitiam non accendaris.
Male enim compertita est inter amicos amicitia, quorum unus pro amico animam et corpus et substanciam poneret, alius autem de altero parum aut nichil curaret. Maiorem autem amorem minori preferre debes.
[Caput XIII.] De amore senum et honore parentum et quomodo in senectute debeas te regere. Rubrica.
Herum quia paternus amor omnes alios excellit, ut mihi retribuas me patrem tuum pre ceteris hominibus debes diligere et revereri. Ut enim ait lex, "Bona et honesta persona patris filio semper debet videri."
Et sapiens Ecclesiasticus dixit, "Qui honorat patrem iocundabitur in filiis, et in die orationis sue exaudietur."
Alibi idem dixit, Qui honorat patrem vita vivet longiori, et qui obedit patri refrigerabit matrem.
Qui timet Dominum honorabit parentes, et quasi dominis serviet hiis qui se generaverunt.
Et in opere, et sermones, et in omni patientia honora patrem tuum, ut superveniat tibi benedictio a illius in eternum maneat.
Benedictio patris firmat domum filiorum; maledictio autem eradicat fundamentum.
Ne glorieris in contumelio patris tui; non enim est tibi gloria sed confusio.
Gloria enim hominis ex honore patris sui, et dedecus filii pater sine honore.
Filii, suscipe senectutem patris tui, et ne contristes eum in vita sua.
Et si defecerit consensu, veniam da ei, et ne spernas eum in tua virtute.
Et alibi eciam dicitur, "Honora patrem tuum, et genitus matris tue ne obliviscaris: memento quoniam nisi per illos non fuisses; et retribue illis, quomodo et illi tibi."
Et eciam Apostolus in epistola ad Ephesios dixit, "Filii, obedite parentibus vestris in Domino: hoc enim iustum est.
Honora patrem tuum, et matrem tuam, quod est mandatum primum in promissione: ut bene sit tibi, et longevus sis super terram."
Et Cato dixit, Dilige non egra caros pietate parentes Nec matrem offendas, dum vis honus esse parenti.
Et Ihesus filius Sirac dixit, "Quam male fame est qui relinquid patrem, et est maledictus a Deo qui exasperat matrem."
Et Martialis Coquus dixit, Dilige si bonus est iuxta pietate parentem, Si malus est, tollera, filius esto bonus.
Iuxta illud, "Bonus non est qui malos tollerare non potest."
Et iterum Cato dixit, Verbera cum tuleris discens aliquando magistri, Fer patris imperium, cum verbis exit in iram.
[Caput XIV.] De senectute.
Et in iuventute tua vitam tuam taliter exerceas, ut tua senectus merito collaudetur, et a tuis filiis et ab aliis veneretur et suscipiatur, secundum Catonem qui dixit, Multorum senes cum facta et dicta recenses, Fac tibi succurent, iuvenis que feceris ipse.
Et si ad senetutem perveneris, animum tuum plus solito exerceas, langorem et desidiam et luxuriam et omnia puerilia fugiendo, adiuvando eciam patriam et amicos et iuventutem prudentia tua atque consilio.
Nam ut ait Seneca in epistolis, "Turpe est habere auctoritatem senum et vitia puerorum, nec puerorum tantum sed infantium."
Non enim exercent senex puerilia etate, sed vitio, unde Martialis Coccus ait: Post annos centum puer Alphesibeus et adhuc; Eciam non etate puta sed vitio puer.
Et alibi, De puero prodire senem me precipis, at tu De vetulo esse puer, tu Maximiniane, cupis.
Esse semel puerum nature non vetat ordo, Si superaddideris hoc venit ex vitio.
Magis enim peccant senes ludendo et puerilia exercendo, quam si in iuventute peccarent, Seneca testante qui ait, "Quanto serius peccatur, tanto turpius incipitur."
Et iterum, "Anus cum ludit, morti delicias facit."
Et ita secundum illum indigne transacta adolescentia odiosam efficit senectutem, et "honeste acta superior etas fructus capud auctoritatis extremos."
Mores predictos ergo in senectute tua servare debes, secundum Tullium qui ait, "Luxuria in omni etate turpis est, in senectute vero fedissima. Sin eciam libidinum intemperantia accesserit duplex malum est, quod et ipsa senectus dedecus concipit, et adolescentium facit impudentiorem intemperantia."
Unum igitur exemplum luxurie vel avaritie multum mali facit. Ut Seneca dixit, "Et ubi peccat etas maior, male discit minor."
Et eciam Tullius dixit, Senibus autem labores corporis minuendi sunt, exercitationes vero animi eciam augende videntur. Danda vero ab eis est opera, ut et amicos et iuventutem et maxime publicam rem consilio et prudentia quam plurimum adiuvent.
Nichil magis cavendum est senectuti quam ne langori se desidieque dedat.
Et si istos mores bene servaris, tua senectus et a filiis et ab aliis bene suscipietur et valde honorabitur et honesta erit. Nam ut ait Tullius De Senectute, "Senectus honesta est, si se ipsa defendat, si ius suum retinet, si nemini mancipata est, si usque ad extremum spiritum dominatur in suos."
Defendere enim se debet senectus a langore et desidia, nec debet alteri parvo sensui se tradere, nec debet dare super se dominatum alicui in vita sua et cuilibet debet consulere prudentia et consilio suo. Et ita erit senectus honesta et eciam iocunda.
Ut idem ait, "Si habent aliquid tamquam pabulum studij atque doctrine, nichil est ociosa senectute iocundius."
Sed licet ita ut supradictum est amare debeas parentes et filios, amorem tamen Dei preferre debes amori paterno et filiorum.
Unde Matheus in evangelio dixit, "Qui amat patrem aut matrem plus quam me, non est me dignus: et qui amat filium aut filiam super me, dignus non est me."
Et alibi idem in evangelio dixit, "Inimici hominis, domestici eius."
Et nota quod nullos vidi filios qui male parentes tractassent, de quibus in hoc seculo Deus non faceret vindictam visibilem,
et hoc merito accidit. Nam ut ait Cassiodorus, "Quibus fuit exossa societas parentum, civium non merentur habere consortium, ne puri cordis iocunda serenitas nebulosis maculis polluatur."
[Caput XV.] De amore et dilectione filiorum.
De amore vero filiorum tuorum si Deus tibi dederit te non ammoneo. Natura enim in tantum te impellet quod eos vehementer diliges. Magis enim timeo ne illos plus te diligas quam illorum amorem negligas.
Unum tamen dico tibi, ut non tantam pietatem in eos exerceas parcendo et virge et baculo, quod pietas tua in odium cadat. Ut Salomon ait, "Qui parcit virge, odit filium suum; qui autem diligit illum, instanter erudit."
Et alibi, "Virga et correctio retribuent sapientiam; puer autem qui dimittitur voluntati sue confundet matrem suam."
Et alibi, "Stultitia colligata est in corde pueri, virga et baculus fugabunt eam."
Fugata ergo stultitia per correctionem, efficientur filii sapientes et letificabunt te. Nam ut ait idem, "Filius sapiens letificat patrem, filius vero stultus mestitia est matris sue."
Et alibi, "Erudi filium tuum, et refrigerabit te, et dabit delitias anime tue."
Et alibi Ihesus Sirac dixit, "Filii sunt tibi? erudi illos a pueritia illorum.
Filie sunt tibi? conserva corpus illarum, et non ostendas faciem tuam illarem ad illas.
Trade filiam tuam, et grande opus feceris; et homini sensato da illam."
Et alibi, Audite populi, omnes gentes, et rectores ecclesie: filio et mulieri, fratri et amico, ne deris potestatem in vita tua. Melius est enim ut filii tui in te respiciant, quam te respicere in manus filiorum tuorum.
Et si forte filii vel alii amici tui correctiones et ammonitiones tuas recipere nolunt, non tamen desistas. Unde Cato dixit, Cum moneas aliquem nec se velit ipse moneri, Si tibi sit carus, noli desistere ceptis.
Et Cassiodorus dixit, "Non facile efficitur vitiosus, cui monitor insistit assiduus." "Nec facile erroris vitio sordescit, quem assidua doctrina purgaverit."
Nec provoces filios tuos ad iracundiam. Unde Apostolus in epistola ad Ephesios dixit, "Et vos patres nolite ad iracundiam provocare filios vestros: sed educate illos in disciplina et correctione Domini."
Ad exemplum ergo divinum filios castigare debes. "Quem enim Dominus diligit, castigat: et flagellat autem omnem filium, quem recipit," ut sanctus Paulus ait.
Et Ihesus filius Sirac dixit, Qui diligit filium suum assiduat illi flagella, ut letetur in novissimo, et non palpet proximorum hostia.
Lacta filium tuum et paventem te facit; lude cum eo, et contristabit te.
Ne credas sic illi, ne doleas, et in novissimo obstupescant dentes tui.
Curva cervicem eius in iuventute, et tunde latera eius dum infans est, ne forte induret et non credat tibi, et erit tibi dolor anime.
Nam et Salomon in Proverbiis dixit, "Adolescens iuxta viam suam, et cum senuerit, non recedet ab ea."
Unde quidam sapiens dixit, Qui non assuescit virtutibus, dum iuvenescit, A vitiis nescit desuescere, quando senescit.
Sed licet filii taliter sint castigandi, tamen "permittendum est aliquando iuvenibus sequi impetum animi," ut Seneca in epistolis dixit.
Et non in filiis iocunderis impiis; si multiplicentur, non oblectaveris super ipsos; si non est timor Dei cum illis, ne credas vite illorum et ne respexeris in labore eorum. "Melius est unus timens Deum quam mille filii impii; et utile est mori sine filiis, quam relinquere filios impios.
Ab uno sensato habitabitur patria et a tribus impiis deseritur," ut sapiens dixit.
Et eciam ut hereditatem bonam relinqueris filiis, gloria virtutum eos instruere debes. Unde Tullius dixit, "Optima heriditas autem a patribus traditur filiis, omnique patrimonio prestantior gloria virtutis eorumque gestarum."
Et caveas ne amor filiorum in tantam dementiam te obstringat ut tui ipsius obliviscaris, tibi ipsi necessaria et utilia denegando. Nam ut ait Seneca in epistolis, "Magna dementia est heredis sui res procurare et sibi omnia denegare, ut tibi ex amico inimicum magna faciat hereditas: quanto enim plus acceperit, tanto plus de tua morte gaudebit."
Inde eciam Salomon in Ecclesiaste dixit, Detestatus sum omnem industriam meam, quam sub sole studiosissime laboravi, habiturus heredem post me, quem ignoro utrum sapiens an stultus futurus sit, et dominabitur in laboribus meis, quibus desubdavi et sollicitus fui; et est quicquam tam vanum?
Unde cessavit, renuntiavitque cor meum ultra laborare sub sole. Nam cum alius laboret in sapientia, doctrina, et sollicitudine, homini otioso quesita dimittit; et hoc ergo vanitas et magnum malum.
Et alibi dixit, "Qui accervat ex animo suo iniuste, alii congregat, et in bonis suis luxuriabitur."
Et quem habebat hostem plurumque dimittit heredem.
Sic ergo servias filiis et amicis in vita tua ut mortem tuam non expectent, alioquin eciam extranei tuam vitam odio haberent, Seneca testante qui ait, "Cuius mortem amici expectant, eius vitam omnes oderunt."
[Caput XVI.] De uxore diligenda.
Uxorem vero tuam perfecte diligere debes, quia pars tui corporis est, et unum corpus tecum est, ut ait Dominus qui eam adiutorium hominis vocavit.
Nam cum fecisset hominem dixit, "Faciamus ei adiutorium," et extracta costa de corpore Ade fecit Evam, et dixit, "Propter hoc relinquid homo patrem et matrem, et adherebit uxori sue: et erunt duo in carne una."
Et alibi dixit Apostolus in epistola ad Ephesios, "Diligite uxores vestras sicut Christus dilexit Ecclesiam."
Et subiunxit idem Apostolus, "Ita viri debent diligere uxores suas ut corpora sua. Quia qui suam uxorem diligit, seipsum diligit. Nemo unquam carnem suam odio habuit: sed nutrit et fovet eam."
Et postea eciam subiunxit, "Unusquisque suam uxorem sicut se ipsum diligat: uxor autem timeat virum suum."
Et merito uxor est diligenda quia donum est Dei. Dixit enim Ihesus filius Syrac, "Domus et divitie dantur a parentibus, a Domino autem proprie uxor bona vel prudens."
Est enim ut dixit adiutorium hominis et maxime egeni, unde idem dixit, "Ubi non est sepis, dirunpitur possessio; et ubi non est mulier, ingemiscit egens."
Et adeo teneris uxorem diligere, ut dicatur eam tui corporis potestatem habere. Unde ait Apostolus in epistola prima ad Corrinthios, Vir non habet potestatem sui corporis, sed mulier. Uxor autem non habet potestatem sui corporis, sed vir.
Nolite fraudare invicem, nisi forte ex consensu ad tempus, ut vacetis orationi: et iterum revertimini in idem, non temptet vos Sathanas propter incontinentiam vestram.
Et alibi, "Uxori debitum reddat: similiter autem et uxor viro."
In tantum eciam teneris uxorem diligere ut nunquam ab illa valeas separari nisi ob causam fornicationis. Unde dictum est, "Quos Deus coniunxit, homo non separaret."
Nec credas peccatum esse coniuges commisceri secum carnaliter, cum per Apostolum dicatur: "Unusquisque habeat suam fornicationem."
Et alibi per eundem dictum sit, "Melius est nubere quam uri."
Et alibi eciam per eundem dictum sit, "Qui vero iungit virginem suam, bene facit: et qui non iungit, melius facit."
Et alibi, "Illigatus es uxori? Noli querere. Si autem acceperis uxorem, non peccasti. Et si nupserit virgo, non peccavit."
Et eciam de viduis dixit, "Mulier alligata est legi quanto tempore vir vivit, quod si dormierit vir eius, liberata est a lege:
cui vult nubat, tantum in Domino. Beatior autem erit si sic secundum meum."
Sic ergo Apostolus dicit illum benefacere. Stultus est hereticus qui contra dictum Apostoli prohibet nubere et iubet abstinere a cibis quos Deus creavit.
Ut Apostolus in epistola ad Timotheum dixit, Spiritus autem manifeste dicit, quia in novissimis temporibus discedent quidam a fide, attendentes spiritibus erroris, et doctrinis demoniorum, in ypocrisi loquentes mendatium, et cauteriatam habentes conscientiam, prohibentes nubere, et abstinere a cibis, quos Deus creavit ad percipiendum cum gratiarum actione.
Nec potest hereticus dicere dictum Apostoli esse intelligendum de nuptu divino. Nam si de divino intelligeretur secundum illam auctoritatem, melius esset abstinere ab nuptu divino quam nubere in Christo, quod aperte falsum est.
Nec inhereas hereticis, nec illis credas qui dicunt uxorem esse dimittendam, nec cum ea esse carnaliter utendum, prave intelligendo evangelium, ubi dicitur, "Qui dimiserit patrem, aut matrem, aut filios, aut agros, aut uxorem, centuplum accipiet, insuper et vitam eternam."
Illud enim intelligitur quando de voluntate utriusque coniugum hoc fiet, cum vovent castitatem, vel transeunt ad religionem de voluntate alterius ambo, vel eciam unus transit ad religionem de voluntate alterius coniugum, altero senescente et in seculum manente et castitatem voviente; vel eciam contra voluntatem eius, si matrimonium non est consumatum per carnalem copulam, quia vocatus est de nuptiis, ut decreta et decretales et iura proclamant.
Quare dico quod non debes cessare eciam a nuptu carnali, si tibi placet habere uxorem.
Et uxorem accipias pocius ornatam bonis moribus et in bona societate nutritam, quam divitiis habundantem et aliter malam, et pocius puellam quam viduam. Dixit enim quidam philosophus, "Accipe puellam in uxorem, quamvis sit vetula."
Et Cato dixit, Uxorem fuge ne ducas sub nomine dotis, Nec retinere velis, si ceperit esse molesta.
Nec facias magximos sumptus in nuptiis uxoris. Nam dixit Seneca, "Nuptias sumptuosas facere vita."
Et si forte in uxore aliquid inveneris quod tibi displiceat, equo animo id tollerare debes si commode id fieri potest. Nam dixit quidam philosophus, "Nulla tam bona uxor, in qua non invenias quod queraris,"
et "nulla tam bona fortuna est, de qua nichil possit queri."
Et Tullius De Amicitia dixit, "Non est quicquam difficilius quam invenire quod sit ex omni parte in sua genere perfectum."
Unde Salomon in Ecclesiaste dixit, "Virum de mille reperi unum, mulierem ex omnibus non inveni."
Si licet Salomon nullam invenerit, Seneca tamen benignius uxores super omnia commendavit, dicens: Sicut nichil est superius benigna coniuge, ita nichil est crudelius infesta muliere. Quanto enim sapiens vitam suam pro viri salute opponit, tanto maligna ad mariti mortem eciam vitam suam reputat.
Et ideo bona uxor est diligenda. Nam dixit quidam philosophus, "Scias in bona muliere bonam societatem esse; bona mulier fidelis custos est et bona domus."
Et alibi dixit, "Casta matrona parendo viro imperat."
Si ergo uxor mala est, eam feras prout commode potes. Ait enim quidam sapiens, "Feras, non culpes, quod mutari non potest."
Sed licet diligere debes uxorem, non tamen dare debes illi potestatem super te in vita tua, nec dare debes illi primatum, ne forte tibi sit contraria. Ut Ihesus filius Sirac dixit, "Mulier, si primatum habeat, contraria est viro suo."
Uxorem autem diligas ut illi fidem servando alii ea vivente non adhereas, sed pudititiam serves. Nam ut ait lex, "Periniquum videtur esse ut pudicitiam vir ab uxore exigat, quam ipse non exibeat."
Et Seneca epistolarum dixit, "Improbum mechum esse dicimus, qui ab uxore per pudicitiam exigit, cum ipse sit corruptor alienarum uxorum."
Et Salomon dixit, "Qui autem est adulter, propter cordis inopiam perdet animam suam; turpitudinem et ingnominiam congregat sibi, et obprobrium illius non delebitur."
Nec aduleris uxorem tuam, nec eam nimium laudes, vel eam vituperes, nec mordacitate turpium verborum eam corrigas. Dixit enim Seneca De Formula Honeste Vite, "Nullius amicitiam per adulationem acquiras. Laude parce, vitupera parcius." Sicut enim reprehenda est nimia laudatio, sic inmoderata vituperatio; hec enim adulatione, illa vero malignitate suspecta est.
Ne provoces uxorem ad iracundiam, si hoc vitare potes, quia ut ait Salomon, "Non est capud nequius super capud columbri, nec est ira super iram mulieris."
Sed si forte sine tua culpa in iram proruperit, eius verba minime timebis. Ait enim Cato, Coniugis irate noli tu verba timere, Nam lacrimis struit insidias, dum femina plorat.
Inde eciam Seneca dixit, "Duo genera habent in oculis feminarum lacrime; certi doloris unum, insidiarum aliud." Nam "mulieris lacrime condimentum sunt malitie," et "parate lacrime insidias non fletum indicant."
Quare Cato dixit, Nil temere uxori de servis crede querenti: Sepe enim mulier, quem coniunx diligit, odit.
Nec uxoris consilio nimis inhereas. Ait enim sapiens quidam, "Malo in consilio femine vincunt viros."
Et in proverbio dicitur, "Consilium femine aut nimis carum aut nimis vile."
[Caput XVII.] De servientibus et mercenariis et servis corrigendis et diligendis.
Servientes autem et mercenarios et servos qui fideliter et docte serviunt tibi, specialiter multum diligere debes, eosque bene regere ac gubernare, et leniter cum illis agere.
Nam dixit Ihesus filius Syrac, "Noli esse sicut leo in domo tua, evertens domesticos tuos, et opprimens subiectos tibi."
Et alius dixit, "Subiectorum statum et condiccionem non dominio, sed iudicio regas, ut propriam domum non possidere, sed pocius ministrare puteris."
Et quidam philosophus dixit, "Colant te pocius servi tui quam timeant."
Quos enim regere debes, leonina ferocitate minime tractes; alioquin a te subiecte subiecti merito precavererent. Ait enim quidam philosophus, "Custodi te a rege illo qui ferrus est ut leo, et cui est levis animus ut puero."
Esto ergo bonus et bene et bona impera, ut subiecti equo animo tibi pareant, ubi boni imperant.
Et qui in servos iracundus est et crudelis, satis ostendit potestatem adversus alios sibi defuisse.
Quare Salomon dixit, "Rectorem te posuerunt? Noli extolli; esto in illis quasi unus ex ipsis."
Et si docte et fidelliter tibi subiecti servierint, talem illis te exibeas, ut quasi propter te rerum tuarum domini videantur. Nam dixit philosophus, "Qui docte servit, partem dominatus tenet."
Unde Ihesus filius Syrac dixit, "Servo sensato liberi servient; et vir prudens et disciplinatus non murmurabit correctus, et inscius non honorabitur."
Et Salomon dixit, "Servus sapiens dominabitur filiis stultis, et inter fratres hereditatem dividet."
Et alius dixit, "Qui invite servit, servus est; si volens, minister."
Et Seneca dixit, "Probus libertus sine natura est filius."
Et nota quod si predictis benivolus fueris, benivolum animum erga te et res tuas facient, et obsequia tua circa te finem non habebunt. Nam dixit quidam philosophus, "Obsequium benivoli animi finem non habetur."
Et Seneca dixit, "Benivoli animi coniunctio, et magna cognatio est."
Nec regas eos vel foveas in vitiis; quia ut dixit quidam sapiens, "Non corrigit, sed ledit, qui invitum regit."
Nec nutrias eos a pueritia delicate. Nam ut ait Salomon, "Qui delicate a pueritia nutrit servum suum, postea illum sentiet contumacem." Et non solum contumacem sentiet illum, sed eciam vilem, ita quod nullum poterit tollerare laborem.
Si autem a puericia in labore nutritus est, nullum laborem postea recusabit. Unde Seneca in epistolis dixit, "Nullum laborem recusant manus, que ad arma ab aratro transferuntur: in primo defecit pulvere ille unctus et nitidus."
Et Martialis Cocus dixit, Mollibus assuetus loricam ferre recusat, Cervici tenere ferrea capsis obest.
Sepius uncta manus capulum non accipit ensis, Lota et fota cutis frigore et ymbre dolet.
Assiduus Veneris vexillifer, Emiliane, Virtutis nunquam signifer esse potest.
Virtutis enim gloria non facili sine labore acquiritur. Unde Cassiodorus dixit, "Laborem quippe non refugit qui virtutis gloriam concupiscit."
Sed huiusmodi delicati labores substinere non possunt. Quare idem ait, "Almena omnia delicata sunt ad labores et facile honus afflictionis sentiunt, qui uti suavibus delitiis consueverunt."
Nec timeas servos tuos nisi cum dilectione. Nam dixit quidam philosophus, "Minus esse quam servum, qui servum timet."
Servos tamen alienos bene timere debes. Unde sapiens dixit, "Non accuses servum ad dominum suum, ne forte irascatur tibi, et corruas."
"Nec ledas servum tuum operantem in veritate, nec mercenarium dantem animam suam."
Dixit eciam sapiens, "Servus sensatus sit tibi dilectus sicut anima tua; non fraudes illum libertate, nec inopem derelinquas illum."
Et Seneca in epistolis dixit, "Cena parata reliquie circumstantibus dividuntur; sic paracta vita aliquid porrigas hiis, qui totius vite ministri fuerunt."
Et si servi tui divites fuerint, eorum divitiis utaris moderate, nec illos spoliari; alioquin condiccionem tuam faceres deteriorem.
Nam dixit Martialis Cocus, Dum spolias servos, dum diripis omnia eorum, Conpede servitij, Lentule, solvis eum.
Paupertas servum tibi libertate coequat, Adsunt divitie, tu dominaris ei.
Si autem servi tui indisciplinati fuerint, adhibe doctrinam et correctionem, ad modum sapientis qui dixit: Cibaria, et virga, et honus asino; panis, et disciplina, et opus servo.
Operantur in disciplina, et petit requiescere; laxa manus illi, et petit libertatem.
Iugum et lorum curvant collum durum, et servum inclinant operationes assidue.
Servo malivolo torturam et conpedes, mitte eum in operationem, ne vacet; multam enim malitiam docuit occiositas.
Et certe necessaria bene debes servis et servientibus subministrare, ne sub quadam necessitate compellantur peccare. Ait enim Cassiodorus, "Sub quadam necessitate peccare creditur cui necessaria non prebentur."
Et nota quod ferre omnis servi malivoli sunt atque inimici dominis suis. Unde Seneca in epistolis dixit, "Totidem habemus inimicos quot servos."
Ne tamen propter hoc in eos sevire debes, sed moderate castigare. Dixit enim Cato, Servorum culpa cum te dolor urget in iram, Ipse moderare, tuis ut parcere possis.
Et alibi, Cum servos fueris proprios mercatus in usus, Et famulos dicas, homines tamen esse memento.
"Mercenarij at ue merces non remaneat apud te usque mane. Dignus est enim mercenarius mercede sua," ut Dominus dixit.
Secundum ergo qualitatem personarum corrigendi et castigandi sunt servientes, mercenarij, et servi. Nam ut ait Cassiodorus, "Feroces districtione premendi sunt, mansueti civiliter amonendi: dolosi caute, simplices sub lenitate tractandi sunt."
Ait enim Seneca, "Malos metus cohercet, non clementia."
Verum tamen ut ait Salomon in Ecclesiaste, "Perversi dificile corriguntur, stultorum infinitus est numerus."
[Caput XVIII.] De cautela in retinentis amicis.
In retinendis autem amicis diligens cautela est adhibenda. "Amicus enim facile acquiritur, difficile retinetur."
In primis sic habeas amicum ut non timeas ipsum fieri inimicum;
amicorum autem negotia taliter tractes, ut eos in aliquo non ledas. "Bonus enim amicus lesus gravius irascitur" duplicatur, cum ab eo a quo non meruerit venit.
Inde eciam Seneca dixit, "Tanto magis iniuria est, affeccior quanto proximus est, qui facit."
Et Cassiodorus dixit, "Malorum omnium probatur extremum inde detrimenta suscipere, unde credebantur auxilia provenire."
Et eciam alius dixit, "Quanto in proximo plus quisque confundit, tanto fraudato spes confidentis animum magis acerbat."
Nec ab amico invite dante aliquid sumas. Nam dicit Regula Amoris, "Non est sapidum, quod amans ab invito sumat amante."
Et Seneca epistolarum dixit, "Nichil honestum est, quod ab invito, quod a coacto fit. Honestum voluntarium est."
Et bene potes perpendere quod invite dat amicus si tacet ammonitus. Nam ut ait Seneca, "sapiens quod petitur ubi tacet habere negat;"
"Omnis enim benignitas properat: et proprium est libenter facientis cito facere." Tarde velle nolentis est.
Quare non est ei precibus insistendum, nec est dignus rogari. Et si hoc faceres, ingenuitatem tuam lederes.
Ait enim Seneca, "Ingenuitatem suam ledit, quum indignum rogat."
Et licet dixerim quod periculum est cuilibet amico secreta pandere archana, tantum tibi commissa ab amicis secreta habeas, et eis in omnibus esto fidelis, nec secreta propallare, ait, debes.
Nam ut ait Salomon, "Qui ambulat fraudulenter, revelat archana; qui autem fidelis est, celat animi commissum."
Et iterum, "Qui celat delictum querit amicitias; qui autem repetit sermonem separat federatos."
Et Ihesus filius Syrac dixit, "Qui denudat archana amici perdet fidem, et non inveniet amicum ad animum suum.
Denudare autem amici ministeria, desperatio est anime infelicis."
Et eciam quidam philosophus dixit, "Sepultus apud te sit sermo quem tu audieris."
Nec despicias amicum tuum, vel alium vel aliquem alium. Nam ut Salomon ait, "Qui despicit amicum suum indigens est corde; vir autem prudens tacebit."
Et alius dixit, "Qui omnes dispicit omnibus displicet."
Nec dicas amico tuo, "Vade et reverterere, quia cras dabo tibi;" statim possis dare.
Nam ut quidam philosophus dixit, "Terminum termino addere roganti hoc tempore est caliditas negandi."
Et alibi dixit, "Honestius est rem negare quam longos terminos dare."
Cave tamen si tibi forte non placet amico petita promittere, ne propter verecundiam incidas in mandatum.
Dixit enim quidam philosophus, "Verecundia negandi cave ne tibi inferat necessitatem menciendi."
Et nota quod "minus decipitur cui celeriter negatur." Ut quidam sapiens dixit,
Cum consideratione promitte, plenius autem quam promittas tribue
et promissionem attende, si promissio non sit turpis, vel ex turpi causa, ut leges clamant, vel si promissi commode servari potest.
Quidam enim promissiones fiunt que minime sunt servande. Nam Tullius dixit, "Nec promissa sunt servanda, que sunt hiis, quibus promisseris, inutilia: nec si plus tibi noceant, quam illi prosint, cui quid promiseris."
Inde quidam sapiens dixit, "Sapiens non mentitur, cum suum propositum in melius mutat."
Nec mutabis amico tuo grande, vel grave hes, ne forte propter hoc tuus efficiatur inimicus. Nam ut Seneca epistolarum dixit, "Leve hes alienum facit debitorem, grave in inimicum."
Non ergo de gravi here alieno pro amico fideiubeas, ne forte eius inimicus efficiaris, sed si forte fideiussisti. Serva consilium Salomonis in Proverbiis dicentis, Filii, spoponderis pro amico tuo, defixisti apud extraneum animam tuam;
illaqueactus propriis sermonibus tuis.
Fac ergo quod tibi dico, fili mi, temetipsum libera. Quia incidisti in manum proximi tui. Discurre, festina, festina suscita amicum tuum.
Ne dederis sompnum occulis tuis, nec dormitent palpebre tue.
Eruere damula de manu, et quasi avis de insidiis aucupis.
Minus dicto quam facias et diu deliberato cito facito.
Celeritas enim beneficium gratum facit. Nam proprium est libenter facientis cito facere; "ingratum autem beneficium est quod diu inter manus dantis hesit."
Nam et Seneca De Beneficiis dixit, "Gratissima sunt beneficia parata, facilia, occurentia, ubi nulla intervenit mora, nisi in accipientis verecundia."
Inde eciam Seneca epistolarum dixit, "Beneficium diu petitum vilescit acceptum."
Inde eciam Cassiodorus dixit, "Apud conscientiam nostram lesionis genus est profutura tardare non possumus exstimare iocundum, quod ingrata fuerit dilatione suspensum."
"Fac sumptum propere cum res desiderat ipsa. Est dandum aliquid cum tempus postulat res aut res."
Et alius dixit, "Res ad multam instantiam exibita, cara videtur emptione quesita."
Et ideo Seneca dixit, Optimum est desideria cuiusque antecedere; illud melius, occupare antequam rogemur, cum homini probo ad rogandum suffundatur rubor; et qui hoc tormentum remittit, multiplicat munus suum.
Nam ut idem dixit, "Molestum verbum est et honerosum dum demisso vultu dicit quis: rogo."
Et iterum, "Nulla res carius constat, quam que precibus empta est."
Et non solum in dando beneficio post deliberationem velox esse debes, sed eciam in omni opere tuo. Nam dixit Salomon, "Vidisti virum velocem in omni opere suo? Coram regibus stabit, nec erit inter ignobiles."
Et Ihesus filius Syrac dixit, "In omnibus operibus tuis velox esto, et omnis infirmitas non occuret tibi."
Non tamen tantam velocitatem exerceas, que operis perfectionem inpediat, sed de opere bene consumato taliter valeas laudari, ut inde potiora merito debeas prosequi.
Ait enim Cassiodorus, "Iusta potiora prosequitur, qui de commissa sibi perfectione negotij laudatur."
Nec dicas amico aliquid quod aures eius merito offendat. Nam sicut "mittens lapidem in volatilia deiciet illa, sic et qui convitiatur amico suo dissolvit amicitiam,"
ut Ihesus filius Sirac dixit. Ed licet non sit convitiandum amico vel eciam alii, "equo tamen animo audienda sunt inperitorum et amicorum convitia," ut Seneca in epistolis dixit.
Et non solum a convitio amici cessare debes, sed eciam celare crimen convitiari possit.
Unde Cato dixit, Quod pudeat socios prudens celare memento, Ne plures culpent, quod tibi displicit uni.
Et alibi, Quantumcumque potes, celato crimen amici. Et maxime quando crimen non est manifestum, sed adhuc latens vel occultum.
Nam ut ait Cassiodorus, "Multo sanctius est tenebris occultare vitiosa, quam culpanda presumpta importunitate vulgare."
Ideo autem dixi merito quia corripere bene potes. Nam ut ait Tullius De Amicitia, "Et moneri proprium est vere amicitie, et alterum libere facere non asperare, alterum pacienter accipere, non repugnanter."
Et Salomon ait, "Qui corripit hominem magis gratiam apud eum inveniet, quam qui per lingue blandimenta decipit."
Illud autem secreto et benigne et non mordaciter facere debes.
Unde Cato ait, Litem infert cave cum quo tibi gratia iuncta est, Ira odium generat, concordia nutrit amorem.
Et alibi, Adversus notum noli contendere verbis: Lis minimis verbis interdum masima crescit.
Et eciam Seneca De Formula Honeste Vite dixit, "Amonebis libenter, reprehenderis patienter. Si merito obiurgabit te aliquis, scito quia profuit; si in merito, prodesse voluit. Non acerba, sed blanda verba timebis."
Moneri vellere ac posse sera virtus est; nolle autem moneri stultitia est.
Unde Ovidius De Remedio Amoris dixit, Inpatiens animus nec adhuc tractabilis arte Respuit atque odio verba monentis habet.
Dixi "non acerba verba timebis, sed blanda," quia ut dixit sapiens, "Malus homo qui blande loquitur innocentium laqueus est."
Et Cato dixit, Sermones blandosque vitare memento.
Et alius dixit, "Semper dulce fugias, quod amarum fieri potest."
Et Salomon dixit, "Homo qui blandis fictisque sermonibus loquitur amico suo, rete expandit pedibus eius."
Et alius dixit, "Semper suum habet venenum blanda oratio."
Et alius dixit, "Nulle sunt occultiores insidie, quam hee, que latent in simulatione officii aut in aliquo necessitudinis nomine. Nam eum qui palam est adversarius facile quis cavendo vitare potest."
Eciam Seneca dixit, "Peiora multa cogitat muttus dolor."
Et alius dixit, "Peiora sunt tecta odia quam aperta pretenta." Taciturnus magis offendet te quam loquax.
Et alius dixit, "Qui bene disimulat, citius inimico nocet."
Et alius dixit, "Verum est canem timidum vehementius latere quam mordere. Et altissima queque flumina minimo sono labi."
Secundum ergo Tullium De Amicitia, "Multo melius de quibus acerbos inimicos mereri, quam eos amicos, qui dulces videantur; et illos sepe verum dicere, hos nunquam."
Ammonitiones vero et reprehensiones ab amico benigne et libenter recipias. Nam ut ait Salomon, "Meliora sunt vulnera diligentis, quam fraudulenta odiens oscula."
Et alibi, "Melior est manifesta corretio quam amor absconditus."
Et bene dixi "secreto hominem admonendum" quia Dominus ait, "Si pecaverit in te frater tuus, corripe eum inter te et ipsum solum," et cetera.
Et quidam philosophus dixit, "Secreto amicos admone, palam lauda!" Muta enim caritas spem representant non amantis.
Si enim temere et mordaciter amoneres vel reprehenderes, accideret tibi quod Salamon dixit, "Qui aliena temere manifestat vitia, sua vite pestive audiet crimina."
Et corripere debes sine vituperatione et interrogatione precedente. Ut idem dixit, "Ante interrogationem, neminem vituperes; et post interrogationem, iuste corripere."
Et in correctione sive obiurgatione alterius semper aliquid blandum commiscere debes, secundum Seneca qui ait, "Obiurgationi semper aliquid blandum commisce. Facilius enim penetrant verba que mollia vadunt, quam que aspera."
Et certe quando vides homines in calamitate, cessare tunc debes ab obiurgatione.
Ait enim quidam philosophus, "Obiurgari in calamitate gravius est quam ipsa calamitas."
Unde Seneca dixit, "In calamitoso risus eciam iniuria est."
Non tamen corripias irrisorem nec impium. Nam ut idem ait, "Qui corripit irrisorem, ipse sibi iniuriam facit; qui arguit impium, ipse sibi maculam querit."
[Caput XIX.] De benefitiis et muneribus.
Et nota quod licet per sapientes dicatur, "Quod memoria benefitiorum labilis est, iniuriarum vero tenax." Unde Salomon, interrogatus quid inter homines facilius senesceret, respondet, "Benefitium
tua tamen humanitas atque benignitas in contrarium laborando de acceptis benefitiis cotidie recordetur, de iniuriis vero obliviscatur." Ut ait Cato, "Esto memor accepti benefitij."
Et alibi, Exiguum munus cum tibi dat pauper amicus, Accipito pleneque laudare memento.
Et acceptum enim benefitium eterne memorie commendandum est, plene laudare debes et palam, non secrete nec ad aures. Nam ut Seneca dixit, "Ingratus est, qui, remotis arbitris, in angulo ad aures ait gratias."
Et alibi in epistolis dixit, "Nemo cognoscit preter sapientem referre gratias? Solus sapiens scit amare; solus sapiens amicus est, et nisi in sapiente fidem non esse."
Et nota quod in benefitiis dandis bonum est adicere verba bona, et predicatione humana benigna queque comendare que prestes,
ut ille videlicet se castiget qui tardior in rogando fuit. Adicias enim secundum familiarem loquelam, sive querelam: "Irascor tibi quod cum aliquid meum desiderasses, non id scire me fecisti, et quod tam diligenter me rogasti de meo quicquid desiderasti audacter petas."
Plurique enim qui benefitia asperitate verborum et superscilio in odium adducunt eo sermone, eaque superbia usi, ut impetrasse peniteas,
dementia enim est corripere cui das, et inserere contumeliam donis. Si quid erit de quo velis ipsum ammonere, aliud tempus eligito; non enim sunt exasperanda benefitia, nec quicquam triste illis inmiscendum,
nec sunt angustanda benefitia, immo per specie futuri verbis amplianda. Nam ut ait Cassiodorus, "Angusta sunt que non eciam de futuris aliquid pollicentur."
Nec eciam sunt dilatanda benefitia nec pro parvis magna accipienda. Ait enim Seneca De Benefitiis, "Nec exiguum dilatabo, nec magna pro parvis accipere patiar."
Et nota quod ut Salomon in Proverbiis dixit, munus absconditum quibus utilius est quam palam datum. Unde ait, "Munus absconditum extinguit terras, et donum eciam sinu indignationum maximam."
Et nota quod munus non semper accipiendum est, nec semper reiciendum.
Nam quod honeste accipi non potest, nullatenus recipiendum est. Unde quidam philosophus dixit, "Perdidisse mallem quam turpiter accepisse."
Et Seneca dixit, "Benefitium accipere libertatem est vendere." Non ergo libertatem tuam vendas ab inhonesto vel indigno benefitium accipiendo. Oportet enim te illi retribuere et illius debitorem esse, quod gravissimum esset.
Ait enim Seneca, "Grave tormentum est debere, cui nolis," et cetera. Iocundissimum est ab eo accepisse benefitium quem amare eciam post iniuriam possis.
Reiciendum autem munus non est quod honeste et ab honesto accipitur, et accepto munere non est protinus invicem aliud mittendum. Nam ut ait Seneca De Beneficiis, "Reieccio muneris signum est protinus aliud invicem mittere et munere munus expungere."
Et nota quod licet laudare debeas amicum de accepto benefitio, tamen benefitium a te alij collatum commemorare non debes. Nam Tullius De Amicitia dixit, "Que meminisse debet is in quem collata sunt, non debet commemorare qui contulit."
Statim enim cum dicis te benefitium dedisse videris repetere. Nam ut ait Seneca, "Benefitium qui dedisse dicit, petit."
Et alius dixit, "Qui dedit benefitium, taceat. Narret autem qui accipit."
Nichil enim eque in dando benefitio vitandum est, quam inanis iactatio. Res enim loquetur nobis tacentibus.
Et Cato dixit, Officium alterius multis narrare memento, Atque aliis cum tu benefeceris ipse sileto.
Et sive benefitium alii dederis sive ab alio acceperis, semper ylarem te ostendas. Dixit enim Ihesus filius Sirac, "In omni dato ylarem fac vultum tuum, et in exultatione sanctifica decimas tuas."
Et Martialis Cocus dixit, Attollunt ylares villissima munera vultus, Vultus sublustres maxima deiciunt.
[Caput XX.] De iniuria oblivioni tradenda.
De iniuria oblivioni tradenda dicit Dominus, "Michi vindictam, et ego retribuam."
Et Seneca epistolarum ait, "Iniurie oblivisci debemus, benefitii vero meminisse. Nam iniuriarum remedium est oblivio."
Et Ihesus filius Syrac dixit, "Onmis iniurie proximi ne memineris, et nichil agas in operibus iniurie."
Omnino autem ab iniuria amici taliter obtemperes, ut eius amor nullatenus minuatur, et non solum ab iniurie [!] amici obtemperare debes, sed eciam ab iniuria cuiuslibet alterius. "Multis enim minatur qui uni facit iniuriam."
Et Cassiodorus dixit, "Iniuria unius compago tota conteritur."
Et eciam Apostolus in epistola ad Collocenses ait, "Qui enim iniuriam facit, accipiet quod inique gessit."
Et Seneca epistolarum dixit, "Ab aliis expecta, quod alii feceris."
Cavere certe debes ne amor minuatur. Amor enim numquam in eodem statu permanet: aut enim crescit aut decrescit. Eo enim ipse quod durat inveteratur et crescit.
Nam dicit Regula Amoris, "Si amor minuatur, cito decidit et raro convalescit."
Et Martialis Cocus dixit, Prudenti, Probe, consilio est servandus, Que sero acquiris, sed cito perdis eum.
[Caput XXI.] De laude facienda vel non.
Ne amicum nec aliquem alium in eius presentia collaudes, quia dixit philosophus, "Laudare presentem nec ledere decet."
Presentem dico alium, sed nec te ipsum laudare debes, ne derisorem invenias. Ait Seneca, "Qui se ipsum laudat, cito derisorem invenit."
Et Cato dixit, Nec te collaudes nec te culpaveris ipse. Hoc faciunt stulti quos gloria vexat inanis.
Et iuxta illud, "Os alienum te commendet et non proprium, quia omnis laus in proprio ore sordescit."
Nec vituperes amicum, nec de eo ludas. Ut dixit philosophus, "Amicum nec ioco ledere quidem decet."
Nam et Martialis Cocus dixit, Vituperat subito subito qui laudat, Aledi, Hoc utrumque tuum significat vitium.
Non est amicus subito vel immoderate laudandus. Unde Cato dixit, Nam quem tu sepe probaris, Una dies, equalis fuerit, ostendet, amicus.
Nec occasiones queras amico. Nam ut sapiens dixit, "Occasiones querit qui vult recedere ab amico, et omni tempore erit exprobabilis."
[Caput XXII.] De amicis fictitiis et dubitatis.
Hec que dicta sunt intelligas de veris et probatis amicis. Si autem de amico dubitas et utrum bonus aut malus sit ignoras, illum in ulteriorem amicitiam non assumas. Nam dixit quidam philosophus, "Si quid dubitas, ne feceris." "Animi enim iuditio quod negatum fuerit, fugito."
Et Tullius De Officiis dixit, "Bene precipiunt, qui vetant quicquam agere, quod dubites equum sit an iniquum. Equitas enim per se lucet; dubitatio autem significationem continet iniurie."
Et ideo forte Seneca dixit, "Solet esse in dubio pro consilio temeritas."
Amicitiam vero dubitati amici ante probationem et venitatis cognitionem in suspenso teneas. Nam ut ait Seneca De Formula Honeste Vite, "De dubiis ne diffinias: tenes suspensam sententiam."
Et non statim sine rationabili causa et bene cognita ab eo divertas. Nam secundum Regulam Amoris, "Nemo sine excessu suo debet amore privari."
Non ergo debes privare tuo amore aliquem propter deformitatem corporis, vel exiguitatem, vel imbecillitatem dum tamen alias bonus sit. Nam ut ait Seneca in epistolis, "Scire debemus non deformitate corporis fedari animum, sed pulcritudine animi corpus adhonorari." Nec "bonum nec malum vagina facit gladium." Idem de corpore dicendum est.
Et Cato dixit, Corporis exigui vires contempnere noli: Consilio pollet, cum vim natura negavit.
Et si forte tibi alludat amicus tuus nec est corde fidelis, fac ut dixit Cato, Qui simulat verbis nec corde est fidus amicus, Tu quoque fac simile: sic ars deluditur arte.
Nam et si "blanda et ficta loquetur," tamen si prudens fueris cor eius facile tibi patebit. Ait enim Salomon, "Quomodo in aquis resplendent vultus prospicientium, sic corda hominum manifesta sunt prudentibus."
Et alius dixit, "Speculum est mentis facies," et taciti occuli mentis archana fatentur.
Et fac ut dixit Oratius, Numquam te fallant animi sub vulpe latentes.
Nam ut ait Ovidius, Impia sub dulci melle venena latent.
Quare faciendum est secundum dictum Ysopi qui dixit, Pollicitis oris quamquam videantur amoris, Ne confidatis, ne forte per hec pereatis. Verba quidem mellis sunt plena et intima fellis, In quibus est nusquam fidei spes certa quibusquam.
Et alibi idem Ysoppus dixit, Nam simulatores variant pro tempore mores. Menti sincere nequeunt eo usque nocere, Quando ad momentum sit ei opus id ademptum. Et qua crassantur que fraudis et arte minantur, Hac oportet non mire contingat iure perire.
Et si hec feceris, fallatia simulatoris. Ei nocebit, et non tibi, ut sanctus Prosper ait, Fallaces semper curis torquentur amaris, Et mala mens nunquam gaudia paucis habet.
Si autem amicum omnino malum inveneris, quia errando propter illecebras eius illum malum putando bonum amare cepisti, amicitiam eius non retineas. Non enim in tali errore est diutius perseverandum.
Inimici enim gravissimi sunt qui per simulationem amicitie alios nefarie produnt.
Tales igitur vitandi sunt. Unde quidam sapiens ait, "Perfidos amicos devita nichil eis credendo et cavendo omnia."
Amicitiam tamen eorum non subito nec prave divellas, sed paulatim per dissuetudinem eam derelinquas atque aboleas, non dicendo causas quare ab eo divertere, velut in Ovidio De Remedio Amoris legi, qui dixit, Nec causas aperi quare divortia malis Nec quid doleas, clam tamen usque dole.
Et eciam beatus Paulus dixit in epistola ad Thesalonienses, "Denuntiamus vobis, fratres, in nomine Domini nostri Ihesu Christi, ut subtrahatis vos ab omni fratre ambulante inordinate."
Tales igitur amicitie sunt remissione usus elevande, ut dicitur Catonem dixisse,
et dissuende magis quam dissidende. Nisi "quedam admodum intollerabilis iniuria exardescerit, ut quod neque rectum neque honestum sit fieri nec possit, ut non statim alienatio disiunctioque facienda sit."
"Nichil enim est turpius quam cum eo bellum gerere cum quo familiariter vixeris," ut Tullius De Amicitia dixit.
Per dissuetudinem enim aboletur amicitia; per continuam autem et assiduam conversationem et consuetudinem semper augetur et crescit. Quare amicum tuum iuxta te prout commode fieri potest et non procul semper debes habere.
Unde Salomon dixit, "Melior est vicinus iuxta, quam frater procul."
Et eciam vulgo dici consuerunt, "Qui procul est occulis, procul est a lumine cordis."
De amore et dilectione proximi et acquirendis et retinendis et conservandis amicis ad plenum tibi scribere non valerem, sed ex tuo ingenio semper amicos fideles acquiras, eosque taliter studeas conservare, ut dulcedine et amicorum suffragio merito valeas vegetari atque gaudere.
[LIBER III.] DE AMORE ET DILECTIONE ALIARUM RERUM CORPORALIUM LIBER III.
Tractatu habito de amore et dilectione proximi, nunc videndum est de amore et dilectione aliarum rerum.
Sciendum est quod res alie dicuntur corporales, alie incorporales.
"Corporales sunt que tangi et videri possunt, ut terra et aurum et argentum et vestes et pecunia et alie innumerabiles;
incorporales vero que tangi et videri non possunt, ut iusticia, ius et ratio, et servitia et iura et virtutes,
de amore quarum tractari oportet." Sed in primis de amore et dilectione rerum corparalium tractaturi, et temporalium tractabimus, postea de amore et dilectione rerum corporalium tractaturi.
Tua igitur discretio cognoscat corporales res esse diligendas. Nam sicut corpus sine anima vivere non potest, ita sine temporali substantia diutius non potest durare. Victus et vestitus corpori ita sunt necessaria, quod sine temporalibus rebus vita in hominis corpore nullatenus potest durare.
Per temporales enim res homo parentelas magnas facit adeo, ut in Pamphilio dicatur, Dum modo sit dives cuiusdam nata bibulci, Eligit mille quemlibet illa virum.
Alibi eciam dicitur, Glorificant gaze privatos nobilitate, Paupertas domum premit alta nobilitate.
Et Oratius dixit, Et genus et formam regina pecunia donat.
Per temporales enim res acquirit homo magnam potentiam, ita quod reges et principes et fere quilibet homines eam sequantur et timeant.
Temporales insuper res in tantum omnibus prosunt ut eis deficientibus efficiatur homo pauper, mendicus, fur, latro, et fere omnia vitia acquirat.
Et ut generaliter omnia conprehendantur quidam philosophus dixit, "Pecunia est regimen omnium rerum."
Ut ergo homines tot et tantis bonis consolentur, nec tantis bonis opprimantur, malis opes temporales merito diligere possunt.
Amor namque habendi valde bonus est, dum tamen modum non excedat. Unde quidam sapiens ait, Est modus in rebus, sunt certi denique fines Quos ultra citraque nequid consistere rectum.
Amorem habendi circa opes temporales et bona terre stringere oportet, ne fiat immoderatus. Nam immoderatus amor habendi omnia mala vitia ad se trahit. Imoderatus enim amor habendi opes merito avaritia potest nuncupari; imoderatus insuper amor habendi qui non extat in retinendo cupiditas potest dici, immoderatus enim deinque amor habendi potestatem super homines potest dici superbia.
Per immoderatum namque amorem habendi efficitur homo fur, latro, gulosus, luxuriosus, cupidus, avarus, superbus, lusor, et omnibus malis vitiis inherens.
Ut ergo huiusmodi mala vitia fugias, immoderatus amor habendi penitus est fugandus, et igne ac ferro succidendus, totoque artifitio a corde tuo est penitus separandus.
Moderate itaque et sine festinatione et quasi per alluvionem opes temporales sunt acquirende. Nam ut ait Salomon, "Qui festinat dictari non erit innocens."
Et alibi, "Festinate divitie destruentur."
Et alibi eciam dicitur, "Substantia festinantia cito dilabitur, nec non et minuitur; que autem paulatim colligitur, multiplicabitur."
Porro "substantie iniustorum sicut fluvii siccabuntur," quia qui male congregat, cito dispergit. Iustum iuditium est, ut que de malo proveniunt ad malum proveniant, nec accedit ad bonum quod non procedit ex bono.
[CAPUT I.] De acquirendis et conservandis opibus.
In acquirendis et conservandis opibus et retinendis vehementer studeas, tres comites pre oculis semper habendo, videlicet, Deum et conscientiam et bonam famam, vel ad minus duos, scilicet, Deum et conscientiam.
Nam cum a Deo bona cuncta procedant, merito Deus omnibus opibus est preferendus.
Unde sapiens ait, "Melius est parum cum timore Domini, quam thesauri insatiabiles."
Opes enim secundum Domini et sanctorum eius mandata recte potes habere ac possidere, ut ait Apostolus, "Estote quasi tristes, semper autem gaudentes: omnia possidentes, tamquam nichil habentes."
Multos enim sanctos legimus divitias magnas et multas habuisse, ut fuit beatus Iob; et eciam in evangelio legitur de Ioseph ab Arimathia, qui nobilis erat decurio, vir dives et iustus, et discipulus Domini, ocultus tamen propter metum Iudeorum.
Opes itaque acquiras et possideas, non tamen eis cor apponas. Unde propheta dixit, "Noli sperare in iniquitate, et rapinas nolite concupiscere. Divitie si affluant, nolite cor apponere."
Non ergo debes cor vel animum apponere divitiis vel voluptatibus, que ex occasione divitiarum oriuntur, quarum ocasione peccata sumunt initium. Nam ut Seneca in epistolis dixit, "Animum voluptati indulgere initium est omnium malorum."
Turpe est enim beatam vitam in auro vel argento reponere, quia ut ait Innocentius, "Opes non faciunt hominem divitem, sed egenum."
Divitias ergo sub pedibus debes habere et non super capud, ut propheta dixit, "Omnia subiectisti sub pedibus eius, oves et boves universa, insuper et pecora campi."
"Non divitias super capud," id est, non patiaris te a vitiis superari. Avari enim divitias super capud et non sub pedibus habere dicuntur, quia se a divitiis permittunt superari.
Et ut verius dicam, avarus improprie dicitur habere divitias; non enim habet avarus divitias,
sed divitie habent eum, et ita illum detinent alligatum, ut divitiis non possit gaudere, nec fructus ex eis habere. Ut Salomon ait, "Qui congregat divitias, fructus non capit ex eis."
Et Cato dixit, Eger dives habet nummos, sed non habet se ipsum.
Ita certe habet avarus divitias sicut homo dicitur habere febres. Non enim proprie habet febres homo, immo febres habent hominem eumque detinent alligatum.
Divitias autem acquiras et sub pedibus habeas, iustas tamen et bonas. Quia ut ait propheta, "Melius est modicum iusto, super divitias peccatorum multas."
Opes itaque temporales acquirere debeas cum tuo et alieno commodo, et non cum incommodo alterius vel iactura. Nam ut lex dicit, "Naturale equum est neminem cum alterius iactura fieri locuplectiorem."
Et Tullius De Offitiis dixit, "Neque dolor, neque timor, nec mors, nec aliud quod extrinsecus homini accidere possit, tam est contra naturam, quam ex alieno incommodo suum augere commodum."
Maxime de exiguitate mendici. Nam ut ait Cassiodorus, "Ultra omnes crudelitates est divitem velle fieri de exiguitate mendici."
Et ita debet esse commodum naturale, et non contra naturam. Debet eciam esse cum modo; conponitur enim "commodum" ex "com" et "modo". Nam ut idem Cassiodorus ait, "Si commodum mensuram equalitatis excesserit, vim sui nominis non habebit."
"Omnia enim decet sub certa ratione moderati; nec possunt dici iusta que nimia sunt."
Debet eciam commodum esse pulcrum. Unde Seneca dixit, "Turpe lucrum, ut dispendium, fugato;"
pecunias enim illas volumus quibus libra iustitie suffragatur. Ut Cassiodorus dixit,
qui eciam ait, "Aurum siquidem per bella querere nefas est, per maria periculum, per falsitates obprobrium.
In sua natura honesta sunt lucra, per que nemo leditur, et bene acquiritur, quod a nullis adhuc dominis abrogatur."
Illa enim vera lucra iudicamus, que integritate suffragante percipimus.
Acquiras ergo lucra cum honestate et socij utilitate. Nam ut eciam alius sapiens dixit, "Bona est societas quam commitatur utilitas."
Vita ergo acquirere cum rapina vel alterius iactura si vis ut tua substantia dureat stabilisque permaneat. Nam ut ait Seneca in epistolis, "Nulli vero, eciam cui rapina feliciter cessit, gaudium rati duravit in posterum."
Et eciam secundum leges, "Turpia lucra ab heredibus sunt extorquenda."
Taliter itaque opes acquirere studeas, quod Deum in aliquo nullatenus offendas.
[CAPUT II.] De conscientia bona in opibus et inopibus rebus.
Conscientiam autem bonam in acquirendis opibus et in omnibus aliis rebus habere debes, ita quod nichil acquiras quod tuam conscientiam ledat, vel mentem tuam in aliquo offendat.
Nam ut ait Apostolus in epistola ad Corinthios, "Gloria nostra hec est, testimonium conscientie nostre."
Et quidam philosophus dixit, "Conscientiam potius quam famam intende." "Falli enim poteris fama, conscientia numquam."
Et alius dixit, "Cicatrix conscientie pro vulnere est."
Et Seneca epistolarum dixit, Bona conscientia turbam advocat, mala et in solitudine anscia est et sollicita.
Si honesta sunt que facis, omnes sciant; si turpia, quid refert neminem scire, cum tu scias? O te miserum iudico, si omittis hunc testem!
Et alius dixit, Qui multarum habet potenciam rerum, primum debet purgare conscientiam, ut delicta que corigit non committat, vitet quod iudicat. Stultum enim est ut aliis velit quis imperare cum sibi ipsi imperare non possit.
Et Seneca dixit, "Facilime bono fueris si vitaveris que vituperabis."
Et Cato dixit, Que culpare soles, ea tu ne feceris ipse: Turpe est doctori, cum culpa redarguit ipsum.
Et eciam sanctus Bernardus dixit, Gazas congestas precellit mentis honestas.
Et eciam filius Sirac ait, "Bona est substantia cui non est peccatum in conscientia; et nequissima paupertas in ore pii."
Et eciam ut supra dixi, "Melius est parum cum timore Domini, quam thesauri insaciabiles."
Conscientia enim lesa propter male acquisita vel alia turpia et pessima facit hominem timidum. Unde Seneca De Formula Honeste Vite dixit, "Nichil hominem timidum facit irreprehensibilis vite conscientia."
Et quidam alius sapiens dixit, "Qui innocentem dampnat sententia, semper est reus, cum cotidie se punit conscientia."
Unde quidam sapiens dixit, "Tutissima res est nichil timere preter deum."
Unde eciam apostolus dixit, "Perfecta caritas foras mittit timorem."
Et certe magnam habet lesa conscientia. Unde quidam philosophus dixit, "Gravis est pena animi, quam pro factis penitet."
Et alius dixit, "Nulla maior nequitie pena est quam quod suis et sibi aliquis displicet."
Et alius dixit, "Nichil est miserius, quam ut pudet, quod feceris."
"Nocent enim scelera et si non sint deprehensa," ut Seneca dixit.
Quare Seneca eciam ait, "Tacitum tormentum ignominie conscientia."
Et Cassiodorus dixit, "Quid enim acquiri putatur, ubi bona conscientia perditur?"
Et certe mala conscientia semper homines torquet. Bona vero nunquam sine spe premij manet, eodem Cassiodoro testante qui ait, "Nolite sine premio credere que videntur ad bonam conscientiam pertinere."
[CAPUT III.] De bona fama.
Famam vero bonam in amandis bonis et in aliis rebus omnibus servare debes si potes, et eam omnibus opibus preferre.
"Est autem fama illese dignitatis status legibus ac moribus conprobatus in nullo diminuitur."
Non ergo diminui debet fama propter lucrum vel aliam rem. Nam scriptum est, "Lucrum cum mala fama dampnum est appellandum."
Quare Cassiodorus dixit, "Affectans fame commoda pecunie negligit augmenta."
Et Salomon ait, "Melius est nomen bonus quam divitie multe."
Et Seneca dixit, "Bona opinio hominum tutior est pecunia."
Et iterum, "Bona fama in tenebris bonum splendorem facit."
Et iterum, "Cui omnes benedicunt, possidet populi bona."
Et Cassiodorus dixit, "Est enim ingenium animi signum fame diligere commode."
Et iterum, "Habunde cognoscitur quisquis fama teste laudatur."
Et Salomon rursus dixit, "Melius est nomen bonum quam unguenta pretiosa."
Et Apostolus ad Philippenses dixit, "Modestia vestra nota sit omnibus hominibus."
Et postea subiunxit, "Quecumque bone fame sunt, hec cogitate."
Et eciam in epistola ad Thimotheum dixit de episcopo, "Oportet autem illum et testimonium habere bonum et ab hiis qui foris sunt."
Et eciam Ihesus filius Sirac dixit, "Lux occulorum letificant animam; et fama bona inpinguat ossa."
Et alibi, "Curam habe de bono nomine; hoc enim magis permanebit quam mille thesauri magni et preciosi."
Et Salomon ait, "Super argentum et aurum, gratia bona."
Et si vis servare bonam famam, fuge voluptates et libidines. Unde Cato dixit, Si famam servare cupis, dum vivis, honestam, Fac fugias animo, que sunt mala gaudia vite.
Nam et alius philosophus dixit, "Effugere cupiditatem, regnum est vincere."
Et in tantum laudabilis est bona fama, ut a quodam philosopho dicatur, "Iacet omnis virtus, nisi fama late pateat."
Et eciam alius dixit, "Pro bona fama maxima hereditas est."
Et nota quod semper debet nova laus et fama oriri, ad hoc ut vetus duret. Unde quidam sapiens dixit, "Laus est ubi nova oritur, vetus amiratur."
Et si vis habere laudem famamque bonam, fugito lasciviam. Nam dixit quidam philosophus, "Lasciviam et laudem nulla concordia iungit."
Famam intelligas bonam et frequentem que inducit gloriam. Gloria enim est frequens fama de aliquo cum laude, de qua dici consuevit, "Vita sine gloria mortis est socia."
Quam gloriam adipiscuntur qui talia conantur facere, ut quales velint videri, tales sint.
Quod si qui simulatione et inani ostentatione et ficto non modo sermone, sed eciam vultu stabilem se gloriam posse consequerentur, vehementer errant. Vera enim gloria radices agit atque propagatur, ut ait Tulius.
Sic et modo falsa fama et falsus rumor cito dilabitur. Unde quidam sapiens dixit, "Falsus rumor cito opprimitur, et vita posterior iudicat de priori."
Emuli certe bonis invident, et de eis talia suspicantur qualia facere consueverunt. Quia ut ait Cassiodorus, "Mens humana facile suspicatur de quolibet illaque pertulit."
Et ideo propter invidiam super bonos falsam famam quandoque inducunt.
Unde quidam sapiens dixit, "Fieri non potest ut absque morsu emulorum vite huius curricula quis pertranseat."
Malorum enim solatium est bonos carpere, dum peccantium multitudine putant culpam minui peccatorum.
Unde quidam cum in interrogaretur quomodo faceret ut invidos non haberet, respondet, "Si nichil," inquid, "ex magnis rebus habueris, aut nichil feliciter gesseris." Nam sola miseria caret invidia,
et intelligas gloriam vel famam veram, non vanam, que circa vanitates modum excedit. De qua dici consuevit, Fama volat transitque modum, quocumque feratur, Que cito mortales deprimit atque levat.
Unde quidam philosophus dixit, "Quem fama semel oppressit, vix aut nunquam restituit."
Et Augustinus dixit, "Qui negliget famam crudelis est."
Et Cato dixit, Luxuriam fugito, simul et vitare memento Crimen avaritie; nam sunt contrarie fame.
Et alius auctor dixit, Quem semel horrendis maculis infamia nigrat, Ad bene tergendum multa laborat aqua.
Nam si fama duravit, difficile postea aboletur vel tollitur. Ait enim quidam philosophus, "Crimen sagitte est simile: facile enim infigitur, difficile vero extrahitur."
Si vero famam non potest quin Deum offendas vel conscientiam tuam ledas, illam omnino omittere debes, et Deum et conscientiam fame preferre.
Opes igitur bonas et Deo placentes acquiras, manibus operando et otia fugiendo, rationem in omnibus amplectendo.
[CAPUT IV.] De operibus et labore manuum et negotiatione.
Manibus enim operari debes. Nam dixit Apostolus in epistola ad Ephesios, "Qui furabatur, iam non furetur: magis autem laboret, operando manibus suis, quod bonum est, ut habeat unde tribuat necessitatem pacientibus."
Et eciam in epistola prima ad Thimotheum dixit, "Nam corporalis exercitatio, non [sic] ad modicum utilis est."
Et in epistola secunda ad Thesalonicenses dixit, Hoc denuntiamus vobis: quoniam si quis non vult operari, nec manducet.
Audivimus enim inter vos quosdam ambulare inquiete, et nihil operantes, sed curiose agentes.
Hiis autem, qui huiusmodi sunt, denuntiamus, et obsecramus in Domino Ihesu Christo, ut cum silentio operantes, panem suum manducent.
Et certe et in omni opere bono servanda est regula que dicit, quod bene potes facere noli differe. Provisio enim Dei adiuvat homines sine dilatione et pigritia laborantes.
Quare in proverbio dictum est, Dat Deus omne bonum, sed non per cornua taurum.
Unde eciam Panphilus, Providet et tribuit Deus et labor omnia nobis, Proficit absque Deo nullus in orbe labor.
Et propheta dixit, "Labores manuum tuarum quia manducabis, beatus es, et bene tibi erit."
Laborare itaque debes cum magna cura et diligenti opera pigritiam fugiendo, sompnollenciam fugando, et otia repellendo, ut labores et actus tui ad effectum perducantur. Nam ut Seneca in epistolis ait, "Nichil est quod non expugnet pertinax opera et intanta ac diligens cura."
Bonas enim opes per agriculturam potes acquirere. Nam ut ait Tullius, "Omnium rerum, ex quibus aliquid acquiritur, nichil est melius agricultura."
Potes eciam acquirere bonas opes et licitas negotiationes transferendo res de locis in quibus habundant ad loca in quibus deficiunt, maxime ad magnas civitates. Quamvis [sic] nam dixit quidam philosophus, "Fer messes tuas ad magnas civitates quamvis vilius ibi vendere putes."
In magnis enim locis et divitibus melius est negotiari et uti atque morari quam in locis parvis atque pauperibus. Unde quidam philosophus dixit, "Ne moreris in civitate regis, dispensa cuius maior fuerit et redditus."
Potes eciam acquirere bonas opes per acquisitiones et possessiones omnes pecudum et bestiarum maxime iuvenum et crescentium, et maxime in locis in pace constitutis.
In rebus enim decrescentibus non est tam magnum lucrum. Inde quidam philosophus dixit, "Noli associari rei deficienti, et ne postponas te associari re crescenti."
[CAPUT V.] De vitandis otio et sompno pigritia.
Otium omnino fugere debes. "Multam enim malitiam docuit occiositas," ut dixit sapiens.
Quare eciam ait, "Qui operatur terram suam saturabitur panibus; qui autem sectabitur otium replebitur egestate."
Per otia namque replentur homines egestate, ut dictum est, et efficiuntur desides et pigri et luxuriosi et torpent homines, et ad omnia fere mala vitia dissoluuntur.
Nam desides facti per otia non inveniunt tempus congruum ad laborandum. Frigore enim torpent, calore ad otia dissoluuntur.
Quare dici consuevit, Frigore torpemus, nos estus ad otia soluit, Et sic desidibus tempus utrumque nocet.
Otia enim ita pigros faciunt homines, ut fere omnia sua negligant et inculta relinquant.
Unde filius Sirac dixit, Per agrum pigri hominis transivi, per vineam stulti, eciam ecce totum operuerant urtice, et superficiem cohoperuerant spine, et materia lapidum destructa erat.
Quod cum vidissem, apposui in animo meo, et exemplo didici disciplinam.
Parum, inquid, dormitabis, pauxilum manus conferes ut quiescas: et veniet quasi precursor egestas tua, et mendicitas quasi vir armatus.
Et alibi eciam dixit, "Usquequo, piger, dormis? Quando consurges a sompno tuo?"
Inde est quod tanto consilium tribuit, dicens: Plus vigila semper ne sompno deditus esto! Nam diuturna quies vitiis alimenta ministrat.
Et Seneca dixit, "Stultum est sompno delectari et mortem querere; cum sompnus sit assidua mortis imitatio."
Et iterum idem dixit, "Nulliusmodi mihi dies per otium transit; partio noctem noctis studiis; vacuo sompno, sed subcubo et oculos vigilia fatigatos cadentesque in opere et castigatos detineo."
Et Salomon dixit, "Noli diligere sompnum, ne te egestas opprimat; aperi oculos tuos, et saturare panibus."
Et sompno fugato corpus excedendum est, et ita afficiendum, ut obedire consilio rationeque possit in exercendis negotiis et in labore tollerando. Ut Tullius dixit,
"Durius enim tractandum est corpus, ne animo male pareat."
Ut Seneca dixit, "Contemptus enim corporis sui certa libertas est." Et: "Magna pars libertatis est venter bene commoratus." "Nemo enim liber est qui corpori servit."
Ut idem dixit, "Honestum vile est cui corpus nimis carum est." "Corpus hoc animi pondus est ac pena."
[CAPUT VI.] De luxuria et luxurioso.
De luxurioso facto per otia, per Ovidium dictum est, Otia si tollas, periere Cupidinis archus Concepteque iacent et sine luce faces.
Et non solum fugiendo otia potes fugere luxuriam, sed eciam fugiendo ipsum actum luxurie. Unde dici consuevit, Quali more Martis cedis victoria parthis, Cede Venus cedit, insta magna improba ledit.
Est autem luxuria libidinose voluptatis appetitus, de qua eciam Cato dixit, Cum te detineat Veneris dampnosa voluptas, Indulgere gule noli, que ventris amica est.
Et aliter eciam diffinitur, "Luxuria est res appetibilis quam fugiendo fugamus, et sequendo persequemur vincimurque ab ea."
Et nota quod "Luxuria non tantum peccat, sed eciam publicat," ut Seneca in epistolis dixit.
Quare eciam ait, "Nichil luxuria tua tibi in futuros annos intactum reservavit."
Et eciam Ovidius dixit, Intrat amor mentes usu, dediscitur usu.
Et de luxuria dicit quod notavi supra in titulo De Amicitia Malorum Hominum Vitanda.
Per otia insuper vitium inhertie consumit corpus. Unde Cato dixit, Segnitiem fugito, que vite ignavia fertur; Nam cum animus languet, consumit inhertia corpus.
Et eciam quidam philosophus dixit cuidam imperatori, "Indignareris, inquit, optaret si aliquis, ut inutiles manus ac pedes haberet: nunc autem cum omnia sint integra, quare eis uti non vis?"
Quare otium semper fugiendum est, nisi forte otium appelles quando legis, aliter enim morti otium conparatur.
Ut Seneca in epistolis dixit, "Otium sine litteris mors est et hominis vivi sepultura."
[CAPUT VII.] De pigritia.
Ita otia ergo fugias, ne piger efficiaris. Dixit Salomon, "Cogitationes robusti semper in habundantia, omnis autem piger semper est in egestate."
Et alibi, "Propter frigus piger arare noluit, mendicabit igitur egestate, et non dabitur ei."
Et alibi, "Vult et non vult piger; anima autem operantium impinguabitur."
Et alibi, Dicit piger: Leena in via, in itineribus.
Sint hostium voluitur in cardine suo, ita piger in lecto suo.
Abscondit manus suas sub ascellis suis, et laborat si ad os suum converterit.
Sapientior sibi piger videtur septem viris loquentibus sententias.
Et alibi, "Pigredo immittit saporem et anima dissoluta esuriet."
Et licet piger per inherciam longam vitam duxerit, non tamen dicitur vixisse. Unde Seneca in epistolis dixit, "Quid illum octuaginta anni iuvant per inhertiam exacti? Non vixit iste, sed in vita moratus est, nec sero mortuus est, sed diu. Nisi forte sic vixisse eum dixeris, quomodo dicuntur arbores vivere."
Et alibi idem dixit, "Audaces fortuna iuvat, piger sibi ipsi obstat."
Et licet dixerim otia penitus esse fugienda et tollenda, non tamen semper debes esse in actu. Nam dixit Seneca De Formula Honeste Vite, Non semper in actu sis: sed interdum animo tuo requiem dato: requies autem ipsa sit plena sapientie, studiis: et cogitationibus bonis.
Nam prudens nunquam otio marcet: aliquando animum remissum habet: nunquam autem solutum
accelerat tarda: perplexa expedit: dura mollit, ardua exequerit, scit enim quid qua via gredi debeat: et cito singula, ac distincte videt.
Et in Ovidio epistolarum dicitur, Quod caret alterna requie, durabile non est; Hec reparat vires fessaque membra novat.
Et in Catone dicitur, Interpone tuis interdum gaudia curis, Ut possis animo quemvis sufferre laborem.
Et Seneca dixit in epistolis, "In remedium cedunt honesta solatia, et quicquid animum erexerit, et corpori prodere."
Quare idem dixit, "Utrique reprehendendi sunt, et qui semper inquieti sunt, et qui semper quiescunt."
Opes bonas et divitias iustas si potes tantas honeste acquiras, ut ex his liberaliter vivendo dives reputeris. Nam ut ait Tullius, "Is dives est cui tanta est pars ut ad liberaliter vivendum ei sufficiat."
Et ideo dixi "honeste," quia non esset utile inhonestas divitias acquirere. Nam ut ait Tullius, "Quicquid honestum esset id utile esse, nec utile esse quicquam quod non sit honestum, et nequid quod crudele sit id utile est."
[CAPUT VIII.] De opibus utendis et eciam contempnendis.
Divitiis autem acquisitis sapienter eis utaris, fugiendo avaritiam, et tibi aliisque bene faciendo.
Unde Cato dixit, Utere quesitis opibus, fuge nomen avari, Quid tibi divitie prosunt si pauper habundas.
Et iterum, Utere quesitis, sed ne videaris abuti: Qui sua consumunt, cum deest, aliena sequuntur.
Et iterum, Utere queritis modice: cum sumptus habundat, Labitur exiguo, quod partum est tempore longo.
Et Seneca De Formula Honeste Vite dixit, "Que habes, non apud te tamquam aliena, sed pro te tanquam tua et dispenses et utaris.
Et si in hiis bene prudens fueris ubique idem eris,
et ut rerum ac temporum varietas exigit, ita te accommodes tempori, nec te in aliquibus mutes, sed potius aptes, sicut manus que eadem est et cum in palmam extenditur et cum in pugnum restringitur."
Et certe sicut nomen avari fugiendum est, ita et nomen prodigi.
Unde Tullius dixit, Impertiendum est, sed diligenter et moderate; multi enim patrimonia effudere inconsulte largiendo.
Quid autem stultius est quam, quod libenter facias, curare, id ut diutius facere non possis?
Atque sequuntur largitionem rapine; cum enim dando egere coeperint, alienis bonis manus inferre coguntur.
Ita, quod cum benivolentie conparande causa benefici esse volunt, non tanta assequuntur studia eorum, quibus dederunt, quanta odia eorum, quibus ademerunt.
Quam obrem nec ita claudenda est res familiaris, ut eam benignitas aperire non possit, nec ita reseranda, ut omnibus pateat. Modus adhibetur isque ad facultatem referatur. In proverbiis namque consuetudine venit, "largitionem fundum non habere."
"Causa largitionis est, si autem necesse est, aut utile. In hiis autem ipsis mediocritatis regula optima est."
"Avari tamen ignorant modum utendi pecunia," ut Seneca epistolarum dixit.
Modus autem divitiarum duplex est: "Primus est habere quod necesse est; secundus proximus quod satis est," ut idem dixit.
Et certe avari ita claudunt suas pecunias sibi et aliis eas denegando, ut pocius dicantur sepulte quam ab illis habite vel possesse.
Quare quidam sapiens reprehendit eos, dicens, Cur, homo, qui cinis es, per avaritiam sepelis es? Heri cur heres, eris tu non eris heres?
Non ergo debes illis [sic] claudere vel sepelire, sed debes illis uti, non ad superfluitatem, vel ad delitias, sed ad utilitatem ne forte inducant debilitatem corpori. Nam ut idem Seneca dixit, "Debilitatem nobis induxere delitie."
Velle ergo debes quod satis est, et ita habebis quod velles. Nam ut idem ait, "quid vult habet, qui velle quod satis est potest," "Quicquid enim usum hominum excedit, pondus est supervacuum et grave ferenti."
Si autem "tantas possessiones acquirere non potueris, ut ad liberaliter vivendum tibi sufficiant," secundum naturam vixeris, nunquam pauper eris. Si ad opinionem nunquam dives erit, dives erit.
Dixit enim quidam philosophus, Si vis in hoc mundo tantum habere quantum sufficeret nature, non multa docebit te congregare; et si satisfacere cupido volueris animo, licet congregatis quecumque in toto mundi ambitu continentur divitiis, sitis tamen semper ardebit habendi.
Non enim in rebus vitium est, sed in animo. Animus enim solet vocari dives, non archa. Quamvis enim plena sit, dum te inanem videbo, divitem non reputabo.
"Si enim te divitem facere vis, non pecunie est addendum, sed cupiditati detrahendum." Unde Martialis Cocus dixit cuidam suo amico qui vocabatur Rupilius, Audio te, Rupupili, de paupertate querentem, Non quia nulla habeas, sed quia pauca tibi. Sed dicit sapiens, quod nemo est pauper eo quod Possideat pauca, sed quia plura velit.
Si paupertati assensum prebere studebis, Si pro natura vivere, dives eris.
Aspicio, nudum quod te natura creavit, Infans in mundum tu nichil intuleris.
Et Cato dixit, Comoda nature nullo tibi tempore deerunt, Si contemptus eo fueris, quod postulat usus.
Et alibi idem dixit, Rebus et in censu si non est quod fuit ante, Fac vivas contemptus eo, quod tempora prebent.
Leto animo paupertatem feras. Nam ut ait Seneca in epistolis, "Honesta quod res est leta paupertas.
Illa non est paupertas, si leta est: non qui parum, habet sed qui plus cupit, pauper est."
Circa paupertatem itaque sic est disponenda res familiaris, ne paupertas tibi honerosa sit, aut tu alicui.
"Pauci tamen sunt qui consilio se suaque recte disponant," ut idem dixit.
Nisi ergo tam divitie quam amor divitiarum in culpa est.
Animum itaque et cor tuum circa divitiarum amorem taliter conpescas ac domes, "ut te ipso contentus sis. Nam qui sibi ipsi satis est, cum divitiis natus est."
Unde Seneca dixit, "Qui cum paupertate convenit, dives est." Et alibi, "Eum esse locupletem, qui paupertati sue aptus est et parvo se divitem facit."
Et alibi, "Scire uti paupertate maxima felicitas est."
Sic ergo animum tuum conprimas ac refrenes, ut tuo statu bonisque a Deo tibi prestitis contemptus permaneas. Alioquin si status tuus tibi displicuerit, semper maiora affectando semper in malo statu eris. Status enim hominis secundum animum iudicatur.
Unde Seneca in epistolis, "Quid enim refert, qualis status tuus sit, si tibi videtur malus?"
Miser namque est qui se miserum putat, nec est beatus qui se non putat.
Ut Socrates ait, "Si ergo res tua tibi non sufficit, tu parcendo fac, ut rei tue sufficias parcitas." Enim "necessitatum est remedium et medicina dampnorum."
Nam qui parte sua dispendit, diu durant ei possessa.
Ut quidam philosophus dixit, "Et patientia animi ocultas habet divitias." Nam magne sunt divitie non capere divitias,
unde eciam Cato, Ne tibi quid desit, queritis utere parce, Utque quod est serves, semper deesse putato.
Et alibi, Quod nimium est fugito, parvo gaudere memento: Tuta puppis magis est, modico que flumine fertur.
Et alibi, Despice divitias si vis animo esse beatus, Quas qui suscipiunt, mendicant semper avari.
Et alibi, Paupertatis honus pacienter ferre memento.
Et alibi, Dilige denarium, sed parce dilige formam Quam nemo sanctus nec honestus cupit habere.
Nam ut ait Seneca in epistolis, "Maiore tormento pecunia possidetur quam queritur."
Quare non debes capere divitias, sed eas contempnere, ita ut tibi causam malorum non prebeant. Nam idem Seneca dixit, "Divitie sunt causa malorum, non quia faciant aliquid, sed quia facientes irritant."
Si vis ergo habere divitias, contempne illas. Nam ut idem Seneca dixit, "Brevissima ad divitias per contemptum divitiarum via est. Nam contempnere aliquis omnia potest, omnia habere nemo potest."
Cupiditas ergo divitiarum penitus repellitur. Quare Tullius eciam dixit, "Non est autem consentaneum qui metu non frangitur, eum frangi a cupiditate, nec qui invictum se a labore prestiterit vinci a voluntate.
Quamobrem et hec videnda et pecunie fugienda est cupiditas. Nichil enim tam angusti animi tamque parvi est quam amare divitias; nichil honestius magnificentiusque quam pecuniam contempnere." Si habes ad benefitientiam libertatemque ferre,
magnus est ille iudicandus qui cor suum taliter cohercet, ut in divitiis non ex audatia pauper sit.
Et eciam secundum Senecam in epistolis, Magni animi est magna contempnere ac mediocria malle quam nimia. Eo quod superflua nocent. Sicut segetem nimia sternit ubertas, sic rami honere franguntur, sic ad maturitatem non pervenit nimia fecunditas.
Quare mediocritas magis circa divitias et paupertas optanda est quam nimietas vel magnitudo. Unde Salomon ait in Proverbiis, "Mendicitatem et divitias ne dederis mihi, Domine."
Si ergo habes paupertatem, pacienter tollera; si divitias, illas tibi subice. Unde quidam sapiens dixit, "Et mihi res, et non me rebus subicere conor."
Sic ergo animum tuum et cor tuum et mentem tuam vincas, ut licet pecunia quandoque careas, non tamen pecunia et divitie resurant. Dixit enim Tullius De Officiis, "Malo virum qui pecunia egeat, quam pecuniam que viro."
Nam ut dixit quidam philosophus, "Pecunia si uti scias, ancilla est; si nescis, domina."
Unde Oratius dixit, Imperat aut servit collecta pecunia cuique. Pecunie ergo imperare oportet non servire.
Pecunia certe et omnis res quantum in se est bone sunt, quia hominum causa facte sunt et create sunt. Unde ait Apostolus in epistola ad Timotheum, "Omnis creatura Dei bona," respectu tamen possidentium eas quandoque mala et male dicuntur, nam si a bono homine possideantur, bone sunt; si autem a malo et malitioso et misero homine possideantur, male dicuntur,
nam et vinum modice sumptum bonum est, ebrioso autem et superflue biberi malum est. Unde Cato dixit, Que potu peccas, ignoscere tu tibi noli, Nam crimen nullum vini est, sed culpa bibentis.
Et ideo servare debes Cassiodori dictum qui ait, "Facilius est ut accuset te sitis quam recuset ebrietas."
Ebrius enim extra briam est, id est: extra mensuram et pro absente reputatur. Et ideo Seneca dixit, "Absentem ledit qui cum ebrio litigat."
Quare vinum non est malum, sed ebrietas; et pecunia non est mala, sed nimius amor et cupido pecunie.
Et certe sicut idem sol in eodem instanti in diversis diversa operatur, quia ceram liquefacit, terram autem obdurat et siccat, et humores solvit, ita pecunia ab avaro possessa illum cruciat, largum vero decorat, proditorem ad paricidium et proditionem et ad omnia fere mala incitat.
Unde quidam philosophus dixit, "Pecunia avaro supplitium est, profuso decus, paricidium proditori."
Sic et Apostolus ad Timotheum dixit, "Verbum crucis pereuntibus quidem stultitia est: hiis autem qui salvi fiunt, id est nobis, virtus est Dei."
Sic eciam eloquentia in sapiente homine valde bona est, in insipiente vero pessima. Unde sapiens dixit, "Eloquentia sine sapientia gladius est in mane furiosi."
Et virtus in sapiente bona est, in insipiente vero pessima. Unde sapiens dixit, "Virtus sine sapientia temeritas imputanda."
Quare Martialis dixit, Virtutis studio nimium, Crisippe, laboras, Virtus absque modo nomen habet vitii.
Sic eciam omnes dies boni sunt, ut in Genesi legi quando divisit Deus lucem a tenebris et diem a nocte. Sed mali dicuntur dies propter malitiam et miseriam hominum ut expositores dicunt.
Quare Dominus in evangelio dicit, "Sufficit diei malitia sua."
Et Apostolus dixit, "Redimamus tempus, quoniam dies mali sunt."
Exibe ergo te bonum et omnia apud te bona dicentur. Nam ut dixit quidam sapiens, "Nichil est homini bonum sine se bono."
Si ergo bonus fueris, omnibus creaturis licite uti poteris, sed non abuti. Abusus enim vel superfluus et nimius usus est reprobatus; et non solum in malis sed eciam in bonis rebus,
Seneca testante qui ait, "Bonarum rerum nimia consuetudo pessima est." Et hoc ideo quia abusus vel superfluus usus ex libidine procedit vel libidinem inducit, que omnino interdicitur. Nam libido est inproba voluntas utendi creatura propter se.
Usus certe omnium rerum hominibus est a Deo concessus. Sed abusus vel usus superfluus penitus est interdictus, ut optime notavit beatus Augustinus in sermone suo qui legitur in sexta feria post Pentecostem, qui sic incipit, "Non solum in novo," etc.
Pecunia ergo uti poteris, sed si illam habes, ne vilis sis; habeas eam vilem. Nam dixit quidam philosophus, "Si pecuniam habueris, necesse est ut te ipsum vel pecuniam vilem habeas."
Et impera tibi. Nam scriptum est, "Imperare sibi maximum est imperium."
Et cor tuum et animam tuam menteque tua taliter possideas, ut licet difficilimum opus sit se vincere, tibi tamen imperando te taliter vincas, ut te ipso contentus sis, et secundum naturam vivas
divitemque te facias paupertati assensum praestando et naturaliter vivendo, pecuniam eciam contempnendo, turpiaque lucra vilipendendo, que non solum sunt contempnenda, sed eciam secundum leges "ab heredibus sunt extorquenda;"
inique eciam acquisita restituendo, cum distinctione tamen, non quedam inique sunt acquisita et non inique retenta, ut lucra meretricis; quedam vero inique retenta sunt et non inique acquisita, ut superhabundantia prebende; quedam autem inique sunt acquisita et inique retenta, ut usura et rapina, et ideo non sunt tenenda, sed restituenda, ut iura proclamant.
[CAPUT IX.] De guerra vitanda.
Quilibet certe servando predicta se divitem facere poterit,
nisi forte in guerra sit constitutus. Quantumcumque sit dives, oportet illum, si in guerra diu perseveraverit, aut divitias aut guerram perdere aut forte utrumque.
Quare quidam philosophus dixit, "Nemo in guera constitutus satis dives esse potest."
Si enim pauper est, guerram nullo modo sustinere potest; si autem in divitiis multum habundat, in sumptibus multo magis habundabit. Nulle enim sunt opes, ut mihi videtur, que sumptibus guerre sint suffitientes.
Nam sicut omnes, qui peccant, quanto maiores sunt, famosius crimen habent, secundum Martialem qui ait: Omnis homo crimen tanto famosius in se, Quanto qui peccat maior habetur, habet; ita homo in guerra constitutus, quanto maiorem, tanto maiores sumptus illum facere oportet;
et si guerram forte amiserit, maiori casui subiacebit. Unde dictum est, "Excelsis facilius nocet casus."
Et in Lucano dicitur, Invida factorem series summisque negatum Stare diu nimioque graves sub pondere lapsus.
Et Martialis dixit, Altior ascensus, gravior plerumque ruina est.
Et non solum divitie perduntur per guerram, sed eciam paradisus et amor Dei et vita presens et amici et noti per adversam guerre fortunam taliter ammittuntur quod loco predictorum omnia mala succedunt, et ad inferna hominis anima recta via pergere molitur.
Amore itaque Dei et timore tantorum malorum guerram, quantumcumque potes, vitare debes, tua tibi servando et aliis relinquendo sua.
Nam ut ait Seneca, "Principium discordie est quod est commune suum facere."
Et iterum, "Quietissimam vitam agerent homines in terris, si duo hec verba ante res omnes colerent, scilicet meum et tuum."
Quod facere potes si eciam mandata Dei taliter servaveris quod nemini facias que tibi fieri non vis, et omnia facias aliis que ab aliis tibi vis fieri.
Quare dixit Dominus in evangelio, "Omnia quecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos facite illis similiter."
Et hoc est lex naturalis quam qui non servat contra omnes facere proponit, Cassiodoro testante qui ait, "Qui sine lege vult agere, cunctorum disposuit regna quassare."
Et si forte aliqua ex causa alicui invitus offenderis qui ait, "Utendum est eciam vitaris," qui ait, Utendum est eciam excusatione adversus eos quos invitus offenderis, quacumque possis, quare id quod feceris necesse fuerit, nec aliter facere potueris, ceterisque operibus et officiis erit id quod violatum est compensandum.
Et si vis guerram fugere, nitaris omnibus placere, quod facere poteris, "si gesseris optima et locutus fueris pauca."
Non tamen tantam voluntatem omnibus placendi habeas, ut favorem populi per malas artes acquiras. Ait enim Seneca, "Popularis favor malis artibus queritur."
Unde quidam sapiens dixit, "Nunquam volui placere vulgo: quid enim vulgus novit, ego nescio; que enim scio, vulgus ignorat."
Et nota quod "Si multis placuerit vita tua, tibi ipsi placere non poteris," ut dixit quidam philosophus.
Et si vis vitare guerram non ames periculum. Nam ut Salomon ait, "Qui amat periculum, in eo peribit."
Et si guerram vitare desideras, vita et fuge lites et contentiones prout commode potes. Nam contendere cum potentiori periculosum est, cum pari dubium, cum minori verecundum.
Et statuas eciam vitare belligeros et omnes alios quos tibi dixi vitandos supra, in titulo De Amicitia Malorum Hominum Vitanda, ut ibi nota per epistolam Apostoli secundam ad Thimotheum capitulo. Hoc autem et in superioribus capitulis.
Et si ad alios malos vitare debes, te ipsum coherces primum et cor tuum conprime et linguam tuam taliter conpesce, ut tuas turpes cogitationes turpiaque dicta et facta in te prius corrigas et fugias,
secundum Martialem qui dixit cuidam suo amico qui vocatur Probeus, Non bene viventem te, Probe, fuisse refertur, Sed sine peccato querere terram hominem. Sed sine peccato reperire nullam valebis. Si non absque homine tu reperire velis.
Ibis ad occultos calles, loca devia mundi; Peccatum tecum est, conscia culpa comes.
Ut fugias alios, tu te fuge primus ipsum, Alterius censor, et esto tuus.
Hens inter homines, omnes fuge, turpia eorum, Tu tecum habitas, refuge, facta tua.
"Et ad correctionem tui habeas aut valde amicum aut valde inimicum," ut quidam sapiens dixit.
"Et oculos et aures vulgi malos testes esse puta," ut alius dixit.
Et nunquam initium discordie a te incipiat. Nam ut dixit quidam philosophus, "Semper ab aliis discendio incipiat, a te autem reconciliatio." Nam ibi semper est victoria ubi est concordia.
Et Salomon in Proverbiis dixit, "Qui ineunt pacis consilia, sequitur eos gaudium."
Et Seneca dixit in epistolis, "Concordia prave res crescunt, discordia maxime dilabuntur."
Et eciam principio debes obstare et cuilibet malo, ut legi in Ovidio De Remedio Amoris qui ait, Principiis obsta: sero medicina paratur, Cum mala per longas convaluere moras.
Et alibi idem dixit, Dum furor est in cursu, curenti cede furori! Difficiles aditus impeditus omnes habet. Stultus ab obliquo qui cum descendere possit, Pugnat in adversas ire natator aquas.
Et alibi, Dum licet et modici tangunt precordia motus, Si piget, in primo limite siste pedem.
Et non solum guerram vitare et fugere debes, sed eciam bellum, quod ocasione guerre fieri consueverit et multo fortius est vitandum.
De quo propheta ait, "Dissipa gentes, que bella volunt."
Bella enim populos cum dampno et malo suo domare consueverunt. Quare Salomon dixit, "Quinque sunt, que populum domant: licentia, luctus, et fames, bellum, ad ultimum." "Vulgi imperitiam
ad res cunctae sola constringit necessitas."
[CAPUT X.] De necessitate et indigentia.
Bellum enim et guerra perducunt homines ad necessitatem, et sic ad mendatia et ad omnia mala,
quare iura et proverbium clamant: "Necesitas non habet legem."
Et Seneca dixit, "Necesitas egentem mendacem facit."
Et iterum, "Necesitas ab homine, que vult, impetrat."
Et iterum, "Omnia experiri necessitas subigit."
Et Cassiodorus dixit, "Necessitas moderata non diligit."
Et alius dixit, "Magna necessitas cogitur eciam honestus homo latrinam adire."
Quare ait, "Est una de adversitatibus huius seculi gravioribus libero homini, necessitate cogitur, ut si subveniat, requirere inimicum."
Et hoc ideo quia ut ait Cassiodorus, "Graviores insidias antiqui adversarii tunc subimus quando eius bona suscipimus."
Fugias ergo guerram et omnia que indigentiam et necessitatem inducunt. Ait enim Cassiodorus, "Indigentiam iuste fugimus que suadet excessus."
Et iterum, "Dum mater criminum necessitas tollitur, peccandi ambitus aufertur."
Nam per necessitatem pervenitur ad mendicitatem: O miserabilis mendicantis conditio! Nam, si petit, pudore confunduntur, et si non petit, egestate consumitur;
sed ut mendicet, necessitate compellitur: indignatur, murmurat, imprecatur.
Quare Salomon dixit, "Melius est mori, quam indigere."
Et quia non tam plurium numerus efficit pugnam quam virtus paucorum. Ut quidam sapiens dixit, "Prospicere oportet in pace, quod bellum iuvet ultra vitet."
Nam et alius dixit, "Beata civitas, que bellum in pace timet."
Alius vero dixit, "Si pacem diligis, belli non feceris mentionem."
Varius enim eventus est belli. Quare Iudas Machabeus dixit, "Non in multitudine exercitus victoria fit belli, sed de cello est virtus. Facile enim est Deo a multis paucos liberare, et super multos paucis victoriam dare."
Et David dixit ad Philisteum, quem cum lapide interfecit: "Et noverit universa ecclesia hoc, quia non in gladio nec in asta salvat Dominus: ipsius est enim bellum."
Et ideo "in bello maximum est periculum." Et ut dixit sapiens, "Nunquam periculum sine periculo vincitur."
Quare belli periculum et omnia pericula vitanda sunt. Nam Tullius dixit, Sed et fugiendum est eciam illud et curandum, ne offeramus nos periculis sine causa, quo nichil potest esse stultius;
quampropter in adeundis periculis consuetudo imitanda est medicorum, qui leviter egrotantes leviter curant, gravioribus autem morbis periculosas et ancipites adhibere coguntur.
Quare in tranquillo tempestatem adversam optare, dementis est, subvenire autem tempestati, id est necessitati, quovis modo, quavis ratione, sapientis est.
In bello certe ab omnibus mors expectare potest. Nam, "Incertum est, quo mors te expectet: tu eam omni loco expecta, et maxime in bello," ut sapiens dixit.
Quare dixit Tullius, "Bellum ita vitandum est ut nulla causa suscipiatur nisi causa necessitatis, vel pacis habende vel ex infra scriptis casibus."
Dixit enim Tullius, "Suscipienda quidem sunt bella ob eam causam, ut sine iniuria in pace vivatur."
Et alibi idem dixit, "Bellum autem ita suscipiatur, ut nichil aliud nisi pax quesita videatur."
Pax enim semper est affectanda que nullas insidias habeat. Unde idem Tullius dixit, "Mea quidem sententia paci, que nichil sit habitura insidiarum, semper est consulendum."
Et alibi, "Intelligi potest, nullum bellum esse iustum, nisi quod aut rebus petitis geratur, aut denuntiatum sit ante et indictum."
Et alibi idem dixit, "Cum tempus necessitasque postulat, decertandum manu est, et mors servituti turpitudinique anteponenda est."
Inde eciam Seneca dixit, "Occidi pulcrum est, si igminiose servis."
[CAPUT XI.] De preparatione et munitione facienda.
Et nota quod "longa preparatio belli celerem victoriam facit," ut idem Tullius dixit.
Et eciam Cassiodorus ait, Munitio quippe tunc efficitur prevalida, si diuturna fuerit cogitatione roborata. Omnia subito probantur incauta, et male constructio loci tunc queritur, quando pericula formidantur. Res ergo preliorum bene disponitur, quoties in pace tractatur.
Nam ut idem ait, "Munitio semper tractanda est in otio; quia tunc male queritur, cum necessaria iudicatur."
"Omnia vero deliberata sunt robusta."
Et non solum in bello, sed eciam in omibus aliis rebus diligens preparatio adhibenda est.
Unde idem Tullius dixit, Ad rem gerendam qui accedit, caveat ne id modo consideret, quam illa res honesta sit, sed eciam ut habeat efficiendi facultatem. In quo ipso considerandum est, ne aut temere desperet propter ignaviam, aut nimis consideret propter cupiditatem.
In omnibus autem negotiis, prius quam aggrediare, adhibenda preparatio est diligens.
Ideo autem dixi supra guerram quantumcumque potest vitare debes, quia propter malitiam et rapinam et violentiam iniuriaque multorum, quandoque nullo vitari potest.
"Duobus autem modis secundum Tullium fit iniuria: id est, aut fraude. Fraus quasi vulpecule ius leonis esse videtur, utrumque ab homine alienis simul, sed fraus est odio digna maiore.
Totius autem iniurie nulla capitalior quam eorum qui tunc cum maxime fallunt, id agunt ut boni viri esse videantur."
Unde si guerram propter predicta vitare non poteris, viriliter age sciendo quod secundum iura et rationes te defendere poteris.
[CAPUT XII.] De guerra et defensione facienda.
Nam dicit lex, "Adversus periculum natura vel ratio permittit se defendere."
In tantum enim defensio permittitur, ut eciam ante tempus violento occure permittatur.
Unde alibi lex dicit, "Melius est in tempore occurrere quam post exitum vendicare."
Et alibi eciam lex et decretales dicunt, "Vim vi repellere omnes leges, omnia iura permittunt."
Et in tantum tibi "vim vi repellere licet" quod si aliter periculum vitare non poteris, hominem occidisti, per leges et iura nullo modo puniaris.
Nam "si et arietes vel boves inter se commisissent et aggressor mortuus fuerit, altero se defendente, sine compositione iacere debet."
Inde eciam alibi lex dicit, "Quod quis ob tutelam sui corporis facit, id recte fecisse videtur."
In defensione ergo facienda caute te custodias. "Non enim bene pugnat qui voluntate superandi alium se denudat." Scriptum est enim, "Ita alium vulneres ne tu pateas ad plagam."
Et "si extendas brachium, videas ne tibi latus denudetur." Nam omnes simul pereunt quasi perite et graviter pugnati.
Et nota quod "qui adverso nititur loco duplex sumit certamen, et cum hoste et cum loco,"
ut quidam sapiens dixit, "Resistere ergo violentie et iniurie taliter tibi permittitur, ut a quibusdam dicatur vitium et culpa non resistere iniurie, si fieri potest."
Unde Tullius dixit, "Tam est in culpa qui non resistit iniurie, si potest, quam si parentes aut amicos aut patriam relinquat."
Tutelam tamen tui corporis facere debes incontinenti et "cum moderamine inculpate tutele;" ut si telo quis te percutere vult, tu ante percussionem illum telo percuttere poteris ad tutelam tantum, et non ad vindictam.
Similiter bella suscipienda sunt, et manu decertandum est pro fide catholica.
Nam sicut fides nostrum scutum esse debet, sub quo clauduntur omnes virtutes, et cuius scuti amminiculo pugnare debemus.
De qua eciam dixit Dominus in epistola ad Ephesios, circa finem: "Sumentes scutum fidei, in quo possitis omnia tela nequissimi extinguere."
Et de qua eciam dictum est, Prima canpum dubia sub sorte duelli Pugnatura fides agresti turbida vultu.
Ita pro fide bella suscipienda sunt, et manu eciam decertandum est.
Et potius est mors tolleranda quam fides derelinquenda, sicut Karulus et pugnatores et infiniti sancti pro fide mortem sustinendo pugnaverunt.
Sic eciam pro iustitia usque ad mortem decertandum est, Ihesu Sirac testante qui ait, "Pro iustitia agonizare pro anima tua, et usque ad mortem certa pro iustitia, et Deus expugnabit pro te inimicos tuos."
[CAPUT XIII.] De morte non metuenda sed contempnenda.
Nec est in talibus mors metuenda. Nam ut idem ait, "Melior est mors quam amara vita, et requies eterna quam langor perseverans." "Non enim vivere bonum est, sed bene vivere."
Unde "totius vite remedium est mortem contempnere. Nichil triste est cum huius metum effugimus."
Unde Cato dixit, Ne timeas illam que vite est ultima finis. Qui metuit mortem qui vivit perdit id ipsum.
Et alibi, Linque metum leti: nam stultum est, tempore in omni Dum metuas mortem, amittere gaudia vite.
Et iterum, Multum venturi ne cures tempora facti: Non metuit mortem qui scit contempnere vitam.
Et quidam sapiens dixit, "Mortem ubi contempnis, omnem metum vincis."
Et alius dixit, "Estingit mortem, qui eam contempnit." Timidissimum quamque consequitur.
Et Martialis dixit, Mortis, Paule, timor tibi vite commoda tollit; Nam morieris vivens dum metuendo peris. Inter nature si ponas munera mortem, Te de morte metus sollicitare nequid.
Et alius dixit, "Quod vitare nequis, confestim sustinere mente!" Sic que dura fuit mors tibi mitis erit.
Non ergo minus debes timere mortem, nec eciam investigare tempus mortis. Nam ut ait Seneca, "Pereundi scire tempus assidue est mori,"
et, "Ubi omnis vite metus, est optima."
Inde eciam Cassiodorus dixit, "Non est parvum tormentum adversus aliquod formidare venturum, dum semper extimatur emergere quod timetur."
Quare Seneca dixit, "Crudelius est semper timere mortem quam mori."
Sic ergo cum vivas mortem contempnas, ut cum Apostolo dicere valeas: "Mihi vivere Christus est et mori lucrum."
[CAPUT XIV.] In quot et in quibus casibus bella suscipienda sunt et manu decertandum est.
Ex predictis itaque colliguntur octo casus pro quibus bella suscipienda sunt et manu decertandum est, videlicet, pro fide servanda, pro iustitia manumittenda, pro necessitatis causa, pro pace habenda, pro libertate conservanda, pro turpitudine vitanda, pro repellenda violentia, et pro tutela sui corporis facienda.
Aliter autem non est decertandum manu maximo a litterato viro. Nam ut Seneca in epistolis dixit, "Stulta est et minime conveniens litterato viro occupatio exercendi lacertos et dilatandi virtutem."
Litteratura enim quelibet meliorare debet, quia ut ait Cassiodorus, "Non aliqua in mundo potest esse fortuna, quam litterarum non augeat gloriosa notitia."
Vita tamen litterati viri pocius constare debet in cogitatione utili quam in occupatione vires corporis exercendi, Seneca testante qui ait, "Docto homini derudito vivere est cogitare."
Et nota "litteras insipienti animo tamquam baculum infirmo corpori repertas esse," ut quidam sapiens dixit.
Et hec omnia predicta sunt facienda cum modo. Ait enim Cassiodorus, "Modus ubique laudandus est."
Et non sunt facienda cum excessu. "Quid enim discrepat a peccante qui se per excessum nititur vindicare?" ut idem Cassiodorus ait.
Nec eciam sunt facienda cum scelere. Ait enim Seneca, "Nunquam scelus scelere vindicandum est."
Nec eciam sunt facienda ad vindictam.
[CAPUT XV.] De vindicta facienda vel obmittenda vel temperanda, et de officio iudicis vel cuiuslibet circa vindictam.
Vindicta enim ad solum Deum pertinet, vel ad iudicem habentem iurisdictionem.
Unde Dominus in evangelio dixit, "Mihi vindictam et ego retribuam."
De iudice vero habente iurisdictionem, per Apostolum dicitur, "Iudex non sine causa gladium portat. Iudex debet esse malefitiorum in ira."
Et eciam dicitur "estote subditi omni humane creature propter Deum, sive regi tamquam excelenti, sive ducibus tamquam ab eo missis ad vindictam malefactorum, ad laudem vero bonorum."
Nec debet iudex habens iurisdictionem dubitare facere vindictam, quia non faciendo vindictam eamque omittendo vehementer peccat. Nam ut quidam philosophus dixit, iudex, "qui dubitat ulcisci, multos improbos facit."
Et alibi, iudex, "qui non corripit peccantem, peccare imperat."
Nam et alius dixit, "Criminis indulti secura audatia crescit."
Quare iudex est a malefactoribus timendus, Apostolo testante in epistola ad Romanos, ubi dicit, "Si male feceris, time."
A bonis autem hominibus amandus est pocius quam timendus, unde ibidem Paulus dixit, "Principes non sunt timori boni operis, sed mali.
Vis autem non timere potestatem? Bonum fac: et habebis laudem ex illa: Dei enim minister est tibi in bonum."
Hoc autem intelligo sive sit bonus iudex erat potestatem a Deo habebat sive malus. Nam et Pilatus malus iudex erat potestatem a Deo habebat, ut eidem Dominus dixit in passione sua: "Non haberes potestatem super me, nisi datum esset tibi desuper."
Non ergo nimium turberis si spiritus habentis potestatem supervenit in te, nec locum tuum dimittas. Ait enim Salomon, "Si spiritus habentis potestatem supervenerit in te, locum tuum ne dimiseris, curatio autem cessare faciet peccata maxima."
Et nota quod Cassiodorus dixit, "Tamdiu enim iudex esse dicitur quamdiu iustus putatur, quia nomen quod ab equitate sumitur per superbiam non tenetur."
Et nota quod iuste et digne iudex potest et debet vindictam facere et occidere sceleratos, ac latrones publicos et homicidas et alios similia perpetrantes, ut per infinitas auctoritates veteris et novi testamenti probari potest.
Nam dicitur in lege Moysi, "Urbanum et maleficum non paciaris vivere super terram."
Et alibi, "Qui maledixit patri vel matri, morte moriatur."
Sed heretici dicunt legem Moyisti datam a diabolo et vindictam corporalem non esse faciendam, nec iudicem iurisdictum et imperium habentem posse de iure occidere.
Et dicunt vindictam corporalem ad solum Deum pertinere, allegando pro se verba Deum qui dixit, "Mihi vindictam et ego retribuam."
"Et si quis percuserit tibi maxillam, porrige ei et aliam. Et si quis abstulerit tibi tunicam, da ei et pallium."
Et illam aliam auctoritatem, "Nolite iudicare, et non iudicabini. Et nolite condempnare, et non condempnabini."
Sed certe prave intelligunt predictas auctoritates. "Nam sicut in uno corpore multa membra sunt, non tamen eundem actum habent," ut beatus Paulus dicit. Ita inter homines distincta sunt offitia. Nam aliud dictum est religiosis, et aliud in seculo manentibus.
Aliud autem iudicibus religiosis dictum est, "Si quis abstulerit tibi tunicam, da ei et pallium. Si quis percusserit tibi maxillam, porrige ei et aliam."
In seculo vero manentibus eciam bonis dictum est, "Vim vi repellere omnes leges omniaque iura proclamant."
Et, "Quod quis ob tutelam sui corporis facit, id recte fecisse videtur."
Et melius est in tempore occurere, quam post exitum vindicare, dum tamen ad vindictam non faciant predicta, ut supra dictum est.
Iudicibus vero dictum est, "Iudex non sine causa portat gladium," etc. que supra dicta sunt.
Et eciam illis dictum est, "Nolite iudicare secundum faciem, sed iustum iudicium iudicate."
Si enim peccatum esset iudici recte iudicare, non dixisset propheta, "Si vere utique iustitiam loquimini, recte iudicate, filii hominum;"
nec Apostolus dixisset, "Iudex non sine causa gladium portat. Sed debet esse iudex malefactorum in iram;"
nec dixisset beatus Petrus, "Estote subditi omni humani creature propter Deum: sive regi excellenti: sive ducibus tamquam ab eo missis ad vindictam malefactorum, ad laudem vero bonorum."
Intelligo itaque predictam auctoritatem. Nolite iudicare, scilicet sine septem amminiculis que in iudicio necessaria sunt. Iudicando enim in eo iuditio septem principaliter sunt necessaria videlicet: scientia, jurisdictio, ratiocinatio, deliberatio, iustitia, timor Domini, et necessitas.
Scientia in iuditio necessaria est, Salomone testante qui ait, "Ante iuditium para iustitiam, et antequam loquaris disce."
"Quare iudex qui imperitiam male iudicavit, tenetur, sicut et medicus qui per imperitiam male secuit tenetur," unde leges nostre dicunt.
Jurisdictio eciam necessaria est in iudicando. Nam et ipsi Iudei dicebant Pilato: "Nobis non licet occidere quemquam, quia non habemus iurisdictionem.
Alioquin sententia nulla esset, utpote a non competenti iudice lata," ut leges nostre clamant.
Ratiocinatio eciam in sciencia est necessaria, id est, rationis inquisitio.
Nam recte adhibita ratio quod optimum est, cum neglecta vero multis implicatur erroribus, ut quidam philosophus dixit:
"Nam quod ratione caret non potest esse diuturnum; qui enim rationem secum portat, totum mundum vincit." Unde quidam sapiens dixit, "Si vis vincere totum mundum, subice te rationi."
Deliberatio eciam in iuditio est necessaria; cum deliberatione enim et sine festinantia et ira procedendum est ad iuditium. "Deliberare enim utilia mora est tutissima."
"Optimum enim iudicem existimo, qui cito intelligit et tarde iudicat." "In iudicando enim criminosa est sceleritas."
Unde dici consuevit, "Mora omnis odio est, sed facit sapientem."
Et alibi dictum est, "Duo sunt contraria in iuditio, festinantia et ira."
Quare eciam Tullius dixit, "Nunquam enim iratus quod accedit a penam mediocritatem; illam tenebit que est inter nimium et parum."
Unde eciam lex dicit quod "iudex ponderatas debet ferre sententias et frequenter partes interrogare aut novi aliquid addere veliter."
Et Dominus eciam cum mulier deprehensa in adulterio ducta esset ante eum, digito scribebat in terra et post deliberationem, elevato capite sententiavit dicens, "Quicumque vestrum est sine peccato, primo in eam lapidem iniciat animo."
Et iterum deliberando scribebat in terra et postea elevatis occulis dixit, "Mulier, ubi sunt qui te accusant?" Et illa dixit, "Nemo, Domine." Et ille respondet, "Si nullus te accusat, nec ego te condempnabo."
Iustitia vero necessaria est in iuditio, ut supra dixi, "In iuditium para iusticiam," etc.
Timor eciam Domini necessarius est in iuditio, quia "timor Domini est initium sapientie," ut propheta dixit.
Nam tanta est confusio legum et decretorum ac decretalium quod ad iudicandum vix memoria hominum sufficit.
Quare lex dicit, "Omnium memoriam habere et in nullo penitus peccare pocius est divinitatis quam humanitatis."
Si ergo potius est divinitatis quam humanitatis, vehementer timendum est ne forte divinitas in nobis non sit.
Necessitas vero incumbere debet in iuditio potius quam voluntas. Non enim Dominus per illa verba "nolite iudicare" exclusit necessitatem, sed voluntatem, quasi dicat: Non iudicetis ex voluntate, sed cum necessitas subest iudicare potestis,
ut supra dictum est, "Nolite iudicare secundum faciem, sed iustum iuditium iudicate."
Simile nolite est cum dicit, "Nolite iurare omnino." Non enim exclusit ibi necessitatem iurandi, sed voluntatem, quasi dicat: "Non habeatis voluntatem iurandi," sed ex necessitate iurare potestis.
Recte enim iuramentum prestatur si tres commites secum habeat, scilicet, veritatem, utilitatem, et necessitatem.
Unde Apostolus in epistola ad Ebreos dixit, "Habrae namque promittens Deus, quoniam neminem habuit, per quem iuraret, maiorem, iuravit per semetipsum, dicens: Nisi benedicens, etc."
Et subiunxit, "Homines per maiorem sui iurant; et omnis controversie eorum finis ad confirmationem est iuramentum."
Et angelus Domini iuravit per venientem in secula. Et propheta dixit, "Iuravit Dominus, et non penitebit eum."
Simile nolite est cum dicit, "Nolite addere agrum agro, nec domum domui." Nam nec ibi exclusit Dominus necessitatem, vel utilitatem, sed voluntatem et nimiam cordis appositionem.
Nulli enim sunt tam religiosi qui non addant quandoque domum domui. Nam si fratres minores vel predicatores non haberent ecclesiam competentem, ad congregationem fidelium adderent ecclesie sue. Et si non haberent coquinam vel refectorium, adderent predicta domibus suis.
Excludit ergo Dominus per illud verbum "nolite" tantummodo voluntatem nimiam vel superfluitatem.
Simile nolite est cum dicit, "Nolite cogitare de crastino." Nullus enim est in hoc mundo qui quandoque non cogitet de crastino.
Simile nolite est cum dicit, "Nolite diligere mundum, nec ea que in mundo sunt." Nullus certe vivit qui non diligat que in mundo sunt.
Non ergo exclusit ibi necessitatem vel utilitatem, sed nimiam voluntatem vel cordis appositionem.
Sic et appostolus cum dixit, "Divitie si affluant, nolite cor apponere." Non enim excludit divitias sed cordis appositionem in divitiis
quod potest perpendi per id quod dixit, "Omnia possidentes, tamquam nichil habentes."
Sic itaque intelliguntur verba Domini, "Nolite iudicare," si non habetis peritiam iudicandi atque scientiam quia non de occultis vel dubiis.
Item nolite iudi, si non habetis iurisdictionem. Et nolite iudicare contra rationem vel sine ratione vel omissa ratiocinatione.
Et nolite iudicare sine deliberatione, vel cum festinantia, vel ira.
Item nolite iudicare iniuste, vel contra iustitiam, et nolite iudicare sine timore Domini.
Et nolite iudicare, id est, non habeatis voluntatem iudicandi, nisi tunc demum cum necessitas subsit vel utilitas.
Et si ita feceritis, non iudicabimini vel condempnabimini propter iuditium vestrum. Immo meritum habebitis inde et eritis beati, propheta testante qui ait, "Beati qui custodiunt iuditium, et faciunt iustitiam omni tempore."
Nec eciam possunt dicere prefati heretici legem Moysi datam a diabolo, et Moysem malum fuisse. Nam si Moyses malus homo fuisset, non appellaretur in Apocalipsi servus Dei,
et si lex Moysi mala et a diabolo data, non dixisset beatus Paulus in epistola ad Ebreos, "Et Moyses quidem fidelis erit in tota domo eius tanquam famulus, in testimonium eorum, que dicenda erant: Christus vero tanquam filius in domo sua: que domus sumus nos."
Nec preciperet Deus legem Moysi debere servari, nec dicerem Moysem debere audiri, nec appellaretur in evangelio lex Domini. Dicit enim Dominus ipsa debere servari, cum dicit, "Super cathedram Moysi sederunt scribe et pharisei et ypocrite, omnia quecumque dixerint vobis facite et observate."
Iubet eciam Dominus Moysem debere audiri, cum dicit in evangelium divitis: "Habent Moyses et prophetas, audiant illos."
Et appellatur eciam per evangelium lex Domini, cum dicit de Helyzabet et Zacharia quod ambo erant iusti apud Deum, procedentes in omni opere et sermone secundum legem Moysi.
Et eciam Dominus post resurrectionem cum apropinquasset discipulis suis euntibus ad castellum quod dicitur Emaus, incipiens a Moyse et prophetis exponebat scripturas. Si enim lex Moysi data esset a diabolo, non incepisset Dominus expositionem scripturarum a Moyse.
Hiis itaque prenotatis circa vindictam temporalem et corporalem per vetus testamentum et per epistolas apostolorum probemus eciam per evangelium et per verbum Domini iudicem secularem habentem iurisdictionem atque imperium posse facere vindictam corporalem, et supradictos malefactores et similes posse occidere licite et iuste.
Nam dixit Lucas in evangelio, "Verumtamen inimicos illos meos, qui noluerunt me regnare super se, adducite huc et interficite ante me."
Et eciam per passionem Domini probatur. Nam cum Dominus in cruce penderet duobus latronibus iuxta illum positis, uno videlicet a dextrix altero autem a sinistris similiter in cruce pendentibus, et unus ex illis Dominum increparet dicens, "Alios salvos facit, se ipsum salvum facere non potest. Si filius Dei est, descendat nunc de cruce, et salvet semetipsum et nos."
Alius vero latro increpavit illum dicens, "Nec tu Deum times, nos quidem digne factis patimur et iuste; hic autem nil mali fecit. Memento mihi, Domini, dum veneris in regnum tuum."
Cui Dominus respondit dicens, "Hodie mecum eris in paradiso."
Aut certe latro iste dixit verum aut falsum. Si verum dixit, ergo verum est quod latrones et alij similes digne et iuste pro talibus factis a iudice occidi possint, sicut latro ille digne et iuste occidebatur.
Si autem falsum et mendatium dixit, stultus fuisset Deus si pro mendatio et falsitate, quod est peccatum mortale, paradissum latroni promisisset.
Male ergo dicunt heretici qui dicunt nullum esse occidendum. Si enim pro vindicta nullus occideretur, nullus bonus homo vivere valeret. Tot essent malefactores qui vestes et cibaria illis auferent quod omnes boni penitus destruerentur et perirent.
Iudex ergo iurisdictionem et imperium habens animadvertere et castigare et mulctare potest et debet.
Plus eciam dico quia sicut quilibet singulariter vindictas faciendo peccaret, iudex ita vindictam omittendo non esset a peccato immunis.
Non ergo debet iudex malis parcere, sed eos punire. Nam ut ait Seneca, "Bonis nocet, qui malis parcit."
Et sic cessabunt malefitia et malefactores timebunt. Nam ut ait Cassiodorus, "Excessus tunc fiunt in formidine, cum creduntur iudicibus displicere."
Et ita vindictam iudex exerceat, ut in aliquo se contempni non patiatur. Nam ut idem ait, "Imperium, si in parvo contempnitur, in omne parte violatur."
Non ergo debet esse iudex nimis familiaris, quia ut ait lex, "Familiaritas parit contemptum."
Quare Cassiodorus dixit, "Miles ad secreta iudicis proximatus presulis sui famam aut ornat aut maculat."
Cum severitate itaque iudex facit facinorosos mulctare, et castigare debet, et non cum familiaritate aut eciam contumelia. Nam ut ait Tullius, "Omnis animadversio et castigatio contumelia vacare debet neque ad eius, qui puniet aliquem aut verbis castigat, sed ad rei publice utilitatem referri."
Prospicere eciam debet iudex secundum leges, ne maior sit pena quam reperiatur culpa nec primum transgrediatur delictum. Ait enim lex, "Pena [interlinear above Peccata] suos tenent auctores, nec ulterius progrediatur pena quam raperiatur delictum. Propinquos notos familiares procul a calumpnia summovemus."
"Cavere insuper debet iudex ne eisdem causis alij plectantur alii nec inde appellentur, quia qui per ticimum consultum partem negligunt per vitiosos in rem, in civitatem perducunt seditionem atque discordiam," ut idem Tullius dixit.
Et non solum rationem suorum civium bonus homo habere debet, sed eciam externorum, eodem Tullio testante qui dixit, "Qui autem rationem suorum civium dicunt habendam, externorum negant, hii dirimunt humani generis societatem, qua sublata benefitientia, liberalitas, bonitas, iustitia funditer tolluntur."
Et nota quod sicut iudex potest malefactores ut dictum est occidere, ita potest eos bonis spoliare et mulctare, eodem Tulio testante qui ait, "Neque enim est contra naturam eum spoliare, si possis, quem est honestum necare."
Tutelam autem tui corporis facere debes ingenio atque prudentia, si fieri potest, et non superbia.