47
Qui conta come uno cavaliere richiese una donna d'amore.
[1] Uno
cavaliere
pregava uno giorno una
donna d'
amore,
e
diceale intra l'altre
parole ch'elli era
gentile e
ricco e
bello a
dismisura: - E 'l vostro
marito è così
laido, come
voi
sapete -.
[2] E quel cotal
marito era dopo la
parete
de
lla
cammera.
[3] Parlò, e
disse: -
Messere, per
cortesia,
acconciate li
fatti vostri, e non
isconciate li altrui! -
[4] Messere
Lizio di
Valbona fu
'l laido, e
messere
Rinieri da
Calvoli fu l'altro.
51
Qui conta d'una guasca come si richiamò a lo re di Cipri.
[1] Era una
guasca in
Cipri, a
lla quale fu
fatta un
dì molta
villania e
onta tale, che non la
poteo
sofferire.
[2] Mossesi
e
andonne al re di
Cipri, e
disse: -
Messere, a voi
sono
già
fatti diecimila
disinori, e a me n'è
fatto pur uno;
priegovi
che voi, che tanti n'avete
sof
ferti, m'
insegnate
sofferire
il mio uno -.
[3] Lo re si
vergognò e
cominciò a
vendicare
l
i su
oi e a non
volere più
sofferire.
52
D'una campana che s'ordinò al tempo di re Giovanni.
[1] Al tempo di re
Giovanni d'
Acri fue
ordinata una
campana,
che chiunque
ricevea un
gran
torto sì l'
andava a
sonare;
il re
raguna
va i savi a ciò ordinati, acciò che
ragione
fusse
fatta.
[2] Avenne che la
campana era molto tempo
durata, che la
fune per la
piova era
venuta meno, sicché
una
vitalba v'era
legata.
[3] Ora avenne che uno
cavaliere
d'
Acri avea uno suo
nobile
destriere, lo quale era
invechiato
sì che sua
bontà era tutta
venuto meno: sicché per non
darli mangiare il
lasciava
andare per la
terra.
[4] Lo
cavallo
per la
fame
ag
iunse con la
bocca a quella
vitalba per
rodegarla.
[5] Tirando, la
campana
sonò.
[6] Li
giudici si
adunaro,
e
videro la
petizione del
cavallo che
parea che
domandasse
ragione.
[7] Giudicaro che 'l
cavaliere cui elli avea
servito
da giovane il
pascesse d
a vecchio.
[8] Il re il
costrinse,
e
comandò sotto
gran
pena.
53
Qui conta d'una grazia che lo 'mperadore fece a un suo barone.
[1] Lo
'mperadore
donò una
grazia a un suo
barone che
qualunque
uomo
passasse per sua
terra, che li
togliesse d'ogni
magagna
evidente uno
danaio di
passaggio.
[2] Il
barone
mise a la
porta un suo
passaggiere a
ricogliere il
passaggio.
[3] Un giorno avenne che uno, ch'avea m
eno un
piede,
venne alla
porta.
[4] Il
pedaggiere li
domandò un
danaio.
[5] Quelli si
contese,
azzuffandosi con lui.
[6] Il
pedaggiere
il
prese.
[7] Quelli
difendendosi
trasse fuori un suo
moncherino:
ch'avea meno l'una
mano.
[8] Allora il
pedaggiero
il
vide;
disse: - Tu me
ne darai due:
l'uno per la
mano e
l'altro per lo
piede -.
[9] Allora
furono alla
zuffa: il
capello li
cadde di
capo.
[10] Quelli avea meno l'uno
occhio.
[11] Disse
il
pedaggiere: - Tu mi ne darai tre -.
[12] Pigliârsi ai
capelli;
lo
passaggiere li
puose
mano in
capo.
[13] Quelli era
tignoso.
[14] Disse lo
passaggiere: - Tu mi ne darai ora quattro -.
[15]
Così
convenne a colui che sanza
lite
potea
passare per uno,
pagasse quattro.
54
Qui conta come il piovano Porcellino fu accusato.
[1] Uno
piovano, il quale aveva
nome il
piovano
Porcellino,
al tempo del
vescovo
Mangiadore fu
acusato dinanzi
dal
vescovo, ch'elli
gu
idava male la
pieve per
cagione di
femine.
[2] Il
vescovo,
facendo sopra lui
inquisizione,
trovollo
molto
colpevole.
[3] E
stando in
vescovado,
attendendo
l'altro
dì d'
essere
disposto, la
famiglia,
volendoli bene, l'
insegnaro
campare.
[4] Nascoserlo la
notte, sotto il
letto del
vescovo.
[5] E in quella
notte il
vescovo v'avea
fatto
venire
una sua
amica; ed essendo entro il
letto,
volendola
toccare,
l'
amica non si
lasciava,
dicendo: - Molte
impromesse m'avete
fatte, e non me ne
at
tenete neente.
[6] Il
vescovo
rispuose: -
Vita mia, io lo ti
prometto e
giuro. -
[7] Non -
disse quella -, io
voglio li
danari in
mano -.
[8] El
vescovo
levandosi per
andare per
danari, per
donarli a
ll'
amica, el
piovano
uscì di sotto il
letto, e
disse: -
Messere, a cotesto
colgono elle me!
[9] Or chie
potrebbe
fare altro? -
[10] Il
vescovo si
vergognò, e
perdonògli; ma molte
minacce li
fece
dinanzi a
lli altri
cherici.
55
Qui conta una novella d'uno uomo di corte ch'avea nome Marco.
[1] Marco
Lombardo,
uomo di corte savissimo più che
niuno de suo mestiere, fu un
dì
domandato da un
povero
orrevole
uomo e
leggiadro, il quale
prendea i
danari in
sagreto da buona
gente, ma non
prendeva
robe.
[2] Era a
guisa di
morditore e avea
nome
Paolino.
[3] Fece a
Marco
una così
fatta
quistione,
credendo che
Marco non vi
potesse
rispondere: -
Marco -
disse elli -, tu
sè lo più
savio
uomo
di tutta
Italia, e
sè
povero e
disdegni lo
chiedere: perché non
ti
provedesti tu sì che tu
fossi sì
ricco che non ti
bisognasse
di
chiedere? -
[4] E
Marco si
volse d'intorno, poi
disse così: -
Altri non
vede ora noi e non ci
ode.
[5] Or tu com'ài
fatto? -
[6] E 'l
morditore
rispuose: -
Ò
fatto sì ch'io
sono
povero -.
[7] E
Marco
disse: -
Tiello
credenza a me, e io a te -.
56
Come uno della Marca andò a studiare a Bologna.
[1] Uno de
lla
Marca andoe a
studiare a
Bologna.
[2]
Vennerli meno le
spese.
[3] Piangea.
[4] Un altro il
vide, e
seppe perché
piangeva;
disseli così: - Io ti
fornirò lo
studio,
e tu m'
imprometti che tu mi
dara' mille livre al primo
piato che tue
vincerai -.
[5] Lo
scolaio
studiò e
tornò in sua
terra.
[6] Quelli li
te
nne dietro per lo
prezzo.
[7] Lo
scolaio,
per
paura di
dare il
prezzo, si
stava e no
avogava; e così
avea
perduto l'uno e l'altro: l'uno il
senno, l'altro i
danari.
[8]
Or che
pensò quelli de'
danari?
[9] Richiamossi di lui e
dielli
un
libello de duemila livre, e
disseli così: - O
vuogli
perdere,
o
vuogli
vincere.
[10] Se tu
vinci, tu mi
pagherai la
promessione.
[11] Se tu
perdi, tu mi
adempierai il
libello -.
[12]
Allora lo
scolaio il
pagò, e non
vol
le
piatire con lui.
57Di madonna Agnesina di Bologna.
[1] Madonna Agnesina di Bologna, istando un giorno in
una corte da sollazzo, ed era donna dell'altre: intra le
quali avea una sposa novella, alla quale voleva fare dire
com'ella fece la prima notte. [2] Cominciossi madonna
Agnesina alle piue sfacciate, e domandò imprima loro. [3]
L'una dicea: - Io il presi con le due mani -; e l'altre diceano
in altro sfacciato modo. [4] Domandò la sposa novella: - E tu
come faccesti? - [5] E quella disse molto vergognosamente,
con gli occhi chinati: - Io il presi con le due dita -. [6]
Madonna Agnesina rispuose e disse: - Deh cagiu' ti foss'ello! -
58
Di messere Beriuolo, cavaliere di corte.
[1] Uno
cavaliere di
corte ch'
ebbe
nome
messere
Beriuolo
era in
Genova.
[2] Venne a
rampogne con uno
donzello.
[3]
Quello
donzello li
fece la
fica quasi in fino a
ll'
occhio,
dicendoli
villania.
[4] Messere
Brancadoria il
vidde;
seppeli
reo.
[5] Venne a quello
cavaliere di
corte:
confortollo che
rispondesse e facesse la
fica a colui che la
faceva a lui. -
[6]
Madio -
rispuose quello -, non
farò: ch'io non li
farei una
de
lle mie per cento de
lle sue -.
59
Qui conta d'un gentile uomo che lo 'mperadore fece impendere.
[1] Federigo
imperadore
fece
impendere un giorno un
grande
gentile
uomo per certo
misfatto.
[2] E per
fare
rilucere
la
giustizia, sì 'l
faceva
guardare ad un grande
cavaliere
con
comandamento di
gran
pena, che
no
l lasciasse
spiccare.
[3] Sì che, questi non
guardando bene, lo
'mpiccato
fu
portato via.
[4] Sì che quando quelli se n'
avide,
prese
consiglio da se medesimo per
paura di
perdere la testa.
[5]
E
istando così
penso
so in quella
notte, sì
prese ad
andare
ad una
badia ch'era ivi presso, per
sapere se
potesse
trovare
alcuno
corpo che fosse
novellamente
morto, acciò che
'l
pottesse
mettere alle
forche in colui
scambio.
[6] Giunto
a
lla
badia la
notte medesima, sì vi
trovò una
donna in
pianto,
scapigliata e
scinta,
forte
lamentando; ed era
molto
sconsolata, e
piangea uno suo
caro
marito lo quale
era
morto lo giorno.
[7] El
cavaliere la
domandò
dolcemente:
-
Madonna, che modo è questo? -
[8] E la
donna
rispuose: - Io l'
amava tanto, che mai non
voglio
essere più
consolata, ma in
pianto
voglio
finire li miei
dì -.
[9] Allora il
cavaliere le
disse: -
Madonna, che
savere è questo?
[10]
Volete voi
morire qui di
dolore?
[11] Ché per
pianto né per
lagrime non si
può
recare a
vita il
corpo
morto.
[12] Onde
che
mattezza è quella che voi
fate?
[13] Ma
fate così:
prendete
me a
marito, che non
ò
donna, e
campatemi la
persona,
perch'io ne
sono in
periglio, e non
so
là dov'io mi
nasconda: ché io per
comandamento del mio
signore
guardava
un
cavaliere
impenduto per la
gola; li
uomini del suo
legnaggio il m'ànno
tolto.
[14] Insegnatemi campare, ché
potete, e io sarò vostro
marito e
te
rròvi
onorevolemente -.
[15] Allora la
donna,
udendo questo, si
innamorò di
questo
cavaliere e
disse: - Io
farò ciò che tu mi
comanderai,
tant'è l'
amore ch'io vi
porto.
[16] Prendiamo questo mio
marito, e
traiallo fuori de
lla
sepultura, e
impicchia
llo in
luogo di quello che v'è
tolto -.
[17] E
lasciò suo
pianto; e
atò
trarre il
marito del
sepulcro, e
atollo
impendere per la
gola così morto.
[18] El
cavaliere
disse: -
Madonna, elli avea
meno un
dente della
bocca, e
ò
paura che, se fosse
rivenuto
a
rivedere, ch'io non avesse
disinore -.
[19] Ed ella,
udendo questo, li
ruppe un
dente di
bocca; e s'altro vi fosse
bisognato a quel
fatto, sì l'avrebbe
fatto.
[20] Allora il
cavaliere,
vedendo quello ch'ell'avea
fatto di suo
marito,
disse:
-
Madonna, siccome poco v'è
caluto di costui che tanto
mostravate d'
amarlo, così vi
carebbe vie meno di me -.
Allora si
partì da lei e
andossi per li
fatti suoi, ed ella
rimase
con grande
vergogna.
64
D'una novella ch'avenne in Proenza alla corte del Po.
[1] Alla
corte del
Po di Nostra Donna di
Provenza s'
ordinò
una
nobile
corte.
[2] Quando il
figliuolo del
conte
Raimondo si
fece
cavaliere,
invitò tutta la buona
gente;
e tanta ve ne
venne per
amore, che le
robe e l'
ariento
fallio, e
convenne che
disvestisse de'
cavalieri
di sua terra
e
donasse a'
cavalieri di
corte.
[3] Tali
rifiutaro, e tali
consentiro.
[4] In quello giorno
ordinaro la
festa.
[5] E
poneasi
uno
sparaviere di
muda in su una
asta; or
veniva chi si
sentiva
sì
poderoso d'
avere e di
coraggio, e
levavasi il
detto
sparaviere in
pugno:
convenia che quel cotale
fornisse la
corte in quello anno.
[6] I
cavalieri e'
donzelli ch'erano
giulivi
e
gai sì
faceano di belle
canzoni el
suono e 'l
motto; e
quat
tro
aprovatori erano stabiliti, che quelle ch'aveano
valore
facevano
mettere in
conto, e l'altre, a chi l'avea
fatte,
diceano che le
migliorasse.
[7] Or
dimorarono, e
dicìano
molto bene di lor
signore; e li loro
figlioli
furono
nobili
cavalieri e
costumati.
[8] Or avenne che uno di quelli
cavalieri (
pognalli
nome
m
essere Alamanno),
uomo di
gran
prodezza e
bontade,
amava una molto bella
donna di
Proenza, la quale
avea
nome
madonna Grigia.
[9] E
amavala sì
celatamente,
che niuno li le
potea
fare
palesare.
[10] Avenne che'
donzell
i
del
Po si
posero insieme d'
inganarlo e di
farlo
vantare.
[11] Dissero così a certi
baroni e
cavalieri: - Noi vi
pregiamo
che al primo
torn
eare che si farà,
che la
gente si
vant
i -.
[12] E
pensaro così: «
Messere cotale è
prodissimo
d'
arme:
far
à bene quel giorno del
torniamento e
scalderassi
d'
allegrezza.
[13] Li
cavalieri si
vanteranno, ed elli non si
potrà
tenere che non si
vanti di sua dama».
[14] Così
ordinaro
il
torniamento.
[15] Fedio il
cavaliere:
ebbe il
pregio
de
ll'
arme;
scaldossi d'
allegrezza.
[16] Nel
riposare, la
sera,
i
cavalieri s'incominciaro a
vantare, chi di
bella
giostra, chi
di bello
castello, chi di bello
astore, chi di
bella ventura; e 'l
cavaliere non si
potè
tenere che non si
vantasse ch'avea così
bella
donna.
[17] Or avenne che
ritornò per
prendere
gioia
di lei, come era usato; e la
donna l'
acommiatò.
[18] Il
cavaliere
sbigottì tutto, e
partissi da lei e dalla
compagnia di
cavalieri, e andòne in una
foresta; e
rinchiusesi in uno romitaggio
sì
celatamente, che niuno il
seppe.
[19] Or chi avesse
veduto il
cruccio de'
cavalieri e delle
donne e delle
donzelle
che si
lamentavano sovente della
perdita di sì
nobile
cavaliere,
assai n'avrebbe avuto
pietade.
[20] Un giorno avenne che
i
donzelli del
Po
smar
riro una
caccia, e
capitaro al romitag
gio
detto.
[21] Domandolli se fossero del
Po; elli
rispuosero
di sì, ed e' li
domandò di
novelle.
[22] E'
donzelli li
presero
a
contare come v'avea
la
de novell
e, ché, per
picciolo
misfatto, aveano
perduto il
fiore de'
cavalieri; e che sua
donna li avea
dato
commiato, e niuno
sapea che ne fosse
adivenuto: - Ma
procianamente un
torneamento era
gridato,
ove
sarà molta bona
gente.
[23] E noi
pensiamo ch'elli
à sì
gentile
cuore che, dovunque elli
serà, sì
verrae a
torneare
con noi.
[24] E noi avremo
ordinate
guardie di
gran
podere e di
gran
conoscenza, che incontanente lo
riteneranno;
e così
speriamo di
riguadagnare nostra
gran
perdita -.
[25] Allora il romito
scrisse a un suo
amico
secreto,
che il
dì del
to
rneamento li
trammet
tesse
arme e
cavallo
secretamente, e
rinviò i
donzelli.
[26] E l'
amico
fornì la
richesta del romito: che 'l giorno del
torniamento li
mandò
cavallo e
arme.
[27] E fu, il giorno, nella
pressa di
cavalieri;
ed
ebbe il
pregio del
torniamento.
[28] Le
guardie l'
ebbero
veduto;
avisârlo.
[29] E incontanente lo
levaro in
palma di
mano a
gran
festa.
[30] La
gente,
rallegrandosi,
abattéli la
ventaglia dinanzi dal
viso, e
pregârlo per
amore che
cantasse;
ed elli
rispuose: - Io non
canteroe mai s'io non
ò
pace
da mia
donna -.
[31] I
nobile
cavalieri si
lasciarono ire alla
donna, e
richieserle con
gran
pregheria che li facesse
perdono.
[32] La
donna
rispuose: -
Diteli così, ch'io non li
perdonerò
già mai se non mi
fa
gridar merzé a cento
baroni e a
cento
cavalieri e a cento
donne e a cento
donzelle, che tutte
gridino a una
boce merzé, e non
sappia
no a cui la si
chiedere -.
[33] Allora il
cavaliere, il quale era di grande
savere,
si
pensò che s'
apressava la
festa della
candellara, che
si
facea
gran
festa al
Po, e le buone
gente
venivano al
mostiere.
[34] E
pensò: «Mia dama vi
sarà, e
saràvi tanta
buona
gente, quant'ella adomanda che
gridino merzede».
[35] Allora
trovò una molto
bella
canzonetta.
[36] E la
mattina
per tempo
salio in sue lo
pergamo, e
comminciò questa
sua
canzonetta quanto
seppe il meglio, che molto lo
sapea
ben fare.
[37] E
dicea in cotale
maniera:
Altressì come il leofante
quando cade non si può levare,
e li altri a lor gridare
di lor voce il levan suso,
e io voglio seguir quell'uso.
[38] Che 'l mio misfatto è tan' greve e pesante
ca la corte del Poi n'à gran burbanza,
e se 'l preggio de' leali amanti
non mi rilevan, giamai non sarò suso;
che degnasser per me chiamar merzé
là ove poggiarsi con ragion non val ren.
[39] E s'io per li fini amanti
non posso ma' gioia recobrar,
per tos temps las mon chantar
que de mi mon atent plus,
e vivrai si con reclus
sol, sanz solaz, car tal es mon talens
[]
[40] che m'inervia d'onor e plager:
car ie non sui de la maniere d'ors
che qui bat non tien vil, sen merzé,
adonc engras, e muluira or ven.
[41] Ab roth lo mon sui clantz
de mi trop parlar,
e s'ie poghes fenis contrefar
ke non es mai c'uns
que s'art e poi resurte sus
ieu m'arserei, car sui tan malananz,
e mis fais dig mensongier truranz,
e sortirei, con spire e con plor
la u giovenz e bietaz e valor
es, que non deu fallir un pauc di merses,
la u Dieu asis tutt'altri bon.
[42] Mia canzone e mio lamento,
va là u' ieu non os annar
né de' miei occhi sguardare,
tanto sono forfatto e fallente.
[43] Ia ie non me n'escus,
né nul fu Mei-di-donna, ch'i' fu' 'ndietro du' an;
or torno a voi doloroso e piangente
siccome cerbio ca, fatto su' lungo cors,
torn'al morir, al grido delli cacciatori.
[44] E io così torno alla vostra merzé;
m'a voi non cal, se d'Amor non soven.
[45] Allora tutta la
gente
gridarono merzé - quella ch'era
nella
chiesa -; e
perdonolli la
donna, e
ritornò in sua
grazia
com'era di prima.
72
Qui conta come Cato si lamentava contra alla Ventura.
[1] Cato
filosofo,
omo
grandissimo di
Roma,
stando in
pregione e in
povertade,
parlava con la Ventura e
doleas
i
molto, e
dicea: - Perché m'ài tanto
tolto? -
[2] E poi si
rispondea
in
luogo de la Ventura e
dicea cossì: -
Figliuolo
mio, quanto
dilicatamente t'
òe
al
levato e
nodrito!
[3] E
tutto ciò che m'ài chesto t'
ò
dato.
[4] La
signoria di
Roma t'
ò
data.
[5] Signore t'
ò
fatto di molte
dilizie, di
gran
pala
zzi,
di molto
oro,
gran
cavalli, molti
arnesi.
[6] O
figliuolo mio,
perché ti
rammarichi tue perch'io mi
parta da te? -
[7] E
Cato
rispondea: - Sì,
ramarico -.
[8] E la Ventura
rispondea:
-
Figliuolo mio, tu
sè molto
savio.
[9] Or non
pensi tu ch'i'
ò
figliuoli
piccolini, li quali mi
conviene
nutricare?
[10] vuo'
tu ch'io l'
abandon
i?
[11] Non sarebbe
ragione.
[12] Oi, quanti
piccioli
figliuoli
ò da
notricare!
[13] Figliuol mio, non
posso
star più teco.
[14] Non ti
ramaricare, ch'io non t'
ò
tolto
neente; ché ciò che tu ài
perduto non era tuo, perciò che
ciò che si
può
perdere, non è proprio.
[15] E ciò che non è
proprio, non è tuo -.
73
Come il soldano, avendo bisogno di moneta, vuolle cogliere cagione
a un giudeo.
[1] Il
soldano, avendo
bisogno di
moneta, fo
consigliato
che
cogliesse
cagione a un
ricco
Giudeo ch'era in sua
terra, e poi gli
togliesse il
mobile suo, ch'era grande oltre
numero.
[2] Il
soldano
mandò per questo
giudeo, e
domandolli qual fosse la migliore
fede,
pensando: - S'elli
dirà la
giudea, io
dirò ch'elli
pecca contra la mia.
[3] E se
dirà
la
saracina, e io
dirò: dunque, perché
tieni la
giudea? -
[4] El
giudeo,
udendo la
domanda del
signore,
rispuose: -
Messere, el
li fu un
padre ch'avea tre
figliuoli, e avea un
suo
anello con una
pietra
preziosa la migliore del
mondo.
[5] Ciascuno d
i costoro
pregav
a il
padre ch'a
lla sua fine
li
lasciasse questo
anello.
[6] El
padre,
vedendo che catuno
il
voleva,
mandò per un fino
orafo, e
disse: -
Maestro,
fammi due
anella così a punto come questo, e
metti in ciascuno
una
pietra che
somigli questa -.
[7] Lo
maestro
fece
l'
anell
a così a punto, che niuno
conoscea il fine, altro che
'l
padre.
[8] Mandò per li
figliuoli ad uno ad uno, e a
ca
tuno
diede il suo in
secretto.
[9] E catuno si
credea avere
il fine, e niuno ne
sapea il
vero altri che 'l
padre loro.
[10] E
così ti
dico ch'è de
lle
fedi, che
sono tre.
[11] Il
Padre di sopra
sa la migliore; e li
figliuoli, ciò
siamo noi, ciascuno si
crede
avere la buona -.
[12] Allora il
soldano,
udendo costui cosie
riscuotersi, non
seppe che si dire di
coglierli cagioni, sì lo
lasciò
andare.
74
Qui conta una novella d'uno fedele e d'uno signore.
[1] Uno
fedele d'un
signore, che
tenea sua
terra, essendo
a una
stagione i
fichi
novelli, il
signore,
passando per la
contrada,
vidde in su la
cima d'un
fico un bello
fico
maturo;
fecelsi
cogliere.
[2] Il
fedele si
pensò: - Da che li
piacciano,
io li
guarderò per lui -.
[3] Sì si
pensò d'
imprunarli, e
di
guardarli.
[4] Quando
furono
maturi, sì le ne
portoe una
soma,
credendo
venire in sua
grazia.
[5] Ma quando li
recò,
la
stagione era
passata, che n'erano tanti che quasi si
davano
a'
porci.
[6] Il
segnore
vedendo questi
fichi, sì si
tenne
bene
scornato, e
comandò a'
fanti suoi che 'l
legassero, e
togli
essero que'
fichi, e a uno a uno gli le
gittassero
entro il volto.
[7] E quando lo
fico li
venia presso all'
occhio,
e quelli
gridava: - Domine, te lodo! -
[8] I
fanti, per la
nuova
cosa, l'
andaro a
dire al
signore.
[9] El
signore
disse
perch'elli
dicea così.
[10] E quelli
rispuose: -
Messere, perch'
io fui
incorato di
recare
pesc
he: che s'io l'avesse
recate,
io
sarei ora
cieco -.
[11] Allora il
signore
incominciò a
ridere, e
fecelo
sciogliere e
vestire di
nuovo, e
donolli per
la
nuova
cosa ch'avea
detta.
75
Qui conta come Domenedio s'acompagnò con uno giullare.
[1] Domenedio s'
accompagnò una volta con uno
g
iullare.
[2] Or
venne un
dì che s'era
bandito una
corte di
nozze,
e
bandìsi uno
ricco
uomo ch'era
morto.
[3] Disse il
giullare:
- Io
andrò alle
nozze, e tu al
morto -.
[4] Domenedio
andò al
morto e
guadagnò, che 'l
risuscitò:
guadagnò cento
bisanti.
[5] Il
giullare andò alle
nozze e
satollòsi.
[6] E
reddì
a
casa, e
trovò il
compagno suo che avea
guadagnato.
[7]
Feceli
onore.
[8] Quelli era
digiuno: il
giullare si
fe'
dare
d
anari, e
comperò un
grosso
cavret
to e
arostillo.
[9] E
ar
rostendolo
si ne trasse li
ernioni e
mangiolli.
[10] Quando
il
compagno l'
ebbe innanzi,
demandò delli
ernioni.
[11] Il
giullare
rispuose: - E' non ànno
ernioni quelli di questo
paese -.
[12] Or
venne un'altra volta che anche si
bandiro
nozze, e un altro
ricco
uomo ch'era
morto.
[13] E
Id
dio
disse: - Io
voglio ora
andare alle
nozze e tu
va al
morto; e
io t'
insegnerò come tu il
risu
sciterai.
[14] Signerailo, e
comanderaili
che si
lievi; ed elli si
leverà.
[15] Ma
fatti
fare la
impromissione
dinanzi -.
[16] Disse il
giullare: - Be· llo
farò -.
[17] Andò, e
promisse di
suscitarlo; e non si
levò per suo
segnare.
[18] Il
morto era
figliuolo di
gran
signore: il
padre s'
adirò
veggendo che questi
faccìa
beffe di lui.
[19] Mandollo ad
impendere per la
gola.
[20] Domenedio li si
parò dinanzi, e
disse: - Non
temere, ch'io l
o risusciterò.
[21] Ma
dimmi, in
tua
fé: chi
mangiò li
ernioni del
cavretto? -
[22] Il
g
iullare
rispuose: - Per quel
santo
secolo dov'io
debbo
andare,
compagnio
mio, ch'io non li
mangiai -.
[23] Domenedio
veggendo
che non li le
potea
fare
dire,
increbbeli di lui.
[24] Andò,
e
su
scitò il
morto.
[25] E questi fu
delìbero, ed
ebbe la
promessione che li era
fatta.
[26] Tornaro a
casa.
[27] Disse
Domenedio: -
Compagno mio, io mi
voglio
partire da te,
perché io non t'
ò
trovato
leale com'io
credeva -.
[28] Quelli
vedendo ch'altro non
poteva
essere,
disse: -
Piacem
i.
[29]
Dividete, e io
piglierò -.
[30] Domenedio
fece tre parte de'
danari.
[31] E
l giullare
disse: - Che
fai?
[32] Noi non
semo se
non due -.
[33] Disse
Domenedio: - Ben è vero; ma quest'una
parte sia di colui ch
e mangiò li
ernioni; e l'altre, sia l'una
tua, l'altra mia -.
[34] Allora
disse il
giullare: - Per mia
fede,
da che tu
di' così, ben ti
dico ch'io
li mangiai.
[35] Io
sono
di tanto tempo ch'io non
debbo omai
dir
bugia -.
[36] E così
si
pruovano tali
cose per
danari, le quali
dice l'
uomo, che
non le
direbbe per
iscampare da
morte a
vita.
76
Qui conta della grande uccisione che fecce il re Ricciardo.
[1] Il buono re
Ricciardo d'
Inghilterra
passò una volta
oltre
mare con
baroni,
conti e
cavalieri
prodi e
valenti; e
passaro in
nave sanza
cavalli; e
ar
rivoe nelle
terre del
soldano.
[2] E così a piè
ordinò sua
battaglia, e
fecce d
i saracini
sì grande
uccisione, che le
ballie de'
fanciulli
dicono
quand'elli
piangono: -
Ecco il re
Ricciardo! -, acciò che
come la
morte fo temuto.
[3] Dice che il
soldano,
veggendo
fug
gire la
gente sua,
domandò: - Quanti
cavalieri
sono quelli che
fanno questa
uccisione? -
[4] Fulli
risposto: -
Messere, è lo re
Ricciardo
solamente con sua
gente,
e sono tutti a piede -.
[5] El re,
cioè il
soldano,
disse: - Non
voglia il mio
Iddio che così
nobile uomo come il re
Ricciardo
va
da a
piede -.
[6] Prese
un
nobile
distriere e
mandògliele.
[7] Il
messag
gio il
menò, e
disse: -
Messere, il
soldano vi
manda questo, acciò
che voi non
siate a
piede -.
[8] Lo re fu
savio:
fecevi
montare
su uno suo scudiere, acciò che 'l
provasse.
[9] Il
fante così
fece.
[10] Il
cavallo era
nodrito.
[11] Il
fante non
potendolo
tenere, sì si
dri
zzò verso il
padiglione del
soldano a sua
forza.
[12] Il
soldano
aspettava il re
Ricciardo, ma non li
venne fatto.
[13] E così nelli
amichevoli
modi de'
nemici non
si
dee
uomo
fidare.
77
Qui conta di messere Rinieri, cavaliere di corte.
[1] Messere
Rinieri da Monte
Nero,
cavaliere di
corte, sì
passò in
Sardigna e
stette col
Donno d'
Alborea, e
innamoròvi
d'una
sarda ch'era molto
bella.
[2] Giacque con lei.
[3]
Il
marito la
trovò: non li
offese, ma
andossene dinanzi
al
Donno e
lamentossi
forte.
[4] Il
segnore
amava questo
sardo:
mandò per
messere
Rinieri;
disseli molte
parole di
gran
minacce.
[5] E
messere
Rinieri,
scusandosi,
disse che
mandasse per la
donna, e
domandassela se ciò che
fece fu
altro che per
amore.
[6] Le
gabbe non
piacquero al
signore:
comandolli ch'elli
sgombrasse il
paese sotto
pena della
persona.
[7] Non
avendollo ancora
meritato di suo
stallo,
messere
Rinieri
disse: -
Messere,
piacciavi di
mandare in
Pisa al
siniscalco vostro che mi
provegga -.
[8] Il
Donno
disse: -
Cotesto
farò io voluntieri -.
[9] Feceli una
lettera, e
dieglile.
[10] Or
giunse in
Pisa e fu al
detto
siniscalco.
[11] Ed essendo
con la
nobile
gente a
tavola,
contò il
fatto com'era stato; poi
diè questa
lettera al
siniscalco.
[12] Quelli la
lesse, e
trovò che
li
dovesse
donare uno
paio di
calze
line a
staffet
ta, cioè
sanza
pedulli, e non altro.
[13] E innanzi a tutti i
cavalieri
che v'erano, sì le
volle.
[14] Avendole,
ebbevi
gran
risa e
sollazzo;
di ciò non s'
adirò punto, perciò ch'era molto
gentile
cavaliere.
[15] Or avenne ch'
entrò in una
barca con un suo
cavallo e
con un suo
fante, e
tornò in
Sardigna.
[16] Un giorno
andando il
Donno a
sollazzo con altri
cavalieri, e
messere
Rinieri era grande della
persona e avea le
gambe
lung
he, ed era su un
magro
ronzino, e avea queste
calze
line in
gamba, il
Donno il
conobbe, e con
adiroso
animo il
fe'
venire dinanzi da sé e
disse: - Ch'è ciò,
messere
Rinieri,
che voi non
siete
partito di
Sardigna? -
[17] Certo -
disse
messere
Rinieri - sì
sono.
[18] Ma io
sono
tornato per li
scap
pini delle
calze -.
[19] Stese le
gambe,
mostrò i
piedi.
[20] Allora il
Donno si
rallegrò e
rise, e
perdonolli; e
donolli
la
roba ch'avea indosso, e
disse: -
Messere
Rinieri, tu ài
saputo più di me e più ch'io non ti
insegnai -.
[21] E que'
disse: -
Messere, elli è al vostro
onore -.
78
Qui conta d'uno filosofo molto cortese di volgarizzare la scienzia.
[1] Fue un
filosofo, lo quale era molto
cortese di
volgarizzare
la
scienzia per
cortesia a'
signori e altre
genti.
[2] Una
notte li
venne in
visione che le
dee de
lla
scienzia, a
guisa
di belle
donne,
stavano al
bordello.
[3] Ed elli
vedendo questo,
si
maravigliò molto e
disse: - Che è questo?
[4] Non
siete
voi le
dee de
lla
scienzia? -
[5] Ed elle
rispuosero: - Certo sì.
-
[6] Com'è ciò, voi
siete al
bordello? -
[7] Ed elle
rispuosero:
- Ben è vero, perché tu
sè quelli che vi ci
fai
stare -.
[8]
Isvegliòs
si, e
pensossi che
volgarizare la
scienzia si era
menomare la
deitade.
[9] Rimasesene, e
pentési
fortemente,
[10] E
sappiate che tutte le
cose non
sono
licite a ogni
persona.
79
Qui conta d'uno giullare ch'adorava un signore.
[1] E' fue un
signore, ch'avea un
giullare in sua
corte, e
questo
giullare l'
adorava siccome un suo
iddio, e
chiamavallo
Dio.
[2] Un altro
giullare
vedendo questo sì gliene
disse
male.
[3] E
disse: - Or cui
chiami tu
Iddio?
[4] Elli non n'è
mai
uno -.
[5] E quelli, a
baldanza del
signore, sì 'l
bat
teo
villanamente.
[6] E quelli così tristo, non potendosi
difendere,
andossene a
richiamare al
signore, e
disseli
tut
to il
fatto.
[7] Il
s
egnore se ne
fece
gabbo.
[8] Quelli
si
partì, e
stava molto tristo, intra
poveri, perché non
ardiva
di
stare intra buone
persone: sì l'avea quelli
concio.
[9] Or avenne che 'l
signore fu di ciò molto
ripreso, sì che si
propuose di
dare
commiato a questo suo
giullare a modo
di
co
nfini.
[10] E avea cotale
uso in sua
corte, che cui elli
presentasse sì si intendea d'avere
commiato e
partirsi della
sua corte.
[11] Or
tolse il
signore molti
danari d'
oro e
feceli
mettere in una
torta, e quand'ell
a li
venne dinanzi, sì la
presentò a questo suo
giullare, e
disse infra sé: «Dopoi che
li mi
conviene
donare
commiato, io
voglio che sia
ric
co
uomo».
[12] Quando questo
giullare
vide la
torta, fu tristo.
[13] Pensossi e
disse: - I' ho
mangiato;
serberolla, e
darolla
a
ll'
oste mia -.
[14] Andandone con essa a
ll'
albergo,
trovò
colui cu' elli avea così
bat
tuto,
misero e
cattivo:
preseline
pietade, andò inverso lui e
dielli quella
torta.
[15] Quelli la
prese;
andossene con essa.
[16] Ben fu
ristorato di quello
che
ebbe da lui.
[17] E
tornando al
signore per
iscommiatarsi
da lui, il
signore
disse: - Or
sè tu ancor qui?
[18] non
avestù
la
torta? -
[19] Messere sì:
ebbi. -
[20] Or che ne
facesti?
-
[21] Messere, io avea allora
mangiato:
diedila a un
povero
giullare che mi
diceva male, perch'io vi
chiamava mio
Iddio -.
[22] Allora
disse il
signore: -
Va con la mala ventura:
che ben è migliore il suo
Iddio che 'l tuo -; e
disseli il
fatto
della
torta.
[23] Questo
giullare si
tenne
morto; non
sapea
che si fare.
[24] Partissi dal
signore, e non
ebbe nulla da lui.
[25] E andò
caendo colui a cui l'avea
data.
[26] Non fu vero
che mai lo
trovasse.
82
Qui conta come la damigella di Scalot morì per amore di Lancialotto
del Lac.
[1] Una
figliuola d'uno grande
valvassore sì
amò
Lancialotto
del Lac oltre misura.
[2] Ma elli non le
voleva
donare
suo
amore, imperciò ch'elli l'avea
donato alla reina
G
inevra.
[3] Tanto
amò costei
Lancialotto, ch'ella ne
venne alla
morte.
[4] E
comandò che quando sua
anima fosse
partita
dal
corpo, che fusse
aredata una
ricca
navicella
coperta
d'un
vermiglio
sciamito, con un
ricco
letto ivi entro, con
ricche e
nobili
coverture di
seta,
ornato di
ricche
pietre
preziose;
e fosse il suo
corpo
messo in questo
letto, vestita di
suoi piue
nobili
vestimenti e con
bella
corona in
capo,
ricca
di molto
oro e di molte
pietre
preziose, e con
ricca
cintura e
borsa.
[5] E in quella
borsa avea una
lettera, ch'era dello
'nfrasc
ritto
tenore.
[6] Ma in prima
diciamo de ciò che
va
innanzi la
lettera.
[7] La
damigella
morì di
mal d'
amore, e fu
fatto di lei ciò che
disse.
[8] La
navicella, sanza
vele, fu
messa
in
mare con la
donna.
[9] Il
mare la
guida a
Cammalot.
[10] E ristet
te alla
riva.
[11] Il
grido andò per la
corte.
[12] I
cavalieri e'
baroni
dismontarono de'
palazzi.
[13] E lo
nobile
re
Artù vi
venne, e
maravigliavasi
forte ch'era sanza niuna
guida.
[14] Il re
entrò dentro:
vide la
damigella e l'
arnese.
[15]
Fe'
aprire la
borsa.
[16] Trovaro quella
lettera.
[17] Fecela
leggere.
[18] E
dice
a così: «A tutti i
cavallieri della Tavola
Ritonda
manda salute questa
damigella di
Scalot, siccome
alla migliore
gente del
mondo.
[19] E se voi
volete
sapere
perch'io a mia fine
sono
venuta, sì è per lo migliore
cavaliere
del
mondo e per lo più
villano, cioè
mons
ignore messere
Lancialotto di Lac, che già
nol
seppi tanto
pregare
d'
amore, ch'elli avesse di me mercede.
[20] E così, lassa!, sono
morta per ben amare, come voi
potete
vedere».
83
Come Cristo andando un giorno co' discepoli, videro molto grande tesoro.
[1] Andando
Cristo un giorno co'
discepoli suoi per un
foresto
luogo, nel quale i
discepoli che
veniano dietro
viddero
lucere da una parte
piastre d'
oro fine, onde essi
chiamando
Cristo,
maravigliandosi perché non era
restato ad
esso, sì
disser: -
Signore,
prendiamo quello
oro che ci
consolerà
di molte
bisogne -.
[2] E
Cristo si
volse, e
ripreseli, e
disse: - Voi
volete quelle
cose che
toglie al
regno nostro la
maggiore parte de
ll'
anime.
[3] E che ciò sia
vero, alla
tornata
n'
udirete l'
asempro -.
[4] E
passaro oltre.
[5] Poco
stante due
cari
compagni lo
trovaro, onde
furono molto
lieti; e in
concordia and
ò l'uno alla più presso
villa per
menare un
mulo, e l'altro
rimase a
guardia.
[6] Ma
udite
opere
ree che ne
seguiro poscia de'
pensieri
rei che 'l
Nemico
diè loro.
[7] Quelli
tornò col
mulo, e
disse al
compagno:
- I'
ò
mangiato alla
villa, e tu
dei
aver
fame:
mangia
questi due
pani così belli, e poi
caricheremo -.
[8] Rispuose
quelli: - Io non ho
gran
talento di
mangiare ora; e
però
carichiamo prima -.
[9] Allora
presero a
caricare.
[10]
E
quando ebbero presso che
caricato, quelli ch'andò per lo
mulo si
chinò per
legare la
soma, e l'altro li
corse di dietro
a
tradimento con uno
ap
puntato
coltello, e
ucciselo.
[11] Poscia
prese l'uno di que'
pani e
diello al
mulo.
[12] E l'altro
mangiò elli.
[13] El
pane era
atoscato:
cadde
morto elli
e 'l
mulo, innanzi che
movessero di quel
luogo; e l'
oro
rimase
libero come di prima.
[14] El Nostro
Signore
passò
indi co' suoi
discepoli nel
detto giorno, e
mostrò loro l'
esempro
che
detto avea.
84
Come messere Azzolino fece bandire una grande pietanza.
[1] Messere
Azzolino Romano
fece una volta
bandire nel
suo
distretto, e altrove ne
fece
invitata, che
voleva
fare una
grande
limosina; e però tutti i
poveri
bisognosi,
omini
come
femine, e a certo die, fossero nel
prato suo, e a catuno
darebbe
nuova
gonnella e molto da
mangiare.
[2] La
novella si
sparse.
[3] Tras
servi d'ogni parte.
[4] Quando
venne il giorno dell'
agunanza, i
siscalchi suoi
furo tra
loro con le
gonnelle e con la
vivanda; e a uno a uno li
facea
spogliare e
scalzare tutto
ignudo, e poi li
rivestia di
panni
nuovi, e
davali mangiare.
[5] Quelli
rivoleano i loro
stracci;
ma neente
valse: ché tutti li
messe in uno
monte e
cacciòvi entro
fuoco.
[6] Poi vi
trovò tanto
oro e tanto
ariento, che
valse più che tutta la
spesa; e poi l
i rimandò
con
Dio.
[7] E al suo tempo li si
richiamò un
villano d'un suo
vicino che li avea
imbolato
ciliegie.
[8] Compario l'
ac
cusato,
e
disse: -
Mandate a
sapere se ciò
può
essere, perciò
che 'l
ciri
egio è
finemente
imprunato -.
[9] Allora
messere
Azzolino ne
fece
pruova, e l'
accusatore
condan
nò in
quantità di
moneta, però che si
fidò più nelli
pruni che
nella sua
signoria.
[10] E
d
iliberò l'altro.
[11] Per
tema della sua
tirannia, li
portò
una vecchia femina
di villa un
sacco di
noci le quali non si trovava
ro somiglianti.
[12] E essendosi il meglio
acconcia ch'ella
poteo,
g
iunse co
là dov'elli era co' suoi
cavalieri, e
disse: -
Messere,
Dio vi
dea
lunga
vita -.
[13] Ed elli
sospecciò, e
disse:
- Perché
dicesti così? -
[14] Ed ella
rispuose: - Perché se ciò
sarae noi
staremo in
lungo
riposo -.
[15] E quelli
rise.
[16] E
fecele
mettere un bello
sottano, il quale le
dava a
ginocchio,
e
fecelavi
cignere su; e tutte le
noci
fece
versare per la
sala, e poi a una
a una li le
facea
ricogliere e
rimettere nel
sacco.
[17] E poi la
meritò
grandemente.
[18] In
Lombardia e nella
Marca si
chiamano le
pentole
"
ole".
[19] E la sua
famiglia aveano un
dì
preso un
pentolaio
per
maleveria, e
menandolo a
giudice,
messere
Azzolino
era nella
sala;
disse: - Chi è costui? -
[20] L'uno
rispuose: -
Messere, è un
olaro. -
[21] Andalo ad
impendere. -
[22]
Come,
messere, ch'è un
ollaro? -
[23] E però
dico che voi
l'
andiate ad
impendere. -
[24] Messere, noi
diciamo ch'elli è
un
olaro. -
[25] E ancor
dico io che voi l'
andiate ad
impendere -.
[26] Allora il
giudice se n'
accorse.
[27] Fecelne
inteso,
ma non
valse: che perch
é l'avea
detto tre volte
conv
enne
che fosse
impeso.
[28] A
dire come fu temuto sarebbe
gran
tela, e molte
persone il
sanno.
[29] Ma sì
r
amenterrò come essendo elli
un giorno con lo
'mperadore a
cavallo con tutta la lor
gente si
ingaggiaro chi avesse piue
bella
spada.
[30] Sodo
lo
gaggio, lo
'mperadore
trasse la sua del
fodero, ch'era
maravigliosamente
guarnita d'
oro e di
pietre.
[31] Allora
disse
messere
Azzolino: - Molto
è bella, ma la mia è assai
più bella -.
[32] E
trassela fuori.
[33] Allora seicento
cavalieri
che v'erano con lui
trassero tutti
mano alle loro.
[34]
Quando lo
'mperadore
vidde le
spade,
disse che ben era la
più
bella.
[35] Poi fu
Azzolino
preso in
battaglia in uno
luogo che si
chiama
Casciano, e
percosse tanto il
capo al
feristo del
padiglione ove era
legato, che s'
uccise.
85
D'una grande carestia che fu una volta in Genova.
[1] In
Genova fu un tempo un
gran
caro; e là si trovavano
sempre più
ribaldi che in niun'altra
terra.
[2] Tolsero
alquante
galee, e
tolsero
conducitori, e
pagârli, e
mandârno
il
bando che tutti li
poveri
andassero alla
riva, e
avrebbero del
pane del
Comune.
[3] Andârvene tanti, ch'è
maraviglia; e ciò fu perché molti che non erano
bisognosi
si
travisaro.
[4] E li
uficiali
dissero così: - Tutti questi
non si
potrebbero
cernire, ma
vadano li
cit
tadini in su
quello
legno, e' forestieri nell'altro; e le
femine co'
fanciul
li
in quelli altri -; sicché tutti v'
a
ndaro suso.
[5] I
conducitori
furono
presti:
diedero de'
remi in acqua, e
apportârli
in
Sardigna.
[6] E là li
lasciaro, che v'era
dovizia; e in
Genova
cessò il
caro.
86Qui conta d'uno ch'era bene fornito a dismisura.
[1] Fu uno ch'avea sì grande naturale, che non trovava
neuno che fosse sì grande ad assai. [2] Or avenne ch'uno
giorno si trovò con una putta che non era molto giovane;
e avegna che molto fosse orrevole e ricca, molti n'aveva
veduti e provati. [3] Quando furo in camera, ed elli lo
mostrò. [4] Per grande letizia la donna il vidde e rise.
[5] Que' disse: - Che ve ne pare? - [6] E la donna rispuose...
87
Come uno s'andò a confessare.
[1] Uno s'andò a
confessare al
prete suo, e intra l'altre
cose
disse: - I'
ò una mia
cognata, e 'l mio
fratello è lontano.
[2] E
quand'io
torno in
casa, ella, per grande
dimestichezza, mi si
puone a
sedere in
grembo.
[3] Come
debbo
fare? -
[4] Rispuose
il
prete: - A me il si facesse ella, ch'io la ne
pagherei
bene! -
88
Qui conta di messere Castellano da Cafferri di Mantova.
[1] Messere
Castellano da
Cafferri di Mantova essendo
podestà di
Firenze, sì
nacque una
quistione, tra
messere
Pepo
Alama
nni, e
messere
Cante
Caponsacchi, tale che ne
furo a
gran
minacce.
[2] Onde la podestade, per
cessare
quella
briga, sì li
mandoe a'
confini.
[3] Messere
Pepe
mandò in certa parte, e
messere
Cante, perch'era grande
suo
amico, sì 'l
mandò a
Mantova, e
rac
comandollo a'
suoi.
[4] E
messer
Cante li
ne rende
o tale
guiderdone, che
si
giacea con la
moglie.
89Qui conta d'uno uomo di corte che cominciò una novella che non venìa
meno.
[1] Brigata di cavalieri cenavano una sera in una gran
casa fiorentina, e avevavi uno uomo di corte, il quale era
grandissimo favellatore. [2] Quando ebbero cenato, cominciò
una novella che non venìa meno. [3] Uno donzello
della casa che servìa, e forse non era troppo satollo, lo
chiamò per nome, e disse: - Quelli che t'insegnò cotesta
novella non la t'insegnò tutta -. [4] Ed elli rispuose: - Perché
no? - [5] Ed elli rispuose: - Perché non t'insegnò la restata -.
[6] Onde quelli si vergognò, e ristette.
90
Qui conta come lo 'mperadore Federigo uccise uno suo falcone.
[1] Lo
'mperadore
Federigo
andava una volta a
falcone, e
avevane uno molto
sovrano, che l'avea
caro più ch'una
cittade.
[2] Lasciollo a una
grua; quella
montò alta.
[3] Il
falcone
si
misse alto molto sopra lei.
[4] Videsi sotto un'
aguglia
giovane;
percossela a
terra, e tanto la
tenne che l'
uccise.
[5]
Lo
'mperadore
corse,
credendo che fosse una
grua:
trovò
com'era.
[6] Allora con
ira
chiamò il
giustiziere, e
comandò
che al
falcone fosse tagliato il
capo, perch'avea
morto lo
suo
signore.
91
Come uno si confessò da un frate.
[1] Uno si
confessò da un
frate, e
disse che essendo elli una
volta alla
ruba d'una
casa co
n assai gente: - Il mio
intendimento
si era di
trovare in una cassa cento
fiorini d'
oro; e
io la
trovai
vo
ta.
[2] Ond'io non ne
credo avere peccato -.
[3] Il
frate
rispuose: - Certo sì ài, come se tu
li aves
si
avuti. -
[4] Questi si
mostrò molto
cruc
ciato, e
disse: - Per
Dio
consigliatemi! -
[5] E 'l
frate
rispuose: - Io non ti
posso
prosciogliere se tu
nol
rendi -.
[6] Ed elli
rispuose: - Io lo fo
voluntieri, ma non
so a cui -.
[7] E 'l
frate
rispuose: -
Recali
a me, e io li
darò per
Dio -.
[8] Questi li
promisse, e
partìsi.
[9] E
prese tanta
contezza, che vi
tornò l'altra
matina, e
ragionando co lui,
disse che gli era
mandato un bello
storione
e che li le
voleva
mandare a
disinare.
[10] Lo
frate li
ne
rendè molte
grazie.
[11] Partìse questi, e non li le
mandò.
[12] E l'altro
dì
tornò al
frate con
al
legra
cera.
[13] Il
frate
disse: - Perché mi
facest
i tanto
aspettare? -
[14] E que'
rispuose: - O,
credevatello voi avere? -
[15] Certo sì. -
[16] E
non l'aveste? -
[17] No. -
Dico ch'è altrettale come se voi lo
aveste avuto -.
92
Qui conta d'una buona femina ch'avea fatta una fine crostata.
[1] Fue una
femina ch'avea
fatta una fine
crostata d'
anguille,
e
aveala
messa nella
madia.
[2] Vide
entrare uno
topo
per la
f
inestrella, che
trasse a l'
odore.
[3] Quella
allettò la
gatta, e
missela ne
lla
madia perché 'l
pigliasse.
[4] Il
topo si
nascose tra la
farina, e la
gatta si
mangiò la
crostata.
[5] E
quand'ella
aperse, il
topo ne
saltò fuori, e la
gatta, perch'era
satolla, non lo
prese.
93Qui conta d'uno villano che s'andò a confessare.
[1] Uno villano se andò a un giorno a confessare. [2] E
pigliò dell'acqua benedetta, e vide il prete che lavorava nel
colto. [3] Chiamollo, e disse: - Sere, io mi vorrei confessare -.
[4] Rispuose il prete: - Confessastiti tu anno? - [5] E
que' rispuose: - Sì -. Or metti un danaio nel colombaio, e
a quella medesima ragione ti fo uguanno, ch'anno -.
94
Qui conta della volpe e del mulo.
[1] La
volpe andando per un
bosco, sì
trovò un
mulo, che
mai non n'avea più
veduti.
[2] Ebbe
gran
paura, e
fuggì; e
così
fuggendo
trovò il
lupo.
[3] E
disse come avea
trovata una
novissima
bestia, e non
sapeva suo
nome.
[4] Il
lupo
disse: -
Andianvi -.
[5] Furono
g
iunti a lui; al
lupo
parve via più
nuova.
[6] La
volpe il
domandò
di suo nome.
[7] Il
mulo
rispuose: - Certo io non l'
ò ben a
mente; ma se tu
sai
leggere,
io l'
ò
scritto nel
piè
dirit
to di dietro -.
[8] La
volpe
rispuose: - Lassa! ch'io non
so
leggere: che molto lo
saprei
voluntieri -.
[9] Rispuose il
lupo: -
Lascia
fare a me, che
molto lo
so ben fare -.
[10] Il
mulo sì li
mostrò il
piede
dritto,
sì che li
chiovi
pareano
lettere.
[11] Disse il
lupo: - Io non
le
veggio bene -.
[12] Rispuose il
mulo: -
Fatti più presso,
però che sono
minute -.
[13] Il
lupo si
fece sotto, e
guardava
fiso.
[14] Il
mulo
trasse, e
dielli un
calcio tale che l'
uccise.
[15]
Allora la
volpe se n'andò, e
disse: - Ogni
uomo che
sa
lettera
non è
savio -.
95
Qui conta d'uno màrtore di villa ch'andava a cittade.
[1] Uno
màrtore di
villa
venìa a
Firenze per
comperare un
farsetto.
[2] Domandò a una
bottega ov'era il
maestro.
[3]
Non v'era.
[4] Uno
discepolo
disse: - Io sono il
maestro: che
vuoli? -
[5] Voglio uno
farsetto -.
[6] Questi ne
trovò uno.
[7]
Provogliele.
[8] Furono a
mercato.
[9] Questi non avea il
quarto
danari.
[10] Il
discepolo,
mostrandosi d'
acconciarlo
da
piede, sì gli
apuntò la
cami
cia col
farset
to, e poi
disse: -
Tralti -.
[11] Quelli lo si
trasse.
[12] Rimase
ignudo.
[13] Li altri
discepoli furo
intenti con le
coregge.
[14] Lo
scoparo
per tutta la
contrada.
96
Qui conta di Bito e di ser Frulli di Firenze, da San Giorgio.
[1] Bito fu
fiorentino, e fue bello
uomo di
corte e
dimorava
a
San
Giorgio oltr'Arno.
[2] Avea uno
vecchio ch'avea
nome ser
Frulli, e avea uno suo
podere, di sopra a
San
Giorgio, molto bello, sì che quasi tutto l'anno vi
dimorava
con la
famiglia sua, e ogni
mattina
mandava la
fante sua
a
vendere frutta o
camangiare alla
piazza del
ponte.
[3]
Ed era sì
iscarsissimo e
sfidato, che
faceva i
mazzi del
camangiare,
e
ano
veravali a
la fante, e
faceva
ragione che
pigliava.
[4] Il mag
giore
amonimento che le
dava si era
che non si
posasse in
San
Giorgio, però che v'aveva
femine
ladre.
[5] Una
mattina
passava la
detta
fante con uno
paniere di
cavoli.
[6] Bito, che prima l'avea
pensato, s'avea
messa la più
ricca
roba d
i vaio ch'avea; ed essendo in su
la
panca di fuori,
chiamò la
fante, ed ella andò da lui incontanente;
e molte
femine l'aveano
chiamat
a prima; non vi
vol
le ire.
[7] - Buona
femina, come
dài cotesti
cavoli? -
[8]
Messere, due
mazzi a
danaio. -
[9] Certo questa è buona
derrata.
[10] Ma
dicoti che non ci sono se non io e la
fante mia,
ché tutta la
famiglia mia è in
villa, sì che troppo mi sarebbe
una
derrata; e io li
amo più volentieri
freschi -.
[11] Usavansi allore le
medaglie in
Firenze, che le due
valevano un
danaio; però
disse
Bito: -
Damene ora
un
mazzo.
[12] Dammi un
danaio e
tè una
medaglia; e un'altra
volta
torrò l'altro
mazzo -.
[13] A lei
parve che
dicesse
bene, e così
fece.
[14] E
poi andoe a
vendere li altri a quella
ragione che 'l
signore li aveva
data.
[15] E
tornò a
casa, e
diede a ser
Frulli la
moneta.
[16] Quelli
an
noverando più
volte, pur
trovava meno un
danaio; e
disselo alla
fante.
[17] Ella
rispuose: - Non
può
essere -.
[18] Quelli
riscaldandosi
co lei,
domandolla se s'era
posata a
San
Giorgio.
[19]
Quella
vol
le
negare, ma tanto la
scalzò ch'ella
disse: - Sì
posai a un
bel
cavaliere, e
pagommi
finemente.
[20] E
dicovi
ch'io li
debbo
dare ancora un
mazzo di
cavoli -.
[21]
Rispuose s
er Frulli: - Dunque ci avrebbe ora meno un
danaio in mez
zo? -
[22] Pensòvi suso,
avidesi de
llo
'ngano;
disse alla
fante molta
villania, e
domandolla dove quelli
stava.
[23] Ella gliele
disse a punto.
[24] Avidesi ch'era
Bito,
che molte
beffe li avea già
fatte.
[25] Riscaldato d'
ira, la
mattina
per tempo si
levò e
misesi sotto le
pelli una
spada
rugginosa,
e
venne in
capo del
ponte; e là
trovò
Bito che
sedeva
con molta buona
gente.
[26] Alza questa
spada, e
fedito
l'avrebbe, se non fosse uno che 'l
tenne per lo
braccio.
[27]
Le
genti vi
trassero
smemorate,
credendo che fosse altro.
[28] E
Bito
ebbe
gran
paura.
[29] Ma poi,
ricordandosi come
era,
incominciò a
sorridere.
[30] Le
genti ch'erano intorno
a ser
Frulli,
domandarlo com'era.
[31] Quelli il
disse con
tanta
ambascia, ch'a pena
poteva.
[32] Bito
fiece
cessare le
genti, e
disse: - Ser
Frulli, io mi
voglio
conciare con voi.
[33]
Non ci abbia più
parole.
[34] Rendete il
danaio mio, e
tenete
la
medaglia vostra.
[35] Ed
abbiatevi il
mazzo di
cavoli con
la
mali
dizione di
Dio -.
[36] Ser
Frulli
rispuose: - Ben mi
piace.
[37] E se così avessi
detto imprima, tutto questo non
ci sarebbe stato -.
[38] E non
accorgendosi della
beffa, sì li
diè
un
danaio e
tolse una
medaglia, e
andonne
consolato.
[39]
Le
risa vi
furo
grandissime.
97
Qui conta come uno mercatante portò vino oltremare in botti a due
palcora, e come li 'ntervenne.
[1] Un
mercatante
portò
vino
oltremare in
botti a due
palcora.
[2] Di sotto e di sopra avea
vino, e nel mezzo acqua,
tanto che la
metà era
vino, e la
metà acqua.
[3] Di sotto e di
sopra avea
squilletto, e nel mezzo no.
[4] Vendero l'acqua
per
vino, e
radoppiaro i
danari sopra tutto lo
guadagno; e
tosto che
furo
pagati,
montaro in su un
legno con questa
moneta.
[5] E, per
sentenzia di
Dio,
apparve nella
nave un
grande
scimion, e
prese il
taschetto di questa
moneta, e
andonne in
cima d
ell'
albero.
[6] Quelli, per
paura ch'elli
nol
gittasse in
mare,
andaro con esso per via di
lusing
he.
[7] Il
bertuccio si
puose a
sedere, e
sciolse il
taschetto con
bocca, e
toglieva i
danari dell'
oro ad uno ad uno.
[8] L'uno
gittava in
mare, e l'altro
lasciava
cadere in su la
nave.
[9] E
tanto
fece, che l'una
metà si
trovò nella
nave col
guadagno
che
far se ne dovea.
98Qui conta d'uno mercatante che comperò berrette.
[1] Uno mercatante che recava berrette, sì li si bagnaro; e
avendole tese, sì n'appariro molte scimie, e catuna se ne
mise una in capo, e fuggìano su per li alberi. [2] A costui ne
parve male. [3] Tornoe indietro, e comperò calzari, e presele,
e fecene bono guadagno.
99
Qui conta una bella novella d'amore.
[1] Un
giovane di
Firenze sì
amava
carnalmente una
gentile
pulzella, la quale non
amava niente lui, ma
amava
a
dismisura un altro
giovane, lo quale
amava anche lei ma
non tanto ad assai quanto costui.
[2] E ciò si parea: ché
costui n'avea
lasciato ogni altra
cosa, e
consumavasi come
smemorato, e
spezialmente il giorno ch'elli non la
vedea.
[3] A un suo
compagno n
e 'ncrebbe.
[4] Fece tanto che lo
menò a un suo
bellissimo
luogo, e là
tranquillaro quindici
dì.
[5] In quel mezzo la
fanciulla si
crucciò con la
madre.
[6] Mandò la
fante, e
fece
parlare a colui cui
amava che ne
voleva
andare con lui.
[7] Quelli fu molto
lieto.
[8] La
fante
disse: - Ella
vuole che voi
vegnate a
cavallo, già quando fia
notte
ferma.
[8] Ella
farà
vista di
scendere nella
cella:
aparechiato sarete all'
uscio, e
gitteravisi in
groppa.
[9] Ell'
è
leggera e
sa bene
cavalcare -.
[10] Elli
rispuose: - Ben mi
piace -.
[11] Quand'
ebbero così
ordinato,
fece
grandemente
aparecchio a un suo
luogo, ed
ebbevi suoi
compagni
a
cavallo, e
feceli
stare alla
porta, perché non fosse
serrata, e
mossesi con un fine
roncione, e
passò dalla
casa.
[12] Ella non era ancora
potuta
venire, perché la
madre la
guardava troppo.
[13] Questi andò oltre per
tornare
a'
compagni.
[14] Ma quelli che
consumato era, in
villa
non
trovava
luogo; era
salito a
cavallo, e 'l
compagno suo
nol seppe tanto
pregare che 'l
potesse
ritenere; e non
volle la sua
compagnia.
[15] Giunse quella
sera alle
mura.
[16] Le
porte erano tutte
serrate; ma tanto
acerchiò che
s'
abatté a quella
porta dov'erano coloro.
[17] Entrò dentro.
[18] Andonne inverso la
magione di colei, non per
intendimento
di
trovarla né di
vederla, ma solo per
vedere la
contrada.
[19] Essendo ristato rimpetto alla
casa - di poco era
passato l'altro - la
fanciulla
diserrò l'
uscio e
chiamollo
sotto
boce e
disse che
acostasse il
cavallo.
[20] Questi non
fu
lento:
ac
costòsi, ed ella li si
gittò
vistamente in
groppa,
e
andarono via.
[21] Quando
furono alla
porta, e'
compagni
dell'altro non li
diedero
briga, ché
nol
conob
bero,
però che se fosse stato colui cui elli
aspettavano
sarebbe
ristato co loro.
[22] Questi
cavalcarono ben diece
miglia,
tanto che
furono i
n un bello
prato
intorniato di
grandissimi
abeti.
[23] Smontaro e
legaro
il
cavallo all'
albero.
[24]
E
prese a
basiarla.
[25] Quella il
conobbe:
ac
corsesi della
disaventura;
cominciò a
piangere
duramente.
[26] Ma questi
la
prese a
confortare
lagrimando, e a
renderle tanto
onore ch'el
la
lasciò il
piagnere e
preseli a
volere bene,
veggendo che la ventura era pur di costui; e
ab
bracciollo.
[27] Quell'altro
cavalcò poi più volte, tanto che
udì
il
patre e la
madre
fare
romore nell'
agio, e
intese dalla
fante
com'ella n'era
'ndata in cotal modo.
[28] Questi
sbigottì.
[29] Tornò a'
compagni, e
disselo loro.
[30] E que'
rispuosero:
- Ben lo
vedemmo
passare co lei, ma noi
conoscemmo;
ed è tanto che
puote
essere bene
alungato.
[31] E
andârne
per cotale
strada -.
[32] Missersi incontanente a
tenere loro
dietro.
[33] Cavalcaro tanto, che li
trovaro
dormire così
abbracciati; e
miravagli per lo
lume della
luna ch'era
ap
parito.
[34] Allora ne
'ncrebbe loro
disturbarli, e
dissero:
-
Aspettiamo tanto ch' elli si
sveglieranno, e poi
faremo
quello ch'avemo a
fare -.
[35] E così
stettero tanto, che 'l
sonno
giunse e furo tutti ad
dormentati.
[36] Colloro si
svegliaro
in questo mezzo, e
trovaro ciò ch'era.
[37] Maravigliârsi.
[38] E
disse il
giovane: - Ci ànno
fatta tanta
cortesia,
che non
piacia a
Dio che noi li
ofendiamo! -
[39] Ma
salio questi a
cavallo, ed ella si
gittò in su un altro de'
migliori che v'erano, e
andaro via.
[40] Quelli si
destaro e
fecero
gran
corrotto, perché più non li
potevano ire
cercando.
100
Come lo 'mperadore Federigo andò alla montagna del Veglio.
[1] Lo
'mperadore
Federigo andò una volta fino alla
montagna del Veglio, e
fulli
fatto grande
onore.
[2] Il Veglio,
per
mostrar
li com'era temuto,
guardò in alti, e
vidde in su
la
torre due
assessini.
[3] Prese
si la
gran
barba; quelli se ne
gittaro in
terra e
morirono incontanente.
[4] Lo
'mperadore medesimo
volle
provare la
moglie,
però che li era
detto che uno suo
barone
giaceva con lei.
[5] Levossi una
notte e andò a lei nella
camera; e quella
disse:
- Voi ci
foste pur ora un'altra volta -.